Particelle / Particles Haruko M. Cook



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Transcript:

Particelle / Particles Haruko M. Cook Le particelle sono parole brevi, spesso prive di flessione e dunque invariabili, che svolgono un ampia serie di funzioni grammaticali. In inglese ad esempio avverbi come on, up ed off sono considerati particelle quando costituiscono il secondo elemento di phrasal verbs come put up [alzare, ospitare], give up [abbandonare, rinunciare] e take off [togliere e decollare]. Le preposizioni e postposizioni che fungono da contrassegno di relazioni grammaticali sono note anche come particelle di caso; ad esempio la preposizione e in samoano è una particella che contrassegna il caso ergativo, mentre la postposizione giapponese ga è una particella contrassegno del caso nominativo. Le particelle più interessanti dal punto di vista dello studio della cultura sono però quelle pragmatiche, cioè le particelle che chiamano in causa o contribuiscono a creare particolari tipi di contesto. Forse perché si tratta delle più sfuggenti, difficili da descrivere e visto che spesso si sottraggono ai vincoli dell analisi sintattica, queste particelle hanno attratto l attenzione degli studiosi di analisi del discorso e di altri ricercatori interessati all uso della lingua nell interazione sociale. Le particelle pragmatiche sono chiamate anche particelle discorsive, mentre soprattutto fra i linguisti tedeschi sono note come particelle modali. Quelle che compaiono in fine di frase (e a volte in posizione mediana) sono note col nome di particelle di frase o particelle finali di frase; un gran numero di particelle di lingue diverse sono di questo tipo: fra le tante basterà ricordare ne, yo, sa, wa, ka, ze e zo in giapponese, eh nell inglese della Nuova Zelanda, ba, a/ya e ne in cinese, na e nia in thai.

252 HARUKO M. COOK Dato che in genere le particelle non sono usate come parole piene, non possiedono alcun significato referenziale. Di solito le particelle pragmatiche si ritrovano nell interazione faccia a faccia, e segnalano l atteggiamento epistemico e/o affettivo del parlante nei riguardi del/dei destinatari(o), del contenuto del discorso o di altri aspetti del contesto linguistico ed enunciativo. Molti atteggiamenti epistemici perciò sono contrassegnati da particelle pragmatiche. Ad esempio sia la particella tedesca ja che quella giapponese yo fanno riferimento ad un aspetto del contesto linguistico appena venuto alla luce, rendendone consapevole l ascoltatore: può trattarsi di una conoscenza di sfondo condivisa da parlante e ascoltatore, o di un elemento nuovo resosi disponibile all interno del contesto. Così la particella nâ in thai segnala che l aspetto del contesto in questione è un problema di minore importanza; allo stesso modo la particella giapponese no indica un informazione accessibile ai partecipanti, compresa l informazione presumibilmente nota ai membri della società, mentre invece l altra particella giapponese ne è in primo luogo contrassegno dello stato affettivo del parlante: quest ultimo userà ne per indicare il possesso di una base affettiva in comune con gli interlocutori quasi dicesse abbiamo gli stessi sentimenti. Da questo punto di vista, le particelle pragmatiche forniscono istruzioni metapragmatiche circa il modo in cui dev essere interpretato il messaggio in un contesto linguistico dato, svolgendo una funzione simile a quella dei tratti sovrasegmentali (accento, altezza e intonazione). Non a caso si uniscono spesso ai tratti sovrasegmentali, coi quali creano un significato sociale ancor più specifico: quando la particella giapponese ne si accompagna a un intonazione ascendente, ad esempio, indica una richiesta di conferma. Dato che le particelle pragmatiche sono indice dell atteggiamento epistemico e/o affettivo del parlante, possono servire a mitigare atti in apparenza minacciosi; per questo sono spesso associate a espressioni di cortesia e buone maniere. Nella teoria della cortesia linguistica sviluppata da Penelope Brown e Stephen Levinson, esitazione, incertezza e carattere obliquo del discorso sono considerate strategie di cortesia negativa: perciò l uso di una particella pragmatica che indica una conoscenza acquisita in forma indiretta o appartenente a

