Se andiamo ad analizzare la CIRCOLARE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE N.61/E DEL 2010, notiamo che viene sancito un principio:

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1 RELAZIONE TRUST FORLI 16 ottobre 2015 LA REVOCABILITA' E MODIFICABILITA' DEL TRUST ALLA LUCE DEI PIU' RECENTI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI ITALIANI, DELLA CONVENZIONE DELL'AJA E DELLA CIRCOLARE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE N.61/E DEL2010. COME STRUTTURARE LE CLAUSOLE SUI POTERI E DIRITTI DEL DISPONENTE, DEL TRUSTEE, DEL GUARDIANO E QUELLE RELATIVE AI BENEFICIARI. PREMESSA Uno degli argomenti che hanno suscitato più dubbi e, conseguentemente, sul quale si è più discusso nella recente dottrina e giurisprudenza, è quello della revocabilità e modificabilità del trust, istituto di diritto anglosassone che ha preso sempre più piede nel nostro ordinamento, soprattutto in un contesto economico come quello attuale, dove l'esigenza di attuare una efficace "asset protection" è sempre più frequente. La mancanza in Italia di una legge regolatrice ad hoc rendono difficile ed arduo per l'interprete il compito dell'applicazione della relativa legge cui necessariamente si deve rimandare per la regolamentazione del trust e la trasposizione delle relative clausole, soprattutto con riferimento ai principi dell'equity, che sono considerati più risolutivi e che spesso divergono dalla recente prassi giurisprudenziale e fiscale italiana. Il rischio quindi di creare uno strumento non conforme ad una legge, o non riconoscibile in Italia, o di scarsa tenuta giuridica è molto forte, con la conseguenza che il trust non solo può essere revocato, ma addirittura può essere considerato non riconoscibile e quindi nullo, inesistente e/ simulato. Vedremo e analizzeremo in seguito quali sono le clausole dell'atto istitutivo cui prestare attenzione e quelle da evitare per non incorrere nel rischio della revocabilità o in quello più grave della non riconoscibilità del Trust, alla luce delle recenti pronunce della giurisprudenza di merito italiana e della Circolare dell'agenzia delle Entrate n.61/e del REVOCABILITA' E MODIFICABILITA' Con il termine revocabilità ci si può intendere sia relativamente: 1- all'azione dei creditori, pregiudicati dagli atti di disposizione dei beni in trust da parte del disponente; 2- sia alla possibilità di apposizione di clausole contrattuali di revoca e recesso, di condizioni risolutive. La modificabilità involge invece il problema se il disponente possa riservarsi il diritto di ius variandi unilaterale del trust,( ius variandi che può andare dal potere di sostituire il trustee, i beneficiari, la legge applicabile), nonchè il potere di riservarsi alcuni benefici e privilegi.

2 La validità e di conseguenza la "tenuta" del trust è quindi elemento prioritario e fondamentale la cui riuscita non può prescindere, oltre che da uno scopo reale e lecito, dalla predisposizione di una serie di cautele e accorgimenti che devono necessariamente essere trasfusi nella redazione delle clausole dell'atto istitutivo e del regolamento. Sebbene infatti l'istituto non sia ab origine o per sua natura, strutturalmente destinato a fini elusivi o frodatori, si presta però facilmente ad usi distorsivi e impropri, come ad esempio per nascondere l'esistenza di attività all'amministrazione finanziaria, ai creditori, all'ex coniuge, ovvero per occultare l'identità dell'effettivo beneficiario, oppure con finalità di riciclaggio di capitali di provenienza illecita. Il primissimo aspetto da considerare, è quindi quello della validità stessa del trust. Com è noto, infatti, il trust è un negozio giuridico nel quale il disponente trasferisce alcuni beni di sua proprietà al trust e designa un trustee che li amministra nell interesse di beneficiari o per il perseguimento di uno scopo prestabilito. Come previsto dalla Convenzione dell Aja del 1985 gli elementi caratterizzanti lo stesso sono: i) la separazione dei beni del trust rispetto al patrimonio del