Parte Prima Le fonti del diritto del lavoro 1 Come possono essere classificate le fonti del diritto del lavoro? Il diritto del lavoro si caratterizza per il concorso di una molteplicità di fonti e cioè di atti, tutti dotati, sia pure con un diverso grado di efficacia, della forza giuridicamente riconosciuta di determinare la concreta regolamentazione del rapporto di lavoro. Le fonti che concorrono alla formazione del diritto del lavoro possono essere suddivise in tre gruppi. Appartengono al primo gruppo, le fonti del diritto internazionale sovranazionale. Le norme internazionali di origine consuetudinaria possono essere considerate fonti dirette del diritto del lavoro ex art. 10 Cost., secondo il quale l ordinamento si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. Le norme internazionali di natura pattizia (cioè i trattati) sono ritenute, invece, fonti indirette in quanto devono essere ratificate con legge dello Stato per entrare a far parte dell ordinamento giuridico italiano e ad esse deve essere data esecuzione affinchè diventino applicabili e vincolanti per i singoli individui. Il diritto dell Unione Europea è costituito dalle disposizioni dei trattati istitutivi dell Unione Europea, così come integrati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e da atti successivi, da ultimo dal Trattato di Lisbona (firmato il 13-12-2007 ed entrato in vigore il 1-12- 2009) che ha modificato il trattato sull Unione Europea (TUE) e il Trattato istitutivo della Comunità europea ridenominato Trattato sul funzionamento dell Unione europea (TFUE), nonché dagli atti emanati dalle istituzioni dell Unione (regolamenti, direttive e decisioni) (cd. diritto derivato). Il diritto dell Unione Europea ha acquisito sempre più importanza come fonte del diritto del lavoro ed, infatti, gran parte dei provvedimenti adottati negli ultimi anni costituisce attuazione di direttive cui l Italia è tenuta in forza dell appartenenza all Unione Europea.
6 Parte Prima Il secondo gruppo è costituito dalle fonti legislative, che possiamo ordinare secondo una gerarchia: al vertice la Costituzione la quale, oltre ai principi fondamentali (artt. 1, 3, 4) che fanno del lavoro (non solo subordinato) il valore fondante della Repubblica, dedica ad esso le disposizioni garantistiche e di tutela del titolo III Parte I: sono gli artt. 35-40 aventi ad oggetto la formazione e l elevazione professionale dei lavoratori, la retribuzione, l orario di lavoro, il riposo settimanale, le ferie annuali, i diritti delle donne e dei minori, la previdenza ed assistenza sociale, la tutela dell attività sindacale e il diritto di sciopero; al secondo posto, la legge ordinaria e gli atti aventi forza di legge quali i decreti legislativi ex art. 76 Cost. e i decreti legge ex art. 77 Cost., nonché le leggi regionali, fonti di produzione normativa nei limiti del nuovo criterio di ripartizione legislativa tra Stato e Regioni introdotto dalla L. cost. 3/2001; infine, vi sono i regolamenti emanati dal Governo a mezzo decreto del Presidente della Repubblica o dai Ministri, con proprio decreto, ovvero da altre Autorità ove previsto, che hanno efficacia propria degli atti amministrativi e spesso integrano o danno attuazione alle disposizioni della legge. Il terzo gruppo di fonti comprende: a) la contrattazione collettiva, nella quale i lavoratori e i datori di lavoro sono rappresentati dalle rispettive associazioni di categoria (sindacati e associazioni datoriali); b) il contratto individuale di lavoro, nel quale l accordo viene raggiunto direttamente tra il singolo datore di lavoro e il singolo prestatore di lavoro. 2 A seguito della L. cost. 3/2001 come sono ripartite le competenze legislative in materia di lavoro tra Stato e Regioni? La L. cost. 3/2001 ha modificato integralmente il Titolo V della parte seconda della Costituzione, dedicato alle Regioni, Province e Comuni. La nuova suddivisione della potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni si basa sull individuazione di: materie in cui lo Stato legifera in modo esclusivo (ben 17 materie); materie in cui vi è una potestà legislativa concorrente (le Regioni sono tenute a legiferare nel rispetto dei
