LA NUOVA TUTELA PENALE DEGLI ANIMALI

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1 VITTORIO ARENA - GUIDO CASAROLI - VALENTINA ROCCA DAVID ZANFORLINI - LAURA ZOVI LA NUOVA TUTELA PENALE DEGLI ANIMALI Il caso di Green Hill 1

2 A LUNA 2

3 INDICE: 1 LA TUTELA DEGLI ANIMALI NELLE FONTI NORMATIVE NAZIONALI 1.1. EVOLUZIONE LEGISLATIVA: DAI CODICI PENALI PREUNITARI ALLA PRIMA FORMULAZIONE DELL ART. 727 C.P. NEL CODICE ROCCO PAG LA NUOVA FORMULAZIONE DELL ART. 727 C.P.: LA LEGGE 22\11\1993, N. 473 PAG ALTRE NORME CHE RIGUARDANO GLI ANIMALI: L ART. 638 C.P. PAG DEI DELITTI CONTRO IL SENTIMENTO PER GLI ANIMALI: LA L. 20 LUGLIO 2004 N LINEE GENERALI E CONSIDERAZIONI D INSIEME: TRA LUCI ED OMBRE PAG L OGGETTO MATERIALE DEI NUOVI REATI: IL CONCETTO DI ANIMALE PAG LE NUOVE FATTISPECIE CRIMINOSE ART. 544-BIS: UCCISIONE DI ANIMALI PAG ART. 544-TER: MALTRATTAMENTO DI ANIMALI PAG. 50 SEGUE: TRIBUNALE DI BOLZANO, 9 MARZO NUOVA IPOTESI DI MALTRATTAMENTO PAG ART. 544-SEXIES: CONFISCA E PENE ACCESSORIE PAG IL RESTYLING AI VECCHI REATI L ABBANDONO DI ANIMALI: ART. 727 C.P. PAG UCCISIONE E DANNEGGIAMENTO DI ANIMALI ALTRUI: ART. 638 C.P. PAG LA LEGGE 4 NOVEMBRE 2010, N. 201: NUOVE FATTISPECIE DI REATO E PENE PIÙ SEVERE PAG LE RECENTI MODIFICHE AL CODICE DELLA STRADA PAG IL SOGGETTO OBBLIGATO PAG IL CONCETTO DI DANNO PAG GLI ANIMALI OGGETTO DI TUTELA PAG IL CONTENUTO DELL'OBBLIGO PAG. 85 3

4 4.5 IL BENE GIURIDICO PAG IL CASO "GREEN HILL" 5.1 LA GENESI PAG IL RACCONTO PAG L ATTACCO PAG.92 SEGUE: LA NORMATIVA EUROPEA E LE NOVITÀ CONSEGUENTI ALLA MODIFICA DELL ART. 13 T.F.U.E. 5.4 L ACCESSO PAG L ESPOSTO PAG L EPILOGO PAG LE VALUTAZIONI E LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE SUL DISSEQUESTRO DEGLI ANIMALI 6.1 L ITER GIUDIZIARIO SUCCESSIVO AL SEQUESTRO E ALLA LIBERAZIONE DEGLI ANIMALI PAG LE MOTIVAZIONI DEL TRIBUNALE PER IL RIESAME PAG LE DOGLIANZE DELLA PROCURA DELLA REPUBBLICA PAG LE CONSIDERAZIONI IN DIRITTO E LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE PAG OSSERVAZIONI E RILIEVI SULLA PRONUNCIA DELLA CORTE: A) L ECCESSO DI POTERE DEL TRIBUNALE DEL RIESAME PAG SEGUE: B) I PROBLEMATICI RAPPORTI FRA IL REATO DI MALTRATTAMENTO DI ANIMALI E L ILLECITO AMMINISTRATIVO DI CUI ALL ART. 14, CO. 1, D. LGS. N. 116/1992 PAG LA CLAUSOLA DI SALVEZZA DELL ART. 19-TER DISP. COORD. C.P PAG

5 1 LA TUTELA DEGLI ANIMALI NELLE FONTI NORMATIVE NAZIONALI 1.1 EVOLUZIONE LEGISLATIVA: DAI CODICI PENALI PREUNITARI ALLA PRIMA FORMULAZIONE DELL ART. 727 C.P. NEL CODICE ROCCO L esigenza di regolare il rapporto tra uomo e animale è plurisecolare: Saevitia in bruta est tirocinium crudelitatis in homines, scriveva Publio Ovidio secoli fa, cioè che la crudeltà sugli animali è un allenamento per la crudeltà sulle persone. Le origini della legislazione, o meglio dei canoni giuridici a tutela degli animali trovano profonde radici in questo principio, sulla base del quale veniva censurato e condannato l incrudelimento ed il maltrattamento degli animali stessi, ritenuto indice di animo negativo: si trattava di una negatività che indirizzandosi verso esseri pur sempre viventi, era pericolosamente vicino al confine verso i propri simili. Da allora ad oggi, la nostra legislazione si è notevolmente arricchita con l introduzione di numerose norme volte a tutelare gli animali. Dal diritto civile, al diritto penale, fino alla normativa comunitaria e internazionale, l esigenza di garantire una tutela più marcata e certa agli animali, ha attraversato tutti i campi giuridici, raggiungendo in alcuni casi obiettivi insperati. La metamorfosi che si è sviluppata nella storia del rapporto uomo-animale, pertanto, ha avuto ripercussioni positive anche nel campo normativo. Si è passati da una legislazione, che riferendosi all animale come una res, lo tutelava solo indirettamente, in quanto proprietà di qualcuno, riconoscendo quest ultimo come unico titolare dei diritti lesi; ad una normativa destinata a determinati tipi di animali considerati meritevoli di una tutela maggiore rispetto a quella generalmente accordata. Ci si vuole riferire alle disposizioni concernenti 5