PARTICELLE / PARTICLES 253 terzi, ad esempio, può essere interpretato come un atto di cortesia negativa. L uso di una particella che indica conoscenza o sentimenti condivisi, invece, costituisce una strategia di cortesia positiva. È il caso ad esempio delle particelle cinesi ba e ne: infatti poiché sono indice di probabilità o incertezza, queste due particelle contribuiscono a smorzare la forza illocutiva di una richiesta. Allo stesso modo la particella giapponese no, che indica una conoscenza condivisa da parlante e destinatario (o con un individuo terzo), può anch essa svolgere la funzione di marca di cortesia positiva, ed è usata spesso quando il parlante realizza un atto linguistico in apparenza minaccioso come persuadere o spiegare: in questi casi infatti la particella costituisce un chiaro riferimento ai presupposti condivisi dalle due parti, e fa sì che per il destinatario sia più difficile opporre un rifiuto alle affermazioni del parlante. Una particella pragmatica è un tipico esempio di quello che Michael Silverstein chiama un indice creativo : essa cioè fa in modo che particolari aspetti del contesto si realizzino nel contesto discorsivo immediato. Il significato di una particella infatti, almeno in parte, viene alla luce a partire dal contesto discorsivo immediato e pertanto muta a seconda del contesto; proprio per questo i significati sociali di una particella pragmatica eccedono i limiti della consapevolezza cosciente dei parlanti nativi. L uso delle particelle pragmatiche in vari contesti sociali può dar vita ad atti linguistici e identità sociali, compresa l identità di genere. Proprio perché portano in primo piano un aspetto del contesto e fanno sì che il destinatario ne sia consapevole, ad esempio, a particelle come lo ja tedesco e lo yo giapponese può esser attribuita la realizzazione dell atto linguistico del ricordare, quando il parlante vuole che il destinatario compia un certo atto. Le stesse particelle, peraltro, possono essere usate per compiere l atto linguistico dell affermare, nei casi in cui il parlante voglia convincere il destinatario della propria opinione; infine, esse possono addirittura dar corpo all identità di un esperto, in tutti i casi in cui il parlante è più informato del destinatario riguardo al tema della conversazione ed usa la particella come contrassegno di questa sua maggiore conoscenza. Quanto alle particelle che sono indici di un atteggiamento poco deciso o esitante, come il wa giapponese, possono diventare indici del genere femminile del

254 HARUKO M. COOK parlante: infatti, dato che delicatezza e atteggiamento esitante richiamano alla mente l ideale nipponico di donna, wa può costituire l identità di genere di una donna. Le particelle pragmatiche possono anche svolgere il ruolo di marche di solidarietà. Quando una particella è usata assai di frequente da un certo gruppo di persone, diviene un contrassegno di appartenenza al gruppo e dunque è indice di solidarietà fra i suoi membri. Nell inglese della Nuova Zelanda la particella pragmatica eh, usata come domanda-coda [tag] nel discorso informale, è usata molto più di frequente dai maori uomini che dalle donne maori o dai neozelandesi di origine britannico/europea, e svolge il ruolo di contrassegno dell appartenenza etnica basato sull identità per i maori maschi. Le particelle pragmatiche svolgono un ruolo importante, poiché grazie ad esse è possibile fare ricorso alla lingua come risorsa in grado di creare e mantenere in vita degli universi sociali. Sono indice, fra l altro, dei presupposti condivisi da parlante e destinatario, degli aspetti del contesto cui quest ultimo dovrebbe prestare attenzione, dei sentimenti del parlante nei riguardi del destinatario o dell argomento della conversazione e dell identità del parlante. L esistenza di particelle pragmatiche nella lingua perciò costituisce una prova certa del fatto che la lingua è una forma di attività sociale. (Cfr. anche funzioni, genere, indessicalità, massima, riflessività). Bibliografia Abraham, Werner, a cura, 1991a, Discourse Particles, Amsterdam, John Benjamins. Abraham, Werner, 1991b, Discourse Particles across Languages, «Multilingua», 10, 1/2 (numero speciale). Brown, Penelope e Levinson, Stephen C., 1987, Politeness: Some Universals in Language Usage, Cambridge, Cambridge University Press. Cook, Haruko M., 1990, An Indexical Account of the Japanese Sentencefinal Particle No, «Discourse Processes», 13, pp. 401-439. Cook, Haruko M., 1992, Meanings of Non-referential Indexes: a Case of the Japanese Particle Ne, «Text», 12, pp. 507-539.

PARTICELLE / PARTICLES 255 Horie, Preeya e Iwasaki, Shoichi, 1996, Register and Pragmatic Particles in Thai Conversation, relazione presentata ai Proceedings of the Fourth International Symposium on Languages and Linguistics, Institute for Language and Culture for Rural Development, Mahidon University at Salaya, Thailand. Lee-Wong e Song Mei, 1998, Face Support Chinese Particles as Mitigators: A Study of Ba, A/Ya and Ne, «Pragmatics», 8, pp. 387-404. Meyerhoff, Miriam, 1994, Sounds Pretty Ethnic, Eh? A Pragmatic Particle in New Zealand English, «Language in Society», 23, pp. 367-388. Okamoto, Shigeko, 1995, Pragmaticization of Meaning in Some Sentencefinal Particles in Japanese, in M. Shibatani e S. Thompson, a cura, Essays in Semantics and Pragmatics: in Honour of Charles J. Fillmore, Amsterdam-Philadelphia, John Benjamins. Silverstein, Michael, 1976, Shifters, Linguistic Categories, and Cultural Description, in K. H. Basso e H. A. Selby, a cura, Meaning in Anthropology, Albuquerque, University of New Mexico Press, pp. 11-55. Squires, Todd, 1994, A Discourse Analysis of the Japanese Particle Sa, «Pragmatics», 4, pp. 1-29. Suzuki, Ryoko, 1990, The Role of Particles in Japanese Gossip, «Berkeley Linguistic Society», 16, pp. 315-324.