Cassazione civile, sez. III, 11 gennaio 2007, n. 395



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Cassazione civile, sez. III, 11 gennaio 2007, n. 395 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDUCCIA Gaetano - Presidente - Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere - Dott. FINOCCHIARO Mario - rel. Consigliere - Dott. FICO Nino - Consigliere - Dott. CALABRESE Donato - Consigliere - ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso n. 5369/03 R.G. proposto da: D.L., elettivamente domiciliato in Roma, viale Mazzini n. 4, presso l'avv. Luciano Militerni, che la difende anche disgiuntamente all'avv. Giordanelli Iolanda, giusta delega in atti; - ricorrente - contro Milano Assicurazioni s.p.a.; - intimata - e sul ricorso n. 8763/03 R.G: proposto da: Milano Assicurazioni s.p.a., in persona del procuratore speciale Dott. C.I., elettivamente domiciliato in Roma, via Leonida Bisoslati n. 76, presso l'avv. Spinelli Giordano Tommaso, che lo difende giusta delega in atti; - controricorrente ricorrente incidentale - contro D.L., elettivamente domiciliato in Roma, viale Mazzini n. 4, presso l'avv. Luciano Militerni, che la difende anche disgiuntamente all'avv. Iolanda Giordanelli, giusta delega in atti; - controricorrente al ricorso incidentale - avverso la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro n. 40/02 del 15 novembre 2001-1 febbraio 2002 (R.G. 670/00). Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 dicembre 2006 dal Relatore Cons. Dott. Mario Finocchiaro; Udito l'avv. Iolanda Giordanelli per la ricorrente principale; l'avv. T. Spinelli Giordano per la ricorrente incidentale. Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sgroi Carmelo, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso principale, con rigetto di quello incidentale. Fatto Con atto 25 settembre 1990 D.L., nella qualità di erede di Q.G. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Cosenza la Compagnia Latina di Assicurazioni, per sentirla dichiarare tenuta al pagamento della indennità per invalidità permanente conseguente alle lesioni subite da Q. G. in seguito all'incidente del 22 marzo 1989 e, per l'effetto, condannare al pagamento, in favore di essa attrice, della somma di L. 800 milioni o di quella maggiore o minore da accertare a mezzo di consulenza tecnica d'ufficio. Ha esposto l'attrice a fondamento della spiegata domanda che il proprio marito Q.G. il 30 dicembre 1984 aveva stipulato un polizza di assicurazioni contro gli infortuni che prevedeva, in caso di invalidità pari o superiore al 20% la liquidazione dell'indennizzo senza deduzione di alcuna franchigia e, in caso di morte o di invalidità non inferiore all'80% la liquidazione di un indennizzo pari all'intera somma assicurata di L. 800 milioni e che il 22 marzo 1989 il Q. era rimasto vittima di un grave incidente stradale a seguito del quale aveva riportato numerose lesioni. Il Q., ha riferito, ancora, l'attrice era deceduto il (OMISSIS) e la Compagnia assicuratrice, nonostante i numerosi solleciti non si era attivata per sottoporre a visita l'assicurato nè aveva promosso la costituzione del collegio peritale previsto dal contratto di assicurazione, opponendo

