Mondo che cambia: a Pavia, come?



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Transcript:

Mondo che cambia: a Pavia, come? Capita molto raramente di essere chiamati a parlare di questioni che io definisco di fondo, cioè questioni che riguardano generalmente i processi che intervengono nella nostra società. Quando mi è stato fatto questo invito, oltre a essere contento, mi sono chiesto che cosa valesse la pena sottolineare, perché le cose da dire sarebbero veramente tantissime. Cercherò di darvi alcuni spunti per rendervi un po partecipi della complessità dei problemi che dobbiamo oggi gestire e con i quali dobbiamo quotidianamente confrontarci. Teniamo presente che Pavia è una piccola città del Nord Italia e che molti di questi problemi che noi oggi abbiamo sono sicuramente problemi comuni a buona parte delle città italiane. Vi do conferma di questo perché ho frequentemente occasione di parlare con colleghi di altre città, e quindi, chiacchierando e confrontandosi, si scopre come le realtà sociali siano abbastanza omogenee e i problemi siano i medesimi. Vorrei fare un accenno a come cambia il ruolo delle città in questo periodo. Oggi stiamo assistendo a fenomeni che sono per alcuni aspetti contraddittori: da un lato si parla di federalismo, di decentramento, dall altro si coglie come le città intese come i comuni- difficilmente riescono a realizzare interamente i bisogni del territorio, e si coglie l esigenza di aggregare, di mettere insieme, di coagulare intorno alle città più grandi le esigenze dei comuni più piccoli, creando delle reti di servizi, e creando quindi un insieme, un tessuto di relazioni anche amministrative che non eravamo abituati a conoscere. L Italia è il Paese dei campanili: è difficile mettere insieme realtà piccole, anche se vicine, anche se molto omogenee. Oggi si chiede molto ai Comuni: c è una forte aspettativa collegata in qualche misura anche all elezione diretta del Sindaco, e il Comune diventa spesso il referente primo cui i cittadini si rivolgono per esprimere i propri problemi. E una città che cambia come cambia il resto del mondo, è una città che vede aprirsi degli orizzonti molto vasti. Pensate a ciò che è determinato dall ingresso di Internet: oggi c è possibilità di acquisire immediatamente in tempo reale informazioni da tutto il mondo, dialogare con tutto il mondo, poter ricevere contatti e dare contatti con tutto il mondo. Questa è una cosa straordinariamente complessa che pone dei problemi molto seri di utilizzo di questa struttura e della possibilità di educare i nostri giovani a utilizzarlo in modo pieno. Cambia il mondo e cambia la struttura sociale, cambia il mondo del lavoro. Eravamo abituati ad un mondo del lavoro molto stereotipato, dove le persone acquisivano nel tempo una competenza attraverso gli studi scolastici, che consentiva l accesso al mondo del lavoro e accompagnava di solito il lavoratore fino alla pensione, quando come sbocco naturale si aveva l uscita dal mondo del lavoro. Ebbene ora non è più così. Oggi le modifiche cui stiamo andando incontro prevedono anche dei cambiamenti radicali nei rapporti fra lavoratore dipendente e datore di lavoro che porteranno a modificare questo modello. Molto probabilmente questo modello tradizionale non sarà più quello dei nostri giovani; i nostri giovani dovranno abituarsi ad entrare in un mondo del lavoro con una competenza, a uscire frequentemente da questo mondo del lavoro per rientrare con lavori diversi; e il problema vero sarà non tanto quale sarà il punto di inizio e il punto di uscita dal mondo del lavoro, ma che cosa succederà in quegli spazi in cui il lavoratore dovrà riconvertirsi, riqualificarsi per poter riammettersi nel mondo del lavoro. Oggi c è un problema centrale che riguarda la formazione: come far sì che le persone rimangano assolutamente aggiornate, aderenti ai bisogni che la società sotto il profilo lavorativo chiede. Io credo che questo sia sicuramente un cambiamento straordinariamente importante, che deve interrogarci a fondo perché avrà delle modifiche serie sotto il profilo del tessuto sociale: quando i giovani sono costretti per ragioni di studio a entrare tardi nel mondo del lavoro, quando il mondo del lavoro impone cambiamenti frequenti di sede o addirittura di tipologia del lavoro, allora noi potremmo assistere in futuro ad una disgregazione del tessuto familiare tale per cui i ragazzi si sposeranno sempre più tardi, il numero di divorzi tenderà necessariamente ad aumentare e quindi noi assisteremo ad una società che diventerà molto più americanizzata di quella che noi siamo abituati a conoscere, cioè una società dove l inseguimento del lavoro da parte del cittadino diventa l elemento cardine intorno a cui si costruisce il tessuto economico, il sistema di relazioni complessivo che fonda l economia del Paese. Ecco, rispetto a questi fatti, che sono ovviamente comuni a tutte le città italiane e a cui Pavia non è estranea, credo che noi dobbiamo fare una grande riflessione, perché è un momento di trasformazione che ha dei contenuti positivi che dobbiamo cogliere, ma anche dei rischi che non dobbiamo sottacere. Veniamo a Pavia, a quelli che sono secondo me gli elementi interessanti che possiamo sottolineare. Per ciò che vi dirò io devo un ringraziamento a una persona che molti di voi probabilmente conosceranno, Piero

