L Homo naledi rivoluzionerà la storia dell uomo? Breda Laura (mat )

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1 Abstract L Homo naledi rivoluzionerà la storia dell uomo? Breda Laura (mat ) I fossili rinvenuti il 13 settembre 2013 nella camera Dinaledi nel sistema di grotte di Rising Star, e attribuiti ad una nuova specie soprannominata Homo naledi, sembrano indicare che l Africa custodisca le prove di una storia più complessa di quanto l albero filogenetico dell evoluzione umana sembri suggerire. In attesa di una datazione certa dei resti, che impedisce di dare una risposta esatta alla domanda se si tratti o meno di una rivoluzione in campo evoluzionistico, si cercherà, attraverso un analisi del contesto di rinvenimento dei fossili e un loro studio morfologico e differenziale, di ricostruire il posizionamento di questa specie e l effetto che potrebbe avere nello schema relativo alle teorie dell evoluzione umana. Introduzione Determinare il posto dell umanità nella storia naturale è stato per lungo tempo un importante sfida scientifica (Huxley 1863). La comparsa degli Ominidi, attorno ad un intervallo compreso tra i 6 e i 7 milioni di anni fa, è stata caratterizzata da importanti modificazioni nel tempo, che corrispondono funzionalmente all acquisizione della postura eretta avvenuta con le prime forme del genere A u s t r a l o p i t h e c u s che ha sempre mantenuto ottime capacità di arrampicata, e che col susseguirsi di specie diverse (afarensis, africanus, robustus e boisei) è giunto ha dare origine alle prime forme di genere Homo (floresiensis, rudolfensis e habilis). A partire da 2 milioni di anni fa si assiste ad un aumento della capacità cranica (da Homo erectus, heidelbergensis, neanderthalensis a sapiens) sia in valore assoluto sia in rapporto al volume corporeo (Broglio 2004). A partire da anni fa, si assiste alla comparsa delle prime forme di Homo con caratteri morfologici e scheletrici moderni, così definiti in quanto del tutto simili a quelli dell uomo attuale. I paleoantropologi concordano solo in parte sulla classificazione dei reperti scheletrici attribuiti agli Ominidi (Broglio 2004), ma grazie alla rivoluzione genetica e allo sviluppo di metodologie di analisi filogenetica, le relazioni tra di essi sono state in parte chiarite anche se il dibattito è ancora in atto in molti casi (Dembo et al. 2015). Sono stati proposti diversi alberi filogenetici che mettono in relazione il genere Australopithecus e Homo basandosi sui fossili rinvenuti e le loro differenti datazioni. Attraverso un analisi statistica bayesiana (il cui aspetto importante è che l'applicazione delle tecniche di analisi permette che il risultato degli esperimenti precedenti abbia un'influenza sulla progettazione degli esperimenti successivi) è stato possibile dare vita ad albero filogenetico che contiene il più ampio numero di dati di tipo qualitativo (Fig 1) (Dembo et al. 2015). I continui ritrovamenti di resti fossili appartenenti a nuove specie di Ominidi e l impiego di moderne tecnologie e metodologie di indagine e di studio impongono una costante reinterpretazione delle teorie sull evoluzione umana. Le recenti ricerche avvenute in Sud Africa e riguardarti la scoperta di una nuova specie, l Homo naledi, mettono in evidenza inedite possibilità di interpretazione della 1

2 Fig. 1 Albero filogenetico dell evoluzione umana ottenuto da un analisi bayesiana (Dembo et al. 2015). storia sull origine dell uomo. In questo lavoro si presenteranno, quindi, i dati emersi dalle prime ricerche e le possibili ipotesi interpretative. La Culla dell Umanità: il sistema di grotte di Rising Star I depositi di grotta dal tardo-pliocene al Quaternario situati nella Culla dell umanità (Cradle of Humankind - CoH) in Sud Africa, patrimonio UNESCO dal 1999, sono uno tra i più importanti scenari geologici ospitanti fossili di Ominidi in associazione con resti animali e archeologici (Fig. 2). Il sito si estende per una superficie di Ha e dalle diverse grotte sono stati recuperati reperti appartenenti ad un ampio range di specie