6 animali appartenenti a specie rare o in via di estinzione. Ne sono un esempio, la Convenzione di Washington (C.I.T.E.S.), con la relativa legge italiana di ratifica sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione 1 e la legge sul prelievo venatorio 2 : in entrambi i casi, infatti, gli animali sono considerati parte della biodiversità e del patrimonio faunistico di un territorio e non mere res. Parallelamente all affermazione delle visioni che riconoscono l animale come titolare di diritti, si è sviluppata una normativa che sembra tutelarlo in quanto individuo, rendendolo oggetto diretto delle relative previsioni: un esempio è la legge quadro 14 agosto 1991, n. 281 sugli animali d affezione e sulla prevenzione del randagismo 3, la quale dimostra l acquisita cognizione da parte del Legislatore di una crescente presenza nel tessuto sociale di animali domestici di varia specie, volta ad assicurare la corretta convivenza tra uomini e animali. Nonostante questo, la maggior parte degli interventi del Legislatore a favore degli animali, si è tradotto, in realtà, in interventi di protezione dello stesso genere umano, sulla scorta di quella concezione antropocentrica che è possibile rinvenire tutt oggi tra le maglie della normativa in vigore. Nell ambito della legislazione penale del nostro paese, la prima norma posta a protezione degli animali può farsi risalire ai codici preunitari, quello del Granducato di Toscana del 1856 e il Codice Penale Sardo del 1859: quest ultimo, fra le contravvenzioni riguardanti l ordine pubblico, all art. 685 n. 7 prevedeva il fatto di coloro che in luoghi pubblici incrudeliscono contro animali domestici. La tutela degli animali, anche se solo domestici, appariva legata a 1 Legge 7 febbraio 1992, n. 150, che applica in Italia la Convention on International Trade of Endangered Species, firmata a Washington il 3 marzo Legge 11 febbraio 1992, n Pubblicata i G.U. n. 203 del 30 agosto 1991, 6

7 motivi di carattere sociale o morale, riferendosi a quei comportamenti che per le loro caratteristiche intrinseche davano luogo a pubblico scandalo. Dopo l unità d Italia, la tutela penale degli animali viene racchiusa nell art. 491 del Codice penale Zanardelli del 1889, il quale sanciva: Chiunque incrudelisce verso animali o, senza necessità li maltratta ovvero li costringe a fatiche manifestamente eccessive, è punito con ammenda da.1 a 100. Alla stessa pena soggiace anche colui il quale per il solo fine scientifico o didattico, ma fuori dei luoghi destinati all insegnamento, sottopone animali ad esperimenti tali da destare ribrezzo. E possibile notare significative novità tra le due norme: la contravvenzione cambia sede, venendo collocata fra quelle concernenti la pubblica moralità e vengono soppresse le limitazioni della pubblicità del luogo e della natura domestica dell animale, ampliando in tali termini la possibilità di protezione. Si esclude comunque ogni censura penale per i fatti realizzati nei luoghi destinati all insegnamento e alla ricerca. Risulta evidente che nei codici ottocenteschi la tutela dell animale era solo indiretta, in quanto ad essere tutelato non era l animale, ma lo stato mentale dell uomo che avrebbe potuto essere offeso nella sua sensibilità dalla visione delle sofferenze arrecate all animale, senza una valida giustificazione. Ci sono nella disposizione sopra citata alcune parole che esprimono concetti chiave della riflessione sul trattamento degli animali in quel periodo storico: crudeltà, maltrattamento senza necessità, luogo pubblico, ribrezzo, che ci permettono di contestualizzare la normativa all interno di una fase storica nella quale anche la stessa protezione degli interessi umani era ben lontana dai risultati raggiunti dalle moderne legislazioni. 7

8 Pertanto, oggetto giuridico del reato era il sentimento di pietà che l uomo provava nei confronti degli animali e scopo dell incriminazione era quello di favorire la mitezza dei costumi e promuovere l educazione civica, evitando esempi di crudeltà idonei ad abituare l uomo alla durezza d animo e alla insensibilità per la sofferenza altrui. A cavallo tra il Codice Zanardelli e il successivo Codice penale Rocco, veniva promulgata la legge 12 giugno 1913, n. 611 (c.d. Legge Luttazzi modificata successivamente dalla legge 10 febbraio 1927, n. 292), Concernente provvedimenti per la protezione degli animali, la quale stabiliva che, fermo restando il disposto dell art. 491 c.p. sono specialmente proibiti gli atti crudeli su animali, l impiego di animali che per vecchiezza, ferite o malattie non siano più idonei a lavorare, il loro abbandono, i giuochi che importino strazio di animali, le sevizie nel trasporto del bestiame, l accecamento degli uccelli ed in genere le inutili torture per lo sfruttamento industriale di ogni specie animale 4. Per la prima volta, la protezione degli animali veniva articolata in una serie di fattispecie di reato; inoltre, veniva riconosciuta la possibilità di acquisire personalità giuridica alle associazioni protettrici degli animali, che si prefiggessero determinati scopi di protezione, prevenzione dei maltrattamenti e di istruzione della popolazione a non incrudelire contro gli animali attraverso la diffusione di una cultura animalista. Per tale motivo, la legge completa e dettagliata appariva forse troppo in anticipo sui tempi, e la complessa e drammatica situazione storico-politica di quegli anni ne limitò drasticamente l applicazione. Si arrivava così all emanazione del Codice penale Rocco del 1930, il quale riprendeva e modificava l art. 491 del codice Zanardelli collocandolo nell art. 727 fra le Contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi, chiaro indice che la 4 Art. 1 legge 12 giugno 1913, n. 611, pubblicata nella G.U. n. 153 del 2 luglio

9 ratio dell incriminazione era quella di promuovere la moralità dei costumi, suscitando sentimenti di pietà e compassione dell uomo verso gli animali. Non appariva mutata fino a questo momento, pertanto, la concezione di fondo: l oggetto giuridico della tutela rimaneva il sentimento comune di pietà e di compassione che l uomo provava verso gli animali, che risultava offeso da atti crudele e da ingiustificate sofferenze subite dagli animali, o dalla loro sottoposizione ad esperimenti tali da destare ribrezzo in luogo pubblico, o aperto, ovvero esposto al pubblico. Si continuava a punire la sofferenza cagionata all animale solo in quanto mediata dalle conseguenze che questa comporta nei confronti della sensibilità umana. A differenza dell art. 491, però, nel Codice Rocco cambiava la rubrica: il Codice Zanardelli rubricava Dei maltrattamenti di animali, mentre l art. 727 del Codice del 1930 Maltrattamento di animali, con il termine maltrattamento usato al singolare, come a significare che anche un solo atto integrava il reato, perché la crudeltà imposta all animale una sola volta era già in grado di scuotere e offendere il sentimento di pietà dell uomo. L art. 727 stabiliva che: Chiunque incrudelisce verso animali o senza necessità li sottopone a eccessive fatiche o a torture, ovvero li adopera in lavori ai quali non siano adatti per malattia o per età, è punito con l ammenda da lire 100 a lire 3000 (ammenda successivamente elevata da lire a lire , ex art. 113 della legge 24 novembre 1981, n. 689, da lire a lire ). Alla stessa pena soggiace chi, anche per solo fine scientifico o didattico, in un luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, sottopone gli animali vivi a esperimenti tale da destare ribrezzo. La pena è aumentata, se gli animali sono adoperati in giuochi o spettacoli pubblici, i quali importino strazio o sevizie. Nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, se il colpevole è un conducente di 9

