CRONACA DI UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA

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Transcript:

CRONACA DI UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA L embrione di idea di costruire una diga nella valle del Vajont risale addirittura al 1928. Porta, infatti, questa data la prima relazione del geologo Giorgio Dal Piaz per l individuazione della zona dove costruire un bacino artificiale, attraverso l edificazione di una diga. La stessa sarà progettata dall'ingegner Carlo Semenza, per conto della SADE, la Società Adriatica di Elettricità di proprietà di Giuseppe Volpi che per meriti acquisiti durante il regime fascista - diventerà conte di Misurata. Scopo dell opera la produzione di energia elettricità utile alla comunità nazionale. E però solo il 22 giugno 1940 il conte Volpi di Misurata è diventato intanto presidente della Confederazione fascista degli industriali - che la SADE chiede al ministero dei Lavori Pubblici di utilizzare i deflussi del Piave, degli affluenti Boite, Vaiont e altri minori per scopi idroelettrici. La richiesta prevede, fra l'altro, l'utilizzazione dei deflussi regolati da un serbatoio della capacità di 50 milioni di metri cubi, creato mediante la costruzione, nel Vajont, di una diga alta 200 metri sottendente un bacino imbrifero di 52 chilometri quadrati. Il 15 ottobre 1943, nelle giornate calde del dopo 8 settembre, nel caos politico e amministrativo che l Italia ancora in guerra sta vivendo, la SADE - grazie alle sue profonde entrature - ottiene l approvazione del progetto del Vajont da parte della quarta sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Al voto partecipano solo 13 dei 34 componenti il Consiglio, senza che vi fosse il numero legale richiesto per legge. Il progetto della diga del Vajont nasce, quindi, sulla base di una decisione illegale. A sanare ma anche ad avallare - questo primo abuso, il 21 marzo 1948 interviene un decreto del Presidente della repubblica Luigi Einaudi. Tra il 1948 e il 1955 la SADE morto Volpi di Misurata alla presidenza è ora il conte Cini - procede all esproprio dei terreni che sorgono nell area dei comuni di Erto e Casso, amministrativamente appartenenti alla provincia di Udine, ma gravitanti geograficamente a ridosso di quella di Belluno. La SADE arriva in forze a Etro nel 1956. Ha ormai le carte in regola per iniziare a costruire la diga. Nell aprile del 1957 la SADE presenta al ministero un nuovo progetto per l innalzamento della diga da 200 a 266 metri ed il conseguente innalzamento del lago artificiale fino a quota 722,50 (45,50 metri in più di profondità del bacino) che conterrà così il triplo d acqua rispetto ai calcoli iniziali di 58 milioni di metri cubi. La diga del Vajont è destinata a diventare la diga ad arco più grande del mondo. La relazione tecnica che accompagna questa richiesta ha però un difetto: è la stessa presentata assieme al primo progetto e quindi non tiene conto delle eventuali

