Osservatorio sulla giurisprudenza civile al 31 marzo 2014 a cura di Ottavio Grasso

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1 Osservatorio sulla giurisprudenza civile al 31 marzo 2014 a cura di Ottavio Grasso 1. Corte di Cassazione, Sez. III, n.3622 del 17 febbraio 2014: la clausola claim made consente un ampia copertura assicurativa e l alea del contratto non è scalfita. Con la sentenza in commento la Suprema Corte, si è posta la questione se sia valido il contratto di assicurazione che preveda la copertura assicurativa anche relativamente a comportamenti colposi dell assicurato commessi in passato, anche se non ancora conosciuti come fatti dannosi (c.d. clausola claim made). La Corte d Appello sul presupposto che l alea è un elemento essenziale ed indefettibile del contratto di assicurazione, aveva ritenuto nullo il contratto, laddove esso escludeva la responsabilità dell assicuratore per fatti dolosi dell assicurato, in quanto il dolo altera, in modo del tutto irrazionale, le possibilità di previsione e preventiva valutazione del rischio assicurato, così alterando il rischio tipico del contratto. La Suprema Corte osserva, però, che in tal modo la Corte territoriale ha ingiustificatamente ritenuto l inesistenza del rischio, mentre in realtà esso esiste, sebbene sia di natura e consistenza diversa da quella avente ad oggetto comportamenti colposi del professionista. Inoltre si è così omesso di considerare che l estensione della copertura ai comportamenti anteriori alla stipulazione della polizza è frutto di una precisa scelta dell assicuratore, che, di sua iniziativa, inserisce la clausola fra le condizioni generali di contratto (presumibilmente a fini promozionali), sulla base di una consapevole valutazione dei rischi. La Suprema Corte spiega, altresì, che l alea attiene propriamente non alla possibilità che l assicurato tenga comportamenti colposi, ma che li abbia commessi in passato, pur non essendo ancora a conoscenza della loro illiceità o della loro idoneità a produrre un danno. Non può pertanto ritenersi che, per il solo fatto che la condotta sia stata tenuta in epoca anteriore alla conclusione del contratto, per ciò solo venga meno l alea del contratto. 1

2 Essa, infatti, non riguarda i comportamenti passati nella loro materialità, quanto, piuttosto, la consapevolezza da parte dell assicurato del loro carattere colposo e della loro idoneità ad arrecare danno a terzi. In secondo luogo, non è detto che qualunque comportamento colposo induca il danneggiato a proporre domanda di risarcimento dei danni. Sotto entrambi i profili l'assicurazione copre eventi incerti e peculiari tipi di rischi, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello. Tra l altro, aggiungono i giudici di Piazza Cavour, i contratti contenenti la clausola claim made normalmente delimitano la garanzia a non più di due o tre anni prima della sottoscrizione della polizza, e coprono i casi in cui l'assicurato non sia a conoscenza dell'illecito pregresso, dei relativi effetti dannosi e dell'intenzione del danneggiato di agire in risarcimento, mantenendo, comunque, la possibilità di opporre all'assicurato la responsabilità e gli effetti delle dichiarazioni inesatte o reticenti, ai sensi degli art e 1893 c.c. La Suprema Corte precisa, infine, che le clausole claim made sono predisposte dallo stesso assicuratore, nelle condizioni generali di contratto. In aderenza a quanto accade nella realtà dei casi deve ritenersi che, se prevedono effetti vantaggiosi per l'assicurato, ciò è frutto di scelte meditate e consapevoli, nonché di un'attenta valutazione dei rischi e della remuneratività del corrispettivo convenuto come premio, pur in relazione ai sinistri verificatisi in data anteriore. 2. Corte di Cassazione, Sez. III, n del 20 febbraio 2014: il collegamento funzionale tra la vendita e la locazione finanziaria fa si che i vizi genetici o funzionali si diffondano dall'uno all'altro dei due contratti collegati. Il Supremo Collegio si occupa del rapporto esistente tra il contratto di leasing e quello di vendita avente, ad oggetto il bene da concedere in locazione finanziaria, stipulato dal lessor (concedente) secondo le indicazioni del leaser (utilizzatore), nonché sulle azioni esperibili dal concedente e dall utilizzatore nei confronti del fornitore-venditore. Era stata prospettata la tesi secondo cui, nell operazione economica nella quale il venditore aliena il bene al concedente, che, a propria volta, lo cede in locazione finanziaria ad un terzo (utilizzatore), 2

