DIRITTO E PSICHIATRIA DOPO LA LEGGE 180



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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA ISTITUTO DI STORIA, FILOSOFIA DEL DIRITTO E DIRITTO ECCLESIASTICO CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN TEORIE DEL DIRITTO E DELLA POLITICA CICLO XXV DIRITTO E PSICHIATRIA DOPO LA LEGGE 180 TUTOR Chiar.mo Prof. ADRIANO BALLARINI DOTTORANDO Dott.ssa BEATRICE UGOLINI COORDINATORE Chiar.mo Prof. ADRIANO BALLARINI ANNO 2013

INDICE Introduzione PARTE PRIMA Il diritto in relazione alla malattia mentale 1. L eredità della legge 180/1978 2. L amministrazione di sostegno e la disciplina civilistica 3. Il problema dell imputabilità 4. La crisi del concetto di pericolosità sociale e gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari PARTE SECONDA La malattia mentale nella prospettiva del diritto sociale 1. Il malato mentale tra diritto alla salute ed etica dell agire psichiatrico 2. Mercato e malattia mentale: la commercializzazione delle patologie psichiatriche 3. L assistenza psichiatrica agli immigrati PARTE TERZA Filosofia e psichiatria 1. Il contributo della fenomenologia 2. Il potere psichiatrico secondo Michel Foucault Conclusioni Appendice Bibliografia

Introduzione L incontro tra psichiatria e diritto è inevitabilmente costellato da separazioni e incomprensioni. Molto diverso è, innanzitutto, l approccio scientifico: per lo psichiatra il primo parametro di valutazione è il malato e la sua guarigione; il giurista, al contrario, deve tener conto di diversi criteri, primo fra tutti la società nel suo complesso e la tutela della collettività. Differenti sono anche le nozioni di colpa e di responsabilità, che presentano fisionomie diverse nell ambito giuridico e nell ambito psicoanalitico e psichiatrico. La psichiatria è stata, per lungo tempo, in grado di offrire al diritto sicuri ancoraggi empirici. Negli ultimi decenni, i rapporti fra psichiatria e diritto si sono andati complicando sempre di più, a causa del progressivo allargamento della concezione di malattia mentale e al fiorire di modelli alternativi di spiegazione, quali l approccio fenomenologico, lo psicodinamico, il socio-relazionale. Permane un certo diffuso disinteresse da parte dei giuristi per le tematiche relative al disagio psichico, soprattutto in ambito civilistico, al punto che il nuovo diritto per il malato di mente invocato da Paolo Cendon, promotore della legge sull amministrazione di sostegno, sembra piuttosto lontano dall essere realizzato in maniera compiuta e uniforme. Aggiungiamo anche, poiché questa sarà una delle questioni che evidenzieremo maggiormente, che, a un nuovo diritto per il malato di mente, occorrerebbe anche affiancare una diversa tutela per i familiari dei malati psichici che si trovano quotidianamente a gestire, in astratta solitudine, le conseguenze di una legge tanto straordinariamente coraggiosa e innovativa sotto il profilo umano e civile, quanto gravemente incompleta e carente sotto il profilo della sua attuazione concreta. Il presente lavoro intende esaminare i principali ambiti tematici entro cui il diritto incontra e affronta la questione della malattia psichica, a partire dall approvazione della celeberrima legge 180/1978. Si tende comunemente a ritenere che la legge 180 racchiuda e porti a compimento l opera di Franco Basaglia. In realtà, sarebbe più opportuno, per una equilibrata valutazione sia della riforma messa in atto da Basaglia, sia delle conseguenze di applicazione della normativa, distinguere le due questioni. Il nostro interesse prioritario sarà, quindi, rivolto ai problemi lasciati aperti dalla attuazione della legge 180 e ai suoi spesso contestati esiti, con particolare attenzione alle correlazioni tra tale specifica normativa, i principi di base con cui il diritto si occupa del disagio psichico e i rapporti con la medicina psichiatrica. Nella prima parte, il rapporto tra diritto e malattia mentale verrà affrontato, in particolare, dal punto di vista civilistico e penale. I giuristi, tranne alcune illustri eccezioni, hanno spesso riservato poco interesse alla condizione del sofferente psichico in ambito civilistico. Oltre agli istituti tradizionali dell interdizione e dell inabilitazione, verrà considerata la normativa, introdotta nel

2004, relativa all amministrazione di sostegno. Nell ambito del diritto penale, due sono le questioni di maggiore rilievo, oggetto di un vivace e mai esaurito dibattito fra giuristi, filosofi, psichiatri forensi e criminologi: l imputabilità e la pericolosità sociale. Si tratta di tematiche, tradizionalmente oggetto della filosofia, che aprono la discussione a percorsi collaterali, attualmente anche esplorati, con provocatoria originalità, dalle neuroscienze e dalla neuroetica che si interessa, in particolare, dello studio dei meccanismi cerebrali che stanno alla base delle scelte e dei comportamenti morali. Si tratta, in altri termini, di esaminare le questioni etiche che sorgono quando le scoperte delle neuroscienze, relative al funzionamento del cervello, vengono portate nella pratica medica, nelle interpretazioni giuridiche, nella politica sanitaria e sociale. Il libero arbitrio, il male, il rapporto tra follia e male e tra follia e violenza rappresentano, quindi, questioni di interesse multidisciplinare su cui occorre inevitabilmente soffermarsi a riflettere quando si parla di malati psichici autori di reato. Riguardo, in particolare, alla pericolosità sociale, nozione che poggia su una commistione di grande ambiguità, è da evidenziare che la legge 180 non aveva sciolto il nodo dell assistenza e della tutela dei malati di mente autori di reato: il risultato è stato, in assoluto contrasto con i principi della riforma Basaglia, la sopravvivenza, per decenni, dell Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Sopravvivenza di cui, solo qualche mese fa, è stata decretata la fine, accompagnata dalle inevitabili polemiche sul modo in cui verrà gestita la presa in carico di pazienti tanto problematici. Nella seconda parte, la malattia psichica viene considerata dal punto di vista del diritto sociale. Il diritto alla salute, inteso come diritto alla cura, incontra come limite, nella sua concreta realizzazione, la disponibilità di risorse economico-finanziarie e la generale tendenza al contenimento della spesa sociale. Questione che, quando riguarda la salute psichica, implica, come vedremo, conseguenze ancora più complesse e di difficile gestione. Il diritto alla salute si declina non solo nel diritto a essere curato, ma anche nel diritto a rifiutare le cure. Ciò viene ad assumere, nell ambito della salute mentale, connotazioni di drammatica rilevanza non solo giuridica, poiché spesso sono proprio i pazienti psichiatrici più gravi e, di conseguenza, più bisognosi di sostegno medico, a non riconoscere come tale la propria malattia e a rifiutare qualsiasi tentativo di cura. Nel considerare il diritto alla salute del paziente malato psichico, assume peculiare rilevanza la questione dei modi dell agire psichiatrico che rientra nella più ampia discussione, di interesse bioetico, sull etica della relazione di cura che verrà considerata sia dal punto di vista del medico, sia dal punto di vista dell ammalato. Riguardo a quest ultimo punto, viene a porsi, tra gli altri, il delicato problema di come conciliare due diverse, e ugualmente rilevanti, istanze giuridiche: il legittimo diritto, da parte del paziente psichiatrico, alla genitorialità e alla conservazione dei legami familiari, con la tutela del minore, figlio di malato psichico, da possibili abusi. Relativamente al diritto alla salute psichica e alla sua cura, risulta interessante mettere in rilievo la dinamica che

