24088 Storia della filosofia antica Corso Platone e l immortalità dell anima.

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1 24088 Storia della filosofia antica Corso Platone e l immortalità dell anima. Il corso si propone di analizzare gli argomenti platonici sull immortalità dell anima, presentati nel Fedone. Poiché però tali argomenti conducono Platone ad affrontare alcuni aspetti fondamentali del suo pensiero, quali la natura della morte, il suicidio, il divenire, la reminiscenza, la teoria delle idee, il metodo filosofico, l analisi della causalità, la vita dopo la morte, ecc., il corso sarà un occasione per sviluppare anche questi aspetti. Il testo fondamentale, da leggere integralmente, è il Fedone (introduzione, premessa al testo e note di Alessandro Lami, traduzione di Pierangiolo Fabrini, BUR 1996), ma ci si avvarrà anche di altri dialoghi qualora la trattazione lo richieda. Programma (1) Introduzione: Platone, Socrate, la forma del dialogo (2) Il Fedone: presentazione del dialogo (57a-59c, pp Lami) (3) Socrate in prigione (59c-69e, pp Lami): la natura della morte, il suicidio (4) Prima prova: l argomento ciclico (69e-72e, pp Lami): il principio del divenire e la sua applicazione al caso dell anima (5) Seconda prova: la reminiscenza (72e-78b, pp Lami): analisi del rapporto tra la teoria della reminiscenza del Fedone e quella presentata nel Menone (6) Terza prova: l affinità dell anima con le idee (78b-84b, pp Lami) (7) La natura dell anima e l evoluzione platonica della sua concezione: il Fedone, la Repubblica, il Fedro e il Timeo (8) Le obiezioni di Simmia e Cebete: l anima come un armonia e l anima come un vecchio tessitore (84c-88b, pp Lami) (9) Risposta di Socrate a Simmia (l anima come armonia : 88c-95a, pp Lami) (10) Risposta di Socrate a Cebete (l anima come un vecchio tessitore): l autobiografia di Socrate; le cause platoniche (95b-102a, pp Lami) (11) La prova finale dell immortalità dell anima (102a-107b, pp Lami) 1

2 (1) Introduzione: Platone, Socrate, la forma del dialogo Bibliografia: Socrate: G. Vlastos, Socrate. Il filosofo dell ironia complessa, tr. it. La Nuova Italia 1998 Platone: F. Adorno, Introduzione a Platone, Laterza 2005 (tredicesima edizione) F. Trabattoni, Platone, Carrocci 1998 M. Vegetti, Quindici lezioni su Platone, Einaudi 2003 Sul Fedone: D. Gallop (a cura di), Plato:Phedo, Oxford 1975 Platone (428/27 a. C. 348/47 a. C.) Il resoconto delle origini familiari e dell ambiente sociale di Platone ci è presentato da Diogene Laerzio, vissuto probabilmente nel terzo secolo dopo Cristo e autore delle Vite e dottrine dei filosofi illustri (testo che costituisce una delle fonti principali delle biografie ma anche delle dottrine dei filosofi antichi, dai sette saggi allo scetticismo). All inizio del libro III, interamente dedicato a Platone, Diogene spiega che Platone, ateniese, fu figlio d Aristone e Perittione. Sua madre, per la sua famiglia, risaliva fino a Solone. In effetti, Solone aveva per fratello Dropide, padre di Crizia, a sua volta padre di Callescro, a sua volta padre di Crizia (che fu uno dei Trenta tiranni) e di Glaucone, padre di Carmide e Perittione, che con Aristone ebbe per figlio Platone, sesto nella discendenza da Solone. [...] Dicono anche che il padre di Platone discendesse da Codro, figlio di Melanto, i quali sono detti da Trasillo 1 discendenti di Poseidone. [...] Platone è nato, come dice Apollodoro nelle Cronache 2 nel corso dell 88a Olimpiade, nel settimo giorno del mese di Targelione [metà maggio 428/427], il giorno in cui gli abitanti di Delo dicono che sia nato Apollo. Ed è morto, come dice Ermippo 3, durante un banchetto di nozze nel primo anno della 108a Olimpiade [348/47], all età di 81 anni (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III, 1-2). Solone Dropide Crizia Callescro Crizia (30 t.) Glaucone Carmide Perittione Platone Platone dunque aveva un pedigree di tutto rispetto, facendo parte di un aristocrazia ricca e di memorabile discendenza. Fu discendente di Solone (VI secolo a.c.), primo legislatore di Atene e uomo che era stato capace di garantire alla città una relativa 1 Grammatico vissuto all epoca di Tiberio (I d.c.), responsabile di aver suddiviso i 35 dialoghi platonici (più un gruppo di tredici lettere attribuite a Platone) in nove tetralogie. 2 Storico ateniese del II-I secolo a. C.. 3 Ermippo di Smirne (III secolo a. C.) biografo peripatetico, seguace di Callimaco, poeta greco d età ellenistica. 2

3 concordia per quasi due secoli; ma anche di Crizia e Carmide, figure ben più inquietanti. In particolare Crizia, lo zio materno, fu un estremista oligarchico che nel 404 (quando Platone aveva 24 anni) rovesciò la democrazia ateniese cancellando gli equilibri sociali che Solone aveva instaurato. Crizia cercò di instaurare il potere di un gruppo di ricchi aristocratici (i Trenta tiranni, di cui fece parte anche il nipote Carmide) il cui carattere sanguinario risultò però insopportabile. Il potere di Crizia durò infatti pochi mesi e fu rovesciato da una restaurazione democratica, che però, come vedremo, non si rivelò migliore, almeno agli occhi di Platone. L atteggiamento di Platone nei confronti dell impegno politico e legislativo appare in tutta la sua portata in una lettera a lui attribuita, la Lettera VII. In molti hanno sollevato seri dubbi sulla sua autenticità; altri hanno invece presentato argomenti, piuttosto convincenti, sulla sua autenticità 4. Vale senz altro la pena di considerare questa lettera come un documento platonico, scritto in tarda età, ma è indubbio che essa debba essere utilizzata con estrema precauzione. Come che sia, la Lettera VII descrive l atteggiamento e il coinvolgimento politico di Platone sin dai tempi dei Trenta tiranni. Scrive Platone: da giovane anch io condivisi una passione comune a molti: pensavo, non appena divenuto padrone di me stesso, di volgermi all attività politica (Lettera VII, 324b) 5. Questa vocazione alla politica, lungi dall essere un fatto eccezionale, era una tappa quasi obbligata nella vita dei giovani aristocratici del V e del IV secolo a.c. Per il giovane Platone la prima occasione si presentò all epoca del colpo di stato dei Trenta tiranni già accennato: caso volle che fra i Trenta si trovassero alcuni miei parenti 6 e persone a me ben note, e subito mi mandarono a chiamare, come se la cosa mi spettasse (324d). Platone però non tardò a riconoscere il carattere violento e oppressivo della tirannide, e a sottrarvisi: a vedere queste cose ed altre simili di non minor gravità, restai davvero disgustato e mi ritrassi con indignazione da quei crimini. Dopo non molto tempo caddero i Trenta e tutto il loro regime. Di nuovo, ma in maniera più pacata, mi prese il desiderio di impegnarmi nella politica e nelle vicende pubbliche (325a-b). Il regime democratico, restaurato dopo pochi mesi con un azione di forza in cui lo stesso Crizia venne ucciso, sembrò all inizio tollerante, concedendo un ampia amnistia agli avversari. Qualche anno dopo, però, cioè nel 399 a.c., accadde un evento estremamente traumatico per Platone, che lo spinse ad abbandonare per sempre la politica ateniese: Socrate, il suo maestro, venne processato con l accusa di empietà e condannato a morte. La condanna di Socrate aprì un conflitto insanabile tra la dimensione politica della città, a cui Platone apparteneva per tradizione in quanto giovane aristocratico di spicco, e l esercizio critico del pensiero filosofico che Platone aveva fatto suo in quanto allievo di Socrate. Da questo momento in poi, Platone non 4 Argomenti pro e contro in M. Vegetti, Quindi lezioni cit., pp Questa combinazione di cifre e lettere, utilizzata universalmente per riferirsi ai passi platonici, deriva dall edizione delle opere complete di Platone, pubblicata in tre volumi da Stephanus (Henri Estienne) a Ginevra nel Ogni pagina di questa edizione è divisa in due colonne: quella a destra contiene il testo greco, quella sinistra la traduzione latina dovuta a Jean de Serres. Tra le due colonne si trovano delle lettere, da «a» a «e», che dividono le colonne in cinque sezioni. Una citazione di Platone comprende quindi il nome del dialogo (o l epistola numerata, come nel nostro caso), seguito dal numero di pagina dell edizione di Stephanus e dalla lettera della sezione della colonna che contiene la citazione. Es: Sofista 247c-d significa che il passo si trova nel Sofista, alla pagina 247, a cavallo tra le sezioni «c» e «d» dell edizione Stephanus. Tale numerazione viene sempre riprodotta in tutte le traduzioni, e sarà qui utilizzata. 6 Come sappiamo, Crizia e Carmide. 3

