DOMAIN NAMES: OPPORTUNITA PER LE IMPRESE, CONFLITTUALITA NEL SISTEMA



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DOMAIN NAMES: OPPORTUNITA PER LE IMPRESE, CONFLITTUALITA NEL SISTEMA CONVEGNO INDICAM 23 MAGGIO 2001 "La Evoluzione Legislativa Italiana" Relazione svolta dall avv. Giacomo Bonelli L Italia, come del resto a quanto mi risulta tutti gli altri Paesi europei, non ha adottato in materia di domain names, specie per quanto riguarda i loro rapporti con gli altrui segni distintivi, alcuna normativa particolare; non lo ha fatto, ma vi è andata abbastanza vicina. E noto che in materia vi sono state alcune proposte legislative, fra le quali in particolare il disegno di legge governativo "Passigli" proposto dal governo uscente e che la fine della legislatura non ha consentito di portare a termine. Tale disegno di legge ha comunque provocato un dibattito abbastanza vivace sia fra i giuristi che fra gli operatori della rete, probabilmente destinato in un prossimo futuro a riproporsi, che ha riguardato innanzittutto la stessa opportunità di intervenire in materia, essendosi levate al riguardo delle voci contrarie. Per quanto più avanti dirò la posizione non interventista, che pure non condivido, è indubbiamente fondata su consistenti ragioni; non mi pare tuttavia che fra queste sia da annoverare quella che fonda la propria contrarietà ad un intervento legislativo sulla caratteristica intrinseca di Internet quale sistema nato, sviluppatosi e diffusosi

spontaneamente e liberamente, e che come tale sarebbe idiosincratico a qualsiasi regolamentazione di tipo autoritativo e, quindi, normativo. Certamente Internet, come tutti le altre grandi innovazioni, tecnologiche e non, che hanno inciso sulla vita dell uomo (si pensi ad esempio all invenzione della stampa, della moneta, del motore a scoppio, etc.), si è imposto non certo per decreto di questa o quella autorità ma per la propria intrinseca forza espansiva Ma altro è dire questo, altro è dire che Internet sarebbe refrattario ad una disciplina che trovi il proprio fondamento in ben precise regole; lo smentisce per esempio la stessa Netiquette cui frequentemente gli operatori della rete si richiamano, ossia un insieme di regole di correttezza che dovrebbero disciplinare l operare del cybernauta e, che, per l appunto, sempre regole sono, per quanto frutto di un codice deontologico di natura spontanea e consetudinaria (che poi molto spesso è, o dovrebbe essere, la principale matrice cui si ispira ogni intervento legislativo consapevole ed equilibrato). Del resto, proprio per venire al nostro campo, le stesse regole di naming adottate dalla Registration Authority Italiana prevedono, all art. 10 il divieto dell accapparramento e il cybersquatting dei nomi a dominio. In realtà Internet non è solo un luogo di comunicazione e di diffusione di idee, dati ed informazioni, e come tale luogo di libertà, cultura e pensiero, ma è anche luogo di business, nel quale praticamente tutti gli operatori economici di un qualche rilievo non hanno potuto fare a meno di entrare negli ultimi anni, ed è quindi anche luogo di concorrenza, probabilmente destinato a diventare sempre più tale. 2

