Le anfore massaliote. in Etruria meridionale. Malgorzata SLASKA *



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Le anfore massaliote in Etruria meridionale Malgorzata SLASKA * L'inventaire de la demi-douzaine de sites concernés montre la prédominance des amphores de type Bertucchi 1 et autorise l'auteur à s'interroger sur l'identité des amphores ionio-massaliètes et de leur prototype. Mols-clés: amphores massaliètes, Etrurie, commerce méditerranéen, périodes archaïque et classique. The inventory of the halfdozen sites concerned shows the predominance of type BeTtucchi 1 amphorae and allows the author to discuss the identity of the Ionio-massaliote amphorae and their prototype. Keys words : Massaliote amphorae, Etruria, Mediterranean trade, archaic and c1assical periods. Eludes Massalièles, 2 (1990), pp. 223-233

224 M. SLASKA Inquadra:tn.ento generale Il panorama delle presenze anforiche in Etruria meridionale in cui si inseriscono anche i prodotti massalioti, negli ultimi anni è venuto a delinearsi in modo più chiaro - specialmente per l'epoca arcaica e classica con il contributo decisivo di un'iniziativa, promossa e coordinata dalla Soprintendenza Archeologica per l'etruria Meridionale da Paola Pelagatti, e imperniata su un rigoroso censimento seguito da un'approfondito studio delle classi documentate (1). Le necropoli di Veio, di Tarquinia, di Cerveteri e di VuIci ma anche di Tuscania e di altri centri minori dell 'Etruria meridionale interna costituiscono il serbatoio principale delle testimonianze raccolte (da vecchi e nuovi scavi, da collezioni, da recuperi e sequestri), cui si aggiungono i rinvenimenti marini, per 10 più fortuiti. Ad arricchire il quadro vengono i dati relativi alla situazione riscontrata nei santuari di Pyrgi (Colonna 1985, 5-18) e Gravisca (Slaska 1985, 19-21) e nel porto vuicente di Regisvilla (Morselli-Tortorici 1985, 27-40), mentre la documentazione riferibile aile aree urbane è ancora troppo esigua 0 inesistente (2). La prima impressione che si ricava dalle statistiche relative alle necropoli dei quattro maggiori centri etruscomeridionali (Boitani 1985, 23-26), per quanta concerne le anfore massaliote, è di una loro presenza dei tutto marginale, tanto esiguo appare il numero di questi vasi rispetto ai contenitori da trasporto importati da altri centri. Tuttavia, se analizziamo le presenze in rapporto alla cronologia della classe che ha inizio a partire dall 'ultimo quarto dei VI sec. a.c. (3), tale impressione dovrà essere modificata. In questo momento, infatti (ma il fenomeno inizia già nel terza quarto dello stesso secolo), tutte le anfore commerciali documentate in Etruria meridionale sono in netta diminuzione, e quelle massaliote - inserendosi in un panorama molto più scarno di quello precedente - assumono una rilevanza maggiore e - in generale - dei tutto bilanciata rispetto ad altre importazioni anforiche dell'epoca. Successivamente, nel corso dei Vedel IV sec. a.c., la presenza massaliota mantiene la sua tenuta, sebbene con testimonianze numericamente ridotte, nel contesto sempre più povero di anfore da trasporto (4). La distribuzione delle anfore massaliote in Etruria meridionale non è uniforme : il ruolo maggioritario spetta indubbiamente all'area tarquiniese. Specialmente nell'ambito delle necropoli si puo cogliere, curiosamente, una duplice tendenza : da un lato Tarquinia appare come il destinatario privilegiato di questa classe rispetto ad altri centri etrusco-meridionali (con sette esemplari su un totale di otto/nove rinvenuti complessivamente nelle necropoli), dall'altro le anfore marsigliesi sembrano essere "preferite" nelle tombe tarquiniesi a contenitori di altre fabbriche (5). Sebbene dalle notizie pervenuteci dagli scavi della Civita (Scotti 1986, 171) non appaia una situazione simile anche nella città, l'importanza dei versante tarquiniese nella diffusione delle anfore massaliote trova un'eloquente conferma a Gravisca, dove le importazioni si possono seguire fin dagli inizi della produzione di questa classe e con una discreta percentuale, rispetto ad altre presenze anforiche (Slaska 1982,354-359; 1985, 19-21). Presenti, ma con molto minore incisività, sono le anfore massaliote a Pyrgi e a Regisvilla dove, per altro, è concentrata tutta 0 quasi tutta la documentazione della classe in questione nelle aree, rispettivamente di Cerveteri e di VuIci. Del tutto negative, infine, sono le testimonianze di anfore massaliote (ma anche di altre coeve) a Veio e nel suo territorio (6). Inventario dei siti Vediamo ora in dettaglio l'elenco di anfore marsigliesi rinvenute in Etruria meridionale organizzato secondo i luoghi di provenienza e suddiviso nei principali tipi della classificazione di Bertucchi, cosi come è stata aggiornata in questo incontro. Tarquinia (dalle necropoli) Tipo Bertucchi 1 Necropoli dei Monterozzi, tomba 4513 (loc. Calvario, scavi Lerici) : un esemplare intero (h. 45,5 cm ; diam. 34,5 cm), con labbro riconducibile al tipo Py 1. Nel corredo, oltre all'anfora, c'è solo un piccolo unguentario acromo, decorato con due fascette dipinte ulla spalla, a corpo piriforme (il collo è mancante), di incerta identificazione e cronologia. Provenienza sconosciuta (dalla coll. Bruschi-Falgari di Tarquinia, inv. 1316) : un esemplare intero (h. 51,2 cm ; diam. 41 cm), con labbro de tpo Py 1. Senza contesto di rinvenimento (fig. 1, no 1 ; fig. 4, no 1). Tipo Bertucchi 2 Necropoli dei Monterozzi, tomba 4988 (Ioc. Calvario, scavi Lerici) : un esemplare intero, privo della parte inferiore dei piede e di una piccola porzione di un'ansa (h. ricostr. 42 cm; diam. 31,7 cm) ; labbro avvicinabile ai tipi Py 2/Py 3 (7) (fig. 1, no 2). Tipo Bertucchi 3 ecropoli dei Monterozzi, tomba 6270 (scavi SAEM 1989, presso il Cirnitero Comunale) : un esemplare intero privo dei piede (h. cons. 43 cm ; diam. 34 cm), con labbro di tipo Py 6. 1 materiali associati nel corredo, pertinente a più deposizioni, sono databili per 10 più nel corso della seconda metà dei IV sec. a.c. (8). Necropoli dei Monterozzi, tomba 6260 (scavi SAEM 1989, presso il Cimitero Comunale) : un esemplare frammentario conservante solo la parte superiore dei vaso (collo con labbro, spalla e anse), con il labbro di tipo Py 6. Pochi frammenti di altri materiali superstiti dei contesto depredato sembrano datarsi entro il IV sec. a.c. (9).

