CORSO DI FOTOGRAFIA <livello base>



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CORSO DI FOTOGRAFIA <livello base> A cura di Rossano Fornaini

LA MACCHINA FOTOGRAFICA (modello SLR) Immagine tratta da Paolo De Re, Scienze della Vita, Bulgarini Ed. Firenze Iniziamo questa parte accennando alla struttura dell'occhio umano, per poi mostrare come la macchina fotografica sia una sua imitazione tecnologica. L'uomo percepisce la luce attraverso l'occhio. Davanti c'è una lente, detta cristallino, che ha la straordinaria capacità di potersi deformare e di cambiare la sua lunghezza focale a seconda del bisogno (per guardare cose vicine o lontane). Anteriormente al cristallino si trova l'iride (la parte colorata in bruno, azzurro, verde...), che delimita un foro detto pupilla (che appare nero). Tutti possiamo notare facilmente che la pupilla si allarga o si restringe a seconda delle condizioni di luce ambientale (ampia con poca luce, stretta con tanta luce). Internamente all'occhio, nel bulbo, c'è un liquido perfettamente trasparente, detto umor vitreo, e in fondo c'è la retina, che è la parte sensibile alla luce. La retina si trova sul piano focale del cristallino, in modo da poter mettere a fuoco le immagini. Nella retina ci sono numerose cellule fotosensibili (sensibili alla luce) che possono essere suddivise in due famiglie: i coni e i bastoncelli. Da ciascuna di queste cellule parte un piccolo nervo e tutti questi nervi vanno a raccogliersi in un grande fascio, detto nervo ottico, che congiunge l'occhio al cervello. I bastoncelli sono molto più numerosi e non sono sensibili ai colori, essi danno solo una percezione dell'intensità luminosa, in pratica permettono di vedere il bianco, il nero e le varie tonalità di grigio. I coni servono alla percezione dei colori e possono essere suddivisi in tre tipi, in alcuni c'è un pigmento giallo e sono sensibili solo al colore blu, in alcuni c'è un pigmento magenta e sono sensibili solo al colore verde, in alcuni c'è un pigmento ciano e sono sensibili solo al colore rosso. Per questo si dice che i colori blu, verde e rosso sono i colori fondamentali o primari. Invece i colori giallo, magenta e ciano sono i cosiddetti complementari.

1 - obiettivo 2 - corpo macchina 3 - pentaprisma 4 - ghiera per la messa a fuoco manuale 5 - ghiera per la impostazione manuale del diaframma 6 - leva per il recupero della pellicola 7 - interruttore generale 8 - zoccolo/contatto per la applicazione del flash 9 - mirino 10 - leva per l'avanzamento della pellicola 11 - contapose 12 - regolazione dei tempi di esposizione 13 - impostazione della sensibilità della pellicola La macchina fotografica, come abbiamo già detto, è strutturata a imitazione dell'occhio umano. Essa infatti è costituita da un recipiente vuoto, detto corpo macchina [2] (paragonabile al bulbo) che ha, nella parte anteriore, un sistema di lenti detto obiettivo (paragonabile al cristallino) [1] e che ospita, nella parte interna posteriore, detta magazzino, un materiale fotosensibile detto pellicola (paragonabile alla retina). La macchina fotografica ha un dispositivo che si apre e si richiude al momento dello scatto e permette alla luce di entrare, per un attimo, e di impressionare la pellicola. Si tratta dell'otturatore (paragonabile alla palpebra). C'è poi un diaframma (paragonabile all'iride), situato nell'obiettivo, che ha un forellino che può allargarsi o restringersi (paragonabile alla pupilla), facendo così entrare più o meno luce, il quale serve per adattarsi alle condizioni di luce ambientale (diaframma più aperto quando c'è poca luce, diaframma più chiuso quando c'è tanta luce). C'è un mirino che consente al fotografo di inquadrare l'immagine da fotografare. C'è un dispositivo per la messa a fuoco dell'immagine, a seconda della distanza che intercorre fra la macchina fotografica e il soggetto da fotografare. C'è un pulsante di scatto, che consente al fotografo di decidere l'istante esatto in cui deve essere effettuata la foto. C'è una leva di trascinamento della pellicola.

Pertanto le parti fondamentali della macchina fotografica sono: 1 - obiettivo 2 - corpo macchina 3 - magazzino (è la parte in cui è alloggiata la pellicola) Una caratteristica fondamentale del modello SLR (single lens reflex = reflex con un solo obiettivo) è la seguente: quando il fotografo guarda nel mirino vede attraverso l'obiettivo, pertanto egli ha una visione esatta dell'immagine che sarà registrata sulla pellicola al momento dello scatto. In altre macchine questo non si verifica, poiché l'immagine nel mirino non viene dall'obiettivo, ma da una piccola finestrina sulla parte anteriore della macchina, in corrispondenza del mirino stesso. Conseguentemente l'immagine nel mirino è spostata di qualche centimetro rispetto a quella che impressionerà la pellicola. Quando si fotografa un paesaggio questo non è un problema, ma quando si fotografano oggetti piccoli e vicini questo può essere un problema. Questa caratteristica delle SRL è possibile grazie ad un sistema di riflessioni che mandano fin dentro il mirino il raggio proveniente dall'obiettivo. Per ottenere questo scopo, ci sono dentro la macchina: a - uno specchietto; b - un pentaprisma. 1 - obiettivo 2 - specchietto nella posizione a riposo (inclinato a 45 ) 3 - specchietto durante lo scatto (in posizione sollevata) 4 - pentaprisma 5 - mirino 6 - otturatore 7 - pellicola 8 - diaframma 9 - percorso del raggio luminoso (linea tratteggiata)