Morardo, un nostro assistente sociale che si occupa di disagio a diversi livelli nella nostra città. L anno scorso, laureandosi, ha prodotto una tesi estremamente interessante sui fenomeni di immigrazione nella città di Pavia. Ebbene, questa tesi racchiude alcuni dei dati che io vi darò ed è eccezionalmente ricca di spunti, ricca di suggestioni che ci permettono di apprendere che effettivamente la nostra città sta cambiando, di conoscere un mondo che molti di noi conoscono forse in maniera un po troppo superficiale ma che rappresenta effettivamente uno dei grandi elementi di trasformazione della nostra società locale. Non mi soffermo sulla storia della nostra città. Pavia è una città del sud della Lombardia con una grande vocazione sotto il profilo universitario, che ha vissuto un processo di drammatica deindustrializzazione nel corso degli ultimi anni. Negli anni 60 Pavia probabilmente era -in rapporto al numero degli abitanti- una delle città più industrializzate d Italia; oggi, se paragonata alle altre città del Nord, è una delle meno industrializzate. Questo determina una serie di considerazioni molto evidenti, che hanno una grande importanza sotto il profilo economico e sociale. Pavia non è estranea a fenomeni di invecchiamento della popolazione, un andamento demografico che nel tempo ha visto sostanzialmente consolidare un trend negativo, e ha visto nel tempo crescere invece alcuni fenomeni di immigrazione che hanno varia natura e che è giusto cercare di conoscere ed interpretare. Al 31/12/2000 Pavia contava circa 2.030 stranieri, che comprendono 630 stranieri comunitari che sono qui per ragioni diverse (di studio, di lavoro, ecc.) e provengono da Paesi avanzati, sia 1398 da Paesi in via di sviluppo. Il 7,9% del totale era qui per motivi di studio, il 50,3% per motivi di lavoro subordinato, il 28,9% per motivi familiari; gli altri erano studenti. Come è avvenuto questo fenomeno? Ebbene, questo fenomeno a Pavia è avvenuto in una maniera estremamente poco impattante sotto il profilo sociale. Un po perché rispetto alle dimensioni della città questi non sono grandi numeri. Pavia è una città che ha saputo essere poco attrattiva per gli extracomunitari sotto il profilo lavorativo. A differenza delle aree industrializzate del nostro territorio, le aree nord della Lombardia, o l area del Bresciano, Pavia è una città dove le opportunità lavorative in ambito industriale sono sicuramente minori, e questo è stato un freno ai fenomeni migratori. Ma questi fenomeni migratori sono andati a localizzarsi per certa parte in alcune nicchie di clandestinità che le pongono effettivamente in una situazione particolarmente difficile da indagare. Che cosa succede quando un extracomunitario è clandestino? Di solito, nulla di particolare, perché comincia ad essere sconosciuto alle istituzioni, almeno sotto il profilo teorico. Quindi un extracomunitario di cui possiamo non tenere conto, perché sotto il profilo amministrativo tendenzialmente non esiste. In realtà questa popolazione nella storia della nostra città ha avuto un ruolo molto rilevante, soprattutto perché molti di questi clandestini non sono in realtà persone che stanno nelle strade a fare dei lavori di commercio abusivo o lavori d altro tipo, ma sono persone fortemente integrate nel tessuto sociale, che magari vivono coi nostri cittadini nell ambito dell assistenza agli anziani, nell ambito di quei lavori domestici che oggi sono molto richiesti e che molto spesso le persone locali tendono a non voler fare. Si crea così un fenomeno molto particolare che riguarda anche la nostra città, e più in generale riguarda complessivamente tutte le città del Nord Italia: una popolazione di clandestini che teoricamente dovrebbe essere espulsa ma che in realtà è sostanzialmente ben integrata nell ambito del tessuto sociale, con cui la gente, la città, convive in un clima molto strano di accettazione e in qualche caso di diffidenza reciproca. In altre parole quello cui noi assistiamo è un fenomeno molto particolare: da un lato abbiamo una legge che considera queste persone