scheda tecnica nazionalità: anno: 2012 soggetto e sceneggiatura: NOAH BAUMBACH, GRETA GERWIG costumi: TESSA MAFFUCCI

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2 Presentato con successo alla Berlinale e al Torino Film Festival il film racconta di una ballerina, Frances, che vive a New York, in perenne ricerca di un lavoro, con la sua migliore amica Sophie. Quando Sophie se ne va, Frances deve reinventarsi un nuovo equilibrio. Un antieronina buffa e tenera, che attraversa con sfrontata naivetè le difficoltà comuni della vita, con una forte ispirazione alla vita di Greta Gerwig, cosceneggiatrice e interprete oltre che compagna del regista. scheda tecnica durata: 86 MINUTI nazionalità: USA anno: 2012 regia: NOAH BAUMBACH soggetto e sceneggiatura: NOAH BAUMBACH, GRETA GERWIG fotografia: SAM LEVY montaggio: JENNIFER LAME costumi: TESSA MAFFUCCI scenografia: SAM LISENCO distribuzione: WHALE PICTURES interpreti: GRETA GERWIG (Frances), MICKEY SUMNER (Sophie), MICHAEL ESPER (Dan), ADAM DRIVER (Lev), MICHAEL ZEGEN (Benji), CHARLOTTE D'AMBOISE (Colleen), GRACE GUMMER (Rachel), PATRICK HEUSINGER (Pach). premi e nomination: 2014, Golden Globes, Nomination per la miglior attrice a Greta Gerwig; 2013, British Independent Film Awards 2013, nomination per il miglior film indipendente internazionale; 2013 Festival di Berlino; 2013, Torino Film Festival; 2012 Toronto FF; 2012 Telluride FF. Noah Baumbach Nato a Brooklyn nel 1969, figlio dello scrittore e critico cinematografico Jonathan Baumbach e della critica Georgia Brown, Noah ha studiato alla Midwood High School e alla Vassar University, dove sviluppa il soggetto per il suo primo film, che dirige nel 1995, Scalciando e urlando, di cui è anche sceneggiatore ed interprete. In seguito dirige Highball e Mr. Jealousy. Fin dall inizio, il suo cinema si acaratterizza nel panorama americano per l orientamento verso progetti indipendenti lontani dai canali mainstream. Baumbach si muove fra realismo e minimalismo, ama la realtà così com'è, racconta la vita: e la vita è per lui una commedia, spesso venata di malinconia. Nel 2004 è co-sceneggiatore assieme all amico Wes Anderson di Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Nel 2005 dirige Jeff Daniels e Laura Linney ne Il calamaro e la balena, un film di ispirazione autobiografica che torna ai ricordi dolorosi della separazione dei genitori, lodato al Sundance Film Festival e nominato a tre Golden Globes e all'oscar per la migliore sceneggiatura originale. Da quel momento la sua carriera cinematografica si fa più decisa. Nel 2007 dirige Il matrimonio di mia sorella, con un cast che comprende la moglie Jennifer Jason Leigh, Nicole Kidman e Jack Black; il film racconta la storia di due sorelle molto diverse tra loro che si rincontrano alle soglie del matrimonio di una delle due. In seguito torna a collaborare con Wes Anderson, scrivendo lo script di Fantastic

3 Mr. Fox, girato con la tecnica della stop-motion, uscito nel La Leigh recita di nuovo per Baumbach ne Lo stravagante mondo di Greenberg (2010), e dà il suo apporto anche alla stesura del soggetto, ma proprio in quel periodo i due divorziano. Uno dei comici più apprezzati di Hollywood, Ben Stiller, porta sullo schermo la crisi esistenziale del newyorchese Roger, che per trovare una strada per la rinascita si trasferisce dal fratello a Los Angeles. Baumbach sceglie di lavorare ancora con Ben Stiller e lo assolda per far parte del suo nuovo progetto, While we're young (2012), storia di un documentarista e di una giovane coppia