L'ETRURlE MERIDIONALE 225 3 1 Tarquinia. N 1 : coll. Bruschi-Falgari ; 2 : necropoli dei Monterozzi, tomba 4988 ; 3 : dal mare antistante il Porto Clementino. Tipo Bertucchi 4 ecropoli dei Monterozzi, tomba 1422 (Ioc. Calvario, scavi Lerici) : un esemplare ricomposto da più frammenti, mancante di una parte dei piede (h. cons. 60,5 cm ; diam. 36,5 cm), con labbro riconducibile al ripo Py 7 (fig. 2, no 3). el corredo materiali databili alla fine dei IVinizi dei III sec. a.c. Tipo non definibile (probabilmente Bertucchi 3 0 4) ecropoli dei Monterozzi, tomba 6258 (scavi SAEM 1989, presso il Cimitero Comunale) : alcuni frammenti di parete pertinenti alla spalla e al fonda dell'anfora, riconoscibile come marsigliese dall'impasto molto micaceo caratteristico della classe (vedi infra). La tomba, quasi completamente depredata e sconvolta dai crolli, ha restituito altri resti dei corredi (vi erano sicuramente più deposizionj) databili a partire dalla fine dei IV sec. a.c. e con un ampio excursus cronologico, quanto mena fino alla fine dei Il sec. a.c. (10). Tutte le anfore qui menzionate hanno l'impasto caratterizzato da una vistosa presenza di lamelle di mica (argentata, rosata e dorata : altemativamente 0 insieme) di varie dimensionj e con variabile densità, a seconda dell'esemplare, cui si aggiungono altri inclusi, molto 2 W 1 Vulci, provenienza sconosciuta ; 2 : Tarquinia, recupero marina ; 3 : Tarquinia, necropoli dei Monterozzi, tomba 6258. <.,\. '- -' '- _ ~,t.~ _." ~

226 M. SLASKA 2 3 4 8 5 6 7 3 N 1 à 8: frammenti di anfore marsigliesi da Gravisca (dis. M. Slaska); 9 : Tarquinia, anfora "di forma corinzia B" (dis. E. Ferrero).

L'ETRURIE MERIDIO ALE 227 mena evidenti, tra i quali spiccano noduli rossi e bianchi oltre a qualche grano trasparente. E' una tecnica che senza difficoltà si pub identificare con quel farnoso impasto micaceo «à écaille de poisson» già definito da Benoit (1965, 183) e attestato in larga misura neile anfore massaliote di tutti i tipi. Il colore negli esemplari tarquiniesi è crema giallastro (IOYR 7/3-7/4-8/6) (II), talvolta con un nucleo rosa (5YR 7/6), oppure rosa pallido (7.5YR 8/4-7/4) ; la pasta è mediamente dura ed è spesso soggetta a sfogliarsi in frattura e in superficie. Tarquinia (area urbana) Un solo esemplare, franlmentario e di tipo inlprecisato, riconducibile alla fabbrica marsigliese in base all'impasto, è stato finora riconosciuto dagli scavatori della Civita (Scotti 1986, 171). Gravisca (area sacra) Il numero delle anfore marsigliesi restituite dagli scavi pub essere stimato complessivarnente in circa 23 esemplari. La maggior parte di questi vasi conserva soltanto una piccola porzione dei perimetro della bocca con il labbro ed, eventualmente, un breve tratto dei colla (solo quattro esemplari hanno il colla intero 0 ricostruibile nel profilo). A questi frarnmenti se ne aggiungono altri, non utilizzabili ai fini della determinazione numerica degli esemplari, come i fondi/piedi (13 ex.), le anse (15 ex.) e piccoli pezzi delle pareti (12). DaI punto di visto tipologico la documentazione graviscana si articola nel seguente modo : - 16 esemplari con labbri di tipo Pyl, Py 2 e Py 3 sono riconducibili al tipo Bertucchi 1 (Slaska 1982, fig. l, no 1-6 e fig. 2). - 4 esemplari con labbri di tipo Py 3 e Py 4 sono riconducibili al tipo Bertucchi 2 (Slaska 1982, fig. l, n 9-10, 12). - 3 esemplari con labbri di tipo Py 5 sono riconducibili ai tipi Bertucchi 3 e/o Bertucchi 4 (Slaska 1982, fig. l, no 7-8, Il). Per quanto riguarda la tecnica, la maggior parte dei frarnmenti graviscani presenta il "classico" inlpasto micaceo già descritto che non lascia dubbi sulla produzione marsigliese di questi pezzi (13). Si riscontrano, tuttavia, limitatamente agli esemplari di tipo Bertucchi 1 e con il labbro Py l, anche altri tipi di inlpasti. Il primo ripo, rappresentato da un solo esemplare (fig. 3, no 1) con pasta gialloverdognola (5Y 8/3-7/3), piuttosto leggera e porosa, ruvida al tatto, con granuli biancastri traslucidi e opalescenti piuttosto numerosi di diversi dinlensioni e con minutissimi inclusi neri visibili sotto la lente, senza pur minime tracce di micaj'impasto si pub verosimilmente identificare con quella pasta "feldspatica" in cui Benoit ha individuato il seconda tipo di tecnica adoperata nella produzione delle anfore marsigliesi (Benoit 1965,182) (14). Il seconda tipo d'impasto, rappresentato da quattro labbri e quattro fondi (riferibili probabilmente agli stessi vasi) (fig. 3, no 2-7) è rosa (5YR 6/6-7.5 YR 7/4-7/6-8/4), qualche volta con tracce di una scialbatura rosa ottenuta da un bagno nella stessa argilla. Piuttosto compatto, in superficie si presenta farinoso e ruvido, a causa di piccoli e medi granuli biancastri traslucidi e opalescenti (feldspato?), cui se ne aggiungono altri, grigiastri