Affido condiviso: il ruolo dell'udienza presidenziale e le impugnazioni - Articolo di Piero Calabrò

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1 Affido condiviso: il ruolo dell'udienza presidenziale e le impugnazioni - Articolo di Piero Calabrò Affido condiviso un anno dopo, riflessioni sostanziali e processuali Il ruolo dell udienza presidenziale e le impugnazioni di Piero Calabrò SOMMARIO 1. Premessa - 2. I nuovi principi introdotti dalla legge sull affido condiviso e la loro immediata incidenza sull udienza presidenziale - 3. L accentuazione del compito conciliativo demandato al Presidente - 4. Gli accertamenti sommari prodromici alla emanazione dei provvedimenti provvisori - 5. La possibile adozione di criteri oggettivi e predeterminati ed il loro contemperamento con le peculiarità della situazione esaminata - 6. L affidamento dei figli minori e la loro audizione - 7. L assegnazione della casa coniugale - 8. Il reclamo e le eventuali altre possibilità di impugnazione. 1. Premessa A quasi un anno di distanza dall entrata in vigore della novella legislativa in materia di diritto sostanziale e processuale della famiglia, pur di fronte all inevitabile carenza di consolidati e certi riferimenti giurisprudenziali, non deve considerarsi inopportuna la redazione di un primo bilancio del lavoro svolto sul campo e degli approfondimenti teorici che ne sono conseguiti. Forse per l importanza della materia e per la sua idoneità ad incidere su diritti ed interessi personalissimi, il dibattito interpretativo è stato particolarmente diffuso e vivace, investendo non solo il tenore letterale delle nuove norme ma anche la filosofia ad esse sottesa, in tal modo impegnando ciascuno di noi in una benefica rivisitazione culturale delle impostazioni operative alle quali, magari inconsciamente, la mancanza di nuovi stimoli ci aveva comodamente ancorati. Ad onor del vero, come potrà desumersi anche da alcune successive riflessioni, le quotidiane esigenze professionali del giudice e dell avvocato (spesso contraddistinte dalla necessità di far fronte ad una mole di lavoro non sempre conciliabile con i tempi dell approfondimento) sono apparse così prevalenti da imporre, in non pochi casi, la forzata applicazione degli schemi mentali più consolidati ed il rinvio a tempi migliori dell impegno destinato alla innovazione, intrinseca caratteristica di ogni riforma. Ma, pur con tutte le anzidette oggettive difficoltà, possono già cogliersi i primi significativi segnali di un mutamento che, quand anche limitato, non può non considerarsi meritevole di studio ed attenzione. Questo, semplicemente, è lo spirito della presente relazione, che vuol essere un breve riassunto dell esperienza teorica e pratica maturata principalmente nell ambito del Foro Monzese, pur non disdegnando un minimo di doverosa attenzione alle altre realtà. 2. I nuovi principi introdotti dalla legge sull affido condiviso e la loro immediata incidenza sull udienza presidenziale Il nuovo rito della famiglia, oltre ad aver introdotto una benefica semplificazione delle stesse procedure di attivazione del giudizio, in precedenza oggetto di snervanti e poco utili divisioni applicative, ha di fatto imposto alle parti, ai loro difensori ed all autorità giudiziaria, una serie di comportamenti virtuosi, non sempre desumibili dal tenore letterale delle norme. Con precipuo riferimento all udienza presidenziale, possono segnalarsi le seguenti opportune innovazioni: - la previsione di un termine brevissimo (5 giorni dal deposito in cancelleria del ricorso) ai fini della fissazione, con decreto, dell udienza presidenziale; - la collocazione di tale ultima data nel termine di gg.90 dallo stesso deposito del ricorso; - la necessaria indicazione, nel decreto presidenziale, non solo dei termini per la notificazione, ma anche di un ulteriore termine entro il quale il coniuge resistente può depositare memoria difensiva e documenti.

2 La legge non ha, in verità, qualificato tutti gli anzidetti termini come perentori, di talchè una esplicita sanzione destinata al loro mancato rispetto non può dirsi codificata. Deve, però, ritenersi che, nell ottica ormai imperante di garantire l efficienza della giustizia e la concreta applicazione dei principi del giusto processo, l inosservanza non episodica dei termini che hanno come destinatario il magistrato incaricato dell udienza presidenziale, ove non adeguatamente motivata e giustificata, potrà eventualmente condurre alla contestazione di un illecito disciplinare: deterrente, questo, che dovrebbe indurre al rispetto della tempistica dal legislatore voluta ed affermata. Il nostro ufficio giudiziario, ad onor del vero, ha adempiuto a tale compito procedurale senza alcuna eccezione. Non meno importante è la previsione di un termine, per il coniuge resistente, ai fini del deposito in cancelleria di una memoria difensiva e dei documenti che intende allegare. La prassi precedente la riforma ha consentito alla parte resistente, in una percentuale elevatissima di casi, di presentare memoria e documenti in limine litis, vale a dire all udienza stessa fissata dal Presidente. Tale consuetudine, non sanzionabile in alcun modo, ha ingenerato nel giudice e nelle parti un circuito vizioso ed un modus procedendi tutt altro che votati alla celerità: il Presidente aveva solo in udienza una rapida ed inevitabilmente superficiale conoscenza delle difese della parte resistente, mentre il difensore del coniuge ricorrente spesso invocava la concessione di un rinvio allo scopo di esaminare le allegazioni e produzioni avversarie. Al di là delle schermaglie procedurali, forte era la tentazione di tutti i soggetti protagonisti del processo di posporre decisioni ed approfondimenti ad una successiva udienza (magari neppure tanto ravvicinata), con evidente pregiudizio, nella sommatoria dei casi, per l efficienza e la rapidità dei giudizi. Le nuove norme, per contro, impongono comportamenti virtuosi, così sintetizzabili: - il Presidente, potendo esaminare con congruo anticipo (dallo stesso fissato e valutato ex ante) le difese ed i documenti delle parti, dovrà doverosamente garantire all udienza una piena conoscenza del caso, entro i limiti delle allegazioni e produzioni già agli atti del processo; - le parti, in ossequio ai più intensi obblighi di lealtà imposti dal rito della famiglia (dei quali si dirà in appresso),potranno e dovranno concentrare l oralità, consentita dalla loro comparizione personale e dall assistenza tecnica del difensore, sugli aspetti più immediatamente rilevanti ai fini della adozione dei provvedimenti provvisori ovvero della conciliazione della controversia. Ciò comporterà, come appare del tutto ovvio, la vanificazione di qualsivoglia ingiustificato tentativo di rinvio dell udienza e la stessa negazione della possibilità di depositare memorie e documenti oltre il termine assegnato dal decreto presidenziale. E ben vero che questa sanzione non è espressamente prevista dall art. 706 CPC novellato, ma è del tutto simmetricamente vero che nessun rimedio, per violazione del contraddittorio, è predisposto avverso la decisione del Presidente di non consentire il deposito (solo) in udienza di memorie e documenti. Opinare, poi, nel senso che tutto ciò che non è espressamente vietato e sanzionato deve considerarsi come processualmente lecito, contrasta apertamente con la ratio legis e con l evidente intento del legislatore di dotare i procedimenti di separazione e di divorzio (ormai unificati dal rito) di uno schema il più possibile votato alla conoscenza dei fatti ed all efficienza del rito. In definitiva, una volta garantite a ciascuno dei protagonisti una adeguata cognizione dell oggetto del giudizio (presupposto indefettibile per la stessa esplicazione dei doveri della giurisdizione e dei diritti della difesa) e la certezza dei suoi limiti procedurali (non solo temporali), l udienza presidenziale può svolgere la propria precipua funzione di momento di incontro, di confronto e di soluzione (non necessariamente temporanea) delle problematiche familiari sottoposte al vaglio del Tribunale. 3. L accentuazione del compito conciliativo demandato al Presidente