4 cessò di riflettere sul rapporto tra filosofia e politica: lo testimoniano i suoi dialoghi più famosi, quali la Repubblica, il Politico, le Leggi, ma anche la sua testimonianza biografica nella Lettera VII: alla fine, mi resi conto che fino a quel momento tutte le città soggiacevano a un cattivo governo, in quanto le loro leggi, senza un intervento straordinario e una buona dose di fortuna, si trovavano in una condizione di quasi incurabilità. E fui costretto a dire, elogiando l autentica filosofia, che solo a partire da essa è possibile individuare tutte quante le forme di giustizia sia politica che personale. Le generazioni umane non saranno quindi liberate dai loro mali finché la generazione di coloro che praticano la filosofia in modo autentico e vero non sia pervenuta al potere politico, oppure finché coloro che comandano nelle città, per una qualche sorte divina, non comincino a praticare la filosofia (326a-b). Il punto è cruciale, e la convinzione che Platone qui manifesta si trovava già nella Repubblica: l idea cioè che solo un potere filosofico potrà porre fine ai mali della città. Nella Repubblica Platone aveva chiarito quali filosofi fossero legittimati a esercitare questo compito, e in virtù di quale sapere; ma è importante sottolineare che questa convinzione spinse Platone a operare anche sul piano pratico, secondo quanto attestato dalla Lettera VII. Platone infatti compì ben tre viaggi alla volta di Siracusa per convincere prima il tiranno Dionisio I (primo viaggio, avvenuto verso il 388 a.c.), poi il figlio Dionisio II (gli altri due viaggi, uno nel 366 e l altro nel 361) a stabilire una sorta di governo filosofico non tirannico. Le spedizioni fallirono miseramente a causa di ingenuità, sospetti e intrighi. Ma Platone, così come alcuni allievi della sua scuola (l Accademia, fondata probabilmente intorno al 387) che lo seguirono, dimostrarono di essere non solo uomini tutti parole, ma uomini capaci di impegnarsi in azioni. Socrate (470 a.c.-399 a.c.) Passiamo ora alla formazione filosofica di Platone. Diogene Laerzio, sempre nel libro a lui dedicato, afferma che Platone praticò la filosofia dapprima come seguace di Eraclito ; in seguito, all età di vent anni divenne discepolo di Socrate ; alla morte di Socrate si attaccò a Cratilo l eracliteo et a Ermogene, che in filosofia professava le dottrine di Parmenide 7. Prima di fondare l Accademia a Atene, si ritirò presso Euclide a Megara, presso il matematico Teodoro a Cirene, e poi in Italia per incontrare i pitagorici Filolao e Eurito 8. Le influenze di questi percorsi filosofici si sentono nei dialoghi: Platone infatti erediterà da Eraclito e dal seguace Cratilo (a cui è dedicato uno dei dialoghi platonici) l idea che la realtà sensibile non sia vera realtà, in quanto sempre in totale mutamento; ciò lo condurrà ad una totale sfiducia nei confronti della conoscenza sensibile. Parmenide sarà molto presente nell elaborazione e nell evoluzione della teoria delle idee (anche a lui Platone dedicherà un dialogo), mentre forti saranno gli aspetti matematici e religiosi, mutuati appunto dai pitagorici e dai matematici con cui entrò in contatto. Tutte queste influenze si mostrano anche nel Fedone, come vedremo. Ma è indubbio che l influenza più profonda e duratura fu esercitata da Socrate. Il problema fondamentale, ben conosciuto, è che Socrate non ha lasciato nulla di scritto, ragione per cui risulta particolarmente difficile conoscere a sufficienza il suo pensiero e il suo insegnamento per parlare seriamente della sua filosofia. Tutto ciò che 7 Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III, Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III, 6. 4

5 sappiamo di lui viene da fonti indirette: Aristofane, Senofonte e soprattutto Platone, che in quasi tutti i dialoghi dà a Socrate il ruolo di protagonista o di personaggio importante nello svolgimento del dialogo. Le fonti del personaggio socratico (1) Le Nuvole di Aristofane: contemporaneo di Socrate (V secolo a.c.), Aristofane sferra un attacco piuttosto violento a Socrate nella commedia le Nuvole, rappresentata per la prima volta ad Atene nel 423, quando Socrate aveva 46 anni (e Platone solo 5). L ostilità di Aristofane è una testimonianza preziosa del fatto che gli ateniesi percepivano già allora Socrate come un personaggio inquietante e pericoloso per la città. In questa commedia Socrate è un filosofo della natura, la cui pseudo-scienza lo conduce a negare l esistenza delle divinità comunemente riconosciute dalla città (versi 366, 381), e a praticare un culto privato (verso 254) a nuovi dei in sostituzione di quelli antichi (v. 365). Socrate si guadagna da vivere in modo losco, fornendo un insegnamento più o meno onesto, a commissione (v. 886). Al versante naturalistico, che conduce Socrate a negare gli dei tradizionali della città, si aggiunge un versante retorico e sofistico: l arte della persuasione, della confutazione e del raggiro (vv ). Aristofane insomma fa di Socrate il tipo comico del nuovo intellettuale che turbava l opinione pubblica tradizionalista: naturalista ateo, cultore di figure cosmologiche quali il Caos e le Nuvole (richiamo beffardo al pensiero cosmologico e meteorologico di alcuni presocratici), destinate a sostituire gli dei tradizionali; retore e sofista, capace con le nuove tecniche del discorso di rovesciare il sistema di valori condivisi dalla comunità ateniese. Nel Socrate aristofaneo si riconoscono i filosofi della natura come Anassagora, ma anche i sofisti (Gorgia e Protagora), nuovi intellettuali che fornivano ai giovani ricchi ateniesi insegnamenti su tutto a pagamento, per la verità invisi allo stesso Socrate (e a Platone). Quello che impressiona è che nelle accuse di Aristofane si riconoscono i tre capi di imputazione che saranno presentati al processo che si concluderà con la condanna a morte di Socrate: 1) non credere agli dei della città; 2) introdurre delle nuove divinità; 3) corrompere la gioventù (cf. Senofonte, Memorabili I, 1,1). (2) Senofonte: Senofonte, celebre storico allievo di Socrate, nonostante i numerosi punti di sostanziale accordo con Platone, presenta tuttavia un Socrate addomesticato, che non offrirebbe alcun motivo per essere condannato. All inizio della sua Apologia di Socrate (anch egli ne scrive una, come Platone), per esempio, Socrate si discolpa affermando che l accusa di Meleto di non credere agli dei della città lo riempie di stupore, poiché tutti i passanti potevano vedermi alle feste comuni a compiere sacrifici sugli altari pubblici, e anche Meleto avrebbe potuto vedermi, se avesse voluto (11). Senofonte quindi invoca una stretta osservanza al culto della città come migliore testimonianza a discolpa di Socrate. Ben diversa e molto più ricca la difesa di Socrate nell Apologia di Platone, tutta centrata sull attività filosofica che Socrate ha esercitato tutta una vita su ordine della sua divinità. (3) Platone: E abbastanza difficile proporre una visione chiara del Socrate storico nella testimonianza di Platone, dal momento che Socrate è presente in tutta, o quasi, la 5