attualmente influenza la costruzione delle categorie diagnostiche psichiatriche. Dinamica che, nel generale processo di medicalizzazione indefinita della vita, già sottolineato da Illich e Foucault, e oggi denominato biomedicalizzazione, appare massicciamente condizionata dagli interessi economici di Big Pharma e dalla strategia, sempre più invasiva, del disease mongering. L assistenza psichiatrica agli immigrati rappresenta, poi, il caso specifico di una categoria di pazienti di particolare vulnerabilità in cui diventa necessario attrezzarsi, anche con gli strumenti dell etnopsichiatria, per riuscire a fronteggiare e risolvere un tipo di disagio psichico riconducibile anche a quello che Sayad definisce il passaggio dall illusione dell emigrazione alla sofferenza dell immigrazione. Occorre, comunque, sottolineare che si tratta di una questione piuttosto trascurata: mentre, infatti, abbiamo a disposizione molti dati e ricerche riguardati la salute, in generale, degli immigrati presenti in Italia, la situazione sembra, invece, meno monitorata e approfondita su quello che è il versante specifico della salute psichica. La terza parte prende in considerazione, senza pretese di esaustività, vista l ampiezza e la complessità dell argomento, i principali filosofi che hanno fornito un apporto rilevante alla discussione degli assetti epistemologici della psichiatria e alla questione, molto dibattuta soprattutto negli anni Settanta, delle valenze repressive e di controllo sociale del potere psichiatrico. Saranno, al riguardo, privilegiati gli Autori, come ad esempio Binswanger e Foucault, che hanno influenzato, più o meno direttamente, il pensiero e l opera di Basaglia. Sarà importante, al riguardo, mettere in rilievo, in modo mirato, quei passaggi e nodi concettuali del pensiero filosofico che hanno rappresentato un importante termine di confronto per Basaglia e che sono poi confluiti nelle sue riflessioni, nelle sue esperienze di cura e, mediatamente, anche nei principi che hanno ispirato la legge 180. Se imputabilità e pericolosità sociale sono questioni che chiamano in causa non solo diritto, filosofia e psichiatria forense, ma anche neuroscienze e neuroetica, è evidente che il rapporto terapeutico, i trattamenti sanitari obbligatori, la dignità del malato psichiatrico e i suoi diritti, l obbligo e il consenso nel trattamento della sofferenza psichica sono tutti temi che, in qualche misura, attengono anche alla bioetica. L esame degli esiti della legge 180 ci condurrà, soprattutto, a intrecciare le nostre argomentazioni con l ambito del biodiritto che si occupa, in specifico, della trattazione di questioni bioetiche dal punto di vista giuridico. Pur occupandosi degli stessi argomenti, la distinzione fra bioetica e biodiritto risulta, in ogni caso, irrinunciabile poiché diverse, anche se complementari, sono le loro rispettive prospettive. Una trattazione equilibrata dei rapporti attuali tra diritto e psichiatria non potrà, dunque, esimersi dall apporto e dal confronto di diverse discipline, tutte ugualmente utili a illuminare gli aspetti più oscuri di quella Follia che oggi chiamiamo con il nome, uno dei tanti, di malattia mentale.

PARTE PRIMA Il diritto in relazione alla malattia mentale

1. L eredità della legge 180/1978 La legge 180/1978 1 ha posto come assioma fondamentale il riconoscimento del malato mentale come persona a pieno titolo e come cittadino da tutelare al pari di tutti gli altri. Si tratta di una fondamentale conquista civile, che estende il riconoscimento della dignità umana a una categoria di persone cui si tendeva abitualmente a negarlo: costretti a vivere in condizioni innominabili e sottoposti abitualmente a violenze, i malati di mente erano spesso esclusi dalla pietà, dalla considerazione, quasi non appartenessero alla condizione umana. Il manicomio, quale istituzione totale e chiusa, sembrava funzionare non tanto per curare, quanto per segregare dalla comunità umana e civile. Condividendo la lezione di Erving Goffman 2, Basaglia scrive: famiglia, scuola, fabbrica, università, ospedale, sono istituzioni basate sulla netta divisione dei ruoli: la divisione del lavoro (servo e signore, maestro e scolaro, datore di lavoro e lavoratore, medico e malato, organizzatore e organizzato). Ciò significa che quello che caratterizza le istituzioni è la netta divisione fra chi ha il potere e chi non ne ha. Dal che si può ancora dedurre che la suddivisione dei ruoli è il rapporto di sopraffazione e di violenza fra potere e non potere, che si tramuta nell esclusione da parte del potere, del non potere: la violenza e l esclusione sono alla base di ogni rapporto che si instauri nella nostra società 3. Scattava, in tal modo, un meccanismo sociale di esclusione anche nei confronti di forme di disagio, di emarginazione, di diversità, di comportamenti bizzarri ancorché inoffensivi, ma tutti, comunque, difformi dalla convenzionale normalità sociale e tutti, quindi, ricondotti allo stigma della malattia mentale. Nel manicomio vengono, dunque, a confluire forme diverse di devianza. Come spiega Giovanni Jervis, collaboratore di Basaglia a Gorizia, la devianza esiste sempre in relazione a una norma. Nel suo significato proprio, devianza non significa eccezionalità, né indica ciò che è fuor di misura o poco 1 La indicheremo d ora in avanti, secondo l uso corrente, con il solo nome di legge 180. 2 Nel 1968 Einaudi fa tradurre Asylums a Franca Ongaro Basaglia, mentre Franco Basaglia ne cura l introduzione. F. Basaglia, Introduzione a E. Goffman, Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell esclusione e della violenza, Torino, Einaudi, 1974, p. 10: «è stata la psichiatria che, nel definire il malato come irrecuperabile e incomprensibile ha proposto un unica possibilità di approccio: quello di natura oggettuale (antiterapeutico per essenza) in una relazione dove il secondo polo del rapporto non esiste, se non come oggetto da inglobare e incorporare nel sistema generale. Sotto la copertura del modello medico, in realtà, l istituzione psichiatrica tradizionale non è che un istituzione carceraria, deputata a gestire gli elementi di disturbo sociale». Le caratteristiche comuni alle istituzioni totali sono: la concentrazione delle attività del soggetto in un unico luogo e sotto un unica autorità; il trattamento paritario e lo svolgimento di funzioni simili assegnato a ogni persona del gruppo; la strutturazione di una giornata scandita da ritmi prestabiliti; la presenza di un unico piano alla base di tutte le attività svolte che devono convergere verso quella che è la finalità fondamentale dell istituzione. 3 F. Basaglia, Le istituzioni della violenza, in F. Basaglia (a cura di), L istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2010, p. 115.

