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1 MARCO RUFFINO Buongiorno a tutti. Premetto che questa mattina sono arrivato alla una e quindi non ho sentito tutto quello che è stato detto prima, perché ero in viaggio. E dunque, forse, dirò cose che non sono così coordinate con il resto del convegno. Me ne scuso di già con i relatori e con tutti voi, poi le dico lo stesso e vediamo che cosa succede. Vorrei partire con una semiprovocazione: un turista è contento nel momento in cui (lo dico in modo un po strano) impara qualcosa. Proviamo a pensarci: la prima e l unica cosa che noi abbiamo veramente sono i nostri processi cognitivi. Cioè come guardiamo le cose; come le tiriamo fuori dallo sfondo, dal contesto; come produciamo significati. Siamo in un luogo, guardiamo, ad un certo punto diciamo: Bello!. È frutto di un processo cognitivo buono, ho avuto un esperienza e le ho attributo un significato buono. Se addirittura me lo ricordo, lì c è stato apprendimento. I processi cognitivi produrre il senso di qualcosa sono molto importanti in un settore di servizi. Ora, se ho un esperienza di successo (perché mangio bene, perché ho avuto una bella relazione con un albergo e un territorio nel suo insieme), se ho processi cognitivi positivi ed un apprendimento, avrò un effetto molto positivo (tutto quello che ci possiamo immaginare essere la soddisfazione del mio cliente), che non è solo di fidelizzazione, ma si trasforma in passaparola. Provo a dirlo in un altro modo: vendere un prodotto turistico (ma questo vale per tutto. In verità, io non sono un esperto del settore turistico. Mi occupo di altro, come capirete fra un po ), vendere un servizio, equivale ad una esperienza cognitiva di successo, tale per cui questa esperienza sia ricordata. Quando dico cognitivamente intendo parlare di come le persone pensano. Vogliamo vendere il turismo? Dobbiamo attivare e rendere possibili dei processi di apprendimento attivo sul turista che, una volta che apprende con soddisfazione, ha appiccicato un significato forte al nome Valle d Aosta, ha appiccicato un significato forte al Comune di Ayas, ha appiccicato un significato forte a tutti i posti che ha attraversato attraverso il suo flusso di esperienza. Io insegno scienze cognitive e questo forse si capisce che viene da lì. Se io voglio che il turista apprenda (apprenda nel senso un po particolare del termine che sto utilizzando io) non posso aspettarmi che lo faccia da solo. Io, la prima volta che ho visto il Monte Bianco, ho appreso senza che ci fosse nessuno che me ne parlasse. Non so come dire. Lo vedi e senti una cosa che, in qualche maniera, rimane. Ma non possiamo aspettare solo questo. Non possiamo immaginare che l apprendimento avvenga solo perché il singolo individuo si meraviglia di fronte alla bellezza del mondo o delle cose che vede e resta lì. Questo è essenziale. Ma non è tutto: se fosse così basterebbe possedere il monte, portarci vicino le persone e, automaticamente, avverrebbero migliaia di apprendimenti fantastici. In verità, il vero apprendimento significativo è sempre learning by interacting, è un apprendimento che avviene attraverso delle interazioni sociali. Perché c è qualcun altro, che può essere il cameriere che fa così col dito e mi dice come si chiama quel monte, quando glielo chiedo a colazione. Quando dico apprendimenti, io non penso alla scuola: penso a come noi funzioniamo normalmente. E il grosso dell apprendimento, della produzione di senso, della produzione di significato e poi della memoria del fermare questo processo cognitivo positivamente, con i ricordi, dentro di noi, avviene perché siamo animali sociali. Avviene perché abbiamo avuto delle relazioni positive con qualcuno. È abbastanza banale, come concetto, però è importante; anzi, è proprio fondamentale. Chi è questo qualcuno? E tutto il personale del sistema turistico, sono tutte le risorse umane. Non solo quelle che stanno dentro l impresa: sono tutti gli attori economici e sociali in cui il turista si imbatte mentre attraversa il nostro territorio: dal vigile urbano al farmacista. Sono tutti quelli attraverso i quali lui può formarsi un senso, un significato dei luoghi in cui è e può avere un esperienza di successo e