6 produzione filosofica platonica. Gli studiosi hanno la tendenza a distinguere due Socrati: (i) il Socrate dell Apologia e dei primi dialoghi (i cosiddetti dialoghi giovanili, quali Critone, Alcibiade I, Alcibiade II, Ippia maggiore, Ippia minore, Lachete, Liside, Carmide, Ipparco, Eutifrone, Protagora), in cui Platone presenta le caratteristiche e i contenuti filosofici del personaggio storico; (ii) il Socrate dei dialoghi della maturità (Gorgia, Menone, Eutidemo, Cratilo, Ione, Menesseno, Fedone, Simposio, Repubblica, Fedro) e dei dialoghi della vecchiaia (Teeteto, Sofista, Parmenide, Politico, Filebo, Timeo, Crizia, Leggi, a cui si aggiungono le Lettere), in cui il Socrate storico scomparirebbe a poco a poco per lasciar sempre più posto alla filosofia platonica. In base a questo criterio, nei dialoghi della maturità ci serebbe un mélange di motivi socratici e platonici, mentre negli ultimi dialoghi Socrate sarebbe solo il portavoce della filosfia platonica. Va notato che Platone cominciò a scrivere i suoi dialoghi dopo il 399, l anno del processo della morte di Socrate. Essi però sono quasi tutti ambientati nel trentennio precedente, nell arco che va dalla morte di Pericle (429) fino al colpo oligarchico dei trenta tiranni (404) e alla restaurazione democratica (403). La classificazione dei dialoghi in tre gruppi avviene secondo due criteri: 1) la presenza massiccia di Socrate, molto forte all inizio della produzione filosofica di Platone, alleggerita via via che il pensiero platonico si sviluppa e si affranca dall influenza socratica; 2) l aporeticità dei dialoghi dell inizio, che lascia posto a un atteggiamento più costruttivo. Per aporeticità si intende la presenza di un aporia. Il senso letterale di aporia è un punto a partire dal quale si biforcano due strade, e non si sa quale delle due prendere. In filosofia viene a significare un problema di difficile, se non impossibile, soluzione. Si tratta, in un quadro socratico, di un momento di estrema confusione in cui sono state demolite le false opinioni, ma non si è ancora raggiunto il vero sapere. L aporia, come si vedrà fra breve, si collega al metodo confutatorio socratico. Si tratta di due criteri socratici, che quindi permetterebbero di distinguere i dialoghi in tre gruppi e di individuare due Socrati. In realtà questa distinzione, pur essendo interessante e a volte convincente, è incerta perché si basa su contenuti filosofici che possono essere attribuiti a Socrate o a Platone in modo alquanto arbitrario. Ciò vale soprattutto per i dialoghi della maturità: a parte il fatto che la cronologia dei dialoghi platonici (che non è stata stabilita da Platone né in età antica, ma all inizio dell 800) è stata ed è ancora oggetto di accaniti dibattiti, risulta difficile separare con certezza, soprattutto appunto per i dialoghi della maturità, i contenuti socratici da quelli platonici. Più facile, anche se comunque sempre incerto, il discorso per gli altri due gruppi di dialoghi, perché è indubbio: a) che il metodo socratico mostra uno sviluppo: confutatorio e aporetico all inizio, più costruttivo in seguito; b) che le stesse dottrine platoniche hanno subito un evoluzione, che rispecchia forse il passaggio da una posizione socratica ad una più propriamente platonica. Ne vedremo alcuni esempi nel Fedone (la teoria dell anima; la teoria delle idee). Come che sia, l atteggiamento di Platone nei confronti di Socrate è diversissimo da quello di Aristofane e in parte anche da quello di Senofonte. Una questione che mi 6

7 sembra importante da porre è la seguente: com è possibile mettere in relazione il Socrate aristofaneo con quello platonico 9? Ci sono innanzitutto due testi di Platone che ci possono permettere di affrontare questo problema, e allo stesso tempo di iniziare a tratteggiare un immagine storica di Socrate : l Apologia e una sezione del Fedone, la cosiddetta autobiografia di Socrate (Fedone, 95e-102a), che riprenderemo meglio in seguito, ma che possiamo rapidamente presentare allo scopo di cercare, al di là della diversità degli atteggiamenti di Aristofane e di Platone, dei riscontri a quello che i due autori dicono su Socrate 10. Prima di tutto, la continuità tra il ritratto aristofaneo di Socrate e le accuse del processo a Socrate si mostra in un passo dell Apologia: I miei accusatori più pericolosi, o uomini di Atene, sono quelli che hanno convinto la maggior parte di voi, fin da quando eravate piccoli, rivolgendomi un accusa falsa, cioè che esiste un certo Socrate, uomo sapiente, che riflette sulle cose celesti e indaga quelle sotterranee, e che rende vincente il discorso peggiore (18b). Si tratta di una quasi citazione di alcuni versi delle Nuvole (cfr. per esempio i versi ), che mette insieme, come abbiamo visto, l accusa di essere un filosofo naturalista con quella di retore e sofista che usa una tecnica discorsiva per fare vincere il discorso peggiore. Socrate si mostra consapevole di queste accuse. L altro passo si trova nella cosiddetta autobiografia di Socrate, che Platone gli attribuisce nel Fedone, e che analizzeremo più in dettaglio in seguito. Qui Socrate afferma da giovane fui preso da una straordinaria passione per questa forma di sapienza che chiamano indagine sulla natura, presentando esempi di teorie studiate che, senza fare nomi, rimandavano ad alcuni dei cosiddetti presocratici, altrimenti detti filosofi della natura (Empedocle, Alcmeone, Anassagora) (96a-100a). Abbiamo qui una conferma di ciò che dice Aristofane riguardo gli interessi naturalistici di Socrate, e questo a parziale smentita di quello che afferma lo stesso Socrate nell Apologia, circa la sua consapevolezza di sapere di non sapere. In realtà, a quanto pare, Socrate possedeva una sapienza naturalistica, anche se poi, a suo stesso dire, se ne allontanò deluso in quanto incapace di dare fondamenti e spiegazioni sicure ai processi naturali. Ma su questo ritorneremo. L altro aspetto che interessa qui considerare per trovare un collegamento tra il Socrate aristofaneo e quello platonico, è quello delle ragioni dell impatto intellettuale e emotivo che Socrate destò, in positivo o in negativo, nell ambiente sociale e culturale ateniese. Si vedrà che le ragioni dell atteggiamento socratico che poteva suscitare simpatie o forti antipatie sono di carattere filosofico-metodologico. La confutazione socratica 11 : 9 Socrate si presentava fin da subito come una figura enigmatica, in primo luogo a causa della sua collocazione sociale. Figlio di uno scultore e di una levatrice, Socrate apparteneva al ceto artigianale a cui non cessò mai di riferirsi (celebre l immagine del filosofo-levatrice, che aiuta il giovane Teeteto a partorire la verità di cui è gravido), suscitando il disprezzo dei suoi interlocutori aristocratici. D altro lato, egli annoverava tra i suoi amici e allievi molti esponenti dell aristocrazia ateniese (ricordiamo, a parte Platone, Alcibiade, presente nel Simposio, e anche la sua frequentazione di Crizia e Carmide), forse per via del suo atteggiamento critico nei confronti della democrazia attestato da Platone, e su cui forse ha costruito la sua idea delle élite dei filosofi-re o dei re-filosofi da sostituire alle incompetenti assemblee democratiche. 10 Une bella presentazione di Socrate si trova in M. Vegetti, Quindici lezioni, Lezione due. 11 Cfr. Vegetti, Quindici lezionii, pp