come persone che dovrebbero essere espulse, dall altro abbiamo il sistema, il tessuto sociale, il tessuto economico che tende in qualche misura a richiamare queste persone e a trattenerle. Quello che nella nostra città accade sotto il profilo dell assistenza domiciliare, in molte altre città del nostro Paese accade per quel che riguarda il lavoro nero nell industria e nell artigianato. Ovviamente l immigrato è un soggetto debolissimo quando è sconosciuto ed è clandestino; è debolissimo perché non ha diritti, perché è soggetto continuamente a delle forme di banale ricatto sotto il profilo economico e perché è sostanzialmente privo di qualsiasi forma di tutela (pensiamo ad esempio alla tutela sanitaria e all accesso agli elementari diritti, servizi che riguardano i cittadini). Parlando della nostra città, questo non è un fenomeno drammatico; la vita sociale, la convivenza sociale ha sempre avuto forti elementi di tolleranza. Difficilmente nella nostra città siamo andati incontro a momenti di crisi sotto il profilo dell attrito culturale tra persone diverse. Credo che questo sia un forte elemento di ricchezza della nostra città, credo che in qualche misura questa ricchezza vada riconosciuta, vada studiata e vada anche coltivata e incentivata. Però questa presenza di cittadini extracomunitari, che secondo me è l elemento cardine della trasformazione sociale attuale, pone dei problemi sicuramente importanti sotto il profilo culturale, sotto il profilo della convivenza. Per esempio, cominciano ad esserci problemi di convivenza religiosa. Io ho

vissuto in prima persona una polemica grossa, importante, che ha riguardato, se pur per un periodo limitato di tempo, la possibilità di edificare nella nostra città un luogo di culto per musulmani. Era una polemica avvenuta tanto tempo fa, prima del tragicamente famoso 11 settembre 2001. Non so francamente come sia cambiato l umore della città nei confronti di questa esigenza di spazio religioso da parte della comunità musulmana dopo gli attentati di New York e Washington. La mia percezione è che molto sia cambiato, che quello che è successo abbia aumentato la diffidenza nei confronti della popolazione straniera e nei confronti anche della popolazione che ha una religione radicalmente diversa, come può essere la musulmana comparata alla cattolica o complessivamente alla cristiana. Questo è sicuramente un grande elemento con cui la città dovrà fare i conti nei prossimi anni: la convivenza fra culture, fra etnie e fra religioni diverse. Noi siamo abituati a vivere in città dove l elemento religioso e l elemento culturale è sostanzialmente omogeneo. Io sono convinto che nei prossimi anni non sarà più così. Nelle città dell hinterland milanese ormai oltre il 15% della popolazione scolastica è extracomunitario. A Pavia molto di meno: non ho il dato preciso, però immagino che possa collocarsi fra il 5 e il 6%. Questo ci impone di attrezzarci, di costruire una politica dei servizi diversa perché a questi bambini bisogna, molto banalmente, insegnare la lingua, bisogna insegnare le nostre abitudini, bisogna qualche volta insegnare la lingua anche ai genitori. Questo da un lato ha determinato il fiorire spontaneo di alcune associazioni di volontariato che si occupano di questi problemi, dall altro interroga l amministrazione ogni giorno, perché noi dobbiamo farci carico di queste esigenze: e farsi carico di queste esigenze in termini di bilancio comunale vuol dire dedicare delle risorse -che sarebbero altrimenti dedicate probabilmente a iniziative al servizio della città in generale- a questa popolazione, che è una popolazione rispetto cui esiste - ripeto- che da un lato un ambivalenza fra la tolleranza e il desiderio che rimanga sul nostro territorio, dall altro la diffidenza e il desiderio che se ne vada dal nostro territorio. Bisogna dire che il problema del commercio, accattonaggio, ordine pubblico, è un problema sempre molto ridotto nella nostra città, anche se ultimamente alcuni elementi di contrasto e alcune spinte verso l espulsione di queste persone istintivamente le abbiamo avute. Sotto alcuni profili devo dire che sono spinte abbastanza spontanee, abbastanza comprensibili, soprattutto quando le attività di queste persone si collocano in una situazione di confine fra la legalità e l illegalità, e di contrapposizione verso interessi legittimi (ad esempio quelli del commercio e dell imprenditoria). Altre volte è meno comprensibile la natura di queste spinte, che probabilmente risiedono in elementi di repulsione, di conflitto culturale, che non hanno ragioni di carattere economico ma ragioni un po più profonde, e più basse sotto il profilo della legittimità. Questa presenza di extracomunitari