3 tale contratto possa essere annullato per vizio del consenso solo se questo incide sulla formazione della volontà dell'utilizzatore, ma non anche del concedente. La Corte chiarisce, anzitutto, che il contratto di acquisto di un bene, destinato ad essere concesso in leasing, e compiuto nella veste di acquirente dal lessor (concedente) secondo le indicazioni del leaser (utilizzatore), è un contratto distinto e autonomo dal contratto di leasing stipulato o stipulando tra concedente ed utilizzatore. I due contratti, però, sono tra loro collegati, e può anche accadere, sebbene non si tratti di elemento indefettibile, che il concedente agisca nella veste di mandatario dell'utilizzatore, ma ciò solo non è sufficiente a privare di autonomo rilievo il consenso dell acquirente-concedente nei rapporti con il venditore. La Corte spiega le ragioni. Anzitutto il concedente, anche quando acquisti il bene nella veste di mandatario dell'utilizzatore, agisce pur sempre come mandatario in rem propriam e senza rappresentanza, con la conseguenza che la volontà rilevante ai fini della validità del contratto resta pur sempre quella dell'acquirenteconcedente e non quella del futuro utilizzatore. In secondo luogo il presupposto del contratto di leasing è la proprietà o comunque la legittima disponibilità giuridica, in capo al concedente, del bene concesso in locazione. Se così è, il contratto di vendita stipulato tra fornitore e concedente è preordinato a fare acquistare al secondo tale disponibilità, e sarebbe quindi contrastante con la ratio dell'operazione negoziale negare al concedente i tradizionali rimedi accordati dall'ordinamento all acquirente in caso di vizi nella formazione della volontà negoziale. Infine, ricorda la dotta sentenza, secondo un orientamento pacifico e risalente della giurisprudenza di legittimità, nelle operazioni di leasing, tra la vendita e la locazione finanziaria sussiste un collegamento funzionale, per effetto del quale si produce una diffusione delle cause di nullità, annullamento, risoluzione, dall'uno all'altro dei due contratti collegati (cfr. Cass. n /2006). Per effetto di detto collegamento, la giurisprudenza consolidata ha ripetutamente ammesso, precisano i giudici di Piazza Cavour, che l'utilizzatore possa far valere in nome proprio, nei confronti del fornitore, le azioni scaturenti dal contratto di vendita; del pari, se il leaser fosse convenuto dal concedente per il pagamento dei canoni, potrebbe sempre eccepirgli, ex art c.c., l'esistenza dei vizi della cosa. 3

4 Ne consegue che, se in ragione del collegamento negoziale tra vendita e locazione si è ammesso che l'utilizzatore possa far valere nei confronti del fornitore i vizi del contratto di vendita pur non essendone parte, a fortiori dovrà ammettersi che quei vizi potranno essere fatti valere dal concedente, che del contratto di vendita è parte a tutti gli effetti. 3. Corte di Cassazione, Sez. II, n del 10 settembre 2013: la natura e la disciplina dei diritti di abitazione e di uso sulla casa adibita a residenza familiare. La Corte chiarisce che al coniuge superstite il quale succeda, quale erede legittimo del de cuius, spetta il diritto di abitazione sulla casa familiare e di uso dei beni mobili che la arredano ai sensi dell art c.c. Tale norma, seppur dettata in tema di successione necessaria, trova applicazione anche alla successione intestata del coniuge. Va messa in evidenza l importanza della pronuncia se si considera che sull argomento erano già intervenute le Sezioni Unite con la sentenza n. 4847/2013. La Seconda Sezione chiarisce, anzitutto, richiamando attenta dottrina, che l estensione del diritto di abitazione e di uso di cui all'art c.c. anche all ipotesi di successione legittima deriva dalla previsione dell art. 584 c.c., il quale, dettato in tema di successione legittima, con riferimento al coniuge putativo contempla espressamente l'applicabilità della detta disposizione. Sebbene non sia previsto altrettanto per il coniuge legittimo, l'estensione, nei suoi confronti, dei diritti previsti da questa norma non può essere revocata in dubbio, perchè sarebbe contrario al principio di eguaglianza che il coniuge putativo fosse trattato diversamente e in modo più favorevole rispetto al coniuge legittimo. Tra l altro, aggiunge la Corte, identico risultato si otterrebbe interpretando la norma di cui all art c.c. tenendo conto delle esigenze che sono poste a suo fondamento cosicché, quando essa prevede che i diritti di abitazione e di uso spettano 'anche quando concorra con altri chiamati', appare chiara la sua applicabilità tanto in caso di successione testamentaria, quanto in caso di successione legittima. Attraverso, dunque, un'interpretazione costituzionalmente orientata (uguaglianza tra coniuge putativo e legitto) o un'interpretazione assiologica degli artt. 581 e 540 c.c., deve certamente 4