Osservando lo schema di una SRL si può vedere qual'è il cammino della luce (9, linea tratteggiata) dall'obiettivo fino al mirino. In pratica ci sono tre riflessioni, una nello specchietto e due nel pentaprisma. Si tenga presente che: a - dopo avere attraversato l'obiettivo l'immagine è rovesciata b - dopo essere stata riflessa dallo specchietto l'immagine è diritta, c - dopo la prima riflessione nel pentaprisma l'immagine è rovesciata, d - dopo la seconda riflessione nel pentaprisma l'immagine è diritta e può essere osservata dal fotografo. Ovviamente in questo modo la luce proveniente dall'obiettivo non potrebbe mai colpire la pellicola, perché è deviata verso l'alto dallo specchietto (2). Pertanto, al momento dello scatto, lo specchietto si alza (3) in contemporanea con l'apertura dell'otturatore, e per un istante il raggio di luce non viene rimbalzato verso l'alto, ma procede diritto e colpisce la pellicola, impressionandola. Normalmente le SRL (quelle per il formato 35 mm) hanno il corpo macchina e il magazzino uniti in un unico pezzo. Normalmente le SRL hanno l'ottica intercambiabile, ovverosia gli obiettivi possono essere staccati dal corpo macchina e cambiati con altri obiettivi (normali, grandangolari, teleobiettivi, macro...). IL DIAFRAMMA Il diaframma è un dispositivo situato nell'obiettivo, costituito da 4, 5 o 6 lamelle che, spostandosi, creano un foro di diametro variabile. Esso, come il foro della pupilla umana, può allargarsi o restringersi. Ciò affinché la quantità di luce che colpisce la pellicola sia sempre quella adeguata ad impressionarla nel modo giusto. Ovverosia in modo che non troppa luce colpisca la pellicola quando si fotografano soggetti molto luminosi (in questo caso si avrebbe sovraesposizione cioè una fotografia troppo chiara) e, viceversa, affinché non troppo poca luce colpisca la pellicola quando si fotografano soggetti oscuri (in questo caso si avrebbe sottoesposizione cioè una fotografia troppo scura). In pratica il diaframma è l'iride della macchina fotografica. Per regolare l'apertura del diaframma c'è una apposita ghiera sull'obiettivo nella quale sono segnati dei numeri: 32-22 - 16-11 - 8-5.6-4 - 2.8-2 - 1.4, i quali sono indicati con la lettera "f" (esempio: f/8, f/22, ecc...). Attenzione: i numeri grandi si riferiscono a diaframmi piccoli (un forellino stretto), mentre i

numeri piccoli si riferiscono a diaframmi grandi (un forellino più grande). I numeri f, cioè 32, 22, 16, 11, ecc..., rappresentano: quante volte il diametro del forellino sta nella lunghezza focale dell'obiettivo. Ovviamente, se ci sta tante volte vuol dire che il diametro è piccolo (ed ecco perché i numeri grandi si riferiscono a diaframmi piccoli), mentre se ci sta poche volte vuol dire che il diametro è grande (ed ecco perché i numeri piccoli si riferiscono a diaframmi grandi). Un valore medio è f/8, che è il diaframma più usato in condizioni normali. I valori f/11 e f/16 sono diaframmi chiusi, adatti per ambienti luminosi. I valori f/22 e f/32 sono diaframmi molto chiusi, adatti ad ambienti luminosissimi. I valori f/4 e f/5.6 sono diaframmi aperti, adatti per ambienti in penombra. I valori f/1.4, f/2 e f/2.8 sono diaframmi molto aperti, adatti per ambienti oscuri.