e rossi, oltre a mica argentata in piccole e minutissinle pagliuzze. L'aspetto più evidente di questo impasto, che potremmo definire "feldspatico con mica", è il maggior rilievo di altri inclusi rispetto alla mica stessa. Alla domanda se la tecnica in questione si pub 3fU1overare tra quelle adoperate a Marsiglia non possiamo dare una risposta sicura : finora gli unici impasti marsigliesi ben definiti (e percib facilmente confrontabili) sono quelli, l'uno micaceo e l'altro feldspatico, descritti da Benoit. Cib non toglie che a Marsiglia potessero esistere altre fabbriche 0 altre varianti di impasti usati per la produzione delle anfore (15). Ya anche sottolineato che il particolare morfologico dei piede, che caratterizza il gruppetto in questione, con profila sagomato e con una lieve ma ben delimitata depressione al centro dei piano d'appoggio, si ritrova, accanto al piede a bottone laggermente bombato, nelle anfore massaliote di tipo Bertucchi 1 (16). Gli stessi dubbi si avanzano su un'ultima variante d'impasto che potrebbe riferirsi al gruppo massaiiota e documentata da due esemplari (fig. 3, no 8) : la pasta rosa 0 rossa (7.5YR 7/6 ; 5YR 6/8) omogenea in frattura, finemente granulosa, con piccolissimi e piuttosto frequenti inclusi bianchi, granuli bianco-grigiastri, neri e rossi (rari) e con mica argentata minutissima. Per quanto riguarda i dati cronologici risultanti dalla scavo, i frammenti massalioti di Gravisca sono stati rinvenuti nei contesti stratigrafici riferibili alla ristrutturazione dei santuario a partire dal 400 a.c., e all'ultimo periodo di frequentazione, fine all'abbandono dell'area tra la fine dei III e gli inizi dei II sec. a.c. Ritrovati spesso negli strati sconvolti e rimaneggiati, moiti frarnmenti possono costituire tuttavia residui delle fasi precedenti della vita dei santuario in epoca tardoarcaica e classica ( 17). Rinvenimenti marini Tra le anfore recuperate dal mare censite dalla Soprintendenza Archeologica per l'etruria Meridionale, quattro sono di produzione marsigliese. Di queste, tre provengono dal territorio tarquiniese : le prime due con una precisa indicazione di rinvenimento dai fondali antistanti il Porto Clementino, la terza senza indizi di provenienza. Si tratta, rispettivamente, di : - Un esemplare ricomposto mancante di piccoli frarnmenti dei corpo e dei piede (h. cons. 50,5 cm ; diarn. 33 cm) ; labbro Py 4, colla breve a profila concavo, riconducibile al tipo Bertucchi 2. - Un colla con labbro spalla e due anse, dello stesso tipo dei precedente (fig. l, no 3). - Un esemplare privo di un 'ansa e con piede sbrecciato (h. cons. 57,5 cm ; diam. 36 cm), riferibile al tipo Bertucchi 4, con labbro Py 6 o Py 8 (non è possibile vedere sotto le incrostazioni marine un 'eventuale modanatura alla base dei labbro) (fig. 2, no 2). A questo gruppetto, che conferma l'affluenza delle anfore massaliote verso 10 scalo di Tarquinia, si aggiunge un quarto esemplare, consegnato al Museo di Civitavecchia, ma proveniente da un luogo di rinvenimenti incerto (non escluso quello delle acque dei litorale tarquiniese; Gianfrotta 1982,24, fig. 33) (18). - Un colla con labbro Py 1 conservante un tratto di spalla e le due anse, pertinente ad un'anfora di tipo Bertucchi l. L'impasto di tutti i quattro esemplari, benché alterato nel colore e nella consistenza da lunga permanenza nel mare e fortemente incrostato, si identifica chiaramente con la fabbrica micacea di Marsiglia. Vulci (necropoli) Probabilmente da una tomba (ma il luogo di rinvenimento rinlane sconosciuto) proviene l'unico esemplare di sicura produzione marsigliese finora segnalato a Yulci : - Un'anfora, conservata solo nella parte superiore, riconducibile al tipo Bertucchi 3, con il labbro Py 5, eseguita con impasto molto micaceo (fig. 2, no 1). on è escluso, inoltre, che un'altra anfora (questa volta di tipo arcaico Bertucchi 1) da Yulci si possa riferire alla fabbrica massai iota : si tratta dei ben nota esemplare intero dalla tomba 129 della necropoli dell 'Osteria (MAY II, 14, no 284) rinvenuto in un corredo databile nell'ultimo quarto dei YI sec. a.c. Essendo l'anfora irreperibile e le informazioni sul suo impasto scarse, non è possibile esprimere un giudizio univoco sulla questione : si potrebbe anche trattare, infatti, di

228 M. SLASKA o,..- ~----- 2 1. (\ :.L- ~ 1 ~ 1 3 ~'"::.-_-_-.r