ha creato all interno della città una serie di risorse, iniziative particolarmente interessanti, che riguardano l Amministrazione Comunale come Ente che si fa carico di raccordare le iniziative del territorio; ma anche la Caritas, anche le Associazioni di volontariato, da quelle più strutturate, come ad es. la Casa del Giovane, che si occupa molto dell accoglienza, a quelle meno strutturate come ad es. ambiti dell associazionismo e del volontariato meno consolidato, che si occupa di realizzare attività a favore di questa popolazione. Non dimentichiamo che oggi esistono proprio associazioni che si occupano delle modalità d inserimento dei cittadini extracomunitari nel nostro territorio, e il numero di persone che a titolo di volontariato si occupano di questo sta nel tempo lentamente aumentando. Credo che questo sia una nuova frontiera del volontariato, una cosa decisamente interessante. La nostra è una città che ha un grande polo sanitario, che importa moltissimi malati. Questo polo sanitario, quanto più diventa qualificato e quanto più riesce a costruire delle opportunità terapeutiche di prima qualità in ordine a malattie anche rare o diffuse sul territorio, tanto più pone alla città il problema dell accoglienza nei confronti delle persone che devono venire qua per curarsi. Negli ultimi anni noi abbiamo visto aumentare il numero di persone che chiedono accoglienza alla città di Pavia per problemi di carattere terapeutico legato ad un disagio familiare, e quindi a necessità di cura da parte della famiglia. Questo fenomeno prima riguardava in maniera peculiare l Italia, alcune zone particolari dell Italia, che naturalmente afferiscono a Pavia come riferimento sanitario a livello nazionale. Oggi comincia a riguardare anche Paesi non italiani, e qualche volta anche addirittura di altri continenti. A tutti è noto un caso molto drammatico di bambine dell Equador che hanno avuto un grosso problema, per cui sono venute a Pavia per ragioni di cura, e rispetto a cui noi dobbiamo dare dei segnali di accoglienza e di accettazione, nella consapevolezza che quanto più noi generiamo un offerta per la domanda che c è di residenza, di alloggio, di sostegno, quanto più questa offerta genera una domanda. E allora vi pongo qui un problema: è importante riuscire a capire quale può essere il confine, tenuto conto che noi non possiamo fare tutto, ma tenuto conto che il nostro essere cristiani credo ci interroghi in

maniera molto seria, molto profonda sul dovere che noi abbiamo di dare concretamente dei gesti di solidarietà. La città di Pavia vede crescere alcuni elementi di disagio sociale: mi riferisco ai problemi dell alcool, al problema della tossicodipendenza (che peraltro nella nostra città è contenuto entro confini abbastanza fisiologici in rapporto al numero degli abitanti). Siamo di fronte alla crescita di fenomeni di disagio e qualche volta di poli-dipendenza. Alcolisti che sono anche tossicodipendenti, tossicodipendenti che sono anche alcolisti; qualche volta queste persone svolgono anche attività illecite, per cui il tossicodipendente o l alcolista diventa anche carcerato, diventa anche disoccupato. E quindi come se il disagio richiamasse altro disagio e amplificasse situazioni drammatiche che riguardano i singoli individui. Ebbene, i numeri stanno crescendo in modo importante. Stanno crescendo perché il bisogno relazionale cresce, diventa sempre più forte. Decenni fa era sufficiente dare un piatto di minestra calda e un letto alle persone che avevano bisogno; oggi non è più così: nessuno di noi accetterebbe come decoro, come dignità della vita della persona semplicemente la sussistenza materiale. Vi do un idea di come cambiano i numeri, raccontandovi i numeri del bilancio del Comune. Nel 1995 il Comune di Pavia spendeva per i servizi sociali (complessivamente presi), circa 12 miliardi l anno (il bilancio del Comune di Pavia sulla spesa corrente è circa 125/130 miliardi l anno). Nel 2001 le proiezioni a fine anno ci dicono che il Comune spenderà circa 23 miliardi. Quindi la spesa per i servizi sociali nel corso degli ultimi 5 anni è quasi raddoppiata. Se tenete presente che, nonostante questo raddoppio, noi siamo ben lungi dall assecondare tutte le necessità e tutti i bisogni che quotidianamente si presentano all attenzione del Comune di Pavia, vedete come sicuramente questi fenomeni siano fenomeni in fase d espansione. Qui sorge un problema molto serio: il problema di che cosa fare, come approcciare, anche sotto il profilo della questione fiscale tributaria, il rapporto fra città e disagi. E noto a tutti che le tasse sono ritenute troppe, anche da parte degli Enti locali, però deve essere molto chiaro che noi non siamo più in condizioni