5 affermarsi che anche al coniuge legittimo sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano (la Corte richiama le medesime conclusioni raggiunte da Cass.. S.U., n. 4847/2013 cit.). Tanto premesso, la Corte affronta la seconda questione, vale a dire il criterio di imputabilità dei diritti di cui si è detto sulla successione. Sul punto si sono formati due orientamenti. Alcuni ritengono che l'abitazione e l'uso raffigurino dei diritti, che al coniuge sono riservati come prelegati, in aggiunta alla quota di riserva. Ciò si argomenta dal dato testuale, secondo cui i diritti di abitazione e di uso gravano sulla disponibile e, solo se questa non sia sufficiente, sulla quota riservata al coniuge ed ai figli. La definizione di legato 'ex lege', poi, si fonda sul modo in cui è formulata la trasmissione: contemplando la disposizione beni determinati (il diritto di uso e di abitazione), si ritiene che la norma disciplini una trasmissione a titolo particolare. Dalla lettera della legge e dal chiaro intendimento legislativo di favorire il coniuge superstite, si argomenta che questi diritti si aggiungono alla quota spettante al coniuge. Assegnati, anzitutto, al coniuge i diritti di abitazione e di uso, la successione legittima si apre sul residuo. Altri, invece, distinguono tra successione necessaria e successione legittima. Nel primo caso, poiché la norma in tema di successione necessaria stabilisce che i diritti di abitazione e di uso gravano, in primo luogo, sulla disponibile, ciò significa che, come prima operazione si deve calcolare la disponibile sul patrimonio relitto, ai sensi dell'art. 556 c.c., e, di conseguenza, determinare la quota di riserva. Calcolata poi la quota del coniuge nella successione necessaria, in base a quanto stabiliscono gli artt , 542 e c.c., alla quota di riserva così ricavata si devono aggiungere i diritti di abitazione e di uso in concreto, il cui valore viene a gravare la disponibile (sempre che questa sia capiente). Diverso sarebbe, invece, il computo da operare in tema di successione legittima. I diritti del c.c. non si aggiungerebbero alla quota ereditaria per due ragioni: una di ordine formale e altra di carattere sistematico. Dal primo punto di vista, poiché la norma fa riferimento alla disponibile ed alla quota di riserva, essa non si potrebbe applicare alla successione legittima dove tali istituti sono sconosciuti. Dal punto di vista sistematico si chiarisce che la quota di riserva rappresenta il minimum che il legislatore vuole assicurare ai più stretti congiunti, anche contro la volontà del defunto. I diritti di abitazione e di uso fanno parte della riserva e, quindi, anch'essi fanno parte del minimo. Per evitare che attraverso la disciplina delle successioni legittime vengano pregiudicati i diritti dei legittimari, l'art. 553 c.c., che serve di raccordo tra la successione legittima e la successione necessaria, stabilisce che le porzioni fissate nelle successioni legittime, 5

