Il titolo della mia tesi è ampio e tocca diversi punti di discussione.



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Transcript:

Introduzione La psichiatria non è una branca della medica come le altre. Ed è dall aspetto misterioso della materia che sono stata conquistata e ho scelto di avventurarmi nel discorso dell etica nel mondo psichiatrico. Il titolo della mia tesi è ampio e tocca diversi punti di discussione. Mi sono trovata a scrivere di argomenti che vengono trattati ogni giorno da personaggi illustri e che hanno scelto di studiare l etica, altri con l etica lavorano e convivono, di questi fanno parte gli operatori sanitari. Il mio scopo non è scrivere un manuale di etica in psichiatria ma valutarne l esistenza nel mondo psichiatrico e il suo peso. Ma cosa sarà questa etica? mi chiedevo all inizio del mio percorso di studi, il mio vocabolario dice: parte della filosofia relativa al problema del bene morale (7) oggi mi rendo conto che non è così semplice poter definire cosa è giusto o sbagliato e che purtroppo, non ci sono regole o schemi predefiniti da seguire. In psichiatria quello etico e morale è un problema più grande di quello che si può credere, perché prendere delle decisioni per un altra persona non è semplice, in condizioni famigliari, figuriamoci sul luogo di lavoro e con delle persone di cui non conosciamo poi così bene la vita e le abitudini. Spesso i problemi etici non sono quelli a cui è più facile appellarsi o quelli che sono più in voga questo periodo, quelli di cui tutti parlano ma nessuno arriva mai a una certezza. Temi come fecondazione assistita, eutanasia, aborto. I problemi etici sono soprattutto quelli che ogni operatore sanitario nello svolgere la propria attività si trova davanti improvvisamente. In psichiatria, nel settore territoriale, l infermiere si trova a dover affrontare spesso i problemi del paziente dovendo poi riflettere sull eventualità di proporre al 1

medesimo un ricovero. Eticamente è più giusto strappare una persona alla propria famiglia e alla propria casa sapendo di provocare del dispiacere, o è meglio tentare di raggiungere un miglioramento all interno e con l aiuto del nucleo famigliare della persona correndo il rischio di peggiorare la situazione di salute? I grandi temi di carattere etico di cui fanno discutere soprattutto i mass media non sono quelli che quotidianamente colpiscono la gran parte degli infermieri che si trovano a dover fare delle scelte anche apparentemente di poco conto, ma di fondamentale interesse o importanza per il protagonista: il nostro paziente. Ecco che si trasformano in gravose scelte che l operatore deve realizzare. Eticamente la pratica elettroconvulsivante è assolutamente inaccettabile, considerata lesiva della dignità umana e dell integrità psicofisica, è pur vero che studi recenti hanno dimostrato efficace tale pratica nella cura della depressione. L elettroshock viene tutt oggi proposto come terapia, con buona remissione di malattia associata a miglioramento della qualità di vita, che si mantiene per almeno sei mesi. (22) Naturalmente tale pratica è ancora oggetto di controversie. Studi dimostrano, infatti, che non ci sono forti evidenze per i benefici dell uso di elettroshock nei pazienti depressi. Tutta via esistono esempi che non ne escludono la possibilità di efficacia. (12) Quando si pensava che: fare docce fredde ai pazienti, lasciarli legati a un letto per giorni e giorni, posizionargli la camicia di forza richiudendoli in uno stanzino per un periodo di tempo indeterminato, fossero delle terapie curative o comunque calmanti, non ci si poneva alcun problema etico o semplicemente si credeva che fosse il meglio che si potesse fare per i pazienti. 2

Maggiormente diversificati e, ancora più indietro nel tempo ricordando la caccia alle streghe, meglio uccidere migliaia di donne, madri di famiglia, mogli o correre il rischio di essere tutti sedotti dal demonio e bruciare all inferno? Ai nostri giorni, diversi sono i problemi con cui confrontarsi e, quindi, fermarsi a riflettere. Oggi il cittadino non crede più che nelle realtà culturali del mondo occidentale, ci si possa trovare di fronte a casi di violenza psico-fisica da parte di operatori sanitari, come effettivamente succedeva nel periodo in cui erano in auge le case di cura per malattie mentali (manicomi). Purtroppo, in un paese dove si può essere condannati a pagare multe o a scontare periodi di detenzione per maltrattamenti ad animali (cosa se pure riprovevole), le violenze a persone che non hanno capacità di difendersi si verificano ancora quotidianamente. Per esempio il Pretore di Firenze, con sentenza n 801 del 21 giug no 1991, condannava due infermiere per il reato di lesioni personali dolose per aver, in concorso tra loro inflitto sofferenze fisiche, consistenti in bagni d acqua gelata e tirate di capelli, oltre a sofferenze morali, umiliazioni e offese verbali, nei confronti di una paziente in età avanzata, e in stato di infermità fisica in seguito al quale si trovava immobilizzata a letto e in violazione dei doveri inerenti all esercizio della professione infermieristica, cagionando alla stessa lesioni personali consistite in: frattura della sesta, settima, ottava e nona costa dell emitorace destro, ecchimosi in regione dorsale alta e all arto inferiore sinistro. Tutto ciò, perché la paziente aveva evacuato nel letto. L atteggiamento assai riprovevole delle due infermiere, veniva inoltre, classificato con l aggravante dell avere agito per motivi abbietti o futili (Art. 61, n 1 c.p.), oltre ad avere agito con crudeltà. La coordinatrice del reparto non si mostrò indignata del fatto commesso dalle due infermiere, come ci si sarebbe atteso, bensì prese le loro difese. Certo ai giorni nostri sarebbe inimmaginabile pensare che esista alcun coordinatore o collega, il quale di fronte a un fatto tanto sconvolgente si 3