modaiola newyorchese. Ben Stiller è anche doppiatore del leone Alex in Madagascar 3, di cui Baumbach firma la sceneggiatura. Nel 2011 Baumbach lavora all'adattamento del romanzo di Claire Messud, The Emperor's Children, per trarne l'omonima commedia e per l'occasione dirige un cast di stelle formato da Keira Knightley, Richard Gere, Eric Bana e Michelle Williams. La parola ai protagonisti Intervista a Greta Gerwig Per quale motivo hai deciso di scrivere proprio questo tipo di personaggio? Non credo di avere mai deciso di scrivere qualcosa, a un certo punto mi sono messa a scrivere e questo è il personaggio che è venuto fuori. Ho scritto una lista di idee e momenti, e la cosa che davvero sembrava combaciare perfettamente con il tipo di personaggio non è nemmeno finita nel film! Avevo infatti scritto una scena che ho mostrato a francis e ci siamo detti ecco, è proprio lei, Frances è così. Era una scena in cui lei si imbatte in una sua vecchia insegnante di danza di quelle di genere un po manager, e l aiuta a portare la spesa a casa. Ma invece di andrsene, Frances rimane lì per ore e mangia una parte delle cibarie che ha appena aiutato a portare, poi la insulta involontariamente e certamente si mostra come una persona sincera e anche dolce, ma anche, in certi momneti, una specie di palla da demolizione. Alla fine la scena non ha avuto un posto nel film, ma ci siamo sentiti come se vi avessimo incontrato chi fosse Frances. Poi è questione semplicemente di seguire quello che ti sembra vivo nella tua scrittura, non di decidere qualcosa e poi realizzarla. Mi sento come se semplicemente l avessi lasciata arrivare. Che cos hai imparato dell amicizia, facendo questo film? Per me è stato un processo complicato. Amo il film e ho amato scriverlo e interpretarlo. Per me è una sorta di lettera d amore a quel momento della vita. Ma i miei amici hanno reagito in modi diversi, molti sono stati di supporto, ma qualcuno si è risentito: quando usi del materiale autobiografico, poi subito inizi a mescolarlo con la fantasia e finisci per non pensare più a esperienze e persone realmente esistenti, e tutto, verità e immaginazione, finisce in un unico calderone nel quale non riesco più nemmeno a distinguere i vari ingredienti. Ebbene, alcuni amici leggendo lo script hanno reagito con rabbia, come se io avessi volouto dipingerli in un modo che non corrisponde a verità, mi hanno detto: ehi, stronza, non è affatto andata così! E hanno ragione, non è andata così, perché è un film! Ma c è abbastanza materiale dalla vita reale per credere che sia tutto vero. Ho usato frasi e momenti realmente accaduti, facendoli poi evolvere in qualcosa di diverso. In quanto artista non puoi realmente chiedere il permesso alle persone rispetto a ciò che scrivi, però io non mi sento sempre nel giusto quando scrivo prendendo spunto da situazioni e persone reali, la vivo un po male, e sto imparando a gestire questo problema. Le riprese sono state un momento di idillio, sentivo che era una sorta di totale pienezza fioritura di tutte le mie potenzialità come scrittrice e attrice, ma nel frattempo la vita reale, fuori dal set, era un casino. Credo di aver imparato che devo saper rispettare la sensibilità delle persone, degli amici, e che in futuro saprò coinvolgerli prima e meglio in ciò che faccio. Scrivere in questa maniera mi fa sentire come una specie di investigatrice segreta, uso le conversazioni che ho con le persone e quetso probabimente le fa sentire esposte, perché loro credono che sia solo vita, e invece diventa scrittura.

