Cass., 31 gennaio 2011, n Correzione ampia per le dichiarazioni anche in sede di contenzioso. di Carmelo Grimaldi

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Correzione ampia per le dichiarazioni anche in sede di contenzioso di Carmelo Grimaldi Dichiarazione dei redditi sempre emendabile, non solo in sede di rimborso, ma anche in fase di contenzioso. È quanto precisato dalla sentenza n. 2226 del 2011 della Corte di cassazione, secondo cui il contribuente può sempre rettificare la dichiarazione per errori di fatto o di diritto, se lo fa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria. Con la sentenza n. 2226 del 2011 (1), la Cassazione ribadisce il principio sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza 25 ottobre 2002, n. 15063 (2), che ha risolto un lungo contrasto giurisprudenziale, sancendo il principio della piena emendabilità delle dichiarazioni fiscali (3). Con la nuova pronuncia, in particolare, il giudice di legittimità chiarisce che la modificabilità della dichiarazione può avvenire addirittura in sede contenziosa per contrastare una maggiore pretesa avanzata dall Amministrazione finanziaria. Il principio di piena emendabilità della dichiarazione Con la richiamata sentenza n. 15063 del 2002 le Sezioni Unite hanno accolto la tesi interpretativa che afferma - in linea di principio - emendabile e ritrattabile ogni dichiarazione dei redditi che risulti frutto di un errore del dichiarante nella relativa redazione «sia tale errore testuale o extratestuale, di fatto o di diritto», quando da essa possa derivare l assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che per legge devono restare a suo carico. Secondo la Suprema Corte nessun limite temporale all emendabilità ed alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi può essere desunto dalla normativa vigente negli anni 1993 e 1994 in relazione alla fattispecie in questione. Infatti, le disposizioni contenute nell art. 9, commi 7 e 8, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, «per come reso Carmelo Grimaldi - Avvocato e Dirigente presso l Agenzia del territorio (1) Per il testo della sentenza cfr. pag. 1272. (2) In Banca Dati BIG, IPSOA. (3) Sulla complessa problematica della ritrattabilità della dichiarazione si vedano: F. Petrone, «Presupposti e limiti dell emendabilità, con il ravvedimento o attraverso la presentazione di dichiarazione integrativa, dell omessa indicazione in dichiarazione dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti in Stati e territori a fiscalità privilegiata», in il fisco n. 6/2006, pagg 1-863; M. Chiorazzi e A. Iacono, «Modalità e termini per la correzione delle dichiarazioni fiscali:problematiche applicative ed orientamento della giurisprudenza di legittimità», in il fisco n. 4/2006, pagg. 1-524; A. Carotenuto, «La dichiarazione correttiva: profili sanzionatori», in il fisco n. 10/2005, fasc. n. 1, pag. 1487; E. Mazzella, «Sulla ritrattabilità delle dichiarazioni fiscali», in il fisco n. 22/2004, fasc. n. 1, pag. 3336; R. Dolce, «Ritrattabilità della dichiarazione dei redditi: spunti di riflessione anche alla luce della sentenza n. 4238/2004 della Corte di Cassazione», in il fisco n. 41/2004, pag. 6982; T. Sciarra, «La dialettica tra giurisprudenza e normativa in tema di rettificabilità della dichiarazione tributaria», in Rass. trib. n. 1/2004, pag. 117; E. Grassi, «Ancora un chiarimento - questa volta da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - sull emendabilità e la ritrattabilità delle dichiarazioni dei redditi», in il fisco n. 7/2003, fasc. n. 1, pag. 989; S. La Rocca, «La ritrattabilità delle dichiarazioni fiscali alla luce delle novità rese dal D.P.R. n. 435/2001 e a seguito dell attesa pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione depositata lo scorso 25 ottobre 2002», in il fisco n. 43/2002, fasc. n. 1, pag. 6841. E. De Mita, «Un passo verso la codificazione», in Il Sole - 24 Ore del 30 ottobre 2002, pag. 25. 1266