L'OTTURATORE E I TEMPI DI ESPOSIZIONE Otturatore anulare e a tendina. L'otturatore è un dispositivo che può aprirsi e chiudersi, come le palpebre dell'occhio umano, facendo entrare la luce nella macchina fotografica, al momento dello scatto. In tal modo l'immagine che il fotografo aveva precedentemente inquadrato va ad impressionare la pellicola. L'otturatore rimane aperto per tempi che possono essere decisi dal fotografo ed impostati prima dello scatto, mediante un opportuno congegno. Si tratta, in genere, di tempi molto brevi, inferiori ad un secondo. Il tempo di apertura dell'otturatore è il tempo in cui la luce va a colpire la pellicola e viene chiamato tempo di esposizione. Ci sono vari tipi di otturatore: in alcune macchine è situato nell'obiettivo, è circolare e ha una forma che ricorda il diaframma (ha delle lamelle, come quelle del diaframma, che si aprono al momento dello scatto formando un'apertura circolare che lascia passare la luce per un tempo predeterminato). Questo è il cosiddetto otturatore anulare. In altre macchine, per esempio le più comuni SRL 35 mm in vendita nei negozi, ha la forma rettangolare, ed è situato nel corpo macchina, fra lo specchietto e la pellicola. Esso si apre e si chiude come una piccola finestra avvolgibile. Questo è il cosiddetto otturatore a tendina. Dopo ogni scatto l'otturatore deve essere ricaricato, ovverosia deve nuovamente essere messo nella posizione pronta per un altro scatto. Ciò si verifica quando agiamo col dito sulla leva di avanzamento della pellicola. I tempi di esposizione. I valori dei tempi di esposizione si misurano in frazioni di secondo. Si usano comunemente delle cifre intere, ma esse devono essere implicitamente considerate come denominatori di una frazione (ad esempio: 60 si legge "1/60 - un sessantesimo di secondo", mentre 250 si legge "1/250 - un duecentocinquantesimo di secondo"). I numeri dei tempi di esposizione si indicano talvolta con "t" e sono: 2000-1000 - 500-250 - 125-60 - 30-15 - 8-4 - 2-1 - B E' chiaro, analogamente a quanto succedeva coi numeri f del diaframma, che i numeri più grandi si riferiscono ai tempi più brevi (rapidi), mentre i numeri più piccoli si riferiscono ai tempi più lunghi (lenti). Tempi medi sono 60 e 125 (1/60 di sec. e 1/125 di sec.), che possono essere usati senza cavalletto (purché la mano sia salda e il soggetto da fotografare sia fermo). Sono adatti per condizioni di luce normale: ambienti aperti con luce naturale. Tempi brevi sono 250 e 500 (1/250 di sec. e 1/500 di sec.), che permettono di riprendere anche scene in movimento senza ottenere il cosiddetto effetto mosso. Sono adatti per condizioni di luce forte: ambienti aperti con sole molto diretto. Tempi brevissimi sono 1000 e 2000 (1/1000 di sec. e 1/2000 di sec.), che permettono di riprendere anche scene in forte movimento senza ottenere il cosiddetto effetto mosso. Sono adatti per condizioni di luce estrema: ambienti aperti con sole molto diretto, su neve, mare... Tempi lunghi sono 30 e 15 (1/30 di sec. e 1/15 di sec.), che devono essere usati col cavalletto e non permettono di riprendere scene in movimento senza ottenere l'effetto mosso. Sono adatti per condizioni di luce debole: ambienti chiusi con illuminazione artificiale o ambienti aperti in penombra. Tempi lunghissimi sono 4 e 8 (1/4 di sec. e 1/8 di sec.), che devono assolutamente essere usati col cavalletto e non permettono di riprendere scene in movimento senza ottenere l'effetto mosso. Sono adatti per condizioni di luce molto debole: ambienti chiusi con poca illuminazione o ambienti aperti in penombra oscura. Tempi estremamente lunghi sono 1 e 2 (1 sec. e 1/2 sec.), che devono assolutamente essere usati col

cavalletto e non permettono di riprendere scene in movimento senza ottenere l'effetto mosso. Sono adatti per condizioni di luce estremamente debole: ambienti chiusi con pochissima illuminazione o ambienti aperti in penombra o notturni. Il tempo B è la cosiddetta posa, cioè l'apertura dell'otturatore per un tempo a piacere: tutto il tempo in cui il fotografo tiene il dito premuto sul pulsante di scatto. Può essere anche un tempo di decine di secondi. In tutte le macchine fotografiche, da qualche parte sul corpo macchina, c'è una ghiera coi suddetti numeri, che permette di impostare il tempo di esposizione.

LA SENSIBILITA' DELLE PELLICOLE In questo capitolo il nostro interesse è rivolto alla sensibilità della pellicola, ovverosia alla sua capacità di essere impressionata dalla luce. Infatti ci sono pellicole molto sensibili, impressionabili con poca luce, che saranno adatte a fotografare scene scarsamente illuminate, oscure. E ci sono pellicole poco sensibili, che necessitano di molta luce per impressionarsi, adatte a fotografare scene molto illuminate. La sensibilità delle pellicole si misura con una unità internazionale detta ISO (anticamente chiamata ASA). Si hanno i seguenti valori ISO: 25-50 - 100-200 - 400-800 - 1600-3200, dei quali il più comune è senz'altro 100 ISO, che corrisponde alla sensibilità delle pellicole vendute normalmente. A volte si possono incontrare valori intermedi: 64, 125, 160, ecc... Al di sotto di 100 ISO abbiamo le pellicole meno sensibili. Invece i valori 200 e 400 corrispondono a pellicole piuttosto sensibili, anche se ancora comuni nel mercato e nell'uso dei dilettanti. Al di sopra di 400 ISO abbiamo le alte sensibilità, fra cui possiamo citare il valore 3200 ISO, corrispondente ad una pellicola sensibilissima, adatta a fotografare agevolmente anche in condizioni di luce molto scarsa, senza ricorrere a illuminazione artificiale. Un concetto fondamentale che riguarda la sensibilità delle pellicole è il seguente: quanto più sensibile è una pellicola e quanto maggiore è la granulosità dell'immagine. Una fotografia scattata con pellicola a bassa sensibilità dà una immagine a grana finissima, mentre una fotografia scattata con pellicola ad alta sensibilità dà una immagine a grana grossa. Immagine a bassa granulosità (pellicola poco sensibile) Immagine ad alta granulosità (pellicola molto sensibile) Quando parliamo di grana o di granulosità ci riferiamo al fatto che l'immagine fotografica risulta dall'insieme di tanti minuscoli puntini neri (grani o cristalli). Essi non sono visibili quando la grana è fine, e allora si ha una immagine di buona qualità in cui l'occhio riconosce solo aree uniformi a diversa gradazione di grigio. I cristalli sono visibili quando la grana è grossa, e allora si ha una immagine di qualità inferiore in cui l'occhio riconosce la presenza di puntini neri più o meno grossi.