10 animali, la condanna importa la sospensione dall esercizio del mestiere, quando si tratta di una contravvenzione abituale o professionale. L animale, al pari di una qualunque altra res, era mero oggetto materiale del reato, mentre portatore dell interesse protetto e quindi vittima del reato, era l essere umano, offeso nella sua sensibilità come singolo individuo, ed esposto al pericolo di un imbarbarimento dei costumi, come gruppo sociale. Non ha dubbi, al riguardo, nemmeno la più autorevole dottrina dell epoca: l art. 727 tutela il sentimento etico-sociale di umanità verso gli animali, il quale esige che ognuno si astenga dal maltrattare ingiustificatamente gli animali stessi ( ). La vista o la notizia di maltrattamenti non giustificabili ad animali offende necessariamente la nostra civiltà, della quale una delle più essenziali caratteristiche è la gentilezza dei costumi ( ) 5. Similmente la dottrina successiva: scopo dell incriminazione è quello di rispettare e favorire la mitezza dei costumi e di impedire quelle manifestazioni di violenza e di cattiveria che, pur avendo per oggetto materiale gli animali, possono egualmente divenire scuola di insensibilità alle altrui sofferenze. Non sono quindi puniti la cattiveria in sé, il malanimo, l inclinazione alla violenza ed alla brutalità e, d altro canto, l esistenza e la salute dell animale acquistano rilievo nella misura in cui si risolvono in un interesse per l uomo, nella misura in cui, cioè, sono investite dal suo sentimento di pietà e di compassione ( ) 6. Soggetto attivo del reato poteva essere chiunque, quindi sia il proprietario o il possessore dell animale sia un estraneo qualsiasi, nel caso ad esempio degli esperimenti; mentre se l agente era un conducente d animali, nel caso questo 5 Manzini V., Trattato di diritto penale italiano, a cura di Nuvolone, Torino, rist. 1986, Coppi F., voce Maltrattamento o malgoverno di animali, in Encicl. dir. vol. XXV, 1975,

11 fosse un contravventore abituale o professionale, la condanna importava la sospensione dall esercizio del mestiere: si trattava di un tipico reato comune. Soggetto passivo, invece, non era il proprietario dell animale maltrattato, ma il titolare dell interesse leso dal reato e quindi chiunque potesse essere anche solo potenzialmente turbato nel suo sentimento di pietà verso gli animali: dal momento che il sentimento di pietà di tutti poteva essere turbato dai maltrattamenti, il reato è caratterizzato dall indifferenziata pluralità dei soggetti passivi 7. Per quanto concerne l oggetto materiale del reato, che abbiamo già detto essere l animale, la norma non faceva alcuna distinzione a riguardo: era inteso l animale di qualunque specie grandi o piccole, utili o inutili, innocui o nocivi, miti o feroci, domestici, mansuefatti o selvatici. Non era importante che l animale fosse di proprietà di qualcuno, mentre parte della dottrina sosteneva che l animale dovesse essere sensitivo, cioè dotato di una sensibilità sufficiente per suscitare quel sentimento di compassione che la legge tutela 8. La dottrina prevalente, inoltre, era concorde nell affermare che la norma non configurasse diversi reati, ma ne delineasse uno solo, dal momento che le ipotesi alternativamente previste hanno la stessa oggettività giuridica e sono assoggettate alla medesima sanzione 9. Il reato di cui all art. 727 c.p. nella sua prima formulazione infatti, poteva essere consumato attraverso vari tipi di condotta descritti dal Legislatore: incrudelimento 7 Coppi F., voce Maltrattamento o malgoverno di animali, in Encicl. dir. vol. XXV, 1975, In questi termini Manzini V., Trattato di diritto penale italiano, a cura di Nuvolone, Torino, rist. 1986, 1096; Coppi F., voce Maltrattamento o malgoverno di animali, in Encicl. dir. vol. XXV, 1975, 266, Palmieri A., In tema di maltrattamento di animali, in G.A.I 1977, 451, nota a Cass. sez. IV , n Tesi che la moderna dottrina tende giustamente ad escludere: in questi termini Padovani T., Commento all art. 1 della legge 22 novembre 1993, n. 473, Nuove norme contro il maltrattamento di animali, in Legisl. Pen. 1994, Manzini V., Trattato di diritto penale italiano, a cura di Nuvolone, Torino, rist. 1986, ; Valieri M., Il nuovo testo dell art. 727 del codice penale, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1999, n. 1, pp

12 verso gli animali, sottoposizione senza necessità ad eccessive fatiche o torture, destinazione degli animali a lavori ai quali non sono adatti per malattia o per età, sottoposizione di animali vivi ad esperimenti tali da destare ribrezzo in luogo pubblico, aperto o esposto al pubblico. Incrudelire contro gli animali significa infliggere gravi sofferenze all animale in assenza di un adeguata giustificazione, solamente per ira o per brutalità. Proprio la mancanza di un adeguato motivo permette di distinguere tale condotta dalla sottoposizione dell animale a torture o a fatiche eccessive, considerando l incrudelimento la più grave tra le modalità di condotta punite dalla fattispecie in esame. La legge non richiedeva il requisito della necessità, posto che non ci può mai essere necessità di incrudelire 10 ; l incrudelimento, perciò, presupponeva l assenza di qualsiasi giustificabile motivo da parte dell agente. Le crudeltà potevano essere solo fisiche, sebbene gli animali siano suscettibili di sofferenze morali, poiché l art. 727 puniva esclusivamente ciò che può più gravemente turbare il sentimento di pietà dell uomo verso gli animali. Inoltre, non era necessario un insieme di atti e tanto meno un abitudine di brutalità, ma era sufficiente anche un solo fatto isolato connotato da una ispirazione decisamente malvagia, tale da dover essere considerato come una tipica forma di condotta dolosa; nel caso invece, la sofferenza non sia dovuta ad un voluto comportamento crudele, ma piuttosto a negligenza, dimenticanza o trascuratezza, il fatto può essere ricondotto alle altre ipotesi colpose previste dall art. 727 c.p Così per Cass. sez. III, 19 giugno 1999, n. 9668, in Cass. Pen., 2000, 1599: la crudeltà è di per sé caratterizzata dall assenza di un motivo adeguato, cioè da un motivo abbietto e futile. Non vi può essere crudeltà necessaria. 11 Mazza M., Sul maltrattamento di animali, in G.A.I. 1984, 548, commento a Cass. sez. III pen. 16 novembre 1983, n