4 È qualcosa che probabilmente accade spesso, a chi crea Sì, ed è interessante, perchè io sono un po contraddittoria, una parte di me vuole compiacere gli altri, chiede approvazione, ed è l attrice, mentre un altra parte, quella che scrive, non chiede affatto approvazione e se sei uno scrittore alla fine gli altri lo sanno, sanno che in qualunque momento della vita stai sempre raccogliendo materiale e finiscono per percepirti come una persona che non ha un reale interesse per loro, se non ai fini della propria scrittura. A volte vorrei avere un solido guscio attorno a me e non sentirmi a disagio per questo, ma non riesco, non sono così menefreghista. È straordinario che tu sia riuscita ad essere sia scrittrice sia interprete, due ruoli appunto così diversi In realtà io ho sempre desiderato fare una cosa sola. Sono invidiosa delle attrici che sapevano già a cinque anni che volevano recitare e che hanno orientato tutte le loro energie subito in quella direzione. Si dedicano toatlmente al lavoro di attrici, mi sembrano più pure dal punto di vista artistico. Io mi muovo in un area più grigia, transitando dallo scrivere al recitare al dirigere. Hai davvero fatto la ballerina? Da ragazzina ho preso lezioni di danza. Mi piaceva e avevo intenzioni abbastanza serie, ma mi sono ritrovata a seguire vari corsi e ricordo che a un certo punto un insegnante mi ha detto: devi sceglierne uno, altrimenti non sarai mai davvero grande in nessun tipo di danza. Ne rimasi sconvolta. Da quel momento ho inziato a pensare di essere una dilettante in tutto quello che faccio, di non poter mai raggiungere una vera maestria e professionalità. Recensioni Marianna Cappi. Mymovies.it Frances vive a New York ma non ha un vero appartamento, è un'aspirante ballerina ma non fa veramente parte della compagnia con cui danza. La sua migliore amica, Sophie, è per lei un'altra se stessa "con capelli differenti", ma quando Sophie conosce Patch e si trasferisce da lui, Frances deve imparare a badare se stessa da sola. Come Gena Rowland per Cassavetes, Mariel Hemingway per Woody Allen o Anna Karina per Godard, Greta Gerwig si offre all'obiettivo di Noah Baumbach nella sua eccezionale quotidianità, o quotidiana eccezionalità che dir si voglia. Il filtro dello sguardo è tanto curioso quanto affettuoso e non si sa se sia più la Gerwig ad offrire l'anima a Francis, la protagonista del film, o la sceneggiatura del film, scritta dal regista, ad offrire all'attrice quanto di meglio potesse chiedere. Il bianco e nero aggiunge una prospettiva romantica e atemporale che si adatta alla perfezione a questo ritratto di una ragazza di oggi, in viaggio da un appartamento da dividere all'altro, che deve fare i conti con aspirazioni smisurate e soldi contati, ma è allo stesso tempo e prima di tutto una donna, che potrebbe appartenere a qualsiasi epoca. Ciò che invece rende Francis un personaggio, o "carattere", è il possesso di un punto di vista sul mondo assolutamente personale. Non siamo di fronte ad una bambinona cresciuta o, se è anche questo, lo è nel suo aspetto meno comodo e patologico: Francis sa quello che vuole, semplicemente, suo malgrado, non ce l'ha. ( ) Eppure guarda al mondo (e cioè vive) con innata gioia, senza pigrizia, supplendo da sola alle sue stesse continue goffaggini. Non potrebbe far parte delle "Girls" di Lena Dunham, come la presenza di Adam Driver potrebbe indurre a ipotizzare, perché non è alla ricerca dell'amore passionale ma di un'anima gemella, com'è la sua amica, con la quale divertirsi con poco e amare insieme l'esistenza. Baumbach, che per primo diede alla Gerwig visibilità internazionale in Greenberg, torna a lavorare con lei, nel frattempo divenuta la musa del cinema indipendente e cosiddetto mumblecore, e realizza questo piccolo gioiello, leggero, pudico e pieno di vita, anche quando fotografa il fallimento. Raffaele Meale. Quinlan.it All interno della vita quotidiana ai festival cinematografici, spesso dominata dalla fretta e dall ansia spasmodica di doversi scapicollare da una sala all altra, inseguendo film dai generi, le culture (e a volte anche le epoche storiche) più disparate, esiste il momento estatico in cui, per una fortuita concatenazione di eventi, si riesce ad