disponente, del trustee e dei beneficiari; ii) l intestazione dei beni medesimi al trustee; iii) il potere-dovere del trustee di amministrare, gestire e disporre dei beni secondo il regolamento del trust o le norme di legge. In sostanza, i beni facenti parte del patrimonio del trust non possono continuare ad essere nella disponibilità del disponente, né questi può beneficiare dei redditi derivanti dai medesimi. Allo stesso tempo, il disponente non può riservare a se stesso né il potere né il controllo sui beni del trust, in modo tale da precludere al trustee l effettivo esercizio dei suoi poteri. La convenzione dell Aja impedisce di dare validità ai trust posti in essere in violazione dei principi inderogabili dell ordinamento in cui si opera ed ai trust, cosiddetti, non meritevoli di tutela. Questo perché, se così non fosse, l operazione avviata snaturerebbe l istituto stesso del trust, conferendogli così uno status che si confonderebbe facilmente con quello di uno strumento di elusione, risultato che l ordinamento di certo non vuole raggiungere, considerando il lungo lavoro attuato al fine di dare validità ai trust interni. Seguendo la scia del ragionamento, possiamo tranquillamente sostenere che tutti i trust posti in essere in violazione dei principi dell ordinamento giuridico, non sono solo revocabili ma addirittura nulli/inesistenti, in quanto posti in essere in violazione della Convenzione dell Aja. Venendo al primo punto ci si deve chiedere: è soggetto a revocatoria un trust valido? In particolare, dottrina e giurisprudenza hanno ormai assunto una linea costante ritenendo che, qualora venisse revocato l atto di disposizione del trust, la sentenza costitutiva così ottenuta priverà di efficacia la disposizione oggetto di revoca, lasciando valido e intatto il resto del trust (e quindi anche l atto costitutivo). Nella giurisprudenza di merito, la strada dell azione revocatoria per il creditore penalizzato era stata spianata dal Trib. Di Milano, con una sentenza della II sezione civile, del 3 maggio Nel caso specifico, il

3 Giudice aveva dichiarato l inefficacia del trust auto-dichiarato, che il debitore aveva istituito quando la propria società era fortemente indebitata con una banca, in favore della quale aveva prestato fideiussione, situazione che aveva poi portato al fallimento della stessa società. Nella precarietà di tale situazione, il disponente aveva istituito un trust auto-dichiarato, nel quale ricopriva contemporaneamente il ruolo di disponente, trustee e beneficiario, non fornendo previsione alcuna per la figura del guardiano dell attività del trustee. In tale situazione, il Giudice non aveva avuto problemi nel dichiarare la sussistenza dell anteriorità del credito rispetto all atto costitutivo, la lesione della garanzia patrimoniale del creditore e che la costituzione del trust e il conferimento nel trust che non può definirsi auto-dichiarato ma del tutto abusivo o sham, essendo coincidenti nella stessa persona disponente, fiduciario e beneficiari ed essendo il disponente anche surrettiziamente in veste di guardiano dei beni immobili di proprietà del disponente ha lo scopo di paralizzare qualsiasi iniziativa dei suoi creditori sul proprio patrimonio. Conseguentemente, il Giudice ha dichiarato, incidenter-tantum, la nullità dell atto istitutivo e ha accolto la domanda di revocatoria. Più recentemente, il Tribunale di Trieste in data 22 gennaio 2014, esaminando il reclamo della domanda proposta davanti al giudice tavolare da un soggetto che chiedeva l intavolazione del diritto di piena proprietà di alcuni beni immobili, intestati tavolarmente ad un secondo soggetto, disponente di un trust, in favore di un terzo soggetto, trustee del medesimo, ha valutato che in considerazione del fatto che nell atto si prevede che il disponente sia il primo beneficiario del reddito e, una volta terminata la fase di accantonamento (20 anni), anche quello esclusivo dei beni qualora le rendite non siano sufficienti al mantenimento ed alle emergenti necessità, fino alla sua