Dichiarazioni manifesto dal loro tenore letterale, hanno riguardo alla rimozione di omissioni e alla eliminazione di errori suscettibili di importare un pregiudizio per l Erario e non attengono alla emendabilità e ritrattabilità di dichiarazioni idonee, perché oggettivamente errate, di pregiudicare il contribuente dichiarante». Nello stesso 2002 anche la Sezione tributaria, con la sentenza n. 8972 (4), riferita agli adempimenti connessi all imposta di successione, aveva evidenziato che i principi della capacità contributiva e di buona amministrazione rendono «intollerabile» un sistema legale che impedisca al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l inesistenza di fatti giustificativi del prelievo. A tale conclusione il giudice di legittimità era pervenuto sulla base del principio della collaborazione e della buona fede, «immanente» all imposizione tributaria, che deve improntare i rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente. Secondo la Suprema Corte tale principio costituisce una «vera e propria clausola generale» esistente nel sistema anche prima dell espresso riconoscimento contenuto nell art. 10, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212. Sul problema generale della emendabilità degli errori contenuti in dichiarazione o comunque in atti provenienti dallo stesso contribuente che costituiscono presupposto per l imposizione tributaria, in precedenza non si erano avute risposte univoche della giurisprudenza. Il primo indirizzo si muove nella direzione della flessibilità e parte dal presupposto che le dichiarazioni fiscali sono dichiarazioni di scienza non negoziali e, dunque, strumenti con i quali portare dati a conoscenza dell Amministrazione finanziaria. Si tratta, quindi, di dichiarazioni modificabili a patto che non sia intervenuta la prescrizione del debito restitutorio del Fisco. L errore del contribuente rileva nel senso che il debito statale alla restituzione di quanto preso indebitamente sorge nel momento in cui l Amministrazione viene informata del fatto prima non dichiarato. Si tratta di una visione fiduciaria improntata al principio di collaborazione e buona fede tra chi paga le tasse e chi le riscuote. Tale indirizzo era stato assunto nella sentenza 9 febbraio 1999, n. 1088 (5) nella quale si era stabilito che l Amministrazione finanziaria non può procedere alla rettifica dell originaria dichiarazione dei redditi di società di capitali qualora questa abbia provveduto alla rettifica della originaria dichiarazione, ancorché oltre il termine di un mese dall approvazione del bilancio, posto che per la rettifica della dichiarazione da parte del contribuente non è previsto un termine specifico e pertanto la stessa può essere presentata quando non si siano verificate preclusioni di natura processuale o concernenti la contestazione del debito tributario. E ancora, con sentenza 3 luglio 1997, n. 5989 (5), era stata ritenuta ammissibile la richiesta di rimborso dell imposta locale sui redditi precedentemente versata in base alla erronea dichiarazione e contabilizzazione come «sopravvenienza attiva» delle somme percepite a titolo di risarcimento del danno, allegando l inesistenza totale dell obbligo di pagamento, in quanto con tale istanza ben poteva essere richiesto anche il rimborso di imposte versate per errore di diritto. In tale fattispecie la Cassazione aveva addossato al contribuente l onere di provare l errore commesso e di dimostrare che le somme indicate genericamente come «sopravvenienze attive» non corrispondano ad alcun elemento reddituale ma derivano appunto dal risarcimento del danno. Il secondo orientamento è molto più rigido e pur ammettendo che le dichiarazioni sono dichiarazioni di scienza e non di volontà, non transige sui tempi a disposizione per eventuali correzioni. I termini per la correzione coincidono con quelli della presentazione della dichiarazione perché non è possibile vanificare i termini posti dalla legge per le dichiarazioni fiscali. Tale indirizzo era stato sostenuto dalla Cassazione nella sentenza 1 agosto 2000, n. 10055 (5), secondo cui le dichiarazioni fiscali del contribuente, costituendo il presupposto di avvio di un procedimento di diritto pubblico come tale caratterizzato da esigenze di razionale svolgimento e dalla aspirazione al conseguimento di risultati di stabilità, comportano l automatismo degli effetti propri degli atti giuridici in senso stretto. Le dichiarazioni (4) Cass., 20 giugno 2002, n. 8972, in GT - Riv. giur. trib. n. 9/2002, pag. 800, con commento di B. Ianniello, e in Banca Dati BIG, IP- SOA. (5) In Banca Dati BIG, IPSOA. 1267