5 assistere a un opera in grado di risollevare lo spirito dalle stanchezze della giornata, dalle code per l ingresso in sala, dalle discussioni più o meno cinefile affrontate con gli altri accreditati. Dopo aver svolto questo compito egregiamente all ultima Berlinale, Frances Ha, nuovo parto creativo di Noah Baumbach, si è ripetuto anche all ombra della Mole, dove partecipava al Torino Film Festival nella sezione Festa Mobile. Per la settima volta l amico e sodale di Wes Anderson (...) si è seduto dietro la macchina da presa, confermando ulteriormente, e in maniera forse definitiva, ciò che si immaginava già in tempi non sospetti: Baumbach, tra i cineasti statunitensi venuti alla luce nell ultimo ventennio, è il più sincero, maturo e appassionato cantore del minimalismo. Le sue opere sembrano uscire da un epoca lontana, nella quale il cinema indipendente prese corpo al di fuori e attorno a Hollywood tra la fine degli anni Settanta e il decennio successivo: non è un caso che l impressione principale lasciata da Frances Ha sia di avere a che fare con una sceneggiatura di Woody Allen diretta però dal Jim Jarmusch di Strangers Than Paradise. La storia della Frances del titolo è raccontata con lo stile rapsodico e frammentato che l indie a stelle e strisce istituzionalizzò prendendo ispirazione dalla nouvelle vague francese e dal free cinema britannico: basta prendere a esempio anche solo la sfrenata corsa per le strade di New York di Frances e Sophie, puntellata da una colonna sonora quantomai indicativa dello spleen che anima il progetto (...), per comprendere il senso di un operazione lieve e consapevole al tempo stesso. Come già nel precedente Lo stravagante mondo di Greenberg, Baumbach focalizza la sua attenzione su un personaggio ironico e intelligente eppure ancora non in grado di comprendere fino in fondo quale sarà la strada che dovrà intraprendere nel futuro. La ballerina Frances, candida e goffa, si limita a spostarsi da un appartamento all altro, lasciando dietro di sé amicizie, amori appena accennati e arenatisi in fretta e furia, idiosincrasie e passioni: nel suo movimento perpetuo (che la porterà anche a Parigi) c è il fremito di inadattabilità a un mondo circoscritto, omogeneizzato, precostituito. (...) Anche le vicissitudini con le quali la ragazza si trova a confrontarsi (in particolar modo il doloroso distacco, prima spirituale e quindi fisico, con l amica del cuore Sophie) vengono narrate da Baumbach con uno stile leggero, apparentemente semplice e teso sempre alla sottrazione. A far da contraltare a questa encomiabile scelta autoriale, resa ancor più efficace dallo splendido bianco e nero lavorato da Sam Levy tra i migliori giovani direttori della fotografia, come palesano sia Wendy and Lucy di Kelly Reichardt che il video dei Sonic Youth Do You Believe in Rapture?, sono gli scoppiettanti dialoghi orchestrati con maestria da Baumbach: un fuoco di fila di battute, riflessioni ironiche e sequenze memorabili (la ricerca notturna di un bancomat da parte di Frances forse rimane ineguagliata) che attraggono in maniera inesorabile lo spettatore nella propria rete, sottomettendolo e irretendolo. Dopotutto appare impossibile anche resistere alla timida grazia sprigionata da Greta Gerwig, straordinaria protagonista che in meno di un decennio ha raccolto su di sé l eredità delle varie Jennifer Jason Leigh e Chloë Sevigny riuscendo a ritagliarsi uno spazio proprio all interno delle dinamiche produttive e artistiche del cinema statunitense. Dopo Baghead dei fratelli Duplass, Lo stravagante mondo di Greenberg, Art House di Victor Fanucchi e Damsels in Distress di Whit Stillman, Frances Ha decreta una volta per tutte l ingresso della Gerwig nell Olimpo contemporaneo della recitazione. Lo stesso Pantheon cui dovrebbe essere ammesso di diritto anche il produttore Scott Rudin, al quale si devono negli ultimi trenta anni alcune delle opere più sinceramente libere viste in giro per i cinquanta stati della confederazione. Potere (anche) del minimale Lorenzo Livraghi. Rapporto confidenziale Frances Ha è un film che realizza un estetica della levitas, vocabolo latino che in sé racchiude tutte le sfumature di significato che spaziano da leggerezza a inconsistenza, volubilità. La protagonista, ventisettenne newyorkese ancora adolescente, incarna alla perfezione queste qualità caratteriali, che si riflettono nella sua eccentricità, rispetto al contesto sociale che la circonda. Si può parlare di eccentricità, e non di estraneità o alienazione: Frances infatti ha una migliore amica, con cui condivide casa, letto, persino le sigarette, ed è apprendista in un accademia di danza classica presso la quale sogna di diventare coreografa. Ma nel momento in cui Sophie, l amica di sempre, decide di trasferirsi prima a Tribeca, con una sua collega, poi in Giappone, con il proprio compagno, pare che la realtà idilliaca in cui la protagonista conduceva un esistenza felice e spensierata si dissolva improvvisamente. Non assistiamo tuttavia a uno scontro drammatico e violento con la vera realtà, come ci si potrebbe aspettare, bensì a un continuo vagare della protagonista attraverso svariati luoghi, anzitutto spaziali (varie zone di New York, Sacramento, Parigi), ma al tempo stesso sociali (...). Frances non è mai davvero estranea ad alcuno di questi contesti, senza tuttavia riuscire a esserne realmente parte: la giovane pare muoversi in un non-luogo, in un universo personale di cui è l unica abitante e di cui gli altri personaggi non riescono a decifrare le regole e i significati.

