Studio della risposta di luce e dell uniformità dei cristalli di PbWO 4 del calorimetro elettromagnetico di CMS

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1 UNIVERSITÀ DEGLISTUDIDIROMA LA SAPIENZA FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI TESI DI LAUREA IN FISICA Studio della risposta di luce e dell uniformità dei cristalli di PbWO 4 del calorimetro elettromagnetico di CMS Relatore Esterno: Dott. Marcella Diemoz Laureanda: Marzia E. Castellani (matr ) Relatore Interno: Prof. Egidio Longo Anno Accademico

2 Indice Introduzione 1 1 L esperimento CMS ad LHC Il Large Hadron Collider Le interazioni pp a 14 TeV La fisica ad LHC Il bosone di Higgs La ricerca del bosone di Higgs Il canale H γγ Il canale H ZZ 4 leptoni carichi Il canale H ZZ 4 leptoni carichi I canali H WW l ν jet jet ed H ZZ l l jet jet Il rivelatore CMS Introduzione Il magnete Il sistema di tracciamento Il calorimetro adronico Il calorimetro per alte rapidità Il rivelatore per muoni Il calorimetro elettromagnetico di CMS Introduzione Geometria del rivelatore Rivelatore centrale Rivelatore in avanti Le prestazioni del calorimetro Introduzione La risoluzione in energia La determinazione dell angolo tra i fotoni Il Preshower i

3 ii Introduzione Il preshower in avanti Il preshower centrale I cristalli di PbWO I fotorivelatori Gli APD I fototriodi a vuoto La lettura del segnale La risposta di luce e l uniformità dei cristalli di PbWO Introduzione La risposta di luce Le misure di uniformità Diverse configurazioni di misura Wrapping e contatto ottico Confronto tra misure effettuate con un APD o con un fototubo Confronto tra diversi wrapping Criteri di reiezione Il Centro Regionale INFN/ENEA Introduzione La prima ispezione Le misure tramite ACCOS Misure di dimensione Misure di trasmissione La trasmissione trasversale La trasmissione longitudinale Misure della risposta di luce La misura del Piedistallo La calibrazione Le misure della risposta di luce Tempo di emissione Le misure con l apparato di riferimento Introduzione Le misure con l apparato di riferimento La calibrazione Le misure della risposta di luce La riproducibilità dellemisure Confronto tra diversi fototubi

4 INDICE iii 5.5 Conversione da fotoelettroni a fotoni Confronto tra diverse configurazioni dell apparato di misura Introduzione Le misure senza contatto ottico Effetto della distanza tra cristallo e fototubo Il calcolo di FNUF e RNUF L intercalibrazione Introduzione Confronto tra le misure del centro regionale INFN/ENEA e dell apparato di riferimento Introduzione Misure di uniformità La risposta di luce Confronto tra le misure effettuate presso il centro regionale del CERN e tramite l apparato di riferimento Introduzione Misure di uniformità La risposta di luce Confronto tra le misure effettuate presso i centri regionali INFN/ENEA e CERN Introduzione Le misure con la maschera Le misure senza maschera Conclusioni 133 Bibliografia 135

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6 Introduzione In un prossimo futuro presso la galleria sotterranea del CERN verrà installato un collider protone-protone denominato LHC. La sua elevata luminosità (10 34 cm 2 s 1 nella fase finale) e l energia totale disponibile nel centro di massa (14 TeV) permetteranno di studiare regioni della fisica delle particelle al momento inaccessibili agli odierni esperimenti. Uno dei quattro esperimenti previsti per lavorare su LHC è il rivelatore CMS (Compact Muon Solenoid), progettato per un ampio e generale studio delle interazioni protone-protone con una particolare attenzione alla ricerca del bosone di Higgs. Le caratteristiche delle interazioni protone-protone ad LHC impongono severe richieste sulle caratteristiche dei rivelatori impiegati: elevata resistenza alle radiazioni, alta granularità e tempi di risposta molto rapidi. Per l esperimento CMS i canali più promettenti per la rivelazione del bosone di Higgs sono quelli con fotoni (in particolare H γγ) oleptoni nello stato finale. Il calorimetro elettromagnetico svolge quindi un ruolo fondamentale nella ricerca del bosone di Higgs così come per un gran numero di altre ricerche. Di conseguenza uno dei principali obiettivi di CMS èla realizzazione di un calorimetro di alte prestazioni in termini di risoluzione in energia e posizione. Tale richiesta ha condotto alla scelta di utilizzare cristalli di tungstato di piombo (PbWO 4 ) i quali con le loro caratteristiche permettono di realizzare un calorimetro molto compatto e rispondente alle varie esigenze. Per la realizzazione del calorimetro elettromagnetico di CMS sono stati previsti più Centri Regionali, con sede in diverse nazioni, tra i quali sono state suddivise le varie attività. In Italia l INFN ha realizzato un Centro Regionale presso i laboratori della Casaccia dell ENEA nel quale saranno realizzatiisottomoduliedimodulidella parte centrale del calorimetro e verrà verificato il loro funzionamento. Per permettere al calorimetro di raggiungere le prestazioni previste è necessario selezionare ed utilizzare cristalli con opportune caratteristiche. Tutti i cristalli provenienti dai centri di produzione in Russia ed in Cina 1

7 2 dovranno quindi essere sottoposti a controlli per verificarne le caratteristiche fondamentali e per poter scartare i cristalli non idonei; per questo scopo presso il centro INFN/ENEA è stato progettato un sistema automatico denominato ACCOS (Automatic Crystal COntrol System). Tra i diversi criteri di selezione in particolare due sono associati alla risposta di luce (quantità di fotoni di scintillazione creati per unità di energia depositata) ed all uniformità del cristallo (variazione della risposta di luce in funzione della posizione lungo l asse del cristallo nella quali sono creati i fotoni di scintillazione). Presso il laboratorio del gruppo CMS di Roma è stato quindi realizzato un banco per effettuare misure di risposta di luce ed uniformità. Tramite tale apparato di riferimento sono state effettuate alcune misure, presentate in questa tesi, per confrontare tra loro diverse configurazioni (contatto ottico o meno, diversi fototubi... ) ed esso sarà inoltre utlizzato per tenere sotto controllo la stabilità del sistema ACCOS. Infine è stato effettuato un primo confronto, utilizzando un campione di 20 cristalli, tra le misure eseguite presso tale apparato di riferimento, presso il centro regionale INFN/ENEA e presso l analogo centro regionale realizzato presso il CERN. Gli argomenti del primo capitolo di questa tesi sono il collider LHC (con particolare riferimento alle interazioni che avverranno ed alla ricerca del bosone di Higgs) e l esperimento CMS. Di questo sono descritti la struttura globale e le caratteristiche dei principali sotto-rivelatori utilizzati ad eccezione del calorimetro elettromagnetico. Al calorimetro elettromagnetico di CMS è dedicato interamente il secondo capitolo di questa tesi. Nei primi paragrafi ne viene descritta la struttura e ne vengono discusse le prestazioni in termini di risoluzione in energia e determinazione dell angolo tra fotoni. Successivamente sono descritte le caratteristiche principali dei cristalli di PbWO 4 che lo compongono, dei fotorivelatori utilizzati e della lettura e trasmissione del segnale. Il terzo capitolo è invece dedicato alla risposta di luce ed all uniformità dei cristalli. Nella prima parte sono descritti i contributi che queste due caratteristiche dei cristalli introducono nella risoluzione in energia mentre successivamente sono brevemente descritte diverse configurazioni (utilizzo di un fototubo o di APD, contatto ottico... ) che portano a diversi risultati nelle misure di risposta di luce o di uniformità. Infine nell ultimo paragrafo sono introdotti i criteri di reiezione dei cristalli adottati nel controllo di qualità. Nel quarto capitolo è descritto il sistema automatico ACCOS realizzato presso il centro regionale INFN/ENEA e le modalità delle misure eseguite

8 INDICE 3 tramite esso. Particolare attenzione è chiaramente dedicata alle misure di risposta di luce e di uniformità. L apparato di riferimento realizzato presso il laboratorio del gruppo CMS di Roma è presentato nel quinto capitolo. Nella prima parte sono descritte le caratteristiche delle misure qui effettuate mentre successivamente sono discussi i risultati di confronti effettuati tra diverse configurazioni dell apparato di misura. Infine nel sesto capitolo sono presentati i risultati di confronti eseguiti tra le misure di uniformità e risposta di luce effettuate tramite l apparato di riferimento e le analoghe misure effettuate presso i due centri regionali (uno INFN/ENEA descritto precedentemente ed un secondo presso il CERN) che si occupano del controllo di qualità dei cristalli.

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10 Capitolo 1 L esperimento CMS ad LHC 1.1 Il Large Hadron Collider In un prossimo futuro il collider elettrone-positrone LEP, in funzione nella galleria sotterranea del CERN dal 1989, verrà definitivamente spento ed al suo posto verrà installato un collider protone-protone denominato LHC (Large Hadron Collider) [1]. L energia del singolo fascio sarà di7tev corrispondente ad un energia nel centro di massa pari a 14 TeV, circa 7 volte più elevata della massima energia disponibile oggi (1.8 TeV al collider protone-antiprotone Tevatron del Fermilab). L elevata energia raggiungibile ad LHC rende possibile l utilizzo di collisioni protone-protone, discostandosi così dallo schema di collisione particella contro antiparticella, in quanto assicura una distribuzione degli impulsi degli antiquark, presenti all interno del protone, estesa fino a valori sufficienti per la produzione di eventi fisicamente interessanti quali, ad esempio, la produzione del bosone di Higgs descritta nei paragrafi successivi. Tale scelta risulta essere vantaggiosa non essendo limitata della bassa efficienza di produzione degli antiprotoni (sono necessari circa protoni per produrre un antiprotone) e del loro elevato tempo di accumulazione (dell ordine dell ora). Il progetto attuale prevede per la preparazione del fascio prima dell iniezione in LHC (ovvero per il passaggio dei protoni attraverso il LINAC da 50 MeV, il BOOSTER da 1 GeV, il sincrotrone PS da 60 GeV ed infine il sincrotrone SPS da 450 GeV) e per il raggiungimento della piena efficacia di LHC una durata di circa 7 minuti. I due fasci non potranno correre lungo la stessa orbita ma occuperanno due tubi a vuoto (beam pipes) contigui, distanti tra loro 19.4 cm, e solo in prossimità della regione di interazione passeranno nello stesso tubo per un percorso di 90 metri. Al centro della regione di interazione i due fasci si 5

11 6 incontreranno formando un angolo di 200 µrad. In un collider la frequenza degli eventi di un determinato tipo (indicata con R, dall inglese Rate) è proporzionale alla loro sezione d urto (indicata con σ int ) ed il fattore di proporzionalità viene detto luminosità, L: R = L σ int (1.1) La luminosità è legata alle caratteristiche della macchina tramite la relazione dove: L = N 2 p fk 4πρ 2 (1.2) N p è il numero di protoni per pacchetto ( ); f è la frequenza di rivoluzione dei pacchetti nell anello ( Hz); k è il numero di pacchetti che circolano contemporaneamente (2835); ρ è il raggio quadratico medio della distribuzione spaziale dei protoni nel piano ortogonale alla direzione del fascio (16µm). Il completamento della costruzione di LHC è previsto per il 2005, successivamente il funzionamento del collider sarà distinto in due fasi: : fase di bassa luminosità. La luminosità L della macchina sarà dell ordine di cm 2 s 1,pari ad una luminosità integrata per un anno L dt 10fb : fase di alta luminosità. La luminosità L della macchina raggiungerà10 34 cm 2 s 1, pari ad una luminosità integrata per un anno L dt 100fb 1. Alcuni dei principali parametri di LHC sono riportati in tabella 1.1. Ad LHC opereranno quattro esperimenti distinti: CMS, ATLAS, LHCb ed ALICE (vedi figura 1.1). I primi due sono dei rivelatori progettati per un ampio e generale studio delle interazioni protone-protone (con una particolare attenzione alla ricerca del bosone di Higgs). LHCb al contrario è un esperimento dedicato allo studio della fisica dei quark b e della violazione di CP. ALICE infine si differenzia dai precedenti esperimenti essendo dedicato allo studio delle interazioni tra ioni pesanti. LHC è stato infatti concepito per poter lavorare non solo come collider protone-protone ma anche utilizzando pacchetti di nuclei di piombo con un energia nel centro di massa pari a 1000 TeV ed una luminosità paria cm 2 s 1.

12 1. L esperimento CMS ad LHC 7 Circonferenza 26659m Tempo di rivoluzione 88 µs Campomagneticodeidipoli 8.3 T Energia dei fasci 7TeV Energia di iniezione 450 GeV N. pacchetti 2835 N. protoni per pacchetto Lunghezza del pacchetto 7.5 cm Raggio del pacchetto 16µm Distanza tra i pacchetti 25 ns Tabella 1.1: Alcuni parametri di LHC. RF CMS dump octant 4 octant 5 octant 6 cleaning octant 3 cleaning octant 7 ALICE octant 2 injection octant 1 ATLAS octant 8 injection LHC-B Figura 1.1: Schema degli esperimenti che saranno presenti ad LHC.

13 8 1.2 Le interazioni pp a 14 TeV Ad un energia del centro di massa pari a 14 TeV la sezione d urto totale per le interazioni protone-protone, stimata dai risultati di esperimenti come UA4, UA5 ed E710, èparia σ tot = (110 ± 20)mb (1.3) Circa il 26% di queste interazioni sono puramente elastiche e quindi non presentano alcun interesse per la produzione di particelle. Dopo la sottrazione di tali eventi la sezione d urto utile è pari a circa 70 mb, che equivale, ad una luminosità di10 34 cm 2 s 1,acirca eventi al secondo. Gli eventi inelastici possono essere suddivisi in due tipologie: La maggior parte delle interazioni saranno costituite da collisioni a grande distanza tra protoni con piccolo impulso trasferito. Le particelle nello stato finale avranno un grande momento longitudinale ed un piccolo momento trasverso (< p T > 500 MeV) e quindi un angolo di diffusione molto piccolo. Una gran parte delle particelle finali sarà perciò contenuta all interno della beam pipe. Questi eventi vengono chiamati di Minimum Bias e non presentano caratteristiche interessanti per l esperimento. Gli eventi interessanti provengono, al contrario, da interazioni a breve distanza tra i costituenti dei protoni (quark e gluoni). Essi sono caratterizzati da un grande momento trasferito e possono dar quindi luogo a particelle massive ed a grandi angoli di diffusione. Ogni 25 ns, ad ogni collisione tra pacchetti di protoni, si hanno in media 20 eventi di minimum bias, con circa 1000 particelle cariche prodotte con pseudorapidità 1 η < 2.5. La sovrapposizione di tali eventi e degli eventuali eventi fisicamente interessanti prende il nome di Pile-Up. Tale fenomeno comporta un elevata probabilità che nello stesso elemento di un rivelatore il segnale misurato consista in realtà in una sovrapposizione di segnali dovuti a più eventi, portando quindi ad errori nella misura dell energia o della posizione di una particella. 1 La pseudorapiditàè definita come η = ln tan ( θ 2 ) dove θ è l angolo formato con l asse del fascio.

14 1. L esperimento CMS ad LHC 9 Le caratteristiche delle interazioni protone-protone ad LHC implicano che i rivelatori progettati per lavorarvi debbano soddisfare alcune condizioni: Devono avere una risposta molto rapida per evitare di integrare il segnale di più collisioni di pacchetti, minimizzando così il Pile-up. Tipicamente il tempo di risposta dovrà essere inferiore a ns. I rivelatori dovranno avere alta granularità, ovvero avere celle elementari di lettura del segnale sufficientemente piccole da minimizzare la probabilità che segnali dovuti ad eventi di minimum bias si sommino ai segnali ricercati. I rivelatori dovranno infine essere resistenti alle radiazioni in quanto verranno investiti da un flusso continuo di particelle neutre e cariche. Come esempio, per il calorimetro elettromagnetico di CMS per un valore della pseudorapidità η = 2.6 (valore massimo coperto dal calorimetro) in 10 anni di attività siavrà una dose integrata pari a Gy ed un numero di neutroni ed adroni carichi pari a per cm La fisica ad LHC Il collider LHC rappresenta un progetto senza precedenti per energia, luminosità, complessità e dimensione degli esperimenti ed anche, in conseguenza, per l enorme impegno economico richiesto. Le sue caratteristiche permetteranno di studiare regioni della fisica delle particelle inaccessibili agli odierni esperimenti. L elevata energia nel centro di massa rende infatti LHC un luogo privilegiato per la ricerca di nuove particelle massive (fino ad un valore della massa di circa 5 TeV) mentre l alta luminosità, il cui valore finale è superiore di un fattore 10 2 rispetto alle macchine odierne (LEP2 o Tevatron), rende possibile la ricerca di processi rari con bassa sezione d urto. I punti principali del programma di ricerca ad LHC sono: Ricerca del bosone di Higgs previsto dal Modello Standard ([2] e [3]) nell intervallo 110 GeV <M H < 1 TeV (a tale argomento sono dedicati i paragrafi successivi). Ricerca di particelle Supersimmetriche ed in generale studio della fisica oltre il Modello Standard. Ricerca di nuove particelle (ulteriori famiglie di leptoni, struttura interna di quark e leptoni,...)

15 10 Misure di precisione di quantità quali la massa dei bosoni W, la massa del quark t, massa, accoppiamento e spin del bosone di Higgs (se effettivamente trovato), violazione di CP ed oscillazioni in sistemi di B neutri, sezione d urto di produzione di jet ed α S,... Studio di transizioni di fase ad alta densità (ALICE). Fondamentale per tali progetti sarà l alta statistica raggiungibile ad LHC grazie all elevata luminosità. In tabella 1.2 sono riportati il numero di eventi prodotti al secondo e per anno (ad alta luminosità) per alcuni importanti processi. Processo Eventi/s Eventi/anno W eν Z l + l tt bb H(M H 800 GeV) QCD jet (p T > 200 GeV) Tabella 1.2: Frequenze aspettate ad LHC per alcuni processi Il bosone di Higgs Per spiegare la fenomenologia delle interazione elettrodeboli e forti è stato formulato un modello, detto Modello Standard ([2] e [3]) basato sul concetto di simmetria di gauge [4] e sul meccanismo della rottura spontanea di simmetria [5], fondamentale per permettere ai bosoni ed ai fermioni di acquisire massa e per assicurare al tempo stesso la rinormalizzabilità della teoria. Tale meccanismo prevede l introduzione di un campo scalare neutro detto di Higgs ed indicato successivamente con il simbolo H. Nella lagrangiana finale compaiono per i leptoni termini del tipo ( m l 1+ H ) ll v dove l indica il campo del leptone, m l la sua massa e v è un parametro lasciato libero dalla teoria. La prima parte (m l ll) rappresenta il termine di massa per il leptone mentre la seconda parte determina l accoppiamento tra i leptoni ed il bosone di Higgs. Tali accoppiamenti risultano proporzionali alla massa del leptone e quindi le probabilità di decadimento del bosone di Higgs in una

16 1. L esperimento CMS ad LHC 11 coppia leptonica sono proporzionali alla massa al quadrato del leptone. Un risultato analogo si ha per l accoppiamento con i quark. E chiaro allora che il bosone di Higgs decade preferibilmente nelle coppie di fermioni più massive (b b e τ τ). Con la stesso meccanismo di rottura spontanea di simmetria i bosoni vettoriali W e Z acquistano massa e nella lagrangiana totale si hanno termini di accoppiamento del bosone di Higgs con coppie W + W o Z 0 Z 0 (mentre non si ha alcun accoppiamento diretto tra il bosone di Higgs ed il fotone). Il decadimento in coppie di bosoni massivi diventa predominante rispetto al decadimento in coppie fermioniche per valori della massa del bosone di Higgs maggiori di circa 2 M W La ricerca del bosone di Higgs Uno dei principali scopi di LHC (e dei due esperimenti CMS ed ATLAS) èla ricerca del bosone di Higgs, previsto dal Modello Standard e non ancora osservato. Al momento i limiti per la massa di tale bosone sono M H >89.7 GeV (da LEP [6]) ed M H < 1 TeV (fissato teoricamente da vincoli di unitarietà [7]). Ulteriori indicazioni si possono ottenere considerando che le correzioni radiative ad osservabili elettrodeboli sono sensibili al valore di M H. Fit eseguiti sull insieme dei dati elettrodeboli indicano un valore basso della massa [8] e per questo particolare attenzione è stata dedicata all intervallo M H GeV. Nell immediato futuro LEP sarà in grado di osservare il bosone di Higgs fino ad una massa M H 110 GeV (con un livello di significatività di5σ) [9] lasciando quindi ad LHC il compito di coprire l intervallo tra 110 GeV ed 1 TeV. I principali processi di produzione del bosone di Higgs ad LHC sono mostrati in figura 1.2 mentre in figura 1.3 sono mostrati i risultati di recenti calcoli delle corrispondenti sezioni d urto in funzione della massa M H per un energia del centro di massa pari a 14 TeV. Come si può osservare la produzione per fusione gluone-gluone èilpro- cesso dominante per tutto l intervallo di massa preso in considerazione. Per valori elevati della massa (M H > 800 GeV) il processo di fusione WW(ZZ), (indicato come qq qqh in figura 1.3) diviene comparabile con quello di fusione gluone-gluone e può essere facilmente identificato dalla presenza di due jet con 2 < η < 5. Per valori minori della massa dell Higgs (M H < 200 GeV) è possibile al contrario sfruttare il meccanismo di produzione tramite W (Z) Bremsstrahlung, indicato come q q W(Z)H in figura 1.3, identificabile grazie al W (Z) presente nello stato finale. I principali canali di decadimento del bosone di Higgs sono rappresentati

17 12 Figura 1.2: Principali diagrammi di produzione del bosone di Higgs ad LHC: fusione di gluoni (a), fusione di bosoni Z o W (b), produzione in associazione con una coppia tt (c) e produzione in associazione con un bosone detto W(Z)Bremsstrahlung (d). Figura 1.3: Sezione d urto totale di produzione del bosone di Higgs in funzione di M H per i processi precedentemente mostrati ad una energia nel centro di massa di 14 TeV [10].