frequente ; e neppure coincide con l idea di inadeguatezza. Il concetto di devianza comprende tutti questi concetti, ma soprattutto implica qualcos altro, e cioè un giudizio morale. Devianza indica l indesiderabilità sociale, indica l opposizione di fatto al codice morale ed alle convenzioni dominanti. Il concetto di devianza è quindi normativo: devianza è violazione di norme considerate giuste, sane, morali ; ed è violazione di interdizioni 4. La legge 180 pone fine al vecchio sistema manicomiale basato essenzialmente sulla legge 36/1904, intitolata "Disposizioni sui manicomi e sugli alienati. Custodia e cura degli alienati". Questa legge infatti, salvo alcune non trascurabili modifiche introdotte nel 1968, regolava ancora l'assistenza psichiatrica nel nostro paese. La normativa del 1904 si ispirava, come del resto le legislazioni psichiatriche elaborate in precedenza negli altri paesi europei, alla legge francese del 1838. Quest'ultima, espressione delle concezioni dello Stato liberale, delineava un sistema a carattere sostanzialmente asilare, basato sull'obbligatorietà del trattamento e sulla nozione di pericolosità sociale dell'infermo di mente. In verità, la legge n. 39, già alla sua nascita, appariva vecchia: era infatti stata elaborata in un momento in cui, negli altri stati europei, si levavano già le prime voci contro il sistema manicomiale e si tentava il superamento del "modello" francese. Quali sono i principi informatori di questa legge, espressione delle concezioni psichiatriche dell'epoca? Essa non si poneva alcun fine terapeutico o riabilitativo, avendo piuttosto un diverso e duplice scopo. Da una parte, mantenere e rafforzare una visione custodialistica e segregante della malattia mentale, vista come una realtà da occultare come problema al quale la nostra organizzazione sociale non vuole, o non è in grado, di dare risposte diverse. Dall'altra, fornire strumenti di difesa e controllo sociale, tali da sollevare la società dal peso della presenza di soggetti che, pur non essendosi resi colpevoli di alcunché, suscitano paura e creano disturbo all'ordine costituito. Il concetto basilare e discriminante sul quale la legge si fondava era quello della pericolosità del malato mentale, o, per usare il linguaggio di allora, dell'alienato. Recitava infatti l'articolo 1: "Debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualsiasi causa da alienazione mentale quando siano pericolose a sé o agli altri...". La pericolosità (verso se stessi e/o verso gli altri) rimaneva peraltro, senza altre indicazioni, un concetto fin troppo generico. Essa si collocava nel quadro di ciò che ha rappresentato, a partire dalla seconda metà dell Ottocento e fino ai primi anni Sessanta di questo secolo, l'ideologia e il modello interpretativo prevalente della patologia psichiatrica, ovvero quello biologico. Tale modello, nella sua formulazione più tradizionale, vede in alterazioni biologiche la causa dei disturbi del comportamento, sottovalutando i fattori psicosociali o interazionali a livello di famiglia, di gruppo o, più in esteso, di società. La condizione, che faceva scattare il ricovero d'autorità in manicomio, era quella del "pubblico 4 G. Jervis, Manuale critico di psichiatria, Milano, Feltrinelli, 1997, p. 67.

scandalo", un parametro, quindi, ancora più soggetto ai condizionamenti culturali e storici, ma soprattutto teoricamente molto debole. Proseguiva infatti l'articolo 1 "...o riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi...". Il diritto, dunque, si disinteressava totalmente degli alienati non pericolosi, che non avrebbero, comunque, subito alcuna limitazione della propria libertà personale, ma ai quali non veniva riconosciuto neanche alcun diritto terapeutico, nonostante la dichiarata finalità di cura della medicina 5. Si tende comunemente a ritenere che la legge 180 racchiuda e porti a compimento l opera di Franco Basaglia. In realtà, sarebbe più opportuno, per una equilibrata valutazione sia della riforma messa in atto da Basaglia, sia delle conseguenze di applicazione della normativa, distinguere le due questioni. Come nota Valeria Babini, che ha ricostruito il lungo cammino verso la chiusura dei manicomi italiani, «la 180 non era la legge Basaglia, come fu chiamata subito dopo la sua promulgazione più per attaccarla che per apprezzarla. Non doveva neppure essere una legge a sé, ma parte della legge sul sistema sanitario nazionale. Eppure, quella enucleazione, seppur transitoria, l avrebbe ancora una volta separata e contraddistinta, rendendola un più facile bersaglio» 6. Lo stesso Basaglia, il giorno prima della ratifica, aveva dichiarato in un intervista rilasciata a La Stampa : «E una legge transitoria, fatta per evitare il referendum e perciò non immune da compromessi politici. Attenzione quindi alle facili euforie. Non si deve credere di aver trovato la panacea a tutti i problemi del malato di mente con il suo inserimento negli ospedali tradizionali» 7. L esperienza di direttore del manicomio di Gorizia, tra il 1962 e il 1965, consentì a Basaglia di mettere in atto alcune importanti e audaci novità che, in seguito, ispirarono i principi di fondo della legge 180: - introduzione dei farmaci attraverso cui eliminare le contenzioni e iniziare a distinguere i danni della malattia da quelli dell istituzionalizzazione; - rieducazione del personale; - riannodamento dei legami con l esterno; - abbattimento delle barriere fisiche; - apertura delle porte; - creazione di un Ospedale di Giorno; - tentativo di organizzare la vita nell Ospedale secondo i concetti di una comunità terapeutica 8. 5 Cfr. V. Volterra, G. Donnini, Legislazione psichiatrica, in P. Pancheri, G.B. Cassano (a cura di), Trattato italiano di psichiatria, vol. 3, Milano, Masson, 1993, p. 2808. 6 V. P. Babini, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 290. 7 F. Stefanoni, Manicomio Italia. Inchiesta su follia e psichiatria, in La Stampa, 12 maggio 1978. 8 Cfr. F. Basaglia, Scritti, vol. 1, Torino, Einaudi, 1982, pp. 254-255.