6 Forse è proprio l esigenza di esprimere questa eccentricità della protagonista che spinge Noah Baumbach (regista, nonché co-sceneggiatore del film insieme all attrice che interpreta Frances, Greta Gerwig), a girare il film in bianco e nero, ricreando un atmosfera da nouvelle vague francese. Potremmo quasi accostare, in effetti, il legame profondo che lega Frances e Sophie, lungo tutto lo svolgimento del film, alla sequenza della fuga d amore di Ferdinand e Marianne in Pierrot le fou (Il bandito delle ore 11, 1965) di Jean-Luc Godard. Vi è in Frances il desiderio di vivere la propria amicizia come qualcosa che si pone al di sopra di qualsiasi convenzione sociale, un piccolo rifugio in cui realizzare, con l ingenuità di una bambina, la propria felicità. Così anche i protagonisti dell indimenticabile capolavoro del regista francese tentavano una fuga dalla realtà, vivendo soli nei boschi, in compagnia di una volpe e di un pappagallo: l equilibrio così raggiunto anche qui è destinato a rompersi, con conseguenze in un certo senso tragiche (...). In Frances Ha, al contrario, la rottura dell equilibrio dà vita a un peculiare racconto di formazione, che ci condurrà a un lieto fine. A rigore, non dovremmo parlare di racconto di formazione, in quanto non vi è alcuna vera evoluzione nel personaggio principale, nessuna crescita, nessun cambiamento: il regista ci mostra, attraverso una narrazione per episodi slegati tra loro, la giovane protagonista alle prese con problemi che non le si erano mai presentati prima (...). Tutto questo, però, fluisce sullo schermo all insegna della levitas, senza che vi sia la minima traccia di sconforto nel volto della protagonista, sul quale scorgiamo invece uno sguardo innocente e infantile, che ci rende partecipi delle sue emozioni, e ci fa amare la sua instancabile, energica vitalità. Non possiamo non citare l indimenticabile scena, dal sapore quasi chapliniano, della corsa goffa e impacciata di Frances, con la felpa stretta in vita, in cerca di una banca per offrire una cena a un suo amico, che nel frattempo la aspetta seduto da solo al tavolo. (...) C è tanta poesia, nelle immagini di Frances Ha, e come scopriamo alla fine del film, il titolo stesso è come il primo verso di un piccolo componimento poetico, che riassume in sé tutta la purezza della levitas: il suo nome completo in realtà è Frances Handley, ma quando la giovane tenta di scriverlo su un bigliettino per il citofono della sua nuova casa, il nome è troppo lungo, e deve essere tagliato, deve essere reso più leggero. È la giovane Frances a essere inadeguata, oppure in questo mondo fatto di affitti, lavoro, famiglia, denaro c è sempre meno spazio per la levitas? Fabio Ferzetti. Il Messaggero Frances è una ragazza con mille talenti e nessuna certezza. Frances ha 27 anni e le sembra già un sacco di tempo. Frances è molto carina ma più buffa che attraente, e mai banalmente sexy. Frances potrebbe avere tutti i corteggiatori che vuole ma se ne sta quasi sempre per conto suo. Frances non ama le donne ma divide casa con un amica che è quasi un grande amore, e quando l amica se ne va con un ragazzo ci mette un po a riprendersi. Frances frequenta una scuola di danza e danza ogni volta che può, anche tra i tavolini di un ristorante o in mezzo alla strada, e non importa se fa un capitombolo, quando cade si rialza con una noncuranza impagabile in cui c è tutto il suo personaggio. ( ) Ma soprattutto Frances è una vera ragazza di oggi, anche se vive in un film in bianco e nero pieno di musiche e tic stile nouvelle vague. Ed è una ragazza di oggi perché non avevamo mai visto una come lei su uno schermo ma ci sembra di averne incontrate parecchie, e anche se non le abbiamo incontrate esistono di sicuro: la creazione, se è solida, basta a se stessa. Fra i tanti modi con cui il cinema cattura un epoca, il più sottile e persistente passa infatti attraverso i personaggi. Non c è ritmo, dialogo, costume