18 1. L esperimento CMS ad LHC 13 in figura 1.4 con i corrispondenti rapporti di decadimento (B.R. dall inglese Branching Ratios) nelrangedim H tra 50 GeV ed 1 TeV. A sinistra sono riportati i decadimenti in coppie di fermioni o gluoni ed a destra i decadimenti in coppie di bosoni vettoriali W, Z e γ. Figura 1.4: Rapporti di decadimento (B.R.) per i decadimenti dell Higgs [11] in coppie fermione antifermione e gluone gluone (sinistra) e in coppie di bosoni vettoriali W, Z e γ (destra) nelrangedim H tra50e200gev. Oltre i 200 GeV il processo dominante è il decadimento in una coppia di bosoni vettoriali massivi (WW o ZZ con un rapporto di circa 3/2). Per valori della massa inferiori alla soglia di produzione di due bosoni W il processo dominante è H bb il quale tuttavia risulta estremamente complicato da osservare a causa dell alto valore del fondo di produzione di coppie bb (10 6 coppie bb di fondo al secondo alla massima luminosità contro 10 2 H bb al secondo). I canali più facilmente identificabili risultano essere quelli caratterizzati dalla presenza nello stato finale di leptoni carichi o fotoni, nonostante

19 14 i valori relativamente piccoli dei loro Branching Ratios. I più importanti tra questi sono schematizzati in figura 1.5 e descritti nei paragrafi successivi. Le H ZZ* 4l LEP 2 H γγ H ZZ 4l Massa dell Higgs [GeV] Figura 1.5: Principali canali di decadimento del bosone di Higgs utilizzati a CMS confrontati con l intervallo coperto da LEP. loro sezioni d urto sono dell ordine di 10 3 pb ed è quindi chiara l importanza cruciale dell elevato valore della luminosità di LHC. Sfruttando questi ed altri canali qui non descritti, LHC è in grado di scoprire il bosone di Higgs in tutto l intervallo di massa con una significatività maggiore di 5. Dopo 300 fb 1 (corrispondente a 3 anni nella fase ad alta luminosità) la massa del bosone può essere misurata con una incertezza M/M minore di 1.0%, che può arrivare, combinando tutti i canali di decadimento ed i diversi esperimenti, allo 0.1% Il canale H γγ Per un valore di M H < 140 GeV il canale di maggior interesse è H γγ (vedi figura 1.6). Esso potrà essere rivelato identificando i due fotoni con alto impulso trasverso (p T 50 GeV) e misurandone l energia e la direzione. Conoscendo energia e direzione dei fotoni è possibile ricostruirne la massa invariante: M γγ = (E 1 + E 2 ) 2 ( p 1 + p 2 ) 2 (1.4) Questo canale richiede quindi elevate prestazioni dei calorimetri elettromagnetici nella risoluzione in energia e nella risoluzione angolare della coppia γγ.

20 1. L esperimento CMS ad LHC 15 H γ γ Figura 1.6: Diagramma di Feynmann del decadimento H γγ. In figura 1.7 è mostrato come potrebbe apparire la distribuzione della massa invariante della coppia di fotoni con le risoluzioni previste a CMS per M H = 130 GeV. Per l intervallo di valori di M H preso in considerazione la larghezza intrinseca dell Higgs risulta piccola (Γ H 0.1 GeV) e quindi la risoluzione della misura è dominata interamente dalla risoluzione strumentale del calorimetro Events/500 MeV for 100 fb Events/500 MeV for 100 fb a) m γγ (GeV) b) m γγ (GeV) Figura 1.7: Segnale per M H = 130 GeV dopo 100 fb 1 ad alta luminosità prima (a) edopo(b) la sottrazione del fondo [12]. Al fondo contribuiscono i seguenti processi: Produzione di una coppia di fotoni tramite qq γγ o gg γγ. Tale

21 16 fondo viene chiamato irriducibile, in quanto tali processi hanno lo stesso stato finale γγ del segnale che si vuole rivelare. Per un valore di M γγ pari a 100 GeV ci si aspetta una sezione d urto di produzione di coppie fotoniche di fondo pari a circa 60 volte la sezione d urto di produzione di una coppia fotonica dal decadimento di un Higgs. In teoria è possibile migliorare il rapporto tra eventi di segnale ed eventi di fondo con opportuni tagli cinematici sfruttando il fatto che i fotoni provenienti dal decadimento del bosone di Higgs hanno una distribuzione di impulso trasverso p T differente dalla distribuzione di p T del fondo. Tale procedura tuttavia riduce sensibilmente l efficienza nel riconoscimento del segnale e non sembra al momento vantaggiosa [13]. Produzione di γ+jet o jet+jet. Daunjet può derivare un segnale simile a quello prodotto da un fotone (ad esempio per il decadimento di un π 0 o di un adrone neutro in genere). Tale fondo risulta molto grande (circa 10 8 volte più ampio del segnale) e viene definito riducibile in quanto può essere ridotto se si hanno a disposizione calorimetri ad alta segmentazione capaci di separare il segnale derivante da un fotone isolato da quello derivante da un π 0 o altro adrone neutro. Per definire quando un eccesso di eventi nella distribuzione di M γγ rispetto al fondo aspettato può essere effettivamente attribuito alla scoperta del bosone di Higgs si introduce la significatività S. Indichiamo con N B il numero di eventi di fondo (Background) nella regione del picco e con N S il numero di eventi di segnale. Se assumiamo per N B una distribuzione poissoniana allora la sua σ sarà datada N B. La significatività Sè definita come S = N S NB (1.5) e rappresenta quindi quanto il segnale è significativo per confronto con le possibili fluttuazioni del fondo. Generalmente si considerano significativi i segnali con S>5, ossia quando il segnale è 5 volte più ampio dell errore sul fondo (da notare che la probabilità che le fluttuazioni poissoniane del fondo siano maggiori di 5σ ècirca ). Per massimizzare S sono fondamentali due parametri: la risoluzione del rivelatore (σ r ) e la luminosità (L) della macchina. Se infatti pensiamo di aumentare σ r di un fattore 2 avremo come conseguenza un allargarsi dello stesso fattore della regione del picco (considerando la risoluzione del segnale dominata completamente da σ r ). Con buona approssimazione si può considerare che N B raddoppi mentre N S rimanga invariato. Come risultato finale si ha che S risulta peggiorata di un fattore 2.

22 1. L esperimento CMS ad LHC 17 Si può allora considerare S 1 σr (1.6) e quindi rivelatori con risoluzione migliore hanno maggior probabilità di distinguere il segnale dal fondo. D altra parte è chiaro che sia N B che N S sono proporzionali a L e quindi si può scrivere direttamente S L. Dall equazione (1.4) si ottiene ( σ(m) m = 1 σ(e 1 ) σ(e 2) σ(θ 12) 2 E 1 E 2 tg( θ 12 2 ) ) (1.7) dove θ 12 è l angolo formato dai due fotoni ed il simbolo indica la somma in quadratura 2. La significatività allora dipende, tramite tale relazione, dalla risoluzione in energia del calorimetro elettromagnetico e dalla risoluzione nella misura dell angolo θ NS/ NB 5 30 fb 1 (Bassa luminosita') 100 fb 1 (Alta luminosita') m γγ (GeV) Figura 1.8: Significatività del segnale in funzione di M H per H γγ dopo 30 fb 1 a bassa luminosità e dopo 100 fb 1 ad alta luminosità [12]. 2 a b = a 2 + b 2

23 18 Il calorimetro elettromagnetico di CMS, realizzato con cristalli di tungstato di piombo (PbWO 4 ) con granularità η φ = , è stato progettato per avere un ottima risoluzione in energia che permette di ottenere per la massa invariante della coppia fotonica una risoluzione σ m 0.7 GeV. La significatività del segnale in funzione della massa del bosone di Higgs è riportata in figura 1.8. La differenza tra la fase a bassa luminosità elafase ad alta luminosità nonè dovuta unicamente alla diversa statistica ma anche a diversi valori della risoluzione in energia e della risoluzione dell angolo θ 12 (paragrafo 2.3) Il canale H ZZ 4leptonicarichi Per un valore di M H compreso tra 140 GeV e 2M Z diviene importante il decadimento dell Higgs in due bosoni Z (di cui uno virtuale) ed il successivo decadimento dei due Z in 4 leptoni carichi (e + e e + e, µ + µ µ + µ o µ + µ e + e ). Figura 1.9: Segnale aspettato per il canale H ZZ 4 leptoni carichi per M H = 150 GeV [14].

24 1. L esperimento CMS ad LHC 19 Il segnale è rappresentato dall apparire di un picco nella distribuzione della massa invariante dei 4 leptoni. In tale regione la larghezza intrinseca dell Higgs risulta piccola (Γ H <1 GeV) e quindi la significatività del segnale è determinata dalla risoluzione della massa invariante dei 4 leptoni carichi. Di fondamentale importanza per tale canale è quindi la risoluzione sull impulso dei leptoni. Il fondo per tale segnale è costituito dalla produzione continua di ZZ (irriducibile), tt, Zbb (riducibile). Il fondo può essere ridotto imponendo che la massa invariante di una coppia leptonica sia M Z,conrichiestedi isolamento dei leptoni e con tagli sull impulso trasverso. In figura 1.9 è mostrato il segnale aspettato per M H pari a 150 GeV e per una luminosità integrata pari a pb 1. Il fondo è stato ridotto imponendo che 3 dei quattro leptoni carichi risultino isolati nel sistema di tracciamento interno, applicando i tagli sull impulso traverso indicati in figura ed infine imponendo che la massa invariante di una coppia leptonica sia contenuta in M Z ± 3σ Z. Figura 1.10: Segnale aspettato per il canale H ZZ 4 leptoni carichi per M H = 500 GeV [14].

25 Il canale H ZZ 4leptonicarichi Per un valore di M H maggiore di 2M Z fino ad un valore massimo di circa 700 GeV diviene importante il decadimento dell Higgs in due Z reali. Il fondo è costituito dalla produzione continua di coppie ZZ (irriducibile), coppie tt e Zbb (riducibile). Tale fondo può essere ridotto con le stesse metodologie descritte per il canale precedente con la differenza che ora entrambe le coppie di leptoni devono avere una massa invariante compatibile con M Z. In figura 1.10 è riportata la distribuzione della massa invariante dei 4 leptoni nel caso di M H pari a 500 GeV ed una luminosità integrata di 10 5 pb I canali H WW l ν jet jet ed H ZZ lljetjet Nel caso in cui la massa dell Higgs sia elevata (600 GeV M H 1TeV) è necessario utilizzare canali con un elevato B.R. per compensare la sezione d urto di produzione dell Higgs molto piccola (σ H 100 fb). I due canali presi in considerazione (H WW lνjetjet ed H ZZ lljetjet) hanno dei B.R. circa 150 volte più grandi dei canali precedenti. Figura 1.11: Segnali aspettati per i canali H WW l ν jet jet ed H ZZ lljetjet[14]. Diversi processi contribuiscono al fondo: creazione di coppie WW o ZZ (irriducibile), coppie tt, produzione di W + jet o Z + jet (riducibile). Gli eventi di segnale sono caratterizzati dalla presenza di un leptone e di una grande E T mancante o di due leptoni carichi e di due jet con massa invariante M jj M W. Per ridurre ulteriormente il fondo si può sfruttare il fatto

26 1. L esperimento CMS ad LHC 21 che a tali energie la produzione del bosone di Higgs tramite fusione WW o ZZ diviene comparabile con la produzione tramite fusione gg. Tale meccanismo comporta la produzione di due jet energetici in avanti, utilizzabili per il riconoscimento del segnale. L uso di un calorimetro adronico capace di coprire alti valori di rapidità (fino ad η 5) consente di avere un segnale con significatività 6 dopo un anno di presa dati alla massima luminosità. In figura 1.11 sono riportati i segnali aspettati nel caso di M H =1TeV per una luminosità integrata pari a pb 1 dopo aver effettuato i tagli cinematici indicati. 1.4 Il rivelatore CMS Introduzione Uno dei quattro esperimenti previsti per lavorare su LHC è il rivelatore CMS (Compact Muon Solenoid). Le richieste fondamentali che ne hanno guidato la progettazione, dettate dalle caratteristiche di LHC, sono la presenza di un sistema ottimale per la rivelazione dei muoni, il miglior calorimetro elettromagnetico compatibile con esso ed un sistema di tracciamento interno di alta qualità. Per ottenere un rivelatore di dimensioni compatte capace di alte prestazioni è necessario avere un campo magnetico intenso. Si è scelto di realizzare un solenoide superconduttore all interno del quale è possibile ottenere un campo magnetico di 4 T. La struttura finale del rivelatore è rappresentata in figura 1.12 assieme al sistema di riferimento utilizzato nei prossimi paragrafi. L asse z coincide con la direzione dei fasci, gli assi x e y sono ortogonali ad esso (da notare che il piano x, z non è perfettamente orizzontale e quindi l asse y si discosta dalla verticale). L angolo θ è definito come l angolo con l asse z ela Pseudorapidità η è definita come: η = ln tan ( ) θ 2 (1.8) La lunghezza totale sarà di circa 22 m ed il diametro di circa 15 m. Nei paragrafi successivi sono brevemente descritte le caratteristiche dei diversi rivelatori che costituiscono CMS ad eccezione del calorimetro elettromagnetico, al quale è dedicato il prossimo capitolo.

27 22 Y 1.23% Z η Beam Slope 1.23% φ g EXPERIMENTAL HALL UXC 55 ACCESS SHAFT PXC 54 X (Horizontal) True Vertical HF SALEVE p Ground Slope 1.23% jlb/pi ME MB HE HB EB EE TK TK TK EE HE Machine Center ME JURA p HF SIDE ACCESS The CMS Detector at point 5 of LHC Figura 1.12: Il rivelatore CMS ad LHC.

28 1. L esperimento CMS ad LHC Il magnete Il magnete di CMS [15] rappresenta in termini di dimensioni e peso l elemento maggiore dell intero esperimento in per tale motivo viene utilizzato come principale struttura di supporto per tutti i diversi rivelatori. Esso è realizzato con un solenoide di lunghezza 13 m e diametro 5.9 m, all interno del quale sono contenuti (e sostenuti) il sistema di tracciamento, il calorimetro elettromagnetico ed il calorimetro adronico. Figura 1.13: Il magnete di CMS. Per produrre un campo magnetico di 4 T è necessario utilizzare una bobina di superconduttore operante ad una temperatura di circa 5 K contenuta in un opportuna struttura isolante (vedi figura 1.13). Il flusso di ritorno è assicurato da un giogo in ferro composto da una parte centrale (Barrel Yoke) a struttura cilindrica (a sezione dodecagonale) e da alcuni dischi (Endcap Yoke) disposti a chiudere tale cilindro. Al suo interno sono alloggiate le stazioni di rivelazione per muoni fino ad una pseudorapidità η pari a 2.4. Il Barrel Yoke è lungo 11 m e suddiviso in 5 anelli di lunghezza 2m. Ogni anello contiene 4 stazioni per muoni alternate a 3 strati di ferro di dimensioni, dall interno verso l esterno, 300 mm, 600 mm e 900 mm. Ognuno dei due Endcap Yoke è composto da 3 dischi in ferro alternati a 4 strati di stazioni per la misura dei muoni. I due dischi più interni sono di spessore 600 mm mentre quello più esterno ha uno spessore di 250 mm.

29 Il sistema di tracciamento Il sistema di tracciamento interno [16] deve essere in grado di identificare e misurare, eventualmente in cooperazione con il sistema di rivelazione dei muoni, particelle cariche e jet adronici. Esso deve anche poter distinguere tra particelle isolate e non, contribuire all identificazione del vertice di interazione, dei vertici secondari provenienti dal decadimento di particelle a vita media lunga e, richiesta più importante, deve poter lavorare alla massima luminosità dilhc. Figura 1.14: Il sistema di tracciamento interno a CMS. Una possibile struttura del sistema è rappresentata in figura In tale schema sono previsti tre diversi tipi di rivelatori per coprire tre regioni in modo da massimizzare la risoluzione dell impulso senza introdurre eccessivo materiale davanti al calorimetro elettromagnetico. I rivelatori sono sistemati in strutture cilindriche (Barrel in figura 1.14 ed indicati con TB in figura

30 1. L esperimento CMS ad LHC ), centrate sulla regione d interazione, ed in dischi (Endcap in figura ed indicati con TE in figura 1.12) posti a chiudere tali strutture. Nella regione a maggior densità di particelle (fino ad un raggio di 20 cm) sono presenti 2 cilindri e 4 dischi (2 in avanti e 2 in dietro) di rivelatori a Pixel di silicio. Le dimensioni della cella di lettura del segnale sono di 150 µm 150 µm con un totale di circa celle. La risoluzione èdicirca15µm sia in z che in φ. Nella regione intermedia (raggio tra 22 cm e 60 cm) sono presenti 5 cilindri e 10 dischi per ogni lato di rivelatori di Strip di Silicio. I primi due cilindri hanno lunghezza minore dei successivi e per completare la copertura della regione sono stati inseriti 3 dischi per lato (Mini Endcap in figura) per un totale di circa canali. Una singola strip ha lunghezza pari a 12.5 cm e spessore tra 61 µm e 244 µm permettendo una risoluzione di 15 µm per le strip di spessore minore ed una risoluzione pari al limite (spessore/ 12) nel caso di spessore maggiore. Nella regione più esterna (raggio tra 70 cm e 120 cm) sono presenti 6 cilindri e 11 dischi per lato di camere a gas con strip per la lettura del segnale dette MSGC (Micro Strip Gas Chambers) per un totale di circa canali. Le dimensioni delle strip variano tra 10 cm 200 µm per il cilindro più internoe25cm 400 µm per quello più esterno con una risoluzione di 35 µm e 100 µm rispettivamente. Recentemente si è deciso di non utilizzare le camere MSGC e di coprire anche la regione più esterna con rivelatori di Strip di Silicio. Poiche studi dettagliati della nuova configurazione non sono ancora disponibili tutti i risultati delle simulazioni riportati in questa tesi si riferiscono alla prima configurazione del sistema di tracciamento riportata in figura Per un valore della pseudorapidità fino a η 2.0 una traccia sarà ricostruita a partire da 13 punti. Per pseudorapidità maggiori tale valore diminuisce fino ad un minimo di 8 per η 2.5. Tale sistema è in grado di assicurare una risoluzione per η 1.6 pari a (p T in TeV): p T (15 p T 0.5) % p T e che peggiora con l aumentare della pseudorapidità fino a raggiungere, per η = 2.5 il valore di: p T p T (60 p T 0.5) %

31 26 La risoluzione del momento nel caso di muoni risulta essere minore del 10% fino a p 4 TeV ed η Il calorimetro adronico Il calorimetro adronico [17] circonda il calorimetro elettromagnetico e viene utilizzato per misurare l energia e la direzione dei jet, nelle misure di E T mancante e, integrato con il calorimetro elettromagnetico ed il sistema per muoni, contribuisce all identificazione di fotoni, elettroni e muoni. Esso è suddiviso in una parte centrale con struttura cilindrica (indicata con HB in figura 1.12) ed in due parti poste a chiudere tale struttura (indicate con HE in 1.12). Tutto il calorimetro si trova immerso nel campo magnetico di 4 T e deve quindi essere realizzato con materiale non magnetico. Si è scelto di realizzare un calorimetro a campionamento utilizzando strati di rame come assorbitori e strati di scintillatore plastico come materiale attivo. La lettura della luce di scintillazione avviene tramite delle fibre plastiche. Figura 1.15: Il calorimetro adronico a CMS. Il calorimetro adronico si estende fino ad un valore della pseudorapidità pari a η = 3 ed ha una granularità φ η = La parte centrale è realizzata con 13 strati in rame spessi 5 cm più due strati, il più interno ed il più esterno, in acciaio inossidabile spessi 7 cm per fornire rigidità.

32 1. L esperimento CMS ad LHC 27 Lo spessore totale è di 79 cm (corrispondente a 5.15 lunghezze di interazione nucleare λ) probabilmente aumentabile fino al valore di 89 cm (5.89 λ) equipaggiando opportunamente lo spazio a ridosso dei travi di sostegno del calorimetro elettromagnetico. Per aumentare la profondità di campionamento un ulteriore strato di scintillatore è posizionato dopo il primo assorbitore del sistema per muoni. Le strutture poste a chiudere la parte centrale sono realizzate nello stesso modo ma con strati di rame spessi 8 cm ed hanno uno spessore totale di 10.5 λ. Un calorimetro adronico così realizzato permette di soddisfare le richieste fondamentali: buona ermeticità e granularità, sufficiente profondità per il contenimento degli sciami adronici e soddisfacente risoluzione in energia. Test su fascio hanno mostrato che è possibile ottenere una risoluzione in energia pari a σ E E(GeV ) = 100% E(GeV ) 4.5% nell intervallo compreso tra 30 GeV ed 1 TeV Il calorimetro per alte rapidità Per estendere le misure di E T fino ad un valore della pseudorapidità paria η = 5 sono stati previsti due ulteriori calorimetri [17], indicati con HF in figura 1.12, posizionati da entrambi i lati della regione d interazione ad una distanza di 11.1 m. Essi coprono l intervallo di pseudorapidità 3.0 η 5.0 e sono realizzati utilizzando blocchi di rame come assorbitore e fibre di quarzo inserite in tali blocchi parallelamente alla direzione del fascio. Una particella incidente produce uno sciame nell assorbitore di rame ed alcune componenti di tale sciame (le particelle cariche sopra la soglia Cherenkov) producono luce Cherenkov nelle fibre di quarzo. Questi calorimetri hanno una simmetria cilindrica attorno al fascio con un raggio massimo di 1.4 m ed una lunghezza totale di 1.65 m, sufficiente a contenere il segnale prodotto da adroni fino ad energie di 1 TeV. Per ottimizzare la risoluzione in energia i calorimetri sono segmentati trasversalmente rispetto alla direzione del fascio utilizzando fibre di quarzo di 3 diverse lunghezze (165 cm, 143 cm, 30 cm) Il rivelatore per muoni La richiesta principale che ha guidato la progettazione di CMS è la realizzazione di un sistema ottimale per la rivelazione e la misura dei muoni [18]

33 28 Figura 1.16: Struttura del calorimetro per le alte rapidità. capace di lavorare correttamente anche in presenza dell elevato fondo e dell elevata luminosità che caratterizzano LHC. Le caratteristiche fondamentali del rivelatore sono: Capacità di identificazione dei µ. Una particella viene identificata come muone se dà un segnale in almeno due camere. Corretta assegnazione della carica con una confidenza dell 99% fino al limite di impulso pari a 7 TeV. Grazie all utilizzo combinato di camere ad elevata precisione e di rivelatori veloci è possibile ottenere l identificazione di tutti i segnali derivanti da uno stesso urto pp ed un trigger su eventi con uno o più muoni con una soglia sull impulso trasverso variabile da pochi GeV ai 100 GeV fino ad un valore di pseudorapidità pari a 2.1. La risoluzione sull impulso trasverso, ottenuta grazie anche alle misure del sistema di tracciamento interno, è di circa 1% a 10 GeV e tra 5% e 20% ad 1 TeV. Il sistema per muoni è suddiviso in due parti: una sezione centrale che si estende fino a valori di pseudorapidità η = 1.3 ed una sezione in avanti per la regione con 0.9 η 2.4.