3 I primi due commi dell art. 708 CPC ( All'udienza di comparizione il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione ) ripropongono sostanzialmente il testo previgente. Ad onor del vero, la vetusta allocuzione procurando di conciliarli, contenuta nella norma abrogata, sembrava teoricamente imporre al Presidente un comportamento più penetrante rispetto al tentativo di conciliazione oggi letteralmente previsto. L impressione, come vedremo, è del tutto errata. In primo luogo, deve chiarirsi che con il termine conciliazione il legislatore non ha inteso imporre al magistrato la sola tentata ricomposizione della frattura coniugale. In tal caso, infatti, sarebbe stata lessicalmente e giuridicamente più corretta l utilizzazione del termine riconciliazione, nel senso e con le conseguenze espressamente sancite dalla norma di cui all art.154 CC ( La riconciliazione tra i coniugi comporta l abbandono della domanda di separazione personale già proposta ). In sede di divorzio, poi, un mero tentativo di riconciliazione parrebbe ancor più difficilmente comprensibile e di dubbia utilità, dovendosi considerare quantomeno arduo ed inverosimile che due coniugi ormai separati da almeno un triennio decidano, all udienza presidenziale e per effetto del solo intervento del giudice, di dare un colpo di spugna alle pregresse vicende personali e giudiziarie, ripristinando così l unione familiare. Dunque, il tentativo di conciliazione dovrà riguardare non solo l eventuale possibilità di una ricomposizione della frattura coniugale, ma anche e soprattutto, una volta verificata in modo negativo tale eventualità, il raggiungimento di un accordo globale, o quantomeno parziale, sulle questioni principali dibattute tra le parti. La più accentuata caratterizzazione conciliativa dell udienza presidenziale, rispetto al passato, è sorretta, a mio parere, da molteplici elementi rilevabili nel testo delle nuove norme e nella ratio che le ha ispirate. In primo luogo, avendo l art. 707 CPC previsto non solamente la comparizione personale dei coniugi ma anche l assistenza del difensore, deve desumersi che tale ultima previsione non sia solo giustificata dalla mera necessità o opportunità di garantire alle parti una conoscenza adeguata delle conseguenze giuridiche del comportamento tenuto innanzi al Presidente, ma sia anche di aiuto alla stessa funzione conciliativa svolta dal magistrato, così attribuendo allo stesso difensore il ruolo non meramente tecnico di custode dei diritti e degli interessi della parte rappresentata, bensì quello più completo di protagonista, anche umano, dell udienza e delle vicende che la caratterizzano. In tal modo, viene ad essere maggiormente stimolata ed incentivata l attività preventiva, volta alla possibile soluzione della controversia, esplicata dai difensori in epoca antecedente alla comparizione dei coniugi all udienza presidenziale. Quanto al magistrato, l obbligo di tentare la conciliazione della lite coniugale non è, come nel passato, considerato alla stregua di uno stanco quanto dovuto rituale. Basti pensare alla novità, introdotta dall art.155sexies C.C. in relazione ai provvedimenti riguardanti i figli minori, del rinvio della loro adozione al fine di consentire l esperimento del tentativo di mediazione familiare. Ed ancora, si osservi il ripetuto e non astratto riferimento, operato dall art.155 C.C. novellato, agli accordi che eventualmente siano raggiunti dai coniugi (autonomamente o, come più spesso avviene, proprio grazie all intervento conciliativo del Presidente). Può, pertanto, concludersi che, nel nuovo processo della famiglia, l operato del giudice, sin dall udienza presidenziale, debba essere improntato alla necessità di verificare, grazie anche al proprio non episodico intervento, se sia possibile raggiungere una linea di sostanziale nonché duraturo accordo tra le parti, magari anche limitata alle questioni più importanti (in primis, quelle riguardanti i figli minori).

4 In ciò il Presidente, oltre che dalla conoscenza preventiva degli atti e dalla propria presumibile esperienza professionale, sarà doverosamente aiutato dall apporto dei difensori e dai nuovi e più penetranti poteri di accertamento e di decisione previsti dalle nuove norme. 4. Gli accertamenti sommari prodromici alla emanazione dei provvedimenti provvisori La struttura della nuova udienza presidenziale, nel disciplinare i poteri di cognizione (seppure sommaria) e di decisione (seppure provvisoria) del Presidente, appare improntata a criteri in apparenza antitetici: l obbligo di lealtà ed informazione imposto ai coniugi e l assenza di veri e propri vincoli o limiti ai provvedimenti del giudice. In verità, ove tali criteri siano opportunamente coordinati, potrà raggiungersi l irrinunciabile scopo di garantire, pur nell auspicata rapidità e nell inevitabile sommarietà del rito, risultati il più possibile aderenti alla realtà ed ai principi di giustizia. Nel processo civile ordinario, il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità imposto alle parti dall art.88 CPC, al di là della scarsa rilevanza delle sanzioni previste in caso di inosservanza, non è mai stato considerato alla stregua di un obbligo di attivazione, ancor più in materia di produzioni documentali (v.cass n.9839). Il nuovo rito della famiglia, invece, impone alle parti, sin dall udienza presidenziale, non solo il preventivo dovere di indicare notizie riguardanti la prole, ma anche e soprattutto di allegare le ultime dichiarazioni dei redditi presentate (art.706 CPC; art.4 legge 898/70). Come interpretare questa prima esplicita eccezione al principio dispositivo ed ai tradizionali criteri regolatori dell onus probandi, se non nell ottica di individuare, nelle scelte operate dal legislatore, l affermazione di un dovere di lealtà ben più pregnante rispetto a quello dettato dal già citato art.88 CPC? Del resto, tale conclusione appare del tutto conforme allo spirito della norma di cui all articolo 29 della Carta Costituzionale, laddove è sancita la pari dignità morale e giuridica dei coniugi (che, ovviamente, non viene meno nei momenti di patologia del rapporto familiare). Può, di conseguenza, essere affermata nei procedimenti di separazione e divorzio l esistenza, a carico delle parti e dei loro difensori, di un obbligo di lealtà più intenso di quello sancito generalmente nel rito processuale civile e caratterizzato, in particolare, da un non astratto dovere di informazione su alcuni aspetti rilevanti della vicenda coniugale, quali le notizie sui figli e sulle capacità economiche e patrimoniali dei coniugi. L adempimento a tale obbligo non potrà non apparire essenziale, ai fini della trasparenza ed effettività dei provvedimenti provvisori, se si tien conto che i rimedi consentiti al Presidente nell ipotesi di reticenza ovvero di insufficiente documentazione delle informazioni di carattere economico (art.155 ultimo comma C.C.) sono, nell attualità, spesso paragonabili ad un arma in gran parte spuntata. L ottemperanza delle parti al dovere di adeguata e leale informazione, riguardo alle loro condizioni economiche e personali, apparirà addirittura fondamentale laddove si consideri che lo stesso magistrato, una volta valutato come concretamente impraticabile o non compatibile con i tempi dell udienza presidenziale l accertamento di Polizia Tributaria, dovrà avvalersi necessariamente di elementi presuntivi o di carattere notorio (magari suscettibili di introdurre decisioni approssimative), pena l abdicazione al dovere di rendere giustizia di fronte alla non corretta e non collaborativa posizione di uno dei coniugi. In tale ottica, può considerarsi inevitabile o, comunque, opportuna l adozione di strumenti e di criteri di valutazione oggettivi e predeterminati, fatta salva, in ogni caso, la possibilità per il giudice di valutare il comportamento tenuto dalle parti nel processo (quindi, anche all udienza di cui all art. 708 CPC) e le risposte fornite dai coniugi come elemento di giudizio, anche in sede di adozione dei provvedimenti presidenziali provvisori, ai sensi dell art.116 CPC. 5. La possibile adozione di criteri oggettivi e predeterminati ed il loro contemperamento con le peculiarità della situazione esaminata L esperienza maturata anche successivamente all entrata in vigore della novella legislativa, unita a quella vissuta tra centinaia di controversie regolate dal rito antecedente, consente di affermare che,