Sotto questo profilo è quindi stato detto -e la affermazione mi pare da sottoscrivere totalmente- che le regole che disciplinano il comportamento degli operatori economici off-line debbano anche valere on-line, superando quindi quella contrapposizione tra mondo reale e mondo virtuale che, nella prospettiva in esame, mi pare da respingere (il mondo virtuale è infatti, dal punto di vista dell economia e della concorrenza, un mondo assolutamente reale). Certo, dovendo intervenire normativamente in questo mondo la prudenza non è mai troppa; ma questa è una preoccupazione di sempre, se vuole essere il richiamo ad un intervento che, prima di ogni altra cosa, analizzi e comprenda esattamente la situazione ed i meccanismi della realtà nella quale si vuole operare così evitando, per esempio, di considerare come patologico -e quindi da correggere- ciò che in un determinato settore è invece fisiologico, o viceversa. Si è avuto del resto più volte modo di constatare che un intervento legislativo che non sia aderente alla realtà nella quale vuole operare è destinato nella migliore delle ipotesi a rimanere disapplicato, nella peggiore a provocare gravi danni. * * * Molto più seria e fondata mi pare l altra ragione che quello che potremmo chiamare il partito degli astensionisti oppone ad un intervento in materia: ossia la sua superfluità, dal momento che ad evitare l indebito utilizzo nei nomi a dominio di segni distintivi e nomi altrui sarebbe sufficiente il corretto ricorso alla normativa già esistente, specialmente in materia di marchi, ditta ed insegna, concorrenza sleale, e tutela dei nomi propri di persone o enti. 3

In effetti tale posizione trova un certo conforto nella prassi, posto che la gran parte dei provvedimenti emanati dall Autorità Giudiziaria tutte le volte e ormai sono abbastanza numerose nelle quali essa è stata investita di controversie riguardanti il tema in esame si sono il più delle volte rivelate corretti e tutto sommato soddisfacenti anche da un punto di vista pratico; e ciò proprio facendo corretto governo ed applicazione delle norme sopra richiamate. D altra parte che in questi casi le norme esistenti siano applicabili mi pare conclusione abbastanza scontata, e ciò soprattutto se si riguarda la questione non tanto chiedendosi se i nomi a dominio siano o meno dei segni distintivi in sé, quanto se essi siano comunque entità in grado di interferire in modo illecito con i segni distintivi tipici già noti e regolati dal diritto (in particolar modo i marchi e l'insegna). La risposta al quesito mi pare debba essere: certamente sì, come confermano diverse considerazioni. In primo luogo la stessa osservazione empirica: se questa interferenza non vi fosse allora non si capirebbe perché mai sia nato e per un certo periodo anche prosperato il cosiddetto domain name grabbing e perché di fronte a tale fenomeno i titolari di marchi o altri segni distintivi minacciati abbiano reagito così veementemente come hanno fatto. Una ulteriore conferma di tale interferenza si può trovare nell analisi delle ragioni per le quali taluno può utilizzare nel proprio domain name un marchio o altro segno disitintivo: e in genere tali ragioni risiedono o nel fatto che egli in qualche modo ha diritto a tale utilizzo o, altrimenti, nel fatto che egli vuole approfittare del valore attrattivo 4

del marchio, segno distintivo o nome altrui per catturare contatti sul proprio sito che altrimenti non avrebbe. Passando dalle argomentazioni empiriche e di buon senso, che comunque mi paiono importanti, alle argomentazioni più squisitamente giuridiche, la possibile interferenza dei nomi di dominio con i segni distintivi altrui si può desumere con una certa sicurezza: dal fatto che il nome a dominio identifica il sito della rete nel quale l imprenditore opera e mediante il quale egli comunica con la possibile clientela; l uso indebito del marchio altrui nel nome a dominio costituisce quindi chiara violazione dell art. 1 comma 2 della legge sui marchi nella parte in cui attribuisce al titolare di un marchio il potere di vietare a terzi di utilizzare tale segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità; dall art. 2598 nr. 1 del codice civile che, dopo avere proibito l uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con nomi o segni distintivi legittimamente usati da altri, vieta anche il compimento con qualsiasi altro mezzo di atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l attività di un concorrente ; e mi pare chiaro che l uso confusorio del segno distintivo altrui nell ambito di un domain name possa agevolmente entrare nella nozione di qualsiasi altro mezzo di cui parla la citata norma; dall art. 2598 nr. 3 del codice civile laddove vieta in generale di valersi direttamente o indirettamente di qualsiasi mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale ed idoneo a danneggiare l altrui azienda ; dal principio di unitarietà dei segni distintivi, sancito in particolare dall art. 13 della legge sui marchi con riferimento ai rapporti fra 5