Per tutta la prima metà degli anni Ottanta, un vero e proprio dibattito sugli esiti della riforma psichiatrica non riuscì mai a svilupparsi. Prevalse, invece, la tendenza a uno sterile scontro dialettico, senza sfumature intermedie, tra chi riteneva la legge 180 l origine di ogni possibile male e chi una sorta di feticcio da difendere sempre e comunque: una contrapposizione aspra che bloccò il dibattito e il Parlamento, impedendo alla fine qualsiasi modifica al testo approvato nel 1978 9. Benché esista la tendenza a considerare ogni critica o riflessione riguardo alla legge 180 un pericoloso tentativo di restaurazione manicomiale, risulta qui inevitabile il confronto con i nodi lasciati irrisolti da tale normativa. Pur non mettendo minimamente in discussione i due principi irrinunciabili stabiliti da questa legge fondamentale, il riconoscimento dei diritti di cittadinanza del malato psichico e il rifiuto del manicomio come luogo di cura, occorre rilevare che molti, e assai rilevanti, sono i problemi che essa lascia aperti. Tranne poche oasi (e neppure felici) non si è mai, infatti, completamente attuata quella presa in carico dei malati da parte dei servizi territoriali, in sostituzione dei manicomi, prevista originariamente. La legge 180/78, recepita dalla legge 833/78 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, sosteneva, oltre l'abolizione dei manicomi, la centralità dell'intervento psichiatrico a livello dei servizi territoriali (Centri di Salute Mentale). Le strutture psichiatriche di ricovero vennero collocate negli ospedali generali con la istituzione dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC). I Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO) vennero definiti come provvedimenti eccezionali e di breve durata, autorizzati per esigenze terapeutiche urgenti non affrontabili in alcun altro modo. L applicazione della legge 180 era demandata alle Regioni: alcune di esse, soprattutto nel Nord del Paese, hanno applicato efficacemente i principi generali, altre li hanno del tutto disattesi. Secondo Franca Ongaro Basaglia, di fatto la 180 era una legge quadro, a cui avrebbe dovuto seguire la presentazione di un piano sanitario nazionale con il dettaglio di strutture, personale e finanziamenti disponibili. In realtà, il primo disegno di legge di attuazione fu presentato nel 1987, ripreso dal piano per la tutela della salute mentale e approvato solo nel 1994, sette anni dopo, senza, tuttavia, prevedere l avvio obbligatorio dei nuovi servizi 10. La piena e corretta realizzazione della riforma prevista dalla legge 180 richiedeva un adeguato dispiegamento di risorse finanziarie. Il fattore economico assume una rilevanza decisiva non solo nell assistenza psichiatrica pubblica italiana, ma anche a livello più generale e mondiale. Nel 1993, il World Development Report, preparato dalla World Bank, è stato dedicato per la prima volta ai problemi della salute. La stima del Global Burden of Disease ha dimostrato che i costi delle 9 D. Lasagno, Oltre l Istituzione. Crisi e riforma dell assistenza psichiatrica a Torino e in Italia, Milano, Ledizioni, 2012, p. 180 e ss. 10 F. Ongaro Basaglia, Prefazione, in F. Basaglia (a cura di), Che cos è la psichiatria?, Milano, Baldini&Castoldi, 1997, p. 7.

malattie neuropsichiatriche sono decisamente superiori, almeno più del doppio, rispetto a quelli delle neoplasie e delle cardiopatie ischemiche 11. Riguardo all analisi dei costi della spesa sanitaria, in psichiatria è ancora poco diffusa la valutazione del burden of disease, ossia dell impatto economico delle malattie. Ciò è senz altro riconducibile alle peculiarità che la malattia mentale, sotto questo punto di vista, presenta rispetto ad altre patologie: molteplicità dei modelli eziologici; eterogeneità dei sintomi; indeterminatezze riguardo la diagnosi, la prognosi e il trattamento; servizi offerti che si collocano in una zona grigia tra sanità e assistenza sociale; possibilità che il paziente non sia in grado di decidere autonomamente sui trattamenti somministrati. E utile, inoltre, sottolineare che l efficacia degli interventi in psichiatria non può essere valutata tanto sotto il profilo della durata di vita, quanto, invece, sotto l aspetto del miglioramento della qualità di vita dei pazienti 12. La spesa sanitaria in Italia è oggi di circa 100 miliardi di euro, divisa in spesa pubblica (70%) e spesa privata (30%). Nell ambito del welfare, la difficile sostenibilità della crescente domanda di assistenza sanitaria, dovuta principalmente a un invecchiamento della popolazione, determina politiche di controllo e restrizioni della spesa sanitaria 13. Nella cura delle malattie mentali, l ausilio di farmaci diventa spesso indispensabile, ma è altrettanto necessario entrare in relazione con il paziente. L organizzazione sanitaria, tuttavia, perlomeno in Italia, non è in grado di sopportare i costi di una lunga terapia. Una delle dimostrazioni più vistose di tale assunto è la durata del Trattamento Sanitario Obbligatorio a cui sono sottoposti i malati in crisi psicotica acuta 14. In teoria, il TSO ha una durata di sette giorni, suscettibile di proroga solo in via eccezionale e sempre nel rispetto dell'iter amministrativo. Questo termine era stato fissato, dalla legge 180 e dalle sue applicazioni, con lo scopo di prevenire eventuali abusi, a garanzia dell'inviolabilità della libertà personale dell'infermo di mente. Di fatto, il TSO, nella maggioranza dei casi, viene rinnovato di volta in volta. Da un punto di vista clinico, tuttavia, il periodo del TSO, benché prorogabile, è forse sufficiente per ottenere i primi segni di una sedazione comportamentale, ma non l'esaurimento della fase psicotica, che a volte richiede anche mesi. Occorre tener conto del fatto che, nella maggioranza dei casi, può occorrere parecchio tempo prima di individuare la combinazione e la dose di farmaci più 11 Cfr. G. B. Cassano, A. Tundo, Lo spettro dell umore: psicopatologia e clinica, Milano, Masson, 2008, pp. 683-684. 12 F. Amaddeo, P. Bonizzato, M. Tansella, Valutare i costi in psichiatria, Roma, Il Pensiero Scientifico, 2002, cap. 4. 13 F. Gianfrate, Economia del settore farmaceutico, Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 20-25. 14 L art. 34 della legge n. 833 afferma che il trattamento obbligatorio della malattia mentale può svolgersi «in condizioni di degenza ospedaliera solo se esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengono accettati dall infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentono di adottare tempestive misure extraospedaliere».

adatta per curare il paziente 15. Sedare un paziente agitato, tuttavia, non significa affatto curarlo. Il farmaco ha un ruolo indispensabile nell urgenza: ha una sua efficacia peculiare nel diminuire le angosce incontenibili e destrutturanti del paziente, nel ridurne la pericolosità, nell aiutare e tranquillizzare i suoi familiari. Il farmaco, però, non dovrebbe sopprimere troppo bruscamente il sintomo impedendo così l elaborazione del disagio: ciò esporrebbe il malato a una destrutturazione ancora più pericolosa rispetto a quella veicolata dal sintomo psicotico. In altri termini, il farmaco dovrebbe essere sempre impiegato in funzione di una relazione terapeutica e pensato solo in tale prospettiva 16. Al riguardo, non si valuta a sufficienza l importanza di psicoterapie o di interventi nel sociale da affiancare alla terapia farmacologica. La presenza di servizi di psicoterapia negli ambulatori psichiatrici pubblici, a fronte anche delle crescenti ristrettezze finanziarie, risulta, infatti, fortemente ridimensionata 17. Vengono, perciò, frequentemente dimessi malati psicotici in condizioni di lieve miglioramento comportamentale e ancora sotto l'effetto del bombardamento farmacologico a cui il soggetto viene sottoposto per ridurre la durata del ricovero. Ci si può, dunque, domandare se sia corretto interrompere l'assistenza proprio quando si cominciano ad avere i primi miglioramenti. D altra parte, la situazione ideale da un punto di vista psichiatrico, andrebbe nella direzione di un accorciamento dei tempi di ricovero: una degenza che tenda a esaurirsi in un periodo limitato sollecita e mantiene vivo l interesse e le visite dei familiari; al contrario, una degenza che si prolunga al di là di un mese comporta il rischio di un abbandono psicologico del malato da parte dei familiari. Ciò, tuttavia, sarebbe indubbiamente corretto, sotto il profilo clinico ed etico, se funzionassero in modo adeguato ed efficiente i servizi psichiatrici territoriali. Tali considerazioni, invece, si scontrano con la realtà dei fatti: i centri addetti alla prosecuzione della cura, sono spesso insufficienti per una adeguata programmazione terapeutica che consenta un controllo quotidiano del malato, nonché un suo reinserimento nella vita sociale in genere. Concluso il periodo di ricovero, la presa in carico del malato da parte dei servizi psichiatrici territoriali è spesso lacunosa e insufficiente. Gli orientamenti in materia di salute mentale del Comitato nazionale di bioetica hanno opportunamente raccomandato l opera, presso i Dipartimenti di Salute Mentale, di un équipe multidisciplinare «in condizione di intervenire nelle 24 ore al domicilio, in ambulatorio, in ospedale, in residenze a vario grado di protezione, orientata alla riabilitazione, collegata con i 15 Cfr. P. Dell Acqua, Fuori come va? Famiglie e persone con schizofrenia. Manuale per un uso ottimistico delle cure e dei servizi, Milano, Feltrinelli, 2010, p. 221. 16 Cfr. G. Berti Ceroni, E. Paltrinieri, L ambulatorio psichiatrico pubblico, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1996, pp. 54-55. 17 Cfr., Berti Ceroni, E. Paltrinieri, op. cit., p. 90.