Le fonti del diritto del lavoro principi fondamentali definiti dalla legislazione statale); materie che appartengono alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni, senza interferenze da parte delle autorità statali. Quest ultimo gruppo di materie deve essere ricavato per esclusione e individuato tra quelle non esplicitamente incluse nei primi due elenchi. Se analizziamo il riparto di competenze solo con riferimento al lavoro e alla previdenza e assistenza, risulta che: sono oggetto della competenza esclusiva dello Stato, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, l ordinamento civile e la previdenza sociale; sono oggetto della competenza concorrente delle Regioni la tutela e sicurezza del lavoro, la tutela della salute e la previdenza complementare e integrativa. L esercizio di tale potestà normativa da parte delle Regioni è subordinato all osservanza dei vincoli derivanti dall ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, nonché al rispetto dei principi fondamentali contenuti nella Costituzione, eventualmente definiti con legge statale; sono oggetto della competenza esclusiva delle Regioni, le materie non riservate alla legge statale e alla legislazione regionale concorrente, compreso il potere di dare attuazione ed esecuzione agli atti dell Unione Europea nell osservanza delle procedure stabilite dalla legge dello Stato (art. 117, co. 5). 3 Che cosa indica il principio della territorialità? Il principio della territorialità (o principio della lex loci laboris) è un criterio di individuazione della normativa applicabile al rapporto di lavoro. Occorre, infatti, tener presente che è frequente l ipotesi di lavoratori italiani che prestino la loro attività all estero o viceversa di cittadini stranieri che lavorino in Italia: in questi casi, in assenza di una libera scelta della legislazione ad opera delle parti, il criterio applicato è quello della territorialità, in base al quale il rapporto di lavoro è disciplinato dalla legge del Paese in cui il lavoratore svolge abitualmente la sua attività in esecuzione del contratto. 7
8 Parte Prima Tali criteri sono stati stabiliti dalla Convenzione di Roma del 19-6- 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, entrata in vigore il 1-4-1991 nella maggioranza degli Stati membri della UE, e sono stati trasposti nel regolamento comunitario n. 593 del 2008, che disciplina in maniera analoga i contratti individuali di lavoro. Il principio della territorialità, diffusamente applicato, costituisce una fondamentale forma di prevenzione dello sfruttamento di manodopera retribuita inferiormente rispetto ai lavoratori nazionali. La sua importanza è evidente se si considera il rischio che imprese provenienti da Stati (es. la Romania) con un basso regime di protezione del lavoro avrebbero potuto operare in Italia, come pure in altri paesi UE, applicando ai propri lavoratori le proprie leggi (meno favorevoli). 4 Cosa s intende per equità e per principio del favor prestatoris? Si tratta di due fondamentali criteri di interpretazione della disciplina del lavoro capaci, in determinate ipotesi, di orientare la decisione sul bilanciamento degli interessi. L equità costituisce il criterio interpretativo ed il metodo di giudizio del caso concreto. Nel diritto del lavoro la legge fa riferimento a tale regola in talune importanti ipotesi: art. 36 Cost. per determinare la giusta retribuzione, l art. 2109, co. 2, c.c. per la durata delle ferie annuali, l art. 2110 c.c. per la determinazione del trattamento retributivo-indennitario in caso di infortunio, malattia, gravidanza e puerperio, l art. 2118 c.c. per la durata del preavviso. Il potere di decidere secondo equità una controversia può essere conferito al giudice, oltre che dalla legge, anche dalla concorde volontà delle parti. Il principio del favor prestatoris caratterizza l intero ordinamento giuridico del lavoro e si sostanzia nella particolare tutela che, nel contratto individuale di lavoro, viene accordata al contraente più debole, e cioè al prestatore, come conseguenza della necessità di riequilibrare il diverso peso contrattuale delle parti. L affermazione più generale di tale principio è contenuta nell art. 35 della Costituzione, sul presupposto della subordinazione socio-economica del lavoratore, che si traduce in una disparità negoziale a vantaggio dell imprenditore.