2 ricordarsela, come dicevo prima. Allora, se fare competitività è creare situazioni positive di apprendimento per il cliente (che non significa mandarlo a scuola: io sto continuando a dire apprendimento sempre a un significato più generale) vuol dire che io dovrei avere, dall altra parte, un impresa (e addirittura forse è meglio dire un sistema, non solo di imprese, ma proprio una rete di attori: dal farmacista, al vigile urbano, a chi fa di mestiere il turismo come il cameriere) che è capace di generare processi cognitivi e apprendimento. Se spingiamo il ragionamento fino in fondo - ho sentito, stamattina, parlare dei distretti anche il singolo cittadino, che non è un operatore turistico ma cui il cliente di quel territorio chiede un informazione per strada perché si è smarrito, dovrebbe partecipare a ciò. Questo per dire che allarghiamo molto questo ragionamento giungiamo al concetto di ospitalità. Se il turista funziona bene con me perché io permetto a lui di apprendere, dovrei anche chiedermi quanto io apprendo come impresa, come sistema turistico e di produzione. Cioè quanto io sono capace di far apprendere gli altri (dando loro esperienze di successo) e contemporaneamente quanto sono capace di imparare io da loro, dai miei clienti. Se li osservo bene, capisco bisogni che non mi ero immaginato e che, forse, loro stessi non hanno neanche ancora espresso come domanda. Così arrivo con la mia offerta prima di loro. Tutto questo mi dice che se leggessimo il turismo nella metafora delle scienze cognitive (dunque del produrre significati e dell apprendere) necessariamente noi dovremmo tornare a quello che dicono anche le scienze economiche e tutti gli altri: che è la centralità del fattore umano, in questo settore, che costruisce valore perché è attraverso l esercizio del linguaggio, del comportamento, delle relazioni che avviene la parte più grossa, la parte più saliente di quei processi che mi appiccicano significato. E allora potremmo provare a guardare un po (non dico la Valle d Aosta perché non ho fatto un analisi che mi permetta di restituirvi cose scientifiche: faccio un ragionamento più generale, un po impressionista) come siamo messi, sotto questa luce: quanto è capace ad apprendere e a far apprendere il sistema turistico visto che meno abbiamo un sistema professionale, un sistema imprenditoriale, un sistema istituzionale (non mi fermerei solo sull attore turistico), meno abbiamo un sistema che è capace a fare apprendimento su di sé e verso gli altri, meno saremo competitivi nel tempo. Anche la Commissione europea dice che oggi, il riferimento è l economia della conoscenza, l economia dell apprendimento, ed è proprio questa cosa qua che sto raccontando adesso. Perché o qualcuno ci batte sui costi (vuol dire che non abbiamo avuto un apprendimento per migliorare la qualità della gestione dei fattori produttivi) oppure ci batte sull altro tema grosso, sulla qualità del servizio, cioè sulla capacità di creare senso, di creare emozioni, creare qualcosa dall altra parte. E qui, noi, probabilmente abbiamo dei problemi, se lo vediamo così. Alcuni possono anche essere problemi strutturali, un paio. Uno l ha detto la persona prima di me, quello che faceva l intervento proprio visto da dentro (l albergo se lo è tirato su lui). C è un problema fondamentale di qualità professionale, di quello che potremmo chiamare il dispositivo produttivo fatto dalle persone. Un problema che è molto tipico di questa Valle, naturalmente, è la stagionalità: se io voglio che le mie forze di lavoro abbiano una qualità molto forte, tendenzialmente vuol dire che devono avere processi di