5 purtroppo, il vero oggetto del contendere tra i coniugi sovente è, fin dalle prime battute della loro vicenda processuale, la regolazione economica dei reciproci rapporti. Anche la civilissima previsione di legge riguardante l affido condiviso viene, in realtà, troppo spesso utilizzata allo scopo di limitare gli effetti negativi della rottura dell unità della famiglia sui redditi dei suoi componenti. In questo contesto, l udienza presidenziale assume una importanza a volte esiziale, in quanto le deliberazioni adottate appaiono suscettibili di regolare per lungo tempo (anche) la delicata materia dei rapporti economici tra i coniugi. I provvedimenti del Presidente, peraltro, oltre che sorretti da una cognizione inevitabilmente sommaria dei fatti, sono per definizione temporanei ed urgenti. Ciò significa che, oltre che provvisori, sono destinati a regolare nell immediato una situazione di conflitto, che solo al momento della decisione finale troverà, previa adeguata istruttoria, una definitiva soluzione processuale. Questa che può apparire come una astratta esercitazione dialettica deve, invece, considerarsi una riflessione non casualmente suffragata anche da alcuni passaggi della nuova normativa. Già si è detto del potere conferito al giudice (quindi, anche al Presidente) di disporre tramite la Polizia Tributaria accertamenti sui redditi e sui beni non sufficientemente documentati ed oggetto di contestazione (art.155 ultimo comma C.C.). Peraltro, l art.155sexies C.C. consente al giudice (quindi, anche al Presidente) di assumere, ad istanza di parte o d ufficio, veri e propri mezzi di prova solamente in relazione alle questioni affrontate dalla stessa norma, vale a dire quelle riguardanti i figli minori. La legge, dunque, nell attribuire al Presidente un ampio potere in ordine al contenuto di tutti i provvedimenti reputati necessari ed urgenti nell ambito della controversia di separazione, ne circoscrive al tempo stesso le facoltà istruttorie escludendo, quanto ai rapporti economici tra i coniugi, quelle individuabili strictu sensu come mezzi di prova. Quasi obbligato, perciò, deve considerarsi il ricorso, seppur prudenziale, a criteri oggettivi e predeterminati, idonei ad impedire disparità di trattamento in situazioni obbiettivamente simili o ragionevolmente paragonabili. Criteri che, in ossequio ai cennati principi di trasparenza e di leale collaborazione tra gli attori del processo, debbono essere possibilmente resi pubblici (come da tempo è avvenuto quanto al Foro Monzese ***), anche al non secondario scopo di favorire l accordo almeno sulle questioni economiche. Nel delicato confronto tra le informazioni e la documentazione offerte dalle parti, le motivate loro contestazioni ed allegazioni, i criteri oggettivi e predeterminati predisposto dall organo giudicante e le risposte fornite dagli interessati alle domande del Presidente (valutabili ai fini, della adozione dei provvedimenti provvisori, ai sensi del disposto di cui all art.116 CPC), può essere realizzata una verosimile approssimazione alla realtà dei fatti, tale da consentire una immediata risposta di giustizia alle domande del coniuge più debole e la valorizzazione di uno dei rari momenti di autentica oralità del processo. *** Le tabelle, rese pubbliche nel novembre 2003 e suscettibili di adattamenti alle nuove norme, sono riportate alle pagine 15 e L affidamento dei figli minori e la loro audizione Essendo la tematica sostanziale dell affido condiviso l oggetto precipuo di altre relazioni, limiterò la mia disamina ad alcuni aspetti emersi, in modo preponderante, nell approccio alle controversie di separazione e divorzio sin dall esordio dei correlativi procedimenti. Ho già evidenziato come, purtroppo, in una moltitudine di casi la bandiera dell affidamento condiviso sia stata agitata in modo palesemente strumentale e surrettizio, al solo fine di cogliere migliori risultati e condizioni sul versante dei rapporti economici. In altri termini, sovente la richiesta di suddivisione paritaria del tempo di permanenza dei figli minori con i genitori ha automaticamente introdotto nel processo una simmetrica domanda di eliminazione