marchio da una parte e ditta e insegna dall altro, che importa che il segno distintivo deve essere tutelato in ogni contesto rappresentativo e contro ogni forma di utilizzo potenzialmente confusorio, e quindi anche contro l'utilizzazione indebita nel mondo digitale nell ambito di un domain name. D altra parte, indipendentemente da tutte queste argomentazioni, mi pare che comunque il nome a dominio debba considerarsi come segno distintivo dell utilizzatore del sito. Ciò è stato più volte affermato dalla giurisprudenza e a ragione: il nome a dominio ha certamente un valore semantico ed il titolare non lo sceglie mai a caso. Eloquente al riguardo è il fatto che l Internet Protocol (ossia il codice numerico che identifica ogni computer collegato in rete) è stato affiancato, e nella prassi comune identificativa dei siti sostituito, dai nomi di dominio (Domain Names System), proprio allo scopo di dar modo all imprenditore di presentarsi sulla rete con lo stesso nome identificativo sotto il quale normalmente opera ed è conosciuto nella sua attività di impresa; nome di dominio, quindi, come strumento di identificazione dell imprenditore e, in quanto tale, come segno distintivo. Non importa a questo punto stabilire qui se il nome a dominio debba considerarsi un segno distintivo atipico, oppure assimilabile al marchio di impresa, oppure all insegna (ipotesi questa che comunque mi sembra la più persuasiva, posto che l insegna è ciò che contraddistingue il luogo ove l imprenditore opera e quindi, nel nostro caso, il luogo virtuale dove egli contatta la potenziale clientela); è sufficiente dire che il nome a dominio è certamente un segno 6

distintivo che, come tale, non deve confondersi con quelli preesistenti e legittimamente utilizzati da altri soggetti. Posto questo si può poi tranquillamente ammettere che il nome di dominio possa anche essere considerato un indirizzo, ossia il recapito dell imprenditore o del soggetto comunque operante sulla rete; quello che invece mi sembra assolutamente criticabile è l uso che una parte, per fortuna minoritaria ma comunque presente, della giurisprudenza ha fatto della natura di indirizzo del nome di dominio per passare a negare che questo possa interferire negativamente con i preesistenti altri segni distintivi, e quindi costituire sotto tale profilo un illecito. A parte la non piccola differenza che il nome di dominio non è attribuito, come ad esempio una utenza telefonica, ma è dall'utilizzatore liberamente scelto, resta comunque il fatto che quand anche il nome di dominio fosse un indirizzo esso rimarrebbe comunque da un lato, come ampiamente sopra visto, una entità che può interferire con i segni distintivi altrui; dall altro una entità che costituisce essa stessa un segno identificativo, che come tale deve soggiacere al divieto generale di provocare confusione con i segni distintivi usati da altri. Per concludere quindi il discorso sull'oppotunità di un intervento legislativo direi quanto segue: un tale intervento non mi sembra necessario, in quanto già esistono le norme che possono ben funzionare alla bisogna; ma è un intervento peraltro opportuno perché la prassi giudiziaria ha evidenziato, accanto a numerose pronunce che hanno fatto retta applicazione delle norme già esistenti in materia, anche pronunce che invece si sono orientate in senso opposto e che, non proteggendo i legittimi titolari di nomi o segni distintivi contro 7