morte, realizzando così il mero scopo di segregazione patrimoniale di beni del disponente. Pertanto, anche in questo caso, nulla ha ostato alla decisione del Collegio, il quale ha sancito che Deve ritenersi privo di causa e comunque non riconoscibile perché non persegua interessi meritevoli di tutela il trust che non prevede alcun trasferimento di diritti al trustee e che di fatto persegua come unico fine la segregazione patrimoniale dei beni del disponente. La giurisprudenza nazionale si sta, quindi, sempre più, orientando verso la possibilità di applicare l art cod. civ. ad ogni azione che vada a costituire una sorta di anomala compartimentazione o segregazione del patrimonio di un soggetto, tanto da essere considerata abusiva e, pertanto, necessariamente soggetta ad azione revocatoria. Per quanto concerne invece i punti 2) e 3), la questione è più complessa e va approfondita.. La "fiduciarietà" del trust ne fa, negli ordinamenti d'origine, un istituto per natura modificabile o revocabile, facendo parte delle regole del gioco, non essendo di per se' indici di simulazione e/o frode.. Infatti nel diritto americano la revocabilità è presunta, mentre in quello inglese/anglosassone è una facoltà del

4 disponente. Elemento fondamentale è che il trustee non sia un mero testa di legno, ma un reale gestore, anche se il beneficiario sia lo stesso disponente e che possa farlo cessare quando vuole. Si veda l'art. 2 della Convenzione dell'aja (...il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà...non è necessariamente incompatibile con l'esisteza e validità del trust...). Nel diritto italiano invece bisogna interfacciarsi con l'interposizione fittizia sia civilistica che fiscale e soprattutto con l'art del c.c. secondo cui la separazione patrimoniale si origina ed è valida solo se è dettata dalla legge o se è il risultato di cause meritevoli di tutela. In caso contrario, quando mancano indici di meritevolezza, si rischia la simulazione assoluta o un'intestazione fiduciaria con la riqualificazione dell'atto come mandato senza rappresentanza. Se andiamo ad analizzare la CIRCOLARE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE N.61/E DEL 2010, notiamo che viene sancito un principio: Il Trust viene considerato fiscalmente inesistente se il disponente ha pieno potere sul fondo in trust e/o sul trustee e beneficiari. Il principio fondamentale è quello che non possono essere considerati validamente operanti, sotto il profilo fiscale, i trust che sono istituiti e gestiti per realizzare una mera interposizione nel possesso dei beni dei redditi. Vediamo come il soggetto "incriminato" sia sempre e soltanto il disponente, e non altri soggetti, con la conseguenza che sono considerati per natura simulati e fittizi: - i trust autodichiarati - i trust che abbiano come trustee un soggetto non indipendente rispetto al disponente. Senza dubbio, come sopra anticipato, il chiarimento di maggiore interesse reso dall Amministrazione finanziaria, nella circolare n. 61/E/2010 in commento, ( che fornisce ulteriori chiarimenti in ordine alla disciplina fiscale prevista per i trust, i quali si aggiungono a quelli già resi nella Circolare n. 48/E/2007 e nella Circolare n. 43/E/2009) è che non possono essere considerati validamente operanti, sotto il profilo fiscale, i trust che sono istituiti e gestiti per realizzare una mera interposizione nel possesso dei beni dei redditi. È il caso, per esempio, di quei trust nei quali l attività del trustee risulta etero diretta dalle istruzioni vincolanti riconducibili al disponente o ai beneficiari. Allo stesso tempo, il disponente non può riservare a se stesso né il potere né il controllo sui beni del trust, in modo tale da precludere al trustee l effettivo esercizio dei suoi poteri. Pertanto, in assenza di tali elementi, il trust deve considerarsi inesistente dal punto di vista dell imposizione sui redditi, i quali verranno assoggettati a tassazione in capo al disponente secondo i principi previsti per ciascuna categoria reddituale di appartenenza.

