INTRODUZIONE Karl Raimund Popper fu sicuramente un filosofo prolifico e la sua epistemologia, fra tutti i campi che egli trattò, è quella che ha sollevato le critiche più severe e più numerose, ma anche non poche adesioni. Ne sono una prova i libri scritti su Popper e contro Popper, sia da filosofi che da scienziati. Su di lui, quindi, è stato scritto tanto e il suo pensiero è stato studiato sotto ogni aspetto, per cui una tesi che parlasse non criticamente del suo pensiero correrebbe il rischio di essere una riflessione di cose dette, forse meglio, da altri. Tratterò in questa mia tesi la posizione di Popper sulla demarcazione tra scienza e metafisica. Problema che con le parole di Popper così si definisce: «Chiamo problema della demarcazione il problema di trovare un criterio che ci metta in grado di distinguere tra le scienze empiriche da un lato e la matematica e la logica, e così pure i sistemi metafisici, dall altro». 1 Si tratta dello stesso problema che «ha interessato diversi filosofi, fin dal tempo di Bacone. [ ] L opinione più diffusamente accolta era che la scienza fosse caratterizzata dalla sua base osservativa, ovvero dal 1 Karl Popper, Logica della scoperta scientifica. Il carattere auto correttivo della scienza. Biblioteca Einaudi, Torino, 1998, p. 15 1
metodo induttivo, mentre le pseudoscienze e la metafisica si distinguevano per il loro metodo speculativo o, come diceva Bacone, per il fatto che operavano mediante anticipazioni mentali, qualcosa di molto simile alle ipotesi». 2 Si tratta, dunque, del problema dell induzione, se è vero che la scienza progredisce secondo il cammino che dall osservazione, dall esperimento, giunge alle teorie; anzi, se è vero, addirittura che questo induttivistico modo di procedere è lo specifico metodo delle scienze. Popper, così scrive: «Ci vollero anni per accorgersi che i due problemi, quello della demarcazione e quello dell induzione, erano in un certo senso un solo problema». 3 Popper si è dunque confrontato con David Hume, che si domandava come fosse possibile passare da una molteplicità di osservazioni ad una teoria che permettesse di prevedere il comportamento della natura, chiedendosi se fosse davvero corretto e scientificamente affidabile il procedimento induttivo, che permette di passare da tanti casi particolari ad un enunciato generale. La risposta di Hume è negativa. Egli sostenne che l uomo è portato a credere nell induzione, perché guidato dall abitudine. Popper nota che si tratta di una spiegazione psicologica poco convincente. Dirà, infatti, 2 Karl Popper, Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica. Il Mulino, Bologna, 2003, p. 435 3 Ibidem, p. 94 2
che «l idea centrale della dottrina di Hume è quella della ripetizione, basata sulla similarità (o somiglianza ). Quest idea è utilizzata in maniera assai poco critica. Siamo indotti a pensare alla goccia che scava la pietra: a sequenze di eventi sicuramente simili, che lentamente ci si impongono. [ ] Rispondiamo necessariamente alle situazioni come se fossero equivalenti; le assumiamo come simili; le interpretiamo come ripetizioni. [ ] Il tipo di ripetizioni concepito da Hume non può mai essere perfetto; i casi in cui egli si riferisce non possono mai essere identici; può trattarsi solo di casi di similarità. Dunque si tratta di ripetizioni soltanto da un certo punto di vista. Ciò che per me è una ripetizione, può non apparire tale a un ragno. Ma per ragioni logiche, deve esserci sempre un punto di vista - un sistema di aspettazioni, anticipazioni, assunzioni, o interessi - prima che possa darsi una qualsiasi ripetizione; e questo punto di vista, di conseguenza, non può essere semplicemente il risultato della ripetizione. Ai fini di una teoria psicologica dell origine delle nostre credenze, dobbiamo sostituire all idea primitiva di elementi che sono simili, la concezione di eventi cui noi reagiamo interpretandoli come simili. Ma se è così, e non vedo altra possibilità, allora la teoria psicologica humeana dell induzione conduce a un regresso all infinito, del tutto analogo 3