L'ETRURIE MERIDIO ALE 229 4 W 1 : Tarquinia, coll. Bruschi-Falgari (dis. R. Giraldi, Scuola Francese di Roma) ; 2 : relitto di Pointe du Dattier (dis. E. Ferrero) ; 3 : Vuici, anfora "ionico-marsigliese" (dis. E. Ferrero) ; 4 : Tarquinia, anfora "ionico-marsigliese" (dis. Studio Sabatini). - un'altra fabbrica, non massaliota, da includere nel gruppo di anfore "ionico-marsigliesi" (vedi infra). Regisvilla Le anfore marsigliesi identificate nell'ambito degli scavi finora condotti nel porto vulcente sono testimoniate da due soli esemplari frarnmentari (Morselli-Tortorici 1985,34-37, fig. 9, no 5-6) : - Un colla con labbro Py 1 riferibile al tipo Bertucchi J. - Un colla con labbro Py 6 riconducibile probabilmente al tipo Bertucchi 3. Non è molto, rispetto al numero complessivo dei frammenti di anfore di ajtre fabbriche rinvenute nelle stesso saggio e, in particolare, nello stesso strato : una quarantina di pezzi di cui quasi trenta pertinenti aile anfore importate (Morselli-Tortorici 1985, fig. 7-11). Cerveteri Le tombe ceretane, dove - nonostante un notevole calo numerico delle presenze anforiche dopo la metà dei VI sec. a.c. non mancano anfore etrusche e greche databili tra la fine dei VI e la metà dei V sec a.c. (ad esempio quelle samie), non hanno restituito nessun esemplare marsigliese. Lo stesso si pub dire della situazione apparsa, almeno per ora, nell'area urbana di Cerveteri, COSI come risulta dalle recenti indagini (Cristofani 1986, 15) e di quella riscontrata negli scavi condotti nel porto e nell'abitato di Pyrgi (J 9). Pyrgi (area sacra) Contrariarmente a quanto detlo sul porto e sull'abitato, nel santuario di Pyrgi le anfore massaliote sono documentate, e il numero di quelle attribuite sicuramente a Marsiglia è stimato in 5-6 esemplari, c1assificati nell'arnbito dei tipo 2 e 3 di Bertucchi (Colonna 1985, 9-10, fig. 13), con una buona percentuale rispetlo ad altre presenze anforiche dei sito. Considerazioni conclusive Ricapitolando i dati esposti, si pua notare che tra i tipi di anfore marsigliesi rappresentati in Etruria meridionale il meglio documentato è quello Bertucchi 1 seguito, con un numero dimezzato di esemplari, dal tipo Bertucchi 2 e, con 10 stesso ritmo decredescente, dai tipi Bertucchi 3 e 4. Del resto, l'incidenza maggiore dei due tipi più antichi e, tra questi, di quello arcaico, è dei tutto coerente con l'andamento cronologico che le anfore da trasporto, e specialmente quelle importate, seguono in Etruria meridionale. Il contributo che questo territorio pua offrire alla conoscenza delle anfore marsigliesi di epoca classica ed ellenistica è piuttosto modesto, al di là delle sempre preziose indicazione slilla diffusione della classe. Le testimonianze, oltre ad essere poco numerose (specie se confrontate con la ricca documentazione disponibile in Francia), raramente offrono qualche occasione per precisazioni cronologiche. Gli spunti più interessanti per la discussione si presentano, invece, con gli esemplari di tipo arcaico Bertucchi 1 che, oitre ad essere i più numerosi, riportano nel vivo della problematica delle delle anfore "ionicomarsigliesi" - gruppo molto diffuso nei siti dell'etruria meridionale e di grande interesse anche per la questione delle origini delle stesse anfore marsigliesi. Le anfore "ionico-marsigliesi" (20) costituiscono, nell'etruria meridionale, und dei gruppi più numerosi della seconda metà dei VI sec. a.c., e la loro identificazione (come nota il Iuogo di produzione resta ancora sconosciuto) è molto importante per la ricostruzione dei rapporti commerciali in questo ambito e - in generale - in tutta l'area tirrenica, dove esse appaiono assai numerose (21), accanto ad un'altro gruppo ancora enigmatico - quello "di forma corinzia B" (vedi infra). 1 tre gruppi, compreso quello massaliota arcaico, si intrecciano tra di lord (e, a dir vero, spesso vengono confusi a causa delle somiglianze morfologiche), accomunati nello stesso dibattito sulle origini e sulle reciproche influenze, nell'ambito dei quale le anfore marsigliesi, con la loro attribuzione precisa, costituiscono uno degli elementi più solidi e un punto di partenza obbligato. ln questa situazione è comprensibile che tutte le informazioni sulle anfore di tipo Bertucchi 1 sono attese con grande interesse, e specialmente quelle concernenti i criteri di distinzione e la cronologia delle fabbriche diverse dalla ben nota pasta micacea (vedi note 13 e 15), c1assificate abitualmente nel gruppo "ionico-marsigliese". Poterne estrapolare, in base agli elementi di giudizio più sicuri e precisi, tutte le anfore massaliote consentirebbe di snellire il gruppo in questione e di definire meglio le altre produzioni che ne fanno parte (22). Su questo punto, sebbene anche nel presente incontro siano emersi alcuni elementi nuovi (23), non si ha impressione che le indagini abbiano fatto molto progressi : i colleghi francesi continuano a definire con il termine "ionio-massaliète" anche le anfore marsigliesi di forma Bertucchi 1 eseguite con l'impasto feldspatico ; gli stessi esemplari feldspatici non sono stati ancora analizzati nella loro specificità morfologica rispetto a quelli fortemente micacei (24) ; nessuna ulteriore precisazione si aggiunge, infine, sulla qualità di quell'impasto poco micaceo che Michel Py ha descritto, attribuendolo ai più antichi esem-