conseguenze di carattere geologico che le modifiche apportate potrebbero avere sul monte TOC, una montagna, per sua natura, franosa. La nuova autorizzazione del ministero alla variante del progetto arriva il 15 giugno 1957. Essa contiene però una raccomandazione, viene prospettata alla SADE la necessità di completare le indagini geologiche nei riguardi della sicurezza degli abitati e delle opere pubbliche che venissero a trovarsi in prossimità del massimo invaso. Il comune di Etro si trova infatti appena 54 metri sopra la quota dell invaso previsto dal nuovo progetto. Il ministero non sa che la SADE ha già cominciato da diversi mesi senza autorizzazione a costruire la diga. Intanto il completamento delle indagini geologiche comincia a sollevare qualche dubbio anche nel progettista dell opera, l ing. Carlo Semenza. A preoccuparlo è soprattutto la relazione stilata dal quotatissimo geologo austriaco Leopold Muller, secondo il quale, sotto il monte Toc esiste roccia sfasciata. Come dire che la montagna non è stabile, ma franosa. Il 1 aprile 1958 il ministro dei Lavori Pubblici, Togni, nomina la commissione di collaudo incaricata di sorvegliare l avanzamento dei lavori e la tenuta del bacino del Vajont. Ne fanno parte tre funzionari (Pietro Frosini, Francesco Penta e Luigi Greco) che avevano già approvato la variante del 57 priva di relazione. Uno di loro, Penta, è anche consulente privato della SADE. Il 22 marzo 1959 (domenica di Pasqua) un pezzo di montagna si stacca dalle pendici che sovrastano il lago artificiale di Pontesei, nel comune di Fondo di Zoldo, a cinque chilometri in linea d aria dalla valle del Vajont. Resta sepolto dai detriti e il suo corpo non verrà mai ritrovato l operaio Arcangelo Tiziani, 55 anni, guardiano del bacino. Pontesei è un bacino delimitato da una diga costruita proprio dalla SADE. Il 19 luglio 1959 la commissione di collaudo del ministero dei Lavori Pubblici, presieduta da Pietro Frosini, ispeziona il cantiere del Vajont per la costruzione della diga. La commissione relatore Francesco Sensidoni, ingegnere capo del Servizio Dighe del ministero dà il suo nulla osta. Carlo Semenza, progettista della diga, continua ad avere qualche dubbio sulla tenuta della montagna su cui la diga si appoggia e che sovrasta il bacino del Vajont. Per questo, dopo quella affidata nel 1957 a Muller, affida un nuovo studio sulla composizione del monte Toc al geosismico Pietro Caloi. Le conclusioni di Caloi contrastano con quelle di Muller. Per il geosismico italiano il basamento della montagna è costituito da un potente supporto roccioso autoctono. La frana afferma Caloi esiste, ma è superficiale e di modesta entità: fra i 10 e i 20 metri di superficie.

A questo punto è lo stesso Muller a volerci vedere chiaro. Per un riscontro scientifico affida una serie di indagini a due giovani geologi, Franco Giudici e Edoardo Semenza, quest ultimo figlio di Carlo. Le loro conclusioni sono un colpo durissimo per la SADE. In sostanza affermano sotto il monte Toc esiste un enorme massa in movimento dalla quale si possono staccare frane a ripetizione, soprattutto riempiendo e svuotando il bacino del Vajont. Questa relazione non verrà mai inviata dalla SADE agli organi di controllo. Ma neppure questo serve ad arrestare i lavori della diga. Il 22 ottobre 1959 la commissione di collaudo compie la sua seconda visita alla diga. Il 28 ottobre 1959 la SADE inoltra una richiesta di parziale invaso a quota 600 m. sl.m., cioè chiede l autorizzazione a provare il riempimento del bacino del Vajont. I tempi devono essere accelerati, anche perché l opera deve essere terminata entro il 1960, pena la perdita dei contributi statali. Il 2 dicembre 1959 crolla la diga del Frejus, in Francia, travolgendo centinaia di persone. Il 2 febbraio 1960, anche senza autorizzazione, la SADE prova l invaso, riempendo d acqua la vallata. Il 6 febbraio 1960 arriva a posteriori l autorizzazione alla prima prova d invaso, ma a cinque metri di quota sotto la richiesta della SADE. Il 10 maggio 1960 la SADE inoltra la richiesta per la seconda prova d invaso, questa volta a quota 660. L autorizzazione arriva l 11 giugno 1960. Mentre l acqua riempie il bacino delimitato dalla diga, terriccio e sassi continuano a franare dal monte Toc. Il 15 ottobre 1960 l invaso raggiunge quota 636,40. Il 4 novembre 1960, alle 12.30, una grande frana si stacca dal Toc e pioba nel lago. E un intero appezzamento di bosco e prato che interessa un fronte di 300 metri. Solleva una grande ondata, ma per fortuna non provoca vittime. E solo l avvisaglia di quanto accadrà neppure tre anni dopo. Contemporaneamente alla frana compare sulla montagna una fessura lunga 2.500 metri a forma di M: è il profilo della frana del 9 ottobre 1963. Intanto i tecnici della SADE sono in allarme. Alberico Biadene, direttore del servizio costruzioni idrauliche della SADE, ordina lo svasamento del lago artificiale, cioè ordina di togliere l acqua. Biadene che sarà penalmente ritenuto il maggior responsabile della tragedia del Vajont ritiene che se l acqua degli invasi è entrata nella roccia, il complesso è anelastico. Secondo Muller, infatti, l influenza di precipitazione della frana sarà tanto più grande, quanto più alto sarà il livello del lago. Ma lo stesso Muller è guardingo su uno svasamento rapido del bacino del Vajont, perché un abbassamento del livello del lago aumenta immediatamente le spinte idrostatiche La decisione che i responsabili della SADE prendono è quella di sospendere momentaneamente gli invasi e costruire nel frattempo una galleria di sorpasso. In