incluse: Au. africanus; Au. robustus; Au. sediba e Homo (Berger et al. 2010, Dirks, Berger 2013). La genesi complessa di questi luoghi rende spesso difficoltosa l interpretazione geologica e la ricostruzione temporale, ma attraverso lo studio sedimentologico e degli aspetti tafonomici è possibile comprendere come i fossili siano giunti all interno delle grotte e si siano conservati fino ad oggi. I resti rinvenuti in questa area si trovano, generalmente, racchiusi in sedimenti Fig. 2 Localizzazione della Culla dell umanità (CoH) a nord-ovest della provincia sud africana del Gauteng. Modello digitale del terreno (rosso > 1700 m; viola < 1100 m). Le grotte nella mappa sono segnate (cerchi blu) e i principali siti di rinvenimento fossili (quadrati gialli) sono elencati. (MR = Magaliesberg River; KR = Crocodile River; SKR = Skeerpoort River; BBS = Bloubank River) (Dirks, Berger 2013, modificato da Breda L.) litificati in grotte situate in dolomie stromatolitiche del gruppo del Malmani (Dirks et al. 2015) (Fig.3). La distribuzione dei reperti suggerisce che la deposizione è Fig. 3 Assetto geologico della Culla dell umanità. (Dirks et al. 2015, modificato da Breda L.). 2

3 spesso avvenuta in ambienti vicini a risorse utili alla sopravvivenza (es. fiumi). Rising star e la camera Dinaledi A 2.2 km dalla grotta di Sterkfontain, nella valle del fiume Bloubank si trova il sistema di grotte di Rising star che comprende un area di 250 x 150 m di passaggi mappati che si spingono nel sottosuolo con un inclinazione di 17. Il complesso di passaggi si sviluppa lungo ovest-nord ovest e durante una spedizione speleologica (13 settembre 2013) è stata rinvenuta, nella parte centrale del sistema di cunicoli, la camera Dinaledi ( S; E) (Fig. 4A), a circa 30 m di profondità e a circa 80 m dall ingresso più vicino. La presenza di pioli di sondaggio nella stanza ha confermato agli speleologi che la camera era già stata scoperta negli anni 90, ma nessuno ne aveva lasciato traccia. L unico punto d accesso attualmente individuato prevede una discesa verticale di circa 15 m e mette in comunicazione la camera Dinaledi con una Fig. 4 Mappa geologica e sezione trasversale del sistema di grotte di Rising Star. (A) Mappa dettagliata della camera Dinaledi che mostra l orientamento del pavimento e la posizione dello scavo e i siti di campionamento; (B) Mappa geologica che mostra i passaggi della grotta; (C) Sezione trasversale con orientazione Nord est- Sud ovest attraverso il sistema di grotta (Dirks et al. 2015). 3

4 antistante chiamata Dragon s back. L ingresso a questa stanza è possibile attraverso due vie, entrambe prevedono ripide scalate e passaggi in spazi ristretti (Fig 4B). La prima via segue un andamento in direzione est- nord est e il passaggio segue la linea di frattura delle rocce per una distanza orizzontale di circa 50 m passando per uno stretto punto d accesso, chiamato postbox ; la seconda via prevede un andamento in direzione est e la percorrenza di passaggi sotterranei lungo la frattura fino ad un punto che prende il nome di Superman s crawl (Fig 4C). La prima via è più diretta, ma contiene abbondanti accumuli di sedimenti, la seconda invece è più tortuosa ma meno ripida e prevede il passaggio attraverso strette fessure prive di accumuli (Dirks et al. 2015). Uno sguardo ai sedimenti Lo studio dei sedimenti aiuta a comprendere i meccanismi e i fattori della sedimentazione e contribuisce alle ricostruzioni paleoambientali e paleoclimatiche del passato geologico (Bersezio, Cremaschi 2000) permettendo di interpretare i cambiamenti che hanno influenzato l evoluzione umana. La camera Dinaledi è riempita esclusivamente da depositi di calcite e sedimenti a grana fine che comportano la deposizione di due facies distribuite lungo tre unità stratigrafiche che hanno costituito il riempimento delle camere nel tempo. Le unità stratigrafiche sono separate da discontinuità dovute ad azioni di tipo erosivo o intervallate a depositi di calcite (Dirks et al. 2015). Facies 1: consiste in argillite marrone - rossastra laminata orizzontalmente