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N. 04774/2010 REG.DEC. N. 03172/2005 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la presente DECISIONE Sul ricorso numero di registro generale 3172 del 2005, proposto da: Ahmetovic Dzanija, rappresentato e difeso dagli avv. Arturo Salerni, Lorenzo Trucco, con domicilio eletto presso Arturo Salerni in Roma, viale Carso, 23; contro Prefettura di Torino; nei confronti di Ministero dell'interno, rappresentato e difeso dall'avvocatura, presso la quale è domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; Questura di Torino; per la riforma della sentenza del TAR PIEMONTE - TORINO :Sezione II n. 00824/2004, resa tra le parti, concernente DINIEGO NULLA OSTA REGOLARIZZAZIONE RAPPORTO DI LAVORO. Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'interno;

Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2010 il consigliere Giancarlo Montedoro e uditi per le parti gli avvocati Salerni e l'avvocato dello Stato Urbani Neri; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso in appello in epigrafe specificato Ahmetovic Dzanija, cittadina bosniaca, chiede la riforma della sentenza del T.A.R. per il Piemonte, con la quale è stato respinto il ricorso diretto all annullamento del provvedimento del Prefetto della provincia di Torino di rigetto della domanda di regolarizzazione e della nota c. Cat. A 12/03 Imm. Reg. 02 emessa dalla Questura di Torino- Ufficio Immigrazione, II Sezione. La ricorrente ha presentato domanda di emersione legalizzazione ai sensi della legge n. 222 del 2002. La Prefettura ha rigettato la domanda basandosi sulla nota della Questura di Torino, a sua volta riportante notizia dell esistenza di una sentenza di condanna, emessa dal Tribunale di Busto Arsizio, Sezione distaccata di Saronno, per il reato di furto aggravato. L appello contesta la violazione dell art. 9 comma 1 della legge n. 205 del 2000 per avere il T.A.R. pronunciato sentenza breve senza il consenso della parte. Lamenta anche l insufficienza dell istruttoria consistendo la motivazione in un mero riferimento ad una condanna per furto aggravato senza indicazione della data, della pena e senza considerare che il rito era stato quello di cui all art.444c.p.p.e che era stata concessa la sospensione condizionale della pena. Riteneva che dalla condanna a pena patteggiata non potesse derivare alcuna conseguenza pregiudizievole.

Lamentava l omessa valutazione dell inserimento sociale, attestato dalle buste paga della ditta Euro 2000 e la presenza del suo figlio minore Ahmetovic Ruja di anni 15, con lei residente nella casa in Torino viale dei Mughetti 23 /c assegnatale dall Agenzia territoriale per la casa della provincia di Torino. L allontanamento dell appellante inciderebbe negativamente sulla vita del minore in violazione dell art.8 della Convenzione Europea dei diritti dell uomo. La Corte Europea dei diritti dell uomo si è più volte pronunciata in materia, sostenendo che una misura di allontanamento può essere disposta solo se necessaria in una società democratica e giustificata da una necessità di ordine sociale e proporzionata al fine legittimo da perseguire. Nel caso di specie nessuna valutazione sarebbe stata effettuata sul punto dall amministrazione. L Amministrazione non si è costituita. DIRITTO L appello è da accogliere. Alla luce della lettera della normativa di cui all art. 1 comma 8 lett. c) del d.l.n. 195 del 2002 conv. in l. n. 222 del 2002 la sentenza di patteggiamento per furto sarebbe ostativa alla regolarizzazione e che, a parte l intervento correttivo della Corte Costituzionale, sull insufficienza della denuncia a far scattare l automatismo espulsivo non si segnalano ulteriori modifiche della disciplina. Ciò che occorre valutare, tuttavia, è se tale sentenza di patteggiamento costituisca un ostacolo assoluto quando dall espulsione del cittadino extracomunitario possa derivare un danno ad un minorenne, in violazione del diritto alla vita privata e familiare garantito dalla CEDU. Ritiene il Collegio che, in tal caso, nel silenzio della normativa, non sussista alcun automatismo espulsivo e che l Amministrazione debba concretamente

