CRISI DI SISTEMA E MICROCREDITO



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C E N S I S CRISI DI SISTEMA E MICROCREDITO IN ITALIA Profili demografici a rischio e funzione di sostegno della microfinanza Roma, luglio 2012

Indice Premessa 1 1. Ripartire dalla microfinanza per combattere la crisi 3 1.1. Un quadro destrutturato con molti spiragli aperti 3 1.2. Microcredito per un welfare delle responsabilità condivise 5 2. Profili demografici a rischio: una ricognizione sistematica sugli effetti della crisi economica 9 2.1. La crisi finanziaria e gli effetti sulle imprese 9 2.1.1. La riduzione della base produttiva 10 2.1.2. Le difficoltà ad investire 15 2.1.3. Credit crunch e restringimento dei canali finanziari 18 2.2. La crisi finanziaria e gli effetti sulle famiglie 22 2.2.1. Poche opportunità lavorative, specialmente per i giovani 23 2.2.2. Il calo del potere d acquisto e della propensione al risparmio 26 2.3. I fenomeni di disagio sociale: povertà e deprivazione 27 2.3.1. Gli indicatori di povertà e gli squilibri territoriali 29 2.3.2. Popolazione a rischio di esclusione sociale: un confronto tra l Italia e l UE 37

Premessa Il presente Report si pone l obiettivo di identificare alcuni segmenti del sistema sociale verso i quali il microcredito può svolgere una funzione di supporto e di sviluppo. La crisi economica che il Paese registra da lungo tempo sembra avere accentuato alcune situazioni di disagio e di difficoltà, che restano pur sempre minoritarie, ma che tuttavia non possono e non devono essere sottovalutate. La crescita accentuata, negli ultimi tre anni, del numero di fallimenti di aziende, il restringimento della struttura produttiva a partire dalla crisi del 2008, la marcata accelerazione della disoccupazione, specie quella giovanile, negli ultimi mesi, il calo molto accentuato, nell ultimo anno, della domanda di mutui immobiliari, la crescita progressiva delle sofferenze legate ai prestiti bancari, il calo della propensione al risparmio e la presenza di un numero consistente di famiglie (il 18%) a basso reddito e con difficoltà economiche, configurano uno scenario piuttosto complesso. Occorre certamente ribadire che il Paese mantiene fondamentali solidi con un sistema produttivo dotato di elevata capacità competitiva e con una ricchezza netta nelle mani delle famiglie che è pari, come è noto, a circa sette volte il Pil. Ciò non di meno, è evidente che la lunga recessione in cui versa il Paese richiede strumenti e politiche ad hoc, in grado di intervenire sui segmenti del sociale in difficoltà ed a rischio di marginalizzazione. Incentivando e sostenendo l autoimpiego e lo start-up di microimprese - secondo logiche di mercato, il microcredito rappresenta un opportunità per molti, trasformando i fruitori di un welfare assistenziale (attraverso misure di sostegno al reddito, liberalità, incentivi a fondo perduto), in contribuenti attivi, spinti a far crescere la propria attività d impresa, rispettando gli obblighi di restituzione del debito. Il microcredito può intervenire su una vasta platea di soggetti impossibilitati ad accedere ai tradizionali canali di finanziamento bancario, avendo quindi come bacino potenziale oltre 4 milioni di famiglie, ovvero quelle oggi definite a rischio di povertà. E bene, infine, ribadire che questo Report non contiene un analisi di impatto della microfinanza a partire dalle iniziative messe in campo negli ultimi anni, né tanto meno uno studio sulle condizioni di povertà nel Paese. Viceversa, partendo dall individuazione di alcuni fenomeni di rischio di indebolimento che possono riguardare sia le imprese che le famiglie, ci si pone l obiettivo di avviare una riflessione sugli strumenti che possono essere messi in campo per sostenere il Paese in questa complicata fase di passaggio. Questo documento si articola in due capitoli. Il primo riassume i cambiamenti in atto nel tessuto produttivo e nella struttura delle famiglie 1

italiane, con particolare riguardo ai fenomeni di crisi. Si passa poi ad alcune considerazioni sul ruolo che la microfinanza può esercitare come strumento di sostegno di alcuni segmenti deboli che attualmente caratterizzano la società italiana. Il secondo capitolo contiene una ricognizione approfondita di alcuni fenomeni di crisi oggi presenti nel Paese, analizzando, in particolare, alcune debolezze che caratterizzano il sistema delle imprese ed alcune situazioni di rischio povertà che contraddistinguono una parte delle famiglie. 2