con lenti di arenaria (Fig. 5); Facies 2: costituita da argilla brecciata color marrone - rossastro, consolidata e inconsolidata, in matrice argillosa (Fig. 6). Nella camera è anche possibile identificare un numero differente di depositi di calcite Fig. 5 Facies 1 (Dirks et al. 2015). Fig. 6 Facies 2 (Dirks et al. 2015). (Flowstone) che, formatisi in tempi differenti, aiutano nella demarcazione delle unità stratigrafiche. Flowstone 1: il più antico è costituito da un gruppo di 5 (FS1a-e); Flowstone 2: rappresenta la fase più significativa nello sviluppo del deposito stesso e forma cascate dalle pareti e dal soffitto e ricopre parzialmente il pavimento; Flowstone 3: s o n o f o r m a z i o n i attualmente attive. Utilizzando la distribuzione dei depositi di calcite è stato possibile identificare tre unità stratigrafiche differenti (Fig. 7): 4

5 Unità 3: composta da sedimenti del suolo, argilla brecciata che rappresenta l unità stratigrafica più recente. Fig. 7 Vista del pavimento della camera vicino al punto d accesso. È possibile osservare i rapporti che intercorrono tra le diverse unità (Dirks et al. 2015). Unità 1: costituita da argillite marrone laminata che rappresenta l unità stratigrafica più antica presente all interno della camera Dinaledi; Unità 2: caratterizzata da argilla brecciata antica; Attraverso lo studio dei dati acquisiti è stata ricostruita la distribuzione delle disposizioni geologiche delle diverse unità in relazione alle differenti formazioni di depositi di calcite nella camera Dinaledi (Fig. 8). L interpretazione stratigrafica è del tutto preliminare e risulta basata esclusivamente su ragionamenti geologici a causa dell assenza di datazioni affidabili (Dirks et al. 2015). Una nuova scoperta: l Homo naledi Durante la spedizione del 13 settembre 2013 venne esplorato il complesso di grotte di Rising Star. Il team di spedizione Fig. 8 Illustrazione del contesto geologico e tafonomico di distribuzione dei resti fossili, dei sedimenti e dei depositi di calcite all interno della camera Dinaledi (Dirks et al. 2015). 5

6 era composto dagli scienziati della Wist University e volontari speleologi contatti da Lee Berger (Evolutionary Studies Institute) (Randolph-Quinney 2015). Quando entrarono per la prima volta all interno della camera Dinaledi, il materiale osseo era distribuito all interno dei sedimenti presenti sul pavimento della stanza (Unità 3) (Fig. 8). Il campione di resti fossili venne recuperato durante due diverse spedizioni, una avvenuta nel novembre del 2013 e l altra nel marzo del 2014 (Fig. 9, 10). Fig. 8 Vista della camera Dinaledi, le foto mostrano le diverse fasi di scavo, le frecce e le ellissi mostrano i punti di maggior concentrazione delle ossa (Dirk et al. 2015). Furono recuperati 6 campioni di ossa di uccello e alcuni frammenti di roditori, ma nessuno di questi ritrovamenti è stato associato alla collezione di fossili di Ominidi. Ad eccezione di queste scoperte, l intera collezione di Dinaledi è costituita da resti scheletrici e dentari di Ominidi. La collezione scheletrica La collezione comprende 1550 fossili di Ominidi che includono 1413 campioni di ossa e 137 di denti (isolati), in aggiunta, 53 denti sono presenti in sede mandibolare e mascellare. Tutti gli elementi raccolti risultano morfologicamente omogenei e attribuibili ad una singola popolazione e non a resti commisti (Berger et al. 2015). I resti scheletrici rappresentano un numero minimo di 15 individui indicato dalla ripetizione e dalla presenza di elementi dentari decidui ed adulti. L età geologica dei fossili non è ancora nota, ma i reperti sono stati recuperati per la maggior parte dall unità 2 e 3 della camera (Dirks et al. 2015). L individuo sulla base del quale vengono descritte le caratteristiche della nuova specie (olotipo) prende il nome di: Dinaledi Hominin 1 (DH1) ed è costituito da frammenti di cranio, di mascellare e da quasi l intera mandibola, per un totale di 19 elementi ossei e 23 denti (Fig. 11). Basandosi sulle misurazioni e la morfologia si presume che l individuo possa