sono assoggettate a vincoli di forma e di tempo che inducono ad affermare la loro irretrattabilità. Pertanto, le dichiarazioni, al di fuori dalle ipotesi di errori materiali o di calcolo, che non richiedono un espressa rettifica in quanto desumibili ab intrinseco dalla stessa dichiarazione, potevano essere emendate e sostituite entro i termini previsti per una valida dichiarazione. Con la sentenza n. 15063 del 2002 le Sezioni Unite hanno affermato la piena emendabilità e rettificabilità della dichiarazione che può avvenire senza alcuna limitazione, sia nell ipotesi in cui l errore riguardi circostanze di fatto sia nelle ipotesi in cui si sia in presenza di errori di diritto. Dal punto di vista sistematico le Sezioni Unite hanno evidenziato che la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio modificabile in ragione dell acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione dei dati riferiti. La dichiarazione non costituisce, quindi, titolo dell obbligazione tributaria, ma integra un momento dell iter procedimentale inteso all accertamento di tale obbligazione e all accertamento delle ragioni erariali che ne sono l oggetto. La tesi enunciata nella sentenza n. 15063 del 2002 è anche fondata su una riflessione di «principio»: un sistema normativo che negasse radicalmente la rettificabilità della dichiarazione e si proponesse di sottoporre il contribuente, sulla base di tale atto, ad un prelievo fiscale sostanzialmente indebito, si rileverebbe difficilmente compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva e dell oggettiva correttezza dell azione amministrativa. La rimovibilità degli effetti della dichiarazione dei redditi trova poi riscontro, secondo la Suprema Corte, nella previsione di cui all art. 38, primo comma, del D.P.R. n. 600/1973, sulla possibilità di rimborso che contempla anche espresso rimedio giurisdizionale contro la reiezione della relativa istanza. Risulta, quindi, una mera conseguenza il fatto che la domanda recuperatoria possa essere esperita, nei limiti temporali previsti, per ottenere la restituzione anche del tributo diretto versato in SOLUZIONI OPERATIVE Emendabilità della dichiarazione Il principio di piena emendabilità e rettificabilità della dichiarazione può concretamente esplicarsi in tre diverse modalità: istanza di rimborso, rettifica della dichiarazione ed emendabilità in fase contenziosa. autotassazione e perciò anche delle imposte pagate in adempimento degli obblighi risultanti dalla dichiarazione sull allegato presupposto dell erroneità. Il principio di piena emendabilità e rettificabilità può concretamente esplicarsi in tre diverse modalità: istanza di rimborso, rettifica della dichiarazione ed emendabilità in fase contenziosa. La rettifica in fase contenziosa e i redditi da locazione La sentenza in commento trae origine da una cartella di pagamento con cui veniva richiesto al contribuente il versamento delle somme relative ai recuperi a tassazione effettuati dall Amministrazione finanziaria in relazione ai canoni di locazione da questi portati in deduzione nella dichiarazione del 1998, perché non percepiti (6). Il contribuente impugnava la cartella ma la Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso. La decisione veniva confermata, poi, anche dai giudici d appello, che rilevavano che la «mancata riscossione dei canoni di affitto» non costituiva un onere deducibile ai sensi dell art. 10 del T.U.I.R. all epoca vigente e, inoltre, che il contribuente, avendo percepito soltanto una parte dei canoni d affitto dal fallimento del locatario, avrebbe dovuto dichiarare soltanto la somma percepita, senza apportare alcuna deduzione. Il contribuente proponeva ricorso per cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione di svariati articoli del T.U.I.R., oltre che vizio di motivazione, atteso che la Commissione tributaria regionale avrebbe erroneamente statuito la correttezza della ripresa fiscale, vincolandosi ad un impostazione eccessivamente formalistica, ancorché il contribuente avesse dichiarato integralmente i canoni d affitto previsti da contratto, portando, poi, in deduzione la parte di essi non percepita. Secon- Nota: (6) Si veda A. Borgoglio, «Emendabilità della dichiarazione anche in contenzioso», in il fisco n. 7/2011, pag.1085 e D. Alberici, «La dichiarazione è sempre rettificabile», in Italia Oggi del 7 febbraio 2011, pag. 27. 1268