13 Il reato poteva essere consumato anche sottoponendo gli animali a fatiche eccessive o a torture senza necessità. Le fatiche possono considerarsi eccessive quando sono superiori o, comunque, sproporzionate alle forze e alla capacità di resistenza e di recupero dell animale. Le torture sono, invece, tutti gli atti che arrecano dolore di una certa intensità all animale. A differenza della prima condotta tipica, la sottoposizione degli animali ad eccessive fatiche e torture poteva essere giustificata dalla necessità, quindi il fatto risultava punibile soltanto quando si svolgeva fuori dei limiti imposti da tale presupposto. La necessità, pertanto, viene a configurarsi come una causa di legittimazione del fatto, purchè si tratti di un attività diretta al conseguimento di uno scopo lecito, necessaria nel caso concreto. Il concetto di necessità di cui all art. 727 c.p., nella sua prima formulazione, non deve essere identificato con lo stato di necessità di cui all art. 54 c.p., ma a differenza di quest ultimo è molto più ampio, facendo riferimento a tutti quei comportamenti che la coscienza comune normalmente accetta in relazione all impiego degli animali da parte dell uomo 12. Si tratta di una necessità che non ha nulla a che fare con quella ipotizzata nell art. 54 c.p. e configurata come una situazione di conflitto di diritti, risolubile col sacrificio del diritto altrui nel caso di pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo dal soggetto non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. 12 Coppi F., voce Maltrattamento o malgoverno di animali, in Encicl. dir. vol. XXV, 1975, 269., vedi anche Mazza M., Sul maltrattamento di animali, in G.A.I. 1984, 549, commento a Cass. sez. III pen. 16 novembre 1983, n

14 Mentre l art. 54 c.p. richiama una necessità assoluta che costringe all azione senza possibilità di altra scelta, l art. 727 c.p. richiama una necessità relativa, una necessità che concede la possibilità di scegliere, tra i diversi modi di sfruttamento degli animali consentiti, quello che non oltrepassa il limite del rispetto del sentimento di umanità verso i medesimi. Non possono quindi ritenersi giustificate dalla necessità tutte quelle fatiche o torture che non sono riconosciute come normali dalla coscienza comune e che per questo possono offendere il sentimento di pietà e compassione dell uomo verso l animale. Anche rispetto alle torture, il fatto, per essere punibile, doveva essere commesso senza necessità. La terza modalità di condotta presa in considerazione dall art. 727 c.p. consisteva nell adoperare gli animali in lavori ai quali non siano adatti per malattia o per età. Il lavoro è inadatto quando è tale da cagionare all animale sofferenze notevoli o da aggravare il suo stato patologico; se l uso dell animale non è tale da cagionare i predetti effetti, non può offendere il comune sentimento di pietà verso gli animali e quindi non può configurarsi come maltrattamento. L inidoneità al lavoro, inoltre, doveva dipendere da malattia, intesa come stato patologico, acuto o cronico che richiede cura, o dall età, sia perché l animale risultasse troppo giovane, come anche nel caso l animale fosse troppo vecchio. La giustificazione speciale della necessità non era ammessa per questa modalità di condotta. Infine, l ultima ipotesi prevista dalla fattispecie in esame riguardava la sottoposizione, anche a solo fine scientifico o didattico, di animali vivi ad esperimenti tali da destare ribrezzo in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico. 14

15 Tale disposizione ha determinato problemi di interpretazione data l interferenza con la legge 12 giugno 1931, n. 924 in tema di vivisezione. Tale legge, infatti, vietava la vivisezione e gli esperimenti sugli animali vertebrati a sangue caldo (mammiferi ed uccelli), la quale limitazione vale soltanto agli effetti della legge stessa. Questo permette di distinguerla dall art. 727 c.p. che puniva, invece, gli esperimenti compiuti su animali vivi, anche solo per scopo scientifico o didattico, atti a destare ribrezzo, a condizione che fossero eseguiti in luogo pubblico o aperto al pubblico; il requisito della pubblicità del luogo era determinante, in quanto solo al verificarsi di essa vi era la possibilità che l esperimento, di per sé idoneo a destare ripugnanza, offendesse il sentimento di umanità. Questo significa che l esperimento, se compiuto nei luoghi appositamente predisposti o autorizzati, è in sé lecito, mentre assume valore penalmente rilevante solo quando è realizzato in luogo pubblico. Inoltre, la legge non esigeva che l atto avesse effettivamente destato il pubblico ribrezzo e che ne fosse fornita la prova, in quanto l art. 727 c.p. si limitava a richiedere l idoneità dell esperimento a produrre tale risultato. La condotta tipica idonea a configurare il reato di cui all art. 727 c.p. si poteva configurare sia mediante azione, che mediante omissione, in ogni ipotesi contemplata nella norma 13. Inoltre, il reato poteva essere commesso tanto nella forma di reato istantaneo, che in quella di reato permanente, tranne nell ipotesi della crudeltà. 13 Si pensi ad esempio a chi volutamente decida di lasciar morire di fame o di sete un animale abbandonandolo a se stesso. 15

16 La norma richiedeva l effettivo turbamento della sensibilità dell uomo ed il reato si consumava per il solo compimento di atti idonei a colpire il sentimento di pietà e compassione. Era prevista, infine, una circostanza aggravante speciale se gli animali sono adoperati in giuochi o spettacoli pubblici, i quali importino strazio o sevizie. La ragione dell aggravamento era strettamente connessa allo scopo per il quale si realizzava il maltrattamento, il pubblico divertimento, ritenendo in questo caso maggiore l offesa arrecata al sentimento comune di umanità verso gli animali Quasi contemporaneamente alla promulgazione del Codice penale Rocco il testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza considerava il maltrattamento di animali in tema di spettacoli all art Questa disposizione vietava gli spettacoli che importassero strazio o sevizie di animali, al pari di quelli che turbassero l ordine pubblico o fossero contrari alla morale e al buon costume. Infine, in merito al trattamento sanzionatorio, nel Codice Penale Rocco la contravvenzione di maltrattamento di animali, era punita con la sola sanzione pecuniaria dell ammenda, e quindi fra l altro oblazionabile ad arbitrio del contravventore ex art. 162 c.p. Nella vigenza di questa prima formulazione dell art. 727 c.p., l interpretazione maggioritaria sia in dottrina, che in giurisprudenza, individuava il bene tutelato nel sentimento comune di pietà verso gli animali, non nel senso di un pieno rispetto dell animale in sé, bensì nel rispetto di una qualità dell animo umano, secondo una visione strettamente antropocentrica. 14 R.D. 18 giugno 1931, n. 773, Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza prevedeva una norma parallela all art. 727 c.p. nell art. 70: sono vietati gli spettacoli o trattenimenti pubblici che possono turbare l ordine pubblico o che sono contrari alla morale o al buon costume o che importino strazio o sevizie di animali. 16