PER SCATTARE UNA BUONA FOTOGRAFIA (Un capitolo tanto breve quanto importante) Il fotografo professionista, così come il buon dilettante, prima di premere il pulsante e di scattare, ha imparato a fare velocemente tre cose indispensabili: a - inquadrare correttamente, b - mettere a fuoco, c - regolare l'esposizione della pellicola (cioè sia il valore del diaframma che del tempo). Attenzione, desidero ribadire il triplice concetto: inquadrare, focalizzare, regolare tempo e diaframma. Trascurare una di queste tre cose significa scattare una brutta foto, a meno che la fortuna non ci aiuti (ma non bisogna contarci troppo). Se poi la fotografia non è presa in ambiente aperto con illuminazione naturale, ma in ambiente chiuso, con luci artificiali, allora sarà bene aggiungere un altro elemento da considerare prima ancora dei tre che abbiamo già elencato: d - illuminare correttamente il soggetto. I concetti espressi in questo breve capitolo sono assolutamente fondamentali e non possono essere trascurati: essi fanno la differenza fra il fotografo e il... pasticcione!

L'ARTE DI INQUADRARE Cos'è una inquadratura. La scelta del soggetto e l'inquadratura sono, di tutti i fattori che abbiamo elencato, i più soggettivi, legati al gusto e al senso artistico del fotografo. In ogni caso possiamo comunque dire che esistono delle regole classiche, che possiamo descrivere, da rispettare per non ottenere una foto visibilmente brutta. Purtroppo, fra i fotografi dilettanti si nota spesso una propensione a scattare le fotografie con inquadrature palesemente sbagliate. Cominciamo subito a stabilire dei concetti importanti. La fotografia è una immagine generalmente rettangolare che, nel caso delle pellicole comuni (formato 35 mm), ha un rapporto fra i lati 2:3 Essa può essere posizionata in senso orizzontale (landscape) o verticale (portrait), ottenendo così suggestioni diverse che, ovviamente, non esistono nello spazio reale, in quanto la realtà si estende intorno a noi, orizzontalmente e verticalmente, per 360 gradi, senza limiti di sorta. Prima regola fondamentale (struttura compositiva dell'immagine): il fotografo deve avere la capacità di visualizzare mentalmente l'immagine nella sua cornice rettangolare, in tutto il suo complesso (non semplicemente di concentrare la sua attenzione su un singolo particolare che attrae il suo interesse), e di equilibrarla nelle sue varie parti come un "quadro". Finché non si è acquisita questa maturità visiva non si diventa fotografi, ma solo cacciatori di particolari, e non si è capito niente di cosa sia una fotografia. C'è un trucco semplicissimo per distinguere le fotografie di coloro che non capiscono niente di fotografia: al centro perfetto dell'immagine creata dal principiante si trova sempre e immancabilmente la cosa che lo interessa di più (un volto, un oggetto, un elemento del paesaggio che intendeva riprendere). Non sembra che egli abbia scattato una fotografia, si direbbe piuttosto che ha "sparato una fucilata"... cercando di centrare un bersaglio. Seconda regola fondamentale (no al centro immagine): raramente il particolare che ci interessa di più, nell'immagine, deve essere collocato proprio al centro. Ciò può anche capitare ma, il più delle volte, si troverà in una posizione decentrata.

Inquadratura errata Inquadratura giusta Pertanto, al fine di sviluppare la suddetta maturità visiva, si facciano due cose: si osservino spesso le fotografie dei fotografi famosi, per capire come sono costruite le immagini, e ci si liberi dalla suggestione irresistibile "del centro". Si osservino, per esempio, le seguenti immagini decentrate:

Il criterio più classico per impostare una corretta inquadratura è la cosiddetta regola dei terzi. Essa consiste nell'immaginare che il rettangolo sia diviso in tre parti sia orizzontalmente che verticalmente, come indicato nelle seguenti figure: Gli elementi compositivi dell'immagine, secondo questa regola, dovrebbero essere disposti in modo che le linee importanti coincidano (più o meno) con la divisione dello spazio in terzi, come illustrato nei seguenti esempi: Ciò conferisce alle immagini un notevole equilibrio strutturale. Si osservino anche le seguenti fotografie:

ESPORRE CORRETTAMENTE UNA FOTOGRAFIA Cos'è la corretta esposizione. Ogni qual volta si scatta una fotografia è necessario esporre la pellicola ad una quantità di luce tale da non avere né una immagine troppo scura sul negativo (immagine sovraesposta che apparirà troppo chiara sulla stampa), né una immagine troppo chiara sul negativo (immagine sottoesposta che apparirà troppo scura sulla stampa). sottoesposizione corretta esposizione sovraesposizione Questo controllo si ottiene tenendo conto della luminosità della scena che stiamo per riprendere, della sensibilità della pellicola, del diaframma e del tempo di esposizione. In pratica ogni scena reale, tenuto conto della sua luminosità, deve essere fotografata con valori di a - sensibilità della pellicola b - diaframma c - tempo di esposizione tali da ottenere una fotografia che non sia né troppo scura né troppo chiara. In genere, se abbiamo una pellicola da 100 ISO, e se stiamo fotografando alcune persone al sole, in una piazza di città, è probabile che il giusto valore del diaframma sia f/11, e che quello del tempo di esposizione sia 125 (un centoventicinquesimo di secondo). Ora si tenga presente una regola fondamentale della fotografia:

non ha assolutamente senso considerare il valore del diaframma da solo, indipendentemente da quello del tempo di esposizione, e tutti e due indipendentemente da quello della sensibilità della pellicola. Sensibilità, diaframma e tempo hanno senso solo come valori considerati in gruppo e, se vogliamo cambiare il valore di uno di essi, dobbiamo cambiare opportunamente anche il valore degli altri. In pratica non ha senso limitarsi a dire: "questa fotografia deve essere scattata col diaframma f-8", perché il valore del diaframma da solo, se non è accoppiato ad un opportuno valore del tempo di esposizione, e se non si conosce il valore della sensibilità della pellicola, non ha alcun significato ai fini di una corretta esposizione della pellicola. Fortunatamente la maggior parte delle macchine moderne contiene un sistema di misurazione, detto appunto esposimetro, che ci informa se la regolazione della coppia diaframma-tempo è corretta per la quantità di luce disponibile e per la sensibilità della pellicola. In genere ci sono delle lancette o delle cifre luminose (led), visibili nel mirino, che segnalano la corretta regolazione del diaframma e del tempo di esposizione. Spesso appare una luce verde quando la regolazione è corretta. Comunque ogni modello di macchina ha il suo sistema e il fotografo dovrà imparare a familiarizzare con la sua fotocamera. Le macchine automatiche non richiedono un intervento cosciente da parte del fotografo, perché sono progettate per regolare automaticamente il valore corretto del diaframma e del tempo di esposizione. Esse rendono molto più facile l'esecuzione di fotografie in situazioni in cui la rapidità è essenziale: fotogiornalismo, riprese sportive... Ma quando si devono eseguire paesaggi all'aperto o foto in studio, come ritratti, nature morte, allora è quasi meglio disinserire l'automatismo completo e adottare il sistema semiautomatico o manuale, per avere un controllo cosciente degli effetti ottenuti. Esercizi sulla corretta esposizione (una parte difficile e importante!). Torniamo alla fotografia che abbiamo ipotizzato poc'anzi, i valori di sens./diafr./tempo erano rispettivamente i seguenti ISO 100, f/11 e t 125, che nello schema qui di seguito sono elencati nella riga A: Sensibilità (ISO) Diaframma (f) Tempo (sec) A 100 11 1/125 B 100 8 1/250 C 100 16 1/60 D 100 8 1/125 E 100 11 1/250 F 200 16 1/125 G 200 11 1/250 Se osserviamo la riga B possiamo notare che il diaframma è stato aperto di un valore, da 11 a 8, la qual cosa fa entrare più luce nella macchina. Nello stesso, però, il tempo è stato leggermente accorciato di un valore, da 125 a 250, la qual cosa fa entrare meno luce nella macchina. L'effetto combinato di queste due modificazioni, una contraria all'altra, è che la quantità di luce che entra nella macchina non è cambiata e, in definitiva, usare i valori della riga A, o quelli della riga B, per scattare la foto, è perfettamente indifferente. Alle stesse conclusioni possiamo arrivare osservando i valori della riga C, qui il diaframma è stato chiuso di un valore (da 11 a 16) e il tempo allungato di un valore (da 125 a 60), e il risultato finale è che, anche questa volta, la luce destinata a colpire la pellicola sarà sempre la stessa dei casi A e B.

Osserviamo ora i casi D ed E, sempre mantenendo come punto di riferimento la riga A, noteremo che in ciascuno dei due casi è stato cambiato solo un dato: o il diaframma, o il tempo. Se abbiamo capito come funziona questo meccanismo, ci renderemo facilmente conto che ciò non va bene, non è possibile cambiare uno solo dei valori senza "compensare" opportunamente anche l'altro. Infatti, nel caso D otterremo una foto leggermente sovraesposta (perché il diaframma è più aperto), mentre nel caso E otterremo una foto leggermente sottoesposta (perché il tempo è più corto). Spostiamo adesso la nostra attenzione sui casi F e G. Noteremo subito che questa volta abbiamo a che fare con un'altra pellicola, di sensibilità maggiore: 200 ISO. Poiché è cambiato il valore della sensibilità, non potremo più usare, sempre per la stessa fotografia, gli stessi valori di diaframma e tempo del caso A, altrimenti otterremo una immagine sovraesposta. Sarà dunque necessario far giungere un po' meno luce sulla pellicola, e questo si ottiene in due modi: o chiudendo il diaframma di un valore (da 11 a 16), ed è il caso F, oppure abbreviando il tempo di un valore (da 125 a 250), ed è il caso G. Esercizio 1. Stabilire quale delle seguenti triplette equivale alla prima: Sensibilità (ISO) Diaframma (f) Tempo (sec) A 100 5.6 1/60 B 100 8 1/30 C 100 4 1/60 D 100 4 1/125 E 100 11 1/30 F 100 11 1/15 G 100 2.8 1/60 H 100 2.8 1/250 I 200 8 1/60 L 200 5.6 1/60 M 200 5.6 1/250 N 200 11 1/30 O 200 4 1/15 P 200 4 1/125 Q 200 4 1/250 R 400 5.6 1/60 S 400 8 1/60 T 400 8 1/125

U 400 5.6 1/250 V 3200 5.6 1/60 Z 3200 11 1/500 Prima tenta di risolvere questi esercizi, poi vai a vedere le risposte corrette (pag. successiva)

Sono equivalenti alla A: B, D, F, H, I, N, Q, T, U, Z.