essere di sesso maschile. Gli altri individui rinvenuti (paratipo) vengono utilizzati per il confronto e la descrizione della nuova specie. Appartengono a questa categoria: Fig. 10 Mappa della camera che mostra la distribuzione dei resti di Ominidi. (A) Mostra la disposizione dei reperti ossei lungo il pavimento della stanza; (B) rappresenta la concentrazione delle ossa lunghe trovate accanto alla roccia incorporata nell unità 3; (C) distribuzione dei fossili nella fossa all inizio degli scavi di novembre (~5 cm al di sotto della superficie); (D) distribuzione durante gli scavi di marzo (~15 cm al di sotto della superficie) (Dirks et al. 2015). Dinaledi Hominin 2 (DH2) conserva due frammenti dell osso frontale, frammenti di parietale destro e sinistro, temporale destro e occipitale (Fig. 12A); Dinaledi Hominin 3 (DH3) preserva parte dell osso frontale, il parietale sinistro, il temporale sinistro, lo sfenoide e la 6

7 Fig. 11 DH1. (A) visione posteriore e (B) frontale dell osso occipitale U.W (con rimozione dell osso frontale per permettere la visione interna del cranio); mascellare sinistro U.W (C) visione mediale, (D) frontale, (E) superiore e (F) occlusale; (G) Visione laterale sinistra del cranio in allineamento anatomico con occlusione maxillo-mandibolare; (H) mandibola U.W in visione occlusale, (I) basale, (J) laterale destra e (K) frontale. Riferimento metrico = 10 cm (Berger et al. 2015). Fig. 13 DH3 (A) visione frontale, (B) laterale sinistra in articolazione con la mandibola e (C) basale del cranio; mandibola U.W in visione (D) mediale sinistra, (E) occlusale e (F) basale. Riferimento metrico = 10 cm (Berger et al. 2015). Dinaledi Hominin 4 (DH4) conserva parte del osso temporale destro, del parietale destro e dell occipitale (Fig. 12C, 12D); Dinaledi Hominin 5 (DH5) preserva parte del temporale sinistro e dell occipitale (Fig. 12B); U.W è un frammento di mandibola che mantiene l anatomia dentaria in buono stato di conservazione e che attualmente non può essere associata a nessun individuo Dinaledi Hominin (DH); questo significa che rappresenta un nuovo individuo (Fig. 14); Fig. 12 (A) DH2 visione laterale destra del cranio; (B) DH5 visione esocranica del temporale sinistro; (C) e (D) rappresentano l individuo DH4, rispettivamente la visione esocranica laterale destra e posteriore. Riferimento metrico = 10 cm (Berger et al. 2015). mandibola con in sede il primo e il secondo molare che presentano usura dentaria. L individuo risulta relativamente vecchio alla morte e il sesso è riconducibile a quello femminile (Fig. 13); Fig. 14 U.W mandibola in visione (A) laterale, (B) mediale, (C) basale e (D) occlusale (Berger et al. 2015). 7

8 Dinaledi Hand 1 (Hand 1) consiste di 28 ossa provenienti dalla mano destra di un individuo adulto (manca il pisiforme perso post mortem), è stata recuperata parzialmente articolata con il palmo rivolto verso l alto e le dita flesse (Fig. 15); Fig 15 Hand 1 (A) a sinistra visione palmare e a destra dorsale della mando destra; (B) ritrovamento in situ della mano in articolazione parziale (Kivell et al. 2015). U.W è un frammento prossimale di femore destro che preserva parte della testa, del collo e parti del piccolo e del grande trocantere (Fig. 16); Fig. 17 U.W tibia destra in visione (A) anteriore, (B) mediale, (C) posteriore e (D) laterale. Riferimento metrico = 10 cm (Berger et al. 2015). costituenti il piede destro. Gli elementi rinvenuti isolati permettono di ricostruire un quadro generale della morfologia dei piedi (Harcourt-Smith et al. 2015) (Fig. 18). Fig. 16 U.W femore destro in visione (A) mediale, (B) posteriore, (C) laterale e (D) anteriore. Riferimento metrico = 2 cm (Berger et al. 2015). U.W è una diafisi di tibia destra a cui manca l estremità prossimale; è stato possibile stimare la statura dell individuo in un range compreso tra e mm (Fig. 17). Delle ossa del piede sono stati recuperati 107 elementi di cui la maggior parte appartenenti a Dinaledi Foot 1 (Foot 1) e Fig. 18 Foot 1 visione (A) dorsale, (B) mediale e (C) visione della superficie articolare prossimale dei metatarsali per mostrare la struttura trasversale dell'arco. Riferimento metrico = 10 cm (Harcourt-Smith et al. 2015). Oltre ai resti scheletrici sopra elencati, vi sono anche reperti utili come riferimento per l olotipo e il paratipo e che, insieme ad 8