34 1. L esperimento CMS ad LHC 29 Figura 1.17: Struttura del rivelatore per muoni. Il rivelatore centrale Nel rivelatore centrale sono presenti tubi a deriva adatti per lavorare in tale regione, caratterizzata da una bassa frequenza di eventi (occupazione media = 10 Hz/cm 2 ) e da un ridotto campo magnetico. Le camere sono organizzate in 4 stazioni concentriche, alternate agli strati in ferro del giogo di ritorno del magnete (vedi figura 1.12 dove sono indicate con la sigla MB e figura 1.17), suddivise, seguendo la struttura dello stesso giogo, in cinque anelli. Ogni anello è costituito da 12 settori di 30 o ognuno ed in ogni settore si trovano 4 camere, appartenenti alle 4 stazioni, ognuna composta da 12 piani di tubi a deriva per un totale di tubi. I tubi sono organizzati in strutture indipendenti di 4 strati dette Super Layers. In ogni camera vi sono 3 Super Layers; i primi due hanno celle parallele al fascio e forniscono quindi misure dell angolo φ, il terzo ha le celle posizionate perpendicolarmente al fascio e fornisce misure della coordinata z. Il tempo massimo di deriva è 400 ns, sufficientemente piccolo per evitare sovrapposizioni di segnali. La risoluzione spaziale per un singolo tubo èdi 250 µm; per la misura della coordinata z, effettuata con 3 o 4 punti, si ha una risoluzione pari a 150 µm mentre per la misura di R φ, effettuata con 6/8 punti, si ha una risoluzione di 100 µm.

35 30 Il rivelatore in avanti Per il rivelatore in avanti si è scelto di utilizzare camere a strisce catodiche (CSC), adatte a lavorare in presenza di un campo magnetico elevato e di un alto flusso di particelle (occupazione media = 10 3 Hz/cm 2 ). Il rivelatore è costituito anche in questo caso da 4 stazioni (indicate con la sigla ME in figura 1.12). La stazione più interna è suddivisa in 3 anelli concentrici di camere mentre le altre 3 stazioni hanno ognuna 2 anelli (vedi figura 1.17). Gli anelli più esterni sono composti da 36 camere, di struttura trapezoidale, che coprono un angolo in φ di 10 o mentre quelli più interni da 18 camere che coprono un angolo in φ di 20 o per un totale di 540 camere. Ogni camera è composta da 6 strati di strisce catodiche (Strip) disposte in direzione radiale e da 6 strati di fili anodici, alternati ai piani di strip, posizionati perpendicolarmente alla linea radiale centrale. Ogni camera fornisce così 6 misure per la coordinata φ (Piani di strip) e 6 misure per la coordinata R (Fili anodici). Il tempo massimo di deriva è 40 ns. La risoluzione nella misura di R φ è di 150 µm (ridotta a 75 µm per gli anelli più interni della prima stazione) mentre la misura di R ha una risoluzione di circa 5 µm. Il trigger Il trigger per muoni deve essere in grado di associare ad un evento la corretta collisione tra pacchetti che l ha generato, deve identificare la traccia del candidato muone e deve fornire misure di impulso trasverso. Per ottenere tutto questo sono stati predisposte camere a piatti resistivi (RPC) sia nella parte centrale che in quella in avanti del rivelatore, fino ad una pseudorapidità η = 2.1. Gli RPC sono infatti rivelatori molto veloci, hanno una risoluzione temporale di circa 3 ns e sono sufficientemente economici da permettere un alta segmentazione. Vi sono 6 stazioni di RPC nella regione centrale e 4 nella regione in avanti per un totale di 612 camere.

36 Capitolo 2 Il calorimetro elettromagnetico di CMS 2.1 Introduzione Abbiamo visto nel capitolo precedente come i canali più promettenti per la rivelazione del bosone di Higgs siano quelli con fotoni (in particolare H γγ) o leptoni nello stato finale. Il calorimetro elettromagnetico svolge quindi un ruolo fondamentale nella ricerca del bosone di Higgs così come per un gran numero di altre ricerche. Uno dei principali obiettivi di CMS è quindi la realizzazione di un calorimetro di alte prestazioni in termini di risoluzione in energia e posizione. Tale richiesta ha condotto alla scelta di utilizzare cristalli di tungstato di piombo (PbWO 4 ) i quali, con le loro caratteristiche (breve lunghezza di radiazione, piccolo raggio di Molière, risposta veloce, sufficiente resistenza alle radiazioni), permettono la realizzazione di un calorimetro molto compatto e rispondente alle varie esigenze. Nei paragrafi successivi verrà descritta la struttura del calorimetro elettromagnetico e le caratteristiche principali dei cristalli che lo compongono, dei fotorivelatori utilizzati e della lettura e trasmissione del segnale. 2.2 Geometria del rivelatore Il calorimetro elettromagnetico è suddiviso in due strutture distinte: un rivelatore centrale (detto Barrel) capace di coprire fino ad un valore di pseudorapidità pari ad 1.48 e due rivelatori in avanti (detti Endcap) che coprono l intervallo di pseudorapidità 1.48 < η <

37 32 Il disegno di questi rivelatori è stato realizzato in modo da soddisfare ulteriori richieste, oltre a quelle già citate imposte dalla fisica: Minimizzare il materiale posto di fronte al calorimetro. Assicurare la massima ermeticità del calorimetro, minimizzando gli spazi tra i cristalli e nella regione di interfaccia tra Barrel ed Endcap. Realizzare un sistema per la stabilizzazione della temperatura dell intero calorimetro capace di assicurare variazioni minori di 0.1 o C. Figura 2.1: Il calorimetro elettromagnetico di CMS [12] Rivelatore centrale Il rivelatore centrale è costituito da cristalli di PbWO 4 disposti in una struttura cilindrica di raggio 1.29 metri. I cristalli hanno una forma a tronco di piramide con sezione trapezoidale, lunghezza pari a 23 cm (corrispondente a 25.8 lunghezze di radiazione) e la faccia più piccola, rivolta verso il centro del rivelatore (Front-face), di dimensioni mm 2 (vi sono 34 differenti tipi di cristalli con dimensioni leggermente differenti). La granularitàdel rivelatore è di 360 cristalli in φ edi2 85 cristalli in η. Sulla base (Rear-face) di ogni cristallo sono posizionati due fotodiodi a valanga (APD) contenuti in una capsula di materiale plastico che in alcuni

38 2. Il calorimetro elettromagnetico di CMS 33 casi alloggia anche un sensore termico. L insieme del cristallo, dei due APD con i loro cavi, del sensore termico e della capsula viene detto sottounità (vedi figura 2.2 [12]). Cavo Kapton Eventuale Sensore Termico Cristallo APD 2 per Cristallo Capsula Sottounita` Cristallo 2 APD Sensore Termico Cavo Kapton Capsula Figura 2.2: Una sottounità: sono visibili il cristallo, i due APD, la capsula. I cristalli sono organizzati in strutture modulari di dimensioni relativamente piccole che permettono di assemblare e verificare la funzionalità del calorimetro in diversi centri detti Centri Regionali. I Sottomoduli I sottomoduli rappresentano l unità più piccola di tale organizzazione modulare e sono composti da 2(in φ) 5(in η) cristalli contenuti in una struttura alveolare realizzata in fibra di vetro chiusa da un piano in alluminio detto Tablette. Appena una sottounità viene assemblata (ovvero una capsula contenente gli APD viene incollata su un cristallo) essa viene immediatamente posizionata all interno del sottomodulo evitando ogni ulteriore manipolazione (tale precauzione è particolarmente importante vista l estrema fragilità dei cristalli). Il peso totale di un sottomodulo è pari a circa 12 Kg e questo lo rende facilmente maneggevole.

39 34 La distanza tra i cristalli è al massimo di 0.4 mm all interno di un sottomodulo e di 0.6 mm tra cristalli appartenenti a sottomoduli diversi. A determinare tale distanza contribuiscono le dimensioni effettive del cristallo (la tolleranza in questo caso va da +0 a -0.1 mm), lo spessore della parete della struttura (0.2 mm con una tolleranza di ±20µm) ed uno spazio di 0.1 mm necessario ad evitare che deformazioni accidentali della struttura di sostegno causino la rottura dei cristalli. L asse dei cristalli è leggermente angolato rispetto al raggio che punta al centro della zona d interazione per evitare che particelle provenienti da tale regione attraversino il calorimetro elettromagnetico negli spazi morti tra cristalli o tra i moduli. In η tale angolazione èparia-3 o mentre in φ risulta pari a 3 o. I Moduli Modulo Piano Laterale Modulo 4 Modulo 3 Modulo 2 Modulo 1 Piano scorrevole Piano posteriore Cuscinetto Spaziatore Patch Panel Supermodulo composto da: 4 Moduli, 2 Piani Laterali, Piano Posteriore, 2 Spaziatori, Piano Scorrevole, 4 Cuscinetti, Fibre per il monitoraggio (non mostrate), Moderatore (non mostrato), Patch Panel Figura 2.3: Struttura di un modulo e posizionamento dei 4 moduli nel supermodulo [12]. I sottomoduli sono a loro volta raggruppati in strutture più ampie dette moduli (10 5 sottomoduli per i moduli di tipo 1 e 10 4 sottomoduli per i moduli di tipo 2, 3 e 4). Un modulo comprende quindi 50 o 40 sottomoduli, una griglia in alluminio per fissare i sottomoduli nella parte superiore

40 2. Il calorimetro elettromagnetico di CMS 35 ed una struttura in alluminio detta Basket per fissare i sottomoduli nella parte inferiore. I moduli verranno realizzati ed assemblati in diversi centri e successivamente trasportati al CERN per essere assemblati in supermoduli. La distanza nominale tra i cristalli appartenenti allo stesso modulo è di 0.5 mm (con un valore massimo di 0.6 mm) mentre quella tra cristalli adiacenti appartenenti a moduli diversi è pari a 6.0 mm sia in φ che in η. I Supermoduli Un supermodulo è composto da 4 moduli (uno per ogni tipologia) e copre un angolo di 20 o in φ ed una regione in η da0a1.48. Visonoquindiintotale 36 supermoduli nell intero calorimetro elettromagnetico. In figura 2.3 sono mostrati la struttura di un modulo e la disposizione dei 4 moduli all interno di un supermodulo [12]. Tutti i supermoduli saranno assemblati al CERN e posizionati all interno di CMS ancorati al calorimetro adronico. Figura 2.4: Struttura del calorimetro elettromagnetico in avanti. E visibile la disposizione dei supercristalli [12].

41 Rivelatore in avanti Il rivelatore in avanti (Endcap) copre l intervallo di pseudorapidità compreso tra 1.48 e 3.0 ed è composto da cristalli di PbWO 4, tutti uguali tra loro, di dimensioni mm 2 e lunghezza 220 mm posizionati su una superficie verticale distante circa 3.2 m dal punto d interazione. Per valori di pseudorapidità maggiori di 2.5 il livello di radiazioni ed il Pile-Up rendono impossibili misure di precisione; i cristalli posizionati oltre tale valore vengono utilizzati per misure di energia trasversa E T e per rilevare jet adronici. La presenza del Preshower in questa regione consente ai cristalli di essere leggermente più corti che nel Barrel (24.7 lunghezze di radiazione invece di 25.8). I cristalli sono raggruppati in moduli di 6 6 detti supercristalli ed inseriti in una struttura alveolare di materiale plastico capace di garantire sufficiente rigidità e buona maneggevolezza (il peso èdicirca42kg). Per massimizzare la raccolta di luce le superfici interne di tale struttura sono rivestite di materiale riflettente. Ogni Endcap è composto da 268 supercristalli identici completi e da 64 supercristalli non completi per realizzare le parti più interneepiùesterne. I supercristalli sono disposti nell Endcap seguendo una griglia ortogonale (vedi figura 2.4) che semplifica le procedure di ricostruzione degli eventi (gli angoli e gli spigoli dei cristalli sono allineati) e di realizzazione del rivelatore (consentendo l utilizzo di cristalli tutti uguali tra loro). Tale posizione consente anche di posizionare i cristalli con l asse longitudinale spostato di 2-8 gradi rispetto al raggio che punta al centro della zona di interazione. La distanza tra i cristalli appartenenti ad uno stesso supercristallo è pari a 0.5 mm mentre nel caso di cristalli appartenenti a diversi supercristalli tale valore varia tra 1 e 3 mm ad 80 mm di profondità. 2.3 Le prestazioni del calorimetro Introduzione Il canale di decadimento H γγ, rilevante per valori intermedi della massa del bosone di Higgs, risulta il più esigente in termini di prestazioni del calorimetro e per tale motivo viene utilizzato come banco di prova del rivelatore. Abbiamo visto (equazione 1.7) come la risoluzione della massa M H dipenda dalla risoluzione dell angolo tra i due fotoni e dalla risoluzione in energia. In questo paragrafo tali grandezze sono discusse con maggiore dettaglio.

42 2. Il calorimetro elettromagnetico di CMS La risoluzione in energia Per l intervallo di energia compreso tra 25 GeV e 500 GeV (rilevante per il canale H γγ) la risoluzione in energia può essere parametrizzata come σ E E = a E b E c (2.1) dove l energia E è in GeV ed i parametri a, b e c sono detti rispettivamente termine statistico, di rumore e costante. Al primo termine (a) contribuiscono le fluttuazioni dei diversi processi statistici come, ad esempio, la produzione di fotoni di scintillazione o la produzione di portatori di carica da parte dei fotorivelatori. Tali contributi saranno descritti con maggiore dettaglio nei prossimi paragrafi. Il secondo termine (b) è principalmente dovuto al rumore introdotto dall amplificazione del segnale e dal Pile-Up. Tale termine risulta quindi diverso per le fasi di alta o bassa luminosità. Infine al termine costante (c) contribuiscono errori di intercalibrazione tra cristalli, perdite di energia dovute ad un non completo contenimento degli sciami e la non uniformità delle raccolta di luce nei cristalli descritta nel paragrafo 3.3. La risoluzione dell energia ricostruita utilizzando una matrice di 5 5 cristalli nel rivelatore centrale ( η = 0) per la fase di alta luminositàè stimata [12]: σ E E = 2.7% % (2.2) E E dove l energia E è in GeV. Per il rivelatore in avanti ( η = 2), sempre nel caso di una matrice di 5 5 cristalli e per alta luminosità, la risoluzione in energia è stimata: σ E E = 5.7% % (2.3) E E Nel caso di bassa luminosità il termine di rumore risulta uguale a GeV per il rivelatore centrale ed a GeV per il rivelatore in avanti La determinazione dell angolo tra i fotoni Per determinare la direzione dei fotoni (e quindi l angolo tra essi) è necessario conoscere due punti della loro traiettoria: il primo è dato dalla ricostruzione

43 38 del baricentro dello sciame elettromagnetico all interno dei cristalli (possibile grazie alla segmentazione del calorimetro), ed il secondo dalla ricostruzione del vertice d interazione. Poiché il singolo pacchetto di protoni ha una lunghezza di 75 mm non è possibile conoscere a priori con sufficiente precisione la posizione del vertice di interazione ma è necessario risalire a questo dalle tracce secondarie utilizzando opportuni algoritmi. Se il vertice, tramite tale procedura, viene identificato correttamente la risoluzione angolare risulta trascurabile nella determinazione della risoluzione della massa invariante della coppia di fotoni. Tuttavia può accadere che l algoritmo fornisca un valore errato della posizione lungo l asse del fascio, soprattutto nella fase ad alta luminosità, e questo porta a delle code nella distribuzione dei valori ricostruiti di M γγ. Al momento le simulazioni effettuate mostrano che è possibile ottenere buone prestazioni del calorimetro anche nella fase ad alta luminosità. Tale risultato dipende dalle caratteristiche degli eventi di minimum-bias e, nell eventualità che questi presentino caratteristiche differenti da quelle stimate, si è considerata la possibilità di inserire, se necessario, un Preshower centrale, descritto nel paragrafo successivo. 2.4 Il Preshower Introduzione Nel calorimetro elettromagnetico sono previsti due preshower: Un preshower centrale, esteso per un intervallo di pseudorapidità compreso tra η =0edη = 0.9, la cui funzione principale è la determinazione della direzione dei fotoni. Tale rivelatore sarà eventualmente posizionato nel calorimetro solo per la fase di alta luminosità. Un preshower in avanti, esteso per un intervallo di pseudorapidità compreso tra η =1.65edη = 2.6, la cui funzione principale è la separazione tra fotoni e π 0. Ad alte energie infatti il π 0 decade in due fotoni molto vicini il cui segnale può risultare indistinguibile da quello di un singolo fotone da parte del solo calorimetro elettromagnetico. Tale rivelatore sarà subito posizionato nel calorimetro e lavorerà quindi sia nella fase di bassa luminosità che in quella di alta luminosità. I preshower vengono posizionati di fronte al calorimetro elettromagnetico e sono composti da strati di piombo seguiti da piani di strip di silicio. La misura dell energia depositata nelle strip di silicio permette di determinare la posizione di impatto dello sciame elettromagnetico con buona precisione

44 2. Il calorimetro elettromagnetico di CMS 39 (circa 300 µm a 50 GeV). L alta granularità del rivelatore permette inoltre di distinguere un singolo sciame dalla sovrapposizione di due sciami provenienti ad esempio dal decadimento di un π 0. Per non introdurre un eccessivo peggioramento nella risoluzione in energia del calorimetro elettromagnetico la misura dell energia depositata nelle strip di silicio viene utilizzata per applicare una correzione all energia misurata nei cristalli in modo da tener conto anche dell energia depositata negli stati di piombo. Indicando con E crist l energia depositata in una matrice di cristalli (3 3 o5 5) centrata sul cristallo con la maggiore energia depositata ed indicando con E pre l energia depositata in 5 strip di silicio (quella con la maggior energia depositata ele4più vicine), l energia totale èdatada: nel caso di un singolo strato di strip di silicio, o da: E tot = E crist + αe pre (2.4) E tot = E crist + α 1 E pre1 + α 2 E pre2 (2.5) nel caso di due strati di strip di silicio. I parametri α sono sostanzialmente indipendenti dall energia della particella incidente e valgono circa 16.0 MeV/mip. σe/ E (%) Cristalli + Preshower con 2.5 X 0 di piombo 3 3 Cristalli + Preshower con 2.5 X 0 di piombo Solo cristalli Energia elettroni(gev) Figura 2.5: Risoluzione in energia del calorimetro elettromagnetico con e senza preshower [12]. In figura 2.5 è mostrata la risoluzione in energia in funzione dell energia di un elettrone incidente nel caso di utilizzo del preshower e di assenza di questo.

45 Il preshower in avanti Il preshower in avanti copre l intervallo di pseudorapidità < η < 2.6 ed ha una struttura a corona circolare con raggio interno pari a 457 mm e raggio esterno pari a 1230 mm per uno spessore totale di 190 mm. Spostandosi dall interno verso l esterno, il preshower in avanti è composto da: Un moderatore per neutroni spesso 40 mm. Uno strato isolante (il preshower lavorerà ad una temperatura di 0.5 o C mentre il tracciatore interno ed il calorimetro elettromagnetico si troveranno ad una temperatura di circa 18 o C). Un primo convertitore spesso 1.75 lunghezze di radiazione, realizzato con uno strato di piombo di 9.3 mm contenuto in due strati di alluminio spessi 2 mm. Un piano di rivelatori di silicio per misurare la posizione ed il profilo dello sciame elettromagnetico lungo la direzione verticale. Un secondo convertitore, di struttura simile al primo, spesso 0.77 lunghezze di radiazione (3.7 mm di piombo). Un piano di rivelatori al silicio analogo al primo ma per misure lungo la direzione orizzontale. Uno strato isolante di 10 mm seguito da un moderatore per neutroni di 40 mm. I moderatori posti all inizio ed alla fine della struttura servono a ridurre il flusso di neutroni (circa l 85% del flusso totale di adroni) all interno del preshower stesso e del sistema di tracciamento interno. Tali neutroni sono originati per la maggior parte all interno del calorimetro elettromagnetico e grazie a tali moderatori vengono ridotti di un fattore superiore a Il preshower centrale Nella fase ad alta luminosità risulterà difficile localizzare correttamente il vertice di produzione del bosone di Higgs tra i diversi vertici primari. Se la determinazione di tale vertice basata sull utilizzo di tracce secondarie non sarà in grado di garantire sufficiente precisione (e quindi introdurrà un notevole deterioramento della risoluzione della massa invariante M γγ ) si utilizzerà un preshower anche nella regione centrale.

46 2. Il calorimetro elettromagnetico di CMS 41 La presenza del preshower e quindi l utilizzo combinato delle misure di posizione ottenute con questo e delle misure ottenute con i cristalli di PbWO 4 permette di misurare la direzione dei fotoni con una precisione di 50 mrad/ E e di ottenere una risoluzione per la massa invariante della coppia fotonica σ m 0.7 GeV. Tuttavia il preshower peggiora la risoluzione in energia del calorimetro elettromagnetico e per questo verrà eventualmente utilizzato solo nella fase di alta luminosità di LHC e limitatamente alla regione η < 0.9. Poiché il campo magnetico presente tende ad aprire gli sciami elettromagnetici ed ad allontanare gli elettroni di bassa energia, è fondamentale che il preshower sia il più vicino possibile ai cristalli e che le strip di silicio siano il più vicino possibile ai convertitori in piombo. Il preshower centrale ha una struttura modulare che segue quella del calorimetro elettromagnetico: vi sono 36 componenti rettangolari detti supertail direttamente posizionati sui corrispondenti supermoduli del calorimetro elettromagnetico. Il raggio interno e quello esterno del preshower sono rispettivamente 1173 e 1238 mm. Una supertail è composta da due pannelli adiacenti ognuno di dimensioni mm 2, posizionati con un angolo relativo in φ di 10 o per seguire l andamento curvilineo del calorimetro elettromagnetico. La struttura del singolo pannello è simile alla struttura del preshower in avanti già descritta. 2.5 I cristalli di PbWO 4 Il calorimetro elettromagnetico utilizza come mezzo attivo cristalli di PbWO 4. Le proprietà principali di tali cristalli che ne motivano la scelta sono: La lunghezza di radiazione X 0 risulta pari a 0.89 cm e permette quindi la realizzazione di un calorimetro molto compatto (sono sufficienti cristalli di 23 cm di lunghezza per assicurare più di25x 0 di profondità e quindi un sufficiente contenimento degli sciami elettromagnetici) che può essere posizionato all interno del solenoide superconduttore; Il raggio di Molière è sufficientemente piccolo (circa 2.2 cm) da permettere un buon contenimento laterale degli sciami elettromagnetici riducendo il Pile-up e permettendo una buona risoluzione angolare; La maggior parte della luce di scintillazione (circa il 95%) viene emessa dal cristallo in meno di 25 ns.

47 42 In tabella 2.1 sono riportate le caratteristiche fondamentali del PbWO 4 comparate a quelle di altri scintillatori utilizzati nella realizzazione di calorimetri elettromagnetici. PbWO 4 NaI(Tl) BGO Densità [g/cm 3 ] Lunghezza di radiazione [cm] Raggio di Molière [cm] Massimo di emissione [nm] dly/dt 1/LY a T=20 o C[%/ o C] LY relativo a NaI(Tl) [%] Tempo di emissione [ns] Tabella 2.1: Alcune caratteristiche del PbWO 4 a confronto con quelle di altri scintillatori [19]. LY indica la risposta di luce. Uno svantaggio dell utilizzo del PbWO 4 è rappresentato dalla piccola risposta di luce (numero di fotoni di scintillazione per MeV di energia depositata), indicata in tabella come LY (dall inglese Light Yield). Figura 2.6: Trasmissione e spettro di emissione per cristalli di PbWO 4.