5 Si annoverano quindi tra i trust inesistenti fiscalmente o fittizi: i) il trust che il disponente (o il beneficiario) può far cessare liberamente in ogni momento, generalmente ente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi; ii) il trust in cui il disponente è titolare del potere di designare in qualsiasi momento se stesso come beneficiario; iii) il trust in cui il disponente (o il beneficiario) risulti, dall'atto istitutivo ovvero da altri elementi di fatto, titolare di poteri in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione e amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso; iv) il trust in cui il beneficiario ha diritto di ricevere attribuzioni di patrimonio dal trustee; v) il trust in cui è previsto che il trustee debba tener conto delle indicazioni fornite dal disponente in relazione alla gestione del patrimonio e del reddito da questo generato; vi) il trust in cui il disponente può modificare nel corso della vita del trust i beneficiari; vii) il trust in cui il disponente ha la facoltà di attribuire redditi e beni del trust o concedere prestiti a soggetti dallo stesso individuati; viii) ogni altra ipotesi in cui potere gestionale e dispositivo del trustee, così come individuato dal regolamento del trust o dalla legge, risulti in qualche modo limitato o anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari. RISERVA DI DIRITTI IN CAPO AL DISPONENTE: RIFLESSIONI Non v è dubbio che il fenomeno della riserva di diritti e/o poteri in capo al disponente sia certamente lecito, ma non è meno vero e ciò è ben colto dalla circolare, che sul punto è pienamente condivisibile che tale controllo non può spingersi fino a un punto tale che, nel caso concreto, possa ritenersi che il disponente non ha affatto perso il controllo sui beni in trust. Ma discernere i casi di controllo lecito del trust da quelli di controllo illecito è questione delicata, sfuggente, e che va risolta caso per caso. Il rapporto tra il disponente e il trustee e la riserva di poteri in capo al primo, è pertanto questione della massima rilevanza, in quanto le vicende relative ai diritti e/o poteri del disponente ed al suo comportamento possono influenzare notevolmente la stessa validità del trust quale meccanismo fondato sull affidamento, non tanto sotto il profilo fiscale ma, ancor prima, sotto il profilo civilistico. Elemento caratterizzante del trust è infatti l affidamento di una situazione giuridica soggettiva di titolarità del disponente al trustee, ciò che comporta l attribuzione di essa al trustee e quindi il distacco dalla sfera

6 giuridico-patrimoniale del disponente. Nulla esclude che oggetto del trasferimento al trustee, per esempio, sia la sola nuda proprietà di un bene, nel qual caso, il disponente, ritenendo il diritto di usufrutto, manterrà il potere di godimento sul bene. Ma il punto rilevante non concerne, in senso stretto, l esercizio di poteri diretti sui beni in trust, bensì i limiti di esercizio di eventuali poteri di controllo dell esercizio dell affidamento da parte del trustee. L affidamento al trustee di una situazione giuridica soggettiva non determina infatti il sorgere di rapporti obbligatori tra disponente e trustee. Quest ultimo non deve quindi rendere conto della sua attività al disponente. Per aversi trust occorre allora che i beni siano effettivamente (punto, anche questo, ben colto dalla circolare) posti sotto il controllo del trustee il quale deve godere di autonomia nell esercizio delle sue funzioni. Il profilo più problematico concerne appunto l individuazione dei limiti, superati i quali la riserva di poteri in capo al disponente fa sì che la fattispecie non sia più riconducibile al trust ma ad altra figura. Il trustee che ubbidisce al disponente non è, infatti, qualificabile come trustee, con tutto ciò che ne consegue in punto di opponibilità ai terzi (e, quindi, anche al fisco) dell effetto di separazione patrimoniale che scaturisce dall istituzione di un siffatto trust (che, per tale motivo, non potrebbe essere riconosciuto, neanche sotto il profilo civilistico). Il dato formale non è però sufficiente ad escludere una situazione di eterodirezione del trustee. In altri termini il fatto che l atto istitutivo taccia in merito ai poteri del disponente non esclude certo che la situazione concreta sia tale da ricondurre la sua posizione da quella di mero controllo a quella di direzione del trustee (e quindi dell affidamento). Occorre però distinguere tra fattispecie in cui non si ha vero trust, cioè le fattispecie definibili come sham in senso stretto, espressione traducibile con fasullo e fattispecie in cui invece si è comunque in presenza di un trust, sebbene si tratti in realtà di un trust bare, cioè un trust nudo in favore dello stesso disponente, nel quale il trustee, appunto, è ridotto a un mero mandatario. Questa distinzione è estremamente importante e serve a comprendere come non si debba ragionare in modo unitario, considerando necessariamente tutte le fattispecie in cui il disponente si riserva eccessivi poteri, come fattispecie in cui non si può parlare di trust. La verifica va effettuata in concreto, distinguendo appunto, i casi in cui manca fin dall origine la volontà di istituiree un trust, fattispecie riconducibile, in diritto italiano, alla simulazione assoluta, e fattispecie in cui, pur essendovi la volontà di istituire il trust, il concreto atteggiarsi del rapporto conduce a ritenere che il trustee sia privo di reale indipendenza e autonomia e che quindi il rapporto stesso, lungi dall essere simulato, va in realtà riqualificato in modo diverso, cioè quale mandato, a dispetto dell esistenza di un formale atto istitutivo di trust.