9 essi, costituiscono un campione totale di 737 elementi parzialmente o completamente conservati (Berger et al. 2015). La diagnosi differenziale Cranio, mandibola e dentizione: il cranio di H. naledi non è superiormente ben sviluppato come quello che caratterizza l Australopithecus garhi (Strait 2010) e il genere Parathropus e anche la mandibola risulta più gracile, invece, gli incisivi e i canini sono sovrapponibili per dimensione anche se i post-canini risultano più piccoli di quest ultimo genere. La presenza di caratteristiche marcate, tra cui: una volta cranica a forma pentagonale (in visione posteriore), un toro sagittale, un toro sopraorbitale ben sviluppato che delimita superiormente un solco, differenziano H. naledi da Australopithecus afarensis e africanus, insieme alla gracilità della mandibola; la dentizione differisce, invece, per la dimensione dei canini e post-canini e per la presenza di una piccola e distinta cuspide del Carabelli nei molari mascellari. Le caratteristiche craniche sopra citate sono tra le peculiarità che lo differenziano anche da Australopithecus sediba (Berger et al. 2010) e la dentizione risulta completamente di dimensioni inferiori rispetto a quella di quest ultimo. Anche il genere Homo habilis differisce da H. naledi per le medesime caratteristiche presenti nella struttura cranica alle quali si uniscono, ad esempio, un toro occipitale e una spina sopramentoniera. Sia la mandibola che la dentizione risultano di dimensioni inferiori. Tra gli elementi che si discostano dal genere H. rudolfensis c è la minor capacità cranica (calcolata attraverso la ricostruzione virtuale del cranio, mediante l utilizzo di software, per mezzo della combinazione dei frammenti di DH1, DH2, DH3 e DH4.) mostrata da H. naledi (Berger et al. 2015). La mandibola risulta, anche in questa circostanza, più gracile e la dentizione di dimensioni minori ad eccezione del confronto con alcuni resti rinvenuti a Koobi Fora nel nord del Kenya (Leakey et al. 2015). H. naledi manca della tipica morfologia allungata e schiacciata che caratterizza la volta cranica di Homo erectus e tra i vari caratteri che differenziano i due generi vi è la dimensione ridotta sia della mandibola che degli incisivi e dei canini da parte di H. naledi. Da Homo floresiensis si distingue per la maggior altezza cranica e la presenza di un marcato toro parasagittale tra bregma e lambda (punti di repere del cranio). Dal genere Homo antecessor, heidelbergensis, rhodesiensis, sapiens e neanderthalensis si differenzia principalmente a causa della minor capacità cranica (465cc e 560cc) (Berger et al. 2015). La mano: presenta caratteristiche sia primitive che derivate non riscontrabili in nessun altro genere di Ominidi. Il primo metacarpale presenta una base e una faccetta articolare inferiore relativamente piccola rispetto alla sua lunghezza, la superficie articolare distale è più appiattita dorsalmente e presenta una protuberanza palmare se comparata con gli altri generi di Ominidi. Le falangi del primo dito risultano larghe e robuste come in Australopithecus, H. neanderthalensis e nell uomo moderno. Come mostrato in Fig. 19 è possibile osservare come Hand 1 abbia una lunghezza superiore del pollice rispetto agli altri generi. Fig. 19 Lunghezza relativa del pollice (ray 1, lunghezza totale del primo metacarpale e la prima falange prossimale) e del terzo dito (ray 3, lunghezza totale del terzo metacarpale e la terza falange prossimale e intermedia) negli stessi individui in tutti i taxa, ad eccezione di Au. afarensis la cui percentuale deriva dalla misurazione effettuata in diversi individui (Kivell et 9