valutare la situazione familiare dell istante. Va, conseguentemente, ritenuta fondata la censura relativa all illegittimità del provvedimento per omessa valutazione dell incidenza del diniego di regolarizzazione ( e della conseguente necessaria espulsione ) sulla vita familiare della ricorrente e del figlio minore con essa convivente. In proposito esiste una copiosa giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo sul diritto al rispetto della vita privata e familiare ( risalente al caso deciso con sentenza 28 maggio 1985 Abdulaziz ) per cui anche se gli Stati hanno un ampio potere di controllare l ingresso degli stranieri nel loro territorio questo potere deve essere esercitato nel rispetto effettivo della vita familiare e lo Stato deve agire in modo da consentire lo sviluppo normale di tali rapporti. In un giudizio più recente, valutato dalla Corte europea era accaduto che il ricorrente, cittadino della ex-jugoslavia, aveva raggiunto, insieme con il fratello, la madre in Austria nel 1991 (la quale si era risposata e aveva avuto altri due figli). Nel 1995 era stato destinatario di un divieto di residenza per detenzione di armi; nel 1996 era stato condannato per furto in abitazione e, a seguito di tale sentenza, era stato espulso. Ha lamentato, il ricorrente, la violazione dell'art. 8 Cedu, che tutela il rispetto della vita familiare. La Corte, ribadita la propria giurisprudenza secondo cui l'interferenza nella vita privata da parte della pubblica autorità deve essere basata sulla legge e deve perseguire un fine legittimo, nota tuttavia che nel caso di specie, pure riconoscendo che la situazione del ricorrente non fosse assimilabile a quella di un immigrato di seconda generazione, il divieto di residenza (e la conseguente espulsione) non appare misura ragionevole tenuto conto dell'età del giovane (sedici anni) e della non eccessiva gravità del reato per cui è intervenuta sentenza di condanna (nè la vicenda della detenzione dell'arma, conclusasi con una misura di polizia e non con una condanna, può - pure non

potendosi sottostimare - essere considerata decisiva in senso contrario). (Corte europea dir. uomo, 06 febbraio 2003 J. c. Austria ). Nel valutare le ragioni di ordine pubblico che consigliano l'espulsione (vedi CdS, IV, n. 870 del 20.5.1999; n. 5497 del 16.10.2000; CGARS, n. 110 del 14.3.2000; TAR Campania, NA, IV, n. 472 del 2.8.1996) nella specie derivanti dalla legge n. 211 del 2002, non si può non tener conto della tutela dei diritti fondamentali del minore, tutelati dalla CEDU. Tali ragioni espulsive non ricorrono, in particolare, o devono recedere ove appaia in modo chiaro ed inequivoco che lo straniero abbia instaurato e consolidato in Italia una dignitosa e normale vita relazionale o che egli sia comunque portatore di diritti irrinunciabili ed inviolabili e che il provvedimento possa danneggiare la vita di un minore incolpevole. Va anche tenuto conto della rilevanza data al rispetto della vita familiare pacificamente nell ambito del diritto comunitario, indicativa del livello di sviluppo civile raggiunto dallo spazio giuridico europeo. La Corte CE 29 aprile 2004 Orfanopoulos ha così statuito: Ai sensi dell'art. 39 del Trattato C.E. e dell'art. 3 della direttiva Cons. C.E.E. 25 febbraio 1964 n. 221, è inammissibile una legislazione nazionale o una pratica nazionale che sancisce che un cittadino di un altro Stato membro, condannato ad una determinata pena per reati specifici, venga espulso dal territorio, nonostante la considerazione delle circostanze familiari, senza tener conto del suo comportamento personale né del pericolo che esso costituisce per l'ordine pubblico; diversamente, è ammissibile una legislazione nazionale o una pratica nazionale che prevede l'espulsione del cittadino che costituisce una minaccia attuale per l'ordine pubblico, che ha soggiornato per molti anni nello Stato membro ospitante e che può far valere circostanze familiari contro la detta espulsione, purché venga effettuata la valutazione dall'autorità nazionale, caso per caso, di dove si situi il giusto equilibrio tra gli interessi legittimi presenti avvenga nel