1. RIPARTIRE DALLA MICROFINANZA PER COMBATTERE LA CRISI 1.1. Un quadro destrutturato con molti spiragli aperti La crisi economica non accenna ad attenuarsi, nonostante alcuni interventi strutturali approntati negli ultimi otto mesi. Il Paese mantiene ancora fondamentali solidi, con un elevato livello di risparmio delle famiglie ed un tessuto d impresa in gran parte dotato di una consistente carica competitiva, ma è innegabile che le molte energie manifestate in passato mostrano, ormai, gravi segnali di logoramento. Da troppi mesi i consumi privati non crescono, così come è diventato più evidente e diffuso il fenomeno di erosione del risparmio di molte famiglie per fare fronte a spese essenziali. Non da ultimo, il calo della produzione industriale, così come in tutti gli altri settori, è stato pressoché costante nell ultimo anno e mezzo, delineando uno scenario di forte destabilizzazione sia sul fronte delle famiglie che su quello delle imprese. Preservare e sostenere il sistema d impresa diventa, pertanto, una priorità tenendo conto che il tessuto produttivo e le micro-imprese, in particolare, si muovono su un terreno molto accidentato. Il numero di fallimenti registrati negli ultimi tre anni è aumentato vertiginosamente: si tratta nel complesso di 33.000 procedure avviate tra il 2009 e la fine del 2011. E sufficiente pensare che solo nel 2007 il numero di fallimenti si attestava sui 6.000 casi, mentre negli ultimi tre anni non si è scesi mai sotto i 10.000 casi l anno. Si tratta quasi sempre di imprese travolte dal restringimento dei canali di finanziamento e di credito, impossibilitate a fare fronte ai propri impegni, talvolta anche con una elevata carica innovativa, ma prive di mezzi liquidi per poter fronteggiare spese ordinarie ed investimenti. Che il sistema produttivo fatichi a ritrovare lo slancio che per lunghi anni lo ha caratterizzato è provato dall accentuarsi del fenomeno di mortalità dell impresa, non più ampiamente compensato da elevati livelli di natalità come accadeva negli anni passati. La capacità di alcuni territori, soprattutto del Centro e del Nord del Paese, di generare micro-imprenditorialità sembra in una fase di esaurimento, sia sul fronte del manifatturiero tradizionale che su quello del terziario avanzato, che avrebbe dovuto rappresentare, per molti, un alternativa all industria. Ma poco slancio mostra anche il commercio tradizionale e molte attività connesse, in presenza di una crisi diffusa e pesante dei consumi delle famiglie. Così, dunque, l effetto finale di questo processo non può che essere il ridimensionamento della struttura produttiva del Paese: rispetto alla prima metà del 2008, si contano attualmente circa 13.000 imprese in meno. Su 100 imprese costituite nel 3