apprendimento forti e continui nel tempo. Se io ho forze di lavoro che vanno e vengono e, soprattutto nelle punte, esercitano in modo contingente la loro prestazione, è improbabile che nel tempo si sviluppino ciclicamente, ricorsivamente dal punto di vista professionale. Lo dico in modo più crudo: rischio di consumare molto più capitale umano di quanto ne produco, attraverso il funzionamento forte della mobilità geografica e fisica dei lavoratori. La cosa può essere problematica, e lo è, e non è immaginabile risolverla dicendo: non flessibilizziamo. Non è questa la soluzione perché servono contemporaneamente due cose diverse in un

3 lavoratore, che è difficile avere assieme. Da una parte bisogna che la sua professionalità non sia mai sotto un certo standard minimo, perché sotto di esso non esiste assolutamente la qualità. Abbiamo bisogno di stabilire delle soglie, sotto le quali nessuno dovrebbe essere dal punto di vista professionale: gli standard minimi di competenza. Dobbiamo dirci quali sono le competenze minime che le singole figure devono avere e fare in modo che nessuno vada mai sotto questo standard. Ma questo è solo metà del discorso, perché se noi avessimo tutti dentro questo standard, non avremmo comunque fatto qualità, perché mancherebbe l altro grande elemento: la distintività, il fatto che il luogo A è diverso dal luogo B, perché tutti e due non vanno mai sotto un certo livello, ma perché uno invece è molto più bravo a fare un certo tipo di cosa distintiva, che lo distingue rispetto, appunto, ad un altra. Questa cosa vuol dire che noi dobbiamo tenere in piedi: un sistema di sapere professionale minimo e largo, tale per cui non vado mai sotto e, quando vengono da me, tengo e, contemporaneamente, fare l operazione inversa, creare differenza anziché creare unità. Queste due operazioni messe insieme hanno purtroppo un costo molto alto: proviamo a vedere velocissimamente perché. Garantire uno standard minimo professionale può essere, per tanti aspetti, anche un tema della scuola, del sistema educativo e formativo, che quando rilascia un lavoratore, dovrebbe darlo, quanto meno, mai sotto il pelo dell acqua, mai sotto quello standard minimo. Il problema maggiore è rendere la competenza distintiva, avere lavoratori interpreta bene la Valle d Aosta e la Valle piccola, il pezzetto di Valle in cui è. Quell esercizio lì, quel suo ruolo, tutte queste cose non gliele può insegnare un soggetto che sta fuori: sono tutte cose che il lavoratore deve imparare lì, perché i saperi distintivi sono in grandissima parte saperi contestuali. I saperi contestuali si imparano solo lavorando, si imparano solo dentro i processi produttivi, non si può aspettare che si formino da fuori, se no non sono più distintivi. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che l impresa fra le tantissime cose che ha da fare nella sua vita, dovrebbe anche essere vocativamente (perché serve a lei, perché lo vuole), un soggetto di apprendimento. Come scrive un famoso economista italiano che si occupa di distretti, che è Enzo Rullani, bisognerebbe fare in modo lo dico nelle parole accademiche, poi lo traduco che i dispositivi produttivi coincidano con i dispositivi cognitivi. Nel momento in cui lavorano, imparano; nel momento in cui imparano, lavorano. Che se io mi aspetto che lavorino senza imparare, e poi li mando a fare un corso di 20 ore ogni due anni, e mi aspetto che in quel corso imparino senza lavorare, probabilmente io non riesco a creare questa distintività e a tenere assieme questo sistema di sapere. Torno allora a dire: sono competitivo se genero processi di apprendimento sul turista, per generarli devo avere gente in grado di avere un certo protocollo di relazione, per avere gente in grado di avere questo protocollo ovvero di avere mai competenze più basse di tot e sempre qualcosa di diverso tra loro, che punta a qualche direzione specifica (del territorio, della