rispetto dei principi generali del diritto comunitario e, in particolare, tenendo debitamente conto del rispetto dei diritti fondamentali, come la tutela della vita familiare, spettando peraltro al giudice del rinvio la verifica dei presupposti sunnominati. Ai sensi dell'art. 3 della direttiva Cons. C.E.E. 25 febbraio 1964 n. 221, è inammissibile una normativa nazionale che impone alle Autorità nazionali di espellere dal territorio cittadini di altri Stati membri i quali, per aver commesso un reato doloso previsto dalla legge sugli stupefacenti, siano stati condannati ad una pena restrittiva della libertà personale per minorenni di almeno due anni, purché all'esecuzione della pena non sia stata applicata la sospensione condizionale, e ciò senza considerare elementi di fatto successivi all'ultimo provvedimento dell'autorità competente comportanti il venir meno o una rilevante attenuazione della minaccia attuale che il comportamento del soggetto interessato costituirebbe per l'ordine pubblico. Ai sensi dell'art. 9 n. 1 della direttiva Cons. C.E.E. 25 febbraio 1964 n. 221, è inammissibile una disposizione di uno Stato membro che non prevede mezzi di impugnazione contro la decisione di espellere un cittadino di un altro Stato membro adottata dall'autorità amministrativa, qualora non venga istituita un'apposita Autorità indipendente da tale Amministrazione. Ne deriva che, nel diritto comunitario, a protezione dei diritti fondamentali, è imposta una valutazione concreta della situazione familiare dell espellendo, prima dell espulsione per motivi di ordine pubblico, anche in presenza di gravi reati. Pur non potendo equipararsi la situazione amministrativa dei cittadini extracomunitari a quella dei cittadini comunitari, va rilevato che non può tollerarsi alcuna distinzione fra di esse, quando in giuoco vi siano diritti inviolabili dell uomo ( art. 2 Cost. ). Per tali fondamentali posizioni, invero, il principio costituzionale di

uguaglianza non tollera discriminazioni tra stranieri e cittadini, comunitari e non comunitari (cfr. CdS, IV, decisione n. 870/99 con la quale si è ritenuto che quando venga riferito al godimento dei diritti inviolabili dell'uomo, il principio costituzionale di eguaglianza non tollera in generale discriminazioni tra la posizione del cittadino e quella dello straniero (arg. Corte costit. 26 giugno 1997, n. 203; Corte costit. 13 febbraio 1995, n. 34; Corte costit. 20 gennaio 1977 n. 46). Così è stata ritenuta discriminatoria nella giurisprudenza del Consiglio di Stato - l'espulsione dello straniero dimorante nel territorio nazionale solo perché privo del permesso di soggiorno (non richiesto tempestivamente) ma con abitudini di vita improntate a dignità e normalità (in quella fattispecie tali venivano considerate la stabile convivenza con un cittadino italiano e la conduzione di un lavoro autonomo). Ebbene, nella specie, il rigore delle citate disposizioni della legge n. 211 del 2002 e l'automatismo delle conseguenze andavano contemperati con diritti ed obblighi altrettanto rilevanti ed anche costituzionalmente salvaguardati. Nella specie si tratta della necessità, in particolare, di garantire la vita familiare e le relazioni affettive di un minore, di tutelare il diritto-dovere del genitore di occuparsi del figlio minorenne e della sua educazione, del diritto del "fanciullo" di non essere separato dai genitori e di intrattenere regolarmente rapporti personali e diretti con entrambi i genitori stessi o con quello dei genitori che se ne occupa. Naturalmente occorrerà valutare le circostanze per cui allo straniero, che, nella specie, ha pur sempre patteggiato una pena per furto, uno sviluppo normale della vita familiare non risulti possibile nel Paese di origine o qualsiasi altra concreta condizione che sconsigli di eseguire il provvedimento mettendo a rischio i diritti del minore. La protezione di tali posizioni ed interessi fondamentali è operata, in generale, come precisa la ricorrente, non solo dalla Costituzione Italiana