PROBLEMI DI MOVIMENTO Immagine corretta Immagine mossa Il movimento può creare problemi gravi al fotografo, che potrebbe ottenere foto mosse. Le foto mosse sembrano sfocate, specialmente nella direzione del movimento. Innanzitutto bisogna distinguere due tipi di movimento: a) quello del fotografo, b) quello del soggetto da fotografare. Nel primo caso, che può verificarsi se il fotografo non ha la mano ferma o se stiamo usando tempi di esposizione da 1/30 di sec. in su (come 1/15, 1/8, 1/4, 1/2, ecc...), è decisamente consigliabile l'uso di un solido cavalletto. Per premere il tasto di scatto si può usare il flessibile, che impedisce alla mano di comunicare vibrazioni alla macchina, o impostare l'autoscatto, in modo che lo scatto vero e proprio avvenga 10 secondi dopo che il dito avrà premuto il pulsante. Il movimento del fotografo può essere dovuto anche al fatto di trovarsi sopra un treno in corsa, un'auto, una motocicletta, un elicottero. Allora il cavalletto non servirà a niente e il problema potrà essere risolto solo con l'uso di tempi di esposizione molto brevi (come 1/250, 1/500, 1/1000, ecc...). Nel secondo caso, ovverosia quando il movimento non dipende dal fotografo, ma dal soggetto da fotografare (una ballerina, uno sportivo in azione, un animale in corsa, l'acqua di una cascata, ecc...) il cavalletto non serve, anche questa volta occorre l'uso di tempi di esposizione molto brevi (come 1/250, 1/500, 1/1000, ecc...).

LA PROFONDITA' DI CAMPO FIG. 1 FIG. 2 Si osservino attentamente le due fotografie, che mostrano alcuni grattacieli della città di Dallas (Texas). Ad una prima rapida occhiata esse sembrano uguali ma, in breve, potremo facilmente accorgerci che sussiste una importante differenza: nella fig. 1 tutti i particolari, vicini e lontani, sono a fuoco; nella fig. 2 i particolari lontani, quelli situati nella parte destra dell'immagine, risultano sfuocati. Per spiegare i motivi di questo fatto dobbiamo introdurre i concetti importanti di campo focale e di profondità di campo. FIG. 3 Nella figura 3 notiamo un fotografo che deve riprendere una lunga fila di persone. Alcune gli sono molto vicine, altre molto lontane. Egli decide di regolare la messa a fuoco sulla persona centrale della fila, quella che indossa il cappello, che si trova a m 4 di distanza dalla macchina fotografica. Adesso il fotografo ha un grosso problema: sarà possibile mettere a fuoco, oltre alla persona col cappello, anche quelle molto vicine e quelle molto lontane? Egli decide allora di scattare due foto, la prima con un diaframma piuttosto aperto: f/4, la seconda con un diaframma piuttosto chiuso: f/16. Ovviamente anche i tempi di esposizione dovranno essere opportunamente riaggiustati affinché entrambe le foto abbiano lo stesso grado di esposizione alla luce. Saranno diversi i risultati dal punto di vista della nitidezza? O si otterranno immagini perfettamente identiche? FIG. 4 Nel primo caso, quando il diaframma è più aperto (f/4), la persona col cappello risulterà a fuoco. E' ovvio! E' su di essa che è stata regolata la messa a fuoco! In realtà anche una persona più avanti e due più indietro risultano a fuoco, mostrando così che la nitidezza non riguarda solo la persona col cappello, ma uno spazio di un paio di metri in cui si trovano ben quattro persone. Questo spazio si chiama campo focale e può essere definito come segue:

si chiama campo focale l'area in cui tutti i soggetti fotografati risultano a fuoco. FIG. 5 Nel secondo caso, quando il diaframma è più chiuso (f/16), la persona col cappello risulta ancora a fuoco, ma questo ce lo aspettavamo. La differenza ora consiste nel fatto che le persone che risultano nitide sono molte di più: ce ne sono ben nove invece di quattro soltanto. Anche questa volta abbiamo un campo focale, ma risulta molto più ampio. Abbiamo cioè una maggiore profondità di campo: si chiama profondità di campo l'ampiezza del campo focale. In pratica abbiamo scoperto una regola utile che potrà aiutarci nel risolvere molti problemi di messa a fuoco: usando valori bassi del diaframma (1.4, 2, 2.8, 4), cioè diaframmi aperti, avremo una scarsa profondità di campo, mentre usando valori alti del diaframma (11, 16, 22, 32), cioè diaframmi più chiusi, avremo una grande profondità di campo. Se vogliamo fare fotografie in cui la messa a fuoco risulta impeccabile, oltre a mettere a fuoco il soggetto che ci interessa, ricordiamoci di usare diaframmi molto chiusi, otterremo nitidezze veramente eccellenti. Anche se, naturalmente, l'uso di diaframmi chiusi ci costringerà ad utilizzare tempi di esposizione molto più lunghi e, forse, renderà indispensabile l'uso del cavalletto per evitare le foto mosse. Ora, non è detto che un fotografo voglia sempre mettere a fuoco tutti i particolari dell'immagine, pertanto non è detto che sia sempre preferibile l'uso di diaframmi chiusi. Se torniamo a considerare le fig. 1 e 2 ci rendiamo conto che, nella prima delle due, il vantaggio di avere tutti i particolari a fuoco si traduce nello svantaggio di appiattimento che non aiuta l'occhio a percepire le distanze fra gli oggetti. Nella seconda foto lo svantaggio di avere alcuni particolari sfocati si traduce nel vantaggio di aiutare l'occhio a percepire lo "spessore" dell'immagine, ovverosia il fatto che in essa sono ritratte cose vicine ed altre molto lontane. Osserviamo questa fotografia: La sua bellezza consiste nel fatto che il soggetto principale, la ragazza, appare nitido ma è situato in un ambiente sfumato, in cui tutto appare sfuocato. Ciò permette di isolare il soggetto dal resto e di renderlo molto suggestivo. Per ottenere questo effetto il fotografo ha cercato di mettere bene a fuoco la ragazza, ma ha usato un valore del diaframma piuttosto basso (diaframma aperto).

