Formare per l innovazione



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Parte II Formare per l innovazione La formazione per l innovazione comprende sia le iniziative collegate ai processi di sviluppo di nuovi mercati, tecnologie e modelli organizzativi, sia i gruppi creativi orientati a costruire competenze trasversali e a conseguire risultati sul piano dello sviluppo dei prodotti, dei servizi e dei processi organizzativi. Si tratta, in altre parole, di sviluppare entro differenti contesti un tipo di formazione situata orientata a sviluppare una consapevolezza che interessi non solo la sfera cognitiva ma pure quella sensoriale ed emotiva, che consenta di focalizzarsi sui dettagli effettivamente rilevanti nelle diverse circostanze. A questo proposito un riferimento fondamentale è la nozione di mindfulness ( piena consapevolezza ) che Karl E. Weick rileva essere una specifica qualità delle organizzazioni ad alta affidabilità (high reliability organization), ovvero di quelle che operando in situazioni di elevata incertezza e complessità sono riuscite a sviluppare una particolare cultura di gestione dell inatteso fondata sulla coscienza dei dettagli critici. Ciò detto, formare all innovazione significa riferirsi al concetto di formazione-azione, vale a dire a un processo educativo volto a dare risalto alla partecipazione attiva delle persone riguardo ai processi di miglioramento e di diffusione delle innovazioni. Più in particolare, per fare formazione per l innovazione in modo costruttivo bisogna che i partecipanti riescano a diventare degli attori riflessivi, vale a dire che si mostrino in grado di attivare e presidiare processi organizzativi che includono la comprensione del contesto e l analisi delle pratiche al momento impiegate per giungere alla loro evoluzione; questo deve avvenire seguendo dei cicli ricorsivi che portino a una riflessione critica e contestualizzata delle esperienze organizzative, per poi giungere a un apprendimento collettivo che si realizza durante lo stesso processo di formazione-azione; il fine è di arrivare a una presa di decisione riguardo il da farsi. In altre parole, nella

98 Parte II formazione-azione il lavoro si basa principalmente sui riferimenti concettuali, sulle conoscenze formali e informali disponibili e sulle opinioni riguardo alle pratiche organizzative. Ciò per pervenire a una comprensione personale della situazione (personal knowledge) capace di rispondere a una domanda di senso che si riveli utile per l azione concreta. Pertanto, questo tipo di formazione risulta orientata congiuntamente sia allo sviluppo delle persone sia al miglioramento delle pratiche organizzative per arrivare alla costruzione di significati condivisi (sensemaking). In questa prospettiva Francesco Paoletti e Luca Solari considerano i rapporti intercorrenti fra knowledge management e innovazione. In generale, si può affermare che la gestione del know how e del know what, vale a dire i processi di sedimentazione, diffusione e combinazione-ri-combinazione delle conoscenze, costituiscano l origine principale delle innovazioni. È però anche importante precisare le funzioni specifiche che i processi di gestione della conoscenza possono svolgere al riguardo. Innanzitutto risulta possibile catturare conoscenze elaborate in precedenti progetti al fine di utilizzarle di nuovo, una volta che esse siano opportunamente ricontestualizzate e rielaborate riferendosi a tassonomie precostituite oppure a categorizzazioni costruite secondo una logica pull ovvero a folksonomy; si possono poi condividere delle lezioni apprese in un lavoro di team in modo da trasformarle in principi generali spendibili anche in altri contesti; è infine possibile sintetizzare e mettere a disposizione una conoscenza esterna di valore per l organizzazione, come per esempio buone prassi, al fine di favorire processi di combinazione e di fertilizzazione incrociata delle conoscenze. Di conseguenza, un sistema evoluto di knowledge management per le funzioni che può svolgere è in grado di costituire una buona base per l innovazione e il miglioramento; questo, però, a patto che sia presente nell organizzazione una cultura orientata al cambiamento che consenta di motivare le persone a utilizzare positivamente le risorse di conoscenza. Il knowledge management, specie se combinato con appropriate iniziative di formazione e di sviluppo organizzativo, può trovare un terreno particolarmente fertile nel Web 2.0, che per un verso abilita a nuove soluzioni rese possibili dal social networking e per altro verso ha cambiato in termini significativi il contesto delle organizzazioni. A questo riguardo si pensi a dei casi esemplari di trasformazione dei ruoli professionali, come quello dei lavoratori mobili che non dispongono più di una postazione fissa per svolgere la propria attività, ormai centrata sul personal computer e il blackberry, o ancora agli expatriate double desk chiamati a ricoprire, in contemporanea, due posizioni di responsabilità in aree geografiche assai distanti, i quali riescono a far fronte in maniera adeguata al doppio ruolo proprio grazie a Internet. Certo è che le potenzialità dei sistemi di knowledge management si possono esprimere solo in presenza di un adeguata cultura della condivisione e della collaborazione. Un riferimento a tale proposito è costituito dalla cultura della commons-based peer production animata da una forte identificazione con la