Comuni e gli altri servizi sanitari» 18. La presa in carico dei pazienti, delineata secondo questi requisiti ottimali richiede, tuttavia, un alto costo in termini di spazi, strumenti, risorse, professionalità. Costi che certamente non in tutte le realtà locali la spesa sanitaria è in grado di coprire. Il Progetto Obiettivo "Tutela della salute mentale" 1994-1996 19, in cui, come si è notato, trovò una prima applicazione concreta la legge 180, indicava come priorità l'istituzione del Dipartimento di Salute Mentale (DSM) in tutte le aziende sanitarie locali. Le strutture costitutive del DSM sono: - il Centro di Salute Mentale, sede organizzativa dell'équipe degli operatori e punto di coordinamento dell'attività sul territorio; - il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC); - le strutture semiresidenziali: il Day Hospital (in cui vengono attuati programmi terapeutici e riabilitativi a breve e medio termine) e il Centro Diurno 20 (struttura indirizzata a pazienti che necessitano di trattamenti a lungo termine con attività tese a prevenire il ricovero); - le strutture residenziali (piccole strutture con non più di 20 posti letto, atte ad accogliere pazienti dimessi dagli ospedali psichiatrici e cosiddetti "nuovi cronici") 21. Il Centro di Salute Mentale, nella prospettiva del Progetto Obiettivo, è la sede di elaborazione del progetto terapeutico. In esso lavora una équipe a carattere multiprofessionale, che svolge molteplici attività di prevenzione, cura e riabilitazione tra loro integrate, ed in particolare: attività di valutazione delle richieste che giungono da utenti, familiari, servizi sociali e medici di medicina generale; attività di filtro e prevenzione dei ricoveri psichiatrici; visite ambulatoriali; visite domiciliari; colloqui di supporto psicologico; psicoterapie individuali e di gruppo; terapia psicofarmacologica; attività di sostegno infermieristico; attività riabilitative e risocializzanti; interventi socio-assistenziali per gli utenti in carico; proposte di ricovero nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura e nelle altre strutture convenzionate; attività di filtro e di invio ad altri servizi specialistici, come pure a strutture semi-residenziali, riabilitative e residenziali del DSM o convenzionate; consulenze specialistiche a istituti o altri servizi, sia territoriali che ospedalieri; 18 Comitato nazionale per la bioetica, Psichiatria e salute mentale: orientamenti bioetici, 2000, in http://www.portaledibioetica.it/documenti/000014/000014.htm. 19 D.P.R. 07/04/1994, Approvazione del Progetto Obiettivo Tutela Salute Mentale 1998-2000, Gazzetta Ufficiale n. 274 del 22/11/99, in http://www.salute.gov.it/salutementale/documenti/po_salutementale_1994_96.pdf. 20 Il centro diurno è stato pensato come una struttura intermedia con finalità terapeutiche e riabilitative. Il Progetto Obiettivo Tutela della Salute Mentale 1998-2000 indica in 48 ore settimanali la fascia di apertura minima per i Centri Diurni. Solo il 29,4% dei centri diurni risponde a questo criterio. Il 70,6% ha un orario di apertura inferiore a 48 ore settimanali. Nel 66% dei centri non vi sono letti. Cfr. A. Maone, F. M. Candidi, C. Stentella (a cura di), Centri diurni. Dalla riabilitazione all intervento precoce, Roma, CIC Edizioni Internazionali, 2002, pp. 119-121. 21 Secondi alcuni la sopravvivenza moderna del manicomio è la «residenzialità manicomiale», cioè la condizione in cui un utente è trattenuto in una struttura assistita nelle 24 ore, per periodi prolungati, anche anni, senza un progetto personalizzato e di qualità: cfr. R. Piccione, Il futuro dei servizi di salute mentale in Italia, Milano, Franco Angeli, 2004, p. 66.

collaborazione con enti preposti alla tutela della salute mentale dei minori a rischio. In alcune situazioni, esso dispone di posti letto per situazioni di crisi o attività extraospedaliere. Le strutture residenziali e semiresidenziali rappresentano uno strumento essenziale del DSM per portare a termine il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici e per fornire una adeguata assistenza ai pazienti più gravi offrendo loro un contesto abitativo soddisfacente, non potendo vivere da soli o nelle famiglie di origine. Lo standard previsto è di un posto letto ogni 10.000 abitanti. Il Progetto Obiettivo "Tutela della salute mentale" 1998-2000 22 completa il precedente allo scopo di definire in modo specifico la "missione" del DSM. Fra gli obiettivi prioritari è segnalata «l attuazione da parte dei servizi di salute mentale di una prassi e di un atteggiamento non di attesa, ma mirati a intervenire attivamente e direttamente nel territorio (domicilio, scuola, luoghi di lavoro ecc.), in collaborazione con le associazioni dei familiari e di volontariato, con i medici di medicina generale e con gli altri servizi sanitari e sociali». I due Progetti Obiettivo sono stati solo parzialmente applicati. Di fatto, mancano alcuni SPDC, specialmente nelle grandi città, ed alcune strutture residenziali nel centro-sud del paese. Per raggiungere lo standard di un operatore ogni 1500 abitanti, mancano circa 2000 operatori. I servizi per la tutela della salute mentale dell età evolutiva sono deboli ed insufficienti, sino al punto che non esistono rilevazioni nazionali che ne valutino la consistenza. Si tratta peraltro di un presupposto irrinunciabile per evitare che i DSM gestiscano pazienti giovanissimi la cui gravità, almeno in parte, è riconducibile all abbandono subito negli anni dell adolescenza e dell infanzia. La sofferenza mentale si accompagna molto spesso a condizioni di disagio sociale: abitativo, lavorativo e relazionale. Un DSM ben funzionante avrebbe, quindi, necessità di contare, direttamente o indirettamente, su risorse economiche e sociali: in questa prospettiva, il Comune dovrebbe contribuire alla tutela della salute mettendo a disposizione degli utenti del DSM agevolazioni per l accesso alle case e per l inserimento lavorativo 23. La diretta conseguenza della mancata o insufficiente assistenza elargita dai servizi territoriali è stata la sostanziale e pressoché totale presa in carico del malato psichico da parte delle famiglie. Questa rappresenta senz altro la questione maggiormente spinosa, e dalle conseguenze più drammatiche, riguardante l applicazione della legge 180: «specie nel primo decennio, gran parte del carico fu sostenuto per un lato dalle famiglie dei pazienti, con grandissimi sacrifici e non poche vere tragedie, e per un altro lato dalle cliniche private, i cui proprietari erano ben lieti di lucrare sulle rette di degenza rimborsate dalle regioni» 24. Lo stesso Comitato nazionale per la bioetica non ha 22 D.P.R. 01/11/99, Approvazione del Progetto Obiettivo Tutela Salute Mentale 1998-2000, Gazzetta Ufficiale n. 274 del 22/11/99, in http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubblicazioni_558_allegato.pdf. 23 Cfr. R. Piccione, Il futuro dei servizi di salute mentale in Italia, Milano, Franco Angeli, 2004, pp. 60-62. 24 G. Corbellini, G. Jervis, La razionalità negata, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, p. 149.