17 La stessa Corte di Cassazione nel 1987 affermava che la norma contenuta nell art. 727 c.p. (maltrattamento di animali) non punisce l uccisione di animali, ma l incrudelimento e le torture usate verso di essi e quindi, in caso di morte, la sua provocazione mediante gravi sofferenze fisiche, in modo che ne scaturisca offesa al sentimento di comune pietà verso gli animali e ripugnanza per gli atti compiuti 15. Coerentemente con questo orientamento la medesima Suprema Corte aveva chiarito che ai fini della configurabilità del reato di maltrattamento di animali, la necessità, richiesta perché sia lecito sottoporre gli animali a fatiche eccessive o a tortura, deve essere intesa come necessità non assoluta, ma relativa, cioè determinata anche da bisogni sociali o da pratiche, generalmente adottate, di una determinata industria, di un mestiere o di uno sport, quando il fatto non sia espressamente vietato da una norma giuridica speciale o non ecceda dal consentito 16. Tuttavia non è mancato un orientamento diverso ed evolutivo, sia da parte della giurisprudenza di merito che di quella di legittimità, che ha permesso di estendere progressivamente l applicabilità dell art. 727 c.p., modificando gradualmente la posizione degli animali. La giurisprudenza si è concentrata nell individuare il concetto di maltrattamento, ritenendolo troppo generico ed opinabile in base alla disposizione del codice penale. Emblematica di questo innovativo orientamento giurisprudenziale è la pioneristica decisione di merito della Pretura di Amelia del 7 ottobre , la quale partendo dall assunto che l art. 727 c.p. tutela il comune sentimento di 15 Cass. pen. sez. II, 21 marzo 1987, in La giustizia penale, 1989, 154 ss. 16 Cass. pen. sez. III, 20 giugno 1986, in Cass. pen. 1987, Pretura di Amelia, sent. 7 ottobre 1987, in Riv. pen 1988, 166 ss. 17

18 pietà che l uomo prova verso gli animali, ritiene necessario, alla luce di una adeguata evoluzione dei costumi e delle istanze sociali in tema naturalistico, che la norma deve intendersi anche come diretta a tutelare gli animali da forme di maltrattamento ed uccisione gratuite in quanto esseri viventi capaci di reagire agli stimoli del dolore. La sentenza continua individuando il concetto di maltrattamento ed incrudelimento verso un animale con riferimento al concetto di maltrattamentodolore definito come violazione delle leggi naturali o biologiche, fisiche e psichiche di cui l animale è portatore essendo gli animali esseri viventi dotati di sensibilità fisica. E conclude affermando che il fatto che l animale sia di proprietà del soggetto agente non costituisce scriminante, ma, anzi, la circostanza può essere valutata in senso sfavorevole al reo. Si tratta, quindi, di una interpretazione innovativa e coraggiosa della norma penale, che successivamente viene accolta anche dalla Corte di Cassazione, che nel 1990 segna la drastica inversione di rotta rispetto alla sino ad allora monolitica visione antropocentrica: in via di principio, il reato di cui all art. 727 c.p. tutela gli animali in quanto autonomi esseri viventi, dotati di sensibilità psico-fisica e capaci di reagire agli stimoli del dolore, ove essi superino una soglia di normale tollerabilità. La tutela penale è dunque rivolta agli animali in considerazione della loro natura 18. Con tale sentenza la Corte rivoluzionò la linea interpretativa dell art. 727 c.p. sancendo che, il reato di maltrattamento di animali è integrato non solo da comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli 18 Cass. pen. sez III, sent. 27 aprile 1990, n. 6122, in Riv. Pen. 1990, 545; vedi anche D.G.A. 1992, 46 ss., Mazza M., Nuove frontiere per la tutela degli animali. 18

19 animali, o che destino ripugnanza, ma anche quelle condotte ingiustificate che incidono sulla sensibilità dell animale, producendo dolore. L intervento giurisprudenziale ha cercato di colmare le lacune normative presenti nell art. 727 c.p. nella sua originaria formulazione, ampliando l ambito di applicabilità della disposizione e individuando una ratio nuova: superando la concezione puramente privatistica degli animali come meri oggetti, la quale metteva in primo piano le utilità materiali ricavabili dagli animali stessi, la giurisprudenza ritiene che il bene penalmente tutelato sia l interesse degli animali a non subire sofferenze, senza dimenticare l interesse umano al rispetto degli animali come rispetto dell umanità. Non può, dunque, che condividersi l assunto della Suprema Corte che finalmente ha dato una lettura dell art. 727 c.p. in sintonia con i tempi senza però ledere il principio di stretta legalità che domina l interpretazione della legge penale. Divengono così punibili non solo le condotte che offendono il comune senso di pietà verso gli animali (in base al consolidato indirizzo tradizionale), ma anche tutte le condotte ingiustificate, comprese quelle involontarie, che incidono sulla sensibilità dell animale causandogli dolore. Tale nuova interpretazione si riverbera anche sull individuazione dell elemento psicologico richiesto per la configurazione del reato: la rilettura della fattispecie codicistica, infatti, permette di sussumere sotto il rigore punitivo dell art. 727 non unicamente quelle condotte accompagnate dalla volontà di infierire, ma altresì quei comportamenti colposi, anche omissivi, caratterizzati da condizioni oggettive di abbandono e di incuria. Inoltre, si andava sempre più diffondendo il convincimento che il termine animale, nella sua ampia accezione fatta propria dall art. 727 c.p., 19