2006 soltanto 58 risultano ancora attive attualmente, mentre il tasso di sopravvivenza nei primi anni 2000 era del 63%. Il saldo tra imprese nuove e cancellate dal Registro camerale, pur essendo rimasto sempre positivo, si è notevolmente ridotto negli ultimi anni, in particolare, nel 2008 e nel 2009, quando si è passati da un saldo di 36.404 ad un saldo di 17.385 imprese. Alla fine del 2011, inoltre, il saldo si attestava intorno alle 70.000 unità, non tale da raggiungere i livelli del 2006. Il ridimensionamento dell apparato produttivo non è ovviamente solo di tipo strutturale: se si considerano i settori non finanziari, il valore aggiunto si è ridotto dell 1% dal 2008 ad oggi e la capacità di investimento risulta consistentemente ridimensionata. Gli effetti di tale situazione sul mercato del lavoro sono facilmente visibili. Tra il primo trimestre del 2008 ed il primo trimestre del 2012 l Italia registra 400.000 occupati in meno, mentre i disoccupati sono aumentati di oltre un milione di unità, passando da 1,7 milioni a 2,8 milioni. E stato particolarmente forte l effetto di scoraggiamento determinato dalla crisi, che ha spinto molte persone ad uscire, più o meno temporaneamente, dal mercato del lavoro; così come risultano ancora diffusi i casi di perdita di lavoro, con difficoltà di reintegro della posizione persa. In un quadro così destrutturato, anche gli effetti negativi sulle famiglie risultano ormai evidenti. E bene ribadire che non siamo affatto di fronte ad una crisi sociale e che i fondamentali restano solidi, ma certamente il calo progressivo dei consumi registrato negli ultimi anni e la riduzione della propensione al risparmio, oggi al 12% - il valore più basso degli ultimi 12 anni - appare come un segnale da prendere seriamente in considerazione. Il Paese ha però molte risorse e molti strumenti per fare fronte ad un quadro così complesso. E bene ricordare che la crisi è tutta finanziaria e che l economia reale si incardina ancora oggi su un sistema di imprese di piccole, medie e grandi dimensioni capaci di competere attraverso la leva dell innovazione. Forte resta la capacità del sistema manifatturiero italiano di operare all estero attivando processi sofisticati di internazionalizzazione, con risultati brillanti. Nonostante le difficoltà del momento, le esportazioni italiane continuano a crescere: il segnale della capacità di penetrare mercati anche lontani. L Italia rientra tra i primi dieci paesi esportatori nelle classifiche mondiali ed è in Europa tra i primi cinque esportatori. Tornare a crescere, pertanto, non è una via preclusa a priori, sebbene occorrano ormai politiche e strumenti ad hoc che consentano di supportare il sistema soprattutto della piccola impresa e di sanare situazioni di disagio sociale, utilizzando strumenti innovativi di welfare che certamente non si riducano a mere forme di sostegno al reddito ma a strumenti di crescita sociale. 4

1.2. Microcredito per un welfare delle responsabilità condivise Uscire dalla lunga recessione significa investire in innovazione a tutto campo, ma soprattutto sostenere quel vasto numero di imprese di piccole dimensioni che costituiscono, come è noto, il 90% del sistema produttivo, oggi stremato. Il Censis rileva attraverso indagini diverse condotte negli ultimi 8 mesi che più del 70% delle aziende ha gravi difficoltà nel recupero dei crediti commerciali (con conseguente grave scarsità di mezzi liquidi) e poco più del 50% ha rapporti abbastanza difficoltosi con le proprie banche di riferimento. Negli ultimi anni il numero di imprese che ha ricercato forme di finanziamento presso il sistema bancario o tramite altra modalità è passato dal 36% al 52%, segnale evidente di una necessità forte e improcrastinabile di mezzi liquidi che vadano oltre l autofinanziamento. Ma, in parallelo, i casi di effettivo ottenimento del credito si sono notevolmente ridotti, specie in ambito bancario, passando dall 86% del 2007 all attuale 78%. D altra parte, gli ultimi dati di Banca d Italia indicano ad inizio 2012 una flessione, per oltre 17 miliardi di euro, di crediti concessi ad imprese e famiglie, gran parte riguardante soprattutto le aziende. I dati parlano, purtroppo, in modo molto chiaro e delineano una situazione in cui occorre da subito attenuare la fase di credit crunch con strumenti diversi che spaziano dal maggiore ricorso a strutture e reti di garanzia, come i confidi, fino ad interventi più mirati, come il microcredito, per le strutture di piccole dimensioni in difficoltà. L Italia, peraltro, è all avanguardia per esperienze di microfinanza a sostegno di piccole strutture, intervenendo con strumenti di credito, di microleasing, di garanzia e con prodotti assicurativi. In particolare, l Ente nazionale per il microcredito, che opera sotto l alto patronato della Presidenza della Repubblica, è un punto di riferimento in Europa per esperienza maturata a fianco della micro-impresa e l operato di questi anni sembra mettere ulteriormente in evidenza come solo un ente pubblico possa essere in grado di coordinare azioni complesse a sostegno delle fasce marginali e più deboli. La sua operatività, infatti, è rivolta al sostegno alle politiche e ai sistemi che operano verso la popolazione che non ha possibilità di accesso ai circuiti bancari tradizionali; si stima che il 18% delle famiglie si trovi in tale condizione. Occorre chiedersi perché il microcredito può e deve essere visto come uno strumento di welfare particolarmente significativo in una fase di crisi strutturale come quella che il Paese sta registrando. Sono individuabili almeno tre motivazioni essenziali: a) l effetto moltiplicativo che esso può avere sugli investimenti della micro-impresa; 5