risparmiato critiche su questo aspetto: «la chiusura dei manicomi ha avviato un processo liberatorio, ma ha anche creato problemi per le famiglie, quando esse sono state lasciate sole, a causa del lento processo di realizzazione di strutture alternative e di assistenza domiciliare» 25. Certo, lo spirito della legge 180 richiedeva, e richiede, il coinvolgimento delle famiglie nella formulazione e nella attuazione del piano terapeutico: tale coinvolgimento, tuttavia, dovrebbe essere volontario, nonché sostenuto e monitorato dal servizio territoriale, a tutela sia del paziente che dei suoi familiari. Nella realtà, invece, sono stati interamente delegati ai familiari il peso e la responsabilità della cura del paziente; al peso e alla responsabilità, si aggiunge il rischio della propria incolumità personale, soprattutto nei casi in cui il malato è affetto da patologie che possono indurre facilmente a comportamenti aggressivi. Riguardo a questo particolare aspetto, l Associazione per la riforma dell assistenza psichiatrica (ARAP) rappresenta una delle voci più critiche della legge 180. La presidente dell ARAP, Maria Luisa Zardini, in un opera del 1986 in cui raccoglie alcune testimonianze di persone quotidianamente alle prese con le violenze di familiari malati, formula in modo molto esplicito alcune considerazioni che, forse, andrebbero tuttora tenute in considerazione dal Legislatore e dagli amministratori della sanità pubblica: Per quanto ridotti all esasperazione e alla disperazione da convivenze impossibili e devastanti, questi familiari dei malati e soprattutto le madri, cui spesso finisce per essere addossato il peso dell assistenza non cessano di provare per il loro congiunto malato e persecutore il più commovente degli affetti né cessano di adoprarsi per salvarlo, anche nelle situazioni più drammatiche, dal manicomio giudiziario (che paradossalmente ancora esiste). Questa è la realtà più diffusa che le distorsioni paranoicali della cultura antipsichiatrica hanno cercato per anni di diffamare. Ma anche là dove la realtà è diversa, anche là dove i familiari rifiutano di convivere con il congiunto malato, perché mai questi familiari dovrebbero essere criminalizzati o denunciati alla pubblica esecrazione? (...) E poi, dove sta scritto che un cittadino debba avere la sua esistenza personale letteralmente avvelenata e distrutta solo perché gli è toccato in sorte d avere un figlio o un fratello o una madre colpiti da psicosi? 26. Riportiamo da una fonte diversa, un altra testimonianza dal tono molto provocatorio, ma assai utile per comprendere, seppur nei suoi lati estremi, i termini della questione: Loro possono, rifiutare ogni trattamento medico e poco importa che il loro legittimo (?) rifiuto si traduca in botte, aggressioni, case distrutte, famiglie in frantumi, padri che implorano la morte un giorno si e l'altro pure. Io non sono libero di non indossare il casco perché se mi sfascio la testa e resto paralitico produrrò dei costi per la società; io non posso non allacciare la cintura di sicurezza perché se mi spezzo la spina dorsale la collettività dovrà corrispondermi la pensione di invalidità e l'indennità di 25 G. Berlinguer, Presentazione, in Comitato nazionale per la bioetica, Psichiatria e salute mentale: orientamenti bioetici, cit. 26 M. L. Zardini, La tragedia psichiatrica, Milano, SugarCo, 1986, p. 15.

accompagnamento. Solo i malati di mente hanno la libertà totale, assoluta, incondizionata, di non farsi curare. Tanto non ci sono costi per la collettività, pagano solo i loro familiari, picchiati ogni giorno, massacrati, impauriti, intimiditi. Ma non è vero si dirà: la legge prevede il TSO, il trattamento sanitario obbligatorio. Bugia madornale! Scatta solo se il malato va in escandescenza (se si mette sul cornicione e minaccia di buttarsi giù o se passeggia nudo per strada). E se picchia la madre dicendo che glielo ha ordinato la Madonna? E se massacra di botte il padre perché gli ha comprato la fettina "avvelenata"? E se decide di barricarsi in camera in preda ad una crisi depressiva e non esce per giorni, settimane, mesi, senza lavarsi a rotolarsi nei suoi escrementi? Cosa accade in questi casi? NULLA. E poi te lo raccomando il TSO! 8 giorni, non di più, ad imbottirlo di psicofarmaci e poi rispedirlo a casa e tutto ricomincia. Ma ci sono i servizi territoriali? Ma dove? In ogni caso se ci sono funzionano solo se l'ammalato è collaborativo 27. Riportiamo, di seguito, altre significative testimonianze di familiari di fronte alla conseguenze pratiche della legge 180: Un fratello: «non ne posso più, se ritorna me ne vado di casa. Quando lo vedo non sono più sicuro di me stesso, vivo nell angoscia, ho paura che la sua follia esploda da un momento all altro (...). Lei deve capirmi, è un inferno con lui. Una notte mi sono svegliato e l ho trovato con il coltello in mano che minacciava mia madre, un altra volta sono arrivati i carabinieri per dirmi che l avevano preso mentre giravo nudo sul corso (era pieno inverno), un altre volta ancora l ho visto arrivare con alcuni sacchi di immondizia raccolti in mezzo alla strada. Questa del pattume poi è stata la goccia che mi ha messo in crisi. Ha riempito tutta la casa, compresi pianerottolo e scale, dicendo che l avrebbe rivenduto e che avrebbe fatto molti soldi (...). L ho portato dagli specialisti e ho speso un capitale. Mi sono rivolto anche a quelli della mia USL che mi hanno risposto: se suo fratello non vuole guarire non possiamo farci nulla. Bella risposta vero? Ecco il risultato della 180. Le famiglie che hanno malati di mente in casa sono oggi come minireparti psichiatrici. E giusto portare una simile croce perché la nostra società non è in grado di organizzare una seria assistenza?». Un padre: «mio figlio si è ammalato dopo la maturità liceale. Un giorno si è fatto tagliare i capelli a zero, si è messo una parrucca e ha cominciato a guardare fisso nel vuoto. Soffre di psicosi dissociativa (...). Alla fine dello scorso anno, una notte, ha aggredito sua madre pestandola a sangue. Per fermarlo ho dovuto chiamare i carabinieri (...). Ero così stanco che 12 mesi fa ho deciso di smettere di lavorare e di dedicarmi completamente alla famiglia. E stato un errore perché fra queste quattro mura non posso che respirare ansia. siamo tutti nervosi e i nostri rapporti sono cambiati. La serenità è un ricordo del passato. Qualche volta con mia moglie mi chiedo se vale ancora la pena vivere. Se sono in piedi è perché ho un figlio di 17 anni che ha bisogno di me. Con un matto in casa, mi creda, è un castigo. Non riesci più a muoverti, non puoi permetterti neanche un ora di vacanza. Sei sempre teso per non essere colto di sorpresa». Due genitori: «Tenetelo un po qui, vi prego. Tornerò a prenderlo tra poche ore. I medici del reparto psichiatrico di Brescia che la mattina del 13 gennaio di quest anno, infrangendo per pietà le stratte regole che impediscono il ricovero non volontario di un paziente, avevano accettato di custodire per poco tempo un giovane schizofrenico (...), 27 http://www.vittimedella180.org.