48 2. Il calorimetro elettromagnetico di CMS 43 L utilizzo di questo cristallo per la realizzazione del calorimetro elettromagnetico è possibile grazie allo sviluppo di un nuovo tipo di fotorivelatore, il fotodiodo ad amplificazione interna (APD) descritto successivamente (paragrafo 2.6.1). L APD garantisce alta efficienza quantistica nella regione di emissione del PbWO 4, sufficiente amplificazione ( 50), basso rumore ed inoltre non è sensibile all alto campo magnetico nel quale è immerso il calorimetro. La forte dipendenza della risposta di luce dalla temperatura implica una stabilizzazione della temperatura dell intero calorimetro con variazioni minori di 0.1 o C. La trasmissione ottica dei cristalli èstata migliorata con particolare riguardo alla regione di scintillazione, compresa tra 360 e 570 nm. Per i cristalli prodotti recentemente l intero spettro di emissione viene trasmesso e la lunghezza di attenuazione supera i 3 m. In figura 2.6 è riportato l andamento della trasmissione in funzione della lunghezza d onda confrontato con lo spettro di emissione tipico dei cristalli. In tale figura è riportata anche la curva di trasmissione dei cristalli precedente al lavoro di ricerca e sviluppo svolto da CMS. Figura 2.7: Danneggiamento da radiazione per diversi cristalli [20]. Una caratteristica fondamentale dei cristalli deve essere chiaramente la loro resistenza alle radiazioni. Il PbWO 4 non è sensibile all irraggiamento

49 44 con neutroni mentre mostra una diminuzione dell emissione di luce già a piccole dosi di irraggiamento con fotoni. Mentre il meccanismo di scintillazione non viene alterato dall esposizione del cristallo anche ad alte dosi di tali radiazioni, l irraggiamento può causare la creazione di centri di colore che riducono la trasmissione della luce prodotta e conseguentemente l entità della luce raccolta. Il danneggiamento è stato ridotto utilizzando elementi droganti trivalenti (Lantanio, Ittrio e Lutezio) o pentavalenti (Antimonio o Niobio) ed ottimizzando la stechiometria. In figura 2.7 è riportata la perdita della risposta di luce per cristalli prodotti in diverse condizioni dopo l esposizione ad un irraggiamento simile a quello aspettato ad LHC per la regione centrale del calorimetro (sorgente di cobalto posizionata davanti alla faccia piccola dei cristalli ed un rateo di dose pari a 0.15 Gy/h). Indicando con LY 0 la risposta di luce prima dell irraggiamento e con LY irr la risposta di luce dopo l irraggiamento, il danneggiamento viene quantificato tramite la grandezza LY perso : LY perso = LY 0 LY irr (2.6) LY 0 I cristalli attualmente prodotti per il montaggio nel calorimetro elettromagnetico hanno una perdita di luce in media minore del 3 % dopo una dose integrata di 1.5 Gy, valore che corrisponde, nel caso di cristalli ottimizzati, ad uno stato di equilibrio nel quale la risposta rimane costante. 2.6 I fotorivelatori Il calorimetro elettromagnetico dovrà operare in presenza di un forte campo magnetico e di un livello di radiazioni molto elevato. Non essendo possibile realizzare un unico fotorivelatore capace di lavorare correttamente in presenza di entrambe queste difficoltà si è deciso di utilizzare due fotorivelatori distinti per la parte centrale e la parte in avanti del calorimetro. Si sono scelti così fotodiodi a valanga (APD), capaci di lavorare anche in presenza di un forte campo magnetico, per il calorimetro centrale e fototriodi a vuoto capaci di sopportare alti livelli di radiazioni per il calorimetro in avanti. Entrambi i fotorivelatori garantiscono alta efficienza quantistica nella regione di emissione del PbWO 4, alta amplificazione e basso rumore Gli APD La struttura di un APD è schematizzata in figura 2.8. Un fotone di scintillazione proveniente dal cristallo entra attraverso la finestra di Si 3 N 4 eviene

50 2. Il calorimetro elettromagnetico di CMS 45 assorbito nello strato p ++ sottostante creando una coppia elettrone-lacuna. Nei successivi strati p ed n l elettrone viene accelerato da un elevato campo elettrico creando un effetto di moltiplicazione tramite ionizzazione per collisione. Gli elettroni così generati migrano attraverso lo strato π fino a raggiungere l elettrodo n ++ dove vengono raccolti. Gli APD presentano notevoli vantaggi rispetto ad altri fotorivelatori: Guadagno interno fino a 200 (il valore operativo sarà di 50); Bassa capacità e piccola corrente di saturazione inversa; Sufficiente resistenza alle radiazioni per lavorare nella parte centrale del calorimetro elettromagnetico; Compattezza; Insensibilità al campo magnetico; Ridotta risposta alle particelle cariche grazie al ridotto spessore della regione di moltiplicazione ( 5µm). Figura 2.8: Struttura di un APD. Gli APD contribuiscono ai tre termini della risoluzione in energia [21]: Il processo di produzione e moltiplicazione degli elettroni, implicando fluttuazioni sul numero di elettroni creati e sulla carica raccolta, contribuisce al termine stocastico. Tali fluttuazioni sono caratterizzate dal

51 46 fattore di eccesso di rumore F tramite il quale il contributo al termine stocastico della risoluzione in energia viene scritto come (F/n)dove nè il numero di fotoelettroni. Per un guadagno pari a 50 gli APD hanno F pari a circa 2. La variazione del guadagno con la temperatura (circa -2.3% per grado) e con la tensione di alimentazione (circa 3% per Volt) contribuisce al termine costante. Il rumore dovuto alla capacità ed alla corrente oscura contribuisce infine al termine di rumore elettronico. Poiché risulta complicato realizzare APD con un elevata superficie (il massimo valore ottenibile ècirca5 5 mm 2 ) per coprire un area sufficiente della faccia del cristallo si è scelto di utilizzare 2 APD. Questo assicura una maggiore raccolta di luce e quindi un minor contributo del termine stocastico nella risoluzione in energia. Dopo una fase di ricerca e sviluppo durante la quale sono stati studiati prototipi diversi realizzati dalla Hamamatsu e dalla EG&G la scelta finale è stata per un APD Hamamatsu le cui caratteristiche sono riportate in tabella 2.2. Tutti i dati si riferiscono a misure eseguite ad una temperatura di 20 o C ad un guadagno di 50. APD Hamamatsu Superficie 25 mm 2 Eff. Quantistica a 450nm 80% Capacità 75 pf F 2.0 V bias 300 Corrente oscura iniziale 2-3 na dg/dv 1/GaG=50(%/V) 3 dg/dt 1/G a G=50 (%/ o C) -2.3 Tabella 2.2: Caratteristiche dell APD Hamamatsu utilizzata nella parte centrale del calorimetro elettromagnetico. G indica il guadagno. Il flusso di neutroni attraverso gli APD dopo 10 anni di attività ad LHC è stimato essere di neutroni/cm 2 con uno spettro energetico centrato sul MeV. E chiaro quindi che la resistenza alle radiazioni è un altra cruciale richiesta per questi fotorivelatori. Il danneggiamento può essere dovuto a

52 2. Il calorimetro elettromagnetico di CMS 47 due meccanismi: spostamento degli atomi dal loro sito reticolare con conseguente aumento della corrente oscura (Bulk damage) oppure creazione di difetti nello strato più superficiale con conseguente diminuzione dell efficienza quantistica (Surface damage). Prove effettuate non mostrano nessuna variazione apprezzabile nel guadagno fino a valori del flusso di neutroni pari a circa neutroni/cm 2 ed un aumento lineare della corrente oscura con il flusso assorbito. Indicando con I b il valore della corrente oscura, con Φ il flusso di neutroni e con V il volume effettivo, ossia il volume del fotorivelatore che contribuisce effettivamente al processo di moltiplicazione ( 10 4 cm 3 ) la variazione di I b in funzione di Φ può essere scritta come: I b = I 0 b + α V Φ (2.7) A distanza di due giorni dall irraggiamento il valore del parametro α è pari a(11±1) A/(cm neutrone) [22] I fototriodi a vuoto Figura 2.9: Struttura di un VPT. I fotorivelatori utilizzati nel calorimetro in avanti devono essere in grado sia di lavorare in presenza di un elevato campo magnetico assiale sia di sopravvivere ad un flusso di neutroni che, in dieci anni di attività adlhc, può raggiungere il valore di neutroni/cm 2 nella regione di massima pseudorapidità. Gli APD utilizzati nel calorimetro centrale non possono essere adottati anche in questo caso in quanto risultano non sufficientemente resistenti alle radiazioni. Si è scelto allora di utilizzare dei fototriodi a vuoto (VPT) schematizzati in figura 2.9 [12]. Il fototriodo è composto da un fotocatodo di vetro resistente alle radiazioni, un anodo a griglia posizionato 4-5 mm dal fotocatodo e da un dinodo

53 48 posizionato circa 2-3 mm dopo l anodo. Tipicamente il fotocatodo è collegato a terra, l anodo è ad una differenza di potenziale rispetto a questo di circa 1000 V e il dinodo ad una differenza di potenziale di circa 800 V. I fotoni di scintillazione provenienti dal cristallo colpiscono il fotocatodo dove creano alcuni fotoelettroni. I fotoelettroni, per effetto dell elevata differenza di potenziale presente tra fotocatodo ed anodo, accelerano in direzione di quest ultimo. Una larga parte dei fotoelettroni attraversa la griglia dell anodo e colpisce il dinodo dove vengono prodotti numerosi elettroni secondari (il fattore di emissione secondaria è pari a circa 20). Gli elettroni secondari così creati vengono di nuovo accelerati verso l anodo dove un ampia frazione viene raccolta. In assenza di campo magnetico il guadagno effettivo di un VPT (elettroni raccolti all anodo/fotoelettroni creati al catodo) è di circa 12. In tabella 2.3 sono riportate alcune caratteristiche dei VPT [12]. Diametro esterno 22 mm Diametro del fotocatodo 15 mm Lunghezza totale 50 mm Tensione di alimentazione 1000 V dell anodo Tensione di alimentazione 800 V del dinodo dg/dv 1/G < 0.1 %/V dg/dt 1/G < 1%/ o C Eff. quantistica a 450 nm >15 % Intervallo di risposta nm Guadagno effettivo 12 B=0T Guadagno effettivo 7 B=4T F Tabella 2.3: Alcune caratteristiche dei VPT. G indica il guadagno. Diverse prove effettuate su prototipi di VPT hanno confermato una buona resistenza alle radiazioni della finestra di vetro posta davanti al fotocatodo (uno dei principali problemi in questo caso è infatti la creazione di centri di colore con conseguente diminuzione della trasmissione di luce) ed una variazione del guadagno di circa il 10% dopo l assorbimento di una dose di radiazioni equivalente a 10 anni di attività ad LHC. Visto il gran numero di particelle che attraverseranno il rivelatore in avan-

54 2. Il calorimetro elettromagnetico di CMS 49 ti, diviene di particolare importanza la risposta di tali fotorivelatori al passaggio di particelle cariche o di fotoni non provenienti dalla scintillazione dei cristalli. E stato calcolato [23] che il contributo al segnale dovuto a particelle cariche relativistiche sarà di 0.04 fotoelettroni per collisione di pacchetti mentre per fotoni di energia pari a circa 1 MeV sarà di 0.01 fotoelettroni per collisione di pacchetti. 2.7 La lettura del segnale Abbiamo visto nei paragrafi precedenti come un segnale sia originato dall emissione di luce di scintillazione da parte di un cristallo di PbWO 4 ecome tale luce venga successivamente convertita in corrente tramite dei fotorivelatori (APD o VPT). Il sistema di elettronica progettato per il calorimetro elettromagnetico ha il compito di amplificare, digitalizzare ed acquisire tale segnale. Tale sistema deve essere inoltre in grado di soddisfare alcune richieste imposte dalle caratteristiche di LHC e dei segnali che si vogliono osservare: Poiché ad LHC le collisioni di pacchetti di protoni avvengono ogni 25 ns, il sistema di lettura del segnale deve essere in grado di lavorare ad una frequenza di 40 MHz; Il sistema deve essere in grado di lavorare con segnali compresi tra 25 MeV e 2 TeV; Poiché molti elementi saranno posizionati all interno del rivelatore, il sistema dovrà essere compatto e resistente alle radiazioni. Il rumore introdotto dall elettronica del singolo canale nella somma dei segnali provenienti da più cristalli, necessaria per ricostrure l energia della particella, contribuisce al termine di rumore della risoluzione in energia. Per non degradare significativamente tale risoluzione in energia è necessario realizzare un sistema di elettronica capace di mantenere basso tale contributo (inferiore ai 50 MeV/Canale). In figura 2.10 è schematizzato il sistema di elettronica assieme alle trasformazioni del segnale a partire dalla luce di scintillazione di un cristallo fino all acquisizione finale. All interno di un cristallo di PbWO 4 l energia depositata da una particella viene trasformata in luce grazie ai meccanismi di scintillazione del cristallo.

55 50 Energy Light Light Current Current Voltage Voltage Bits Bits Light Upper-Level VME Readout Card (in Counting Room) Pipeline To DAQ Σ Trigger APD Preamp Floating-Point ADC On-detector light-to-light readout Fiber Transmitter Pipeline Contol Interface Trigger Interface DAQ Figura 2.10: Schema del sistema di lettura del segnale [12]. La luce è convertita in corrente dai fotorivelatori (APD o VPT). A causa del basso LY è necessario un preamplificatore a basso rumore che amplifica e converte il segnale di corrente proveniente dal fotorivelatore in un segnale analogico in tensione. Il segnale preamplificato viene reso digitale tramite un sistema di conversione analogico-digitale (floating point ADC)a12bitcapacedi lavorare a 41 MHz. Tale sistema provvede anche alla sottrazione del piedistallo. Per ogni canale si ha così un segnale digitalizzato che viene trasportato fuori dal rivelatore tramite fibre ottiche. Il livello superiore di elettronica, posizionato esternamente al rivelatore nella Countig Room ha 3 funzioni principali: Somma delle energie di una torre di trigger (una matrice di 5 5 cristalli); Immagazzinamento (pipelining) dei dati in attesa del ricevimento della decisione del trigger di primo livello; Trasmissione verso il sistema di acquisizione dati (DAQ).

56 Capitolo 3 La risposta di luce e l uniformità dei cristalli di PbWO Introduzione Nel primo capitolo è stato messo in evidenza come la risoluzione in energia sia uno dei parametri fondamentali per il calorimetro elettromagnetico. Una migliore risoluzione in energia assicura, ad esempio, una migliore risoluzione nella massa invariante M γγ e quindi una maggiore significatività del segnale derivante dal processo H γγ. Le caratteristiche ottiche dei cristalli utilizzati per la realizzazione del calorimetro contribuiscono alla risoluzione in energia con due termini distinti. Un primo termine è legato alla risposta di luce ovvero alla quantità di fotoni creati per unità di energia assorbita, mentre un secondo termine è associato all uniformità del cristallo, ovvero alla variazione della risposta di luce in funzione della posizione lungo il cristallo nella quale sono creati i fotoni di scintillazione. La risposta di luce e l uniformità, assieme ad altri parametri quali la resistenza alle radiazioni e la trasparenza, hanno guidato l ottimizzazione dei cristalli in fase di preproduzione e saranno utilizzati per il controllo di qualità dei cristalli finali che comporranno il calorimetro. Questo capitolo è interamente dedicato alla risposta di luce ed all uniformità dei cristalli. Nella prima parte sono descritti i contributi che queste due caratteristiche dei cristalli introducono nella risoluzione in energia mentre successivamente sono brevemente descritte diverse configurazioni (utilizzo di un fototubo o di APD, contatto ottico... ) che portano a diversi risultati nelle misure di risposta di luce o di uniformità. Infine nell ultimo para- 51

57 52 grafo sono introdotti i criteri di reiezione dei cristalli adottati nel controllo di qualità. 3.2 La risposta di luce La creazione dei fotoni di scintillazione e la successiva conversione di tali fotoni in fotoelettroni da parte del fotorivelatore sono processi statistici e quindi il numero finale di fotoelettroni creati è soggetto a fluttuazioni tra diversi eventi anche quando una stessa energia viene depositata nel cristallo. Supponendo che la formazione dei fotoelettroni sia un processo poissoniano, se vengono creati in media un numero totale N 0 di portatori di carica ci si aspetta una deviazione standard per tale grandezza pari a N 0. Considerando lineare la risposta del calorimetro elettromagnetico, se vengono raccolti N portatori di carica l energia misurata si può esprimere in MeV come E mis = k N dove k è l inverso del numero medio di fotoelettroni creati per MeV di energia depositata. Se l errore statistico fosse l unica fonte di fluttuazioni la risposta del rivelatore ad una radiazione incidente monoenergetica sarebbe rappresentata da una poissoniana o, nel limite di N grande, da una gaussiana di valor medio <E mis > = k N 0 econσ = k N 0. La risoluzione in energia σ E /E allora 1 sarebbe N0. E chiaro quindi che un maggior valore di N 0 (e quindi un maggiore numero di fotoni emessi per unità di energia depositata) assicura una migliore risoluzione in energia del rivelatore. In realtà la risoluzione totale del calorimetro elettromagnetico èdovuta a diverse sorgenti di fluttuazioni i cui contributi si sommano in quadratura. Le fluttuazioni di tipo statistico descritte finora contribuiscono al termine statistico della risoluzione in energia (paragrafo 2.3.2). Per mantenere tale termine entro il 2% è necessario utilizzare cristalli di PbWO 4 caratterizzati da una risposta di luce sufficientemente alta. Inoltre una maggiore risposta di luce assicura un maggiore rapporto tra segnale e rumore elettronico e quindi un contributo minore del termine di rumore nella risoluzione in energia. Risulta quindi necessario misurare la risposta di luce per tutti i cristalli prodotti e deve essere stabilito un criterio per selezionare i cristalli idonei ad essere utilizzati nella realizzazione del calorimetro. 3.3 Le misure di uniformità Un altra importante caratteristica di un cristallo, oltre al valore assoluto della luce emessa, è la dipendenza di tale valore dalla posizione lungo l asse

58 3. La risposta di luce e l uniformità dei cristalli di PbWO 4 53 longitudinale del cristallo nella quale i fotoni di scintillazione sono creati. Tutti i cristalli presentano una risposta di luce non uniforme con andamenti che possono essere molto diversi tra loro a causa delle diversa efficienza con cui la luce viene raccolta. Figura 3.1: Curva di uniformità per un cristallo di PbWO 4. Ledistanzesono misurate dalla faccia piccola. LY indica la risposta di luce. Come esempio in figura 3.1 è riportato il risultato di misure della risposta di luce (indicata con la sigla LY, dall inglese Light Yield) ottenute spostando una sorgente radioattiva di 60 Co lungo l asse del cristallo secondo le modalità che verranno descritte nel seguito. In questo grafico, come in tutte le figure presentate in questa tesi, le distanze si intendono misurate dalla faccia piccola del cristallo. Tale curva verrà indicata successivamente come curva di uniformità. In un cristallo con tutte le facce lucide la non uniformità è riconducibile alla combinazione di due effetti opposti. La luce raccolta dal fotorivelatore, posizionato in corrispondenza della faccia grande del cristallo, diminuisce all allontanarsi da questa a causa dell assorbimento dei fotoni di scintillazione

59 54 da parte del cristallo stesso. Contemporaneamente la forma troncopiramidale del cristallo crea un effetto di focalizzazione per i fotoni prodotti lontano dalla faccia grande che arrivano ad essa con un angolo più vantaggioso per uscire dal cristallo ed essere successivamente rivelati. In figura 3.2 è riportata una rappresentazione schematica di tale processo: il fotone emesso in prossimità della faccia grande ha un angolo di incidenza rispetto a questa troppo grande e non riesce ad uscire dal cristallo mentre il fotone emesso con lo stesso angolo ma in prossimità della faccia piccola arriva alla faccia grande con un angolo di incidenza più piccolo grazie ad una riflessione sulle pareti laterali e riesce quindi ad uscire. Fotone non trasmesso Cristallo Fotone trasmesso Figura 3.2: Rappresentazione schematica della focalizzazione dei fotoni di scintillazione. I due fotoni sono emessi con lo stesso angolo rispetto all asse longitudinale del cristallo ma solo il fotone emesso in prossimità della faccia piccola del cristallo riesce ad uscire. Per una lunghezza di assorbimento Λ molto maggiore della lunghezza del cristallo L xl l effetto di focalizzazione è dominante rispetto all effetto di assorbimento e la curva di uniformità risultante è rappresentata dalla linea continua in figura 3.1. Al contrario se Λ èminoredil xl risulta dominante l effetto di assorbimento e la curva di uniformità risultante è rappresentata dalla linea tratteggiata in figura 3.1. Per il cristallo riportato in tale figura i due effetti sono comparabili mentre per i cristalli di PbWO 4 che saranno utilizzati per la realizzazione del calorimetro la lunghezza di assorbimento supera i 3 m e risulta quindi dominante la focalizzazione. La curva di uniformità può essere in questo caso modificata in modo da ridurne la pendenza con opportuni trattamenti delle superfici del cristallo discussi in seguito. La non uniformità dei cristalli introduce un ulteriore contributo al termine costante della risoluzione in energia del calorimetro elettromagnetico e causa una non linearità nelle risposte in energia. Infatti un elettrone (o

60 3. La risposta di luce e l uniformità dei cristalli di PbWO 4 55 un fotone) incidente sul cristallo dà origine ad uno sciame elettromagnetico il cui profilo di deposizione varia da evento ad evento anche se l energia della particella incidente rimane uguale. Per elettroni da 50 GeV, ad esempio, le simulazioni [28] mostrano un valor medio della posizione del massimo dello sciame elettromagnetico pari a 73 mm (8.2 X 0 ) dalla faccia piccola ed una deviazione standard pari a 6.3 mm (0.7 X 0 ). Nel caso di fotoni da 50 GeV la distribuzione del massimo dello sciame risulta più larga, con una posizione media del massimo pari a 79 mm (8.9 X 0 ) dalla faccia piccola ed una deviazione standard pari a 8.6 mm (0.96 X 0 ). Se il cristallo non è uniforme sciami elettromagnetici con profili diversi, anche se generati da elettroni (o fotoni) di uguale energia, possono dare segnali diversi. Nel caso di particelle incidenti di energie diverse, i massimi degli sciami elettromagnetici da esse generati cadono in regioni differenti del cristallo, caratterizzate, se il cristallo non è uniforme, da valori della risposta di luce diversi. La non uniformità del cristallo causa quindi risposte non lineari. Sono state realizzate alcune simulazioni dell energia ricostruita nel caso di elettroni da 50 GeV incidenti sul cristallo centrale di una matrice di 3 3 cristalli. In figura 3.3 sono riportate le curve di uniformità di 6 cristalli mentre in figura 3.4 [28] sono mostrati i risultati delle simulazioni ottenuti considerando queste curve. Come si può vedere diverse curve di uniformità danno diverse risoluzioni in energia e diversi valori della r.m.s. effettive, definita come la larghezza dell intervallo, centrato sul valore medio, contenente il 68.3% del segnale. Le migliori risoluzioni si hanno per i cristalli 1050, 1051 e 1055, i quali mostrano curve di uniformità simili tra loro, con un andamento quasi costante nella regione nella quale si trova il massimo dello sciame elettromagnetico (tra 5 X 0 e10x 0 dalla faccia piccola). Per comprendere l effetto della forma della curva di uniformità sisono eseguite diverse simulazioni utilizzando un ipotetica curva composta da tratti lineari e cercando la configurazione ideale che minimizzi la risoluzione in energia [28]. Nelle curve di uniformità dei cristalli 1050, 1051 e 1055 è visibile un aumento della risposta di luce quando ci si sposta verso la faccia grande. Per comprendere l effetto di tale salita si è considerata una curva di uniformità piana eccetto per gli ultimi 100 mm (i più vicini alla faccia grande), la cui pendenza è stata fatta variare osservandone l effetto sull energia ricostruita (vedi schema A in figura 3.5). La pendenza in

61 56 Figura 3.3: Curve di uniformità per 6 cristalli di PbWO 4 misurate su fascio di protoni di bassa energia [28]. Le due linee verticali tracciate a 5 X 0 e10x 0 dalla faccia piccola indicano la regione nella quale si trova il massimo dello sciame elettromagnetico. In questo caso le distanze sono misurate dalla faccia grande del cristallo, sulla quale si trova il fotorivelatore.