Dichiarazioni do il ricorrente, tale rappresentazione in sede dichiarativa coincideva sostanzialmente con quella prospettata dai giudici d appello come corretta, ovvero la sola indicazione della parte di canoni d affitto percepiti dal fallimento del locatario. Il ricorrente richiamava anche il principio statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 luglio 2000, n. 362 (7) secondo cui il riferimento al canone locativo anziché al reddito medio ordinario catastale può operare solo fino a quando risulti in vita il contratto di locazione, mentre quando la locazione sia cessata per scadenza del termine ovvero per qualsiasi causa di risoluzione (clausola risolutiva espressa o risoluzione a seguito di diffida ad adempiere), il riferimento al reddito locativo non è più praticabile. In effetti, con la citata sentenza interpretativa di rigetto, il giudice delle leggi ha fissato un orientamento di rilevante impatto in relazione all individuazione del periodo temporale nel quale va applicata la normativa di determinazione del reddito mediante i canoni. Secondo la Consulta la determinazione del reddito imponibile sulla base dei canoni, pur se non pagati, non può durare oltre la cessazione della vigenza del contratto, il quale si interrompe per la scadenza del termine pattuita tra le parti oppure per qualsiasi fenomeno risolutivo, come la clausola risolutiva espressa o la diffida ad adempiere. La Corte ha rilevato che il sistema del riferimento per la determinazione del reddito dei fabbricati al canone risultante dal contratto di locazione «è del tutto eccezionale» e ha «ristretti margini di rilevanza». Tale sistema, dunque, si deve applicare nella sola ipotesi in cui il reddito risultante dal canone di locazione, con le riduzioni previste dalla legge (tra le quali l art. 8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431), sia superiore a quello risultante dalla rendita catastale. Queste osservazioni ribadiscono la centralità del metodo che si affida al reddito medio LA GIURISPRUDENZA Redditi di locazione La Corte di cassazione non ha esaminato, nella sentenza n. 2226 del 2011, il problema sulla «quantificazione» dei redditi di locazione, tema in precedenza affrontato dalla Corte costituzionale secondo cui il riferimento al canone locativo anziché al reddito medio ordinario catastale può operare solo fino a quando risulti in vita il contratto di locazione, mentre, quando la locazione sia cessata per scadenza del termine ovvero per qualsiasi causa di risoluzione (clausola risolutiva espressa o risoluzione a seguito di diffida ad adempiere), il riferimento al reddito locativo non è più praticabile. ordinario catastale, il quale tiene adeguato conto della possibilità che il reddito effettivo possa divergere da quello pattuito per le più varie cause (maggiore o minore produttività e redditività, periodi di crisi, ecc.), «con semplificazioni e vantaggi, a seconda dei casi, per l Amministrazione finanziaria o per il contribuente, e nel rispetto del canone generale della ragionevolezza». Di conseguenza, secondo il giudice delle leggi, il riferimento al canone di locazione anziché alla rendita catastale, «potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico». Il riferimento al reddito locativo non sarà più praticabile, tornando in vigore la regola generale della determinazione del reddito su base catastale quando la locazione sia cessata per scadenza del termine contrattuale e il locatore pretenda la restituzione dell immobile essendo in mora il locatario per il relativo obbligo ovvero nel caso in cui si sia verificata qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi compreso quelle di inadempimento in presenza di una clausola risolutiva espressa con conseguente dichiarazione dell interessato di avvalersi di tale clausola (art. 1456 c.c.), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.). La risoluzione del contratto impedisce di configurare il pagamento, effettivo o solo presunto, come effettuato a titolo di canone, cui possa essere commisurata la base imponibile dell imposta sul reddito. Infatti, una volta che la risoluzione si sia verificata, l obbligazione del corrispettivo a carico del conduttore inadempiente per la restituzione ha natura risarcitoria e non rappresenta più un canone relativo a un rapporto di locazione, che è ormai risolto. Questi redditi risarcitori non possono, infatti, essere Nota: (7) In Banca Dati BIG, IPSOA. 1269

assoggettati alla regola eccezionale della determinazione del reddito dei fabbricati attraverso il canone di locazione, e in sostituzione dell ordinario reddito medio catastale. La Consulta ha evidenziato, peraltro, che lo stesso sistema tributario impone particolari modalità di registrazione della risoluzione del contratto di locazione; a tale evento risolutorio, che può concretarsi in una dichiarazione unilaterale, deve quindi riconoscersi rilevanza anche sul piano della tassazione delle imposte dirette. Tale tesi pone sostanzialmente un limite per riferire la tassazione al canone di locazione. Poiché giuridicamente il canone è dovuto al proprietario solo fino a quando