230 M. SLASKA 2 t - 3.- 4 5 5 Anfore di Lipari (da Cavalier 1985, fig. 5, a-b-e ; fig. 8, a-b-c). > u " ~., #"~" V ~.....j ll~."_ ~... I~'...~ _... ~...-i... ~ t;... _... y-._~..... 'l'.,_),.-/ ("_.'., -,.,,-1,.,.., '"' ~'

L'ETRURIE MERIDIO ALE 231 plari della fonna 1 (25). Evidentemente, le ricerche sono state condizionate dalla documentazione che, per quanto riguarda il tipo Bertucchi 1, e specialmente le anfore intere, risulta finora piuttosto scarsa. In attesa di nuovi dati in proposito si possono formulare soltanto alcune ipotesi 0 osservazioni. In merito alla tendenza a definire con il termine "ionico-marsigliesi" anche le anfore massaliote arcaiche non micacee, credo che - al di là della necessità di operare le distinzioni per articolare meglio il campo delle ricerche - questo atteggiamento pua avere una sua giustificazione, che scaturisce da1 rapporto tra tutti i gruppi riconducibili morfologicamente al tipo Bertucchi 1. Se è vero, come sembra, che le anfore massaliote di impasto feldspatico (e forse anche quelle poco micacee) risalgono al terza quarto dei VI sec. a.c., non diversamente dalla cronologia avanzata per le anfore "ionico-marsigliesi" non attribuite a Marsiglia (26), esse rientrebbero in una stessa corrente "sti1istica" che ha pervaso la produzione di vari centri attivi a partire dalla metà dei VI sec. a.c. Le anfore fabbricatevi, sostanzialmente simili nella fonna, come se seguissero un solo modello, erano differenziate in a1cuni particolari : ad esempio, nel profilo dei corpo (con le pareti più tese 0 piuttosto arrotondate nella parte inferiore) e nel piede (cilindrico 0 tronconico, inferionnente cayo, piano 0 convesso). Il so1co orizzontale sul collo costituiva, forse, una delle piccole caratteristiche distintive della fabbrica massaiiota (fig. 4). E' in questa prospettiva che le anfore arcaiche di Marsiglia di fabbrica feldspatica e di quelle poco micacee possono essere incluse nella famiglia delle "ionico-marsigliesi". Esse trovano, poi, una loro propria caratterizzazione definitiva con l'adozione della tecnica fortemente micacea : forse in questo momento si potrebbe indicare anche l'inizio di un'evoluzione morfologica più decisa, avvertibile già in a1cuni tratti della fonna 1 (ad esempio nel colla pesante e leggennente svasato in basso), che porterà ad una metamorfosi piuttosto radicale, con i tipi più recenti. [sur cette question, voir ci-dessus l'article d'a. Nickels. N.D.L.R.]. Viene da chiedersi se anche altri nuclei di anfore "ionico-marsigliesi" abbiano avuto la stessa fortuna nelle epoche successive. Un interessante indizio a questo proposito viene dalla Sicilia e dalla Magna Grecia, dove a partire dalla prima metà dei V sec. a.c. fanno la loro comparsa le anfore con il colla piuttosto alto e a profila rigonfio, defmite "di tipo chiota" 0 c. d. "chiote", con un tennine inesatto e fuorviante (Tamburello 1969, 281, fig. 26 ; Cavalier 1985, fig. 8-9 ; Di Sandro 1986, fig. 12) (27). Esse denotano, a mio avviso, nella loro morfologia (anzitutto nellabbro) un certo richiamo al gruppo "ionjco-marsigliese", e specialmente ad a1cuni esemplari diffusi negli stessi siti della Sicilia e della Campania. Molto indicativo pua essere il confronto tra alcune anfore rinvenute nella necropoli di Pa1enno provenjenti da corredi compresi tra l'ultimo trentennio dei VI e il primo quarto dei V sec. a.c. (Tamburello 1969, 277-294, fig. 8, 19, 26 ; 313, fig. 16) ; vi si pua osservare, forse, una linea di sviluppo morfologico da una forma più antica di tradizione "ionicomarsigliese", a corpo ampio e arrotondato con il colla cilindrico, verso quella degli esemplari più recenti, a corpo più stretto, con la spalla spiovente e il colla lungo, che diventerà più tardi rigonfio. E' possibile, dunque, che i produttori delle anfore con il collo rigonfio diffuse a Lipari, a Palenno, a Rimera, oltre che in Campania, abbiano perpetuato, sviluppandola, la tradizionale fonna "ionjco-marsigliese" apparsa precedentemente negli stessi siti - analogamente, ma con esiti fonnali diversi, a quanto è avvenuto a Marsiglia (per un'esemplificazione dea Lipari, vedi fig. 5). Rimangono ancora due questioni al centro dei dibattito : dove erano prodotte le anfore non massaliote dei gruppo "ionico-marsigliese", e quai 'era il modello che ha ispirato tutta la produzione, compresa quella massai iota. La prima questione trova una soluzione più convincente (sebbene non ancora confennata) nell 'idea - già intravvista da Paola Pelagatti (1981, 722 e nota 117) e sviluppata da Colonna (1985, 10) - che il centro di produzione di queste anfore vada ricercato nell'ambito siceliota. Le anfore a colla rigonfio di cui abbiamo parlato, prodotte indubbiamente in Sicilia, potrebbero ulteriormente rafforzare questa