- a giustificazione del rifiuto di pagare l'indennizzo - eccezioni pretestuose e per lo più basate sull'art. 17 delle condizioni generali del contratto, in tema di inammissibilità agli eredi dell'indennizzo per invalidità permanente, da ritenere vessatoria e inoperante perchè non approvata specificamente per iscritto. Costituitasi in giudizio la Compagnia Latina ha resistito alle avverse pretese eccependo che non si era verificata, da parte sua, alcuna inerzia nel liquidare la indennità, atteso che in realtà era stato il Q. a rifiutare in più occasioni di sottoporsi a visita medica, anche allorchè il medico fiduciario di essa concludente si era inutilmente recato presso la abitazione del Q.. Oltre a varie altre eccezioni, quanto al merito e alla misura dell'invalidità conseguente al sinistro indicato dall'attrice nella misura del 90% ancorchè il sinistro stesso era una caduta sulle scale del tribunale di Cosenza, la convenuta ha fatto presente, da un lato, la carenza di legittimazione attiva dell'attrice, atteso che il diritto alla indennità per invalidità permanente non poteva essere trasmessa, ex contractu, agli eredi, dall'altro, comunque, la nullità del contratto di assicurazione a norma degli artt. 1892 e 1893 c.c. a causa delle dichiarazioni reticenti dell'assicurato che aveva taciuto, quanto all'assicurato Q., una pregressa patologia di neoplasia polmonare. Svoltasi la istruttoria del caso, nel corso della quale prima si costituiva in giudizio la Previdente Assicurazioni s.p.a. deducendo che con atto notarile 30 ottobre 1992 la Compagnia Latina di Assicurazioni aveva ceduto a essa concludente il ramo danni, poi era dichiarato il fallimento della attrice con conseguente interruzione del giudizio poi riassunto, il tribunale, con sentenza non definitiva 16 marzo - 25 marzo 1999 ha dichiarato il diritto dell'attrice alla corresponsione dell'indennizzo, rigettate tutte le eccezioni di rito e, quindi, con sentenza definitiva 12-28 luglio 2000 ha condannata la Previdente Assicurazioni al pagamento in favore di D.L. della somma di L. 280 milioni, oltre interessi dal 5 luglio 1989 al soddisfo. Gravate entrambe le pronunzie in via principale dalla Milano Assicurazioni s.p.a., succeduta a seguito di incorporazione per fusione alla Previdente Assicurazioni, e in via incidentale dalla D., la Corte di appello di Catanzaro con sentenza 15 novembre 2001-1 febbraio 2002, non notificata, ha rigettato entrambi gli appelli. Per la cassazione di tale ultima pronunzia ha proposto ricorso con atto 14 febbraio 2003 la D., affidato a un motivo. Resiste, con controricorso e ricorso incidentale, notificato il 26 marzo 2003, affidato a due motivi e illustrato da memoria, la Milano Assicurazioni s.p.a.. D.L. resiste, con controricorso, al ricorso incidentale di controparte. Diritto 1. I vari ricorsi avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. 2. Assume, in limine, la D. che il ricorso incidentale di controparte "è inammissibile, perchè tardivo essendo stato proposto oltre i termini di rito". 3. La deduzione è manifestamente infondata. Giusta la testuale previsione di cui all'art. 334 c.p.c., comma 1, (da cui totalmente prescinde parte ricorrente) "le parti contro le quali è stata proposta impugnazione... possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza". L'impugnazione incidentale tardiva, proposta dalla stessa parte nei cui confronti è stato proposta la impugnazione principale, inoltre, può investire sia lo stesso capo della sentenza oggetto della impugnazione principale, sia un capo autonomo, rispetto a quello già impugnato (Cass. 31 gennaio 2006, n. 2126; Cass. 19 settembre 2005, n. 19155; Cass. 17 maggio 2005, n. 10291, tra le tantissime). Pacifico quanto precede si osserva che nella specie: - la sentenza ora oggetto di ricorso per Cassazione, non notificata ai fini di cui all'art. 326 c.p.c., è stata depositata il 1 febbraio 2002 e oggetto di ricorso, da parte della D., con atto notificato il 17 febbraio 2003 e, pertanto, nei termini, tenuta presente la sospensione del periodo feriale a norma della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1; - la Milano Assicurazioni s.p.a., a sua volta, ha proposto ricorso incidentale con atto notificato il 26 marzo 2003, e, pertanto, nel rispetto dei termini fissati a pena di decadenza dall'art. 371 c.p.c..