b) l effetto di responsabilizzazione da parte del percettore di microcredito nell utilizzo del prestito; c) l effetto di sottrazione di clienti al welfare assistenziale per il fatto che il microcredito genera nuova attività economica e nuovi contribuenti con un ruolo attivo nella società. Per ciò che concerne il primo aspetto, sottrarre al rischio di povertà fasce della popolazione non bancabili e dare ad esse l opportunità di avviare un attività d impresa rappresenta un investimento sociale di valore enorme, difficilmente quantificabile. Ma anche dal punto di vista meramente contabile appare evidente che l effetto leva generato dai prestiti in ambito di micro-finanza non possono che essere consistenti. Peraltro, nell ottica di un oculata politica di spending review, il microcredito rappresenta uno dei pochi strumenti anticiclici di autoimpiego. Ne è dimostrazione il fatto che l Ente Nazionale per il Microcredito, a fronte di 3 milioni di risorse destinate al suo funzionamento, spese nel triennio 2010-2012, sia stato in grado di gestire per l Italia risorse pari a tre volte tale somma, promuovendo attività di sostegno e sviluppo di competenze negli ambiti organizzativi delle amministrazioni pubbliche titolari dei programmi finanziati dai fondi strutturali finalizzate all impiego dei fondi stessi per iniziative di microcredito. Tale circostanza ha non solo contribuito ad un uso efficiente dei fondi strutturali assegnati al Paese nell attuale ciclo di programmazione, ma posto le basi per lo sviluppo in Italia di un sistema strutturato di microcredito e micro finanza che sfrutti appieno l opportunità di attingere ai fondi strutturali stessi, prevista per il prossimo settennio dalla Commissione Europea. Inoltre, occorre sottolineare che forte e determinante è il concetto di responsabilizzazione nel sistema del microcredito. Chi opera sulla base di un prestito ricevuto in tale modalità, si impegna non solo a restituire la somma ricevuta, ma a far crescere ed a sviluppare la propria idea imprenditoriale al massimo delle proprie possibilità. Ed è per questo motivo che occorre una struttura di natura pubblica che gestisca e coordini gli interventi di accompagnamento allo start-up ed al monitoraggio. Non da ultimo, l esperienza di interventi di microfinanza, anche in Italia, dimostra che è possibile trasformare disoccupati ed altre fasce deboli della popolazione in contribuenti attivi, proprio sostenendo forme di autoimpiego, o meglio di creazione di piccola impresa, peraltro, secondo un principio di responsabilità condivise tra soggetto percettore e soggetto erogatore di microcredito. E questo un passaggio nodale, da un welfare assistenziale, che ricorre a forme di sostegno al reddito a fondo perduto e a liberalità, ad un welfare delle responsabilità condivise, che per l appunto il microcredito comporta. 6