contrapponga a regole etiche radicate che derivano dal codice deontologico, dal profilo professionale e istruzione universitaria per rendere meno severa la pena o peggio ancora evitarla del tutto a un collega che eserciti la professione in tele maniera. Questo credo sia stato un grosso quesito etico per la coordinatrice coinvolta, che non si sarebbe neppure dovuta chiedere se difendere la paziente o le due infermiere le quali magari avevano perso la testa evitando, così, di porre in cattiva luce il reparto e la professione. (4) Discutendo di etica e moralismi è doveroso trattare l argomento dei trattamenti terapeutici che spesso si riflettono negli spinosi quadri di contenzione, sia fisica che farmacologica. Già con l Art. 34 R.D. 615/1909 veniva specificato che il ricorso ai mezzi coercitivi era possibile solo in casi eccezionali e con il permesso scritto del medico. (4) Ciò veniva rafforzato con l Art.60 il quale dava ulteriori indicazioni di comportamento all interno dei manicomi come l obbligo a indicare la natura del mezzo di contenzione. Oggi la normativa tace per quanto riguarda le contenzioni, perché non è sempre agevole definire il mezzo con cui avviene tale pratica. (4) Infatti, per mezzi di contenzione si intendono quegli strumenti o dispositivi applicati al corpo, a parti di esso o nell ambiente circostante l individuo, atti a limitare la libertà dei movimenti volontari dell intero corpo o di un suo segmento. Prevalentemente, con il termine contenzione, s intende l utilizzo di fascette per l immobilizzazione del malato nel letto. (4) Il punto 4.10 del codice deontologico si riferisce al comportamento dell infermiere nei confronti della contenzione (sia fisica che farmacologica) e sottolinea che dev essere un trattamento eccezionale e motivato; in effetti è necessario rendersi conto che il momento eccezionale è diverso dallo stato di necessità dell istituzione. Alcuni studiosi ritengono che la tutela del malato appare doverosa da parte del medico anche per i 4

malati non psichiatrici, quali anziani e invalidi, che potrebbero prodursi lesioni cadendo dal letto se non contenuti. E importante sottolineare che se nei manicomi era possibile contenere i pazienti previa prescrizione medica era vero che non si conteneva solo ed esclusivamente per motivi terapeutici ma anche per motivi di custodia, per certi versi comprensibile data la presenza di oltre un migliaio di pazienti per struttura e per il diverso profilo dell infermiere psichiatrico rispetto a quello odierno, il quale aveva il compito di custodire il paziente, con qualunque mezzo coercitivo anche di non giustificabile utilizzo o simile. Infatti nelle strutture manicomiali era pratica comune, attuata nei confronti dei pazienti, la contenzione nelle ore notturne non per un problema di aggressività dei malati ma per un discorso di tranquillità del personale. Naturalmente di questi trattamenti non ne è rimasta traccia nelle cartelle cliniche. (4) Oggi l interesse coercitivo è prettamente terapeutico. Infatti non sussiste più la pratica di vedere il contenimento come finalità punitiva, custodialistico o carceraria, ma di solito dovrebbe essere applicata in modo eccezionale e soprattutto nel rispetto della dignità della persona anche se ogni mezzo di contenzione è di fatto contrario alla dignità umana. Durante il periodo di contenzione a cui è sottoposto il paziente è necessario seguire dei controlli sull andamento e l effetto della terapia proprio per non dare luogo a un trattamento punitivo. (4) Alla fine degli anni novanta nelle A.S.L. della regione Piemonte sono stati istituiti i Dipartimenti di Salute Mentale per la gestione dei servizi psichiatrici, afferenti ad una determinata area territoriale. Il principale riferimento normativo a cui l organizzazione della salute mentale piemontese si è ispirata è il Progetto Obiettivo sulla Tutela della Salute Mentale 1998/2000 (POTSM) che ha integrato il contenuto del 5

precedente Progetto obiettivo 94/96 già recepito con una legge regionale del 1995. (3) Il Dipartimento di salute mentale garantisce la continuità terapeutica al paziente che può avere necessità di servizi differenti, durante il decorso della malattia, pur mantenendo come riferimento la stessa équipe curante e permanendo nell'ambito relazionale e sociale del luogo di in cui risiede. Infatti lo scopo dei DSM è di aiutare la persona a riconquistare almeno in parte, l autonomia per quanto concerne le principali attività di vita quotidiana. L infermiere che si reca al domicilio del paziente si trova a muoversi in un ambiente non protetto per sé, ma sicuro per il malato. Questo significa che inevitabilmente l operatore dovrà cercare di conquistare la fiducia della persona e quella della famiglia o delle persone significative. Sostanzialmente l infermiere dell assistenza domiciliare mira a anticipare le fasi di manifestazione della malattia psicotica, attiva le strategie di mantenimento del compenso psichico dei pazienti, evita il ricovero e permette così di gestire delle persone meno malate e meno incapaci di autonomia. 6