altre parole, se la montagna dovesse precipitare nel bacino, formando due laghi, il by-pass potrà permetterne il collegamento quando l impianto dovrà essere utilizzato. Il 28 novembre 1960 la commissione di collaudo compie la terza visita al Vajont. Ma questa volta a tranquillizzare la SADE è proprio uno dei commissari, Francesco Penta, già consulente della società, che in una relazione scrive testualmente: il movimento franoso potrebbe essere limitato al massimo ad una coltre dello spessore di 10-20 metri, con velocità molto basse, e comunque non coinvolgerebbe masse di materiali tali da decidere non solo della vita del serbatoio, ma anche di pericolo di sollecitazioni anormali sulla diga. Nei fatti la commissione approva la decisione della SADE di sospendere gli invasi e costruire il by-pass. L inverno 1960-61 passa senza novità. Il gelo sembra aver fermato la montagna che cade. Intanto la SADE fa ricorso all Istituto di Idraulica dell Università di Padova e ai suggerimenti del suo titolare, il prof. Augusto Ghetti. Si decide di realizzare, presso il centro modelli idraulici di Nove di Vittorio Veneto, proprietà della SADE, alcune prove su un modello della diga del Vajont per studiare e valutare la dinamica di caduta della frana e le sue conseguenze. Il 3 febbraio 1961 il geologo Muller, in un ennesima relazione per la SADE sostiene che non possono esistere dubbi su questa profonda giacitura del piano di slittamento... Il volume della massa di frana deve quindi essere considerato di circa 200 milioni di metri cubi" e conclude sostenendo che la sola misura di sicurezza possibile è l'abbandono del progetto. Ma la sua relazione non sarà mai inviata agli organi di controllo. Il 10 aprile 1961 la commissione di collaudo arriva per la quarta volta nel Vajont. Al termine del sopralluogo due membri della commissione, Penta e Sensidoni, scrivono nel loro rapporto: sembra che fino ad ora non sia stato accertato alcun elemnto di fatto in merito ad un fenomeno di massa che possa interessare il sottosuolo dell area tenuta in osservazione. E aggiungono: nelle condizioni attuali e sempre che il livello del lago si mantenga intorno alle quote attuali, non sussistono immediati pericoli; né d altra parte si manifestano segni che facciano temere un eventuale serio aggravamento della situazione generale in seguito ad un rialzamento del livello del lago, limitato, però, soltanto allo scopo di mantenere permanentemente sott acqua il materiale già franato dalla sponda sinistra. Tra agosto e settembre 1961 vengono collocati quattro tubi d'acciaio (piezometri) sulla sponda sinistra del monte Toc. I tubi, che raggiungono anche la profondità di 221 metri, servono a controllare se il franamento in atto sia profondo o superficiale: se i tubi si spezzano, vuol dire che la frana è superficiale; se invece restano intatti, significa che il piano di scorrimento della frana è più profondo,