In una fase di riduzione della spesa pubblica, come quella attuale, sottrarre situazioni passive e trasformarle in ruoli attivi, ovvero generare nuovi contribuenti oltre che persone e famiglie capaci di autosostenersi, diventa quasi strategico, il che richiama ancora una volta il ruolo essenziale del microcredito, in grado di innescare tali dinamiche virtuose. La dosponibilità di un centro nazionale di competenza in materia, quale è l Ente Nazionale per il Microcredito costituisce una necessità ed una garanzia per il funzionamento ottimale di un sistema equilibrato di microcredito e micro finananza strutturato sulla geografia e economica e sociale italiana. Troppi segnali, negli ultimi 12 mesi, indicano una situazione di indebolimento nel sociale che non può essere sottovalutata. Crescita della disoccupazione, difficoltà di ripresa economica, elevata disoccupazione giovanile, presenza crescente di situazione di deprivazione materiale, flessione della propensione al risparmio e marcata riduzione delle spese per consumi, oltre ad un pericoloso inasprimento delle condizioni legate alla concessione di credito alle imprese ed alle famiglie, definiscono segmenti di disagio certamente minoritari nel Paese, ma ormai in crescita e verso i quali proprio il microcredito può esercitare un ruolo strategico. In una situazione di difficoltà e di forte razionamento del credito come quello registrato nel Paese negli ultimi mesi, occorre fare affidamento su tutte le strutture che operano sia nel pubblico che nel privato in materia di finanza e soprattutto di microfinanza. E un bene che il Governo proceda celermente alla spendig review, ma risulta fortemente auspicabile non intervenire affatto con tagli, ma anzi incentivando e promuovendo ancora di più, strutture ed enti come quello nazionale per il microcredito che sembrano oggi rappresentare un puntello ad una situazione di deterioramento che non avrà verosimilmente una conclusione nel breve periodo. 7

2. PROFILI DEMOGRAFICI A RISCHIO: UNA RICOGNIZIONE SISTEMATICA SUGLI EFFETTI DELLA CRISI ECONOMICA La ricerca ha come scopo l individuazione di profili demografici in situazione di disagio sociale verso i quali attivare interventi di microfinanza. A tal proposito, il lavoro si propone, dapprima, di individuare le situazioni che generano disagio sociale (minor offerta di lavoro, aumento della disoccupazione, calo della propensione al risparmio delle famiglie, ecc.) per poi definire con maggior dettaglio, mediante gli indicatori di povertà e deprivazione, i profili di popolazione maggiormente a rischio, ad esempio, in termini di area geografica in cui vivono, di struttura familiare, di condizione occupazionale. Il lavoro è strutturato in tre parti. Nella prima, si analizzerà l impatto della crisi economica sulle imprese, evidenziando il calo delle unità produttive, la diminuzione delle risorse per effettuare investimenti (e per creare occupazione) e i rapporti con il sistema finanziario, che non sembra aver esercitato un adeguata funzione di sostegno durante l attuale periodo recessivo. Tutti questi elementi hanno un impatto diretto sulla situazione delle famiglie, oggetto di analisi del secondo paragrafo. Infatti, se le imprese hanno a disposizione minori risorse per investire, ne conseguono tensioni sul mercato del lavoro, che si traducono in minori assunzioni di personale, nel sempre più diffuso ricorso a forme contrattuali atipiche (tempo determinato, collaborazioni, apprendistato, ecc.) o ad ammortizzatori sociali quali la Cassa Integrazione, o, nei casi più gravi al licenziamento di risorse. La ricerca si focalizzerà sulle criticità presenti sul mercato del lavoro negli ultimi anni (livelli di occupazione, disoccupazione), fenomeno che sembra ben spiegare il continuo calo del potere di acquisto e della propensione al risparmio delle famiglie. Infine, il terzo paragrafo analizzerà gli effetti delle tensioni sulle imprese e sulle famiglie, mediante l utilizzo di indicatori di povertà e deprivazione, per capire dove si localizzano maggiormente le situazioni di disagio sociale. 2.1. La crisi finanziaria e gli effetti sulle imprese La crisi economica originatasi nel 2007 negli Stati Uniti e propagatasi rapidamente a livello globale dal 2008, sta ancora producendo effetti sul tessuto economico-produttivo nazionale. Le aziende si trovano tuttora a 9