8 Socrate discuteva, ovunque (acquattato in un angolo, sugli spalti del teatro di Dioniso, nell agorà e nel mercato di Atene), e con tutti (politici, poeti, sofisti, artigiani, aristocratici intellettuali e non, ecc.). E di che cosa discuteva Socrate? Basta guardare i sottotitolo dei dialoghi: Socrate discuteva del santo (Eutifrone), del dovere (Critone), dell anima (Fedone), della virtù (Menone), della giustizia (Repubblica), ecc.: in pratica cercava, assieme ai suoi interlocutori del momento, di definire certi concetti. Questo è un primo passo essenziale, che verrà codificato da Aristotele e che costituisce di fatto un punto fermo di tutta la pratica filosofica: definire i concetti di cui ci si serve, per procedere eventualmente a delle dimostrazioni. Il tratto però tipicamente socratico, accentuato nei primi dialoghi (quelli giovanili), ma presente anche negli altri, consiste in un esame critico per verificare e confutare le pretese conoscenze dei suoi interlocutori. In questo lavoro Socrate si mostra instancabile e provocatorio: non si stanca mai di dimostrare ai suoi interlocutori che essi pensano e agiscono per luoghi comuni, pregiudizi socialmente accettati, opinioni recepite in modo acritico, senza una riflessione sui loro fondamenti e conseguenze. Questa pratica si realizza in una tecnica di discussione, la confutazione (elenchos): essa parte da un interrogazione, del tipo: che cos è x? oppure che cosa intendi quando parli di x? Dove x sta per: virtù, giustizia, coraggio, religiosità, ecc. L interlocutore viene così costretto a formulare un opinione: a questo punto Socrate sviluppa le conseguenze di tale opinione, mostrando o che da essa derivano conseguenze contraddittorie e inaccettabili per lo stesso interlocutore, o che essa è parziale e inadeguata. Esempio (Repubblica, libro I, 331c-332c): - che cosa intendi per giusto? - giusto è restituire ciò che si è avuto in deposito - in questo caso, sarebbe giusto restituire a un amico impazzito un arma avuta in deposito quando era sano di mente, affinché se ne serva per compiere una strage. Socrate mostra così che l opinione dell interlocutore sul giusto conduce a una conseguenza inaccettabile. Noi possiamo aggiungere che questa definizione risulta parziale perché esclude una serie di altre cose che riteniamo giuste: insomma, questa definizione è inaccettabile e non è universale (non si applica a tutto ciò che chiamiamo giusto). Un caso eclatante è quello che si trova nel Menone: Socrate boccia ben tre definizioni della virtù fornite da Menone, parziali e/o logicamente inaccettabili, finendo per irritarlo e metterlo in uno stato di confusione mentale. Ma i casi sono moltissimi. Da questa breve illustrazione possiamo già capire perché Socrate ha potuto suscitare una reazione sia ostile (aristofanea) che profondamente positiva. (1) lo stato di confusione mentale è visto da Socrate come estremamente proficuo: solo dopo essersi sbarazzati delle false opinioni e aver ammesso la propria ignoranza è possibile intraprendere la ricerca della verità. Ovviamente però non tutti apprezzano questo stato: alcuni accettano le obiezioni socratiche (sarà il caso di Simmia e Cebete, interlocutori di Socrate nel Fedone); altri si irritano ma poi si mettono alla ricerca della verità (come Menone); altri si irritano e basta, sviluppando un antipatia nei confronti di Socrate, che a volte sfocia in un vero odio (sempre nel Menone, Meleto, l accusatore al processo di Socrate, viene trattato nella stessa maniera; non apprezza e si allontana minacciando Socrate). 8

9 (2) La confutazione socratica si distingueva a malapena dalla controversia eristica 12 praticata da certi sofisti, come alcuni interlocutori di Socrate non mancano di sottolineare. Per evitare di confondere i due metodi, bisognava che tra Socrate e i suoi interlocutori si stabilisse un rapporto d amicizia che mirasse al raggiungimento di un accordo, di una verità comune. Questo però capita, ma non molto spesso (è il caso degli interlocutori principali di Socrate nel Fedone, Simmia e Cebete): più spesso Socrate si scontra con degli interlocutori che hanno un sistema di valori diametralmente opposto al suo, e che quindi non possono realmente capire e condividere il suo metodo. Ecco le ragioni dell ostilità di alcuni e della venerazione di altri per Socrate. Uno stesso atteggiamento filosofico poteva risultare detestabile o affascinante. La forma del dialogo Platone adotta la pratica filosofica inaugurata da Socrate, cercando di riprodurre nello scritto il dialogo vivo e sostanzialmente orale che doveva portare ad abbandonare le false opinioni e a intraprendere il faticoso cammino della ricerca filosofica autentica. I dialoghi platonici presentano tutti una forma di azione (drama) filosofica, molto diversa da quella del trattato filosofico che, a partire da Aristotele, prenderà piede nella filosofia. L origine di questa forma letteraria resta incerta, e questa forma resterà senza reale posterità nella filosofia, se si eccettuano i dialoghi filosofici di Berkeley, Locke e Diderot, che però non sono più vivi come quelli platonici, bensì un artificio teso a rendere più vivace l sposizione di tesi già definite. Nei dialoghi Platone riproduce invece un percorso realmente dominato dal requisito di una ricerca della verità. Per questo esso segue spesso un percorso sinuoso, rallentato dalla necessità di digressioni e divagazioni. Questa azione drammatica, a cui prendono parte più attori, è basato sull esame di un problema, e può procedere sia verso la soluzione del problema, sia verso l ammissione dell impossibilità, almeno momentanea, di una sua soluzione (la cosiddetta aporia). Molti dei primi dialoghi socratici si concludono in effetti negativamente: una volta compiuto il lavoro di demolizione delle false opinioni, non si arriva ad alcuna definizione positiva della questione posta all inizio (è il caso per esempio del Menone, per quanto riguarda la definizione di virtù). I dialoghi platonici sono per la maggior parte, come abbiamo visto, dedicati a un oggetto particolare: la virtù o una virtù (la giustizia nella Repubblica), una disciplina (la retorica nel Gorgia), uno stato affettivo, come l amore (Simposio) o il piacere (Filebo), la cui natura è sottoposta a esame. Il protagonista è quasi sempre Socrate, ma non bisogna cadere nella tentazione di considerare i dialoghi come un imitazione di scene realmente accadute. Restano una finzione, che vuole riprodurre lo spirito socratico, e non dialoghi socratici realmente accaduti. 12 Gli eristi erano un gruppo vicino ai sofisti, che praticavano la controversia su ogni argomento al solo scopo di vincere. Per farlo non esitavano a servirsi di sotterfugi e ambiguità. 9