tesi. Per il momento mancano indizi sulle eventuali altre zone di produzione, ma sembra plausibile che esse siano da ricercare sempre nell'area tirrenica dove il gruppo trova la sua maggiore (e pressoché esclusiva) diffusione. A questo proposito, il termine "tirreniche" con il quale G. Colonna (1985) ha definito le anfore in questione sembra alquanto pertinente ed agevole. Per quanto riguarda un possibile modello comune per la produzione (marsigliese e non) dei gruppo che stiamo trattando, credo che si possa indicarlo nelle anfore "di forma corinzia B", da non confondere con le vere e proprie anfore corinzie di tipo B della classificazione Koehler. Anch 'esse di provenienza ancora da definire, diffusissime nelle stesse aree e luoghi, queste anfore "di fonna corinzia B" sono sufficientemente simili nella forma per poter essere prese a modello, modificato in a1cuni particolari, dalle fabbriche delle anfore "ionicomarsigliesi" : basta confrontare il labbro (qui unifonnemente bombato e senza la fessura interna) e la risega sottostante (posta sul collo, sotto il labbro stesso) ; la fonna dei corpo e dei collo è piuttosto si mile nell 'insieme (le anse sono più corn patte e strette in sezione). La differenza essenziale tra i due gruppi si nota nel piede : quello delle anfore "di fonna corinzia B" ha il fondo piano, evidenziato esternamente da una costa appiattita e leggennente svasata, distinta dalle pareti più 0 mena concave della parte inferiore dei vaso. Si tratta delle connotazioni tipicamente corinzie, presenti - sebbene con diversi risoluzioni nelle anfore corinzie vere e proprie, sia quelle di tipo A che

232 M. SLASKA di tipo B. Questo particolare, come abbiamo visto, è stato dei tutto trasformatto nel gruppo "ionico-marsigliese". L'identificazione dei centro (0 dei centri) di produzione delle anfore "di forma corinzia B", la definizione delle loro origini e dei legami con altre classi greco-occidentali e con le stesse anfore corinzie (29), costituisce una problematica complessa e piena di interrogativi che esula dal tema di questo nostro incontro. OTE * Via dei Marsi 58-00185 Roma. Tutte le foto sono eseguite nella Soprintendenza Archeologica per l'etruria meridionale. 1 - Un'esauriente esemplificazione tipologica delle anfore raccolte in Etruria meridionale e una campionatura rappresentativa proveniente da altre aree (in Italia e non) è stata presentata nella mostra "Le anfore da trasporto e il commercio etrusco arcaico" allestita nel Museo Nazionale di Villa Giulia nel dicembre 1983, in concomitanza con un incontro di studio organizzato nello stesso periodo dal Centro di studio per l'archeologia etrusco-italica dei C..R. (cf Il commercio etrusco arcaico, Atti dell 'incontro di studio, 5-7 dicembre 1983. C.N.R., Roma, 1985). Il catalogo dei materiali esposti nella mostra e di tutte le anfore schedate sul territorio dell'etruria meridionale, con ampio spazio dedicato all'analisi critica delle singoli produzioni, è in corso di preparazione. 2 - Gli scavi delle aree urbane di Tarquinia e di Cerveteri, intrapresi da pochi anni, hanno un'estensione ancora tropppo limitata per poter offrire una documentazione più completa. Altri centri restano tuttora inesplorati. 3 - Questa valutazione cronologica si riferisce alla fabbrica marsigliese molto micacea. Sull'eventuale datazione più alta degli esemplari eseguiti con altri tipi d'impasto, vedi infra. 4 - La diminuzione numerica delle anfore importate e locali che si pub osservare in Etruria meridionale già nella seconda metà dei VI sec. a.c. risulta chiaramente dalle statistiche compilate per le principali necropoli (cf Boitani 1985, 23) e dalle considerazioni sul caso di Gravisca (Slaska 1985, 19). Questa tendenza, ancora più accentuata, viene registrata anche per i contenitori databili nel V e nel IV sec. a.c. ; bisogna precisare tuttavia, che gli studi sono stati concentrati, per ora, intorno alla documentazione dell'epoca arcaica e c\assica, mentre per il periodo ellenistico e romano la raccolta dei dati è appena avviata. 5 - Su un totale di undici anfore importate riferibili ai tipi databili a partire dalla seconda metà dei VI fmo al IV/III sec. a.c., sette esemplari sono marsigliesi, contro tre corinzi B e und dei gruppo "ionico-marsigliese". Le conclusioni tratte dalla statistica, tuttavia, non possono che essere provvisorie : 10 scarso numero delle attestazioni di anfore da trasporto (quindici esemplari importati più tre etruschi) pervenuteci finora dalle necropoli di Tarquinia, non favorisce interpretazioni definitive. Del resto, che le deposizioni di anfore nei sepolcreti tarquiniesi fossero più frequenti di quanto non fosse apparso finora, 10 dimostrano le più recenti indagini in alcuni lembi della necropoli dei Monterozzi. 