fronteggiare una domanda nazionale ed internazionale ancora non ai livelli della prima metà degli anni 2000, situazione che incide sul fatturato e sui risultati economici - tornati ai livelli del 2003 - mentre nei casi più gravi porta alla chiusura di diverse realtà produttive, come testimoniato dal notevole aumento delle procedure fallimentari e dal calo delle imprese registrate presso le Camere di Commercio. Le difficoltà del contesto produttivo nazionale possono essere spiegate mediante alcuni dati: - le procedure fallimentari durante il periodo 2009-2011 sono state circa 33.000, in deciso aumento rispetto al triennio precedente; - nel 2011, le imprese iscritte presso le Camere di Commercio sono circa 13.000 in meno rispetto al 2007; - solamente il 58% delle imprese nate nel 2006 risulta ancora attiva nel 2011, mentre nel periodo 2001-2006 il valore ammontava al 62,7%; - nel 2011, il tasso di profitto delle società non finanziarie (ossia, il rapporto tra il risultato lordo di gestione e il valore aggiunto ai prezzi base) è del 40,4%, valore più basso dal 1995; - la contrazione del fatturato rende difficile la realizzazione di nuovi investimenti, tanto che il tasso di investimento delle società non finanziarie (ossia, il rapporto tra gli investimenti fissi lordi e il valore aggiunto ai prezzi base), nel 2009, ha toccato il valore più basso degli ultimi 10 anni (21%), per poi risalire al 22,3% nel 2011, percentuale che comunque è inferiore di circa 1,5 punti percentuali rispetto ai livelli precrisi. Sempre più critico appare inoltre il rapporto con il sistema finanziario, dato che è in aumento il numero di strutture produttive che dichiara insuccessi nella richiesta di credito. In particolare: - nel 2010, le imprese italiane che hanno ricercato finanziamenti (sia tramite il credito sia tramite altre modalità) sono state il 52,2% contro il 36,5% del 2005; - le imprese che hanno ottenuto almeno un successo dalla richiesta di credito sono passate dall 87,5% del 2007 al 79,8% del 2010; - le imprese che hanno registrato almeno un insuccesso nella ricerca di credito sono passate dall 1,8% del 2007 al 26,8% del 2010. 2.1.1. La riduzione della base produttiva Uno degli effetti dell attuale periodo di recessione economica sul tessuto produttivo nazionale è la diminuzione del numero di imprese. Infatti, diverse strutture produttive non sono riuscite ad adattarsi ad un contesto nel quale la domanda di beni e servizi ha subito un evidente calo, tanto che, 10

confrontando il numero di imprese registrate alle Camere di Commercio nel 2011 con lo stesso dato del 2007, si osserva una diminuzione di circa 13.000 unità; allo stesso modo, il periodo più critico sembra essere alle spalle, in quanto nel 2009 vi erano circa 25.000 aziende in meno del 2011 (fig. 2.1) 1. Fig. 2.1 - Numero di imprese registrate alle Camere di Commercio - anni 2005-2011 (v.a.) Fonte: Elaborazione Censis su dati Unioncamere-InfoCamere Considerando i diversi settori di attività economica, la recessione ha dispiegato i suoi effetti principalmente nei confronti delle imprese manifatturiere, agricole e commerciali (fig. 2.2). Infatti, considerando le variazioni in termini numerici delle imprese registrate presso le Camere di Commercio nel 2011 e nel 2007, le differenze più marcate riguardano quelle manifatturiere, che oggi sono circa 118.000 in meno, le imprese agricole, calate di 96.000 unità, e quelle commerciali, che ammontano a 1,5 milioni, 30.000 in meno rispetto a 4 anni prima. I settori in controtendenza sono quello edile, che presenta un incremento di oltre 50.000 unità (906.000 totali) e le imprese attive nella prestazione di servizi di alloggio e ristorazione, incrementatisi di circa 88.000 unità rispetto al 2007. 1 Il totale delle imprese registrate tiene conto delle cancellazioni d ufficio da parte delle Camere di Commercio. In considerazione di ciò, tra il 2007 e il 2011, il numero totale di imprese è diminuito nonostante si sia registrato sempre un saldo attivo tra i flussi di iscrizioni e cessazioni, con queste ultime calcolate al netto di quelle disposte amministrativamente dalle Camere. 11