Formare per l innovazione 99 missione e dal desiderio di partecipare alla costruzione e al miglioramento del prodotto. Qui, entro un ambiente connesso, sia la produzione sia l innovazione migliorativa di prodotto e di processo divengono, per così dire, democratiche poiché risultano partecipate e condivise da una pluralità di soggetti sensibili agli stessi valori e ideali di riferimento e motivati dalle stesse tensioni. Secondo questo modo di vedere, Teemu Arina sostiene che nell era attuale di personalizzazione di massa, in cui il contesto di riferimento chiave risulta l ecosistema digitale, il modello di organizzazione emergente sia quello della cloud company, che si basa sul decentramento delle responsabilità verso self contained team e sull integrazione organizzativa fondata principalmente sulla connessione abilitata dalle risorse digitali e dai social media e su una cultura di riferimento e una leadership condivisa. Perciò, avendo particolare riguardo alle tendenze in atto, i sistemi di knowledge management evoluti costituiscono una condizione necessaria ma non sufficiente per i miglioramenti, mentre la formazione per l innovazione costituisce un fattore complementare indispensabile per costruire un terreno culturale di interpretazioni e significati comuni che consente alle persone di sviluppare un intelligenza collettiva capace di fare nascere nuovi significati di trasformazione positiva. Francesco Zurlo e Cabirio Cautela considerano un particolare approccio di formazione per l innovazione. Si tratta della formazione design-driven, che ha come centro le comunità di progetto entro cui la creatività non è il prodotto delle caratteristiche degli individui singoli ma costituisce il frutto di un articolato processo di riflessione e sistemazione collettiva capace di rendere feconde le competenze e le esperienze accumulate nel tempo dai diversi partecipanti. Ciò attraverso una metodologia originale che conduce a una nuova attribuzione di senso complessiva. Il design è un attività creativa il cui scopo è immaginare e investigare nuove idee e significati e concretarli in disegni e modelli. Non è un caso infatti che il significato etimologico di design sia dare senso alle cose. Perciò la formazione design-driven opera in questa prospettiva essendo orientata a costruire la design mindfulness, vale a dire una consapevolezza specifica utile per leggere in profondità i contesti socio-tecnici traendone spunti e indicazioni adatti ai processi di miglioramento e di innovazione. Questo tipo di formazione ha radici particolarmente feconde nel nostro Paese dove la competizione design-driven ha permesso di conseguire risultati di grande rilievo a imprese di svariati settori come quello dell arredamento, dell alimentazione e della moda. Come affermano gli Autori: un designer è noto per le sue capacità di visualizzazione [ ] ai designer viene richiesto sovente di rappresentare idee attraverso schizzi, metafore, prototipi [ ]. Far vedere è il principale riferimento di un processo di negoziazione tra persone che hanno spesso diversi background e diversi linguaggi. Vedere esprime la capacità di osservare con lenti critiche i segnali deboli, emergenti dal contesto, i piccoli dettagli senza importanza, come alcuni gap di un prodotto o di un servizio o, semplicemente alcuni comportamenti emergenti. Ecco, la capacità di vedere dei designer consente di andare oltre le modalità di os-