6 - Sulle poche anfore importate (in tutto cinque esemplari databili nella seconda metà dei VII sec. a.c.) rinvenute nelle tombe di Veio, cf Boitani 1985,23. La scarsità delle attestazioni, non essendo dovuta (almeno per l'orientalizzante recente, piuttosto ben rappresentato) ad un vuoto della documentazione, sembra rispecchiare realmente una presenza poco incisiva delle anfore da trasporto nei corredi veienti. 7 - Senza conoscere la conformazione interna dei labbro (non visibile in un'anfora intera), è difficile precisarne il tipo. Inoltre, l'esemplare non trova confronti puntuali nel vasto repertorio esemplificativo dei tipi 2 e 3 di Py (1978,7-9). 8 - II ricco corredo di questa piccola tomba a camera (sfuggita alle depredazioni grazie al crollo dell'intera volta) è in corso di restauro e deve essere ancora esaminato per una più precisa e articolata definizione cronologica. Tra i materiali si annovera un'altra anfora da trasporto, di tipo corinzio B nella variante di epoca ellenistica. 9 - Le valutazioni cronologiche, basate su un esame preliminare dei materiali non ancora completamente puliti e schedati, dovranno essere ulteriormente approfondite. 10 - Vedi la nota precedente. 11 - Per la determinazione dei colori si usa qui il sistema Munsell (cf Munsell Soil Color Charts, Baltimore 1975). 12 - Il numero degli esemplari è stato determinato in base ai soli orli, esc\udendo da conteggio singoli piedi ed anse : per questi frammenti, infatti, è difficile da stabilire (salvo rari casi) quanti si possano abbinare a determinati labbri e quanti invece rappresentino esemplari a parte. La cifra indicata si riferisce, percib, al numero minimo di anfore individuate (comprese quelle sei, la cui produzione marsigliese resta ancora non dei tutto sicura). 13 - Si notano le differenze di colore (dal crema al rossa) e di consistenza della pasta tra i pezzi ; si pub osservare, a questo proposito, che i labbri di tipo Py 1-2-3 presentano, in generale, l'impasto più friabile di quelli riferibili alle forme più recenti. 14 - Se si tratti 0 meno dell'impasto "feldspatico" di Benoit, dovrà essere ancora appurato dalle analisi. Per ora l'ipotesi in tal sense è confortata non solo dalle cronologie che risultano dalla descrizione fornita dallo studioso, ma anche da un confronto diretto tra il pezzo graviscano ed a1cuni Frarnmenti da Marsiglia mostratimi cortesemente dai colleghi Bertucchi e Gantès (che ringrazio cordialmente per la loro generosa collaborazione). 15 - Si vedano, a questo proposito, le osservazioni di Michel Py suile diverse varianti di impasti impiegate nella produzione delle anfore marsigliesi (Py 1978,23, n. 17) : particolarmente interessante, per una possibile analogia con il gruppetto di Gravisca appena descritto, è un'armotazione su un tipo di argilla poco micacea «<... rose-orangé soutenu, nuancé de jaune-ocre en épaisseur, parsemée d'un mica fin blanc peu abondant et de particules blanches et rouges») che 10 studioso riferisce alla produzione più antica della forma 1. 16 - Si veda, ad esempio, l'anfora dal re1itto Pointe du Dattier (fig. 4, n 2). Un piede frammentario molto simile nel profilo ai nostri esemplari è riprodotto da Dominique Fillières (1978, 153, n 155). Si ha l'impressione (ma non ci sono i dati sufficienti per affermarlo) che la forma dei piede inferiormente concavo, 0 con lieve depressione, sia tipologicamente anteriore a quella con il piano inferiore convesso : se la prima si richiama ai piedi delle anfore "ionico-marsigliesi" e - alla lontana - a quelli di a1cune anfore greco-orientali di epoca arcaica (ad esempio samie), la seconda si perpetua, in forma più pesante, nei tipi marsigliesi dei Vedel IV sec. a.c. 17 - Sulla storia edilizia dei santuario di Gravisca, cf Torelli 1977, 398 sgg. 18 - Come sottolineato dalle studioso (GianFrotta 1984,35, n. 61), l'esatto luogo di rinvenimento potrebbe essere localizzato molto più a nord della stessa Civitavecchia, forse fino (ed oltre) Tarquinia. 19 - Come risulta dai dati presentati nella mostra "Le anfore da trasporto e il commercio etrusco arcaico", di cui alla nota 1. 20 - Con questo termine, che corrisponde a quello francese "ionio-massaliète" (Py 1978, 3 e n. 16), si definiscono tradizionalmente quelle anfore, fabbricate con diversi impasti nei centri di produzione ancora da definire, che sono caratterizzate dalla stessa (grosso modo) forma che contraddistingue anche le anfore massaliote di tipo Bertucchi 1 : il labbro ripiegato (ne è traccia la caratteristica fessura "a goccia" visibile in frattura) a cuscinetto rigonfio in alto e con una modanatura modellata sul margine inferiore ; il collo cilindrico, le anse a nastro a sezione ovale ; il corpo "a trottola" con spalla molto ampia ; il piede cilindrico 0 troncoconico variamente sagomato. Si notano le piccole variazioni morfologiche legate probabilmente aile diverse fabbriche. Tra le tecniche risconttate la più Frequente (almeno per quanto riguarda gli esemplari che ho potuto esaminare in Etruria meridionale) si riferisce ad un'impasto crema 0 crema rosa- - ~.'",,,~,,, J_ t._ "' _ : _,_ ""o-,; ~~.. ',,~ ". ~ ~. '.~~ ""._,,. --.;.,,",,,_, ~ '., _,. ~.,. ' ~. _. _