10 Il polso varia di forma e configurazione a confronto con gli altri. i cambiamenti includono una larga faccetta di articolazione con MC1 del trapezio e un ampia superficie articolare con lo scafoide che si estende fino al tubercolo di quest ultimo. Il trapezoide presenta una forma a stivale, l articolazione tra capitato e trapezoide risulta più ampia e lo spostamento del centro di ossificazione dal capitato alla base di MC3 risulta in un processo stiloideo (Fig. 20) (Kivell et al. 2015). Fig. 20 Variazioni canoniche CAN 1 e CAN 2 di capitato e uncinato combinati, includono 12 angoli, 9 aree relative e 4 altre misure dell uncinato (Kivell et al. 2015). Gli altri metacarpali sono, complessivamente, simili per robustezza a quelli di Australopithecus, H. neanderthalensis e uomo moderno. Le dita risultano marcatamente ricurve simili a quelle delle scimmie e dei primi Ominidi e relativamente lunghe (Fig. 21). Il femore: differisce da tutti quelli degli altri Ominidi per la presenza di una peculiarità morfologica nel collo del femore. La tibia: si discosta, da quella degli altri generi, per la presenza di un tubercolo nel punto d inserzione dei muscoli sartorio, gracile e semitendinoso (pes anserinus), ad eccezione dell H. habilis, floresiensis e sapiens a causa della presenza di un margine anteriore arrotondato (Berger et al. 2015). Il piede: risulta essere prevalentemente simile, per morfologia e funzione a quello dell uomo moderno. Fig. 21 Schema di curvatura (A) nelle falangi intermedie (14) e (B) falangi prossimali quantificata al primo coefficiente polinomiale che rappresenta il piano di curvatura longitudinale della superficie dorsale (Kivall et al. 2015). Il calcagno presenta analogie con l uomo e con Au. afarensis e a differenza di Au. sediba, la sua conformazione implica una limitata mobilità (Zipfel et al. 2011). Il processo trocleare è poco sviluppato come nell uomo moderno e in H. neanderthalensis, al contrario di quanto riscontrabile in Au. sediba, afarensis e africanus (Fig. 22a). La troclea del talo risulta più appiattita di quella di Au. sediba (Zipfel et al. 2011), può quindi essere definita derivata come quella di Au. afarensis e H. sapiens, ma ben distinta da H. rudolfensis (Fig. 22c, 22d) (Leakey et al. 2012). Il cuboide è allungato e presenta un becco pronunciato in posizione medioplantare come nell uomo moderno e in H. floresiensis (Larson et al. 2009). Il cuneiforme mediale è relativamente appiattito e allineato con il tarso e il 10

11 Fig. 22 (a) L anatomia del calcagno di H. naledi (PT: processo trocleare; LPP: processo plantare laterale; RE: eminenza retrotrocleare); (b) testa del primo metatarso; (c) torsione del collo e della testa relativa alla troclea del talo; (d) superficie articolare della troclea del talo (Harcourt-Smith et al. 2015). metatarso come nell uomo. Il cuneiforme intermedio e laterale appaiono allungati. Il navicolare non presenta un buono stato di conservazione, anche se l angolazione tra le faccette del cuneiforme risulta simile a quella umana (Harcourt-Smith et al. 2015). La lunghezza dell alluce risulta moderna in contrasto con la morfologia accorciata che appartiene a H. floresiensis (Larson et al. 2009). La base del terzo metatarsale risulta di morfologia intermedia tra l uomo moderno e le scimmie africane mentre quella del quarto si avvicina a quella moderna (Fig. 23). Le falangi prossimali del primo dito mostrano una morfologia riconducibile a quella del genere Homo e Australopithecus, soprattutto per quanto concerne la robustezza della base e all uomo moderno se ci si riferisce alla pendenza dorsale dell angolazione della faccetta. Come nella mano, anche nel piede, la curvatura è significative e comparabile con quella ritrovata nelle Fig. 23 Nella prima immagine è mostrata la relazione tra le diverse specie valutata sulla morfologia dell altezza della base del terzo metatarsale; nella seconda quella del quarto metatarsale. La linea nera orizzontale rappresenta la media, il rettangolo il quartile superiore e inferiore, la riga verticale il range e il cerchio i valori al diffusori del range (Da: Supplementary Information, Harcourt-Smith et al. 2015) scimmie africane e in Au. afarensis (Fig. 24) (Harcourt-Smith et al. 2015). Fig. 24 Schema di curvatura longitudinale delle falangi prossimali. I dati sono stati ottenuti utilizzando l analisi della varianza ad una via con correzione di Bonferroni (Harcourt-Smith et al. 2015). 11