7 Fattispecie del genere non sono venute ancora all attenzione della giurisprudenza italiana, mentre si riscontrano prese di posizione da parte dell amministrazione finanziaria (stranamente non ricordate nella circolare in commento). Nel primo caso, si trattava di un trust (denominato Gli Aquiloni ), in cui il disponente: a) rivestiva, altresì, l ufficio di guardiano ed in tale veste era dotato di potere di veto su tutti gli atti di straordinaria amministrazione del trustee; b) poteva nominare o revocare i successivi guardiani; c) aveva il potere di impedire al trustee sia di accettare conferimenti in trust da parte di terzi, sia di sostituire i beni in trust, sia di variare gli investimenti o la struttura investitrice. L Agenzia delle Entrate, posta di fronte ad un negozio siffatto, con la sua risposta ad interpello del 24 settembre 2002 ha ritenuto di dover riqualificare il trust come mandato con rappresentanza. In una seconda occasione, si trattava di un trust in cui il disponente: a) era altresì l unico beneficiario; b) poteva revocare il trustee; c) aveva diritto alla totalità del reddito prodotto dall unico bene in trust rappresentato da una quota di accomandante in una s.a.s. senza che al trustee competesse discrezionalità alcuna al riguardo. Anche in questo caso l Agenzia delle Entrate, con la sua risposta ad interpello del 1 ottobre 2002 ha riqualificato il trust come mandato con rappresentanza. Il profilo della mancata perdita di controllo dei beni in trust da parte del disponente diviene ancor più marcato nel caso di trust revocabile da parte del disponente. Alla luce di queste premesse potremmo ora passare all analisi delle clausole individuate dalla circolare, la cui presenza in un trust lo rende (rebbe?) inesistente. Tale modo di ragionare dell Agenzia si presta a severe critiche. Se è vero che il trust non può essere riconosciuto nei casi in cui il disponente non ha perduto il controllo dei beni, non è men vero che tale perdita di controllo non può certo essere limitata all ambito tributario. Se il disponente non ha perso il controllo dei beni non v è dubbio che il trust non sarà riconoscibile anche in ambito civilistico. Ed è peraltro tutto da dimostrare, come meglio si vedrà più oltre, che se un trust contiene una delle clausole indicate dall Agenzia allora ciò significa che il disponente non ha perso il controllo dei beni in trust. Così operando, inoltre, l Agenzia viene a rimuovere in via interpretativa forme giuridiche utilizzate dal contribuente che possono condurre, in ipotesi, a un risparmio di imposta e ciò in violazione del principio della riserva di legge. Non si potrà pertanto ritenere integrata tale prova sulla base della mera presenza nell atto istitutivo delle clausole esemplificate che non implicano di per sé riserva di controllo dei beni in trust in capo al disponente salvo beninteso il (raro) caso in cui, a causa di un errata redazione dell atto, davvero risulti

8 che il trustee sia privo di alcun potere decisionale. Sulla base dello scenario sopra delineato è possibile ora analizzare singolarmente le clausole che, a detta dell Agenzia, renderebbero il trust inesistente ai fini fiscali. Il discorso fin qui fatto è infatti servito a individuare, per quanto possibile, i criteri da utilizzare per individuare quando il trust non possa dirsi riconoscibile a causa della mancata perdita di controllo dei beni. In questo caso, non producendo il trust alcun effetto, ci pare non si ponga alcun problema dal punto di vista reddituale, poiché i beni non sono mai usciti dal patrimonio del disponente, per cui non v è dubbio che l imposizione dovrà avvenire in capo a costui. Con riguardo invece alla circolare in commento riteniamo, invece, che si possa (o forse si debba) ragionare in modo diverso al fine di valutare la portata delle clausole esemplificate dall Agenzia come prove dell inesistenza del trust ai fini fiscali. La questione della soggettività giuridica del trust testualmente affermata dalla legge, ma in varie ipotesi concretamente disapplicata, va a nostro modo di vedere valutata da due angoli visuali: quello del