10 (2) Il Fedone: presentazione del dialogo (57a-59c, pp Lami) L evento messo in scena nel Fedone avviene nel 399 a.c., quando Platone aveva una trentina d anni. Il dialogo infatti avviene nell ultimo giorno della vita di Socrate, e si conclude con la sua morte (per avvelenamento da cicuta). Questo dialogo, dunque, costituisce una sequenza con l Apologia (difesa di Socrate al processo) e con il Critone, dialogo in cui avviene una conversazione tra Socrate e Critone nella sua cella del carcere. La versione platonica della morte di Socrate non è un ricordo biografico (del resto Platone a suo stesso dire era assente), ma un racconto filosofico che fornisce l occasione per sviluppare una discussione filosofica, non si sa se realmente avvenuta; e che fornisce anche la descrizione della morte di un filosofo, non realistica (infatti pare che l avvelenamento da cicuta provocasse dolori e reazioni violentissime, ben diverse da quelle descritte nell ultima parte del dialogo 13 ). La data di composizione è incerta, ma normalmente si attribuisce questo dialogo al periodo della maturità. Personaggi: quelli che danno inizio al dialogo sono Fedone e Echecrate, che si incontrano a Fliunte dopo la morte di Socrate. Echecrate domanda a Fedone di raccontare a lui e ai suoi amici (che restan silenziosi) l ultimo giorno della vita di Socrate, dando inizio così al racconto di Fedone, che era presente. Nonostante Fedone enumeri diversi discepoli di Socrate presenti alla conversazione, gli interlocutori quasi esclusivi del dialogo sono i pitagorici Simmia e Cebete, tebani. Struttura del dialogo: Dapprima troviamo un Prologo e una conversazione iniziale tra Socrate e i suoi allievi (57a-69e), poi quattro argomenti deputati a dimostrare l immortalità dell anima: 1) l argomento ciclico (69e-72e) 2) la reminiscenza (72e-78b) 3) l argomento basato sulla somiglianza tra l anima e le idee (78b-84b) 4) l ultimo argomento (102a-107b). Tra il terzo e il quarto argomento si situa un intermezzo (84c-102a), in cui si trovano alcune obiezioni di Simmia e Cebete, nonché la risposta di Socrate che gli fornisce l occasione per aprire una parentesi autobiografica. Nella parte finale del dialogo (107c-115a) Socrate presenta un mito che tratteggia la vita delle anime nell al-di-là, nonché una teoria sulla natura della terra. La ragione di questo mito consiste nel fatto che Socrate parla di cose che non sono visibili né in nostro potere. Questo miscuglio di mito e scientificità (che si manifesta nel tentativo da parte di Platone di dimostrare l immortalità dell anima) caratterizza il Fedone dall inizio alla fine. Platone, credo, era ammalato Quando Fedone nel Prologo elenca a Echecrate tutti i presenti all ultimo giorno di Socrate, a un certo punto afferma Platone, credo, era ammalato (59b10, p. 103 Lami). Su questa frase di Fedone sono stati sparsi fiumi di inchiostro, anche perché è l unica volta che Platone si nomina (a parte nell Apologia, in cui viene menzionato da Socrate tra coloro che sono disposti a contribuire all eventuale pagamento di una pena 13 Vedi la descrizione che ne fa Nicandro (II a.c.), nel suo poema a proposito delle droghe. 10

11 pecuniaria). E curioso che la sola volta in cui Platone fa il proprio nome è per segnalare appunto la propria assenza: un assenza ritenuta da molti simbolica, che si collega al fatto che, nel corpus degli scritti platonici, l autore non parla mai in prima persona, in quanto le tesi filosofiche presenti sono sempre discusse da altri Per una bella presentazione di tale questione vedi M. Vegetti, Quindici lezioni, lezione 5. 11

12 (3) Socrate in prigione: la natura della morte, il suicidio (59c-69e, pp Lami) Bibliografia: P. Boyancé, Notes sur la phroura platonicienne, Revue de philologie, 1963, pp P. Courcelle, La prison de l âme, dans Connais-toi toi-même. De Socrate à saint Bernard, , vol. II, R. di Giuseppe, La teoria della morte nel Fedone platonico, Napoli 1993 Conversazione iniziale: (1) Preannuncio del principio dei contrari: E il momento in cui Socrate comincia a parlare. Vengono introdotti i suoi compagni, a Socrate viene liberata la gamba dalla catena, ed egli, sfregandosela dopo averla piegata, esclama: Che ben strana cosa...pur essendo due (60b-c, p. 105 Lami). Questo passaggio annuncia un argomento che Platone affronterà più tardi nell ambito di una delle dimostrazioni dell immortalità dell anima: si tratta dell argomento dei contrari appartenenti ad una sola cosa. La teoria dei contrari, enunciata nel Fedone, sarà ripresa e sviluppata anche da Aristotele nella sua fisica e nella logica. A proposito della relazione tra il piacevole e il doloroso (in greco abbiamo in effetti due aggettivi), che sono contrari, Socrate sottolinea due aspetti: a) i due non possono coesistere contemporaneamente; b) se se ne insegue uno e lo si afferra, si è in un certo senso costretti ad afferrare anche l altro. a) in che senso non è possibile la coesistenza dei due? Probabilmente Socrate vuol dire che piacere e dolore non possono cominciare assieme, ma che l uno deve venire dopo dall altro. In effetti, il sollievo che Socrate sente sfregandosi la gamba arriva dopo il dolore che egli aveva precedentemente, quando la gamba era incatenata. E presumibile che nel momento in cui si sfrega la gamba, senta un miscuglio dei due. b) Che vuol dire Socrate dicendo che quando si insegue uno dei due, si afferra anche l altro? Mentre infatti si può dire che si persegue il piacere, sembra difficile affermare che si persegue il dolore; né sembra corretto dire che se si persegue il piacere si afferra necessariamente anche il dolore (e viceversa). Sicuramente non è ciò che Socrate sta sperimentando. Forse Socrate sta qui presentando solo un opinione diffusa tra gli uomini, ma che sembra essere falsa (si noti come si esprime nel passaggio in analisi: egli parla di ciò che gli uomini chiamano piacere e dolore ). Come sappiamo, e come vedremo, tutto ciò che riguarda il corpo e il sensibile non è per Socrate che pura apparenza. (2) Il suicidio Ma l argomento principale della conversazione iniziale tra Socrate e i suoi discepoli (Cebete e Simmia) concerne un apparente contraddizione che Socrate deve cercare di risolvere: quella tra il divieto di uccidersi et l opinione secondo la quale in certe circostanze e per certe persone 15 è meglio essere morti che vivere (62a, p. 117 Lami). Le questioni che si pongono sono le seguenti: 15 Cioè i filosofi, come si vedrà. 12