6 ove risultino lesive dei diritti dei legittimari, si riducono proporzionalmente per integrare tali diritti. Peraltro, dal sistema della successione necessaria emerge che il legislatore interviene nel meccanismo delle successioni legittime quando la quota spettante nella successione intestata andrebbe al di sotto della quota di riserva; da nessuna norma, per contro, risulta che il legislatore abbia modificato il regime della successione intestata per attribuire agli eredi legittimi (che siano anche legittimari), più di quanto viene loro riservato con la successione necessaria. Poiché, dunque, l'art. 553 cit. vuole fare salva l'intera riserva del coniuge (secondo il sistema della successione necessaria), i diritti di abitazione e di uso si aggiungono alla quota di riserva regolata dall'art e art. 542 cit. Per contro, non essendo ciò previsto da nessuna norma in tema di successione legittima, non v'è ragione per ritenere che alla quota intestata contemplata dagli artt. 581 e 582 c.c., si aggiungano i diritti di abitazione e di uso. Fatto tale inquadramento, la Seconda Sezione si allinea al primo orientamento richiamando le conclusioni raggiunte dalle già richiamate Sezioni Unite n cit., le quali, sul presupposto che il legislatore vuole assicurare al coniuge superstite quella solidarietà coniugale garantita anche dalla Costituzione (artt. 47 e 2 Cost.) e che non è applicabile l art. 553 c.c., ha concluso che i diritti dell art c.c. si aggiungono alla quota di cui agli artt. 581 e 582 c.c., operando come se fossero pre-legati. 4. Corte di Cassazione, Sez. I, n del 18 novembre 2013: la Corte ribadisce che la nuova convivenza more uxorio fa venir meno il diritto alla corresponsione dell assegno divorzile. Con la sentenza in commento, la Suprema Corte torna ad affermare un importante principio in tema di convivenza e di precedente rapporto coniugale. I giudici di legittimità premettono che, anche di recente, è stato reiteratamente ed argomentatamente ribadito (cfr. Cass. n. 3923/2012 e n /2011) il principio già affermato (cfr. Cass. nn /2003; nn /2002) secondo cui, in tema di diritto alla corresponsione dell'assegno di divorzio in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il parametro dell'adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei coniugi viene meno di fronte alla instaurazione, da parte di questi, di una famiglia, ancorché essa sia di mero fatto, 6

7 la quale rescinde ogni connessione con il livello ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, conseguentemente, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile. La Corte nel condividere il principio di diritto sopra indicata, aggiunge che, nel caso di specie, il giudice di merito si era attenuto a detto principio, atteso che era rimasto incontroverso il carattere di stabilità e continuità assunti dalla convivenza instaurata dal coniuge divorziato benificario con altro partner; carattere di continuità tratto dalla circostanza che dalla nuova coppia era nato un figlio. 5. Corte Europea dei diritti dell uomo, n. 77 del 7 gennaio 2014: escludere l attribuzione del solo cognome materno ai figli è contrario ai diritti fondamentali. Con la sentenza in commento, la Corte Europea torna a censurare il sistema delle regole familiari italiane. A distanza di circa un anno dalla nota sentenza sul carattere unisex del nome Andrea (cfr. Cass. n /2012, in questo Osservatorio, febbraio 2013), viene ancora una volta in rilievo l impianto, di stampo patriarcale, dell ordinamento civilistico-anagrafico italiano. La Corte Europea viene investita della questione da una coppia di coniugi milanesi, i quali avevano deciso di attribuire ai loro tre figli il cognome della madre in onore del nonno materno, ma, a fronte del rifiuto dell ufficiale dell anagrafe di procedere alla registrazione, si erano rivolti all autorità giudiziaria italiana, la quale aveva, dal canto suo, rigettato la domanda. La Corte Europea ha ritenuto che la normativa italiana così formulata determini una discriminazione basata sul sesso. I giudici hanno, infatti, affermato che la visione patriarcale della famiglia italiana è in contrasto con gli artt. 8 e 14 della Carta EDU, cioè con il diritto al rispetto della vita privata e familiare con il relativo al divieto di ogni forma di discriminazione. La Corte EDU prende avvio proprio dalla violazione dell art. 8 della carta fondamentale. Tale norma, pur non contenendo disposizioni esplicite sul diritto al cognome, in quanto dettata per il rispetto della vita privata e familiare, involge comunque ogni aspetto della identificazione personale. 7

8 Di conseguenza, consentire unicamente la trasmissione del cognome paterno a fronte del desiderio di indicare solo quello materno, considerata la totale parificazione dei coniugi nello svolgimento dell attività genitoriale, comporta un inaccettabile discriminazione basata sul sesso, che viola il principio di uguaglianza tra uomo e donna e che non appare sanata neppure dalla circostanza di poter aggiungere al cognome paterno quello materno. 8

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