registrazioni di nomi a dominio da parte di terzi abusive e confusorie, si sono risolte in casi di denegata giustizia. Un intervento legislativo che chiarisca una volta per tutte che l attività in questione è illecita, e come tale proibita, credo che sarebbe senz altro positivo. * * * Si tratta ora di vedere le questioni relative all estensione dell intervento legislativo ed ai contenuti di questo. Quanto al primo quesito, e salva la riserva legata a quanto dirò più avanti con riferimento ai marchi celebri, non mi sembra opportuno un intervento che regolamenti il domain name come un segno distintivo autonomo, creando quindi una sorta di diritto speciale dei nomi a dominio. Al limitato fine di evitare infatti che i nomi di dominio possano interferire illegittimamente con nomi, segni distintivi, o comunque diritti legittimamente esercitati da parte di terzi mi pare quindi senz altro consigliabile la formulazione che la stessa Indicam aveva suggerito nel corso delle discussioni che il disegno di legge Passigli e le altre proposte parlamentari di legge sulla materia dei nomi a dominio avevano occasionato. Mi sembra quindi consigliabile e del tutto idonea a raggiungere gli scopi che ci si ripromette di conseguire una formulazione del tipo: Non sono registrabili i nomi a dominio il cui uso costituisce violazione di diritti di terzi, inclusi i diritti derivanti dalle norme sui marchi e sugli altri segni distintivi, sulla proprietà intellettuale, sui nomi e sulla concorrenza sleale. 8

Questa formulazione mi sembra senz altro preferibile rispetto, per esempio, alla formulazione dell art. 1 del disegno di legge Passigli ( Per l identificazione di domini è vietata a chi non è titolare e non ne può disporre col consenso scritto di quest ultimo l utilizzazione di: a) nomi identici o simili a quelli che identificano persone fisiche, persone giuridiche o altre organizzazioni di beni o persone; b) nomi identici o simili a marchi di impresa o altri segni distintivi dell impresa o di opere dell ingegno; c) nomi che identificano istituzioni o cariche pubbliche, enti pubblici o località geografiche; d) nomi di genere, quando sono utilizzati per trarne profitto, tramite cessione o per recare un danno; e) nomi tali da creare confusione o risultare ingannevoli, anche attraverso l utilizzazione di lingue diverse dall italiano ). La appena citata formulazione mi sembra infatti abbastanza farraginosa da un lato, e, dall'altro, tale da creare sensibili problemi di coordinamento con le norme tipiche, soprattutto in materia di tutela dei segni distintivi di impresa e dei nomi. Quanto poi alle limitazioni o ai divieti di utilizzare nei nomi a dominio denominazioni generiche o descrittive, nomi geografici, nomi di persona, formulazioni contrarie alla morale e al buon costume, mi pare che una soluzione semplice ed efficace potrebbe essere quella di estendere ai nomi a dominio l applicabilità delle norme già dettate al riguardo in materia di marchi di impresa, ampiamente sperimentate e tutto sommato affidabili. Resta solo la riserva cui ho già accennato, ossia il problema della tutela, nell ambito dei nomi a dominio, dei marchi celebri. 9

Al riguardo occorre una precisazione: parlo di marchi celebri e non di marchi rinomati benchè la legge sui marchi (in particolar modo l art. 1 comma 1 lett. c)) mostri di conoscere solo questa seconda categoria. Mi sembra tuttavia che all'interno della categoria dei marchi che godono di rinomanza sia possibile ritagliare, quale sottocategoria dotata di una più intensa tutela, quella dei marchi che nel vigore della precedente legge la dottrina qualificava come marchi celebri. Del resto la legittimità di un trattamento in qualche modo differenziato e tarato sul livello di notorietà e quindi di capacità distintiva e attrattiva di un marchio celebre mi pare legittimata dalla stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia CEE (mi riferisco in particolare alla sentenza 29 settembre 1998 in causa Canon Kabushikic c. Metro Goldwyn Mayer Inc.) oltre che da autorevole dottrina. Ebbene, proprio con riferimento alla tutela in rete dei marchi celebri vi è stato recentemente un autorevole pronunciamento della WIPO che nel Final Report of the Wipo Internet Domain Name Process del 30 aprile 1999 ha indicato, fra i principi cui ICANN dovrebbe improntare la propria azione nella materia in esame, la previsione di un regime speciale per i marchi famosi (ossia ben conosciuti in una vasta area geografica e in differenti classi di beni e servizi) nel quale sia esclusa la possibilità di ottenere la registrazione nei gtld di un dominio corrispondente ad un marchio famoso per soggetti diversi dal titolare del diritto sul marchio stesso (cfr. in particolare paragrafo 275 del "Report"). Il problema, con riferimento alla tutela in rete dei marchi celebri, nasce dal fatto che mentre nel mondo reale è possibile la coesistenza 10