12 In conclusione, questo mosaico anatomico di caratteristiche si riflette nei differenti distretti scheletrici. La morfologia del cranio, della mandibola e la dentizione sono, per la maggior parte, in accordo con il genere Homo, ma la capacità cranica ricade nel range dell Australopithecus. Gli arti superiori sono configurati per la maggior parte come quelli di Australopithecus. Il polso e la proporzione delle dita sono confrontabili con il genere Homo, ma le falangi prossimali e intermedie sono marcatamente curve come in Australopithecus. Le vertebre sono per lo più simili a quelle dei membri del genere Homo del Pleistocene, mentre la cassa toracica ampia ricorda quella di Au. afarensis. Il bacino può essere paragonato a quello di Australopithecus afarensis, gli arti inferiori sono in prevalenza riconducibili al genere Homo e i piedi e le caviglie sono umane nella loro configurazione (Berger et al. 2015). Evoluzione umana: nuovi possibili scenari L analisi del contesto di rinvenimento dei resti fossili fa pensare ad una deposizione che si è protratta nel lungo periodo durante le fasi di deposizione e rimaneggiamento delle unità 2 e 3 e prima della deposizione del flowstone 2. Le evidenze tafonomiche (per le quali si rimanda a Dirks et al. 2015) presenti sul materiale osseo hanno permesso di escludere che la deposizione sia avvenuta a causa del trasporto dovuto ad acqua e ad accumulo causato ad atti di predazione, ma piuttosto per l avvento di calamità naturali o deposizione deliberata dei resti che lascia un importante quesito relativo alla datazione dei reperti (Dirks et al. 2015). Per quanto concerne la morfologia complessiva, l Homo naledi si pone all interno del genere Homo piuttosto che in Australopithecus o in altri generi di Ominidi (Berger et al. 2015). L aspetto degli arti inferiori suggerisce un potenziamento dell apparato locomotore con conseguente aumento delle performance nell andatura a grandi passi. La morfologia dei piedi indica la capacità nel trasferire il peso corporeo al substrato, le sue funzioni risultano del tutto simili a quelle presentate dall uomo moderno anche se la relativa robustezza del calcagno e la curvatura delle falangi riportano ad un approccio più primitivo. La combinazione di caratteristiche primitive e derivate lo distingue da ogni altra specie (Harcourt-Smith et al. 2015). La mano nel corso dell evoluzione umana è passata da mezzo utilizzato per la locomozione a strumento impiegato nella manipolazione (Marzke 1997). La curvatura delle falangi, presente in Homo naledi, in associazione ad altre caratteristiche riconducibili all uomo moderno, è la prova della presenza di una morfologia primitiva degli arti superiori e del torace atti all arrampicata e apparentemente anche alla manipolazione degli strumenti (Kivell et al. 2015). La configurazione del cranio e della dentizione si discosta dalle caratteristiche derivate mostrate nel Medio Pleistocene e nel Tardo Pleistocene da Homo e Homo sapiens, ma è comparabile con quella presentata dai primi membri del genere Homo come Homo habilis, rudolfensis e erectus (Berger et al. 2015). L Homo naledi combina, dunque, caratteristiche sia dell Homo sia dell Australopithecus: una struttura corporea tipicamente umana, sia in dimensione che in statura, ad una dimensione cranica generalmente riscontrata in Australopithecus; le caratteristiche della spalla e della mano apparentemente ben adattate all arrampicata con mani e polsi per la manipolazione; un funzionamento dell anca tipico di Australopithecus ad un adattamento terrestre tipicamente umano di arti inferiori e piedi; infine, una dentizione con proporzioni primitive. Alla luce di questi elementi risultanti dall analisi dell intero campione scheletrico si è abbandonata l idea che un singolo 12