di dare ulteriori risposte nel senso di aumentare questo trend a meno di non recuperare nuove risorse dal territorio. Credo che anche questo sia un grande problema di cui la città deve farsi carico e di cui bisogna prima o poi cominciare a parlare. Concludo con alcuni esempi. La città deve convivere con realtà sociali diverse. Abbiamo la realtà dei nomadi: non è una realtà semplice, è una realtà di forte disagio, con uno stile di vita che radicalmente è diverso dal nostro e che qualche volta è in conflitto in modo stridente con le abitudini, i costumi, il modo di vivere della popolazione locale. Cosa facciamo come popolazione, come cristiani, cosa facciamo se sorge il problema di realizzare un nuovo campo nomadi, che cosa facciamo se l Amministrazione si trova nella necessità di dover individuare delle aree? Come ci poniamo di fronte a questo problema? Cosa facciamo rispetto alla presenza di extracomunitari che vivono in un regime d irregolarità, magari senza lavoro, magari con una presenza sul territorio occasionale, in qualche misura predatoria sotto il profilo dell opportunità commerciale, della richiesta di soldi, ai margini delle strade o agli incroci? Ci rifugiamo in una stretta legalità, tale per cui poi chiediamo a chi di dovere l espulsione, oppure assumiamo un atteggiamento di tolleranza, di comprensione, di moderazione e in qualche misura anche di accettazione al di fuori del sistema di regole definite? E se sì, come riteniamo corretto resettare questo sistema di regole? Cosa facciamo rispetto alle necessità di residenza che provengono? Oggi uno dei grandi problemi per questi fenomeni di immigrazione (che sono gli unici che consentono di pareggiare il saldo negativo delle nascite e di dare poi delle prospettive anche sotto il profilo della tenuta e della stabilità del tessuto economico), è la residenza: queste persone vengono qui e devono trovare un posto dove abitare. Ecco, siamo disposti ad affittare le nostre case agli extracomunitari, siamo disposti ad avere un atteggiamento d accoglienza in questo senso? Cosa facciamo, per esempio, rispetto alla multireligiosità e alle differenze culturali? Se in città emergesse il bisogno della costruzione di uno spazio religioso da parte dei musulmani, come riteniamo di interpretare, di accogliere o non accogliere questa richiesta? Riteniamo che sia una cosa legittima, un bisogno essenziale dell individuo cui è doveroso dare risposte, oppure temiamo che sia un intrusione inopportuna in un tessuto culturale cristiano consolidato rispetto cui non devono esserci possibilità alternative? Cosa facciamo per esempio rispetto alcuni grossi temi che riguardano la soluzione dei problemi del disagio? La legge 68 sull inserimento degli invalidi del mondo del lavoro non è applicata da nessuno, neanche dagli Enti pubblici, tanto meno dai privati. E una legge di grande civiltà, che, se doverosamente applicata, effettivamente consentirebbe alle categorie protette di avere una vera opportunità lavorativa: eppure nessuno si pone questo problema. Cosa facciamo di fronte a questo? Fingiamo che le leggi non esistano, che queste opportunità non ci siano, oppure assumiamo coscienziosamente il dovere di assecondare

la legge, di dare una risposta, anche al prezzo di avere delle persone che sotto il profilo produttivo hanno opportunità inferiori? Mi fermo qui, ma vorrei darvi un ultima indicazione. Io credo che oggi la cosa più importante sia quella di relazionarsi tra gli Enti: Enti pubblici, Agenzie di volontariato, Diocesi, Azione Cattolica, persone attive sul territorio hanno molta necessità di parlarsi e di organizzare la propria attività per evitare gli sprechi e le sovrapposizioni. Le cose da fare sono molte, bisogna cercare di farle al meglio, e se ci si mette insieme probabilmente i risultati sono migliori. Bisogna cercare soprattutto di attivare delle risorse stabili, che persistano sul territorio, e consentano nel tempo di dare una risposta complessiva ai fenomeni di disagio. E poi bisogna secondo me cercare di riflettere su questi cambiamenti della società, cercando soprattutto di aiutare i giovani, nella formazione sia culturale sia professionale, perché poi in ultima analisi dipenderà da loro come questo futuro verrà giocato. E un momento di straordinarie trasformazioni. Credo che il fatto che queste trasformazioni ci portino ad avere delle società migliori, una qualità della vita migliore per tutti, dipenda in ultima analisi soltanto da noi. Da noi come società, ma da noi anche come singolo individuo che ogni giorno è chiamato a fare la propria parte nel proprio piccolo, cercando di raggiungere dei risultati, sapendo che la realtà e il mondo stanno cambiando molto velocemente.