62 3. La risposta di luce e l uniformità dei cristalli di PbWO 4 57 Figura 3.4: Simulazione dell energia ricostruita in una matrice di 3 3 cristalli non uniformi per un elettrone da 50 GeV incidente sul cristallo centrale [28].

63 58 tale regione può essere quantificata tramite il parametro I Back : I Back = LY (230 mm) LY (130 mm) LY (130 mm) La risoluzione in energia migliora rispetto ad una risposta uniforme per valori di I Back compresi tra 0 e 15%, con un valore ottimale in corrispondenza di un aumento del 10%. Tale comportamento può essere compreso considerando che gli sciami elettromagnetici che si sviluppano tardi verso il fondo del cristallo non depositano tutta l energia all interno del calorimetro e creano così una coda verso le basse energie visibile nelle simulazioni di cristalli uniformi. L aumento dell efficienza di raccolta di luce verso il fondo del cristallo compensa tale fenomeno e tende a ridurre la coda a basse energie, con conseguente miglioramento della risoluzione. Una volta fissata la pendenza degli ultimi 100 mm del cristallo al suo valore ideale (I Back = 10%), si è variata la pendenza della restante parte della curva di uniformità, (vedi schema B in figura 3.5) includendo quindi tutta la zona corrispondente alla posizione del massimo dello sciame elettromagnetico (tra 5 X 0 e10x 0 ). La migliore risoluzione si ottiene quando tale regione è piana. Per mantenere il contributo alla risoluzione in energia minore di 0.2% è necessario avere in tale zona una pendenza minore, in valore assoluto, di 0.35%/X 0 per gli elettroni e minore di 0.25%/X 0 per fotoni. Per studiare la regione più vicina alla faccia piccola del cristallo si è fissata la pendenza degli ultimi 100 mm al 10%, si è presa la regione centrale piana e si è variata la pendenza dei primi 30 mm (vedi schema C in figura 3.5) osservandone gli effetti sull energia ricostruita. La pendenza di tale regione può essere quantificata tramite il parametro I Front, definito in maniera analoga a I Back : I Front = LY (0 mm) LY (30 mm) LY (30 mm) La distribuzione dell energia ricostruita è in pratica insensibile a variazioni della pendenza della curva in tale regione e la risoluzione in energia rimane costante per valori di I Front compresi tra -20% e +20%. La curva di uniformità determinate dalla focalizzazione di fotoni di scintillazione deve essere quindi corretta in modo da ottenere una risposta prossima

64 3. La risposta di luce e l uniformità dei cristalli di PbWO 4 59 LY (A) LY (B) LY (C) LY I Front compreso tra -20% e +20% Curva ideale (D) Piana I Back = +10% Distanza [mm] Figura 3.5: Illustrazione schematica della procedura utilizzata per studiare l effetto della curva di uniformità sulla risoluzione in energia (A, B e C) ecurvadi uniformità ideale(d). LY indica la risposta di luce. Le distanze si intendono dalla faccia piccola.

65 60 a quella ideale ottenuta dalle simulazioni e riportata in figura 3.5. Per avvicinarsi a tale curva i cristalli vengono trattati in modo da avere 3 delle 4 facce laterali lucide ed una ruvida [25]. Questo trattamento riduce l effetto di focalizzazione ma non lo elimina del tutto, determinando una curva di uniformità prossima a quella ideale. Dopo il trattamento la curva di uniformità deve essere quindi misurata per ogni cristallo e deve essere definito anche in questo caso un criterio per selezionare i cristalli idonei. I cristalli che non superano tale selezione verrano sottoposti ad un secondo trattamento delle superfici. 3.4 Diverse configurazioni di misura Wrapping e contatto ottico Quando una particella eccita un cristallo il numero medio di fotoni di scintillazione emessi per MeV di energia depositata dipende dalla temperatura e dalla posizione lungo l asse del cristallo nella qualla tali fotoni sono creati. Fissate quindi queste due variabili il numero medio di fotoni emessi da un dato cristallo risulta fissato. Diverse condizioni di misura tuttavia assicurano diverse efficienze di raccolta di tali fotoni di scintillazione e portano quindi a differenti valori della risposta di luce. Ad esempio in alcune delle misure riportate nei prossimi capitoli di questa tesi per aumentare la raccolta di luce si è utilizzato un grasso ottico per l accoppiamento tra cristallo e fototubo (vedi figura 3.6). Tale procedura viene indicata in seguito con il termine contatto ottico. L indice di rifrazione del grasso ottico è pari a circa 1.5, valore vicino all indice di rifrazione della finestra del fototubo utilizzato (1.54 per una lunghezza d onda λ = 400 nm) epiù simile all indice di rifrazione del PbWO 4 (n 2.3) rispetto all aria. La presenza del grasso aumenta la frazione dei fotoni di scintillazione che riescono ad uscire dal cristallo e ad entrare nel fototubo per essere rivelati dando quindi valori della risposta di luce maggiori rispetto ai risultati di misure effettuate senza contatto ottico. Un secondo accorgimento utilizzato per aumentare la raccolta di luce consiste nell avvolgere il cristallo in un materiale capace di riflettere e diffondere i fotoni di scintillazione uscenti dalle facce laterali e di reindirizzarli all interno del cristallo con un angolo diverso. Tale procedura viene indicata successivamente con il termine wrapping. Per le misure riportate in questa tesi il wrapping è stato realizzato con un foglio di tyvek (vedi un esempio in figura 3.6). Lo strato di aria lasciato tra tyvek e cristallo favorisce le riflessioni interne al cristallo stesso.

66 3. La risposta di luce e l uniformità dei cristalli di PbWO 4 61 Aria Tyvek Diffusione Esterna Riflessione Interna Cristallo Grasso Ottico PMT Figura 3.6: Posizionamento del tyvek attorno al cristallo e accoppiamento tramite grasso ottico. Le dimensioni dello spazio tra tyvek e cristallo e lo spessore dello strato di grasso ottico sono enfatizzati per maggiore chiarezza Confronto tra misure effettuate con un APD o conunfototubo Nel calorimentro elettromagnetico il segnale proveniente dai cristalli verrà letto da una coppia di APD posizionati sulla faccia grande del cristallo. Nelle misure effettuate per il controllo di qualità dei cristalli si utilizza invece un fototubo. Le misure effettuate con i due diversi fotorivelatori danno risultati diversi sia per il valore della risposta di luce sia per l andamento della curva di uniformità. Oltre alle diverse efficienze quantistiche, una differenza rilevante tra APD e fototubo è la diversa superficie. Mentre l APD copre solo una frazione della faccia grande del cristallo il fototubo ha una finestra molto più ampia che gli permette di coprire l intera faccia grande del cristallo e di raccogliere anche una frazione dei fotoni che sfuggono dalle facce laterali del cristallo (vedi figura 3.7). Tali fotoni sono raccolti con maggiore efficienza se sono emessi in prossimità del fototubo e questo può influenzare la curva di uniformità. Per verificare se tale effetto possa determinare effettivamente diverse curve di uniformità sono state effettuate alcune misure posizionando sul fototubo una maschera nera che ne lascia scoperto solo la regione corrispondente alla faccia grande del cristallo. Il risultato di tali misure è riportato in figura

67 62 Fotone non rivelato Cristallo Fotone rivelato PMT Figura 3.7: Raccolta dei fotoni che sfuggono dalle facce laterali da parte del fototubo. Cristallo 4026 Risposta di luce (Norm.) Con maschera Senza maschera Distanza [cm] Figura 3.8: Confronto tra curve di uniformità ottenute da misure effettuate con un fototubo con e senza maschera. Le distanze sono misurate dalla faccia piccola.

68 3. La risposta di luce e l uniformità dei cristalli di PbWO Le curve di uniformità sono normalizzate in modo da avere valore medio pari ad 1 e le distanze sono misurate dalla faccia piccola del cristallo. Come si può vedere la curva di uniformità ottenuta dalle misure con la maschera posizionata sul fototubo non presenta l aumento di risposta di luce in prossimità della faccia grande che invece caratterizza la curva di uniformità ottenuta senza maschera. Utilizzando la maschera rimane ancora una differenza rispetto all utilizzo di una coppia di APD dovuta alla diversa frazione della faccia grande del cristallo coperta dal fotorivelatore (50 mm 2 per i due APD, la totalità nel caso del fototubo), tuttavia simulazioni [26] indicano che tale differenza non porta variazioni rilevanti nelle curve di uniformità. Ulteriori variazioni possono essere infine dovute alla diversa efficienza quantistica ed alla differente dipendenza della risposta rispetto all angolo di incidenza dei fotoni. Per alcuni cristalli sono state eseguite delle misure su fascio di protoni di impulso pari a 405 MeV/c, utilizzando per la lettura del segnale due APD alloggiati in una capsula [27] (configurazione analoga a quella definitiva utilizzata nel calorimetro). In figura 3.9 sono riportate le curve di uniformità ottenute in tale modo per 4 cristalli confrontate con le curve di uniformità ottenute utilizzando un fototubo coperto da una maschera ed una sorgente radioattiva di cobalto. Tutte le curve di uniformità sono normalizzate al valore della risposta di luce ottenuto a 11.5 cm dalla faccia piccola. Per quantificare la non uniformità dell andamento della risposta di luce vengono introdotte due grandezze: FNUF (Front Non Uniformity) e RNUF (Rear Non Uniformity). La FNUF descrive l andamento della curva di uniformità per la zona più vicina alla faccia piccola (Front-face), compresa tra 3.5 cm ed 11.5 cm da essa. Utilizzando i punti della curva di uniformità sperimentale compresi in tale zona si esegue un fit lineare. Indicando con A F e B F rispettivamente il coefficiente angolare e l intercetta stimate tramite il fit, la FNUF è definita come FNUF = A F A F 11.5+B F (3.1) e rappresenta quindi una stima della pendenza della curva di uniformità normalizzata al valore della risposta di luce, stimato tramite il fit lineare, ad 11.5 cm dalla faccia piccola, ovvero nel punto centrale del cristallo. Allo stesso modo la RNUF viene calcolata eseguendo un fit lineare per i punti compresi tra 11.5 cm e 19.5 cm dalla faccia piccola (zona quindi più vicina alla faccia grande detta Rear-face). Indicando con A R e B R rispettivamente il coefficiente angolare e l intercetta stimate tramite il fit, la RNUF è definita come

69 64 Figura 3.9: Confronto tra curve di uniformità ottenute da misure effettuate con un fototubo e con una coppia di APD. Le distanze sono misurate dalla faccia piccola.

70 3. La risposta di luce e l uniformità dei cristalli di PbWO 4 65 RNUF = A R A R 11.5+B R (3.2) Queste due grandezze hanne le dimensioni dell inverso di una lunghezza e vengono usualmente espresse in unità di%/x 0. Per le curve di uniformità riportate in figura 3.9 si ottengono i valori riportati in tabella 3.1. Cristallo FNUF PMT (%/X 0 ) FNUF APD (%/X 0 ) Cristallo RNUF PMT (%/X 0 ) RNUF APD (%/X 0 ) Tabella 3.1: FNUF e RNUF per le misure eseguite con un fototubo (PMT) o con una coppia di APD. Il valore medio delle differenze tra la FNUF ottenuta da misure con il fototubo e la FNUF ottenuta da misure con gli APD è pari a (+0.2 ± 0.3)%/X 0, mentre per la RNUF si trova (-0.3 ± 0.2)%/X 0. Tali valori indicano un ragionevole accordo tra le due diverse misure che dovrà comunque essere confermato da ulteriori misure Confronto tra diversi wrapping Per studiare quanto diversi wrapping possono portare diverse curve di uniformità sono state eseguite alcune misure [27] avvolgendo il cristallo nel tyvek, in due diversi mylar e posizionandolo in una struttura alveolare con superfici interne in alluminio, simile alla struttura utilizzata nel calorimetro elettromagnetico. Le curve di uniformità così ottenute, normalizzate al valore corrispondente a 11.5 cm dalla faccia piccola, sono riportate in figura Nella regione più vicina alla faccia piccola del cristallo non si osservano differenze sostanziali mentre in vicinanza della faccia grande le curve si differenziano leggermente. La diminuzione della risposta di luce nel caso del cristallo posizionato nella struttura alveolare può essere ricondotta al fatto

71 66 Figura 3.10: Confronto tra curve di uniformità ottenute con diversi wrapping. Le curve sono normalizzate al valore corrispondente a 11.5 cm dalla faccia piccola. Le distanze sono misurate dalla faccia piccola. che tale struttura, diversamente dagli altri wrapping, è più corta del cristallo e ne lascia scoperto circa 1 cm. 3.5 Criteri di reiezione Tutti i cristalli saranno sottoposti a controlli per verificarne le caratteristiche fondamentali e per poter scartare i cristalli non idonei ad essere utilizzati nella realizzazione del calorimetro. Tra i diversi criteri di selezione due sono associati alla risposta di luce ed all uniformità del cristallo e sono brevemente discussi in questo paragrafo. Risposta di luce Per ridurre il contributo alla risoluzione in energia legato alla risposta di luce si è scelto di considerare idonei i cristalli che soddisfano la seguente condizione: La risposta di luce deve essere maggiore di 8 fotoelettroni per MeV di energia depositata a 18 o C per una radiazione incidente

72 3. La risposta di luce e l uniformità dei cristalli di PbWO 4 67 ad 8 X 0 dalla faccia piccola. Le specifiche di riferimento sono relative a misure effettuate su cristalli con wrapping utilizzando un fototubo Philips Xp2262B ed un grasso ottico con indice di rifrazione n = 1.5 ed integrando il segnale su 100 ns. Tenendo conto dell efficienza quantistica e della superficie degli APD, tale valore di soglia corrisponde ad una risposta di luce pari a 4 fotoelettroni per MeV nel caso di misure effettuate con due APD posizionati sullo stesso cristallo ed implica un contributo al termine statistico della risoluzione in energia pari ad 1.6%/ E[GeV ]. Uniformità Abbiamo visto precedentemente come la pendenza della curva di uniformità contribuisca al termine costante della risoluzione in energia. Per mantenere tale contributo minore di 0.2% si è scelto di considerare idonei i cristalli che presentano nella regione compresa tra 3 X 0 e13x 0 dalla faccia piccola (comprendente quindi tutta la zona corrispondente alla posizione del massimo dello sciame elettromagnetico) una pendenza minore, in valore assoluto, di 0.35%/X 0. Le condizioni di misura sono analoghe a quelle riportate sopra.

73 68

74 Capitolo 4 Il Centro Regionale INFN/ENEA 4.1 Introduzione Il gran numero di elementi che costituiscono il calorimetro elettromagnetico di CMS ed il grande impegno richiesto per la loro caratterizzazione rende necessario utilizzare al meglio le diverse strutture già presenti negli istituti che collaborano alla realizzazione del rivelatore. A tale scopo sono stati previsti più Centri Regionali, con sede in diverse nazioni, tra i quali sono state suddivise le varie attività. In Italia l INFN ha realizzato un Centro Regionale presso i laboratori della Casaccia dell ENEA nel quale saranno realizzati i sottomoduli ed i moduli del rivelatore centrale (descritti nel paragrafo 2.2.1) e verrà verificato il loro funzionamento. Per permettere al calorimetro di raggiungere le prestazioni previste è necessario selezionare ed utilizzare cristalli con opportune caratteristiche [24]. Tutti i cristalli provenienti dai centri di produzione in Russia ed in Cina dovranno quindi essere misurati presso il centro INFN/ENEA e per questo scopo è stato progettato un sistema automatico denominato ACCOS (Automatic Crystal COntrol System) [30]. Con ACCOS verranno misurati alcuni parametri (dimensioni del cristallo, trasmissione della luce, risposta di luce ed uniformità) di notevole importanza per le prestazioni finali del calorimetro e che, al tempo stesso, consentono misure veloci e semplici. In aggiunta altre misure più elaborate (come ad esempio lo spettro di emissione) verranno eseguite su alcuni campioni per verificare la stabilità della produzione. In questo capitolo è descritto brevemente il sistema automatico ACCOS realizzato presso il centro INFN/ENEA e le modalità delle misure eseguite 69

75 70 tramite esso. 4.2 La prima ispezione I cristalli provenienti dai centri di produzione di Bogoroditsk (Russia) e Shanghai (Cina) vengono sottoposti ad un primo controllo consistente in una semplice ispezione visiva. In questo modo è possibile rilevare immediatamente i difetti visibili e quindi escludere i cristalli non idonei senza perdere ulteriore tempo nella loro completa caratterizzazione tramite ACCOS. Durante questa prima ispezione vengono eseguiti i seguenti controlli: Presenza dell etichetta riportante il codice a barre per l identificazione del cristallo e suo corretto posizionamento sulla faccia piccola. Ricerca di crepe, scheggiature, graffi sulle superfici ed eventuali danneggiamenti subiti dal cristallo. Verifica della trasparenza ed assenza di colore del cristallo. Ricerca di difetti nel volume del cristallo. FASCE DI GOMMA VASSOIO vista dall alto CRISTALLI MANIGLIE VASSOIO vista laterale APPOGGI IN PLASTICA Figura 4.1: Posizionamento dei cristalli sul vassoio.

76 4. Il Centro Regionale INFN/ENEA Le misure tramite ACCOS Dopo la prima ispezione i cristalli vengono posizionati su strutture dette vassoi rappresentate in figura 4.1. I cristalli vengono fissati agli appoggi in plastica tramite delle fasce in gomma e da questo momento in poi non vengono più maneggiati direttamente. In un Carrello vengono alloggiati 7 vassoi (figura 4.2) e quindi il carrello viene portato nella camera dove è sistemato ACCOS (vedi figura 4.3). VASSOI Figura 4.2: Posizionamento dei vassoi nel carrello. Il carrello viene posizionato di fronte al sistema di misura e successivamente tutti i movimenti dei vassoi avvengono in modo automatico grazie ad una serie di nastri trasportatori. In questo modo le procedure di misura risultano sicure per i cristalli e, non richiedendo ulteriore intervento umano, possono andare avanti in caso di necessità anche durante la notte. Il primo vassoio viene estratto dal carrello e spostato, sempre automaticamente, fino sotto la macchina 3D dove vengono misurate le dimensioni dei 5 cristalli presenti sul vassoio. Terminate tali misure il vassoio viene spostato avanti fino a raggiungere prima la stazione dove vengono eseguite le misure di trasmissione trasversale e longitudinale per ogni cristallo e quindi, terminate queste, la stazione per le misure della risposta di luce ed uniformità. Quando tutti i cristalli presenti sul vassoio sono stati misurati, il vassoio viene riportato indietro e riposizionato nel carrello ed un secondo vassoio viene estratto per essere sottoposto alle stesse misure. Tale procedura viene ripetuta da ACCOS fino al termine dei vassoi presenti nel carrello. In questo

77 72 CARRELLO VASSOIO MISURE DI DIMENSIONE MISURE DI TRASMISSIONE MISURE DI RISPOSTA DI LUCE Figura 4.3: Schema del sistema di misura automatico ACCOS. Sono mostarti il posizionamento del carrello e le diverse stazioni nelle quali sono effettuate le misure. modo è possibile effettuare tutte le misure per i 7 vassoi presenti in un carrello (quindi per 35 cristalli) in circa 10 ore. 4.4 Misure di dimensione Per poter identificare e quindi scartare i cristalli di dimensioni minori rispetto a quelle nominali (il cui utilizzo causerebbe un peggioramento dell ermeticità del rivelatore) o maggiori (i quali possono provocare forze eccessive tra cristalli adiacenti) è previsto che ACCOS misuri le dimensioni di ogni singolo cristallo. Il primo cristallo del vassoio in misura viene posizionato sotto la macchina 3D la quale è in grado di ricostruire i piani delle facce del cristallo a partire dalle misure di 15 punti (per le facce laterali) o 9 punti (per la faccia piccola e quella grande). Dalla conoscenza dei piani si possono ricavare le dimensioni degli spigoli che vengono confrontate con le dimensioni nominali. Terminate le misure del primo cristallo il vassoio avanza fino a portare il secondo cristallo sotto la macchina 3D. La procedura di misura si ripete fino al completamento di tutti i cristalli presenti sul vassoio e, al suo termine, il vassoio viene spostato in avanti per le misure di trasmissione.

78 4. Il Centro Regionale INFN/ENEA Misure di trasmissione ACCOS deve essere in grado di misurare decine di cristalli al giorno e tale esigenza è incompatibile con una completa caratterizzazione delle proprietà ottiche di ogni singolo cristallo. Per questo motivo si è scelto di considerare solo quelle proprietà che consentono misure semplici e rapide. La misura degli spettri di trasmissione trasversale e longitudinale presenta queste caratteristiche ed è in grado di fornire un utile indicazione sulle qualità ottiche del cristallo. Il sistema per eseguire tali misure è rappresentato in figura 4.4 ed ècomposto da una lampada alogena, una sfera integrante di 16 cm di diametro ed uno spettrofotometro con risoluzione di 4 nm per lunghezze d onda nell intervallo nm. La scelta di utilizzare una sfera integrante consente di rivelare la luce trasmessa anche se il fascio viene sdoppiato per birifrangenza o deviato per rifrazione. Sfera integrante TRASMISSIONE TRASVERSALE Spettrofotometro Cristallo Vassoio Lampada Spettrofotometro TRASMISSIONE LONGITUDINALE Sfera integrante Specchio Specchio Vassoio Cristallo Lampada Figura 4.4: Sistema per le misure di trasmissione trasversale (alto) e longitudinale (basso).