all altro regresso all infinito scoperto dallo stesso Hume e da lui utilizzato per far saltare la teoria logica dell induzione». 4 Dopo Hume, il più importante tentativo di giustificare il carattere epistemico della conoscenza scientifica è quello compiuto da Kant che, se da una parte ritenne che Hume lo aveva destato dal sonno dogmatico, dall altra si rese conto che era necessario sottrarre allo scetticismo il pensiero filosofico. Egli aveva, d altronde, di fronte a sé, il sistema newtoniano, che a quel tempo era ritenuto una conoscenza definitiva e che lo spingeva alla convinzione che noi, se vogliamo conoscere, dobbiamo superare il semplice empirismo, come forse lo superò, magari senza accorgersene, lo stesso Newton. Kant ritenne di riuscirci con il suo trascendentalismo, che gli permise di considerare la conoscenza come risultato di una attività dell intelletto, supportata comunque da quelle che Hume definiva percezioni. «Per Kant, dunque - come dice lo stesso Popper - la teoria newtoniana era semplicemente vera, e la credenza nella sua verità restò intatta per un secolo dopo la sua morte. Questi, in definitiva, accettò quello che egli, e chiunque altro, considerava un dato di fatto, il conseguimento della scienza o epistēmē. In un primo tempo accettò questo dato senza metterlo in discussione. Definì poi tale 4 Karl Popper, Congetture e confutazioni, op. cit., pp. 80, 81 4
stato il suo sonno dogmatico, dal quale fu risvegliato studiando Hume (che) suscitò in Kant la comprensione della semi-assurdità di quello che egli non aveva mai dubitato fosse un fatto. [ ] Sorse così il problema centrale della Kritik: Com è possibile una scienza naturale pura? Una conoscenza generale, precisa, matematica, dimostrabile e indubitabile, come la geometria non euclidea, e in più capace di fornire una spiegazione causale dei fatti osservati?». 5 Com è noto, la soluzione kantiana di questo problema consiste nella celebre sua rivoluzione copernicana, secondo cui l intelletto non considera qualità intrinseche della natura le categorie di spazio e tempo, che sono invece proprie dell intelletto e vengono quasi imposte da esso ai fenomeni, che vengono da noi conosciuti e concettualizzati grazie a queste categorie che imponiamo loro, determinando quel che Kant chiama trascendentalismo. Popper interpreta correttamente la soluzione kantiana: «La conoscenza - epistēmē - è possibile perché noi non siamo passivi recettori di dati sensoriali, bensì attivi assimilatori. Assimilandoli, diamo loro forma e li organizziamo in un Cosmo, l universo della natura. Nel corso di tale processo, imponiamo al materiale presentatoci dai sensi le leggi matematiche che fanno parte del nostro meccanismo di assimilazione e organizzazione. Quindi non è 5 Ibidem, pp. 162, 163 5
che il nostro intelletto scopra delle leggi universali nella natura, ma è esso a prescrivere le sue proprie leggi e ad imporle alla natura». 6 Sebbene Popper consideri la soluzione di Kant geniale, ne critica però sia il presupposto stesso, sia la stessa tesi che costituisce la soluzione di tale problema. Infatti, il problema kantiano di come sia possibile la conoscenza certa, l epistēmē, benché ineludibile, è comunque un problema insolubile, un falso problema ; e ciò semplicemente perché è errata la convinzione kantiana che la scienza elaborata da Newton sia conoscenza certa o epistēmē. Popper scrive infatti: «La questione si imponeva inevitabilmente. Ed era tuttavia insolubile. Infatti, quello che sembrava un dato di fatto, il conseguimento dell epistēmē, non era tale. Come ora sappiamo, o crediamo di sapere, la teoria di Newton non è più di una meravigliosa congettura, una approssimazione sorprendentemente buona; unica, in effetti, ma non come la verità divina, bensì solo come l invenzione di un genio di natura umana; non appartenente quindi all epistēmē, ma al regno della doxa. Con ciò il problema kantiano Com è possibile la scienza naturale pura vien meno, e spariscono le più rilevanti difficoltà ad esso connesse». 7 Kant quindi si sbagliava nel pensare di dover spiegare l unicità e la verità della teoria di Newton, anche se per Popper il 6 Ibidem, p. 164 7 Ibidem 6
suo errore era da ritenere comprensibile, date le conoscenze del tempo, in quanto fu solo con Einstein che ci si rese conto che il sistema di Newton non è il solo possibile, ma che esso rappresenta soltanto un approssimazione di un eventuale spiegazione ultima e che, pertanto, la ragione, nel tentare ulteriori approssimazioni «è capace di più di una interpretazione, e non può imporne alla natura una propria, una volta per tutte». 8 Nel pensiero di Kant, tra l altro, non fu svolto fino in fondo lo sforzo di demarcazione tra teorie scientifiche e teorie metafisiche, per cui esso fu ulteriormente trattato e sviluppato fino in epoca contemporanea a Popper. Se ne interessarono sia Wittgenstein che tutto il Circolo di Vienna. Il problema non poteva però essere considerato definito e risolto, perché essi lo trattarono soltanto in termini linguistici, tant è che lo stesso Rorty definì questo tentativo una svolta linguistica. Nell interpretazione della logica da parte di tutti coloro che facevano parte del Circolo, si pensò di poter stabilire una demarcazione, sostenendo che la scienza era formulata con proposizioni significanti, mentre quelle metafisiche erano prive di significanza. La più caratteristica affermazione del positivismo logico è, infatti, che una proposizione ha significato solo nella misura in cui essa è verificabile. Ne segue che sono dotate di 8 Ibidem, p. 330 7