100 Parte II servazione stretta dei manager per avviare la formulazione di domande non convenzionali. Tale percorso risulta facilitato da processi di allenamento che sostengono la formazione di capability che inducono a costruire domande non convenzionali. In altre parole, una finalità delle comunità di progetto riguarda la costruzione di capacità di vedere, pre-vedere e far vedere. Ciò avviene attraverso l impiego di tecniche di creatività orientate al pensiero divergente, processi di storytelling, gestione delle fasi di negoziazione delle idee e delle intuizioni, i metodi di osservazione dei contesti d uso e soprattutto attraverso la visualizzazione, la prototipazione e gli strumenti di lettura morfologica, gestaltica e semantica degli artefatti. Nella formazione design-driven un ruolo chiave è quello svolto dal workshop progettuale, che risulta orientato sia alla sperimentazione sia a tenere esplicito conto dei fattori contestuali entro il processo di formazione. I laboratori di progettazione sono definiti dagli Autori come: delle palestre di apprendimento fondate sulla scelta [ ] sono, infatti, i progettisti che debbono assumere delle decisioni determinando il setting del problema-quesito progettuale, il taglio da dare al progetto, le priorità e gli accenti su cui investire. [Inoltre ] è attraverso queste scelte che si generano, congiuntamente agli avanzamenti dei lavori, anche dei gradi di consapevolezza e apprendimento progressivamente maggiori. Insomma, la formazione per l innovazione design-driven risulta fondata, come affermano Zurlo e Cautela, su un processo fra genio e regolatezza. Questo perché essa si basa su modalità di procedere insieme geniali e regolate ovvero costruite ricorsivamente sul pensiero divergente volto a generare nuovi modi di vedere le cose e su quello convergente volto a ottenere risultati concreti che tengano conto delle possibilità e dei vincoli posti dalla situazione. Cristina Bombelli tratta della formazione collegata a un particolare processo di innovazione, quello connesso allo sviluppo internazionale e globale delle imprese. Mentre negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso risultavano più diffusi i processi di formazione dedicati all internazionalizzazione fondati sulle dimensioni culturali nazionali di Geert Hofstede e quelli di comunicazione interculturale secondo la prospettiva di Fons Trompenars, oggi la formazione interculturale specifica risulta rivolta principalmente agli espatriati a lungo termine escludendo il caso degli espatriati double desk. Per quanto riguarda invece altre categorie di destinatari come, per esempio, i team interculturali, la formazione viene svolta perlopiù in maniera implicita e contestualizzata attraverso il lavoro concreto entro progetti specifici e situati. In quest ambito appare di particolare rilievo il caso di quelle imprese che si sono sviluppate a livello internazionale e globale in preminenza attraverso processi di fusione e acquisizione. Qui assumono particolare importanza i cantieri d integrazione internazionali volti a generare un processo di contaminazione culturale attraverso processi partecipati e coinvolgenti di riflessione, scelta e fine tuning di buone pratiche. In altri casi la formazione assume il primato della cultura organizzativa globale. Il vantaggio e il limite di quest ultima modalità è di fare una proposta chiara e forte in termini di identità culturale che risulta efficace nel

Formare per l innovazione 101 delimitare i confini delle reciproche attese organizzazione-collaboratore rispetto alla quale le persone possono misurarsi. Qui, in altri termini, si postula che l appartenenza alla cultura aziendale possa essere sovrastante alle differenze di identità collegate alle diverse nazionalità. Ciò fornisce all organizzazione un contesto forte di riferimento e un linguaggio che si pone come una sorta di esperanto, che rende agevoli i processi di comunicazione. Sicuramente, anche nel campo della formazione all innovazione orientata all internazionalizzazione e alla globalizzazione la finalità fondamentale non è apprendere uno schema, ma contribuire a formare una mente multi-culturale, capace di auto-osservare il proprio punto di vista e di coglierne i limiti e le valenze per riuscire a interpretare i significati del complesso territorio organizzativo entro il quale ci si trova a giocare il proprio ruolo. RCDN