perciò non li interseca, ma li trascina con sé senza spezzarli. Solo un tubo si spezza subito, gli altri tre rimarranno intatti fino al giorno del disastro. Il 5 ottobre 1961 Carlo Semenza chiede al ministero di poter riprendere l invaso da quota 600 a 680, 20 metri sopra il primo invaso che aveva provocato la frana del 4 novembre 1960. Il 17 ottobre 1961 la commissione di collaudo torna sul Vajont. Dopo la visita il commissario Penta riferisce al ministero che il movimento della frana è attualmente in fase di riposo, per cui, essendo stato ultimato il by-pass si ritiene opportuno riprendere il riempimento del lago con gradualità, tenendo costantemente sotto controllo la situazione. Il 23 dicembre 1961 arriva l autorizzazione ministeriale all invaso che la limita, però, a quota 655. Il 31 dicembre 1961 Carlo Semenza muore. Il 13 gennaio 1962, ultimato l invaso a quota 655, la SADE rinnova la richiesta di autorizzazione a quota 680. Febbraio 1962: non soltanto sotto il Toc, ma anche nel comune di Erto vengono registrate molte scosse telluriche. Nel rapporto quindicinale che l assistente del Governo manda al ministero si dice che dal 15 al 28 febbraio di scosse ne sono state registrate ben cinque. Prima di essere inviati al Genio Civile per l inoltro al ministero, i rapporti vengono inviati alla SADE. Il direttore del servizio costruzioni idrauliche della SADE, Alberico Biadene, in ben due occasioni le cancella dal rapporto. Il 20 aprile 1962 muore Giorgio Dal Piaz. Il 27 aprile 1962, a seguito dei continui boati e delle scosse, il comune di Erto scrive al genio Civile di Udine e di Belluno, alla Prefettura, alla SADE. Nuova segnalazione del comune il 29 aprile. Nuove scosse e boati il 30 aprile, l 1, 2 e 3 maggio. Il 3 maggio 1962 la SADE chiede al ministero di portare l invaso a quota 700. Il Genio Civile di Udine si degna di rispondere solo l 8 giugno: le manifestazioni attuali sono da attribuirsi ad una spinta verso l esterno connessa con l orogenesi della vallata e della regione circostante. Si fa presente inoltre che nessuna manifestazione esterna è stata rilevata durante i quotidiani controlli topografici

che vengono eseguiti in loco dal personale della SADE. Intanto l invaso è giunto a quota 689. Estate 1962: le prove sul modellino di diga terminano. Il 3 luglio 1962: Ghetti consegna alla SADE una relazione in cui si dice, tra l altro, che la caduta di una frana di 200 milioni di metri cubi avrebbe potuto provocare conseguenze dannose accentuantesi gradatamente fino a divenire manifestamente impressionanti al massimo invaso (722,5 metri) anche per la sola zona a valle della diga. La SADE non autorizza Ghetti ad ulteriori accertamenti e chiude la sua relazione in un cassetto, senza mai inviarla al ministero. L 8 giugno 1962 il ministero autorizza la SADE a portare l invaso a quota 700. il 2 dicembre 1962 comincia lo svaso che porterà l'acqua a 647,5 m. Il 12 dicembre 1962 la Gazzetta Ufficiale pubblica la legge che istituisce l ENEL (Ente nazionale per l energia elettrica). E l atto definitivo che nazionalizza l energia elettrica in Italia. Per la SADE questo significa che tutte le sue attività devono essere vendute allo Stato. Un impianto, come quello del Vajont, vale di più se è funzionante. E per questo che le procedure vengono accelerate. Il trasferimento dalla SADE all ENEL avverrà il 14 marzo 1963. Il 14 marzo 1963 la SADE non è più padrona dell impianto del Vajont. I beni della ex SADE, compresa la diga, passano sotto l ENEL ed il curatore dell impianto del Vajont è il prof. Feliciano Benvenuti, docente all università cattolica di Milano, legato agli industriali veneti il cui presidente è Valeri Manera, consigliere della SADE. L ENEL decide di mantenere per il Vajont la stessa struttura tecnico-organizzativa del personale precedente. Tutti gli uomini della SADE, ora, operano per conto dell ENEL. Nulla è cambiato. Il 20 marzo 1963 l'enel-sade chiede al ministero un ulteriore invaso per passare da 700 a 715 metri di quota, addirittura 15 metri sopra al livello di sicurezza suggerito da Ghetti. La SADE non è arrivata alla nazionalizzazione con il manufatto finito, ma vuole finirlo almeno per il momento in cui verranno fatti conti per la cessione. Il 30 marzo 1963 arriva l autorizzazione ministeriale ed il 10 aprile comincia il terzo ed ultimo invaso. Il Toc continua a far sentire i suoi tremendi boati. Il 22 luglio 1963 il sindaco del comune di Erto manda un telegramma urgente alla Prefettura di Udine, chiedendo provvedimenti urgenti e segnalando inspiegabili