6 ovvero di drastica riduzione del contributo per il loro mantenimento, versato all altro coniuge con cadenza periodica. Altrettanto spesso, il cedimento anche solo parziale sul fronte dell assegno di mantenimento ha comportato un repentino abbandono dei buoni propositi di condivisione reale ed effettiva degli oneri personali e temporali connessi con la cura e l educazione dei figli, con buona pace per il principio di bigenitorialità precedentemente sbandierato e invocato. La struttura normativa della novella del 2006 ha, dal canto suo, offerto non poche occasioni di discussione e perplessità, soprattutto in relazione a ciò che può considerarsi inderogabile ed a ciò che, invece, è stato riservato alla valutazione del magistrato. I dubbi non riguardano tanto la possibilità per il giudice di disporre l affidamento esclusivo, essendo tale eventualità subordinata alla adozione di un provvedimento motivato dalla contrarietà dell affidamento condiviso agli interessi del minore (art.155bis II comma C.C.), quanto piuttosto le problematiche sottese all esercizio della potestà. Da alcuni si sostiene, in effetti, che in tutte le ipotesi di affidamento la legge avrebbe previsto: - che la potestà genitoriale permanga in capo ad entrambi i genitori; - che possa essere esercitata separatamente solo se così stabilito dal giudice e limitatamente alle questioni di ordinaria amministrazione. (art.155 comma 3 C.C.); - che, in ogni caso, entrambi i genitori debbano assumere, di comune accordo, le decisioni di maggiore interesse relative all educazione, istruzione e salute dei figli minori; - che solo in ipotesi di loro disaccordo su tali aspetti la decisione è rimessa al Giudice. La tesi muove dalla constatazione che, mentre l art.155 C.C. nulla dispone in relazione alla applicabilità del principio della potestà comune alla sola ipotesi dell affidamento congiunto, l art.155bis C.C., laddove disciplina in modo specifico l ipotesi di affidamento esclusivo dei figli ad uno soltanto dei coniugi, nulla dice in tema di attribuzione ed esercizio della potestà. Invece, l art.155ter C.C. parrebbe aprire un varco alla possibilità di assegnare in via esclusiva la potestà, laddove prevede il diritto di ciascun genitore di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l attribuzione dell esercizio della potestà : ma i fautori della tesi contraria potrebbero obiettare che la revisione consentita dall anzidetta norma abbia quale unico oggetto le decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, rispetto alle quali l art.155 C.C. già prevede il potenziale esercizio separato della potestà. Come si vede, permangono i dubbi interpretativi riconducibili alla assenza di qualsivoglia chiara e netta distinzione tra le diverse modalità dell affidamento ( la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori : art.155 C.C.). Ma proprio il tenore letterale dell art.155ter C.C. (che prevede la revoca delle condizioni concernenti l attribuzione dell esercizio delle potestà ), consentirebbe di sostenere: - che, poiché revocabile è un precedente provvedimento di attribuzione della potestà genitoriale, l unica possibilità di modificazione sarebbe quella di operare un mutamento dalla attribuzione congiunta alla attribuzione esclusiva (o viceversa); - che, pertanto, in ipotesi di affidamento esclusivo il giudice, tenuto conto del preminente interesse dei figli minori, potrebbe attribuire in via esclusiva al genitore (unico) affidatario anche l esercizio della potestà. A causa degli anzidetti opposti agganci interpretativi, in molti casi il Presidente si è trovato di fronte a domande fondate sulla asserita inderogabilità del principio dell attribuzione congiunta dell esercizio della potestà genitoriale o, al contrario, a richieste di affidamento esclusivo nonché di esercizio altrettanto esclusivo della potestà. La soluzione di un simile dilemma interpretativo mal si concilia, ovviamente, con il carattere provvisorio dei provvedimenti presidenziali, che dovrebbero essere destinati essenzialmente alla regolazione di situazioni di mero fatto e non anche alla produzione giurisprudenziale di principi assai più consoni alla fase contenziosa e decisoria del processo.

7 E che tale amara considerazione non sia il frutto di vuoti esercizi dialettici è dimostrato dalle concrete problematiche riconducibili all esercizio della potestà genitoriale (su tutte, le scelte scolastiche, sanitarie, educative e logistiche), direttamente ed immediatamente influenzate dai provvedimenti presidenziali e che, pertanto, dovrebbero essere sorrette dall auspicata certezza del diritto che le regola in astratto. Un sicuro aiuto giunge dall art.155 II c.c.c, vero faro direzionale dell azione del magistrato laddove gli attribuisce il potere di adottare ogni altro provvedimento relativo alla prole. Ne discende che, poichè le stesse ragioni che sconsigliano l attribuzione dell affidamento condiviso normalmente contrastano con l opportunità dell esercizio comune della potestà, il Presidente (il quale, nell adottare i provvedimenti relativi alla prole, deve obbligatoriamente avere esclusivo riferimento all interesse materiale e morale di essa ) ben potrà disporre che anche la potestà sia esercitata in via autonoma dal genitore affidatario esclusivo dei figli. E che tale ultima opzione sia del tutto legittima è dimostrato dalla incontestata persistente possibilità di affidamento dei figli minori anche a terzi (ad esempio, ai Servizi Sociali territorialmente competenti) qualora l affidamento all uno o all altro dei genitori contrasti gravemente e palesemente con il loro preminente interesse: in tale estrema ipotesi, appare perfino ovvia la negazione del principio dell obbligatoria attribuzione congiunta della potestà. L esercizio della potestà non è, però, il punto più discusso nell ambito dell esperienza sin qui maturata. In questo primo anno di applicazione delle nuove norme, forti contrasti sono insorti tra le parti in relazione alla necessità o meno di procedere, in sede di udienza presidenziale, all audizione dei figli minori. L art.155sexies C.C. prevede che prima dell emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all articolo 155 il giudice disponga l audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. L utilizzazione del termine audizione sembra imporre un adempimento processuale ben preciso: la presentazione del minore innanzi al giudice, che lo interroga senza vincoli formali e, se lo ritiene opportuno, verbalizza anche sommariamente quanto affermato in sua presenza. L utilizzazione del predicato verbale dispone sembrerebbe imporre al giudice (quindi anche al Presidente) l audizione del minore ultradodicenne in ogni occasione nella quale debbano essere adottati i provvedimenti previsti dall art.155 C.C. : in teoria, quindi, anche qualora il Giudice Istruttore sia chiamato ad apportare sostanziali mutamenti alle condizioni stabilite in precedenza (dal Presidente o dallo stesso G.I). A mio parere, la ratio della nuova norma codicistica in esame deve essere individuata in stretta correlazione con altri principi riguardanti la figura del minore, riscontrabili non solo nella novella legislativa, ma anche nelle Convenzioni Internazionali che l hanno, in tutta evidenza, ispirata. Sia la Convenzione dei diritti del fanciullo stipulata a New York il (ratificata dall Italia con Legge n.176), sia la Convenzione di Strasburgo del (ratificata dal nostro Paese con Legge n.77) prevedono, in effetti, che il minore sia ascoltato nei procedimenti giudiziari che lo riguardano. L utilizzazione del termine ascolto, in luogo della parola audizione (di mera ed arida valenza procedurale), pone il minore nella condizione di titolare di un vero e proprio diritto ad esporre le proprie esigenze ed i propri desiderata nel momento in cui debbano essere adottati provvedimenti che incidono direttamente sulla sua vita e sulle sue condizioni personali. Il vero e proprio soggetto debole delle controversie di famiglia, in tal modo, non viene escluso dal momento conoscitivo dei fatti e delle circostanze che condurranno alla decisione, ma ne diviene uno dei protagonisti, pur con tutte le cautele doverosamente riconducibili alla giovane età ed all esigenza di tutela dei suoi preminenti interessi e del suo equilibrio psicologico.