risulta in vita il contratto di locazione, torna, invece, in vigore la regola generale dell ordinario reddito medio catastale quando la locazione sia cessata o si verifichi una qualsiasi causa di risoluzione del contratto. La complessa ricostruzione interpretativa della Corte costituzionale sui redditi di locazione non è stata esaminata dalla Corte di cassazione che, nella sentenza in analisi, si è limitata a rilevare come la questione in esame si riferisca ad un errore commesso dal contribuente nella dichiarazione dei redditi per l anno d imposta 1998, in cui aveva indicato integralmente i canoni d affitto contrattuali, portando poi in diminuzione quelli non percepiti, anziché indicare, una sola volta, unicamente quelli riscossi a seguito del fallimento del locatario. I giudici di legittimità, dopo avere richiamato la giurisprudenza pregressa in tema di emendabilità e ritrattabilità delle dichiarazioni fiscali, hanno stabilito che la possibilità di modificare quanto erroneamente indicato dal contribuente in sede di dichiarazione originaria è esercitabile «non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso ai sensi dell art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell Amministrazione finanziaria». LA GIURISPRUDENZA Rettifica delle dichiarazioni La Corte di cassazione ha affermato che il contribuente non può restare leso da oneri fiscali diversi e più gravosi di quelli che, in base alla legge, devono restare a suo carico. L affermazione del principio di emendabilità della dichiarazione non si concilia con il carattere necessitato della presentazione dell istanza di rimborso, che potrebbe risolversi in una delle conseguenze sfavorevoli dell errore di fatto e di diritto rettificato dal contribuente, se lo stesso non potesse optare per l utilizzazione del credito in anni successivi, sulla base di una dichiarazione emendativa, ancorché non prevista specificamente. In conclusione, pertanto, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso del contribuente e rinviato la causa ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale, che, nel decidere, dovrà attenersi ai principi sopra illustrati. La rettifica delle dichiarazioni La possibilità di rettificare le dichiarazioni è stata integralmente ridefinita dal regolamento sulle semplificazioni (D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435) che ha modificato il D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322. In particolare il comma 8-bis dell art. 2 prevede espressamente che il contribuente possa rettificare la dichiarazione a proprio favore entro il termine di presentazione di quella successiva. In questo caso non si applica nessuna sanzione e il credito che emerge dalla nuova dichiarazione può essere utilizzato anche in compensazione. Il comma 8 dello stesso art. 2 prevede, inoltre, che il contribuente possa integrare la dichiarazione per correggere errori ed omissioni entro il termine di decadenza dell azione di accertamento, con applicazione di sanzioni. La disposizione è stata oggetto di numerose interpretazioni restrittive da parte dell Agenzia delle entrate. Infatti, la circolare 25 gennaio 2002, n. 6/E (8) circoscrive l ipotesi di cui all art. 2, comma 8, alle sole situazioni sfavorevoli al contribuente, facendo riferimento ad un maggior reddito da dichiarare. La stessa Agenzia delle entrate, nella risoluzione 14 ottobre 2002, n. 325/E e nella risoluzione 14 febbraio 2007, n. 24/E (9), ha ribadito la tesi restrittiva affermando che la nozione di errore non può comprendere talune scelte inopinatamente operate dal contribuente nella dichiarazione originaria. Ed ancora con la risoluzione 2 dicembre 2008, n. (8) In Banca Dati BIG, IPSOA. (9) Entrambe in Banca Dati BIG, IPSOA. 1270

Dichiarazioni 459/E (10) l orientamento è stato ribadito nonostante la richiesta di riesame proveniente dall Avvocatura dello Stato secondo cui «dalla successione delle norme nel tempo risulterebbe la volontà del legislatore di ampliare il termine previsto a favore del contribuente per chiedere il rimborso delle imposte pagate in eccedenza; diversamente l orientamento espresso dall Amministrazione finanziaria avrebbe l effetto di ridurre eccessivamente tale termine facendolo coincidere con quello per la presentazione della dichiarazione integrativa con esiti allo stesso favorevoli. Infatti, il termine previsto per il rimborso dei versamenti effettuati in eccedenza è passato da diciotto a quarantotto mesi, a seguito delle modifiche apportate all