gastronomia, di quello che volete) - per avere tutto questo, non lo posso comprare sul mercato fluttuante come quello della stagionalità, me lo devo costruire io, il più possibile contestualmente. Posso chiedere anzi devo chiedere ai soggetti pubblici di fare tutto quello che possono per alzare la soglia minima, ma un pezzo di costo di apprendimento rimane necessariamente dentro l impresa ed è quello che fa sì che i miei siano diversi dagli altri, e quindi io sia diverso dagli altri e, se ho preso giusta la direzione della differenza, essere più competitivo degli altri perché l ho interpretata, appunto, come distintività. L impresa deve farsi carico dei costi di apprendimento, come si fa carico degli ammortamenti dei beni, come si fa carico degli altri costi che sono legati a fattori materiali. Anche se è più difficile capire il costo dell apprendimento perché non è legato a un bene fisico, di cui è facile definire il valore. Inoltre, se io ho un lavoratore su cui investo, e poi se ne va, io non posso dire di avere fatto un investimento. Se investo su una struttura, quella

4 resta, è tua e resta. Se investo su un lavoratore e questo poi se ne va, io non ho fatto un investimento, ho avuto solo un costo, a quel punto lì. Quindi il tema dell investimento in sapere e competenze per riprendere il titolo del convegno è un po complicato. Non ci siamo neanche tanto abituati. Non posso che immaginare che la parte più ricca degli apprendimenti sia in contesto di lavoro; allora l impresa deve diventare un soggetto cognitivo e apprendente. Così però un giorno, giustamente, un imprenditore mi dirà che il suo mestiere è fare l imprenditore turistico, non è fare l imprenditore dei processi di apprendimento, se non faceva l insegnante. Ha ragione anche lui, però non fino in fondo, perché effettivamente questo è veramente un suo problema. E allora, mentre vado a concludere, c è da chiedersi come si fa a provare a rispondere a questo problema. Devo però dire ancora una cosa: questo problema c è sempre stato, ma oggi assume un importanza maggiore, perché c è più rischio che il nostro capitale storico, anche d identità, di tradizione, di sapere, si consumi, anche in Valle d Aosta con una velocità che è molto più grande di quella con cui la società tutta è in grado di riprodurlo. Quante tradizioni esistono solo perché sono trasmesse in via orale, attraverso funzionamenti sociali (famiglie lunghe, ascoltare la nonna, stare dentro a un certo contesto)? Se la società, come funzionamenti, cambia, c è anche il rischio che tutto quel sapere orale si smarrisca dopo una generazione, perché è fatto di parole, è fatto di catene sociali, non è scritto. Questo è anche il pezzo della distintività forte. Se voglio competere, nella metafora dell apprendimento, devo essere sopra e diverso dagli altri. Sopra e diverso vuol dire tanti costi di apprendimento, che spesso vengono ribaltati anche impropriamente sull impresa che non si vede come un soggetto capace ad insegnare, perché non si legge così, ed è giusto che non si legga così, almeno in parte. Allora la domanda deve essere: può esistere una politica formativa o, se preferite, una politica di apprendimento (che mi piacerebbe di più, perché la parola formativa mi ricorda sempre la scuola, che è fondamentale, ma è solo un pezzo di questo ragionamento); può esistere una politica che aiuta l impresa a sostenere costi, che solo lei può avere al suo interno, per essere quel soggetto che trasferisce conoscenza alle sue forze di lavoro e evita di perdere? Può esistere una politica dell apprendimento? Io credo che questa sia una delle grosse sfide che la Valle d Aosta in parte ha già cominciato ad affrontare, ma forse potrebbe affrontare anche molto di più, come una delle cose centrali. A me verrebbe da dire: senza una politica di apprendimento non si può fare qualità del turismo, soprattutto qui. Siamo nel 2007, nel nuovo settennio del Fondo Sociale