8 In tale ottica, l ascolto del minore (e non, quindi, la sua mera audizione) potrà avvenire nei modi e nei tempi più consoni ai suoi stessi interessi, non dovrà trasformarsi in adempimento suscettibile di essere utilizzato in via strumentale dall uno o dall altro genitore e non sarà, pertanto, meccanicamente riproponibile in ogni occasione nella quale le parti del processo si rivolgano al giudice al solo scopo di reiterare istanze e richieste già ampiamente sviscerate. Può, pertanto, ritenersi che il dovere di ascolto dei figli minori debba essere esercitato dal giudice nei tempi e nei modi ritenuti prudenzialmente più opportuni, con il conseguente suo possibile differimento alla fase contenziosa del processo, assai più compatibile (rispetto alla udienza presidenziale) con le oggettive necessità riconducibili ad un adempimento talmente importante e delicato. Se, in effetti, la cognizione sommaria dei fatti e delle circostanze utili ai fini dell adozione dei provvedimenti provvisori è giustificata dalla loro temporaneità ed urgenza (art. 708 CPC), le problematiche introdotte dalla necessità di un reale ed effettivo ascolto dei figli minori mal si conciliano con il rito presidenziale e con le tempistiche ad esso oggettivamente connesse. Basterà, a tal fine, osservare: - che l orientamento giurisprudenziale prevalente consente, anche di fronte alla nuova norma di cui all art.155sexies C.C., la distinzione tra ascolto diretto ed ascolto indiretto del minore (vale a dire, a mezzo di uno o più esperti nominati dal giudice), con l ovvia dilatazione dei tempi che quest ultima possibilità inevitabilmente comporta; - che, nell ipotesi di un accordo tra i genitori non contrario all interesse dei figli (giusto quanto previsto dallo stesso art.155 C.C.), l audizione si risolverebbe in un ingiustificato ed inutile loro coinvolgimento nelle già gravose vicende della separazione. Altrettanto scontato, peraltro, è il dovere del Presidente di procedere comunque all ascolto dei minori in situazioni estreme, caratterizzate da conflitti di portata tale da indurre l adozione di provvedimenti (pur provvisori) che potrebbero incidere in modo significativamente negativo sulla vita dei figli e sul loro delicato equilibrio. In tal caso, anche in stretta correlazione con la situazione di conflitto e con le sue modalità più percepibili, sarà compito del Presidente procedere all ascolto del minore avvalendosi, in modo prudenziale, delle (non positivamente regolate) regole di disciplina dell udienza, stabilendo se possa ritenersi opportuna la presenza dei genitori e/o dei loro difensori ed avvalendosi delle peculiarità del rito camerale (al quale, come è noto, non sono simmetricamente applicabili le regole proprie del processo contenzioso: Cass n.986) e segnatamente della facoltà di assumere informazioni prevista dall ultimo comma dell art.738 CPC (non assimilabile ad un vero e proprio momento probatorio). Perfino banale deve considerarsi la precauzione della raccolta a verbale del previo consenso delle parti all ascolto del minore in loro assenza. 7. L assegnazione della casa coniugale La giurisprudenza prevalente della Suprema Corte, nella vigenza delle norme antecedenti la recente novella, ha costantemente statuito che il potere di assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi può essere esercitato dal giudice solo in considerazione delle esigenze della prole, vale a dire nei soli casi di convivenza con figli minorenni ovvero con figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti. L anzidetto limite presupponeva, peraltro, l indiscussa ed assiomatica affermazione del diritto dei figli minori a mantenere il loro habitat domestico anche dopo la separazione dei genitori (Cass.Sez.Unite n.11096/2002 e n.11297/1995), atteso che, tra gli obblighi sanciti a carico dei genitori dall art.147 C.C., rilevante importanza doveva essere attribuita a quello avente ad oggetto la predisposizione e la conservazione dell ambiente domestico, considerato quale centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita (Corte Cost n.166). Le nuove disposizioni di legge hanno, in qualche modo, reso meno lineare la possibilità per il giudice di preferire un coniuge all altro nell assegnazione della casa familiare. L art.155quater C.C. ora dispone, infatti, che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell interesse dei figli e, non solo dal punto di vista letterale, sembra segnare

9 un mutamento rispetto alle abrogate previsioni di cui all art.155 C.C. ed allo stesso art.6 comma sesto legge 898/70 (ove era stabilito: l abitazione familiare spetta di preferenza al coniuge cui vengono affidati i figli ). Potrebbe, dunque, trovare facile ingresso la tesi secondo la quale l aspettativa del coniuge affidatario dei figli all assegnazione della casa coniugale non corrisponda più ad un diritto di questi ultimi a mantenere l habitat domestico, indipendentemente dalle vicende del vincolo che lega i genitori, ma corrisponda ora, tutt al più, ad un mero interesse valutabile in via prioritaria, ma non disgiunta da altri possibili interessi. Così opinando, la coabitazione con i figli minori diverrebbe solo il criterio principale, ma non per questo unico, ai fini della scelta del giudice avente ad oggetto l assegnazione della casa coniugale. Purtroppo, l anzidetta tesi trova ulteriore conforto nella previsione dettata dal secondo comma dell art.155quater C.C., che letteralmente prevede la cessazione ( viene meno ) del diritto al godimento della casa familiare anche nelle ipotesi in cui l assegnatario conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio : circostanze, queste, che palesemente non farebbero venire meno il diritto o anche solo l aspettativa legittima dei figli minori di vedere preservato il loro ambiente domestico. Paradossalmente, potrebbe giungersi alla maliziosa conclusione che il legislatore, dopo aver riaffermato il preminente rilievo dell interesse dei figli, abbia di fatto espresso il proprio evidente disfavore per il caso in cui il genitore affidatario degli stessi abbia a costituire una nuova famiglia logisticamente dislocata nella ex casa coniugale. Più ragionevolmente, deve invece ritenersi che la novella legislativa abbia attribuito alla casa familiare ed alla sua assegnazione una esplicita e marcata valenza economica, come è tra l altro espressamente dimostrato dalla previsione che dell assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori (art.155 C.C.). Di talchè, ferma restando la pressoché obbligata assegnazione al coniuge affidatario o anche solo collocatario dei figli minori, del godimento della casa coniugale si terrà doverosamente conto nella regolazione delle altre questioni economiche. Maggiormente arduo è distinguere, come suggerito da alcuni interpreti, i diritti derivanti dalla assegnazione della casa familiare da quelli riconducibili alla attribuzione (concordata tra le parti) del suo mero godimento. L art.155 C.C. ha, in effetti, utilizzato indistintamente entrambi i termini al fine di regolare i poteri del giudice, pur prevedendo in modo esplicito la trascrivibilità del provvedimento di assegnazione e lasciando, pertanto, aperto il dibattito sulla possibilità per i coniugi di addivenire ad accordi che attribuiscano ad uno di essi una mera facoltà di utilizzazione della casa familiare, priva di effetti diversi da quelli pattiziamente accettati, anche riguardo ai terzi (non rara è, infatti, l ipotesi che l immobile coniugale sia di proprietà dei genitori di una delle parti e sia stato semplicemente concesso in comodato). In definitiva, salvi diversi accordi tra le parti, il giudice (quindi, anche il Presidente) dovrà considerare l avverbio prioritariamente, utilizzato dall art.155quater C.C., non tanto come idoneo ad introdurre un obbligo di graduazione di più criteri regolatori del suo potere di assegnazione della casa familiare, quanto piuttosto come suscettibile di ribadire nuovamente i prioritari interessi dei figli minori. Nessun altro criterio, infatti, giustificherebbe l attribuzione dell immobile ad uno dei genitori, non potendosi certo sancire la preminenza del diritto di godimento di una ovvero dell altra delle parti, pena il contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza giuridica dei coniugi e di tutela della proprietà (artt.29 e 42 Costituzione). Dovrà, infine, nuovamente essere ribadita l impossibilità di procedere, in assenza di accordo, all assegnazione della casa coniugale nell ipotesi di mancanza di figli meritevoli di tutela. 8. Il reclamo e le eventuali altre possibilità di impugnazione.