disponente e quello dei beneficiari. Se si pone mente alla ragione per cui i redditi del trust in alcuni casi sono tassati direttamente in capo ai beneficiari, ciò è perché essi giuridicamente (e quindi fiscalmente) appartengono ai beneficiari stessi, indipendentemente dalla loro materiale apprensione. E tale ragionamento andrebbe esteso anche ai trust i cui beneficiari finali sono definitivamente individuati e possa operare la regola che consente l immediata cessazione del trust. Anche in questo caso, infatti, i beni possono considerarsi giuridicamente (e quindi anche fiscalmente) appartenenti ai beneficiari e il trustee, pertanto, mero soggetto interposto tra disponente e beneficiari: il trust null altro ha prodotto se non un effetto analogo a quello di una donazione diretta dei beni. Analizziamo ora la vicenda dal lato del disponente. Da tale angolo visuale l Agenzia, per imputare a costui i redditi del trust utilizza il criterio della mancata perdita di controllo dei beni. Tale criterio non convince, perché, come già sopra evidenziato, il discrimen tra controllo lecito e illecito dei beni in trust è molto labile e condurrebbe a decisioni giudiziarie caratterizzate da un ampio grado di incertezza. L Agenzia, dal canto suo, si è attribuita, con la circolare in commento, un alto grado di discrezionalità nel ritenere un trust inesistente o meno, con deprecabile diminuzione di certezza in capo agli operatori. La questione va posta diversamente. Non si tratta, appunto, di ragionare sul tema del (la mancata perdita del) controllo, quanto di valutare se in capo al disponente si sia verificata una diminuzione patrimoniale permanente e definitiva in favore del trustee (e, quindi, dei futuri beneficiari). Tale criterio consente di dare una lettura più equilibrata della circolare, espungendo da essa tutte le clausole diverse da quelle interpretabili alla luce di tale criterio.

9 Potranno pertanto considerarsi trust fiscalmente interposti soltanto quelli contenenti clausole tali da rendere la diminuzione patrimoniale in capo al disponente non permanente. Analizzando quindi le clausole sulla base di tale criterio, di quelle elencate nella circolare ne rivestono rilievo significativo soltanto tre: a) la clausola che consente al disponente di far cessare liberamente in ogni momento il trust a proprio vantaggio (e non anche a vantaggio di terzi, perché in tal caso non si può certo dire che il disponente, a seguito dell istituzione del trust non abbia subito una permanente diminuzione patrimoniale); b) la clausola che consente al beneficiario di far cessare liberamente in ogni momento il trust a proprio vantaggio, salvo correggere la circolare sul punto, nel senso che in tal caso il trust è da considerarsi non interposto con riferimento alla persona del disponente, ma appunto al beneficiario (è, in sostanza, come una donazione diretta); c) la clausola che consente al disponente di designare in qualsiasi momento sé stesso quale beneficiario, purché sia l unico beneficiario (che è poi una variante di quella precedente, perché una volta che il disponente ha designato sé stesso quale unico beneficiario ha il potere di fare cessare immediatamente il trust). Altre clausole, invece, vanno valutate nel loro concreto modo di operare. La clausola che consente al disponente di modificare nel corso della vita del trust i beneficiari, appare essere una sottospecie di quella che consente al disponente di designare sé stesso quale beneficiario, e solo in questo caso potrebbe dirsi che non vi sia stata diminuzione patrimoniale definitiva; se invece il disponente fosse espressamente escluso dalla rosa dei possibili beneficiari non v è dubbio alcuno in merito all effettiva diminuzione patrimoniale in capo al disponente. La clausola secondo cui il beneficiario del trust ha il diritto di ricevere attribuzioni di patrimonio dal trustee mi pare anch essa una sottospecie di quella che consente al beneficiario di far cessare liberamente in ogni momento il trust a proprio vantaggio; ma in questo caso il trust, eventualmente, sarà da considerarsi interposto sempre con riferimento