Europeo, dove, tra l altro, voi siete una delle poche regioni italiane che, nel suo PO, nel suo Piano Operativo (85 milioni di Euro) ha scritto che le politiche educative e formative devono essere strettamente legate alle politiche di settore. Il settore fa le sue politiche e da esse si determinano delle linee formative specifiche e di supporto. Poche regioni hanno avuto questa idea: è molto più forte delle politiche formative in senso generale. Gli standard. Oggi noi siamo, per tante ragioni che è lungo evocare qui, in una situazione in cui, quando io pronuncio il nome di una figura professionale, ( cuoco ) nessuno sa cosa essa voglia dire veramente, nel senso che noi abbiamo i nomi delle figure, ma non ci siamo mai scritti da qualche parte, in questo Paese, quali sono le competenze che i cuochi devono avere. Non è un tema da contratti di lavoro, è un tema da politica del lavoro. La Francia ha standard alti così e certifica le competenze degli individui dicendo: è vero o non è vero che sai fare quelle cose, parto da quello che sai fare e ti dico cosa sei. In Italia, non avendo mai scritto cosa c è sotto la parola cuoco non possiamo dare valore all esperienza, non avendo niente di analitico, di scritto per competenze, cui riferirsi. In tema degli standard, l Italia è rimasta quasi l ultima nazione europea assieme alla Grecia

5 , a non aver avuto un luogo in cui si è scritto che cos è un cuoco, cioè che cos è una figura. Allora, se lo inventa la scuola, se lo inventa la formazione professionale, se lo inventa chiunque, ma bisognerebbe che ce lo dicessimo con un linguaggio comune. La Valla d Aosta, in questa situazione triste di questo nostro Paese, è la quarta regione italiana la quinta, vi direi, in un senso di esagerazione a avere aperto un processo di scrittura dei suoi standard di competenza, anche su tutte le figure regolamentate del turismo della regione, con un grosso processo di concertazione. Non ha effetti contrattuali quello che sto raccontando, ha effetti di politica del lavoro. Quindi, la grande risposta è: inscriviamo anche la Valle d Aosta nel solco di quello che fanno tutti i grandi Paesi europei, nel momento in cui si spostano dalle qualifiche col nome e basta, alle qualifiche come somma di certificazioni, di singole competenze, cioè capacità di fare delle cose da parte delle persone. Credo che, se la regione vuole andare avanti, nelle condizioni in cui è, di qui a un anno, tutto questo ci potrebbe essere, scritto in modo europeo, scritto in modo completamente trasparente, leggibile per tutti gli altri sistemi di qualifiche europei. Che significa anche, rispetto al tema della mobilità professionale, cominciare a capire im modo trasparente, un po di più, che cos è quello che arriva, a parte il nome che c è scritto sopra. Poi ci vorrà del tempo. Seconda grande cosa: non esiste che un individuo, da una parte, impara in modo formale la scuola, la formazione, la parola, come qui adesso e dall altra parte, tutto separato, impara in modo sostanziale, tirandosi su le maniche e lavorando. Bisogna che entrambi questi due apprendimenti abbiano valore: non vale solo l apprendimento formale, non vale neanche il ragionamento molto povero di chi dice che l unica via è l esperienza e il lavoro e la scuola non serve. Sono errori tutti e due. Noi, dopo avere detto che sono errori tutti e due non siamo ancora capaci di far parlare questi due tipi di apprendimenti, non siamo capaci di riconoscere il valore dell esperienza, non siamo capaci in Italia, voglio dire, perché non ci abbiamo mai lavorato su questi temi. Non è così nel resto del mondo - ecco questo secondo è un grande tema importante, soprattutto in Valle, sui mercati del lavoro piccoli. Imparare a leggere cosa vale ciò che le persone hanno imparato, ma non a scuola, e poi prendere questo valore per farli tornare a studiare, ma con i crediti, cioè con un sistema dove ti abbrevio di un anno, di due