13 1) come si giunge a presentare questa contraddizione? 2) Se e come Socrate riesce a risolvere questa contraddizione. Il punto due si articola in due parti: 2a) discussione sul divieto di suicidio (62b-c) 2b) presentazione della teoria secondo la quale i filosofi vogliono morire (63e-69e): qui troviamo una appassionata difesa della vita filosofica. 1) come si giunge a presentare questa contraddizione: Il passo che ci permette di affrontare la nostra questione si trova in 60c (p. 107 Lami), dove Cebete, prendendo per la prima volta la parola, domanda a Socrate perché mai, negli ultimi giorni, si sia messo a mettere in versi le favole di Esopo, e a comporre un inno ad Apollo. Cebete aggiunge che è Eveno 16 che vuole sapere queste cose. Socrate risponde a queste domande, e poi aggiunge (61b-c, p. 111 Lami): salutamelo e digli che, se è saggio, mi venga dietro il più presto possibile. Suggerisce quindi che Eveno segua colui che muore. Di fronte alla perplessità di Simmia, Socrate risponde: E perche?...dicono, questo non è lecito (61b, pp Lami). Ecco quindi come si è arrivati a questo problema: da una parte, afferma Socrate, dicono (ma chi?) che è vietato uccidersi; dall altra il filosofo deve cercare di seguire colui che muore. E Cebete che formula la contraddizione: Come dici... chi muore? (p. 115 Lami). Di fronte a tale questione, Socrate risponde facendo qualche osservazione: i) domanda a Cebete come mai lui e Simmia, pur essendo discepoli di Filolao, non hanno sentito parlare di queste cose. Filolao era un allievo di Pitagora contemporaneo di Socrate; riferendosi a esso, Socrate vuole suggerire che Filolao insegnasse, in quanto pitagorico, una dottrina sul divieto di suicidio che Cebete doveva conoscere: e di fatti Cebete risponde che ne ha sentito parlare, ma in maniera confusa. Dall altro lato, forse Socrate vuole segnalare che la proibizione al suicidio è un opinione pitagorica (di Filolao), che però Socrate non condivide necessariamente. In effetti egli dice: dicono che fare violenza a se stessi non è lecito ; e anche ma anch io ne parlo solo per sentito dire. Socrate dunque starebbe riportando una dottrina sostenuta da altri di cui ha sentito parlare, ma che forse non condivide. ii) l altra cosa che Socrate dice rispondendo a Cebete riguarda la maniera di procedere nell argomentazione, che caratterizzerà tutto il Fedone: Ma, veramente...di quale specie crediamo che sia (61d-e, p. 117 Lami). riflettere e far chiacchiere non è una buona traduzione: i verbi greci diaskopein e mythologhein vogliono dire rispettivamente sottoporre a un esame approfondito e parlare per miti rispetto a questo viaggio che è la morte. Il mettere insieme questi due verbi, uno che rinvia ad argomenti rigorosi (veri), l altro ai miti (discorsi solo verosimili) caratterizza tutto il dialogo. 2) Se e come Socrate riesce a risolvere questa contraddizione. Il punto due si articola in due parti: 2a) discussione sul divieto di suicidio: Ebbene, in base a che cosa dicono che non è lecito uccidersi? domanda Cebete (61e, p. 117 Lami). 16 Si tratta di un poeta e filosofo di modesto talento, che insegnava la virtù per cinque mine, come si dice nell Apologia 20b. 13

14 Risposta di Socrate (62b-c, p ): Socrate suggerisce due possibili fondamenti del divieto di suicidio: i) siamo posti in una prigione /posto di guardia (phroura) dalla quale non possiamo da noi stessi liberarci e scappare. Questa è una formula dei misteri orfici, e il suo senso dipende dalla traduzione del termine greco phroura, che è ambiguo e significa o prigione oppure posto di guardia (Lami opta per il primo significato: vedi nota 21 pp ). Se il termine significa prigione, allora Socrate si riferisce alla dottrina orfica del corpo-prigione. Si tratta di una dottrina religiosa secondo la quale la vita sulla terra consiste in un imprigionamento dell anima nel corpo. In questo caso, si paragona il suicido alla fuga dalla prigione, che sarebbe vietata da un divieto religioso (si veda il riferimento alla formula pronunciata nei Misteri orfici). Se invece il termine greco significa posto di guardia (cittadella?), il suicidio sarebbe visto come un atto di diserzione che renderebbe colpevoli di codardia. ii) L altra possibilità, che spiegherebbe il divieto di suicidio, è che noi si sia proprietà degli dei. Questo argomento prefigura quello cristiano secondo cui la vita è dono di Dio e quindi può essere tolta solo da lui. 62c (p. 121 Lami): E allora...si presenta per me. Qui troviamo l idea che non ci si possa suicidare prima di ricevere un segno chiaro che questa sia la volontà divina. Nel caso di Socrate, il segno è la condanna del tribunale ateniese a bere la cicuta. La condanna a morte è dunque vista da Socrate come un occasione che la divinità gli offre di realizzare il suo vero desiderio: il desiderio di essere morto piuttosto che di vivere. Socrate dunque non sostiene la teoria di un assoluto divieto di suicidio; al contrario, il suo ragionamento sembra implicare che la sua propria morte sarà un suicidio, ma legittimo perché sostenuto da un segno divino. Non vuole quindi condannare il suicidio, ma cercare di spiegare perché il desiderio di morire del filosofo non può giustificare il desiderio di procurarsi da se stesso la morte. Considerazioni: - al di là delle considerazioni presentate da S. per vietare il suicidio, che sono più o meno convincenti e comunque di ordine religioso, le questioni che S. pone sono due: i) perché dobbiamo restare qui, sulla terra, nel corpo? Risposta: perché lo ordinano gli dei. ii) perché gli dei ci hanno collocato in questo corpo? S. non risponde, ma in altri dialoghi dirà che siamo in questo corpo a causa di malefatte che abbiamo compiuto nelle nostre vite precedenti (vedremo che anche nel Fedone Platone presenterà la teoria della trasmigrazione delle anime): la mia anima cade in un corpo, e poi in un altro, e poi in un altro. Tutto questo mi pare estremamente interessante, visto che alla fine del dialogo S. berrà la cicuta. Ecco allora le due domande che si pongono: i) Socrate pensa che alla fine della giornata si suiciderà? ii) Noi pensiamo che Socrate, bevendo la cicuta, si suicidi? Alla prima domanda si potrebbe rispondere Sì. Le condizioni infatti per suicidarsi sono: a) averne l intenzione b) provocare la propria morte di propria mano. Ora, Socrate ne ha l intenzione (vedremo tra breve perché), e inoltre riceve un chiaro via libera dagli dei, per cui è finalmente libero di morire. La questione però è complicata dal fatto che egli è obbligato ad uccidersi. Che cosa succederebbe se ad 14

15 esempio i magistrati gli dicessero Socrate, abbiamo deciso di annullare la tua esecuzione. Ora sei libero di fare ciò che vuoi. Come reagirebbe Socrate? Alla seconda domanda ( noi pensiamo che, bevendo la cicuta, S. si suicidi? ) è difficile rispondere. In effetti, non è facile stabilire, per alcuni casi, se si tratti di suicidio oppure no. Consideriamo i seguenti casi: i) mi suicido: ne ho l intenzione e lo faccio; ii) tu mi uccidi, e io non faccio nulla per evitarlo, forse lo voglio (ne ho l intenzione). Caso simile a quello di Socrate? iii) ti trovo in una situazione di pericolo, decido di aiutarti anche se questo provocherà sicuramente la mia morte, cosa che avviene. Non ho l intenzione di uccidermi, ma faccio qualcosa che provoca la mia morte. La questione è: nei casi ii) e iii) si tratta di suicidio? 2b) presentazione della teoria secondo la quale i filosofi vogliono morire: qui troviamo una appassionata difesa della vita filosofica, e una nuova apologia di Socrate. Socrate, cioè, deve difendersi da Simmia e Cebete, che lo accusano di voler abbandonare loro e gli dei di qui (cioè, gli dei tradizionali), per affrontare con gioia e liberazione la morte. Il secondo corno della contraddizione che Socrate è chiamato a risolvere è quindi: i filosofi preferiscono morire. Contrariamente all atteggiamento nei confronti della proibizione al suicidio, la teoria secondo cui i filosofi preferiscono morire è fortemente sostenuta da Socrate (64c-d (p. 135 Lami): e allora rifletti bene, caro amico, se per caso anche tu hai la stessa opinione che ho io ). Cebete (l iterlocutore più attivo di questa parte del dialogo) sembra trovare verosimile il discorso che Socrate ha appena pronunciato a proposito del divieto di suicidio. Trova invece assolutamente sconcertante l altra affermazione di S., quella appunto sui filosofi che vogliono morire: Ma quello...sue proprietà (62d, p. 123 Lami). Il senso dell affermazione di Cebete è il seguente: comme tu dici, Socrate, noi siamo proprietà degli dei e gli dei ci proteggono, diciamo, qui dove siamo: di conseguenza, sembra davvero irragionevole voler abbandonare la vita, cioè esattamente la protezione e la cura dei nostri dei. La risposta di Socrate a questa domanda esprime innanzitutto un opinione, o piuttosto una speranza (63c, p. 125 Lami): - la speranza che vi sia qualche cosa dopo la morte, precisamente la speranza di giungere là dove altri dei, sapienti e buoni, si trovano. Socrate non parla degli dei tradizionali, ma forse delle idee da contemplare - la speranza che vi sia, dopo la morte, qualcosa di molto migliore per i buoni piuttosto che per i cattivi. Si noti che già in Omero si trovava l opinione che ci fosse qualcosa dopo la morte. La novità presentata da Socrate rispetto alla tradizione è l idea che il destino dei buoni sia mogliore di quello dei cattivi. Socrate vuole difendere la teoria secondo cui i filosofi preferiscono essere morti: e a voi dunque...essere morti 63e-64a (pp Lami). L argomento che si trova celato in queste parole si articola nel modo seguente: 1) durante la loro vita, i filosofi non si occupano di null altro che di morire e di essere morti Quindi 2) i filosofi preferiscono (o desiderano) essere morti piuttosto che essere in vita. 15