13 frammento possa fornire prova delle relazioni che intercorrono tra i fossili di Ominidi attraverso la loro evoluzione (Berger et al. 2015). Nonostante l abbondante ricchezza anatomica di informazioni raccolte, il deposito Dinaledi rimane ancora non datato (Dirks et al. 2015) e senza questa informazione la scoperta dell Homo naledi non fornisce, per ora, indicazioni certe sulla complessità delle origini del genere Homo. Considerando la morfologia anatomica riscontrata è però possibile avanzare delle ipotesi su possibili datazioni che chiarirebbero le circostanze ecologiche della sua comparsa e diversificazione. Se i resti ossei provassero una datazione più antica di 2 milioni di anni, l Homo naledi rappresenterebbe il primo esempio del nostro genere a esibire più di un singolo frammento di ossa. Una datazione inferiore ad 1 milione di anni dimostrerebbe invece la coesistenza di molteplici morfologie di Homo in Africa (Berger et al. 2015). In ultima ipotesi, se la datazione arrivasse ad essere inferiore ai anni significherebbe che Homo naledi è sopravvissuto fino a tempi relativamente recenti (come Homo floresiensis con cui condivide piccola capacità cranica e dentizione minuta) in territorio africano (Stringer 2015). Resta comunque difficile poter dare un interpretazione esatta a questa importante scoperta, sia a causa di risultati di studio in continuo aggiornamento, sia per la difficoltà di confronto con gli altri resti di Ominidi, spesso solo caratterizzati dalla presenza di pochi rinvenimenti ossei. Bibliografia Berger L.R., De Ruiter D.J., Churchill S.E., Schmid P., Carlson K.J., Dirks P.H.G.M., Kibii J.M. Australopithecus sediba: a new species of homo-like Australopith from South Africa. Science 2010; 328: Berger L. R., Hawks J., de Ruiter D. J., Churchill S. E., Schmid P., Delezene L. K. et al., Homo naledi: a new species of the genus Homo from the Dinaledi chamber, South Africa. elife 2015; 4: e Bersezio R., Cremaschi M. Sedimentologia; In: Cremaschi M. Manuale di geoarcheologia. 1ª ed., Bari: Gius. Laterza & Figli; Cap. 3. Broglio A. Introduzione al paleolitico. Roma, Laterza, Dembo M., Matzke N. J., Mooers A. Ø., Collard M. Bayesian analysis of a morphological supermatrix sheds light on controversial fossil hominin relationships. Proceedings. Biological sciences / The Royal Society 2015; 282: Dirks P. H. G. M., Berger L.R. Hominid-Bearing caves and landscape dynamics in the Cradle of Humankind, South Africa. Journal of Africa Earth Science 2013; 78: Dirks P. H. G. M., Berger L. R., Roberts E. M., Kramers J. D., Hawks J., Randolph-Quinney P. S. et al. Geological and taphonomic context for the new hominin species Homo naledi from the Dinaledi Chamber, South Africa. elife 2015; 4: e Harcourt-Smith W. E. H., Throckmorton Z., Congdon K. A., Zipfel B., Deane A. S., Drapeau M. S. M. et al. The foot of Homo naledi. Nature communications 2015; 6: Huxley T. H. Evidence as to man's place in nature. England; Kivell T. L., Deane A. S., Tocheri M. W., Orr C. M., Schmid P., Hawks J., et al. The hand of Homo naledi. Nature communications 2015; 6: Larson S.G., Jungers W.L., Wunderlich R.E., Sutikna T., Due R.A., Harcourt-Smith, W.E.H. et al., The foot of Homo floresiensis, Nature 2009; 459: 7243, pp Leakey M.G., Spoor F., Dean M.C., Feibel C.S., Antón S.C., Kiarie C. et al. New fossils from Koobi Fora in northern Kenya confirm taxonomic diversity in early Homo, Nature 2012, vol. 488, no. 7410, pp Marzke M. W. Precision grips, hand morphology, and tools. American journal of physical anthropology 1997, vol. 102, no. 1, pp Randolph-Quinney P. S., A new star rising: Biology and mortuary behaviour of Homo naledi. South Africa Journal of Science 2015; 111 (9/10), Art. #a0122. Strait, D.S., The Evolutionary History of the Australopiths. Evolution: Education and Outreach 2010, vol. 3, no. 3, pp Stringer C., The many mysteries of Homo naledi. elife 2015; 4: e Zipfel B., DeSilva J. M., Kidd R. S., Carlson K. J., Churchill S. E., Berger L. R., The Foot and Ankle of Australopithecus sediba, Science 2011; 333: 6048, pp

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