(artt. 30 e 31), ma anche da norme convenzionali internazionali (cfr. Convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata con legge n. 176 del 27.5.1991). Invero, la ricorrente (come la stessa aveva anche sostanzialmente prospettato all'amministrazione in ambito procedimentale) convive in Italia con il figlio minorenne, è stata assunta come addetta alle pulizie da un impresa disposta a regolarizzarla ( e si vede negata l emersione per l esistenza di una sentenza di patteggiamento per furto). Ciò stante appare evidente che il provvedimento impugnato, determinando il forzoso allontanamento della madre dal figlio, senza specifica valutazione delle conseguenze che il provvedimento avrebbe sulla sua vita familiare, si pone in contrasto con le fondamentali esigenze di protezione e di tutela di minori incolpevoli già sopra specificate. E d'altro canto, la Corte Costituzionale, investita, in una vicenda di diniego di permesso di soggiorno, della questione di costituzionalità dell'art. 4 primo comma della legge 30.12.1986, n. 943, ha giudicato fondata la questione stessa e quindi contrastante la norma citata con gli artt. 30 e 31 Cost., nella parte in cui non prevedeva, a favore del genitore straniero, extracomunitario, il diritto al soggiorno in Italia (sempreché beninteso possa godere di normali condizioni di vita) per ricongiungersi al figlio, considerato minore per la legislazione italiana, legalmente residente con l'altro genitore. Alla stregua di tale intervento additivo della Corte Costituzionale, la necessità di valutazione specifica della posizione dell'istante (la cui aspirazione al mantenimento di una normale vita familiare sarebbe disattesa e drasticamente negata col provvedimento espulsivo conseguente al diniego di regolarizzazione ) appare al Collegio di chiara rispondenza non solo a principi di logica e di equità ma a disposizioni stesse di diritto positivo preordinate alla tutela di diritti fondamentali della persona aventi ad oggetto la possibilità di realizzare e mentenere una comunità di vita tra figli

e genitori (vedi Corte Costituzionale, sentenza citata n. 203 del 1997). D altra parte nell intento di consentire valutazioni di bilanciamento di interesse quando è il caso la normativa ha con il primo periodo dell'art. 5 comma 5, d.lg. n. 286 del 1998 (come già nell'art. 5 l. n. 40 del 1998) disposto che il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati, ovvero il permesso rilasciato è revocato, se manchino i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato "e sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio..", avendo, con quest'ultima disposizione, il legislatore chiaramente inteso porre una clausola di salvaguardia per i soggetti che all'attualità dimostrino il possesso dei requisiti per il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno. Da ciò consegue che, pur esclusa l'efficacia sanante, in senso strettamente tecnico, della situazione in atto alla data di scadenza del permesso di soggiorno per effetto della situazione eventualmente sopravvenuta, è indubbio che di tale situazione si deve tener conto al momento della decisione sul rinnovo del permesso. E se è vero che l'art. 5 comma 5, t.u. 25 luglio 1998 n. 286, secondo cui il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, è revocato qualora manchino o vengano a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili, deve intendersi come norma avente una portata limitata consistente nel consentire, sempre che non sussistano condizioni preclusive in senso assoluto, che un elemento/requisito ritenuto necessario dalla legge possa essere considerato utile al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno ancorché non esistente al momento della richiesta, ma maturato o documentato dallo straniero solo successivamente; è anche vero che tale norma può applicarsi le quante volte debba assicurarsi il rispetto dei diritti

0 di un minore che potrebbero venire incisi da un provvedimento di diniego del soggiorno per effetto dell automatismo espulsivo. Se tanto è consentito nella disciplina a regime deve ritenersi che tale concreta valutazione non possa mancare nel procedimento di regolarizzazione /emersione a tutela del diritto alla vita familiare. Del resto la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha tenuto conto delle indicate fonti normative e degli orientamenti giurisprudenziali indicati interpretando estensivamente le disposizioni limitative dell automatismo espulsivo dettate in materia di ricongiungimento familiare e ritenendo che esse vadano applicate anche a tutela del diritto alla vita familiare. Ne consegue l accoglimento dell appello. Sussistono giusti ed eccezionali motivi per compensare le spese processuali in relazione alla novità delle questioni affrontate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe specificato, così provvede: Accoglie l appello e, per l effetto in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati. Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2010 con l'intervento dei Signori: Giuseppe Barbagallo, Presidente Rosanna De Nictolis, Consigliere Roberto Garofoli, Consigliere Giancarlo Montedoro, Consigliere, Estensore Roberto Giovagnoli, Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

1 Il Segretario DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 21/07/2010 (Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186) Il Dirigente della Sezione