79 La trasmissione trasversale Le misure di trasmissione trasversale vengono eseguite ponendo la lampada sotto al vassoio e spostandola assieme allo spettrofotometro, posizionato al di sopra del vassoio, lungo l asse del cristallo. Le misure vengono eseguite a partire da 1.5 cm dalla faccia piccola ogni 2 cm per un totale di 11 punti. Tali misure forniscono informazioni sull uniformità della trasmissione della luce lungo il cristallo, parametro legato all uniformità della qualità ottica ed all uniformità della resistenza alle radiazioni. In figura 4.5 sono riportati come esempio i risultati di alcune misure di trasmissione trasversale eseguite ad ACCOS. I cristalli che, al variare della posizione delle misure, presentano una dispersione maggiore di 6 nm del valore della lunghezza d onda per la quale si ha una trasmissione trasversale pari al 50% sono considerati troppo disuniformi e quindi vengono scartati. Nel caso delle misure riportate in figura 4.5 la fluttuazione è minore di 6 nm e quindi il cristallo è considerato idoneo. Figura 4.5: Misure di trasmissione trasversale. λ indica la lunghezza d onda.

80 4. Il Centro Regionale INFN/ENEA La trasmissione longitudinale Per eseguire le misure di trasmissione longitudinale vengono utilizzati lo stesso spettrofotometro e la stessa lampada descritti precedentemente e la luce trasmessa attraverso il cristallo viene indirizzata tramite specchi opportunamente posizionati (vedi figura 4.4). In figura 4.6 è riportato come esempio una misura di trasmissione longitudinale ottenuta ad ACCOS. Figura 4.6: Misure di trasmissione longitudinale. λ indica la lunghezza d onda. Le misure di trasmissione longitudinale, come il precedente caso delle misure di trasmissione trasversale, forniscono molte informazioni utili sulle caratteristiche del cristallo e possono essere utilizzate per identificare e quindi scartare i cristalli non resistenti alle radiazioni senza effettuare misure dirette. Per assicurare una lunghezza di assorbimento maggiore di 80 cm per le lunghezze d onda proprie dello spettro di emissione del cristallo ed al tempo stesso per selezionare i cristalli con una buona resistenza alle radiazioni si sono posti limiti sul valore della trasmissione longitudinale (T L ) per 3 diverse lunghezze d onda: T L > 10% per λ = 350 nm; T L > 55% per λ = 420 nm;

81 76 T L > 65% per λ = 600 nm; Infine per individuare e scartare tutti i cristalli che presentano sotto irraggiamento una elevata diminuzione della risposta di luce è necessario porre una ulteriore condizione sulle caratteristiche dello spettro di trasmissione longitudinale. Esiste una correlazione tra la pendenza dello spettro di trasmissione longitudinale nella regione compresa tra 340 nm e 370 nm e la perdita di risposta di luce dopo l esposizione ad irraggiamento. In figura 4.7 [24] èriportata la perdita di risposta di luce (LY perso è definito come in 2.6) dopo l esposizione ad una dose di 1.5 Gy in funzione della pendenza (indicata con S in figura) dello spettro di trasmissione per 63 cristalli. L irraggiamento è stato realizzato utilizzando una sorgente radioattiva di 60 Co ad un rateo di dose di 0.15 Gy/h. Figura 4.7: Correlazione tra la perdita di risposta di luce (LY perso ) e la pendenza (S) dello spettro di trasmissione longitudinale. La pendenza dello spettro di trasmissione viene stimata eseguendo un fit lineare sulla regione dello spettro compresa tra 340 nm e 370 nm (vedi figura 4.6). I cristalli che soddisfano la condizione:

82 4. Il Centro Regionale INFN/ENEA 77 S>1.5%/nm (4.1) presentano una perdita della risposta di luce minore del 6% dopo l assorbimento di una dose di radiazione pari a 1.5 Gy e vengono considerati idonei. Tale condizione diviene quindi un ulteriore criterio di selezione nel controllo della qualità dei cristalli. Per lo spettro riportato in figura 4.6 il valore di S ottenuto dal fit lineare è pari a circa 2.5%/nm ed inoltre la trasmissione a 350 nm, 420 nm e 600 nm vale rispettivamente 10.4%, 68.5% e 72.9%. Il cristallo può quindi ritenersi idoneo per quanto riguarda le misure di trasmissione longitudinale. 4.6 Misure della risposta di luce Nel precedente capitolo è stata discussa l importanza della risposta di luce e si è visto come tale grandezza contribuisca sia al termine costante che al termine statistico della risoluzione in energia finale del calorimetro. Per ottenere le alte prestazione riportate nel paragrafo è necessario selezionare i cristalli che, oltre ad avere le caratteristiche discusse nei paragrafi precedenti, soddisfino i due criteri di selezione definiti nel paragrafo 3.5. Fototubo Cristallo Sorgente Fogli di Tyvek Posizione del LED Tyvek Figura 4.8: Apparato per la misura della risposta di luce ad ACCOS. L apparato per le misure della risposta di luce è rappresentato in figura 4.8. I vassoi vengono spostati tramite i nastri trasportatori fino ad allineare il primo cristallo con il fototubo. Il fototubo è alloggiato su una struttura mobile

83 78 e viene allontanato dai cristalli durante i movimenti del vassoio e successivamente fatto avanzare verso la faccia grande dei cristalli per effettuare le misure. In questo modo tutti gli spostamenti del vassoio risultano sicuri per i cristalli alloggiati su esso e al tempo stesso si possono effettuare misure con il fototubo a distanza minima (d = 1 mm) dal cristallo in modo da ridurre la perdita di luce, notevole anche a piccole distanze (paragrafo 5.6.3). Tutte le misure si intendono effettuate con un Gate di 100 ns La misura del Piedistallo La prima operazione eseguita dall apparato è la misura del piedistallo, effettuata senza alcun cristallo posizionato davanti al fototubo. Un esempio di spettro ottenuto da tali misure è riportato in figura 4.9. Per determinare la posizione del piedistallo e la sua larghezza si esegue un fit con una gaussiana. I risultati del fit sono riportati in tabella 4.1 (Amp indica l ampiezza della gaussiana, m il suo valore medio e σ ped la deviazione standard). Piedistallo Peds Nent = 9999 N. Eventi 1000 Mean = RMS = Fit: Gaussiana Canale ADC Figura 4.9: Spettro ottenuto da una misura del piedistallo.

84 4. Il Centro Regionale INFN/ENEA 79 Parametro Valore Errore Amp m σ ped χ 2 /ν 36.5/15 Tabella 4.1: Risultati del fit per lo spettro di figura 4.9. ν indica il numero di gradi di libertà La calibrazione Per esprimere i risultati delle misure della risposta di luce in termini di numero di fotoelettroni per MeV di energia depositata è necessario determinare il valore della calibrazione del sistema (ovvero misurare il numero di canali ADC corrispondenti ad un fotoelettrone). Per effettuare le misure di calibrazione i cristalli vengono lasciati lontano dal fototubo, nella stessa posizione utilizzata per le precedenti misure del piedistallo, e viene utilizzato un LED situato sul lato opposto di ACCOS rispetto al fototubo (vedi figura 4.8). In generale lo spettro che si ottiene attivando il LED è una poissoniana il cui valore medio è direttamente legato all ampiezza ed alla durata del segnale che alimenta il LED stesso. Diminuendo il valore di tali parametri diviene più piccolo il valore medio dei fotoelettroni estratti al fotocatodo e quindi il valor medio della poissoniana si sposta verso i primi canali dell ADC. Continuando a diminuire la durata e l ampiezza dell impulso si arriva alla situazione in cui diviene molto probabile l estrazione di un singolo fotoelettrone al fotocatodo. Lo spettro in questo caso è composto dal picco corrispondente al singolo fotoelettrone, da picchi di ampiezza minore corrispondenti all emissione di 2 o 3 fotoelettroni mentre l emissione di un numero maggiore di fotoelettroni diventa trascurabile. Tale situazione può essere riconosciuta dalla presenza nello spettro di un picco maggiore che rimane invariato per ulteriori variazioni dell impulso che alimenta il LED. In figura 4.10 è riportato uno spettro ottenuto con tale procedura (il piedistallo, ottenuto precedentemente, è stato già sottratto). Per determinare il valore della calibrazione si esegue un fit su tale spettro utilizzando una funzione composta da due gaussiane per descrivere i picchi dovuti al singolo fotoelettrone ed a 2 fotoelettroni. La funzione utilizzata nel fit è:

85 80 LED Leds Nent = Mean = RMS = Fit : 2 Gaussiane Canale ADC Figura 4.10: Spettro ottenuto da una misura di calibrazione eseguita con il LED. [ ] [ ] (x Cal) 2 A 1 exp 2 (σ (x 2 Cal) 2 ped 2 + ) + A 2 exp σ2 pe 2 (σ ped 2 +2 ) σ2 pe (4.2) dove σ ped è il valore della sigma del piedistallo ottenuta dal fit precedente ed i parametri da stimare sono: Le ampiezze delle due gaussiane (A 1 e A 2 ); Il fattore di calibrazione (Cal); La sigma introdotta dall amplificazione dei fotoelettroni (σ pe ). I risultati del fit sono riportati in tabella Le misure della risposta di luce Appena terminate le misure per la calibrazione del sistema iniziano le misure della risposta di luce. Il vassoio viene spostato in modo da posizionare il

86 4. Il Centro Regionale INFN/ENEA 81 Parametro Valore Errore A A Cal σ pe χ 2 /ν 77.4/62 Tabella 4.2: Risultati del fit per lo spettro di figura ν indica il numero di gradi di libertà. primo cristallo davanti al fototubo. Per eccitare il cristallo si utilizza una sorgente di 60 Co, il cui nucleo decade β in un nucleo di 60 Ni eccitato il quale a sua volta decade nello stato fondamentale con l emissione di due fotoni da 1.173MeV ed MeV. Tali fotoni entrano nel cristallo e possono interagire tramite effetto fotoelettrico o Compton. Nel primo caso depositano nel cristallo la totalità della loro energia, nel secondo caso solo una parte di essa. La sorgente è alloggiata in una struttura posta al di sopra del vassoio che può essere spostata lungo l asse longitudinale del cristallo consentendo così di eseguire misure di uniformità. SORGENTE FOGLI DI TYVEK CRISTALLO STRUTTURA RIVESTITA DI TYVEK Figura 4.11: fototubo. Posizionamento del tyvek attorno al cristallo visto dal lato del Per aumentare la raccolta di luce sono stati predisposti due fogli di tyvek posizionati sopra il cristallo in misura e di fronte alla sua faccia piccola (vedi figura 4.8 e figura 4.11). Inoltre una struttura opportunamente sagomata e

87 82 rivestita di tyvek è posizionata al di sotto del vassoio e viene fatta salire prima di iniziare le misure della risposta di luce in modo che il cristallo si trovi, ad eccezione della faccia grande accoppiata al fototubo, circondato dal tyvek. Tale struttura ritorna nella sua posizione iniziale al termine delle misure per consentire i movimenti del vassoio. In figura 4.12 è riportato uno spettro ottenuto con tale procedura (il piedistallo, ottenuto dai fit precedenti, è stato sottratto). Cobalto Picco singolo fotoelettrone Compton Co Nent = Mean = Fotopicco RMS = Canale ADC Figura 4.12: Spettro ottenuto utilizzando una sorgente di 60 Co. Per ottenere il valore della risposta di luce su tale spettro viene eseguito un fit utilizzando una funzione composta da più parti: Nello spettro è presente un picco (detto fotopicco) dovuto ai fotoni che, tramite effetto fotoelettrico, depositano tutta la loro energia nel cristallo. Tale picco è dovuto alla sovrapposizione dei picchi corrispondenti alle due diverse energie dei fotoni incidenti. Nella funzione utilizzata per eseguire i fit sono presenti quindi due poissoniane [ ] e ly E1 (ly E 1 ) x/cal A p ) e ly E2 (ly E 2 ) x/cal + )!! ( x Cal ( x Cal (4.3)

88 4. Il Centro Regionale INFN/ENEA 83 dove E 1 ed E 2 valgono MeV e MeV, Cal è il valore della calibrazione ottenuto come sopra descritto ed A p e ly sono i due parametri da valutare tramite il fit ed indicano, rispettivamente, l ampiezza delle poissoniane ed il numero di fotoelettroni per MeV. I fotoni all interno del cristallo possono cedere una parte della loro energia tramite effetto Compton ed uscire dal cristallo prima di essere completamente assorbiti. Per tener conto di ciò nella funzione utilizzata per eseguire i fit si è introdotta la funzione di Fermi-Dirac: A CM [ ] ( x Cal exp E C ly) T CM +1 (4.4) dove Cal è il valore della calibrazione, ly è il parametro introdotto sopra, A CM e T CM sono due ulteriori parametri da valutare tramite il fit ed E C è la massima energia che un fotone può perdere in una interazione Compton e vale E C = E 1 1+ me 2 E 1 (4.5) Poiché i fotoni incidenti possono avere due diverse energie bisognerebbe introdurre due funzioni di Fermi-Dirac calcolate utilizzando E 1 ed E 2. Tuttavia alcune prove hanno mostrato che la scelta di introdurre una sola funzione (che utilizza indifferentemente E 1 od E 2 per il calcolo di E C ) non modifica il fit ed i suoi risultati e quindi tale soluzione è stata adottata per la sua semplicità. Per tener conto dei singoli fotoelettroni di fondo che contribuiscono allo spettro con il picco visibile in corrispondenza dei primi canali dell ADC, nella funzione utilizzata per il fit è presente una gaussiana [ ] (x Cal) 2 A N exp 2 (σ ped 2 + ) σ2 pe (4.6) dova A N è l unico parametro da valutare tramite il fit mentre il valore medio della gaussiana e la sua larghezza sono fissati dalle misure di calibrazione e piedistallo (tramite i parametri Cal, σ ped e σ pe ).

89 84 Infine un ultima funzione viene introdotta per tenere conto della presenza di un discriminatore utilizzato per tagliare i segnali minori del segnale corrispondente ad un singolo fotoelettrone. Essa è scritta come 1 [ ] exp (Thr x) T ef f +1 (4.7) dove Thr e T eff sono due parametri valutati tramite il fit e rappresentano rispettivamente il valore per il quale l efficienza di trigger è pari al 50% (Threshold) e la rapidità della salita dell efficienza. Per lo spettro riportato in figura 4.12 i risultati del fit sono riportati in tabella 4.3. Parametro Valore Errore ly A p A CM (T CM ) A N Thr (T eff ) χ 2 /ν 174/97 Tabella 4.3: Risultati del fit per lo spettro di figura ν indica il numero di gradi di libertà. Le misure di uniformità vengono effettuate posizionando la sorgente radioattiva in diversi punti lungo l asse longitudinale del cristallo (a partire da 1.5 cm dalla faccia piccola ogni 1 cm per un totale di 21 punti). In figura 4.13 sono riportati i risultati di 3 misure di uniformità effettuate con lo stesso cristallo (i valori della risposta di luce sono tutti riportati a 18 o C considerando una variazione di -2%/ o C). 4.7 Tempo di emissione I cristalli di PbWO 4 per essere considerati idonei devono soddisfare un ultima richiesta legata al tempo di emissione dei fotoni di scintillazione. I

90 4. Il Centro Regionale INFN/ENEA 85 Figura 4.13: Curve di uniformità ottenute ad ACCOS. meccanismi di scintillazione del tungstato di piombo sono, per loro natura, molto veloci ( 15 ns) ma impurità o difetti possono introdurre componenti lente dell ordine dei µs o addirittura dei ms. Per ridurre i problemi che un tempo di emissione elevato comporterebbe sia nella ricostruzione del segnale sia per fenomeni di Pile-Up si è scelto di selezionare i cristalli per i quali la risposta di luce emessa in 100 ns sia maggiore del 90% della risposta di luce emessa in 1 µs. Tale condizione può essere facilmente verificata misurando la risposta di luce come descritto nella sezione precedente utilizzando sia un Gate di 100 ns che un Gate di 1 µs e confrontando i valori così ottenuti.

91 86

92 Capitolo 5 Le misure con l apparato di riferimento 5.1 Introduzione Nel paragrafo 3.5 sono stati introdotti i criteri di reiezione utilizzati nel controllo di qualità dei cristalli, riguardanti la risposta di luce e l uniformità. Tali criteri si riferiscono ad una specifica condizione di misura (contatto ottico, cristallo avvolto nel wrapping, fototubo Philips Xp2262B). Presso il Centro Regionale INFN/ENEA la necessità di eseguire misure in modo continuo ed automatico rende impossibile l utilizzo sia del contatto ottico che del wrapping completo attorno al cristallo e quindi rende obbligatoria la scelta delle diverse condizioni di misura descritte nel capitolo precedente. Si è inoltre scelto di utilizzare il fototubo Hamamatsu R1847 al posto di quello specificato nelle condizioni di reiezione e caratterizzato da una minore efficienza quantistica. Per selezionare i cristalli basandosi sui criteri di reiezione fissati è necessario essere in grado di tradurre i risultati delle misure effettuate presso il Centro Regionale nei risultati che si avrebbero con le condizioni di misura specificate nei criteri stessi. Per confrontare tra loro risulati di misure effettuate in condizioni diverse e per tenere sotto controllo la stabilità del sistema ACCOS presso il laboratorio del gruppo CMS di Roma è stato realizzato un banco per effettuare misure della risposta di luce e dell uniformità dei cristalli di PbWO 4. In questo capitolo sono descritte le misure effettuate con tale apparato di riferimento e ne vengono discussi alcuni risultati. 87

93 Le misure con l apparato di riferimento L apparato realizzato presso il gruppo CMS di Roma è schematizzato in figura 5.1. Il cristallo di PbWO 4 si trova in posizione verticale con la faccia grande appoggiata direttamente al fototubo. Cristallo e fototubo si trovano in un ambiente chiuso allo scopo di eliminare ogni possibile luce esterna. In tale ambiente sono posizionati anche una sonda per la temperatura ed un LED per le misure di calibrazione. SONDA PER LA TEMPERATURA CRISTALLO FOTOTUBO SORGENTE SEGNALE IN USCITA ALTA TENSIONE Figura 5.1: Il sistema per le misure di Light Yield e di uniformità. Accanto al cristallo è presente un piccolo ripiano sul quale viene posizionata la sorgente di 60 Co e che può essere spostato lungo la direzione verticale da un motore, comandato esternamente tramite Personal Computer (PC), per effettuare le misure di uniformità. Il segnale in uscita dal fototubo viene amplificato ed invertito da un amplificatore ORTEC 572 e quindi acquisito tramite una scheda ADC Trump della Ortec che consente anche una semplice interfaccia tra il sistema di rivelazione ed un PC. Ogni segnale viene trasformato, mediante approssimazioni successive, in un numero di canale proporzionale alla sua ampiezza e memorizzato per essere poi analizzato dal software Maestro [29]. Tale software consente di visualizzare immediatamente lo spettro ottenuto dalla misura e salvarlo in file di dati.

94 5. Le misure con l apparato di riferimento La calibrazione Le misure di calibrazione vengono eseguite in maniera analoga a quanto descritto nel capitolo precedente. Il cristallo viene rimosso dalla sua posizione ed il LED viene posizionato di fronte al fototubo. Un generatore alimenta il LED con impulsi di durata ed ampiezza regolabili, e lo stesso segnale viene inviato alla scheda ADC per effettuare misure in coincidenza. Selezionando opportunamente ampiezza e durata dell impulso che alimenta il LED si arriva ad osservare il picco dovuto al singolo fotoelettrone ed i picchi, di ampiezza minore, dovuti a 2 e 3 fotoelettroni. LED Leds Gaussiana singolo fotoelettrone Gaussiana 2 fotoelettroni Gaussiana 3 fotoelettroni Nent = Mean = RMS = 49.1 Canale ADC Figura 5.2: Spettro ottenuto utilizzando il LED. In figura sono riportati la funzione risultante dal fit e le 3 gaussiane che la compongono. Un esempio è riportato in figura 5.2. Su tale spettro viene poi eseguito un fit utilizzando una funzione composta dalla somma di tre gaussiane per i picchi dovuti ad 1, 2 e 3 fotoelettroni. La funzione utilizzata nel fit è:

95 90 [ ] [ ] (x Zero Cal) 2 A 1 exp 2 (σ (x Zero 2 Cal) 2 ped 2 + ) + A 2 exp σ2 pe 2 (σ ped 2 +2 ) + σ2 pe [ ] (x Zero 3 Cal) 2 A 3 exp 2 (σ ped 2 +3 ) (5.1) σ2 pe I parametri da stimare tramite tale fit sono: Le ampiezze delle tre gaussiane (A 1, A 2 ed A 3 ); La posizione dello zero dell ADC (Zero); Il fattore di calibrazione (ovvero il numero di canali dell ADC corrispondente ad un fotoelettrone) (Cal); La sigma del piedistallo (σ ped ); La sigma introdotta dall amplificazione dei fotoelettroni (σ pe ). In figura 5.2 sono riportate le 3 gaussiane e la funzione totale. I risultati del fit sono riportati in tabella 5.1. Parametro Valore Errore Cal Zero σ ped σ pe A A A χ 2 (ν) 141(117) Tabella 5.1: Risultati del fit per lo spettro di figura 5.2. ν indica il numero di gradi di libertà. I valori di Zero e Cal così ottenuti saranno poi utilizzati nei successivi fit per la misura della risposta di luce di un cristallo. Alcune misure sono state effettuate per controllare il valore del parametro Zero ottenuto tramite il fit. Un impulso di ampiezza costante (50 mv) viene inviato ad un attenuatore e successivamente al sistema di lettura del segnale (amplificatore e scheda ADC).