significato solo due classi di proposizioni: le proposizioni empiriche, come tutti i gravi cadono verso il centro della Terra, che sono verificate per via di esperimenti - questa categoria include anche le teorie scientifiche; le verità analitiche, come tutti i mariti sono sposati o la somma degli angoli interni di un quadrilatero è 360 gradi, che sono vere per definizione - e include anche le proposizioni matematiche. Tutte le altre proposizioni, incluse quelle di natura etica ed estetica, sull'esistenza di Dio, e via dicendo, non sono quindi dotate di significato, e appartengono alla metafisica. Le questioni metafisiche sono in effetti falsi problemi e non meritano l attenzione dei filosofi. Popper si rese subito conto che il significato delle proposizioni non era sufficiente a stabilire una demarcazione: anche le proposizioni metafisiche hanno un significato! Questo lo costrinse a riflettere sulla necessità di una diversa soluzione, che egli formulò definitivamente prima nella Logica della scoperta scientifica (1934), poi nel Poscritto alla logica della scoperta scientifica (1956) e infine nei Due problemi fondamentali della conoscenza (1979). In tutte queste opere, ma anche in occasione di scritti polemici e di conferenze, Popper insistette sempre sulla validità della sua teoria di demarcazione e con il tempo l affinò sempre più, inserendovi i problemi di logica ad essa inerenti, soprattutto 8
recependo il concetto di verità di Tarski, che rispetta la concezione tradizionale della verità come corrispondenza ai fatti. E lo studioso di logica polacco che, infatti, sostenne che «vero è solo quello che corrisponde alla realtà, in opposizione, per esempio, alla concezione utilitaristica vero: utile sotto un certo aspetto». 9 A questo proposito, Popper ricorda anche Wittgenstein e la sua teoria «sorprendentemente ingenua, della verità come immagine o proiezione». 10 Il maggiore risultato ottenuto da Tarski e il reale significato della sua teoria, sia per la filosofia che per le scienze empiriche, sta per Popper «nel fatto che egli riabilitò la teoria della verità assoluta, o oggettiva, intesa come corrispondenza, che era diventata sospetta. Egli rivendicò la possibilità di usare liberamente l idea intuitiva della verità come corrispondenza ai fatti. La convinzione» prosegue Popper «che la sua teoria sia applicabile soltanto ai linguaggi formalizzati è, a mio avviso, erronea. Essa risulta applicabile ad ogni linguaggio coerente e anche a una lingua naturale, purché impariamo dall analisi di Tarski come evitarne le incoerenze [ ]». 11 I problemi della logica hanno, dunque, un importanza radicale nella teoria popperiana della demarcazione, come dimostra l aggiunta di 9 Alfred Tarski trattò questa questione nell opera Der Wahrheitsbegriff del 1933 10 Karl Popper, Congetture e confutazioni, op. cit., p. 382. 11 Ibidem, p. 383 9
un Addendum alle pagine dedicate a Verità, razionalità e accrescersi della conoscenza. 12 Si terrà conto nello sviluppo della tesi sulla demarcazione delle teorie scientifiche da quelle metafisiche, sia di questi approfondimenti popperiani sulla logica, sia della soluzione che egli dà, anche servendosi di essi come strumento, al problema del realismo. 12 Cfr. Verità, razionalità e accrescersi della conoscenza, in Congetture e confutazioni, op. cit., pp. 39 e segg. 10
І KARL POPPER «Popper ha conseguito risultati d eccezione e, in alcuni casi, rivoluzionari in filosofia della scienza, nella teoria della probabilità, in teoria della conoscenza, in metafisica, nella filosofia sociale e politica e nella filosofia della storia; ha dato importanti contributi, suscitando non poche polemiche, alla nostra comprensione della logica, della storia della filosofia, specialmente dei presocratici, della meccanica classica, della termodinamica classica, della fisica dei quanti, della biologia evoluzionistica, della psicologia, della musica». David Miller 1. Biografia Il 28 luglio 1902, da genitori di fede ebraica convertiti al luteranesimo, nasce Karl Raimund Popper, a Vienna, città austriaca dove «vengono elaborate le grammatiche di lettura con cui gli uomini del ventesimo secolo leggeranno il mondo». 13 E qui che, infatti, nascono la musica dodecafonica, l architettura moderna, il positivismo legale, la pittura astratta, la psicoanalisi, il 13 Massimo Baldini, Introduzione a Karl R. Popper, Armando Editore, Roma, 2002, p. 9 11