20 ricomprendesse ogni specie verso la quale l uomo può in concreto adottare atteggiamenti socialmente apprezzabili. Espressione di questo innovativo filone giurisprudenziale sono altre pronunce del seguente tenore: se per necessità debba essere data la morte ad un animale, il mezzo deve essere scelto tra quelli più idonei ad evitare inutili patimenti 19 ; la norma tutela gli animali in quanto autonomi esseri viventi, dotati di propria sensibilità psico-fisica, e come tali capaci di avvertire dolore causato dalla mancanza di attenzione ed amore legato all abbandono 20. In questi interventi giurisprudenziali sicuramente si percepisce un avanzamento nella ricerca della condizione giuridica degli animali, o almeno, se non un riconoscimento di un effettivo diritto degli animali a non soffrire, l affermazione di un dovere di rispetto degli umani nei loro confronti che ha finito col produrre, sia pure in tempi lunghi, un effetto di trascinamento per il legislatore. Tali decisioni, infatti, andranno ad influenzare considerevolmente la produzione normativa successiva, che porterà alla luce le due principali riforme in materia. La prima, avvenuta con Legge 22 novembre 1993, n. 473 Nuove norme contro il maltrattamento di animali, la quale, come vedremo, definì in maniera precisa e dettagliata il reato di maltrattamento di animali introducendo anche una serie di modalità alternative di condotta originariamente estranee alla fattispecie; che però, non fu in grado di apportare quelle innovazioni strutturali e di essenza necessarie per rispondere alle ormai pressanti istanze riformatrici provenienti dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Le insufficienze presenti nel novellato articolo 727 c.p., furono la base della legge 189 del 2004, contenente Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento 19 Cass. sez. III, 5 novembre 1993, in Cass. pen. 1995, Cass. sez III, 10 luglio 2000, n , in Cass. pen. 2001,

21 degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate, la quale andò a sancire che i reati commessi a danno degli animali non dovessero più rientrare nell ambito dei crimini contro la proprietà o riguardanti la polizia dei costumi, ma avessero un proprio specifico oggetto ed un titolo apposito all interno del codice penale. 1.2 LA NUOVA FORMULAZIONE DELL ART. 727 C.P.: LA LEGGE 22 NOVEMBRE 1993, N. 473 Negli anni 90 del secolo scorso, sulla scia di quell innovatore orientamento giurisprudenziale, si sviluppò una nuova sensibilità verso il mondo animale che determinò la diffusione di nuovi valori animalisti all interno degli interventi legislativi. Cominciava a delinearsi, accanto alla tradizionale prospettiva antropocentrica, quella nuova visione animalista che sembrava adombrare la possibilità di tutelare l animale in quanto tale, senza vincolare la protezione ad una presunta offesa del sentimento di compassione dell uomo. Il primo provvedimento a protezione degli animali in tali termini, fu la legge n. 281 del 14 agosto 1991, intitolata Legge quadro in materia di animali da affezione e prevenzione del randagismo, la quale dettava norme e principi generali da recepirsi poi da parte delle singole Regioni. Come indicato nei principi generali dettati dall art. 1 21, la tutela che la legge accordava agli animali d affezione, considerati come tali solo cani e gatti, trovava la sua ratio nella volontà di assicurare la corretta convivenza tra uomini e animali 21 Art. 1 Principi generali: lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l ambiente. 21

22 piuttosto che nella garanzia di interessi più specialmente umani, come la salute pubblica e l ambiente. Questo era confermato anche dalla disposizione che prevedeva iniziative di informazione da svolgere anche in ambito scolastico al fine di conseguire un corretto rapporto di rispetto della vita animale 22. In particolare, la legge si proponeva anzitutto di fornire una soluzione al triste fenomeno del randagismo, a sua volta generato dall abbandono degli animali da parte dei loro affidatari 23. Uno dei punti focali della legge, infatti, riguardava il riordino dei canili comunali: si è cercato, da un lato di favorire che i cani in essi ricoverati fossero più facilmente ceduti a privati o ad associazioni protezionistiche, purchè questi diano garanzie di buon trattamento 24, dall altro, di evitare che i cani vaganti catturati venissero soppressi o destinati alla sperimentazione 25. Fino al 1991, i cani abbandonati e rinchiusi nei canili comunali venivano soppressi solo dopo tre giorni di ricovero. La legge n. 281, invece, stabilisce che né i cani detenuti nei canili, né quelli randagi potevano più essere soppressi, né ceduti a laboratori di vivisezione: ai sensi dell art. 2 comma 6, i cani alloggiati nei canili possono essere soppressi in modo esclusivamente eutanasico, ad opera di medici veterinari, soltanto se gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità. La loro destinazione alla sperimentazione costituisce, comunque, un infrazione alla legge punita con una sanzione amministrativa da lire cinque milioni a lire dieci milioni (da 2582 a 5164 euro) Art. 3 comma Secondo un autorevole dottrina sarebbe più opportuno eliminare dal lessico corrente i termini proprietario e padrone, quando si allude al rapporto uomo e animali. In analogia con il rapporto genitoriale, sarebbe più corretto il termine affidatario esercente la potestà sull animale, potestà che, come nei confronti della prole umana, consiste nel dovere-potere di accudire la prole come l animale: vedi Pocar V., Gli animali non umani. Per una sociologia dei diritti, Bari, Laterza, 2005, Art. 2 comma Art. 2 comma 2 e Art. 5 comma 4. 22

23 Un ulteriore innovazione apportata dalla legge n. 281 fu il controllo della popolazione dei cani e dei gatti mediante la limitazione delle nascite e l obbligo per le Regioni di istituire l anagrafe canina presso i comuni o le unità sanitarie locali. Si tratta però pur sempre di una legge quadro, che stabilisce norme e principi generali, rimandando alle Regioni il compito di legiferare in materia, attraverso l adozione di una propria normativa in materia. E proprio questo uno dei punti negativi della norma: se da un lato ha rappresentato un passo in avanti per l affermazione di un più civile rapporto tra le persone e gli animali, dall altro la tecnica del decentramento regionale si è dimostrata un arma a doppio taglio. Pensata originariamente per sopperire alle dimenticanze del legislatore nazionale, pur rimanendo sempre all interno dei confini dettati dalla legge quadro, ha dimostrato che la presenza di un potere locale poco sensibile al problema può peggiorare la situazione attraverso formulazioni ancor più teoriche e contraddittorie. In definitiva, le leggi regionali di attuazione cui la legge rinvia sono quasi sempre rimaste inapplicate o sono comunque risultate insufficienti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Pertanto, la legge n. 281 del 1991, pur redatta secondo nuovi valori animalisti, rimaneva ben lontana da una recepita e consapevole dimensione di tutela effettiva nei confronti degli animali. Solo nel 1993 si è realizzata la prima vera riforma in materia, con la legge n. 473, la quale ha riformulato integralmente l art. 727 c.p., definendo in maniera più precisa e dettagliata il reato di maltrattamento degli animali e introducendo una serie di modalità alternative di condotta originariamente estranee alla fattispecie. 23