10 Dall art. 708 quarto comma CPC è ora prevista la possibilità di proporre reclamo alla Corte d Appello avverso i provvedimenti presidenziali provvisori. E opportuno ricordare anche l art. 709 CPC, che all ultimo comma dispone che il G.I. possa revocare o modificare i provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal Presidente. Tale ultima disposizione non richiama più l art.177 CPC (come, invece, l art. 708 CPC ante novella), secondo il quale non possono essere né revocate né modificate le ordinanze assunte su accordo delle parti. Deve, perciò, reputarsi che, anche qualora i provvedimenti presidenziali siano stati adottati col previo accordo dei coniugi, innanzi al G.I. possa esserne richiesta, in ogni tempo, la revoca o la modificazione. Il nuovo testo dell art. 709 CPC appare, peraltro, difficilmente coordinabile con il quarto comma dell art. 708 CPC, laddove è prevista, come s è detto, la possibilità per le parti di proporre reclamo alla Corte d Appello avverso i provvedimenti presidenziali provvisori, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento. Se i provvedimenti presidenziali sono reclamabili entro un termine definito perentorio (vale a dire, a pena di decadenza dalla facoltà di chiederne la revoca o la modificazione), di difficile comprensione è il mantenimento della possibilità, non soggetta a forme e termini particolari, di chiederne al G.I. proprio la revoca o la modificazione. I problemi interpretativi da risolvere appaiono, dunque, i seguenti: - quali sono i profili rispetto ai quali potrà essere utilizzato il rimedio del reclamo alla Corte d Appello avverso i provvedimenti presidenziali; - quali ulteriori impugnazioni possono eventualmente esperirsi avverso la decisione del giudice del reclamo; - quali sono, se sussistono, i limiti entro i quali il G.I. potrà revocare o modificare l ordinanza presidenziale ed i provvedimenti provvisori non reclamati (ovvero confermati o modificati in sede di reclamo dalla Corte d Appello); - quali sono, se sussistono, le possibilità di impugnazione o reclamo delle ordinanze del G.I. Ad un solo anno dall entrata in vigore della novella legislativa, le risposte ai quesiti anzidetti non sono, inevitabilmente, suffragate da molteplici e consolidate produzioni giurisprudenziali. La Suprema Corte, anche recentemente, ha ribadito la sostanziale natura cautelare attribuibile ai provvedimenti presidenziali provvisori, essendo gli stessi destinati ad assicurare i diritti dei figli e dei coniugi fino all accertamento definitivo che può derivare solo dal giudicato (vedi : Cass n.13593). Di qui, la sostanziale correttezza, anche formale, del rimedio del reclamo previsto dal quarto comma dell art. 708 CPC. Proprio per questo, però, dovrebbe escludersi la riproposizione tout court delle questioni esaminate dal Presidente, non apparendo concepibile una mera rivisitazione (pur da un diverso e superiore punto di vista) della materia trattata. La cognizione della Corte d Appello dovrà, invece, essere limitata ai soli profili di palese ed erronea interpretazione ed applicazione di norme di diritto, ovvero di manifesta incongruenza dei provvedimenti rispetto alle situazioni di fatto, così come risultanti dagli atti del giudizio, non apparendo congruo né opportuno che il processo debba proseguire ed essere eterodiretto, in primo grado, semplicemente sulla scorta di valutazioni diverse dell oggetto del contendere, provenienti da una istanza di giustizia superiore. In questo senso si sono sostanzialmente espressi, ad esempio, la Corte d Appello di Bologna (decreto ) ed il Tribunale di Trani (decreto ). Avverso la decisione della Corte d Appello dovrà, invece, considerarsi come esperibile il rimedio di cui all art. 111 Costituzione, avuto riguardo alla natura sostanziale di sentenza riconoscibile a siffatto decreto, in quanto incidente su diritti/doveri dei genitori, emesso a conclusione di un procedimento contenzioso e, pertanto, caratterizzato dagli elementi della decisorietà e della definitività(da riferire alla situazione esistente al momento della decisione) a prescindere dalla suscettibilità dello stesso ad

11 essere oggetto di revisione in ogni tempo, ai sensi dell ultimo comma dell art.155 C.C. (Cass n.18627). Assai meno agevole è la problematica sottesa agli ultimi due quesiti. Si è già detto che, essendo i provvedimenti presidenziali reclamabili entro un termine definito perentorio (vale a dire, a pena di decadenza dalla possibilità di chiederne la revoca o la modificazione), di difficile comprensione è il mantenimento della possibilità, non soggetta a forme ed a termini particolari, di chiederne al G.I. proprio la revoca ovvero la modificazione (art. 709 ultimo comma CPC). Nel silenzio della norma, potrebbe sostenersi la tesi, sorretta dal suo tenore letterale, che il G.I. possa, in ogni tempo e senza alcun limite particolare, revocare o modificare quanto già stabilito dal Presidente e non fatto oggetto di tempestivo reclamo, oppure quanto statuito dalla Corte d Appello ex art. 708 ultimo comma CPC. Questa interpretazione finirebbe, però, con l attribuire ai provvedimenti presidenziali un ruolo precario e limitatissimo nel tempo ed al potere di revoca o modifica del G.I. il carattere di un semplice diverso opinamento sulle circostanze discusse tra le parti. Se così fosse, non si comprende il motivo per il quale non sia stata prevista e disciplinata la eventuale reclamabilità anche dei provvedimenti del G.I., che sarebbe stata giuridicamente giustificata dalla medesima natura che li accomuna a quelli presidenziali. Ed invece, la giurisprudenza prevalente esclude qualsivoglia rimedio - diverso rispetto ad una richiesta di révirement rivolta allo stesso G.I. avverso le sue ordinanze provvisorie - neppure in applicazione del disposto di cui all art. 669terdecies CPC (in tema vedansi: Tribunale di Monza ; Corte d Appello di Milano ; Corte d Appello di Trento ; Corte d Appello di Cagliari ). La miglior soluzione interpretativa può considerarsi quella che limita i poteri di revoca ovvero di modifica del G.I. alla sola opportunità di adeguare i provvedimenti presidenziali, resi dopo una sommaria delibazione dei fatti, all eventuale mutamento delle circostanze ovvero a nuove e diverse risultanze della fase istruttoria e della piena cognizione del thema decidendum. In tal modo, verrebbe vanificato ogni dubbio di costituzionalità riguardo alla non reclamabilità dei provvedimenti del G.I., non sufficientemente escluso dalla sola possibilità (non concessa, invece, al Presidente) di revoca o di modificazione da parte dello stesso magistrato che li ha pronunziati. Più estemporanea appare l opinione di chi (Tribunale di Modena ) considera come consentita la richiesta al G.I. di modificazione o revoca dei soli provvedimenti presidenziali non reclamati innanzi alla Corte d Appello. Art. 706 c.p.c.. Art. 707 c.p.c.. Art. 708 c.p.c.. Art. 709 c.p.c.. Art. 4 L. 898/70 (Legge Divorzio). LE NORME ESAMINATE 1. La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all'estero o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche questi e' residente all'estero, a qualunque tribunale della Repubblica. La domanda congiunta può essere proposta al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell'uno o dell'altro coniuge.