di due marchi identici utilizzati in ambiti territoriali diversi o per categorie merceologiche diverse, non altrettanto è possibile nel mondo virtuale con riferimento ai nomi di dominio; tale problema è poi aggravato dalla extraterritorialità di Internet che si contrappone al tradizionale principio di territorialità in base al quale un marchio o altro segno distintivo è tutelato nel solo ambito territoriale nel quale esse è registrato o utilizzato (per cui mentre chi registra il marchio XZY in Italia ha un diritto di esclusiva limitato alla sola Italia; chi registra legittimamente il nome di dominio XZY.com è di fatto il solo a poterlo utilizzare in tutto il mondo) In pratica: se la ipotetica Armani S.r.l. operante da svariati decenni nel settore cementiero decide di registrare, perché nel frattempo nessuno lo ha fatto prima di lei, il domain name Armani.com o Armani.it il più famoso Armani (ma il discorso vale per qualsiasi altro marchio celebre) non potrà più registrare né l uno né l altro nome di dominio. Questa è una situazione che sulla base della normativa vigente è assolutamente legittima e contro la quale il titolare del marchio celebre non ha alcuna tutela (di qui, credo, la raccomandazione della WIPO). De iure condendo penso però che sia legittimo chiedersi se una tale situazione sia giustificata. A me non sembra tanto; non mi sembra in particolar modo rispondere ad un criterio equitativo il fatto che -per restare nell'esempio fatto- l' Armani del cemento possa disporre in tutto il mondo dell esclusiva di un nome ("Armani.com") che altri ha per meriti propri fatto in tutto il mondo diventare famoso. 11

Mi rendo conto che il problema è molto delicato e che prima di decidere il se e come intervenire bisognerà pensarci molto bene. Per esempio gli Stati Uniti, che in data 29 novembre 1999 hanno adottato l "Anticybersquatting Consumer Protection Act" in materia di nomi a dominio, non hanno al riguardo previsto nulla, e penso anzi che sulla base della nuova normativa non sia possibile negli Stati Uniti fare alcunchè per ovviare alla situazione dinnanzi descritta. Credo comunque che qualche indicazione utile potrebbe forse essere tratta proprio dal concetto utilizzato dall art. 1 comma 1 lett. c) della nostra legge marchi e ancor prima dall art. 5 comma 2 della direttiva 89/104/CEE sull avvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa. E vero che entrambe le norme surichiamate riconoscono una tutela ultramerceologica al marchio notorio/rinomato nei confronti di chi utilizzi un segno identico o simile senza giusto motivo (e il cementiere Armani dell esempio che precede un giusto motivo evidentemente ce l ha, utilizzando nell ipotesi fatta tale marchio da decenni); però mi sembra anche oggettivamente vero che l'ipotetico cementiere Armani tragga un indebito vantaggio dalla possibilità di avvalersi in via esclusiva e per tutto il mondo di Armani.it o di Armani.com provocando al contempo un pregiudizio al titolare del marchio più famoso; concetti questi ossia quello di indebito vantaggio e di pregiudizio che non a caso ricorrono in entrambe le norme sopra citate. Mi rendo comunque conto che l argomento è estremamente delicato e spinoso; quelle di cui sopra non vogliono quindi essere altro che delle riflessioni in vista di una discussione che credo che prima o poi si 12