o stile visivo che tenga. Solo il personaggio in tutta la sua ampiezza, con il suo modo di muoversi e di stare al mondo, con quel che indoviniamo dei suoi gusti, dei suoi pensieri, dei suoi desideri segreti, restituisce nella sua pienezza e nella sua transitorietà un mondo, un ambiente, un momento storico. E "Frances Ha" (non è il suo vero cognome, ma per capire il titolo del film bisogna aspettare l ultima scena) entra di diritto nella galleria dei personaggi-epoca accanto a figure come la Annie Hall/Diane Keaton di Woody Allen l Antoine Doinel/Jean-Pierre Lèaud di Truffaut, o il Michele Apicella di Nanni Moretti. Con una sfumatura di malinconia in più, perché Frances viene da un mondo che ha cancellato l idea stessa del fallimento o del conflitto per sostituirla con una serie infinita di aspettative. Un mondo fatto di buone scuole, buona educazione, buon reddito, genitori amorevoli e comprensivi (quelli del film sono i veri signori Gerwig, e in qualche modo si vede) che però rimanda in eterno lo scontro e a volte sospende i ragazzi in un limbo a tempo indeterminato, tra la fine degli studi e l inizio della vita attiva e indipendente. Un mondo in cui tutti dicono "Io" ma incontrarsi è difficile, perché tutti quegli "Io" sono protetti da spesse corazze di gusti, idiosincrasie, progetti, ambizioni. E hanno imparato a maneggiare l umorismo prima del loro stesso corpo, come si vede nelle scene tenere e goffe in cui Frances ha a che fare con l altro sesso (il primo dei suoi effimeri partner è Adam Driver, appena premiato a Venezia per il film di Costanzo, altro attore che attira i segni di un epoca come una calamita).

7 Impossibile insomma non voler bene a "Frances Ha", personaggio e film. Anche se è difficile non vedere le difficoltà a cui va incontro la protagonista. Con un energia e un incoscienza che lascia sperare, chissà, in nuove puntate Anna Maria Pasetti. Il Fatto Quotidiano Un piccolo miracolo formato cinema è sbarcato nel 2013 al Sundance, Berlinale e Torino Film Festival. Si tratta del settimo lungo del newyorchese Noah Baumbach, già acclamato stracult per il precedente suo film, Greenberg. Traendo l'idea dalla "musa" Greta Gerwig (...) il cineasta ritrae in un caldo b/n la parabola crescente di una novella Alice in Wonderland, nel senso di una 27enne inadatta alla normalità che vive sopra le righe la frenesia di Manhattan e dintorni. Capiremo che la stravagante Frances - aspirante danzatrice - è in realtà più normale di quanto vuol definirsi tale, basta invertire gli universi di riferimento. Splendidamente cinico tanto che sembra un antico Woody Allen o un moderno Spike Jonze, Frances-Ha è uno di quei piccoli ma magnifici film dell'america indipendente da non perdere. Per nessun motivo. FilmTV.it Commedia agro-dolce sul senso della vita, Frances Ha è un altro bellissimo esempio dello speciale talento di un regista profondamente cinefilo come Noah Baumbach che come ho già scritto in altra occasione precedente ha molti numi tutelari alle spalle (da Woody Allen a John Cassavetes, tanto per intenderci) dai quali riesce a trarre una feconda e intelligente ispirazione rimanendo comunque autonomo e personale nel risultato, forte di un originalità davvero molto stimolante e inusuale. Nomi che giustamente aleggiano anche su questa deliziosa pellicola (giunta con colpevole ritardo sui nostri schermi e ancor peggio distribuita nelle nostre sale nonostante i lusinghieri consensi ricevuti nelle manifestazioni cinematografiche internazionali quali il Sundance, la Berlinale e la rassegna di Toronto alle quali ha partecipato) che si conferma come un curioso, splendido ritratto di una giovane donna undateable come la definisce il suo amico Benji. Un opera buffa e malinconica allo stesso tempo insomma girata con arguzia e ironia in un appropriato bianco e nero e utilizzando spesso un audace, sinuosa camera a mano che segue ed accarezza la sua protagonista, una ragazza che