Fig. 2.2 Variazione del numero di imprese registrate alle Camere di Commercio in alcuni settori economici Confronto anno 2011 e anno 2007 (v.a.) Fonte: Elaborazione Censis su dati Unioncamere-InfoCamere Un dato che probabilmente rappresenta in maniera più chiara gli impatti della crisi economica sul tessuto produttivo nazionale è quello relativo alle procedure fallimentari avviate negli anni della crisi (fig. 2.3). Infatti, tra il 2009 e il 2011 sono state assoggettate a procedura fallimentare circa 33.000 imprese, quasi 10.000 in più del triennio precedente. Il numero di fallimenti registrati ogni anno è in continua crescita, tanto che nel 2011 ammonta a 11.933, quasi il doppio del 2007, primo anno completo di applicazione della riforma del diritto fallimentare con la quale sono stati introdotti requisiti soggettivi più stringenti per l ammissione alla procedura, escludendo di fatto le microimprese; per questo motivo, osservare che il numero di procedure fallimentari del 2010 e del 2011 risulta superiore al 2006 testimonia la portata della crisi, in quanto nel 2006 i requisiti soggettivi di ammissione alla procedura erano meno stringenti e la platea di imprese era potenzialmente più vasta. 12

Fig. 2.3 - Numero di fallimenti dichiarati - anni 2006-2011 (v.a.) e Cerved Group Analizzando in dettaglio le zone geografiche e i settori dove vi è stata la maggior frequenza di fallimenti, si ricorre ai dati elaborati da Cerved Group e contenuti nel documento Osservatorio trimestrale sulla crisi di impresa del quarto trimestre 2011; nel documento si utilizza l insolvency ratio, ossia il numero di fallimenti su 10.000 imprese appartenenti ad una determinata area geografica o settore di attività. Osservando i dati a livello di area geografica nel periodo 2009-2011, si nota come, tranne per la zona Nord Est, i valori medi sono crescenti e raggiungono il loro massimo nel Nord Ovest dell Italia, dove nel periodo della crisi, sono fallite 23 imprese su 10.000. Considerando invece i diversi settori economici, la frequenza maggiore di fallimenti si ha tra le imprese industriali, che, nel 2010, hanno raggiunto un massimo di 42,5, attestandosi nel periodo 2009-2011 a 38,7 di media. Per le imprese edili, quelle di servizi e quelle appartenenti ad altri settori le difficoltà non sembrano ancora essere terminate, giacché si osserva un trend crescente durante gli anni della crisi, sebbene i valori medi di periodo siano distanti da quelli del settore industriale, ammontando rispettivamente a 28,5, 16,9 e 9,1 (tab. 2.1). 13

Tab. 2.1 - Insolvency ratio durante il periodo della crisi per area geografica e per settore economico - anni 2009-2011 (numero di fallimenti ogni 10.000 imprese) 2009 2010 2011 IR medio 2009-2011 Area geografica Nord Est 18,4 21,8 21,5 20,6 Nord Ovest 19,8 24,1 25,7 23,2 Centro 18,0 21,5 23,0 20,8 Sud e Isole 13,3 15,6 17,0 15,3 Settore economico Industria 33,9 42,5 39,8 38,7 Costruzioni 25,2 29,2 31 28,5 Servizi 14,6 17,4 18,7 16,9 Altri settori 7,4 8,7 11,2 9,1 Fonte: elaborazione Censis su dati Cerved Group - Osservatorio trimestrale sulla crisi di impresa, quarto trimestre 2011 I dati sulla natimortalità delle strutture produttive e sul numero delle procedure fallimentari durante il periodo di recessione economica testimoniano le sempre maggiori difficoltà di sopravvivenza per le imprese, come confermato dal raffronto tra il tasso di sopravvivenza a 5 anni per le imprese nate nel 2006 e quello per le imprese nate nel 2001 (tab. 2.2). Su 100 imprese nate nel 2006, soltanto 58 erano ancora attive nel 2011 e, quindi, ben il 42% ha dovuto cessare la propria attività durante i primi 5 anni di vita; nel quinquennio 2001-2006, il tasso di sopravvivenza totale risultava maggiore di 3,7 punti percentuali. Considerando la forma giuridica delle imprese, i risultati peggiori riguardano le ditte individuali, il cui tasso di sopravvivenza è diminuito di quasi 7 punti contro i 4 delle società di persone; al contrario, la forma giuridica di società di capitali risulta essere quella più solida, dato che il 62% di esse sopravvive nei primi 5 anni di vita, con un incremento del 4,6% rispetto al periodo 2001-2006. Tab. 2.2 - Tasso di sopravvivenza a 5 anni complessivo e per forma giuridica - Confronto tra imprese nate nel 2001 e imprese nate nel 2006 (val. %) 2011/2006 2006/2001 diff. % Tasso di sopravvivenza a 5 anni complessivo 58,0% 61,7% -3,7% Ditte individuali 57,0% 63,8% -6,8% Società di persone 59,0% 63,0% -4,0% Società di capitali 62,0% 57,6% 4,6% Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere 14