E' palese, pertanto, che la invocata inammissibilità del ricorso incidentale non sussiste, come anticipato. 4. Premesso quanto sopra si osserva che motivi di ordine logico impongono di esaminare con precedenza, rispetto al ricorso principale, relativo al quantum debeatur, quello incidentale, atteso che questo investe lo stesso an debeatur. Con il proprio ricorso la Milano Assicurazioni s.p.a. censura, in particolare, la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto vessatoria la clausola 17 delle condizioni generali di assicurazione di cui alla polizza per cui è controversia assumendo che una tale qualificazione è erronea così che illegittimamente quei giudici hanno applicato la normativa di cui all'art. 1341 c.c., comma 2, secondo cui tali clausole devono essere approvate in modo specifico per iscritto dal contraente assicurato. La censura si articola sua volta, in due motivi: - con il primo, in particolare, si denunzia "violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli articoli 1322, 1905 e 1341 c.c. ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3"; - con il secondo, ancora, parte ricorrente incidentale lamenta "omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5". Esposto che l'art. 17 delle condizioni generali di assicurazione malamente interpretato dai giudici a quibus recita "il diritto all'indennità per invalidità permanente è di carattere personale e quindi non è trasmissibile agli eredi. Tuttavia, se l'assicurato muore per causa indipendente dall'infortunio dopo che la indennità sia stata liquidata o comunque offerta in misura determinata, la società paga agli eredi l'importo liquidato o offerto secondo le norme della successione testamentaria o legittima", parte ricorrente afferma: - la clausola non può considerarsi limitativa della responsabilità dell'assicuratore, perchè volta esclusivamente a individuare l'oggetto del contratto, specie considerato che questa Corte afferma che le clausole di un contratto di assicurazione, come quelle che contemplano la garanzia assicurativa per il danno causato a terzi con esclusione degli stretti congiunti conviventi con l'assicuratore, le quali definiscono e precisano il rischio assicurato non precostituiscono una eliminazione o riduzione della responsabilità dell'assicuratore non sono soggette alla specifica approvazione per iscritto richiesta dall'art. 1341 c.c., comma 2, (primo motivo, prima parte); - nella ipotesi in cui viene pattuita la intrasmissibilità del credito, tale limite non attiene alla responsabilità dell'assicuratore, la quale presuppone l'inadempimento o il non esatto adempimento dell'assicuratore, bensè è relativo alla trasferibilità mortis causa del credito, peraltro, la predetta intrasmissibilità non può in ogni caso andare oltre il momento in cui il diritto dell'assicurato è stato accertato e liquidato (primo motivo, seconda parte); - la clausola in parola, la quale non integra un vietato patto successorio, circoscrive, come già affermato dalla giurisprudenza del S.C. (Cass. 23 aprile 1992, n. 4912) la operatività della polizza con riguardo ai soggetti beneficianti, segnando il momento finale e estintivo della obbligazione assunta dall'assicurato in modo da conferire un carattere personale alla indennità, per cui la morte dell'assicurato, lungi dal comportare l'attribuzione di beni o diritti successori, segna il momento finale e estintivo della obbligazione assunta dall'assicuratore, salva l'eccezione (non ricorrente nel caso di specie) della precedente quantificazione o offerta della indennità, da intendersi come già acquisita al patrimonio dell'assicurato (primo motivo, terza parte); - la Corte di appello non ha motivato la conclusione cui è pervenuta, atteso che si è limitata a richiamare, apoditticamente, la decisione n. 3234 del 1988 della Corte di Cassazione, senza null'altro aggiungere nè argomentare in proposito secondo motivo. 5. Entrambi i motivi del ricorso sono infondati. Alla luce delle considerazioni che seguono. 5.1. Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice da cui, totalmente, e senza alcuna giustificazione totalmente prescinde parte ricorrente, nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, per gli effetti dell'art. 1341 c.c., quelle clausole che limitano le conseguenze della colpa o dell'inadempimento o che escludono il rischio garantito mentre attengono all'oggetto del contratto le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, dunque, specificano il rischio garantito (Cass. 9 marzo 2005, n. 5158; Cass. 4 febbraio 2002, n. 1430, tra