Le fonti del diritto del lavoro Oltre che nella Costituzione, altre affermazioni sono presenti in numerose disposizioni della legge come, ad esempio, in tema di invalidità delle rinunce e transazioni stipulate durante il rapporto di lavoro (art. 2113 c.c.). 5 Qual è l efficacia delle direttive emanate dalle istituzioni dell Unione Europea sull ordinamento nazionale in materia di lavoro? La direttiva rappresenta un indirizzo vincolante per gli Stati membri (al singolo Stato o a tutti gli Stati), i quali, però, sono liberi di scegliere in ordine alla finalità da realizzare il concreto modo di attuazione conformemente ai sistemi giuridici esistenti nei singoli Paesi. In base ai principi formatisi attraverso la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in relazione alle problematiche scaturenti dalla stretta integrazione tra l ordinamento dell Unione Europea e quello degli Stati membri, si è giunti ad affermare che la direttiva è direttamente efficace nell ordinamento nazionale. Le condizioni indispensabili affinché tale efficacia possa essere riconosciuta sono: che la direttiva imponga agli Stati membri degli obblighi sufficientemente chiari e precisi, come nel caso delle direttive dettagliate (casi in cui le disposizioni di una direttiva sono incondizionate e sufficientemente precise); chiarisce il contenuto di un obbligo già previsto; pone a carico degli Stati membri l obbligo di astenersi dall approvare determinati atti o dal compiere specifiche azioni (si tratta di un obbligo di non facere). L efficacia diretta delle direttive, che necessitano di un atto interno di recepimento, riguarda i rapporti tra i cittadini e lo Stato (effetto verticale delle direttive) sempre che da esse derivino norme più favorevoli per i cittadini rispetto alla normativa interna che non è stata adeguata. Ciò comporta in primo luogo che, decorso inutilmente il termine fissato per dare attuazione alla direttiva, i singoli possono far valere in giudizio i diritti precisi ed incondizionati che derivano loro dalla direttiva. In secondo luogo, per le autorità nazionali sussiste il divieto di opporre qualunque disposizione interna non conforme ad una disposizione della direttiva che imponga obblighi precisi ed incondizionati. 9
10 Parte Prima 6 Qual è il significato del principio dell Unione Europea della libera circolazione dei lavoratori? Il principio della libertà di circolazione dei lavoratori persegue l obiettivo di tutelare gli individui che intendono esercitare nel territorio di uno Stato membro una attività economica o lavorativa e ciò con riferimento ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e agli imprenditori e agli esercenti attività professionale o arti. Alla libertà di circolazione sono strettamente connessi: il diritto di rispondere a offerte di lavoro effettive; il diritto di spostarsi liberamente al tal fine nel territorio degli Stati membri; il diritto di soggiornare in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un attività di lavoro alle stesse condizioni stabilite per i lavoratori nazionali; il diritto di rimanere sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego. Il regolamento 15-10-1968, n. 1612, che ancora oggi reca la disciplina fondamentale della materia, estende il diritto alla libera circolazione ai familiari del lavoratore, anche se cittadini di Stati terzi, sia quelli appartenenti al nucleo familiare (coniuge e discendenti) che a carico del lavoratore o viventi nella sua casa. Lo stesso regolamento contempla il diritto del lavoratore dell Unione Europea alla parità di trattamento rispetto ai lavoratori nazionali in riferimento alla retribuzione alle condizioni di accesso e di svolgimento del lavoro. Attualmente il diritto di circolazione e soggiorno dei cittadini dell UE è disciplinato, in attuazione della dir. 2004/38/CE, dal D.Lgs. 6-2-2007, n. 30. Con tale decreto sono disciplinate le modalità di esercizio di libera circolazione, ingresso, soggiorno temporaneo e permanente, nel territorio degli Stati membri, dei cittadini dell Unione Europea e dei loro familiari che li accompagnano o li raggiungono, nonché le limitazioni di tali diritti per motivi di ordine pubblico e sicurezza pubblica. Tutta la normativa sulla libera mobilità dei lavoratori non è applicabile agli impieghi nella Pubblica Amministrazione.