imporrà, come la stessa posizione assunta dalla WIPO mi pare suggerisca. Con ciò non voglio arrivare alla conclusione -probabilmente troppo drastica- che (continuando nell esempio) il cementiere Armani non possa un alcun modo utilizzare il proprio nome nell ambito del suo nome di dominio; ma si potrebbe per esempio pensare di imporgli degli oneri di differenziazione che consentano da un lato la coesistenza in Internet di entrambi i nomi di dominio, dall altro la possibilità per il titolare del marchio celebre di utilizzarlo nella formulazione originale con la quale tale marchio è diventato famoso in tutto il mondo. * * * Passando ora all esame circa i possibili contenuti di un intervento in materia, premetto che tale esame sarà limitato nell'ottica di un intervento volto unicamente a disciplinare il contrasto fra nomi a dominio ed altrui preesistenti nomi o segni distintivi, e finalizzato ad evitare che il nome a dominio possa usurpare diritti altrui nel senso sopra visto. Un primo problema potrebbe essere quello di decidere se vietare la semplice registrazione o vietare invece l uso di un nome a dominio costituente violazione di altrui diritti. Personalmente ritengo che il solo fatto di registrare un nome di dominio equivalga ad usarlo, almeno se per uso si intende una esternazione al di fuori della sfera puramente interna del diretto interessato, quale per esempio è la registrazione di un certo nome a dominio presso la Name Authority ossia un soggetto terzo (tra l altro 13

non un soggetto qualunque ma l autorità che gestisce ed amministra il sistema). In ogni caso, ad evitare equivoci, riterrei opportuno che si vietasse la registrazione e non il semplice uso di nomi a dominio interferenti con preesistenti diritti altrui. Un ulteriore problema particolarmente interessante è quello di stabilire se ai fini del divieto di registrazione di un nome a dominio interferente con diritti altrui sia richiesta in capo a chi effettua la registrazione la mala fede o meno. La necessità della mala fede, ad esempio, è richiesta dall Anticybersquatting Consumer Protection Act statunitense, cui ho sopra accennato. Personalmente al riguardo mi sento di spezzare una lancia a favore della nostra tradizione giuridica che, almeno ai fini della inibitoria alla prosecuzione di comportamenti che siano lesivi di diritti di privativa altrui non richiede la prova, spesso diabolica, della malafede dell'agente, ma si limita a constatare e a reprimere l oggettiva ed ingiustificata interferenza. Il requisito della mala fede (spesso ma non sempre, comunque, in re ipsa) potrebbe porsi con riferimento alla responsabilità per danni, specie qualora si inserisse, come proposto nel disegno Passigli, una forma di risarcimento avente contenuto anche sanzionatorio dell'illecito. Venendo all analisi circa i rimedi disponibili nel caso di illegittima registrazione di un nome a dominio mi sembrerebbe innanzitutto opportuno prevedere quelli di inibitoria, cancellazione e trasferimento del nome a dominio illegittimamente registrato. 14

Sarebbe credo anche il caso di prevedere la possibilità di un trasferimento ordinato in via cautelare, magari dietro prestazione di idonea cauzione da parte del beneficiario del provvedimento; ciò per evitare che questo provvedimento, la cui adottabilità in base alla normativa esistente ed in particolar modo l art. 700 c.p.c. mi pare dubbia, si debba aspettare la sentenza; il che in Italia vale a dire attendere almeno due o tre anni, ossia un lasso di tempo che nel mondo digitale è assolutamente proibitivo. Opportuno sarebbe anche prevedere il trasferimento in via definitiva per evitare di dover fare ricorso ad applicazioni analogiche (ad esempio dell art. 25 legge marchi prevede una misura analoga), che sono sempre fomite di incertezze e discussioni. Il disegno Passigli prevedeva poi a carico di chi registri illegittimamente nel senso sopra visto un nome a dominio, la condanna al risarcimento del danno nella misura minima di 30.000 Euro. Questa è una innovazione che potrebbe essere di grande interesse, perché porrebbe un precedente in materia di risarcimento dei danni da violazione dei diritti di proprietà industriale e intellettuale che forse sarebbe il modo più efficace per ovviare la diffusa insoddisfazione che da sempre gli operatori manifestano nei confronti della entità dei risarcimenti che vengono in questi casi normalmente riconosciuti dalle nostre Corti. Qui il discorso si farebbe assai lungo e complesso: mi limito semplicemente a dire che tale insoddisfazione da una parte dipende certamente da applicazioni giurisprudenziali forse troppo prudenti e 15