16 Naturalmente l argomento presentato così rende perplessi. Bisogna in effetti aggiungere parecchi elementi complementari, alcuni dei quali esplicitati da Socrate, laddove altri restano solo presupposti. Ecco qui la lista completa degli elementi della teoria, che discuterò in ordine: (i) definizione della morte come separazione anima/corpo (esplicitata) (ii) identificazione dell io con l anima (presupposta nel Fedone, dimostrata in un altro dialogo Alcibiade I 129a-130e) (iii) identificazione dell anima con il pensiero razionale (idea solo implicita, ma che costituisce la base dell intero Fedone) (iv) svalorizzazione del corpo che, secondo Socrate, impedisce il pensiero (esplicitato). Definizione della morte Crediamo che la morte sia qualche cosa? E che...da questo? 64c (133 Lami). La morte esiste, ed è qualche cosa. Socrate oscilla qui tra due definizioni: (a) definizione della morte: si tratta dell evento della separazione dell anima dal corpo; definizione dell esser morto, cioè di uno stato che è il risultato della separazione: l essere separato dell anima dal corpo e l essere separato del corpo dall anima. Si tratta forse di due definizioni, che però non sembrano implicare un grande (b) differenza rispetto a ciò che Socrate vuole fare. Socrate vuole avere la possibilità di parlare dell anima e della sua esistenza separata dal corpo. Ciò detto, nell ottica socratica, se ha senso parlare dell essere morto del corpo quando è separato dall anima, non ha alcun senso parlare dell anima morta quando essa è separata dal corpo, ché anzi S. vuole dimostrare l immortalità dell anima. Quindi forse sarà più corretto dire che, secondo questa definizione, non sono l anima e il corpo ad essere morti, ma l uomo, che è un unione tra i due: morto sarà l uomo la cui anima e il cui corpo sono separati. E comunque importante sottolineare che questa definizione di morte non implica che l anima continui ad esistere una volta separata dal corpo, né che il corpo continui ad esistere una volta separato dall anima. In effetti, se consideriamo cosa accade al corpo una volta sopraggiunta la morte, vediamo che esso esiste per un po di tempo, ma poi si decompone; inoltre, ci sono certe morti che disintegrano il corpo, che quindi da subito non esiste più. Socrate è consapevole del fatto che la definizione di morte non implichi che l anima continui ad esistere dopo la separazione, e affronterà tale problema più tardi. Identificazione dell io con l anima L anima è il vero io, la persona reale. Prendendosi cura dell anima, il filosofo si prende cura di se stesso. E questa per esempio la conclusione del dialogo (115 b-c), dove Socrate esorta i suoi discepoli a prendersi cura di se stessi secondo i discorsi che sono stati fatti prima (la purificazione del corpo, la vera conoscenza, il distacco dell anima dal corpo, ecc.). Dopo la morte di Socrate, i suoi discepoli diranno di aver sepolto non Socrate, ma solo il suo corpo: Socrate viene così distinto dal suo corpo, e quindi identificato con la sua anima. Nel Fedone, tuttavia, non vi è un argomento che identifichi la persona con la sua anima. Lo troviamo in un altro dialogo, Alcibiade I, 129a-130c. Identificazione dell anima con il pensiero 16

17 Nel Fedone, l anima sarà identificata con l intelletto e il pensiero, cioè con l elemento razionale che pensa. In tal senso, Socrate affermarà che l anima tocca la verità (65b9), ragiona (65c2), acquisisce il sapere (76c6) o possiede il sapere (76c12). L anima è trattata alla stregua della vista: la vista è l organo di una visione materiale, l anima sarà l organo di una visione intellettuale (oppure si tratta di un soggetto che apprende la verità). L identificazione tra l anima e il pensiero conduce Socrate ad operare una distinzione radicale tra la ragione e tutto il resto delle attività umane, espulse dalla parte del corpo. E come se il ragionamento fatto da Platone fosse il seguente: quello che io, Platone, voglio fare, è di isolare una pura attività dell anima. Come posso fare? Procedo per esclusione: - i sensi hanno bisogno del corpo (cioè, degli organi sensoriali) - i piaceri hanno bisogno del corpo - i desideri hanno bisogno del corpo e così via. Qual è l unica attività che non ha bisogno del corpo? Il pensiero. Si noti che tale conclusione è condivisa anche da Aristotele, che invece ha la tendenza a identificare l anima con delle funzioni corporee. Tuttavia sembra che i filosofi abbiano torto. In effetti, è vero che non posso vedere senza occhi né udire senza le orecchie: forse che posso pensare senza cervello? Seguendo tale ragionamento, anche il pensiero risulterà essere un attività corporea. Più tardi, in altri dialoghi come Repubblica e Fedro, Platone renderà il discorso più complicato : in particolare distinguerà l anima in tre parti (razionale, sensibile e appetitiva), considerando i conflitti che nel Fedone ascrive all anima e al corpo, come conflitti tra parti dell anima 17. Svalorizzazione del corpo Socrate discute questo argomento in 65b (p. 137 Lami): E che dici...ti sembra così? In questo passaggio si assiste a una svalorizzazione dei sensi (nel senso di organi della percezione): la vista, o l udito, ci dice Socrate, non ci fanno conoscere nessuna cosa con verità, perché non sono esatti. Ora, questo disprezzo dei sensi è continuamente presente nel Fedone (cfr. 65c, 65e-66a, 79c, 83a, 99e). Parlando della vista e dell udito, Socrate dichiara che essi non sono né esatti né chiari. Probabilmente egli pensa agli errori della vista dovuti alla distanza: un esempio famoso dell antichità è quello della torre che da lontano sembra tonda e da vicino quadrata. Si pensi anche all esempio divenuto celebre grazie a Cartesio (e da lui utilizzato proprio per dichiarare che i sensi ci ingannano) del bastoncino che in un bicchiere d acqua pare spezzato. Socrate è però radicale: egli non si limita a dire che i sensi ci offrono una visione imperfetta o confusa della realtà. Egli dichiara che i sensi non sono di alcuna utilità per la conoscenza, ma solo un impedimento. Essi impediscono all anima di accedere ai veri oggetti della conoscenza, cioè alle idee o forme, entità che vengono introdotte in 65d (p. 139 Lami): il giusto in sé, il bello in sé, il buono in sé. Insomma, Socrate sostiene due cose: i) che i sensi non sono degli strumenti di conoscenza, anzi, sono di impedimento ad essa ii) che il mondo fisico non è l oggetto reale della conoscenza. 17 vedi infra, (7) La natura dell anima e l evoluzione platonica della sua concezione.. 17