neopositivismo e la filosofia del linguaggio; è qui che, Sir Popper si forma intellettualmente: consegue il dottorato in Filosofia (1928) con una dissertazione dal titolo Sul problema del metodo della psicologia del pensiero, si sposa (1938), insegna nelle scuole elementari dal 30 al 36, entra in contatto col Circolo neopositivista e pubblica la sua prima grande opera, Logica della scoperta scientifica, in cui affronta i due problemi che costituiranno la sua riflessione per un intera vita: il problema dell induzione e quello della demarcazione tra ciò che è scientifico e ciò che è filosofico, metafisico, etico, religioso, logico o matematico. Nei primi anni Venti lavora come operaio nella costruzione di strade e come apprendista presso un ebanista; compone, sulle orme della madre, avendo come modello Bach, e viene ammesso al Conservatorio. Nel 1925 viene ammesso all Istituto pedagogico di Vienna. In quegli stessi anni ascolta una conferenza di Einstein e rimane colpito dal suo spirito critico e dal suo amore per la polemica che invece non aveva riscontrato in quelli che inizialmente erano stati i suoi riferimenti: Marx, Freud, Adler. Nel 1937, approfittando dell offerta di un incarico di lettore di filosofia presso l Università di Canterbury a Christchurch, emigra in Nuova Zelanda, per sfuggire al Nazismo. Nel 1946, su interessamento di von Hayek, si trasferisce in Inghilterra dove insegnerà Logica e 12
Metodo scientifico alla London School of Economics, qui diverrà professore nel 49 e direttore del neonato Dipartimento di Filosofia, Logica e Metodo Scientifico. Nel 1950 compie il suo primo viaggio negli Stati Uniti, dove incontra per la prima volta Albert Einstein: «L argomento principale delle nostre conversazioni fu l indeterminismo. Io cercai di persuaderlo ad abbandonare il suo determinismo, che in pratica si riduceva all idea che il mondo fosse un universo chiuso, di tipo parmenideo, a quattro dimensioni, nel quale il mutamento era un illusione umana, o qualcosa di molto simile. Egli era d accordo che questa fosse la sua opinione, e discutendo di ciò, io lo chiamai Parmenide» 14, come scriverà Popper, ricordando l episodio. Nel 65 viene insignito del titolo di baronetto dalla regina Elisabetta II e nel 76 diviene membro della Royal Society, l accademia nazionale inglese delle scienze. In Inghilterra si scontrò con la figura dominante dell ambiente filosofico di quel periodo, Ludwig Wittgenstein. Il primo e unico incontro tra i due ebbe luogo il 25 ottobre 1946, nell aula 3 della scala H del King s College di Cambridge. La sala era affollata e furono in molti a restare in piedi per ascoltare il giovane professore. Popper così ricorda : «ricevetti un invito, perché leggessi un saggio, [ ] era chiaro che dietro, 14 Karl Popper, La ricerca non ha fine. Autobiografia intellettuale, Armando Editore, Roma, 2002, p. 145 13
c era la tesi di Wittgenstein, secondo la quale in filosofia non esistono problemi genuini, ma soltanto perplessità linguistiche. Siccome questa tesi era fra quelle che più avversavo, decisi di parlare su Ci sono problemi filosofici? [ ] Presentai un elenco da me preparato di problemi filosofici, come : Conosciamo le cose attraverso i nostri sensi? Otteniamo la nostra conoscenza per induzione? Wittgenstein li respinse, dicendo che erano problemi logici piuttosto che filosofici. Posi allora il problema se esista l infinito potenziale o forse anche quello attuale, un problema che egli respinse come matematico. [ ] Ricordai quindi i problemi morali e il problema della validità delle norme morali. A questo punto Wittgenstein, il quale sedeva vicino al caminetto e giocava nervosamente con l attizzatoio, che talvolta usava come bacchetta da direttore d orchestra per sottolineare le sue affermazioni, mi lanciò una sfida: Dai un esempio di regola morale!. Io replicai : Non minacci i conferenzieri ospiti con gli attizzatoi. Dopodiché Wittgenstein, infuriato, gettò giù l attizzatoio e se ne andò adirato dalla stanza, sbattendo dietro di sé la porta». 15 15 Ibidem, pp. 139, 140 14