le tantissime). Certo quanto precede è di palmare evidenza che correttamente nel caso di specie i giudici del merito hanno ritenuto la natura vessatoria della clausola sopra trascritta. Questa, infatti, lungi dall'individuare l'"oggetto" del contratto e a precisare e delimitare il "rischio" garantito, tende, in pratica, a escludere lo stesso rischio garantito. Se, giusta la testuale previsione dell'art. 1882 c.c. "l'assicurazione è il contratto con il quale l'assicuratore, verso il pagamento di un premio si obbliga a rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana" è evidente che nella specie "oggetto" del contratto era la "invalidità permanente" che avrebbe potuto riportare (come, poi, in concreto ha riportato) l'assicurato. La previsione contenuta nella clausola per cui è controversia e, cioè la non trasmissibilità del diritto all'indennizzo nella eventualità l'assicurato fosse deceduto, per cause diverse dall'infortunio, prima della concreta liquidazione della indennità stessa non riguarda in alcun modo nè l'"oggetto" del contratto, nè il "rischio garantito" ma introduce una "limitazione" della responsabilità dell'assicuratore. Quest'ultimo, infatti - in forza di tale clausola - ancorchè si sia già verificato l'evento, e si siano, pertanto, realizzate tutte le condizioni volute dalla legge e dal contratto per la "liquidazione" e il concreto "pagamento" dell'indennizzo, può essere esentato da tali adempimenti per il verificarsi di circostanze (morte dell'infortunato per causa indipendente dall'infortunio, e omessa liquidazione dell'indennizzo) che non solo non costituivano in alcun modo l'"oggetto" del contratto di assicurazione (limitato alla tutela dell'assicurato per eventuali infortuni) ma che - almeno in tesi - potevano essere addebitabili anche al mero comportamento dilatorio dello stesso assicuratore che per negligenza o altro, abbia ritardo la liquidazione o la offerta in misura determinata dell'indennizzo stesso. In altri termini, come già affermato in altra occasione da questa Corte regolatrice, con riguardo ad altra controversia nella quale si discuteva - come nella specie - della applicabilità o meno dell'art. 1341 c.c. a una clausola identica a quella ora in contestazione (pure in quella occasione apposta in un contratto di assicurazione contro gli infortuni), la delimitazione contrattuale del rischio (o alea) riguarda il luogo, il tempo, le cose o le parti del corpo umano, contemplati nella comune volontà negoziale, quali elementi determinanti dell'esistenza e del contenuto del danno. Ciò spiega l'imperatività dell'art. 1905 c.c., comma 2: "l'assicuratore è tenuto a risarcire, nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, il danno sofferto dall'assicurato in conseguenza del sinistro": imperatività che indica, in modo eufemistico, il danno-oggetto del contratto nei modi e nei limiti della sua essenza materiale patita dall'assicurato". Di modo che ogni altra previsione contrattuale che limiti, riduca o escluda la responsabilità dell'assicuratore per fatti estranei al "danno" come sopra inteso, non attiene alla sfera della limitazione del rischio ma quella diversa dei limiti all'obbligo di risarcimento del danno già sorto e definito nella sua entità di fatto e di diritto (in termini, Cass. 29 aprile 1988, n. 3234, specie in motivazione). Come già affermato nella sentenza da ultimo richiamata, è evidente che "la clausola" limitativa della responsabilità patrimoniale dell'assicuratore per un fatto estraneo, (al danno) all'oggetto del contratto ed inserito nelle condizioni generali di polizza (assicurativa) - cioè la morte per