18 La conoscenza filosofica (phronesis: sapienza, conoscenza, pensiero) può essere ottenuta solo sospendendo l azione dei sensi. Il corpo infatti impedisce di pensare, cioè di conoscere, cioè di avere accesso alla verità. Ancora una volta possiamo criticare questa presa di posizione: è vero che a volte il corpo impedisce di pensare, ma questo non implica che si possa pensare meglio (o addirittura pensare) senza corpo, cioè senza il cervello. Comunque sia, con le aggiunte discusse, l argomento che Socrate presenta per difendere la tesi secondo cui i filosofi preferiscono essere morti risulta essere il seguente: (i) essere morto significa che l anima è separata dal corpo (ii) il corpo impedisce al filosofo (che si identifica con l anima) di (iii) pensare quindi: il filosofo preferisce essere separato dal suo corpo (cioè, preferisce essere morto). Di fatto il filosofo si impegna per tutta la vita a liberare l anima dal corpo per accedere al mondo reale, cioè per tutta la vita si esercita a morire. Sarà quindi felice di affrontare la morte, che è, come abbiamo visto, la vera liberazione e separazione dell anima dal corpo. 18

19 (4) Prima prova: l argomento ciclico; il principio del divenire e la sua applicazione al caso dell anima (69e-72e, pp Lami). Bibliografia: J. Barnes, Critical notice of D. Gallop, Plato: Phedo, Oxford 1975, in Canadian Journal of Philosophy, 2, 1978, pp (fotocopia disponibile) Abbiamo visto che la teoria socratica ha lo scopo di pensare e parlare legittimamente dell anima come separata dal corpo; essa però, come osserva giustamente Cebete (70a, p. 159 Lami) non dice nulla sull esistenza dell anima una volta avvenuta la separazione. L anima infatti potrebbe dissolversi immediatamente dopo l evento (come suggerisce Cebete), oppure durare per un po e poi corrompersi (comme vediamo che avviene nella maggior parte dei casi per il corpo). Con la prima prova, invece, Platone incomincia a dimostrare qualcosa sull esistenza dell anima. Il linguaggio è vago perché in effetti non è facile capire che cosa Platone voglia realmente dimostrare. O forse il problema è che Platone vuole dimostrare una cosa, ma di fatto la dimostrazione che presenta, arriva a dimostrare qualcosa di molto più debole. Quello che Platone vuole probabilmente dimostrare è che l anima esiste dopo la morte dell essere umano, cioè dopo la separazione dell anima dal corpo; quello che invece il suo argomento riesce a dimostrare è qualcosa di un poco differente. Cebete chiede di dimostrare l esistenza dell anima dopo la morte 18 ; Socrate risponde proponendo di esaminare la seguente questione: le anime degli uomini che hanno cessato di vivere (cioè dopo la morte) esistone nell Ade oppure no? La proposizione da dimostrare sembra quindi essere effettivamente l anima esiste dopo la morte. Ma alla fine di tutto l argomento Socrate conclude (71e, p. 169 Lami) dicendo allora esistono veramente le nostre anime nell Ade ; il riferimento al post mortem non c è più. Ora: l anima esiste nell Ade post mortem implica l anima esiste nell Ade ; ma l anima esiste nell Ade non implica l anima esiste nell Ade post mortem. Si tratterà di vedere se il riferimento post mortem resta implicito oppure se semplicemente sparisce. In ogni caso, qualunque sia la conclusione dell argomento, essa non implica l immortalità dell anima, ma è compatibile con l idea di una durata finita dell anima. L anima cioè potrebbe esistere prima o dopo la sua unione con il corpo, ma solo per un tempo finito: dopodiche potrebbe corrompersi e perire. Quindi, il problema sollevato da Cebete permane. Per esaminare la questione, Socrate propone per la seconda volta un metodo che consiste in un mélange di racconto (di miti) verosimile e di ragionamento rigoroso (cfr. 70b5-70c3, p. 161 Lami: tenere una conversazione non è una buona traduzione di diamythologein, verbo che ancora una volta contiene la marola mito : meglio tradurre con raccontare una storia ). Racconto di un mito: 70c (p. 163 Lami) E proviamo a esaminare...un altra argomentazione. 18 A dire la verità, Cebete chiede una prova non solo dell esistenza dell anima dopo la morte, ma anche della persistenza della sua capacità di pensare e conoscere (70b). Socrate si dedica alla questione dell esistenza, rimandando a dopo quella delle caratteristiche dell anima (seconda prova), tra cui il pensiero. 19

20 La prima cosa che Socrate fa è di invocare un racconto di antica tradizione: le anime giungono nell Ade, e da lì nuovamente ritornano sulla terra, e nascono nuovamente dai morti. Ora, ci spiega Socrate, se le cose stanno così, cioè se gli esseri viventi nascono nuovamente dai morti, allora l anima esiste nell Ade. Essa infatti non potrebbe rinascere se non esistesse. Se quindi riusciamo a trovare una prova del fatto che gli esseri viventi nascono dai morti, riusciremo a provare che l anima esiste nell Ade. Il mito avrà così bisogno di una dimostrazione rigorosa su cui fondarsi. Il mito è: le anime giungono nell Ade e da lì nuovamente ritornano sulla terra. Argomento che Socrate vuole dimostrare: 70d (p. 163 Lami) Ma qual è l argomento attraverso cui Socrate vuole dimostrare che l anima esiste nell Ade? Qui si presentano drammaticamente dei problemi di traduzione del greco, che non posso ignorare. Il primo problema è la traduzione del verbo gignomai, reso da Fabrini con nascere (di nuovo) e rinascere. L altro problema è capire cosa significa che i vivi nascono dai morti. Se non si sviluppa un pò, l argomento risulta molto oscuro. Comunque eccolo, nelle parole di Socrate: (i) le anime ghignontai palin (provvisoriamente: nascono nuovamente) dai morti (i*) gli esseri viventi ghignontai palin (provvisoriamente: nascono nuovamente) dai morti (ii) le anime che non esistono non possono ghignesthai palin (provv.: nascere nuovamente) Dunque (iii) le anime esistono nell Ade. La traduzione di ghignomai: il verbo in greco è ambiguo, e può significare tre cose: - diventare F, dove F è una proprietà, per esempio diventare bianco - nascere - risultare etc. Contrariamente a ciò che per esempio fa il nostro testo (che traduce il verbo con nascere e rinascere, adotto il significato di diventare F. Si tratta di una decisione, non condivisa da tutti, ma giustificata dal seguito del testo, dove Socrate presenta la teoria dei contrari, e soprattutto degli esempi che vanno chiaramente nella direzione della traduzione qui privilegiata. Anche la formula (provenire) dai morti diventerà più chiara se si considera la teoria che costituisce la base dell argomento, cioè la teoria dei contrari. Un altro problema da affrontare riguarda la relazione tra (i), che parla delle anime, e (i*), che parla degli esseri viventi. Bisogna chiedersi se l argomento parla delle anime oppure degli esseri viventi: in effetti, secondo la definizione di morte data in precedenza da Socrate, gli esseri viventi sarebbero quelli costituiti dall unione anima/corpo, non le anime separate (che sarebbero piuttosto morte ). Per rendere allora equivalenti le due premesse bisognerà forse tradurre il corrispondente greco (zōntas) con persone viventi, che vanno intese come anime viventi, dal momento che la vera persona, come sappiamo, è l anima. In ogni caso, Socrate considera necessario dimostrare o (i) o (i*) per poi dimostrare (iii) le anime esistono (nell Ade). Il principio dei contrari 70d-71b (pp Lami). Ebbene...se non dai loro contrari 70d-e (p. 163 Lami). 20

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