possiede sul mondo un punto di vista curioso e non convenzionale, per la quale i riferimenti potrebbero essere molto più ampi e includere persino qualcosa che rimanda al primo Godard, a Truffaut - soprattutto quello di Jules et Jim e, con qualche piccolo azzardo, addirittura a Rohmer. Il regista ha infatti confezionato una pellicola disincantata e schietta che presenta davvero più di un valido motivo per essere gustata con gli occhi e con il cuore da ogni spettatore che ha un briciolo di sensibilità e sa stare al gioco, proprio per la capacità che ha di mettere in scena l umana imperfezione e di trasmettere emozioni, oltre che per l attenzione tutta speciale con cui riesce a raccontare i caotici smarrimenti di un anima che naviga nel fascinoso limbo delle situazioni non risolte (e difficilmente risolvibili). Motivi che si potrebbero sintetizzare nell inappuntabile recitazione di tutta la compagine, nella splendida fotografia (di Sam Levy) capace di conferire la necessaria prospettiva romanticamente atemporale al racconto, nella travolgente colonna musicale (...), nella scrittura perfetta di una sceneggiatura che non fa una grinza e nel linguaggio che, pur parlando al presente, è intriso e si mantiene sui toni di un affascinante surrealismo fuori dal tempo che a volte sembra appartenere al mondo delle favole. Un cinema insomma che con ritmo, eleganza, senso di equilibrio, lucida attenzione al dettaglio e una forte dose di empatia, disegna con intima partecipazione, una realtà anche sociale in uno specifico contesto che è quello della Grande Mela, in cui l emozionalità ha un peso preponderante. ( ) Come ben sappiamo, ci sono opere che devono una grandissima parte del proprio positivo risultato al felice connubio fra regista, sceneggiatore e interprete: la pellicola di Baumbach è proprio uno di questi casi, con il non indifferente valore aggiunto del fatto che Greta Gerwig è autrice anche in tandem col regista della sceneggiatura, ed ha di conseguenza avuto l opportunità e il peso per travasare dentro tutta la sua verità su questa insolita figura di ragazza fuori schema interpretata poi con un adesione totale e il filtro di uno sguardo tanto curioso quanto affettuoso. ( ) Semplificando, si potrebbe dire che Frances è refrattaria a crescere e a guardare oltre. Si muove infatti assecondando alla lettera soltanto i suoi sogni (e i suoi bisogni) senza deragliare di un centimetro (la sua permanenza ad ogni costo e contro ogni logica nella compagnia di ballo, la preferenza a convivere con l amica piuttosto che con il proprio boyfriend) anche quando gli altri non la corrispondono. Evita insomma di imboccare strade che non le si confanno ma all occorrenza è capace di prendere anche improvvise, coraggiose decisioni (la

8 breve trasferta a Parigi per esempio). Comunque sempre fedele a se stessa e alle sue convinzioni anche quando saranno fonte di nuovi dispiaceri, è una passeggera sempre in movimento in costante viaggio da un appartamento da dividere all'altro che vive la sua vita propositivamente e senza pigrizia supplendo da sola alle sue stesse smaccate goffaggini (che sono poi quelle che la rendono particolarmente simpatica). Ritratto (anche crudele, se vogliamo ma molto veritiero) di una ambiziosa ragazza dei nostri giorni (ma che potrebbe appartenere a qualsiasi epoca) che deve fare i conti con aspirazioni smisurate e poche risorse economiche a disposizione, Frances Ha ci parla di una donna che non ha il talento necessario per coronare davvero il suo sogno di danzare, né tantomeno possiede il potere di impedire alla sua migliore amica di innamorarsi e di lasciarla sola, ed è un film che non ha una scansione temporale ma spaziale (come giustamente ha scritto Luca Pacilio) in cui ogni stazione ha i suoi personaggi, la sua aneddotica, le sue logiche e i suoi ritorni, e gli eventi hanno un flusso continuo in cui la trasferta a Parigi ( ) è una tappa decisiva perché, semplicemente, non