art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 ad opera dell art. 34, comma 6, della legge 23 dicembre 2000, n. 388» (11). Secondo la tesi dell Avvocatura, tale ampliamento sarebbe dipeso dalla volontà del legislatore di riavvicinare i termini di decadenza per l accertamento da parte dell Amministrazione finanziaria a quelli applicabili al contribuente per richiedere il rimborso, in modo da evitare differenze sostanziali che facevano dubitare della costituzionalità del sistema, a causa dell eccessivo squilibrio tra le posizioni delle parti del rapporto tributario. La riduzione ad un anno del termine per presentare la dichiarazione con esiti favorevoli al contribuente e la conseguente impossibilità di ripetere le somme versate in eccesso tramite una richiesta di rimborso ai sensi dell art. 38, potrebbe far nuovamente dubitare della costituzionalità del sistema per irragionevolezza della diversità dei termini. In conclusione l Avvocatura dubita che l introduzione di un termine di decadenza ristretto risponda alle enunciate finalità di razionalizzazione e semplificazione. Ma l Agenzia delle entrate non ha modificato il precedente orientamento (si vedano più compiutamente le motivazioni contenute nella risoluzione n. 459/E del 2008) concludendo, ad integrazione dei chiarimenti già forniti, laddove non sia possibile (cfr. risoluzione 30 gennaio 2008, n. 25/E) (12) ovvero non sia più possibile per decorrenza dei termini (risoluzione n. 24/E del 2007) utilizzare la modalità di cui all art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. n. 322/1998, il contribuente può recuperare l eventuale imposta versata in eccesso mediante istanza di rimborso ai sensi dell art. 38 del D.P.R. n. 602/1973, da presentare entro quarantotto mesi decorrenti dal pagamento eseguito in assenza dei presupposti. L orientamento ministeriale è stato ampiamente contestato evidenziando come il tenore della norma potrebbe portare a conclusioni diverse rispetto a quelle dell Amministrazione finanziaria. Infatti, il generico riferimento agli errori e alle omissioni dovrebbe portare a considerare tutte le ipotesi di errore e quindi anche quelli a danno del contribuente. Una possibile demarcazione tra le due disposizioni potrebbe ricercarsi nel fatto che quella del comma 8 consentirebbe la presentazione di una dichiarazione a favore, ma a differenza di quella di cui al comma 8-bis, non permetterebbe di evidenziare dei crediti che possono essere utilizzati in compensazione, peculiarità che è propria della possibilità di rettifica ai sensi dell art. 2, comma 8-bis. La dichiarazione integrativa presentata ai sensi del comma 8 potrebbe invece essere intesa come mera richiesta di somme a rimborso ai sensi dell art. 38 del D.P.R. n. 602/1973. Tale interpretazione è stata recepita dalla Commissione tributaria provinciale di Modena, nella sentenza 5 maggio 2009, n. 66 (13) secondo cui un tale orientamento è fondato sul principio lex specialis (10) In Banca Dati BIG, IPSOA. (11) È opportuno, però, ricordare che il termine di 48 mesi, adesso previsto dall art. 38 del D.P.R. n. 602/1973, riguarda solo le imposte dirette e non gli altri tributi. Ad esempio, per l imposta di registro vale il termine triennale fissato dall art. 77 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, mentre per l IVA, in mancanza di specifiche disposizioni, si applica la norma residuale prevista dall art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Secondo tale norma, inserita nel contesto del processo tributario, la domanda di restituzione di tributi, interessi e sanzioni non dovuti, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. Inoltre la richiesta di rimborso ex art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 trova un ulteriore ingiustificata limitazione alla sua utilizzabilità nei casi in cui, in luogo di un minor debito d imposta, vi sia una maggiore perdita o un maggior credito rispetto a quanto esposto nella dichiarazione originaria. In tale fattispecie, poiché non è stato effettuato alcun versamento diretto indebito, il primo comma dell art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 si rende inapplicabile. (12) In Banca Dati BIG, IPSOA. (13) Commentata da C. Grimaldi, «Termine lungo per correggere con una nuova dichiarazione a favore una precedente dichiarazione», in GT - Riv. giur. trib. n. 12/2009, pag. 1084, e in Banca Dati BIG, IPSOA. 1271