In quest'altra fotografia, invece,...... sia il manichino vicino che quello lontano risultano ben nitidi, ciò è stato possibile grazie all'uso di un valore alto del diaframma (diaframma chiuso).

GLI OBIETTIVI FOTOGRAFICI Lunghezza focale di un obiettivo. Una caratteristica fondamentale delle fotocamere modello SLR è che esse offrono la possibilità di cambiare gli obiettivi montando, di volta in volta, quello che meglio serve allo scopo del fotografo. Questa caratteristica non è condivisa dalle cosiddette macchine compatte, le quali sono leggere, comode, facili da usare, ma molto limitate nelle prestazioni. Ricordiamo adesso alcune nozioni elementari di ottica e, in particolare, il concetto di lunghezza focale. FIG. 1 Come già sappiamo si chiama lunghezza focale la distanza fra una lente e il suo piano focale, ovverosia il piano su cui si trovano i fuochi, punti di convergenza dei raggi luminosi. Nella fig. 1 vediamo illustrato il concetto di lunghezza focale riferito ad una singola lente, ma esso può essere esteso anche ad un obiettivo, che è, in realtà, un complesso sistema di più lenti. Insomma, si può tranquillamente parlare di lunghezza focale di un obiettivo, che sarà ovviamente la distanza fra l'obiettivo e il suo piano focale. Angolo visivo di un obiettivo. Se chiudiamo un occhio e con l'altro guardiamo davanti, ci accorgiamo facilmente che non abbiamo una visione globale a 360 gradi intorno a noi, bensì che il nostro campo visivo, o angolo visivo, ha una ampiezza di circa 45 gradi. Possiamo dire che questa è una visione normale e aggiungere che, nelle macchine fotografiche, viene montato spesso un obiettivo che ha un angolo visivo intorno ai 45 gradi e che viene chiamato, per questo motivo, obiettivo normale (fig. 2). Esso vede, più o meno, come l'occhio umano.

FIG. 2 - obiettivo normale Chi possiede una SLR può togliere l'obiettivo normale dalla macchina fotografica e montare su essa un obiettivo che vede molto più largo, ovverosia che ha un angolo visivo superiore ai 45 gradi. Si può arrivare a 60, 90, in casi estremi anche a 180 gradi. Un obiettivo di questo genere non vede certo come l'occhio umano e lo si definisce obiettivo grandangolare (fig. 3). Guardando attraverso di esso si abbraccia un panorama più ampio di quello colto dall'occhio, ma i singoli oggetti risulteranno rimpiccioliti. FIG. 3 - obiettivo grandangolare Sempre chi possiede una SLR, può montare un obiettivo che vede molto più stretto dell'occhio umano, ovverosia che ha un angolo visivo inferiore ai 45 gradi. Si può arrivare a 30, 15, in casi estremi anche a 6 gradi. Un obiettivo di questo genere è definito teleobiettivo (fig. 4). Guardando attraverso di esso si abbraccia un panorama più stretto di quello colto dall'occhio, ma i singoli oggetti risulteranno ingranditi. FIG. 4 - teleobiettivo

Caratteristiche degli obiettivi. Angolo visivo Lunghezza focale (per il formato 35 mm) Effetto Distanza minima di messa a fuoco Profondità di campo GRANDANGOLARE Più di 45 gradi Meno di 50 mm Vede ampi panorami e rimpicciolisce gli oggetti Meno di mezzo metro Grande. E' facile mettere a fuoco NORMALE 45 gradi 50 mm Vede come l'occhio umano Mezzo metro circa Media TELEOBIETTIVO Meno di 45 gradi Più di 50 mm Vede panorami stretti e ingrandisce gli oggetti Più di mezzo metro Piccola. E' difficile mettere a fuoco Zoom. Esistono alcuni obiettivi la cui lunghezza focale è variabile fra due estremi. Essi si chiamano zoom, a causa dell'effetto di spostamento che producono quando si varia rapidamente la loro lunghezza focale. Esistono degli zoom che variano da un leggero grandangolare ad un modesto teleobiettivo: per esempio il 28-80. Altri che vanno da un modesto teleobiettivo ad un teleobiettivo medio: per esempio il 70-210. Ricordiamoci allora che gli obiettivi possono essere a focale fissa o zoom (a focale variabile). Attenzione a non confondere le espressioni focale fissa e fuoco fisso, che hanno significati completamente diversi. La prima si riferisce alla lunghezza focale di un obiettivo, la seconda al fatto che alcune macchine compatte di costruzione molto semplice non hanno alcun dispositivo per la messa a fuoco, né manuale né automatico.