fatto non dipendente dall'infortunio dell'assicurato prima della liquidazione dell'indennizzo - altera il normale equilibrio contrattuale a vantaggio dell'assicuratore anche se visto nella sola convenienza di sottrarsi all'immediata esecuzione della prestazione in attesa fiduciosa del verificarsi dell'evento causativo dell'estinzione della sua obbligazione giuridica. Sicchè tale "clausola", onerosa nel senso che, modificando la comune disciplina contrattuale, avvantaggia la condizione del predisponente in danno della parte assicurata e dei suoi eredi, non può sottrarsi all'imperativo dell'art. 1341 c.c., comma 2 che ne subordina l'efficacia all'approvazione specifica per iscritto (in termini, la già citata Cass. 29 aprile 1988, n. 3234). 5.2. Nessun elemento argomentativo può trarsi, a favore della tesi invocata dalla ricorrente, ancora, dall'insegnamento contenuto in Cass. 23 aprile 1992, n. 4912. In quell'occasione, infatti, questa Corte, si è limitata a affermare che la clausola in questione non integra un vietato patto successorio perchè "con la clausola in esame viene circoscritta l'operatività della polizza con riguardo ai soggetti beneficiari e viene fissato, a tal fine, il

carattere personale della predetta indennità, per cui la morte dell'assicurato lungi dal comportare l'attribuzione di beni o diritti successori, segna il momento finale ed estintivo dell'obbligazione assunta dall'assicuratore", senza prendere posizione sulla natura di clausola. Come risulta dalla lettura della parte motiva della ricordata pronunzia, infatti, nella specie la Corte ha, testualmente affermato: "i resistenti... hanno prospettato, sotto altro profilo, la inefficacia della discussa clausola contrattuale sul rilievo che, essendo la stessa limitativa della responsabilità dell'assicuratore, avrebbe dovuto essere approvata per iscritto a norma dell'art. 1341 c.c.". "Siffatta deduzione - peraltro, ha evidenziato Cass. 23 aprile 1992, n. 4912, cit. - integra però una questione nuova, perchè non dedotta e non discussa nei giudizi di merito, e quindi inammissibile in questa sede di legittimità. Tanto più ove si consideri che la valutazione circa la natura vessatoria della clausola implica apprezzamenti di fatto in ordine all'effettiva portata del contratto, valutato nel suo complesso e, anzitutto, la verifica della mancanza di una specifica approvazione". 5.3. Manifestamente infondato, infine, si palesa il secondo motivo di ricorso. Deve ritenersi, infatti, adeguatamente motivata e, per l'effetto, non censurabile sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, la sentenza del giudice del merito che rigetti una tesi giuridica prospettata dalla parte ritenendola erronea in applicazione di un principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, trascrivendo il principio stesso e gli estremi della sentenza invocata. Ciò specie nella eventualità, come nella specie, in cui questa Corte ha avuto occasione di esaminare una questione identica a quella all'attenzione del giudice di merito e quest'ultimo ritenga di adeguarsi al richiamato precedente (Sempre nello stesso senso cfr., altresì, Cass. 13 maggio 1983, n. 3275). 6. Con l'unico motivo del proprio ricorso la ricorrente principale, a sua volta, censura la sentenza gravata nella parte in cui questa ha rigettato il proprio appello incidentale, volto a ottenere il pagamento della rivalutazione monetaria sulla somma già liquidata, sul rilievo che la prestazione dell'assicuratore, quale obbligazione pecuniaria, avente per oggetto il pagamento del capitale assicurato, ex art. 1882 c.c., seconda proposizione costituisce debito di valuta. Denunzia, in particolare, detta ricorrente "art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa interpretazione dell'art. 1882 c.c., alla luce degli artt. 1277 e 1223 c.c.". 