L'ETRURlE MERIDIONALE 233 to, con numerosi inclusi bianchi grigi e rossi, e con pulviscolo di mica: nell'insieme è una pasta piunosto granulosa e dall'aspetto sabbioso, a grana fine. Ci sono rappresentati nel gruppo "ionicomarsigliese" anche altri tipi d'impasto, mena frequenti,ad esempio quello fonemente depurato, 0 altre qualità delle paste sabbiose. Va detto, che queste considerazioni sulla tecnica restano piuttosto parziali, non essendo fmora possibile un'esame comparato delle argille di tutti i nuclei che fanno parte dei gruppo "ionico-marsigliese". 21 - Per l'etruria meridionale si vedano le relazioni su Pyrgi, Gravisca e Regisvilla, cf Colonna 1985, fig. 14-18 ; Slaska 1978, fig. 96-97 ; Morselli-Tortorici 1985, fig. 9, no 1-4,7. Per la Sicilia e Campania vedi alcuni riferimenti in Colonna 1985, note 22-23. Per alcuni esemplari di Pisa, cf Pancrazi 1982, fig. 2, no 23-24. Per la documentazione pubblicata dagli oppida in Francia meridionale, non sempre appare chiara la distinzione tra le anfore "ionico-marsigliese" e quelle massaliote di tipo Bertucchi 1 ; und degli esempi probabilmente non marsigliesi (?) è un 'anfora intera rinvenuta in una tomba di Como-Lauzo (Taffanel 1960, 2, fig. 2-3). 1primi esemplari a Marsiglia sono stati individuati da Villard (1960, fig. 51, no 3). 22 - Come noto, nell'ambito dei gruppo "ionico-marsigliese" vengono ora c1assificati anche quegli esemplari la cui produzione marsigliese è probabile ma difficilmente verificabile, a causa di un giudizio incerto (proprio per la mancanza dei criteri precisi di distinzione delle fabbriche massaliote non micacee), oppure in questi casi in cui non è possibije una visione autoptica dell'esemplare in questione. 23 - Alcuni dati di scavo da Marsiglia riportati da Fr. Gantès sembrano confermare ulteriormente l'ipotesi della produzione locale delle anfore di pasta feldspatica e di datarle con un leggero anticipo rispetto a queue fortemente micacee. Resta da stabilire, quante anfore dei gruppo "ionico-marsigliese" siano da identificare con la tecnica feldspatica : solo quelle di pasta verdognola, 0 anche di altre qualilà. 24 - Sarebbe interessante da stabilire, infatti, se le piccole differenze morfologiche che si notano tra gli esemplari feldspatici e quelli micacei non si possano attribuire aile distinzioni di fabbrica e ad una eventuale evoluzione cronologica. Penso, ad esempio, al collo (che sembra più slanciato nelle anfore feldspatiche) e al piede (che appare inferiormente convesso solo negli esemplari di pasta micacea). 25 - Vedi nota 15. 26 - Sulla datazione delle anfore "ionico-marsigliesi" nel terzo quarto dei VI sec. a. C., cf Py 1978, 21-23, n. 25. Con questa cronologia si conoscono alcuni esemplari in Sicilia : a Palermo (Tamburello 1969,287, fig. 19b ; 313, fig. 16) e a Camarina (dai corredi databili intomo alla metà dei VI sec. a.c., inediti : devo le informazioni preliminari alla cortesia di P. Pelagatti). Si aggiunge, in Francia, l'anfora di Como-Lauzo di cui alla nota 21. 27 - Su questo gruppo, con i relativi problemi di identificazione, si vedano le osservazioni di Norma Di Sandro (1986, 59-61). L'autrice avanza la proposta di attribuzione della classe a Sinope, in base ad alcuni confronti da Istria che non mi sembrano azzeccati. 28 - La definizione attualmente adotlata rieccheggia, nella sua prima parte, la tradizionale attribuzione dei gruppo all 'area greco-orientale, proposta da Villard (1960, 50) e ormai abbandonata. Il termine "tirreniche" esprime meglio la situazione delle anfore in questione, con la lord diffusione quasi esclusivamente occidentale (e per 10 più tirrenica, appunto). 29 - Particolarmente ardua da capire, a questo proposito, è la posizione delle anfore corinzie di tipo B in relazione alla loro cronologia che, a quanto risulta dalle affermazionj di C. Koehler (1981,452), si fissa a partire dall 'ultimo quarto dei VI sec. a.c. Se questa datazione fosse confermata per tutte le anfore corinzie di tipo B, ne risulterebbe che siano proprio loro ad imitare il gruppo "di forma corinzia B" - come sembra pensare la Koehler (1981, 453) -, e non vice versa. A questo punto si ripropone il problema dei piede "corinzio" di quest'ultimo gruppo (vedi supra) che dovrebbe, in tal caso, aver preso a modello le anfore corinzie più antiche, quelle di tipo A. Una simile soluzione sembra, francamente, molto poco plausibile : su questo punto siamo, per il momento, in un vicolo cieco. 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