CERAMICA PRIVA DI RIVESTIMENTO A PISA NEL MEDIOEVO: PRODUZIONE E COMMERCI di SIMONETTA MENCHELLI, CATIA RENZI RIZZO, CLAUDIO CAPELLI

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1 CERAMICA PRIVA DI RIVESTIMENTO A PISA NEL MEDIOEVO: PRODUZIONE E COMMERCI di SIMONETTA MENCHELLI, CATIA RENZI RIZZO, CLAUDIO CAPELLI A. PISA CITTÀ APERTA FRA GOTI, BIZANTINI E LONGOBARDI Negli ultimi anni, come è noto, Pisa è stata oggetto di numerosi scavi stratigrafici e di rinnovate attività di ricerca, ma, nonostante tale fervore scientifico, al momento non risultano edite stratigrafie urbane utili a definire il quadro delle produzioni ceramiche, locali e non, di età tardo-antica/alto-medievale. La perdita, quasi totale, dei dati archeologici relativi al Portus Pisanus, deve aggiungersi al vuoto delle attestazioni cittadine: i rinvenimenti effettuati nel territorio e lungo le coste alto-tirreniche (PASQUINUCCI et al. 1996; MENCHELLI 1997; CIAMPOLTRINI et al. 1991, pp ), dunque, al momento costituiscono le uniche fonti di informazione a proposito della cultura materiale presente a Pisa nel periodo compreso fra la fine del V e gli inizi del VII sec. Una produzione della valle terminale dell Arno ancora attestata nel V sec. è quella delle c.d. anfore di Empoli ; non è inverosimile, anzi, che tali contenitori vinari venissero prodotti anche agli inizi del VI sec., ad esempio per rispondere alle esigenze dei navicularii Tusciae che intorno al erano impegnati nel commercio di derrate alimentari con la Gallia (Cassiodoro, Variae, 4,5 ). Delle anfore di Empoli, come è noto, furono attive manifatture nell intera valle dell Arno e nell ager Volaterranus, (MENCHELLI ; CHERUBINI-DEL RIO 1997); i contenitori pisani si distinguono facilmente per l accurata lavorazione al tornio e per il tipico corpo ceramico a terra d Arno, rosso e depurato (compatibilità in Capelli, analisi n. 1/4716). Corpi ceramici con le medesime caratteristiche, evidenti sia a livello macroscopico che minero-petrografico, risultano utilizzati per il vasellame fine da mensa, molto spesso rivestito di una copertura rossa (ingobbio o vernice non sinterizzata: cfr. PASQUINUCCI-MENCHELLI 1996). Si tratta di coppe e scodelle imitanti le forme della terra sigillata africana D, in particolare le scodella Hayes 61 n. 13, datata al IV-V sec. e Hayes 104 a, riferibile agli anni ; le forme chiuse sono rappresentate da olpai e brocche, come documentano gli esemplari rinvenuti presso Massaciuccoli, nel territorio pisano settentrionale (CIAMPOLTRINI-NOTINI 1993, fig. 3). Nel VI sec./inizi VII, inoltre, CONTInua anche la produzione, di buona qualità tecnica, di bacini e vasi a listello, nelle varianti più tarde caratterizzati da un collarino. Oltre che con le terre d Arno questo vasellame (da mensa e per usi vari, rivestito e non) risulta prodotto anche con argille cavate nel territorio pisano, soprattutto meridionale, ove sono state rinvenute fornaci di certo ancora attive nel V sec. (CHERUBINI-DEL RIO 1997); anche le analisi archeometriche (Capelli, n. 4/5147) indicano una compatibilità con le caratteristiche geologiche dell area (DEL RIO et al. 1996, fig. 1). Risulta pertanto evidente una sostanziale tenuta degli apparati manifatturieri tardo-romani, pur con una notevole riduzione del patrimonio morfologico/funzionale, così come si registra nella Tuscia settentrionale in genere (CIAMPOLTRINI 1994). Nel vasellame da fuoco sembrerebbe invece più precoce l abbandono del bagaglio tecnico-culturale romano, abbandono che si evidenzia nella manifattura di esemplari a impasto grossolano e a cottura irregolare, in atmosfera quasi sempre riducente. CONTInua la produzione di tegami e casseruole imitanti prototipi nord-africani, ma accanto alle forme di tradizione romana nel corso del V sec. cominciano ad essere manufatti i testelli, e diventano frequenti le olle con corpo ceramico caratterizzato da abbondante calcite spatica triturata, poi diffuse in contesti pisani e lunigianesi sino al basso Medioevo (MENCHELLI 1997). Per quanto riguarda le ceramiche di importazione, i reperti