alla persona del beneficiario e non del disponente. Rimangono quattro esempi di clausole. La quarta (che è la penultima dell elenco) non pare essere molto diffusa nella prassi dei trust interni. Tuttavia sembra ovvio affermare che, se il disponente ha la facoltà di attribuire redditi o beni in trust o concedere prestiti a soggetti da lui individuati, vuol dire che il trustee, cui detti beni sono intestati, non ha alcun potere riguardo ai beni stessi, con conseguente non riconoscibilità del trust anche sotto il profilo civilistico. Le altre clausole, invece, di per sé non integrano casi in cui il trasferimento dei beni dal disponente al trustee non è effettivo e definitivo, per cui se si accoglie il criterio proposto i redditi saranno correttamente da imputare al trustee e/o ai beneficiari secondo che il trustee sia trasparente, opaco o misto. Ad esempio, il fatto che il trustee non possa esercitare alcuni poteri senza il consenso del disponente (es. il potere di alienare uno dei beni in trust), non significa certo che il trasferimento del bene in favore del trustee sia dal punto di vista del patrimonio del disponente transeunte. Così come irrilevante è il

10 fatto che il trustee debba tenere conto delle indicazioni del disponente. Altro è infatti dover tenere conto, ferma restando l autonomia decisionale del trustee; altro è che il trustee ubbidisca al disponente, nel qual caso si ricade nella situazione di mancata perdita di controllo dei beni e, quindi, di non riconoscibilità del trust anche sul piano civilistico. La circolare chiude con una sorta di clausola generale, secondo cui tutte le volte in cui i poteri del trustee sono limitati o condizionati dalla volontà del disponente o dei beneficiari, si avrebbe inesistenza fiscale del trust. È quasi inutile osservare come tale affermazione accresca in maniera esponenziale l incertezza degli operatori e attribuisca esorbitanti poteri discrezionali in capo all Agenzia, con alto rischio di moltiplicazione del contenzioso. Ribadiamo, allora, l opinione più volte espressa, secondo cui, potrebbe darsi inesistenza fiscale del trust, con conseguente tassazione dei redditi in capo al disponente (che è l obiettivo che si prefigge l Agenzia con l interpretazione contenuta nella circolare) in due soli casi: a) quando risulti che il disponente non ha perduto il controllo dei beni in trust, nel qual caso il trust non pare riconoscibile neanche sul piano civilistico; b) quando risulti che la diminuzione patrimoniale del disponente non è definitiva, per cui costui, in qualsiasi momento della vita del trust, può chiedere al trustee la restituzione dei beni. POSSIBILI SOLUZIONI ALTERNATIVE E CLAUSOLE REDAZIONALI Alla luce di quanto sopra esposto, delineata quindi una linea di principio secondo cui discernere tra trust validi e trust potenzialmente nulli o inesistenti, il problema principale è come approntare delle clausole che da un lato tutelino gli interessi e le finalità del disponente e del programma negoziale del trust senza, dall'altro lato, rischiare di incappare nella non riconoscibilità dello strumento o nella sua revocabilità "ex latere creditorum". Prendiamo come esempio la legge più utilizzata dagli operatori italiani per la regolamentazione del trust, ovvero la Legge di Jersey. Ai sensi dell'art. 9 di tale legge intitolato "POTERI RISERVATI AL DISPONENTE", vediamo che il settlor può riservarsi il potere di revocare, modificare, variare la durata del trust, la legge applicabile, di revocare, aggiungere e sostituire il Trustee, il guardiano, aggiungere altri beneficiari o persone a cui appartiene il potere, o un diritto in relazione al trust o alla proprietà del trust, così come può riservarsi l'utilizzo di determinati beni. Per quanto concerne questi ultimi (poteri di utilizzo e godimento dei beni) la migliore prassi è quella di