vi accade nulla, tristissimo emblema di un destino che non corrisponde mai alle aspettative. Per concludere, si potrebbe dire allora che la pellicola più che raccontare una storia vera e propria, si presenta come un viaggio a tappe, in una specie di odissea dove gli approdi sono le case in cui di volta in volta Frances si trova costretta a traslocare, fino all approdo finale alla sua Itaca (...). Stefano Guerini Rocco. Ondacinema.it Presentato in anteprima a Toronto e al Telluride Film Festival nel 2012, passato poi a Berlino e Torino l'anno successivo, arriva finalmente in sala "Frances Ha", (pen)ultimo lavoro del regista newyorkese Noah Baumbach (il suo nuovo "While We're Young" viene presentato in questi stessi giorni al TIFF). Autore di riferimento del cinema indie, sofisticato e modaiolo, con questo film Baumbach aggiunge alla sua filmografia il ritratto di un altro personaggio eccentrico, lunatico e vulnerabile, colto nel mezzo di una crisi spiazzante. Ma a differenza del precedente "Greenberg", incentrato su un quarantenne irascibile e apatico intrappolato al centro della fabbrica hollywoodiana del successo, "Frances Ha" evita il rischio di un cinema compiaciuto e autoreferenziale, che si guarda l'ombelico. Tracciando infatti la disastrosa mappa esistenziale e sentimentale di questa ventisettenne ambiziosa e disfunzionale, l'autore eleva Frances a icona/manifesto di una generazione faticosamente alle soglie dell'età adulta, alle prese con un difficile, talvolta doloroso, percorso di crescita, tra illusioni perdute, nuove responsabilità e circostanze ostili. Il merito è anche (forse soprattutto) dell'interprete principale Greta Gerwig, attrice di stralunato candore e rara sensibilità. Co-autrice della sceneggiatura, la Gerwig modella su se stessa un personaggio che, per le evidenti affinità, potrebbe essere figlia della celebre Annie Hall alleniana, oppure amica della coetanea Hannah Horvath del televisivo "Girls" (la carismatica presenza di Adam Driver pare confermarlo). Apprendista ballerina in attesa di affermazione, squattrinata e svogliatamente fidanzata, Frances passa le sue giornate in un felice carosello di confidenze e divertimenti insieme alla coinquilina Sophie. Questa bella amicizia femminile è raccontata, senza malizia né morbosità, come una tenera e intensa storia d'amore, accompagnata dalle note di Georges Delerue (da "Jules e Jim" di Truffaut, citazione non casuale). Quando l'amica decide però di trasferirsi per cogliere una vantaggiosa occasione immobiliare, Frances si trova a dover affrontare, senza sapere come, nuovi e necessari cambiamenti: il suo precario equilibrio si sgretola vertiginosamente sotto i suoi piedi, mettendo a dura prova la sua dolcezza e il suo incrollabile ottimismo (...). Quello che affronta, però, è un cammino che ha ben poco a che fare con i chilometri percorsi. Nella sua parabola di autodeterminazione, alla ricerca di un posto nel mondo, Frances imparerà progressivamente, con fatica, a scendere a patti con le contingenze, a rinunciare a utopie e aspirazioni vane, a investire nelle opportunità che le vengono offerte, a incassare un rifiuto o un abbandono, pur mantenendo sempre (e scoprendo) la sua identità. Naïf e anticonformista nel senso più profondo e meno salottiero del termine, Frances è una donna "versus", come la Lola di un altro famoso film della Gerwig, che non ha paura di correre da sola, controcorrente, di inciampare e di sbagliare, se capita. E che quando riesce a trovare il ritmo giusto per smettere di agitarsi vorticosamente su se stessa e progredire realmente, può anche permettersi di affermare, seduta e insolitamente posata: "mi piacciono le cose che sembrano errori". Dopo tanto caos e confusione, il sospiro liberatorio nella placida tranquillità del suo nuovo appartamento ha il sapore di una conquista. Che sia questo, in definitiva, crescere?

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