La stessa fonte di dati riporta anche la suddivisione territoriale del tasso di sopravvivenza a 5 anni, specificando come il valore più elevato si raggiunga per le imprese del Mezzogiorno, dove sfiora il 61%, nonostante sia la zona in cui si è registrato il decremento maggiore (-5,3%). Anche nelle zone Nord Est e Nord Ovest si registrano diminuzioni del tasso di sopravvivenza a 5 anni, dato che oggi le imprese che sopravvivono sono circa il 4% in meno rispetto al quinquennio precedente, mentre il Centro Italia è in controtendenza giacché il tasso di sopravvivenza ammonta al 59,5%, incrementandosi di circa 2 punti percentuali. 2.1.2. Le difficoltà ad investire Le persistenti difficoltà a riavviare i consumi, unitamente a previsioni tutt altro che incoraggianti sul futuro dell economia nazionale, continuano a produrre effetti negativi sulle imprese, tanto che esse, considerate a livello aggregato, non riescono ad avere a disposizione un quantitativo di risorse pari al periodo pre-crisi, come si evince osservando l andamento di grandezze contabili quali il valore aggiunto 2 e il risultato lordo di gestione 3 (fig. 2.4). Considerando l aggregato di imprese italiane non esercitanti attività finanziaria, nel 2011, l ammontare di valore aggiunto è pari a circa 728 miliardi di euro, inferiore di circa 15 miliardi a quello del 2008; tuttavia, il trend sembra indicare un miglioramento, dato che il periodo più critico appare essere stato il 2009 quando il valore aggiunto superava di poco i 700 miliardi. Più preoccupanti i dati sul risultato lordo di gestione, che nel 2011 si attesta a 294 miliardi, in lieve ripresa rispetto al 2009 (289 miliardi), ma ben lontano dai 321 miliardi del 2007 ed addirittura inferiore ai livelli del 2004 (303 miliardi). 2 3 Il valore aggiunto è definito come la differenza tra il valore della produzione di beni e servizi ed il valore dei beni e servizi intermedi consumati (materie prime, servizi, ecc.); corrisponde alla somma delle remunerazioni dei fattori produttivi e degli ammortamenti. Il risultato lordo di gestione corrisponde al valore aggiunto diminuito delle imposte indirette al netto dei contributi alla produzione e dei redditi da lavoro dipendente versati. Comprende tutti gli altri redditi generati dal processo produttivo oltre gli ammortamenti. 15

Fig. 2.4 - Valore aggiunto ai prezzi base e risultato lordo di gestione delle società non finanziarie - anni 2006-2011 (val. in milioni di euro) La marcata flessione del risultato lordo di gestione influenza notevolmente la quota di profitto delle società non finanziarie, ossia il rapporto tra tale grandezza e il valore aggiunto ai prezzi base (fig. 2.5). Nel 2011, questo rapporto è stato del 40,4%, il valore più basso dal 1995, in calo di circa un punto percentuale rispetto all anno precedente e ben distante dal 44% registrato nel 2006. 16