avare ; dall altra parte dipende a mio avviso anche, e in larga parte, da ragioni di sistema. Il nostro tradizionale sistema giuridico, infatti, ingabbiando l entità del danno risarcibile da illecito civile nella tradizionale alternativa danno emergente / lucro cessante (la cui prova è sempre a carico del danneggiato) di fatto finisce da un lato per negare al risarcimento del danno una funzione deterrente/sanzionatoria rispetto alla commissione dell illecito civile che invece potrebbe operare molto efficacemente (tant è vero che i paesi che hanno una tradizione di common law -in testa gli Stati Uniti e la Gran Bretagna- comunemente la applicano); dall altro non permette di liquidare danni certamente esistenti ma la cui dimostrazione e esatta quantificazione è spesso impossibile. Ciò detto mi pare tuttavia che introdurre d'amblè un risarcimento forfetario di 30.000 Euro per ogni domain name illegittimamente registrato sia eccessivo; si pensi, per convincersene, che per fattispecie analoghe l Anticybersquatting Consumer Protection Act statunitense (ossia della nazione ove la liquidazione forfettaria e punitiva dei danni è da sempre praticata) prevede statutory damages che vanno da un minimo di $1.000 a un massimo di $100.000. La soluzione preferibile mi sembra potrebbe essere quella di prevedere un risarcimento forfetario che vada, per esempio, da un minimo di 5 a un massimo di 50 milioni, salva la facoltà per il danneggiato di richiedere il risarcimento del danno effettivamente subito, se superiore e dimostrabile. Non mi sembra invece molto corretta la applicazione inversa ossia la applicazione di una penale particolarmente forte salvo la prova a carico dell autore dell illecito del fatto che l altra parte ha subito un 16

danno minore, trattandosi di prova diabolica, non solo e non tanto di un fatto negativo, quanto di un danno che riguarda la sfera di un soggetto - il danneggiato- che il danneggiante normalmente non può conoscere. Opportuno infine mi sembrerebbe prevedere espressamente l applicabilità della nuova normativa anche ai nomi di dominio già registrati, il che significa non applicazione retroattiva della norma ma applicazione di essa dal momento in cui è in vigore a tutti i nomi di dominio esistenti, anche quelli registrati anteriormente. Il disegno Passigli prevedeva infine (art. 2) la istituzionalizzazione normativa della anagrafe dei nomi a dominio e della Registration Autorithy (attualmente l Istituto per le Applicazioni Telematiche presso il CNR che opera senza alcuna investitura formale di tipo normativo, come del resto avviene nel mondo per moltissime altre Registration Authorities, forse addirittura tutte). Devo dire che di questa formalizzazione normativa nessuno sente il bisogno. D altra parte il progetto Passigli lo faceva secondo modalità che hanno sollevato alcune critiche con particolare riferimento: - all esame di merito, che si prevedeva affidato alla nuova Registration Authority; esame di merito che presumibilmente questa non sarebbe assolutamente in grado di compiere con una qualche attendibilità ed utilità (basti pensare che nel 2000 sono arrivate in Italia più di 20.000 domande di registrazione al mese); - alla previsione di una procedura di conciliazione obbligatoria che probabilmente si risolverebbe in un inutile appesantimento (così come per esempio mi risulta stia almeno in parte succedendo con la 17

previsione della procedura di conciliazione obbligatoria in materia di controversie del lavoro che deve precedere l instaurazione della relativa causa); - alla competenza del giudice amministrativo a conoscere dei ricorsi avverso i provvedimenti della Registration Authority; ciò infatti implicherebbe attribuire ai giudici amministrativi il compito di occuparsi di controversie che fanno a pieno titolo parte della materia del diritto industriale (ossia una materia del tutto estranea alle loro competenze) e che quindi importerebbe aggiungere un nuovo problema a quelli, numerosi, che già affliggono la nostra giurisdizione. 18