96 5. Le misure con l apparato di riferimento 91 Figura 5.3: entrata. Risposta dell ADC in funzione dell attenuazione dell impulso in In figura 5.3 sono riportate le risposte dell ADC al variare dell attenuazione (rapporto tra segnale in entrata ed in uscita dall attenuatore) dell impulso. Su tali dati è stato poi effettuato un fit lineare i cui risultati, assieme al coefficiente di correlazione R, sono riportati in figura. In questo modo, tramite il parametro a è possibile ottenere una stima della posizione dello zero per l ADC. I due valori ottenuti con il fit sui dati del LED e con l attenuatore risultano compatibili. Un ulteriore verifica dei risultati del fit può essere fatta considerando la stima della sigma introdotta dall amplificazione dei fotoelettroni (parametro σ pe ). La moltiplicazione degli elettroni al primo dinodo e nei successivi èun processo statistico e la larghezza del picco del singolo fotoelettrone, visibile nello spettro di figura 5.2, è dovuta proprio alle fluttuazioni del numero finale di elettroni raccolti all anodo. Se consideriamo tali processi poissoniani e ci limitiamo a considerare solo le fluttuazioni al primo dinodo è possibile risalire dal valore di σ pe edical ad una stima del valore dell amplificazione al primo dinodo δ e verificare che tale stima sia verosimile (i valori tipici per l amplificazione al primo dinodo sono compresi tra 10 e 20). Le amplificazioni successive al primo dinodo possono essere trascurate in quanto, ad ogni dinodo, il numero degli elettroni emessi aumenta e conseguentemente diminuisce il contributo di tali processi alla larghezza del picco. Per processi

97 92 poissoniani infatti si ha σ µ = 1 (5.2) N dove, per il processo di amplificazione al primo dinodo del singolo fotoelettrone, µ indica il valore medio del picco (stimato dal parametro Cal), σ è dato dal parametro σ pe ed N è il numero medio di elettroni emessi e quindi rappresenta una stima di δ. Utilizzando i risultati del fit riportati in tabella 5.1 si ottiene δ 13, compatibile con i valori tipici sopra riportati Le misure della risposta di luce Le misure della risposta di luce vengono effettuate posizionando il cristallo e la sorgente di 60 Co come descritto precedentemente. In figura 5.4 è riportato come esempio uno spettro ottenuto senza contatto ottico posizionando la sorgente di cobalto a 19.5 cm dalla faccia piccola. Il piedistallo, Zero ottenuto dalla calibrazione, è stato già sottratto. Figura 5.4: Spettro ottenuto utilizzando la sorgente di 60 Co. riportate la funzione risultante dal fit e le sue componenti. In figura sono

98 5. Le misure con l apparato di riferimento 93 Su tale spettro viene eseguito un fit utilizzando una funzione composta da tre parti fondamentali, analogamente a quanto già visto per le misure presso il centro regionale: Due poissoniane per descrivere il picco dovuto all assorbimento degli elettroni per effetto fotoelettrico. Una funzione di Fermi-Dirac per tener conto delle interazioni Compton. Una gaussiana per descrivere il picco corrispondente al singolo fotoelettrone. A volte è necessario introdurre una seconda gaussiana corrispondente a due fotoelettroni. In questo modo il χ 2 del fit migliora ma, poichè tali gaussiane si limitano ai primi canali dello spettro, non si introducono cambiamenti rilevanti nella stima del parametro ly. Con tale fit è possibile quindi stimare il valore della risposta di luce (parametro ly). Per il fit in figura 5.4 i risultati sono riportati in tabella 5.2. Parametro Valore Errore ly [Npe/MeV] A p A CM T A N A N χ 2 (ν) 334(120) Tabella 5.2: Risultati del fit per lo spettro di figura 5.4. ν indica il numero di gradi di libertà. Effettuando diverse misure con la sorgente di 60 Co in posizioni diverse è possibile ottenere la curva di uniformità del cristallo. 5.3 La riproducibilità delle misure Una parte del lavoro è stata dedicata a verificare la riproducibilità delle misure di risposta di luce e di uniformità. Diverse misure sono state effettuate a temperature leggermente differenti ed ogni volta ricalibrando il sistema e levando e riposizionando il cristallo sul fototubo. In figura 5.5 sono

99 94 mostrate due misure di uniformità eseguite in momenti diversi ed a temperature diverse (17.6 o C e 18.3 o C) utilizzando un fototubo Philips modello Xp2262B (indicato successivamente con la sigla Xp2262B), il contatto ottico ed il wrapping, una condizione di misura quindi analoga a quanto specificato nei criteri di reiezione. Entrambe le misure sono poi riportate al valore a 18 o C considerando una variazione del Light Yield con la temperatura pari a-2%/ o C. Figura 5.5: Misure di uniformità eseguite in momenti diversi con il fototubo Philips modello Xp2262B. Le distanze sono misurate dalla faccia piccola. Come si può osservare le due misure danno entro gli errori sia lo stesso andamento della curva di uniformità sia gli stessi valori della risposta di luce. La riproducibilità delle misure è stata verificata anche per un secondo fototubo calibrato, modello R1847 della Hamamatsu (indicato successivamente con la sigla R1847), analogo al fototubo utilizzato presso il Centro Regionale. In figura 5.6 sono riportate due misure di uno stesso cristallo (numero 2118). Anche in questo caso le misure sono state effettuate con il wrapping ed il contatto ottico a diverse temperature e successivamente riportate a 18 o C.

100 5. Le misure con l apparato di riferimento 95 Cristallo 2118 Risposta di luce [Npe/MeV] PMT R1847 Wrapping e contatto ottico Distanza [cm] Figura 5.6: Misure di uniformità eseguite in momenti diversi con il fototubo Hamamatsu modello R1847. Le distanze sono misurate dalla faccia piccola del cristallo. 5.4 Confronto tra diversi fototubi Abbiamo visto prima che le condizioni di reiezione dei cristalli sono relative a misure effettuate con un fototubo Philips Xp2262B mentre per le misure eseguite presso il Centro Regionale INFN/ENEA si è scelto di utilizzare il fototubo Hamamatsu R1847. Come già detto questo fototubo è caratterizzato da una maggiore efficienza quantistica per le lunghezze d onda proprie dello spettro di emissione dei cristalli di PbWO 4. E importante quindi verificare che le misure di uniformità eseguite con i due fototubi diano gli stessi risultati. In figura 5.7 sono riportati i risultati di due misure di uniformità eseguite su uno stesso cristallo (il 2118) adoperando i due diversi fototubi. In entrambi icasisiè utilizzato il contatto ottico ed il wrapping. Le curve di uniformità sono normalizzate in modo da avere un valore medio pari ad 1. I due diversi fototubi hanno infatti diverse efficienze quantistiche e danno quindi valori differenti della risposta di luce ma devono dare la stessa curva di uniformità. Nel nostro caso le misure effettuate con i due fototubi sono in ottimo accordo. Il rapporto tra la risposta di luce misurata con il fototubo Xp2262B e la risposta di luce misurata con il fototubo R1847 è

101 96 Cristallo 2118 Risposta di luce (Norm.) Wrapping e contatto ottico PMT R1847 PMT Xp2262B Distanza [cm] Figura 5.7: Misure di uniformità effettuate con i fototubi R1847 e Xp2262B. Le curve di uniformità sono normalizzate in modo da avere valore medio pari ad 1. Le distanze sono misurate dalla faccia piccola. LY Xp2262B LY R1847 =0.548 ± (5.3) 5.5 Conversione da fotoelettroni a fotoni In un fototubo non tutti i fotoni incidenti sul fotocatodo vengono convertiti in fotoelettroni. Si definisce l efficienza quantistica (Q.E.) come: N. fotoni incidenti Q.E. = (5.4) N. fotoelettroni creati Per il fototubo R1847 è nota l efficienza quantistica in funzione della lunghezza d onda del fotone incidente ed è quindi possibile passare dall espressione della risposta di luce in termini di numero di fotoelettroni per MeV di energia depositata alla misura del numero di fotoni creati per MeV di energia depositata. E chiaro che, mentre il numero di fotoelettroni prodotto dipende dalle caratteristiche del fototubo utilizzato, la risposta di luce espressa come numero di fotoni emessi è una quantità legata al cristallo ed all efficienza della raccolta di luce (presenza o meno del wrapping e del contatto ottico).

102 5. Le misure con l apparato di riferimento 97 Figura 5.8: Efficienza quantistica del fototubo R1847 confrontato con lo spettro di emissione dei cristalli di PbWO 4 (in unità arbitrarie). L efficienza quantistica varia con la lunghezza d onda del fotone incidente sul fotocatodo ed è quindi necessario, per la conversione da fotoelettroni a fotoni, calcolare l efficienza quantistica media pesata con lo spettro di emissione dei cristalli di PbWO 4. In figura 5.8 sono riportati i valori dell efficienza quantistica del fototubo R1847 per 31 valori della lunghezza d onda (compresi tra 300 nm e 600 nm) assieme ai corrispondenti valori dello spettro di emissione (in unità arbitrarie) dei cristalli di PbWO 4. L efficienza quantistica media QE è definita come: 30 i=0 QE = QE(λ i) ε(λ i ) 30 i=0 ε(λ (5.5) i) dove λ i sono i 31 valori della lunghezza d onda, QE(λ i ) sono i corrispondenti valori dell efficienza quantistica e ε(λ i ) i corrispondenti valori dello spettro di emissione. In questo modo si ottiene QE =23.12 (5.6) Nel caso di misure effettuate con il fototubo Xp2262B per convertire il numero di fotoelettroni in numero di fotoni è necessario prima riportarsi,

103 98 tramite il coefficiente espresso nella (5.3), al numero di fotoelettroni che si avrebbero se la misura fosse effettuata con il fototubo R Confronto tra diverse configurazioni dell apparato di misura Introduzione Le misure della risposta di luce e dell uniformità svolte presso il Centro Regionale INFN/ENEA, dovendo essere eseguite in modo automatico, hanno caratteristiche diverse rispetto alle misure descritte nei paragrafi precedenti. In particolare non sarà possibile utilizzare il contatto ottico ed il cristallo non sarà poggiato direttamente sul fototubo. Alcune misure, discusse in questo capitolo, sono state effettuate con l apparato di riferimento al fine di comprendere quanto diverse configurazioni (presenza o meno del contatto ottico, distanza tra cristallo e fototubo) possano modificare le curve di uniformità ed i valori della risposta di luce Le misure senza contatto ottico Le misure riportate in figura 5.9 sono state eseguite utilizzando il cristallo 2118 avvolto nel tyvek e direttamente appoggiato, senza contatto ottico, al fototubo R1847. Le 4 serie di misure sono state effettuate a temperature diverse (20.6 o C, 22.0 o C, 22.2 o C e 22.4 o C), riposizionando ogni volta il cristallo sul fototubo, e successivamente riportate al valore della risposta di luce a 18 o C. La mancanza del contatto ottico causa una minore trasmissione di fotoni dal cristallo al fototubo e quindi una risposta di luce più bassa rispetto alle misure eseguite con il contatto ottico. In queste condizioni le curve di uniformità sono maggiormente soggette a fluttuazioni (figura 5.9) poiché, oltre alla maggiore larghezza intrinseca del fotopicco, il fit risulta meno stabile in quanto il fotopicco si trova più vicino al picco del singolo fotoelettrone. Le 4 curve di uniformità così ottenute risultano in buon accordo tra loro. Per confrontare i risultati delle due diverse configurazioni si è utilizzata la curva di uniformità media tra le 4 ottenute senza contatto ottico. In figura 5.10 tale curva è riportata assieme alle due curve di uniformità ottenute nelle misure con il contatto ottico e con i fototubi Xp2262B e R1847. Tutte le curve sono normalizzate in modo da avere valore medio pari ad 1. L accordo delle 3 curve è visibilmente buono e questo ci permette di concludere che i

104 5. Le misure con l apparato di riferimento 99 Cristallo 2118 Risposta di luce [Npe/MeV] PMT R1847 Wrapping senza Contatto Ottico Distanza [cm] Figura 5.9: Curve di uniformità ottenute da misure senza contatto ottico. risultati delle misure di uniformità sono indipendenti sia dal tipo di fototubo utilizzato sia dalla presenza o meno del contatto ottico Effetto della distanza tra cristallo e fototubo Se il cristallo non si trova in diretto contatto con il fototubo ma al contrario è presente una piccola distanza tra i due solo una frazione dei fotoni uscenti dalla faccia grande del cristallo sarà raccolta dal fotocatodo. Per studiare e quantificare la perdita della risposta di luce al variare della distanza tra cristallo e fototubo sono state eseguite diverse misure posizionando il cristallo su opportuni sostegni (vedi figura 5.11) di diverse altezze (0.5 mm, 1.0 mm, 1.5 mm, 3.0 mm e 5.0 mm). La sorgente di cobalto è stata posizionata a 19.5 cm dalla faccia piccola, valore per il quale la risposta di luce del cristallo risultava maggiore rispetto agli altri punti. Con lo stesso cristallo e con la sorgente radioattiva nella stessa posizione sono state effettuate anche 5 misure con il cristallo appoggiato al fototubo senza contatto ottico ed una misura con il contatto ottico. Il rapporto tra la risposta di luce misurata con il contatto ottico e la media delle 5 misure effettuate con il cristallo appoggiato al fototubo (indicate con No Cont. Ottico ) vale

105 100 Figura 5.10: Confronto tra misure con e senza contatto ottico. Le distanze sono misurate dalla faccia piccola. Le curve di uniformità sono normalizzate in modo da avere valore medio pari ad 1. Cristallo Sostegno Fototubo Angolo solido coperto dal fototubo Figura 5.11: Posizionamento del cristallo sui sostegni. Le dimensioni dei sostegni sono enfatizzate per maggiore chiarezza. In figura è rappresentata anche la frazione di angolo solido coperta dal fototubo.

106 5. Le misure con l apparato di riferimento 101 LY (Contatto Ottico) LY (No Cont. Ottico) =2.12 ± 0.08 (5.7) Tale quantità è stata anche calcolata teoricamente considerando superfici infinitamente estese e assumendo che ogni fotone che arrivi al fototubo contribuisca al segnale. Il valore che si ottiene è pari a 2.7, quindi maggiore rispetto al risultato sperimentale. Tale differenza può essere ricondotta al fatto che nella situazione reale cristallo e fototubo sono di dimensioni finite e quindi non tutti i fotoni che escono dal cristallo sono misurati. Inoltre nel calcolo teorico viene trascurato il fatto che la sensibilità del fototubo dipende dall angolo di incidenza del fotone sul fotocatodo. Per studiare se il valore di tale rapporto è influenzato dall effetto di channeling, ovvero di quei fotoni che rimangono nello spazio tra tyvek e cristallo (vedi figura 5.12), la stessa quantità è stata misurata utilizzando un diverso wrapping (detto corto): il tyvek non copre l intero cristallo ma lascia scoperti gli ultimi centimetri ed inoltre la parte finale del tyvek è stretta attorno al cristallo con del nastro adesivo. TYVEK CRISTALLO Figura 5.12: Effetto di channeling per un fotone. La risposta di luce ottenuta con il wrapping corto èminorerispettoal caso precedente (wrapping completo) LY (Wrapping Corto) LY (Wrapping Completo) 0.93 (5.8)

107 102 in quanto la zona lasciata scoperta determina una maggiore fuga dei fotoni di scintillazione. Il rapporto tra le misure con e senza contatto ottico risulta uguale, negli errori, al caso precedente LY (Contatto Ottico) =2.16 ± 0.06 (5.9) LY (No Cont. Ottico) Risposta di luce (Norm.) Distanza PMT-Cristallo [mm] Figura 5.13: Andamento della risposta di luce in funzione della distanza tra fototubo e cristallo. In figura è riportato anche il risultato del fit descritto nel testo. Per ogni valore della distanza tra fototubo e cristallo sono state effettuate 5 misure (ogni volta riposizionando il cristallo) e si è calcolato il valore medio. Su tali dati è stato eseguito un fit con la funzione f(x) che descrive la variazione dell angolo solido coperto dal fototubo in funzione della distanza x tra esso ed il cristallo. I risultati del fit sono: f(x) = a (1 + b x 2 ) 1/2 (5.10) a =(6.08 ± 0.08) Npe/MeV (5.11) b =(1.65 ± 0.30) 10 2 mm 2

108 5. Le misure con l apparato di riferimento 103 In figura 5.13 sono riportati i valori medi della risposta di luce per le diverse distanze tra cristallo e fototubo normalizzati al valore estrapolato tramite il fit corrispondente ad una distanza d = 0 (parametro a). In questo modo è possibile quantificare le perdite di luce dovute alla diversa copertura dell angolo solido. Ad esempio per una distanza tra fototubo e cristallo pari ad 1mmsiha LY (d = 1) 0.99 (5.12) LY (d = 0) corrispondente ad una perdita della risposta di luce dell 1%. Il valore della risposta di luce misurato con il cristallo in contatto con il fototubo (6.61 ± 0.26 Npe/MeV) non corrisponde al valore estrapolato dal fit con la funzione (5.10), parametro a, e questa differenza può essere ricondotta a processi non legati alla copertura dell angolo solido quali ad esempio una doppia riflessione dei fotoni nello spazio tra cristallo e fototubo prima di essere assorbiti da questo. Da notare che il valore della risposta di luce estrapolato dal fit rappresenta invece una condizione più simile alla configurazione ideale utilizzata nei calcoli teorici (copertura totale dell angolo solido da parte del fototubo e passaggio dei fotoni dal cristallo all aria e dall aria al fototubo) e utilizzando tale valore, indicato con LY(d = 0), si trova LY (Contatto Ottico) LY (d = 0) =2.30 ± 0.03 (5.13) più vicino al valore teorico. Utilizzando tale valore ed i risultati di figura 5.13 è possibile risalire da misure effettuate con il fototubo ad una distanza d dal cristallo alla risposta di luce che si avrebbe utilizzando il contatto ottico, ovvero nella condizione prevista nel criterio di reiezione. 5.7 Il calcolo di FNUF e RNUF Nei capitoli precedenti (3.4.2) sono state introdotte le due grandezze, FNUF e RNUF, utilizzate per quantificare la uniformità di un cristallo. In particolare la FNUF ha un importanza rilevante in quanto descrive la pendenza della curva di uniformità nella zona tra 3.5 cm e 11.5 cm dalla faccia piccola del cristallo, ovvero nella regione corrispondente alla posizione del massimo di uno sciame elettromagnetico. Abbiamo visto che in tale regione è richiesta

109 104 Figura 5.14: Fit lineare per il calcolo di FNUF e RNUF. una pendenza minore di 0.35%/X 0 e tale pendenza viene valutata proprio calcolando la FNUF della curva di uniformità. Le grandezze FNUF e RNUF così definite mostrano tuttavia alcuni problemi quando vengono utilizzate per descrivere curve di uniformità maggiormente soggette a fluttuazioni, come quelle incontrate nel caso di misure eseguite senza contatto ottico. In questi casi infatti la fluttuazione dei punti sperimentali può alterare il risultato del fit lineare e si possono ottenere valori anche molto diversi per curve di uniformità simili. Un esempio di fit lineare per la determinazione delle due grandezze è riportato in figura Se calcoliamo i valori di FNUF e RNUF per le 4 misure senza contatto ottico di figura 5.9 e per la curva di uniformità media si ottengono i risultati riportati in tabella 5.3. I valori della RNUF calcolati per le 4 misure sperimentali e per la curva media sono molto simili tra loro in quanto nella regione più lontana dalla faccia piccola l andamento discendente della curva di uniformità è molto marcato ed il fit lineare riesce a riprodurlo correttamente anche in presenza di fluttuazioni dei dati. Al contrario nella regione più vicina alla faccia piccola, comprendente i punti utilizzati per il calcolo della FNUF, cade il minimo della curva e si ha quindi una prima parte discendente ed una seconda ascendente. Il fit lineare

110 5. Le misure con l apparato di riferimento 105 Misura FNUF (%/X 0 ) RNUF (%/X 0 ) Media Tabella 5.3: FNUF e RNUF per le misure senza contatto ottico. non è in grado di descivere correttamente tale situazione e le fluttuazioni dei punti portano a valori dei coefficienti A F molto diversi tra loro e, in un caso, anche di segno opposto. Per risolvere questo problema diversi studi sono stati fatti per cercare una procedura per il calcolo delle due grandezze FNUF e RNUF che assicurasse maggiore stabilità dei risultati. Risultati migliori si ottengono eseguendo un fit con un polinomio di terzo grado su tutti i punti del cristallo compresi tra 3.5 cm e 19.5 cm dalla faccia piccola, dunque sfruttando l intera informazione sperimentale. Si calcolano poi i valori della curva risultante dal fit in corrispondenza di 3.5 cm, 11.5 cm e 19.5 cm dalla faccia piccola, indicati successivamente con LY(3.5), LY(11.5) e LY(19.5) (vedi figura 5.15). La FNUF è definita come FNUF = LY (11.5) LY (3.5) 8 1 LY (11.5) (5.14) e rappresenta quindi ancora una stima della pendenza della curva di uniformità normalizzata alla risposta di luce al centro del cristallo (11.5 cm dalla faccia piccola). La RNUF è definita analogamente come RNUF = LY (19.5) LY (11.5) 8 1 LY (11.5) (5.15) I valori così ottenuti sono riportati in tabella 5.4. Le fluttuazioni si sono sensibilmente ridotte rispetto al caso precedente; i valori di RNUF risultano comunque sempre più stabili rispetto ad i valori di FNUF. Una seconda procedura possibile consiste nello stimare la pendenza della curva di uniformità tramite il coefficiente angolare della tangente alla curva

111 106 Figura 5.15: Fit polinomiale per il calcolo di FNUF e RNUF. Misura FNUF (%/X 0 ) RNUF (%/X 0 ) Media Tabella 5.4: FNUF e RNUF calcolate tramite il fit polinomiale per misure senza contatto ottico.

112 5. Le misure con l apparato di riferimento 107 risultante dal fit polinomiale descritto precedentemente nei punti corrispondenti a x = 7.5 cm (per il calcolo di FNUF) e x = 15.5 cm (per il calcolo di RNUF), vedi figura Indicando con m F e m R tali coefficienti, FNUF e RNUF sono definite come: FNUF = m F LY (11.5) (5.16) RNUF = m R LY (11.5) (5.17) Figura 5.16: Utilizzo delle tangenti al fit polinomiale per il calcolo di FNUF e RNUF. I valori così ottenuti sono riportati in tabella 5.5. La stabilità dei risultati delle tre procedure può essere controllata considerando le quantità: F MAX pari alla massima differenza tra due valori di FNUF. F MAX / <FNUF> pari alla differenza massima tra due valori di FNUF diviso il valore medio dei 4 valori (<FNUF>).

113 108 Misura FNUF (%/X 0 ) RNUF (%/X 0 ) Media Tabella 5.5: FNUF e RNUF calcolate tramite le tangenti al polinomio di terzo grado per misure senza contatto ottico. (<FNUF> - FNUF M ) corrispondente alla differenza tra il valor medio <FNUF> ed il valore ottenuto dalla curva media (FNUF M ). (<FNUF> - FNUF M )/<FNUF> corrispondente alla differenza tra il valor medio <FNUF> ed il valore ottenuto dalla curva media (FNUF M ), normalizzata al valor medio <FNUF>. eleanalogheperlarnuf. In tabella 5.6 sono riportate tali grandezze calcolate per le tre diverse definizioni di FNUF e RNUF. tramite tramite tramite fit lineare fit polinomiale tangenti F MAX F MAX /<FNUF> <FNUF>-FNUF M (<FNUF>-FNUF M )/<FNUF> R MAX R MAX /<RNUF> <RNUF>-RNUF M (<RNUF>-RNUF M )/<RNUF> Tabella 5.6: Fluttuazioni nei valori di FNUF e RNUF calcolati con le tre diverse procedure. Dai valori riportati in tabella 5.6 risultano sensibilmente più stabili le determinazioni di FNUF tramite le due procedure che utilizzano il fit polinomiale mentre per la RNUF le tre procedure risultano ugualmente stabili.