derogat legi generali in cui per legge generale deve intendersi quella che consente la correzione dell errore nel termine più ampio, mentre speciale è quella che consente la correzione entro il più breve termine quando il contribuente voglia avvalersi del diritto alla compensazione. Secondo i giudici di merito «il canone interpretativo della specialità permette di evitare alla concreta fattispecie pervenuta all esame, di essere assoggettata alle due contrastanti discipline temporali di cui ai commi 8 ed 8-bis e consente quindi di ricondurre a ragionevolezza l intera disciplina. Una ragionevolezza anche costituzionale, che un troppo ristretto termine di decadenza dal diritto al rimborso potrebbe fare dubitare». La possibilità di rettifica della dichiarazione entro i termini di decadenza dell azione di accertamento anche nelle ipotesi favorevoli al contribuente è stata recentemente ribadita anche dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, con la sentenza 26 gennaio 2011, n. 21 (14), che ha fornito una specifica interpretazione dell art. 2, comma 8, del D.P.R. n. 322/1998. Il caso esaminato dal giudice meneghino verteva sulla possibilità di integrare la dichiarazione, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della stessa, per indicare perdite non riportate nel modello originario (15). Una casistica simile (ripresentazione della dichiarazione in perdita a seguito di un rilievo della CONSOB), anche se riferita a dichiarazioni presentate nei primi anni novanta e al quadro normativo antecedente al D.P.R. n. 322/1998, è stata affrontata dalla Corte di cassazione con la sentenza 28 febbraio 2011, n. 4776 (16). Il giudice di legittimità ha ribadito che il contribuente non può restare leso da oneri fiscali diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, chiarendo che «in altri termini, l affermazione del principio di emendabilità della dichiarazione non si concilia con il carattere necessitato della presentazione dell istanza di rimborso, che potrebbe risolversi, in concreto, in una delle conseguenze sfavorevoli dell errore di fatto e di diritto rettificato dal contribuente, ove lo stesso non potesse optare per l utilizzazione del credito negli anni successivi, sulla base di una dichiarazione emendativa, ancorché non prevista specificamente, di certo compatibile con le esigenze sistematiche sopra evidenziate». (14) In Banca Dati BIG, IPSOA. (15) Si veda D. Deotto, «Rettifica a favore in quattro anni», in Il Sole - 24 Ore del 23 febbraio 2011, pag. 33. (16) In Banca Dati BIG, IPSOA. Cfr. F. Falcone e A. Iorio, «I versamenti in più si possono riavere anche senza istanza», in Il Sole - 24 Ore del 1 marzo 2011, pag. 28 e A. Mastroberti, «Unico, c è tempo per ritrattare», in Italia Oggi del 7 marzo 2011, pag. 9. LA SENTENZA Cassazione, Sez. trib., Sent. 31 gennaio 2011 (3 novembre 2010), n. 2226 - Pres. Plenteda - Rel. Di Iasi La dichiarazione dei redditi del contribuente può essere ritrattata, per gli errori commessi, sia in fatto che in diritto, comunque incidenti sull obbligazione tributaria, anche in sede contenziosa, al fine di consentire al contribuente di opporsi alla maggiore pretesa tributaria avanzata dall Amministrazione finanziaria. In fatto e in diritto 1. D.T. e G.C. propongono ricorso per cassazione nei confronti dell Agenzia delle entrate e del Ministero dell economia e delle finanze (che non hanno resistito) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di cartella esattoriale per IRPEF e ILOR relativa alla ripresa a tassazione della somma di lire 44.602.270 corrispondente a canoni di affitto portati in deduzione nella dichiarazione del 1998 perché non percepiti, la Commissione tributaria regionale della Lombardia confermava la sentenza di primo grado (che aveva respinto il ricorso dei contribuenti), rilevando che la voce «mancata riscossione di canoni di affitto» non è compresa tra gli oneri deducibili specificamente indicati dall art. 10 del D.P.R. n. 917/1986, nel testo applicabile ratione temporis e che, in ogni caso, a fronte di un credito vantato nei confronti del locatario fallito di lire 252.000.000 per l intero anno 1998 era stata percepita la somma di lire 212.005.122 pari alla somma del canone pagata dal fallimento perché ritenu- 1272