7. Sulla questione specifica ora dibattuta non esiste, allo stato, nell'ambito della giurisprudenza di questa Corte regolatrice, un indirizzo costante. Giusta un primo orientamento, decisamente minoritario, si afferma come invoca anche la società odierna ricorrente incidentale che con riguardo ad un contratto di assicurazione contro gli infortuni - nel quale viene assicurato un determinato capitale a fronte della morte, dell'inabilità permanente o di quella temporanea - la prestazione dell'assicuratore costituisce un debito di valuta e, pertanto, può essere rivalutato soltanto se il creditore dimostri di aver subito un danno maggiore di quello compensato con gli interessi legali, secondo quanto stabilito dall'art. 1224 c.c. (in termini, ad esempio, Cass. 2 dicembre 2000, n. 15407; Cass. 10 novembre 1994, n. 9388). Diversamente, secondo altro indirizzo giurisprudenziale, decisamente prevalente, di questa Corte l'obbligazione assunta dall'assicuratore contro i danni è un debito di valore (Cass. 14 dicembre 2002, n. 17950; Cass. 30 marzo 2001, n. 4753. Sempre nel senso che in caso di assicurazione contro i danni, il credito indennitario, in origine di valore, si trasforma in credito di valuta solo per effetto e a far data dalla liquidazione compiuta ad opera degli arbitri, per cui l'importo dell'indennizzo cosi determinato rimane soggetto al principio nominalistico ed al regime di cui all'art. 1224 c.c., Cass. 10 agosto 2004, n. 15425; Cass. 19 febbraio 2004, n. 3321). Ritiene questa Corte che tra i due - contrapposti - indirizzi meriti consenso quello sopra definitivo maggioritario e debba, pertanto, ulteriormente, ribadirsi che in tema di assicurazione contro i danni, nel cui ambito deve essere ricondotta l'assicurazione contro gli infortuni, il debito di indennizzo dell'assicuratore, ancorchè venga convenzionalmente contenuto, nella sua espressione monetaria, nei limiti di un massimale, configura debito di valore, non di valuta, in quanto assolve una funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell'assicurato, e, pertanto, è suscettibile di automatico adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione della moneta (Cass. 23 marzo 1995, n. 3388; Cass. 12 novembre 1994, n. 9549; Cass. 5 gennaio 1991, n. 44; Cass. 26 gennaio 1988, n. 661; Cass. 4 giugno 1987 n. 4883; Cass. 3 maggio 1986,

n. 3017; Cass. 25 ottobre 1984 n. 5437; Cass. 29 novembre 1981 n. 6376, tra le altre, oltre quelle richiamate sopra). Tale conclusione, in particolare, ha il conforto del costante riferimento al risarcimento del danno ed al valore della cosa assicurata in tutte le disposizioni normative che regolano la materia, ed in particolare negli artt. 1905 e 1908 c.c.. Tale debito assolve la funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell'assicurato ed è pertanto suscettibile di automatico adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione monetaria. La previsione di un massimale come limite della responsabilità dell'assicuratore è inidonea a trasformare l'obbligazione di risarcimento del danno in quella di pagamento di una somma determinata. Non essendosi i giudici del merito attenuti al richiamato principio di diritto è evidente che la sentenza impugnata, nella parte de qua, deve essere cassata e la causa va rimessa, per nuovo esame, ad altra sezione della stessa Corte di appello di Catanzaro perchè si uniformi al seguente principio di diritto: "in tema di assicurazione contro i danni, nel cui ambito deve essere ricondotta l'assicurazione contro gli infortuni, il debito di indennizzo dell'assicuratore, ancorchè venga convenzionalmente contenuto, nella sua espressione monetaria, nei limiti di un massimale, configura debito di valore, non di valuta, in quanto assolve una funzione reintegrativa della perdita subita dal patrimonio dell'assicurato, e, pertanto, è suscettibile di automatico adeguamento alla stregua della sopravvenuta svalutazione della moneta". Il giudice del rinvio provvedere, altresì, sulle spese di questo giudizio di legittimità. P.Q.M. LA CORTE riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale; rigetta quello incidentale; cassa in relazione al ricorso accolto la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di Cassazione, ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 6 dicembre 2006. Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2007