anni gli insegnamenti, il tuo percorso, perché anche se non le hai fatte a scuola le sai, le hai imparate da un altra e quello che non sai invece lo vai a prendere, cercando di diminuire di due, tre, quattro, cinque volte il costo dell apprendimento, mettendo in gioco il valore di quello che è già successo, ma dicendogli che non basta, perché deve andare a prendere dell altro, che è quello che alza a soglia, che alza la qualità. Quindi, sistema degli standard, sistema del riconoscimento dei crediti, terza e ultima cosa che vorrei immaginare, proprio rispetto a questo obiettivi nuovi: aiutare l impresa a essere più brava nella gestione del suo personale, nel trasferire i propri saperi, quelli che se non non sono appresi non c è niente da fare e cioè il cameriere dove il turista gli chiede cos è quella cosa davanti e non lo sa e dirà: il monte! ed è grave questa cosa ecco, non si può solo stigmatizzare questo processo dicendo: è colpa dell impresa o aprendo le braccia e dicendo che il mercato del lavoro ha funzionamenti a singhiozzo. Bisogna prendere atto che è così, e quindi bisogna capire come si fa a superare questa situazione. Da una parte io vedo che molti imprenditori cominciano a dire che forse a loro servirebbe di riflettere, prima ancora che con i lavoratori, con loro stessi, su come si fa a gestire le risorse umane. Io sento tante di queste domande in giro, come dire che sta aumentando la consapevolezza, che gestire le risorse umane è un tema manageriale forte, e qui credo che si possa dare una risposta semplice. Si possono fare dei percorsi, magari non di aula pesante, dove gli imprenditori sono aiutati in questo. Ma forse, ancora di più, bisognerebbe immaginare modalità che diminuiscono il costo dell apprendimento delle persone in contesto produttivo. Come? Si possono fare tanti esempi. Si possono fare dei brevissimi

6 pre-corsi, non a spese dell impresa, ovviamente, per i lavoratori stagionali, perché facciano prima a capire delle cose, perché, se gliele spiego, anche in via teorica, fanno prima a farsi le domande pratiche anziché scoprirle da sé. Che magari, quando le scoprono, poi se ne vanno perché è finita la stagione. Posso immaginare di insegnare ad insegnare, per esempio. Se ho un cuoco molto bravo, del personale stabile molto bravo, posso insegnare loro ad insegnare, pezzo fondamentale del loro mestiere. Cosa volevo dire in definitiva? Volevo dire che il vero capitare diventa il brainware, il capitale inteso come cervello, cioè la capacità di muovere i sentimenti della persona, dentro l organizzazione, che ci sia un bel clima verso l ospite, fuori, e non solo nell impresa, anche nel territorio. Imparare a leggere il nostro sistema il vostro io sono ligure, e peraltro noi non lo facciamo, per inciso, siamo in grave ritardo imparare a leggere il vostro sistema di produzione turistica con questa sofisticata metafora dell apprendimento dei processi cognitivi, potrebbe non fermarsi ad un puro esercizio universitario, ma potrebbe anche diventare in Val d Aosta lo sta diventando, anche se con i suoi tempi potrebbe diventare un insieme di politiche spicciole, come dire, cosucce concrete che però aiutano questo processo di trasmissione, di riproduzione perché stiamo perdendo memoria e di innovazione: due cose diverse che bisogna fare contemporaneamente del sapere. L ultimo grido è quello che io vedo in Italia, non solo qui, è che oggi la piccola impresa è troppo sola, nel senso che non ce la fa con le sue proprie risorse a rispondere al problema dei costi di apprendimento. Allora, stretta dal nodo delle cose, finisce per tagliare proprio lì, che è un tagliare facile all inizio, che però dopo due anni diventa pesante, come dire. Ecco, qualificare questi funzionamenti di sostenibilità di medio termine, di prospettiva strutturale, sembra un esigenza forte di questa Valle, di questo settore.

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