acque torbide del lago, continui boati et tremiti terreno comunale. Il telegramma viene spedito anche all ENEL: nessuna risposta. Il 27 luglio 1963 l acqua del bacino raggiunge quota 705,5. In agosto si decide di accelerare ulteriormente l invaso di 40 centimetri ogni due giorni fino a raggiungere quota 710. Il 2 settembre 1963 una fortissima scossa viene avvertita nei comuni di Erto e Casso. Lo stesso giorno gli amministratori di Erto, sempre più allarmati, scrivono una lettera durissima all ENEL di Venezia, al Genio Civile ed alla Prefettura di udine, al ministero dei Lavori Pubblici a Roma. Il 12 settembre 1963 l ing. Alberico Biadene che anche con l ENEL è rimasto al suo posto di direttore del servizio costruzioni idrauliche degli impianti ex SADE risponde alla lettera in maniera assolutamente tranquillizzante. Il 14 settembre 1963 una nuova fessura si apre lungo la parete del monte Toc. Il giorno dopo lo slittamento del terreno è misurato in 22 centimetri. Il 22 settembre 1963 l ing. Biadene decide di far scendere l acqua del bacino di qualche centimetro. Si sa con certezza che Biadene, Pancini, tecnici dell ENEL, Caloi e altri consulenti della ex SADE si sono riuniti nei giorni precedenti, allarmati dal complicarsi del fenomeno franoso. Ma nessuna decisione è stata presa. Subito dopo Pancini, che è il direttore del cantiere del Vajont, parte per le ferie. Il 2 ottobre 1963 Biadene parte alla volta di Roma per chiedere all ENEL la visita del geologo del ministero, Penta, che fa parte della commissione di collaudo. Ma quest ultimo non è disponibile. Sul Vajont non si vede nessuno. L allarme ormai si va diffondendo nell impotenza generale. Il 7 ottobre 1963 il prefetto di Udine riceve una lettera dal ingegnere capo del Genio Civile, Pellegrineschi, nella quale si afferma che l attività sismica degli ultimi mesi rientra nella microsismicità delle zone montuose. Pellegrineschi allega alla lettera alcuni passi della relazione geologica di Del Piaz che risale al 1937 (!!!). Il dramma è cominciato: i carabinieri di Sacile inviano allarmati marconigramma alla Prefettura, alla Questura, ai carabinieri di Udine e Pordenone. La frana si muove ormai a vista d occhio. L 8 ottobre 1963 i controlli registrano un movimento franoso dai 57 ai 63 centimetri. Biadene telefona alla sede di Venezia della ENEL-SADE perché si invii un telegramma urgente al sindaco di Erto e Casso affinché emetta un immediata ordinanza di sgombero della zona del monte Toc. La speranza che i

dirigenti dell ex SADE sono ormai convinti che dal monte Toc si staccherà una frana che precipiterà nel lago artificiale, ma continuano a sperare che precipiterà un po alla volta e che in ogni caso non procurerà un onda alta più di una ventina di metri, impedendo così all acqua di uscire dalla diga. Anche a Roma, al ministero, c è fermento. Una riunione alla quale dovranno partecipare alcuni dirigenti - viene fissata al Vajont per l 11 ottobre. Troppo tardi! Biadene decide di richiamare Pancini dalle ferie. 10 ottobre 1963, ore 22.39: un lampo accecante, un pauroso boato. Il Toc frana nel lago sollevando una paurosa ondata d acqua. Questa si alza, terribile, centinaia di metri sopra la diga, tracima, piomba di schianto sull abitato di Longarone, spazzandolo via dalla faccia della terra. A monte della diga un altra onda impazzisce violenta da un lato all altro della valle, risucchiando dentro il lago i villaggi di San Martino e Spesse. La storia del grande Vajont, durata vent anni, si conclude in tre minuti di apocalisse, con l olocausto di duemila vittime. Fonti: L Unità, 9 ottobre 2001 Tina Merlin Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont Cierre Edizioni 2000