"IL CONTRASTO" [fig. 1] Qualunque fotografia, a colori o in bianco e nero che sia, è caratterizzata. fra le altre cose, da un certo grado di contrasto. Questo deve essere inteso come la distribuzione delle gradazioni di chiaro e scuro, nel senso che: 1 - l'accostamento violento di toni molto chiari a toni molto scuri, con una scarsa presenza di toni medi è definito alto contrasto, mentre, al contrario, 2 - l'accostamento morbido di toni medi leggermente degradanti, con una scarsa presenza dei toni estremi è definito basso contrasto, Si osservi l'immagine sopra (fig. 1), che mostra una veduta del Palazzo Vecchio, a Firenze: essa è un classico esempio di contrasto medio-alto, con una distribuzione equilibrata dei toni dal bianco al nero, ed una presenza bilanciata di toni medi. Se invece osserviamo la seguente immagine: [fig. 2] Noteremo che essa è stata impoverita nella gamma tonale, in quanto prevalgono i toni medi, mentre gli estremi del bianco puro e del nero puro sono scomparsi. La foto ha un contrasto troppo basso e non può essere considerata buona. Adesso osserviamo ancora un'altra immagine:

[fig. 3] Noteremo che in essa sono stati sacrificati i toni medi a vantaggio degli estremi bianco puro e nero puro. La foto ha un contrasto troppo alto e non può essere considerata buona. Osserviamo adesso la seguente figura, che è chiamata scala delle zone di grigio: [fig. 4] Essa mostra una serie di 11 zone che, partendo dal nero assoluto (0), va fino al bianco assoluto (10), attraverso 9 diverse gradazioni di grigio (1-9), fra cui il valore (5) rappresenta il valore intermedio, che potremmo definire a metà strada fra il bianco e il nero. I toni 0, 1 e 2 sono chiamati "bassi"; i toni 3, 4, 5, 6 e 7 sono chiamati "medi"; i toni 8, 9 e 10 sono chiamati "alti"; i toni alti insieme a quelli bassi sono chiamati "estremi". Eseguiamo adesso una analisi delle fotografie [1], [2] e [3], in base alla distribuzione delle zone di grigio: distribuzione equilibrata dei toni da 0 a 10 distribuzione da 2 a 9 con prevalenza dei toni medi

distribuzione da 0 a 10 con prevalenza dei toni estremi Una fotografia, per essere buona, deve necessariamente avere una distribuzione dei toni corrispondente al grafico della figura [1], ovverosia una presenza perfettamente bilanciata di tutte le zone di grigio. In realtà questa regola canonica, può non essere sempre valida. La distribuzione delle zone di grigio dipende necessariamente dal soggetto che è stato fotografato e dalle condizioni di luce ambientali. Pertanto possono esistere fotografie in cui la distribuzione privilegia i toni alti o quelli bassi senza che si possa accusare un difetto. Abbiamo rispettivamente i casi del "high-key" (prevalenza di toni alti con quasi totale assenza di toni bassi), e del "low-key" (prevalenza di toni bassi con quasi totale assenza di toni alti). HIGH KEY distribuzione da 5 a 10 con prevalenza dei toni alti e totale assenza dei toni bassi distribuzione da 0 a 10 con prevalenza dei toni bassi e presenza molto limitata di toni medi e alti LOW KEY Come si può tenere sotto controllo il grado di contrasto di una fotografia? E' possibile ottenere il contrasto desiderato e, soprattutto, correggere un eventuale difetto di contrasto presente sul negativo? Il modo migliore per ottenere il giusto grado di contrasto sulla stampa fotografica è senz'altro quello di ottenere un buon negativo. Un buon negativo, da questo punto di vista, è un negativo ben esposto, ovverosia né troppo chiaro né troppo scuro perché, nell'uno e nell'altro caso, alcune aree (quelle troppo bianche o quelle troppo nere) portano ad un appiattimento delle differenze nei toni di grigio e all'impossibilità di recuperare i dettagli di tali differenze tonali anche tramite accorgimenti di stampa.

Attenzione al fatto che, come la sovra- e la sotto-esposizione portano a problemi di contrasto, anche il sotto- e il sovra-sviluppo della pellicola portano a problemi di contrasto, facendo diventare il negativo rispettivamente troppo chiaro o troppo scuro e eliminando le gradazioni tonali in certe aree. Partendo possibilmente da un buon negativo, molti accorgimenti possono essere osservati in fase di stampa. Innanzitutto la moderna tecnologia della carta multigrade, permette di ottenere ben 11 diversi livelli di contrasto (0-0,5-1 - 1,5-2 - 2,5-3 - 3,5-4 - 4,5-5) sempre con la stessa carta, semplicemente cambiando opportune mascherine colorate da inserire nel cassetto dei filtri presente sull'ingranditore. Questo offre la possibilità di ottimizzare i valori tonali del grigio, del nero e del bianco, nella stampa finale, ed anche di correggere per compensazione eventuali eccessi o difetti di contrasto presenti nel negativo, sempre che questi non siano troppo accentuati.