avrebbero saputo solo dopo molte ore che nessuno sarebbe più tornato a prendere il ragazzo. I genitori, infatti, lo avevano affidato alla clinica (...) per procurarsi quel tanto di tempo necessario a suicidarsi entrambi (...). Entrambi, prima di morire, avevano lasciato un messaggio scarno e terribile: E colpa della 180». Storie di donne: «sono la mamma disperata di un giovane di 31 anni, ammalato di mente. Di notte non mi fa riposare e di giorno ne combina di tutti i colori. Fuma tre pacchetti di sigarette, beve caffè e liquori a volontà. Se non gli diamo i soldi va in giro a chiedere l elemosina. Per strada dà fastidio a tutti, specialmente alle ragazze. A volte in casa, quando sono sola, si spoglia nudo e incomincia a minacciarmi urlando che devo fare l amore con lui»; «vivo col terrore delle forti crisi di mia figlia che è schizofrenica. Oltre alle tremende offese che mi lancia, mi dice che vuole ammazzarmi. Proprio ieri ha preso un coltello e mi ha inseguita per tutta la casa urlando che voleva tagliarmi la gola. Ho fatto appena in tempo a chiudermi in una stanza, immaginatevi in quale stato. Sono ridotta allo stremo, ho 88 anni. Conservo ancora una discreta energia, sono autosufficiente, ma peso appena 33 chili (...). Proprio non si può fare nulla?»; «sono la madre di un malato mentale, sono vedova, ho 71 anni e sono sola. Mio figlio grida sempre e ce l ha con tutti. Si chiude nella sua camera e non vuole vedere nessuno, ne esce solo all ora dei pasti, quando vuole lui; inoltre, povero figlio, gli mancano tutti i denti e non accetta di farsi fare una dentiera; perciò sono costretta a fargli pasti morbidi, gradevoli, costosi ed abbondanti. Vive nella sporcizia più totale ed io non posso fare nulla, altrimenti dà in escandescenze. Non posso dirle tutto ciò che combina in casa. Da parte mia, da quando è stata emessa detta legge, non ho più pace, sono sette anni che non ho più un giorno di riposo, sono ammalata anch io e sono molto esaurita» 28. Un punto di vista autorevole, sulla situazione dei familiari dei malati psichici, proviene dal Comitato nazionale di bioetica: il modello italiano, patrocinato dall Organizzazione Mondiale della Sanità, ha influenzato le politiche di salute mentale in molti altri paesi, tese a sostituire i manicomi con forme di assistenza territoriali più efficaci ed efficienti. Tuttavia, a distanza di oltre venti anni dalla sua entrata in vigore, è quanto mai necessaria una seria riflessione sulla sua concreta applicazione, al di là del pur importante completamento della chiusura degli Ospedali Psichiatrici. Tale chiusura, infatti, a causa dell assenza o del cattivo funzionamento delle strutture alternative, come per es. i Servizi psichiatrici di diagnosi e cura negli ospedali (quali strutture intermedie tra territorio e ospedali), rischia di produrre nuovi problemi, in primo luogo sulla salute del singolo, ma anche sull equilibrio, sull economia e sulla stessa salute della famiglia, a cui rimane il maggior onere, spesso insopportabile, di sostegno del congiunto sofferente. Infatti nei casi in cui i servizi non sono in grado di fornire programmi terapeutico-riabilitativi territoriali realmente efficaci, con un profondo impegno verso il paziente, le famiglie restano i referenti principali dell assistenza, e ciò dà luogo spesso all abbandono o anche all innesco di reazioni violente, che sono talvolta all origine di gravi fatti di cronaca 29. 28 D. Lasagno, op. cit., pp. 171-173. 29 Comitato nazionale per la bioetica, Psichiatria e salute mentale: orientamenti bioetici, cit., 4.

Lo stesso Comitato indica, tra le soluzioni auspicabili, «la presa in carico di malati gravi che rifiutano sia le cure mediche che quelle psichiatriche e sono a rischio di comportamento violento» 30. Ciò che, infatti, la legge 180 pare aver messo tra parentesi, sin dall inizio, è la gestione dei casi più seri, in particolare riguardanti i soggetti schizofrenici: «non erano state previste nuove strutture per i ricoveri a lungo termine, sia per le persone ormai cronicizzate da anni di manicomio, sia per i nuovi casi. Era diffusissima l illusione che se da quel momento fosse stato impedito un nuovo processo di cronicizzazione iatrogena, allora quasi nessuno sarebbe diventato un paziente a lungo termine» 31. Occorre, infatti, evidenziare quello che troppe volte viene taciuto o minimizzato. Se è vero, infatti, che la percentuale di omicidi commessi non è più elevata tra i malati di mente rispetto alla popolazione generale 32, è vero anche che quando essi uccidono o commettono violenze le loro principali vittime sono proprio i familiari: «ben più spesso dei sani di mente gli omicidi alienati uccidono familiari o parenti: i quali costituiscono oltre i 2/3 delle loro vittime; all opposto, è ben più raro fra gli alienati che fra i soggetti normali l omicidio di persone sconosciute» 33. Riguardo, in particolare, agli schizofrenici, si deve annotare che la maggior parte di loro non è più pericolosa per gli altri rispetto a un qualunque soggetto dotato di normale salute mentale; tuttavia, occorrerebbe anche aggiungere che molti studi hanno riportato che i «soggetti affetti da schizofrenia hanno un incidenza più elevata di comportamento aggressivo e violento» 34. Anche patologie più diffuse e non propriamente classificate come psicotiche possono, inoltre, determinare manifestazioni di grande aggressività nei confronti dei familiari: i soggetti affetti da disturbo bipolare, ad es., durante gli episodi maniacali, possono manifestare «violenza verso i bambini, verso il coniuge o altri comportamenti violenti» 35. La malattia mentale esiste in quanto tale e non può essere ricondotta, come forse qualche incauto interprete della legge 180 ha pensato, solo a questioni di ordine sociale o politico. D altra parte, lo stesso Basaglia non aveva mai messo in discussione questo principio, benché l espressione, di stampo fenomenologico, mettere tra parentesi la malattia, da lui tipicamente utilizzata, fu spesso fraintesa: «non voglio con questo dire che la malattia non esiste, ma che noi produciamo una sintomatologia il modo di esprimersi della malattia a seconda del modo col quale pensiamo di 30 Ibidem. 31 G. Corbellini, G. Jervis, La razionalità negata, cit., pp. 152-153. 32 Cfr. G. Dodaro, La posizione di garanzia degli operatori psichiatrici. Giurisprudenza e clinica a confronto, Milano, Franco Angeli, 2011, p. 178 e ss.: «la grande maggioranza delle persone con disturbi mentali non commette atti violenti e il loro contributo al tasso di violenza nella società, almeno in quelle in cui il fenomeno è stato studiato è trascurabile». 33 G. Canuto, S. Tovo, Medicina legale e delle assicurazioni, Padova, Piccin, 1996, p. 330. 34 V. Andreoli, G. B. Cassano, R. Rossi (a cura di), DSM-IV-TR. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Masson, 2007, p. 333. Tra i maggiori predittori di comportamento violento troviamo il sesso maschile, l età più giovane, la non aderenza al trattamento neurolettico. 35 Ivi, pp. 415-416.