11 strutturare clausole con: - la riserva del diritto di abitazione (che è impignorabile e insequestrabile) per il caso di conferimento in trust della abitazione principale del disponente; - la riserva del diritto di usufrutto per altri immobili, tenendo però presente che l'usufrutto è sempre aggredibile dai creditori; - un contratto di comodato per l'utilizzo di determinati beni mobili. Per quanto concerne invece le partecipazioni societarie, per far si che il disponente possa mantenere un qualche controllo strategico, è opportuno che venga nominato un guardiano con poteri autorizzativi, che venga nominato dal trustee lo stesso disponente o persona di sua fiducia quale amministratore della società, oppure che vengano attribuiti al settlor diritti particolari (per le srl) amministrativi, (nel presupposto che quest'ultimo mantenga almeno una partecipazione seppur minima). È assolutamente sconsigliabile invece nominare Beneficario del reddito unicamente lo stesso disponente, per tutti i beni del fondo in trust. Per quanto concerne invece il potere di far cessare il trust in qualsiasi momento, di solito si cerca di bypassare il problema fissando un termine di durata abbastanza lungo del trust, attribuendo al Trustte e o al Guardiano la facoltà di anticipare la cessazione in presenza di determinati eventi e condizioni e o quando lo scopo è stato raggiunto. In alternativa, qualora i beneficiari siano individuati nominativamente ( cioè siano definitivi e vested), si può concedere a loro il potere di far cessare il trust con decisione unanime. Nela prassi si usa apporre anche condizioni risolutive ( anche meramente potestative), oppure si utilizza quello che viene chiamato il "power of advanced", cioè l'anticipazione a titolo definitivo ai vari beneficiari della quota loro spettante sui beni del fondo in trust. Per quanto concerne invece il potere di designare se stesso come beneficiario, anche del reddito, si sconsiglia l'utilizzo di una simile clausola, sia per le motivazioni sopra evidenziate sia per il fatto che se il disponente ha o avrà creditori personali, questi ultimi potranno o revocare il trust, oppure pignorare il diritto di credito al reddito che deriva allo stesso. Nella prassi si utilizza una clausola neutra in cui si attribuisce al trustte a sua discrezione di erogare redditi del trust sia ai beneficiari definitivi, sia allo stesso disponente per le sopperire alle sue esigenze di vita e nel caso in cui sia in stato di necessità. Per quanto concerne invece il potere di designare o modificare i beneficiari, una possibile soluzione pratica è quella di stabilire degli eventi al cui verificarsi i beneficiari vengano sostituiti o aggiunti. Altra soluzione è quella di istituire un comitato che giudichi la restrizione o l'ampliamento degli

12 stessi secondo criteri definiti dal disponente, oppure designare la categoria in modo aperto (tutti i discendenti in linea retta e di riservarsi di indicare le quote di ripartizione all'interno di essa. Per quanto concerne invece il potere di limitare o condizionare l'operatività del trustee, di solito è bene utilizzare la clausola che attribuisce al guardiano poteri di controllo o di iniziativa o addirittura poteri autorizzativi per determinati atti di straordinaria amministrazione. Altra soluzione potrebbe essere quella di istituire un comitato di esperti cui attribuire poteri consultivi o di orientamento, anche per categorie di atti (es. politica gestionale e di investimenti delle società le cui partecipazioni sociali sono nel trust. È quindi sconsigliabile attribuire poteri autorizzativi al disponente, preferendosi invece assegnare al guardiano o al comitato di specialisti o a quello dei beneficiari i necessari consensi autorizzativi. In sintesi e in definitiva, le linee guida cui attenersi nella redazione delle clausole sono quelle di: 1) attribuire la massima indipendenza del trustee rispetto al disponente; 2) cercare di regolamentare in modo analitico tutte le situazioni e i poteri e doveri cui il trustee deve attenersi, tenendo conto che il trust ha una lunga durata e che le situazioni sono mutevoli e quindi non si può creare uno strumento rigido, ma ci deve essere la possibilità di adeguarsi; 3) attribuire poteri di controllo e autorizzativi al guardiano o coinvolgere i beneficiari. MARCELLO PORFIRI

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