12 2. La domanda si propone con ricorso, che deve contenere l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso e' fondata. 3. Del ricorso il cancelliere da' comunicazione all'ufficiale dello stato civile del luogo dove il matrimonio fu trascritto per l'annotazione in calce all'atto. 4. Nel ricorso deve essere indicata l'esistenza dei figli legittimi, legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio. 5. Il presidente del tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data di comparizione dei coniugi davanti a sé, che deve avvenire entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Il presidente nomina un curatore speciale quando il convenuto e' malato di mente o legalmente incapace. 6. Al ricorso e alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi rispettivamente presentate. 7. I coniugi devono comparire davanti al presidente del tribunale personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, e con l'assistenza di un difensore. Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto. Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata. All'udienza di comparizione, il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente poi congiuntamente, tentando di conciliarli. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione. 8. Se la conciliazione non riesce, il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché, qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età, i figli minori, dà, anche d'ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentito il ricorrente e il suo difensore. L'ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore. Si applica l'articolo 189 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile. 9. Tra la data dell'ordinanza, ovvero tra la data entro cui la stessa deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell'udienza di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini di cui all'articolo 163-bis del codice di procedura civile ridotti a metà. 10. Con l'ordinanza di cui al comma 8, il presidente assegna altresì termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria integrativa, che deve avere il contenuto di cui all'articolo 163, terzo comma, numeri 2), 3), 4), 5) e 6), del codice di procedura civile e termine al convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi degli articoli 166 e 167, primo e secondo comma, dello stesso codice nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio. L'ordinanza deve contenere l'avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all'articolo 167 del codice di procedura civile e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio. 11. All'udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli articoli 180 e 183, commi primo, secondo, quarto, quinto, sesto e settimo, del codice di procedura civile. Si applica altresì l'articolo 184 del medesimo codice. 12. Nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell'assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza e' ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all'articolo Quando vi sia stata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza che dispone l'obbligo della somministrazione dell'assegno, può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della domanda.

13 14. Per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado e' provvisoriamente esecutiva. 15. L'appello è deciso in camera di consiglio. 16. La domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio che indichi anche compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, è proposta con ricorso al tribunale in camera di consiglio. Il tribunale, sentiti i coniugi, verificata l'esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all'interesse dei figli, decide con sentenza. Qualora il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui al comma 8. Art. 154 C.C. RICONCILIAZIONE La riconciliazione tra i coniugi comporta l abbandono della domanda di separazione personale già proposta Art. 155 C.C. PROVVEDIMENTI RIGUARDO AI FIGLI. Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all istruzione e all educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all istruzione, all educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1. le attuali esigenze del figlio; 2. il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3. i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4. le risorse economiche di entrambi i genitori; 5. la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. L assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi. Art. 155bis C.C.

14 AFFIDAMENTO A UN SOLO GENITORE E OPPOSIZIONE ALL AFFIDAMENTO CONDIVISO. Il giudice può disporre l affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l affidamento all altro sia contrario all interesse del minore. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell interesse dei figli, rimanendo ferma l applicazione dell articolo 96 del codice di procedura civile. Art. 155ter C.C. REVISIONE DELLE DISPOSIZIONI CONCERNENTI L AFFIDAMENTO DEI FIGLI. I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l affidamento dei figli, l attribuzione dell esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo. Art. 155quater C.C. ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE E PRESCRIZIONI IN TEMA DI RESIDENZA. Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell interesse dei figli. Dell assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell articolo Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici. Art. 155sexies C.C. POTERI DEL GIUDICE E ASCOLTO DEL MINORE. Prima dell emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all articolo 155, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Qualora ne ravvisi l opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l adozione dei provvedimenti di cui all articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell interesse morale e materiale dei figli. CRITERI DI LIQUIDAZIONE DELL ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER CONIUGE E FIGLI IN MATERIA DI SEPARAZIONE E DIVORZIO (Incontro in Monza del ) Procedimento di separazione giudiziale Ipotesi di coniugi senza figli a) Qualora il coniuge richiedente non disponga di alcuna fonte di reddito, dovrà innanzitutto valutarsi se, eventualmente con il consenso dell altro coniuge, sia possibile individuare un primo contributo nella assegnazione della casa coniugale.