24 Il nuovo testo presentava delle novità tali, da far pensare che il legislatore avesse voluto uniformarsi alla nuova cultura animalista ormai presente nell opinione pubblica, le quali si dimostrarono presto solamente innovazioni parziali: il reato manteneva la sua natura contravvenzionale, restando la norma ancora collocata fra le Contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi, di conseguenza il maltrattamento di animali continuava ad essere considerato un reato contro la moralità pubblica. Proprio la natura di contravvenzione e non di delitto suscitò le prime perplessità e contraddizioni, trattandosi di fatti idonei a ledere l integrità psico-fisica o addirittura a cagionare la morte di creature considerate senzienti secondo l interpretazione data dalla giurisprudenza del Anche la sanzione restava inalterata: un ammenda, anche se considerevolmente aumentata (da lire due milioni, a lire dieci milioni) rispetto alla sanzione irrisoria prevista in precedenza. Una parte della dottrina ha ritenuto che la riforma, pur senza stravolgerlo nella sua essenza, vada innegabilmente ad incidere sul bene giuridico, evidenziando la rilevanza della tutela dell integrità psico-fisica degli animali in sé considerata, attraverso l esplicito richiamo alle caratteristiche etologiche delle varie specie 27. Questo avrebbe influito anche sull oggetto materiale del reato: la formulazione originaria dell art. 727 si riferiva non a qualsiasi animale, ma, come già sottolineato, soltanto a quelli nei cui confronti l uomo prova sentimenti di pietà e di compassione. 27 Casaroli G., Saevitia in bruta est tirocinium crudelitatis in omines. Un dogma o un dubbio?, in Desanti L., Ferretti P., Manfredini A. (a cura di), Per il 70 compleanno di Pierpaolo Zamorani: scritti offerti dagli amici e dai colleghi di Facoltà, Giuffrè 2009,

25 Il nuovo concetto di animale post riforma, invece, doveva essere inteso in una accezione più lata e comprensiva di tutte le specie verso le quali l uomo potesse adottare atteggiamenti socialmente apprezzabili: l animale verso cui si esige rispetto in nome di un sentimento umano di partecipazione all equilibrio della natura, può essere rappresentato anche da esseri che, nella scala zoologica, occupano un gradino relativamente meno elevato 28. Il primo comma del nuovo art. 727 c.p. recitava come segue: Chiunque incrudelisce verso animali senza necessità o li sottopone a strazio o sevizie o a comportamenti e fatiche insopportabili per le loro caratteristiche, ovvero li adopera in giuochi, spettacoli o lavori insostenibili per la loro natura, valutata secondo le loro caratteristiche anche etologiche, o li detiene in condizioni incompatibili con la loro natura o abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività, è punito con l ammenda da lire due milioni a lire dieci milioni. Veniva, anzitutto, rimodulata e ampliata la fattispecie-base, comprendendovi tutti i casi generici non espressamente riconducibili alle statuizioni dei commi successivi ed elevando a fatti tipici comportamenti offensivi prima non esplicitamente previsti. La prima modalità di condotta, nel testo originario indicata nel fatto di chi incrudelisce verso animali veniva arricchita con un requisito di illiceità espressa: senza necessità, prima rapportato al fatto di sottoporre gli animali a eccessive fatiche o a torture. Tale nuova dizione venne criticata dal momento che la crudeltà sarebbe sempre caratterizzata dalla superfluità delle sofferenze inflitte, quindi intrinsecamente non 28 Padovani T., Commento all art. 1 della legge 22 novembre 1993, n. 473, Nuove norme contro il maltrattamento di animali, in Legisl. Pen. 1994,

26 necessaria 29 : incrudelire verso animali, infatti, significa infliggere loro sofferenze fisiche intense e fini a se stesse, che rappresentano manifestazioni di sfogo, di malvagità e d ira, quindi sembra inimmaginabile un atteggiamento concreto di crudeltà che possa risultare necessitato. La stessa giurisprudenza ha ritenuto che l incrudelimento presuppone concettualmente l assenza di giustificato motivo da parte dell agente ( ) e la spinta di un motivo abietto e futile 30. La dottrina, invece ha sostenuto che con tale espressione il legislatore abbia voluto dar risalto a bisogni sociali o a pratiche generalmente seguite in determinati ambienti o attività, ma soprattutto che abbia voluto indicare in modo espresso che vengono punite condotte contrassegnate da un carattere gratuito, di mero sfogo di istinti brutali 31 : quindi, nella nuova formulazione il difetto di necessità altro non è che un elemento di illiceità espressa, costituendo un mero richiamo all intrinseca illiceità dell incrudelire. La seconda modalità di condotta alternativa, prima individuata nel sottoporre senza necessità ad eccessive fatiche o a torture, nel nuovo testo riformato si sostanziava nel sottoporre a strazio o sevizie o a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche. Mentre nella prima formulazione tali atti non erano punibili se caratterizzati da necessità, nella successiva formulazione sparisce questo limite alla punibilità del 29 Mazza P., L abbandono di animali, in Dir. e giur. agr. alim. e dell amb. 2010, n. 2, Cass. sez. III pen. 29 luglio 1999, n. 9668, con nota di Mazza P., L incrudelimento verso animali senza giustificato motivo, in Dir. e giur. agr. alim. e dell amb. 2001, n. 4, pp.269 ss. 31 Mazza M., Nuove frontiere per la tutela degli animali, in D.G.A. 1992, pp. 46 ss., commento sent. Cass. Pen. sez. III, 14 marzo 1990, n. 6122, Postiglione; Santoloci M., Una positiva ed interessante evoluzione dell interpretazione dell articolo 727 fornita dalla Corte di Cassazione, in Riv. pen. 1990, n. 6, pp. 546 ss. 26