Dichiarazioni ta spesa in prededuzione e alla somma della cauzione trattenuta in conto affitto, dovendo evidenziarsi che i ricorrenti avrebbero dovuto portare in dichiarazione, ciascuno per la parte di propria spettanza, la somma di lire 144.163.400 pari al 68% della somma complessiva, spettando il rimanente 32% alla figlia L. 2. Con un unico, articolato motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, 6, 22, 23, 33, 34 e 35 del D.P.R. n. 917/1986, oltre che vizio di motivazione, i ricorrenti rilevano che non è comprensibile l affermazione dei giudici d appello secondo la quale essi avrebbero dovuto riportare in dichiarazione ciascuno per la propria spettanza la somma di lire 144.163.400, essendo pacifico che essi avevano indicato in dichiarazione nel quadro B del modello 740/89 il 100% del canone risultante dal contratto di locazione, ed avevano portato in deduzione solo la somma non effettivamente percepita. Circa il fatto che la voce «mancata riscossione di canoni di affitto» non è prevista tra gli oneri deducibili ex art. 10 del D.P.R. n. 917/1986, i ricorrenti aggiungono che la soluzione adottata dai giudici di primo grado e di appello risulta eccessivamente formalistica, posto che non vi sarebbe nessuna differenza se anziché indicare nel quadro B il reddito relativo al 100% del canone contrattuale (salvo poi dedurre la parte relativa al canone non percepito) fosse stata indicata solo la parte effettivamente incassata. I ricorrenti si richiamano inoltre alla sentenza n. 362/2000 (1) della Corte costituzionale, evidenziando che il riferimento al canone locativo anziché al reddito medio ordinario catastale come indice di capacita contributiva può operare solo fino a quando risulterà in vita il contratto di locazione, mentre quando la locazione sia cessata per scadenza del termine ovvero per una qualsiasi causa di risoluzione, ivi compreso l inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa (circostanza nella specie ricorrente) ovvero la risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (e a maggior ragione a seguito di sfratto per morosità, come intervenuto nella specie) il riferimento al reddito locativo non sarà più praticabile. La censura è fondata, nei limiti e nei termini di cui in prosieguo. Occorre innanzitutto evidenziare che nella specie i contribuenti, impugnando la cartella opposta, hanno sostanzialmente dedotto di avere commesso un errore nella dichiarazione relativa all anno d imposta 1998, consistente nell avere indicato il 100% del canone previsto contrattualmente in luogo della somma effettivamente percepita, successivamente deducendo (ai fine di neutralizzare l errore precedente) la parte relativa al canone non percepito (benché tale voce non fosse prevista tra gli oneri deducibili). Tanto premesso, giova evidenziare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno ripetutamente affermato che «la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, alla luce del D.P.R. n. 600/1973, nel testo applicabile ratione temporis, è - in linea di principio - emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, in quanto: la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell iter procedimentale volto all accertamento dell obbligazione tributaria; l art. 9, commi 7 e 8, del D.P.R. n. 600/1973, nel testo vigente, applicabile ratione temporis, non pone alcun limite temporale all emendabilità e alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dai contribuente; un sistema legislativo che intendesse negare in radice la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva - art. 53, primo comma, Cost. - e dell oggettiva correttezza dell azione amministrativa - art. 97, primo comma, Cost.» (così SS.UU. n. 15063/2002 e vedi anche successivamente SS.UU. n. 17394/2002) (2). È ancora da precisare che dal principio sopra esposto la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha tratto come logico corollario che la possibilità per il contribuente di emendare la dichiara- (1) In Banca Dati BIG, IPSOA. (2) Entrambe in Banca Dati BIG, IPSOA. 1273

zione allegando errori di fatto o di diritto commessi nella sua redazione, ed incidenti sull obbligazione tributaria, è esercitabile non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso ai sensi dell art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. n. 22021/2006, peraltro in precedenza cfr. anche, in parte, n. 10055/2000) (3). Nei termini di cui sopra il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice che, in applicazione dei principi di diritto sopra esposti, provvederà a decidere la controversia previamente accertando se e in che limiti si sia realmente verificato, nella compilazione della dichiarazione dei redditi di che trattasi, l errore denunciato dai contribuenti. Il giudice del rinvio provvederà, altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia. Nota: (3) Entrambe in Banca Dati BIG, IPSOA. 1274