15 Come è noto, nell attualità del nostro contesto territoriale la disponibilità di una abitazione (soprattutto quando, come spesso accade, l immobile sia di proprietà comune e non divisibile) può essere equiparata ad un non indifferente contributo economico, quantomeno in termini di risparmio degli esborsi necessari per il pagamento di onerosi canoni locatizi. Avendo riferimento a situazioni reddituali medie (operaio/impiegato; 1.000,00 / 1.500,00 mensili per 13 o 14 mensilità), in assenza di particolari altre condizioni valutative (ad esempio: proprietà immobiliari molteplici; depositi o conti correnti di non scarsa entità), la liquidazione ipotizzabile è la seguente: - con assegnazione della casa coniugale : assegno pari a circa ¼ del reddito del coniuge obbligato (cioè da 250,00 a 400,00 circa); - senza assegnazione della casa coniugale : assegno pari a circa 1/3 del reddito del coniuge obbligato (cioè da 350,00 a 500,00 circa). b) Qualora il coniuge richiedente l assegno sia dotato di redditi propri non adeguati (come tali dovendosi intendere quelli che, pur sufficienti a garantire un minimo di autosufficienza economica, non soddisfino l esigenza di mantenere un tenore di vita ragionevolmente comparabile a quello precedente la rottura dell unità coniugale), i criteri liquidativi sopra enucleati potranno trovare applicazione operando, quale parametro di riferimento, sul differenziale di reddito tra i coniugi. Pertanto, nell ipotesi spesso ricorrente di un coniuge con occupazione part-time produttiva di redditi modesti (es: 400,00 mensili), la liquidazione dell assegno potrà così essere effettuata: - con assegnazione della casa coniugale: ¼ di 1.000,00 (o 1.500,00) - 400,00 - senza assegnazione della casa coniugale: 1/3 di 1.000,00 (o 1.500,00) - 400,00 c) Le anzidette esemplificazioni possono trovare applicazione anche con riferimento a situazioni di reddito assai piu elevate, peraltro spesso suscettibili di contemperamenti in relazione a possibili altre attribuzioni economico/patrimoniali. Se, infatti, la stragrande maggioranza delle controversie riconducibili a situazioni reddituali medie (operaio/impiegato) appare accomunata da parametri non molto dissimili tra di loro, non altrettanto può dirsi quanto ad altre condizioni professionali (professionista/commerciante/ imprenditore). Innanzitutto, sovente assai piu discussa tra le parti è, in tali ipotesi, la reale condizione patrimoniale e reddituale della parte destinataria della richiesta di mantenimento (e, talvolta, anche quella della parte richiedente). Il Presidente, dunque, sarà chiamato ad operare una cognizione sommaria degli elementi valutativi offerti dalle parti attraverso le produzioni documentali e le dichiarazioni rese all udienza, onde stabilire, innanzitutto, il tenore di vita pregresso dei coniugi e le loro attuali condizioni patrimoniali e di reddito. Spesso tale valutazione impone il superamento delle sole evidenze documentali rappresentate dalle dichiarazioni dei redditi, qualora in particolare queste ultime non appaiano in consonanza con altri indicatori della ricchezza (ad esempio: il possesso di autovetture di grossa cilindrata, di cospicue disponibilità finanziarie, di un consistente patrimonio immobiliare, di avviate attività commerciali, professionali, aziendali). Dunque, il criterio della liquidazione di un assegno pari ad un quarto del presunto reddito dell obbligato (in ipotesi di assegnazione della casa coniugale al coniuge richiedente) ovvero pari ad un terzo (in ipotesi di non assegnazione) potrà essere rispettato, previo opportuno contemperamento con la complessiva regolazione delle altre situazioni patrimoniali evidenziate dalle risultanze processuali. Ipotesi di coniugi con figli Ferme restando le considerazioni e le distinzioni operate con riferimento alla assegnazione o meno della casa coniugale, va osservato che, peraltro, nella stragrande maggioranza dei casi la abitazione coniugale viene assegnata al coniuge affidatario dei figli minori. Appare opportuno, perciò, fornire alcuni elementi valutativi concernenti questa ipotesi maggiormente ricorrente.

16 Inoltre, deve premettersi che, normalmente, viene posto a carico del coniuge non affidatario anche l obbligo di contribuire nella misura del 50% al pagamento delle spese mediche e scolastiche straordinarie, di talchè la regolamentazione provvisoria dell assegno per il mantenimento dei figli imporrà al Presidente l adozione di criteri prudenziali ancor piu strettamente collegati alle peculiarità del caso concreto. Possono, dunque, essere indicativamente ipotizzate le seguenti situazioni : a) Nel caso in cui al coniuge affidatario dei figli minori ed assegnatario della casa coniugale non sia liquidato alcun assegno per il proprio mantenimento la liquidazione del contributo al mantenimento dei figli, da porsi a carico dell altro coniuge, potrà variare in relazione al numero dei beneficiari. Nelle situazioni reddituali medie (operaio/impiegato; 1.000,00 / 1.500,00 mensili per 13 o 14 mensilità), in assenza di particolari altre condizioni valutative (ad esempio: proprietà immobiliari molteplici; depositi o conti correnti di non scarsa entità), la liquidazione ipotizzabile, in relazione ai redditi dell obbligato, è la seguente: - in presenza di un solo figlio : assegno pari al 25% circa del reddito ( 250,00 / 400,00) - in presenza di due figli : assegno pari a circa il 40% del reddito ( 400,00 / 600,00) - in presenza di tre figli : assegno pari al 50% circa del reddito ( 500,00 / 750,00). b) Nel caso in cui al coniuge affidatario dei figli minori ed assegnatario della casa coniugale sia liquidato un assegno per il proprio mantenimento, nelle situazioni reddituali medie i criteri liquidativi sopra ipotizzati dovranno essere opportunamente contemperati alla opportunità di salvaguardare le residue esigenze di vita del coniuge obbligato (spesso chiamato ad esborsi locatizi per il reperimento di una abitazione). La liquidazione, pertanto, potrà essere effettuata con riferimento ai seguenti parametri: - in presenza di un solo figlio : assegno pari ad 1/5 circa del reddito ( 200,00 / 300,00) - in presenza di due figli : assegno pari a circa 1/3 del reddito ( 330,00 / 500,00) - in presenza di tre figli : assegno pari a 2/5 circa del reddito ( 400,00 / 600,00). Naturalmente, tali parametri dovranno essere opportunamente variati con specifico riferimento alla misura dell assegno liquidato per il mantenimento del coniuge affidatario dei figli. c) Le anzidette esemplificazioni possono considerarsi applicabili, in linea di principio, anche a situazioni di reddito assai piu elevate, peraltro spesso suscettibili di contemperamenti in relazione a possibili altre attribuzioni economico/patrimoniali. Ovviamente, ribadite le maggiori difficoltà di accertamento anche sommario delle reali condizioni reddituali dei coniugi, una maggiore presunta disponibilità economico/patrimoniale dell obbligato consentirà valutazioni e liquidazioni meno uniformi ma sostanzialmente piu congrue, soprattutto in considerazione della possibilità di garantire ai figli forme indirette di mantenimento (quali, ad esempio: rette scolastiche private; attività integrative; viaggi, vacanze e tempo libero; garanzie assicurative) non sempre quantificabili in modo rigido ed aprioristico. Procedimento di divorzio Le regole ed i criteri sopra sinteticamente enucleati possono trovare, come è ovvio, applicazione anche nella procedura divorzile. E opportuno, peraltro, formulare alcune considerazioni strettamente collegate alle residue differenze (procedurali e sostanziali) tra gli istituti giuridici della separazione e del divorzio. In particolare, il giudicante non potrà, neppure in sede di provvedimenti provvisori presidenziali, non rammentare la differente regolazione dell assegno di mantenimento fornita dall art.5 legge 898/70 rispetto all art.156 CC. Inoltre, deve considerarsi che molto spesso l udienza presidenziale di divorzio trae origine da una pregressa separazione consensuale ovvero da una sentenza di separazione giudiziale pronunziata in epoca non molto lontana e, pertanto, ancora di estrema attualità.

17 E giocoforza, quindi, che il Presidente debba, nella stragrande maggioranza di tali ipotesi, confermare in via provvisoria la regolamentazione dei rapporti di mantenimento tra i coniugi già operata (dagli stessi consensualmente o dal Tribunale in sede di sentenza) nella procedura di separazione. Ovviamente, il giudicante terrà nel debito conto qualsivoglia modificazione significativa della situazione economica e patrimoniale dei coniugi medio tempore sopravvenuta, pur nella consapevolezza della peculiarità della natura giuridica (in parte alimentare, in parte risarcitoria) dell assegno previsto dall art.5 legge 898/70 e, pertanto, della necessità di una piu completa verifica contenziosa dei presupposti necessari ai fini della sua liquidazione, che solo la fase istruttoria del giudizio di merito può offrire. I criteri di liquidazione dell assegno di mantenimento dei figli possono, invece, considerarsi in tutto identici a quelli già enunziati con riferimento alla procedura di separazione. ( da )

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