27 fatto e la rilevanza della necessità viene relegata entro i rigorosi limiti generali dello stato di necessità di cui all art. 54 c.p. 32. Inoltre, il legislatore ha voluto tipizzare lo strazio e le sevizie, prima intese come aggravante speciale per l ipotesi che gli animali fossero adoperati in giuochi o spettacoli pubblici, al fine di ampliare l attuale ambito di tutela 33. In merito a quest ultima ipotesi di condotta alternativa, invece, dopo la riforma la sostenibilità di giochi, spettacoli o lavori deve essere valutata anche in rapporto alle caratteristiche etologiche dell animale, cioè con riferimento allo stile di vita e alle caratteristiche comportamentali degli appartenenti alla specie. Le ultime due modalità descritte dalla novella del 1993 riguardavano la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e l abbandono di animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività. Esse non trovano corrispondenza nelle fattispecie anteriori e sono le uniche che ancora sono previste dalla fattispecie attuale, anche se diversamente collocate. Viene pertanto tipizzata la condotta di chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, prima punibile solo se tale da arrecare sofferenze fisiche, mentre nel testo riformato, punibile a prescindere dalla specifica sofferenza ch essa rappresenti in sé. La stessa giurisprudenza ha ritenuto di poter configurare il reato di cui all art. 727 c.p. quando accolto un animale presso di sé, il soggetto non si curi più del medesimo, mantenendolo in condizioni assolutamente incompatibili con la sua natura, nella specifico consentendo che zecche e pulci infestassero il corpo del cane, ovvero attraverso la denutrizione 34 ; ancora con riferimento alla liceità 32 Casaroli G., Saevitia in bruta est tirocinium crudelitatis in omines. Un dogma o un dubbio?, in Desanti L., Ferretti P., Manfredini A. (a cura di), Per il 70 compleanno di Pierpaolo Zamorani: scritti offerti dagli amici e dai colleghi di Facoltà, Giuffrè 2009, Cosseddu A., voce Maltrattamento di animali, in Dig. disc. pen., aggiorn. 2000, Cass. sez. V pen. 28 agosto 1998 n. 9556, in Cass. pen. 2000,

28 dell uso di richiami vivi nell esercizio venatorio ha sostenuto che il rinchiudere uccelli provenienti da cattura in piccole gabbiette tali da non consentire ai volatili l apertura alare e per di più prive di posatoi, integra l ipotesi di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura 35. Con riferimento all uso dei richiami vivi, giurisprudenza costante sostiene che anche la detenzione in condizioni incompatibili con la natura dell animale deve essere valutata in termini di sofferenza 36 la quale sofferenza deve caratterizzare la condotta suscettibile di adeguata prova non superabile sulla base di semplici presunzioni circa le conseguenze negative sul benessere fisico degli animali 37. Con questo la Suprema Corte chiarisce che, nonostante la modificazione dell art. 727 c.p. e l aggiunta di condotte alternative come l abbandono e la detenzione in condizioni incompatibili con la natura dell animale, si rimane sempre confinati nella sfera del reato di maltrattamento che richiede per tutte le ipotesi una componente di sofferenza e lesione dell integrità fisica dell animale. Per quanto concerne la prova della sofferenza, lo stato di salute dell animale ridotto in gabbia non può essere dimostrato sulla base di dati empirici né con la semplice osservazione visiva dell aspetto fisico 38, ma è necessario provare mediante accertamenti di carattere medico-legale la mancanza delle relative condizioni di benessere in relazione alla determinazione di forme patologiche dipendenti da eventuali maltrattamenti. 35 Pret. Treviso, sez. distaccata Castelfranco Veneto 17 ottobre 1994, in Dir. e giur. agr. e dell amb. 1996, n. 2, Cass. sez. III pen. 5 aprile 1995, n. 3486, in Dir. e giur. agr. e dell amb. 1996, n. 2, 120, con nota di Mazza P., Primi orientamenti giurisprudenziali sulla nuova formula dell art. 727 c.p. 37 Pret. Bassano del Grappa 19 luglio 1995, in Dir. e giur. agr. e dell amb. 1996, n. 2, 123, con nota di Masini S., Sull esclusione del reato di maltrattamento di animali detenuti in gabbia e la necessità di provare la relativa sofferenza. 38 Secondo Pret. Bassano del Grappa, sent. 19 luglio 1995, non può apparire significativo di sofferenza degli uccelli il fatto che questi presentassero le penne delle ali e delle code consumate e rovinate se è vero che, a prescindere da ogni valutazione di carattere estetico, le stesse sono composte da tessuto cheratinizzato ed inerte con conseguente indifferenza in caso di consumo o sfregamento ( ). 28

29 La fattispecie riformata dalla legge n. 473 del 1993, introduce anche l ipotesi di abbandono di animali domestici, o abituati alla cattività (cioè a vivere in ambienti protetti), che riprende, ampliandolo, il divieto già contenuto nell art. 5 comma 1 della legge 14 agosto 1991, n Mentre la legge n. 281 puniva con la sanzione amministrativa chiunque abbandona cani, gatti o qualsiasi altro animale custodito nella propria abitazione, la nuova fattispecie di cui all art. 727 c.p. comma 1 si riferisce indistintamente a tutti gli animali domestici o addomesticati, a prescindere che siano o non siano custoditi nell abitazione. Sorge così il problema del rapporto tra le due disposizioni: in forza del principio di specialità fra disposizioni penali e disposizioni che prevedono sanzioni amministrative (art. 9 comma 1 legge 24 novembre 1981, n. 689 Modifiche al sistema penale ), autorevole dottrina ha sostenuto che l applicazione di tale principio non permetterebbe l applicazione dell innovazione introdotta dall art. 727 c.p. 39. La nuova fattispecie penale, infatti, finirebbe per essere applicata soltanto all ipotesi marginale di abbandono di animali custoditi fuori dell abitazione. Tale problema era già stato affrontato in sede giurisprudenziale con una sentenza che accredita la tesi della prevalenza della legge penale sulle norme speciali amministrative 40. Per questo motivo è stata preferita una diversa soluzione al problema, che riconduce alla nuova legge del 93 un effetto parzialmente abrogativo rispetto al 39 Padovani T., Commento all art. 1 della legge 22 novembre 1993, n. 473, Nuove norme contro il maltrattamento di animali, in Legisl. Pen. 1994, Cass. sez. III pen. 23 febbraio 1995, n. 347: Il detenere uccelli da richiamo in gabbiette piccolissime, pur essendo nella fattispecie le gabbiette come quelle sempre usate da cacciatori, funzionali ad uno scopo (il richiamo) legittimamente consentito dalla legge venatoria, non esclude che la detenzione in condizione incompatibili con la loro natura integri il reato di cui all art. 727 c.p., rientrando nell ipotesi di maltrattamento, caratterizzate tutte da una sofferenza ad essi inferti, (..) sicchè il giudice ha correttamente ritenuto che non possono costituire valide discriminanti usanze o istruzioni di autorità amministrative che restringano l ambito di applicazione dell art. 727 c.p.. 29

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