114 Capitolo 6 L intercalibrazione 6.1 Introduzione Nel capitolo dedicato al centro regionale INFN/ENEA è stato già messo in evidenza come presso tale struttura le misure della risposta di luce e dell uniformità siano realizzate in condizioni diverse rispetto a quelle specificate nei criteri di reiezione adottati per il controllo di qualità dei cristalli. Per 20 cristalli tali misure sono state effettuate sia tramite il sistema automatico ACCOS sia tramite l apparato di riferimento descritto nel quinto capitolo. In questo ultimo caso le caratteristiche delle misure rispettavano tutte le condizioni previste nei criteri di reiezione (fototubo Xp2262B, contatto ottico, cristallo avvolto nel tyvek). I risultati di tali misure sono discussi nel paragrafo 6.2 ed hanno confermato la capacità del sistema automatico ACCOS di riprodurre correttamente le curve di uniformità e di effettuare misure della risposta di luce. Per il controllo di qualità dei cristalli un secondo centro regionale è stato realizzato presso il CERN. I due centri regionali non utilizzano identiche procedure di misura ma si è preferito sfruttare al meglio in ognuno di essi le competenze presenti e successivamente procedere ad una intercalibrazione tra i due sistemi misurando, presso entrambi, un elevato numero di cristalli. Presso l apparato di riferimento sono state effettuate alcune misure al fine di determinare la configurazione ottimale da adottare presso il centro regionale INFN/ENEA. Tale configurazione deve essere in grado di riprodurre i medesimi risultati che si ottengono presso il centro regionale del CERN ma al contempo deve assicurare una risposta di luce non troppo bassa per evitare eccessive fluttuazioni dei risultati. I risultati di tali misure sono discussi nel paragrafo 6.3. Infine un primo campione di 20 cristalli è stato misurato sia presso il 109

115 110 centro regionale del CERN sia presso il centro regionale INFN/ENEA utilizzando le 2 configurazioni suggerite dalle precedenti misure presso l apparato di riferimento. Tale confronto (paragrafo 6.4) ha permesso di determinare la configurazione più idonea da utilizzare presso il centro regionale INFN/ENEA. 6.2 Confronto tra le misure del centro regionale INFN/ENEA e dell apparato di riferimento Introduzione Per verificare le misure realizzate presso il centro regionale INFN/ENEA tramite il sistema automatico ACCOS, per 20 cristalli, appartenenti a diverse tipologie (vedi tabella 6.1), sono state effettuate misure della risposta di luce e dell uniformità con l apparato di riferimento (utilizzando il contatto ottico ed il wrapping secondo le modalità descritte nel quinto capitolo). Queste misure sono state quindi confrontate con le analoghe effettuate con ACCOS. I risultati di tali misure sono discussi in questo paragrafo. Codice Cristallo Tipo Codice Cristallo Tipo Right Left Right Left Right Left Right Left Right Left Right Right Right Right Left Left Left Left Left Left Tabella 6.1: Elenco dei cristalli utilizzati Misure di uniformità Le misure di uniformità sono state realizzate in entrambi i casi posizionando, per la prima misura, la sorgente di cobalto ad 1.5 cm dalla faccia piccola e

116 6. L intercalibrazione 111 Figura 6.1: Confronto tra curve di uniformità ottenute presso il centro regionale INFN/ENEA e con l apparato di riferimento. spostando tale sorgente lungo l asse longitudinale del cristallo di 1 cm per le misure successive fino ad arrivare alla distanza di 21.5 cm dalla faccia piccola, per un totale di 21 punti. Le curve di uniformitàcosì ottenute presso i due diversi apparati risultano in buon accordo. Come esempio in figura 6.1 sono riportati i risultati relativi a 4 cristalli appartenenti a diverse tipologie. Le curve di uniformità sono normalizzate in modo da avere valore medio pari ad 1 e le distanze sono misurate dalla faccia piccola del cristallo.

117 112 Per confrontare le uniformità ottenute presso i due diversi apparati è possibile utilizzare le due grandezza FNUF e RNUF introdotte nel paragrafo Per ogni cristallo tali grandezze sono state calcolate utilizzando la procedura tramite fit polinomiale descritta nel paragrafo 5.7 considerando sia la curva di uniformità ottenuta presso il centro regionale INFN/ENEA sia quella ottenuta tramite l apparato di riferimento. Il valore medio delle differenze tra i valori di RNUF ottenuti in questo modo vale: <RNUF C.R. RNUF App.Rif. >=(0.00 ± 0.05)%/X 0 (6.1) mentre per la FNUF si ha: <FNUF C.R. FNUF App.Rif. >=( 0.01 ± 0.05)%/X 0 (6.2) Entrambi i valori sono compatibili con zero ed indicano quindi l assenza di una differenza sistematica tra le uniformità ottenute tramite i due differenti apparati. I valori della FNUF relativi alle curve di uniformità misurate presso il centro regionale INFN/ENEA sono riportati in figura 6.2 in funzione dei corrispondenti valori relativi alle misure effettuate presso l apparato di riferimento. Le linee orizzontali e verticali sono tracciate in corrispondenza dei valori della FNUF pari a ± 0.35%/X 0 (che rappresentano i limiti dell intervallo di accettazione per tale parametro) mentre la linea continua è la bisettrice del quadrante. I risultati delle selezioni effettuate utilizzando le misure dell apparato di riferimento o del centro regionale INFN/ENEA coincidono ad eccezione di un singolo cristallo (codice 4021) che risulta idoneo per l apparato di riferimento (FNUF = 0.26%/X 0 ) e non idoneo per il centro regionale (FNUF = 0.49%/X 0 ). Il differente risultato dei due apparati può essere ricondotto alla presenza di fluttuazioni nelle curve di uniformità misurate presso il centro regionale INFN/ENEA, particolarmente evidenti nel caso del cristallo 4021 (vedi figura 6.3). Tali fluttuazioni, già incontrate nelle misure senza contatto ottico eseguite presso l apparato di riferimento (vedi paragrafo 5.6.2), sono dovute al numero ridotto di fotoelettroni misurati che comporta anche una maggiore instabilità del fit. Nel caso delle misure realizzate con l apparato di riferimento si era trovata una differenza massima tra due determinazioni della FNUF di 0.19%/X 0, pari a circa 7 volte il valore medio della FNUF. Se la pendenza della curva è lontana dai limiti fissati per il controllo di qualità le variazioni nella FNUF indotte dalle fluttuazioni dei punti sperimentali non causano diversità nei risultati della selezione tra i due apparati.

118 6. L intercalibrazione 113 Figura 6.2: Valori di FNUF ottenuti presso il centro regionale INFN/ENEA e presso l apparato di riferimento. Figura 6.3: Curve di uniformità normalizzate ottenute presso il centro regionale INFN/ENEA e tramite l apparato di riferimento per il cristallo 4021.

119 114 Al contrario se la pendenza della curva di uniformità è prossima ad uno dei limiti, come nel caso del cristallo 4021, tali fluttuazioni sono sufficienti per spostare il valore della FNUF misurata presso il centro regionale oltre il massimo consentito causando la diversità di giudizio. Per quantificare le fluttuazioni dei valori della FNUF si può considerare la media dei valori assoluti delle differenze ottenute tra i due centri regionali. Tale grandezza vale 0.17 %/X 0. Per verificare ulteriormente che non vi sia una differenza sistematica tra le curve di uniformità misurate tramite i due apparati che possa causare differenze nella determinazione della FNUF si è calcolato, per ogni posizione della sorgente lungo l asse del cristallo, il valore medio e la deviazione standard del rapporto tra le misure eseguite presso il centro regionale e quelle eseguite presso l apparato di riferimento. L andamento di tali valori medi in funzione della posizione della sorgente è riportato in figura 6.4 (l errore associato ad ogni punto è dato dalla deviazione standard dei dati diviso N, dove N indica il numero dei cristalli). Figura 6.4: Andamento del rapporto tra le misure effettuate con ACCOS e tramite l apparato di riferimento al variare della distanza dalla faccia piccola del cristallo. La retta tracciata è il risultato del fit lineare descritto nel testo. Eseguendo un fit lineare nella regione compresa tra 3.5 cm ed 11.5 cm

120 6. L intercalibrazione 115 dalla faccia grande (quindi nella zona utilizzata per il calcolo della FNUF) si ottiene: LY (INFN/ENEA) LY (App. Riferimento) = a + b Distanza a =0.396 ± (6.3) b =(5± 8)10 5 cm 1 Il parametro b risulta molto piccolo e compatibile con zero. Il rapporto non dipende dunque dalla distanza (tra il primo punto, posizionato a 3.5 cm, e l ultimo punto, posizionato a 11.5 cm, si ha una variazione del valore medio pari a circa 0.1%) La risposta di luce La configurazione utilizzata per le misure presso il centro regionale (mancanza di contatto ottico, diverso wrapping, distanza tra cristallo e fototubo di circa 1 mm) determina un valore della risposta di luce minore rispetto alle misure eseguite tramite l apparato di riferimento. Per ogni misura eseguita (quindi 21 misure per ognuno dei 20 cristalli per un totale di 420 misure) si può calcolare il rapporto tra la risposta di luce ottenuta con l apparato di riferimento e la risposta di luce ottenuta presso il centro regionale. In figura 6.5 è riportato la distribuzione di tali valori assieme alla gaussiana ottenuta effettuando un fit su di essi. Il valore medio (m) e la deviazione standard (σ) della gaussiana risultano pari a: m = ± σ = ± (6.4) Il valore medio di tale gaussiana rappresenta quindi il fattore di calibrazione tra le misure effettuate con ACCOS e le misure effettuate utilizzando tutte le condizioni fissate nei criteri di reiezione. Sappiamo che il rapporto tra le misure della risposta di luce effettuate con contatto ottico (apparato di riferimento) e le misure effettuate senza contatto ottico e con una distanza di circa 1 mm tra cristallo e fototubo (centro regionale) vale circa 2.32 (paragrafo 5.6.3). Il rapporto tra le misure effettuate con il fototubo Xp2262B (apparato di riferimento) o il fototubo R1847 (centro regionale) vale circa 0.55 (parametro 5.3). Il rapporto tra

121 116 Figura 6.5: Distribuzione del rapporto tra la risposta di luce misurata presso il centro regionale INFN/ENEA e la risposta di luce misurata presso l apparato di riferimento.

122 6. L intercalibrazione 117 le misure effettutate presso le due strutture dovuto solo a tali differenze di configurazione è LY (Config. INFN/ENEA) =0.78 ± 0.04 (6.5) LY (Config. App. Riferimento) La differenza tra tale valore ed il valore medio del rapporto tra le misure effettuate con ACCOS o con l apparato di riferimento (vedi 6.4) può essere ricondotto al diverso wrapping utilizzato. Le misure riportate in questo paragrafo hanno confermato la capacità del sistema automatico ACCOS realizzato presso il centro regionale INFN/ENEA di effettuare misure di uniformità e della risposta di luce. In particolare si è definito il coefficiente di calibrazione tra tali misure e le misure effettuate utilizzando la configurazione prevista dai criteri di reiezione. Il sistema AC- COS dovrà inoltre produrre delle misure consistenti con quelle effettuate da un secondo centro regionale realizzato presso il CERN. Il lavoro svolto per raggiungere tale risultato è presentato nei prossimi paragrafi. 6.3 Confronto tra le misure effettuate presso il centro regionale del CERN e tramite l apparato di riferimento Introduzione Presso il CERN è stato realizzato un secondo centro regionale (indicato successivamente con la sola sigla CERN) con compiti analoghi a quelli già descritti per il centro regionale INFN/ENEA. In particolare in tale centro saranno eseguite misure di uniformità e di risposta di luce per il controllo di qualità dei cristalli di PbWO 4. Tali misure sono effettuate con modalità differenti rispetto a quanto precedentemente descritto per il centro regionale INFN/ENEA o per l apparato di riferimento e vengono successivamente riportate ai risultati che si otterrebbero con la configurazione definita nei criteri di reiezione (contatto ottico, fototubo Xp2262B, wrapping). Per rendere la misura di uniformità più simile a quella che si avrebbe utilizzando per la rivelazione dei fotoni una coppia di APD (vedi paragrafo 3.4.2), una maschera nera viene posizionata sul fototubo. Con l apparato di riferimento sono state effettuate più misure della risposta di luce e dell uniformità per 4 cristalli (4020, 4026, 4027, 4103) senza maschera o con maschere diverse per definire la configurazione ottimale

123 118 da adottare presso il centro regionale INFN/ENEA. Per tutte le misure si sono rispettate le condizioni fissate dai criteri di reiezione (contatto ottico, fototubo Xp2262B, cristallo avvolto nel tyvek) Misure di uniformità Le misure di uniformità sono state eseguite per ognuno dei 4 cristalli senza maschera ed utilizzando due differenti maschere. Una prima maschera definita stretta con un apertura di circa cm 2, molto simile alle dimensioni della faccia grande del cristallo ( cm 2 ), ed una seconda definita larga con un apertura leggermente maggiore (circa cm 2 ). L utilizzo della maschera stretta permette di ottenere curve di uniformità molto simile a quelle misurate al CERN ma determina una sensibile perdita della risposta di luce rispetto alle misure eseguite senza maschera. Il rapporto tra le misure effettuate con queste due configurazioni vale infatti: LY (Masch. Stretta) LY (No Maschera) =0.83 ± 0.02 (6.6) In figura 6.6 sono riportate come esempio le curve di uniformità ottenute al CERN e presso l apparato di riferimento con e senza maschera per un cristallo (numero 4103). Le distanze sono misurate dalla faccia piccola del cristallo e le curve di uniformità sono normalizzate in modo da avere valore medio pari ad 1 (per la normalizzazione della curva ottenuta al CERN non si è tenuto conto dell ultimo punto). La maschera più larga determina una minore riduzione della risposta di luce, pari a circa il 15% rispetto alle misure eseguite senza alcuna maschera, ma lascia scoperta una regione del fototubo non coperta dal cristallo. Anche se le dimensioni di tale regione sono molto limitate le curve di uniformità che si ottengono risultano simili al caso senza alcuna maschera e quindi diverse dalle curve di uniformità misurate al CERN. In figura 6.7 è riportata la curva di uniformità del cristallo 4103 ottenuta utilizzando la maschera larga confrontata con le curve di uniformità ottenute presso l apparato di riferimento senza alcuna maschera e presso il CERN. Le curve sono normalizzate in maniera analoga a quanto descritto per la figura 6.6. Per essere in grado di riprodurre correttamente le curve di uniformità ottenute presso il centro regionale del CERN è quindi necessario utilizzare la maschera con apertura minore. Tutte le misure riportate successivamente in questo paragrafo sono state effettuate con tale maschera. Al fine di accertarsi che non vi sia una differenza sistematica rilevante tra le curve di uniformità ottenute al CERN o tramite l apparato di riferimento

124 6. L intercalibrazione 119 Figura 6.6: Curve di uniformità ottenute al CERN e presso l apparato di riferimento con la maschera stretta e senza. Le curve sono normalizzate e le distanze sono misurate dalla faccia piccola del cristallo. Figura 6.7: Curve di uniformità ottenute al CERN e presso l apparato di riferimento senza maschera o con la maschera larga posizionata sul fototubo. Le curve sono normalizzate e le distanze sono misurate dalla faccia piccola del cristallo.

125 120 con la maschera stretta, per ogni distanza dalla faccia piccola del cristallo alla quale viene eseguita una misura si è calcolato il valore medio e la deviazione standard del rapporto tra i valori della risposta di luce. L andamento di tali valori medi è riportato in figura 6.8 (l errore associato ad ogni punto èdato dalla deviazione standard dei dati diviso N,doveN indica il numero dei cristalli). Figura 6.8: Andamento del rapporto tra le misure eseguite al CERN e le misure eseguite presso l apparato di riferimento in funzione della posizione lungo l asse del cristallo. Le distanze sono misurate dalla faccia piccola. L andamento risulta chiaramente lineare con una pendenza molto piccola. Eseguendo un fit lineare su tali dati nell intervallo da 3.5 cm a 11.5 cm si ottiene infatti: LY (CERN) LY (App. di Riferimento-Masch) = a + b Distanza a =0.995 ± (6.7) b =( 2 ± 7)10 4 cm 1 Il valore medio della retta (corrispondente ad una distanza di 7.5 cm) è pari a e la differenza tra il primo punto della retta (3.5 cm) e l ultimo (11.5 cm) e pari a circa , ovvero a circa 0.2% del valore medio.

126 6. L intercalibrazione La risposta di luce Per ogni misura effettuata (quindi 21 punti per ogni cristallo per un totale di 84 misure) si è calcolato il rapporto tra i risultati ottenuti presso il CERN e presso l apparato di riferimento utilizzando la maschera stretta. La distribuzione di tali valori è riportata in figura 6.9. Figura 6.9: Distribuzione dei rapporti tra le misure effettuate al CERN e le misure effettuate presso l apparato di riferimento utilizzando una maschera sul fototubo. La curva riportata è il risultato del fit descritto nel testo. Eseguendo un fit con una funzione gaussiana si può stimare il valore medio (m) e la deviazione standard (σ):

127 122 m = ± σ = ± (6.8) Le misure discusse in questo capitolo evidenziano una buona riproducibilità dei risultati ottenuti presso il CERN se si utilizza una maschera stretta sul fototubo. Tale scelta determina tuttavia una sensibile diminuzione della risposta di luce. Può quindi risultare conveniente non utilizzare alcuna maschera sul fototubo e successivamente correggere le curve di uniformità in modo da riprodurre i risultati in caso di utilizzo di una maschera stretta. La scelta della configurazione migliore è stata determinata tramite verifiche dirette discusse nel prossimo paragrafo. 6.4 Confronto tra le misure effettuate presso i centri regionali INFN/ENEA e CERN Introduzione I due centri regionali nei quali verrà effettuato il controllo di qualità dei cristalli (indicati successivamente con le sigle INFN/ENEA e CERN) utilizzano differenti metodologie per la misura della risposta di luce e dell uniformità edè necessaria quindi una intercalibrazione tra i due sistemi ACCOS presenti in tali centri. I due centri regionali dovranno essere in grado di ottenere uguali misure di uniformità e di risposta di luce così da selezionare nello stesso modo i cristalli. Per verificare tale capacità e per definire la configurazione di misura ottimale da utilizzare presso il centro regionale INFN/ENEA il primo campione di 20 cristalli, già misurati con l apparato di riferimento, è stato analizzato. Nel caso delle misure eseguite presso il centro regionale INFN/ENEA, esse sono state realizzate con e senza maschera stretta in modo da definire la configurazione ottimale. I risultati di tali misure sono discussi in questo paragrafo Le misure con la maschera Nel paragrafo precedente abbiamo visto che per riprodurre le curve di uniformità ottenute presso il CERN è necessario utilizzare una maschera nera sul fototubo. Tale scelta comporta però una notevole diminuzione della risposta di luce e quindi un aumento delle fluttuazioni delle curve di uniformità ottenute presso il centro regionale INFN/ENEA.

128 6. L intercalibrazione 123 Una prima serie di misure sono state eseguite presso il centro INFN/ENEA posizionando tale maschera sul fototubo. Le curve di uniformità che si ottengono in questo modo risultano molto simili ai risultati ottenuti presso il CERN (vedi come esempio figura 6.10). Le rette tracciate sono il risultato di fit lineari eseguiti sui dati nell intervallo tra 3.5 cm e 19.5 cm dalla faccia piccola e servono ad evidenziare maggiormente la differenza tra l uniformità ottenuta presso il CERN e presso il centro regionale INFN/ENEA con la maschera (linee continue) e l uniformità ottenuta senza maschera (linea tratteggiata). Figura 6.10: Curve di uniformità normalizzate ottenute presso il centro regionale INFN/ENEA con e senza maschera e presso il centro regionale del CERN. In maniera analoga a quanto descritto precedentemente si è calcolato il valore medio del rapporto tra la risposta di luce misurata presso il CERN e presso il centro INFN/ENEA in funzione della posizione lungo l asse del cristallo. Tali valori sono riportati in figura Nella regione rilevante per la determinazione della FNUF (compresa tra 3.5 cm ed 11.5 cm dalla faccia piccola) è stato eseguito un fit lineare i cui risultati sono:

129 124 Figura 6.11: Andamento del rapporto tra le misure effettuate presso il centro regionale del CERN e presso il centro regionale INFN/ENEA utilizzando una maschera sul fototubo. La retta tracciata è il risultato del fit lineare descritto nel testo. LY (C.R. CERN) LY (C.R. INFN/ENEA) = a + b Distanza a =2.47 ± 0.01 (6.9) b =(0± 1)10 3 cm 1 In tale regione l andamento si può quindi considerare piano. L inverso del rapporto delle misure così ottenuto rappresenta il coefficiente di calibrazione tra le due diverse configurazioni e vale: LY (C.R. INFN/ENEA ) LY (C.R. CERN) =0.405 ± (6.10) e risulta quindi in buon accordo con il fattore di calibrazione trovato precedentemente (0.397 ± 0.002, vedi equazione 6.4). Ad ulteriore conferma dell assenza di una differenza sistematica tra le curve di uniformità ottenute presso i due centri regionali che possa determinare differenze tra i valori della FNUF, si è calcolato il valore medio della

130 6. L intercalibrazione 125 differenza tra la FNUF ottenuta presso il CERN e presso il centro regionale INFN/ENEA. Tale valore risulta molto piccolo e compatibile con zero: <FNUF CERN FNUF C.R.INF N >=(0.04 ± 0.04)%/X 0 (6.11) La stessa quantità calcolata nel caso della RNUF invece si discosta sensibilmente da zero in quanto nella regione della curva di uniformità descritta da tale grandezza (compresa tra 11.5 cm e 19.5 cm dalla faccia piccola del cristallo) si osserva una sensibile variazione del rapporto tra le misure effettuate presso il CERN e presso il centro INFN/ENEA. <RNUF CERN RNUF C.R.INF N >=(0.54 ± 0.07)%/X 0 (6.12) Il segno positivo di tale grandezza è in accordo con l aumento del rapporto delle misure effettuate presso il CERN e presso il centro INFN/ENEA all aumentare della distanza dalla faccia piccola ben visibile in figura La variazione massima di tale rapporto rispetto al valore medio è di circa il 5%. In prossimità del fototubo infatti bastano piccole variazioni nella configurazione (tyvek diverso, maschera non perfettamente centrata,... ) per causare sensibili variazioni della risposta di luce. E necessario comunque sottolineare che una differenza sistematica tra le RNUF ottenute presso i due centri regionali non rappresenta un problema in quanto tale parametro non rientra in alcun criterio di reiezione. Anche in questo caso le fluttuazioni della FNUF possono essere quantificati considerando la media dei valori assoluti delle differenze tra le misure effettuate presso i due centri regionali. Tale grandezza in questo caso vale 0.15 %/X 0. La distribuzione dei valori del rapporto tra le diverse misure nell intervallo tra 3.5 cm e 11.5 cm dalla faccia piccola è riportata in figura Su tali dati è stato effettuato un fit con una funzione gaussiana i cui risultati sono: m = ± σ = ± (6.13) dove m indica il valore medio e σ la deviazione standard. Il valore medio così ottenuto risulta ancora in accordo con le precedenti determinazioni del fattore di calibrazione tra le due diverse configurazioni.

131 126 Figura 6.12: Distribuzione dei rapporti tra le misure effettuate al CERN e le misure effettuate presso il centro regionale INFN/ENEA utilizzando una maschera sul fototubo. La curva riportata è il risultato del fit descritto nel testo.

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