gestirla, perché la malattia si costruisce e si esprime sempre a immagine delle misure che si adottano per affrontarla» 36. Se vanno obbligatoriamente, e giustamente, tutelati i diritti delle categorie vulnerabili, cioè dei malati, ciò non toglie che debbano essere garantiti anche i diritti di coloro che sono apparentemente meno fragili, i cosiddetti normali, che pagano prezzi altissimi, in termini umani, sociali, economici, finanche di incolumità fisica, nel condividere e curare la sofferenza psichica di familiari malati, spesso in modo cronico. Ciò risulta ancora più discutibile se si considera che si viene inevitabilmente a creare una discriminazione tra coloro che possono finanziariamente permettersi di provvedere a un assistenza privata, continuativa e appropriata, per il familiare malato e coloro che non ne hanno, invece, i mezzi e possono affidarsi solo alle strutture pubbliche che, come abbiamo rilevato, sono spesso gravemente inadeguate. E stato rilevato che nelle famiglie in cui è presente un disabile cresce il bisogno di assistenza, non solo sanitaria, anche degli altri membri della famiglia: tale bisogno aumenta addirittura del 20-40% in più nelle famiglie in cui il malato sia un paziente psichico e comporta un progressivo scivolamento verso forme di impoverimento economico 37. Un notevole passo in avanti nella direzione di una maggiore integrazione socio-sanitaria a tutela delle famiglie è costituito dalla legge 328/2000, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, che ha richiamato la responsabilità degli ambiti territoriali nella presa in carico di soggetti con gravi problemi mentali. Il sistema integrato coinvolge gli enti locali, le Regioni, lo Stato, le associazioni del terzo settore e promuove la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti. Essa prevede che «i soggetti in condizioni di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali, accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e servizi sociali» 38. Il sistema integrato «riconosce e sostiene il ruolo peculiare delle famiglie nella formazione e nella cura della persona, nella promozione del benessere e nel perseguimento della coesione sociale; sostiene e valorizza i molteplici compiti che le famiglie svolgono sia nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana; sostiene la cooperazione, il mutuo aiuto e l'associazionismo delle famiglie; valorizza il ruolo attivo delle famiglie nella formazione di 36 F. Basaglia, Ideologia e pratica in tema di salute mentale, 1975, in Id., Scritti, vol. 2, Torino, Einaudi, 1981-82, p. 240. 37 Caritas Italiana, Fondazione E. Zancan, La rete spezzata. Rapporto su emarginazione e disagio nei contesti familiari, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 288. 38 Legge 328/2000, capo I, art. 2, comma 3.

proposte e di progetti per l'offerta dei servizi e nella valutazione dei medesimi» 39. In concreto, sono previste «prestazioni di aiuto e sostegno domiciliare, anche con benefici di carattere economico, in particolare per le famiglie che assumono compiti di accoglienza, di cura di disabili fisici, psichici e sensoriali e di altre persone in difficoltà, di minori in affidamento, di anziani»; e «servizi di sollievo, per affiancare nella responsabilità del lavoro di cura la famiglia, ed in particolare i componenti più impegnati nell'accudimento quotidiano delle persone bisognose di cure particolari ovvero per sostituirli nelle stesse responsabilità di cura durante l'orario di lavoro» 40. L Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale (UNASAM) ha sintetizzato in alcuni punti essenziali cosa significa riconoscere concretamente la dignità e i diritti non solo dei malati di mente, ma anche dei loro familiari: assistenza adeguata sia nelle fasi di cronicità che in quelle di acuzie ed emergenze; riabilitazione psico-sociale continuata, e cioè abitativa, lavorativa e con servizi di supporto (cure domiciliari, colf, ecc.) nella propria zona di residenza e con il coinvolgimento delle famiglie; uso razionale e moderato degli psicofarmaci 41. Dal 2008 a oggi, sono giacenti nove proposte o disegni di modifica della legge 180, di cui sette alla Camera e due al Senato 42. I tratti comuni delle diverse proposte di modifica riguardano: obbligatorietà delle visite domiciliari; modifica del TSO; aumento dei posti letto, anche in strutture accreditate; istituzione di fondi regionali per le famiglie che vivono con un paziente malato. La Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati nella seduta del 17 maggio 2012 ha deliberato di adottare una proposta unificata, dal titolo Disposizioni in materia di Assistenza Psichiatrica, avente come riferimento il testo base elaborato dal relatore Carlo Ciccioli. A partire dal 18 luglio, la Commissione ha iniziato l esame degli emendamenti presentati al testo unificato. Da più parti si sono levate voci, anche molto aspre, di dissenso: in linea generale, l accusa è di un ritorno alla istituzionalizzazione e a forme più o meno striscianti di manicomialità che si credevano ormai largamente superate. La proposta di legge è, tuttavia, riuscita ad attirarsi unanimemente sia le critiche della Società Italiana di Psichiatria, sia il dissenso delle varie associazioni di familiari di pazienti psichici. La Società Italiana di Psichiatria (SIP) coglie un primo limite nella scelta di varare una legge specifica sull assistenza psichiatrica, al di fuori del quadro giuridico complessivo che regola l assistenza sanitaria, col rischio di realizzare una pesante stigmatizzazione dei malati affetti da 39 Legge 328/2000, capo III, art. 16, comma 1. 40 Legge 328/2000, capo III, art. 16, comma 3. 41 F. Raggi (a cura di), Unione nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale (UNASAM), in E. Venturini, N. Gramantieri, L. Degano, La malattia del vento. Uno sbocco possibile al dramma della cronicità, Rimini, Guaraldi, 1995, pp. 89-90. 42 Proposte giacenti alla Camera dei Deputati: Marinello et al., n. 919 (08/05/08); Guzzanti et al., n. 1423 (01/07/08); Barbieri n. 1984 (04/12/08); Ciccioli et al., n. 2065 (15/01/09); Jannone, n. 2831 (19/10/09); Picchi, Carlucci, n. 2927 (12/11/09); Garagnani et al., n. 3038 (14/12/09). Disegni di legge giacenti al Senato: Carrara et al., n. 348 (06/05/08); Rizzi, Boldi, n. 1423 (04/03/09).