di Pisa e del territorio, scarsi ma significativi (PASQUI- NUCCI-STORTI 1989; CIAMPOLTRINI et al. 1991; PASQUINUCCI et al. 1996), possono trovare illuminante confronto nei rinvenimenti effettuati negli horrea di Vada Volaterrana, centro che a partire dall età tardo-antica entrò progressivamente nell orbita politica di Pisa, sino a divenire esplicitamente parte della sua diocesi e poi del suo comitatus (CONTI ; CECCARELLI LEMUT-SODI 1996). In sintesi possiamo dire che per tutto il V e il VI sec. negli horrea di Vada CONTInuarono ad arrivare merci veicolate dal commercio mediterraneo (su cui cfr. PANELLA 1993): anfore olearie e per salse di pesce, lucerne e terra sigillata dal Nord-Africa, anfore vinarie dall estrema Italia tirrenica, e da numerose aree orientali (isole dell Egeo, coste asiatiche e siro-palestinesi). Tali dati si accordano con quanto registrato in genere lungo le coste alto-tirreniche (Porto Torres, Isola del Giglio, Gorgona, Luni) ed anche in alcuni siti della Tuscia interna (bibl. in PASQUINUCCI et al. 1996) ancora connessi alla rete dei grandi commerci tramite l Arno e l Auser, della cui navigabilità infatti Teodorico si preoccupava fortemente (Cassiodoro, Variae, 5, 17 e 20, riferite agli anni ). A giudicare dalle produzioni ceramiche, sia locali che di importazione, la vitalità delle manifatture e delle strutture commerciali pisane non sembra dunque compromessa dagli avvenimenti politici e militari del VI sec., nel corso dei quali la città dovette mantenere una posizione di prudente equilibrio, come quando, nel 553, si consegnò spontaneamente a Narsete ormai trionfante nell Italia centrale (Agathias I, 11). La vitalità economica della città, e del territorio ad essa afferente, sono evidenti sino agli inizi del VII sec.: Pisa, in virtù della sua flotta e della posizione strategica lungo le coste tirreniche, era inserita nei circuiti commerciali bizantini, che ormai toccavano quasi esclusivamente le aree necessarie al sistema difensivo imperiale (CHRISTIE 1989a e b; MURIALDO 1995). Di queste rotte privilegiate, che dal Nord- Africa e dall Oriente giungevano nel Tirreno settentrionale e da qui alle coste liguri, galliche ed iberiche, si conserva forse un ricordo nelle peregrinazioni marittime del corpo di S. Torpete, la cui passio venne appunto composta nel VI o agli inizi del VII sec. (CECCARELLI LEMUT-SODI 1996, pp ). In questa fase storica, Pisa, formalmente bizantina, sembrerebbe aver instaurato con i Longobardi stanziati a Lucca una sorta di modus vivendi (CONTI ), sostanziato soprattutto di contatti commerciali, come documenta la cultura materiale (CIAMPOLTRINI 1990; CIAMPOLTRINI et al. 1991): in tale temperie si inquadra la spedizione marittima temuta da Gregorio Magno (Epist., 13, 26: anno 603), quando i dromoni pisani, pronti a salpare, sfidavano la tregua in atto fra Longobardi e Bizantini. Questa, comunque, dovette essere una delle ultime autonome imprese pisane: con la conquista (o la acquisizione) di Pisa da parte dei Longobardi nei decenni iniziali del VII sec. cominciò a registrarsi una lenta ma definitiva destrutturazione del sistema manifatturiero romano ; alla metà del secolo, poi, la conquista della Liguria da parte di Rotari pose fine anche agli ultimi commerci mediterranei nell alto Tirreno. S.M. B. LA PRIMA FASE PRODUTTIVA MEDIEVALE * (VII SEC.-SECONDA METÀ X) Nel corso del VII secolo una spessa cortina di assenze sembra essersi distesa su Pisa e sul suo territorio. Rari * Si precisa che, per economia di spazio, dalla trattazione successiva verranno escluse le produzioni da fuoco Edizioni all Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 1

2 sono i documenti scritti superstiti, pochi e di non univoca interpretazione i resti strutturali venuti alla luce, modeste le restituzioni ceramiche riferibili a quel secolo. Le vicende di Pisa in età longobarda risaltano però con maggiore concretezza in due studi storici recenti, che riprendono in esame vecchi dati, ma li rileggono con rinnovato interesse, anche grazie al dibattito sorto intorno agli ultimi interventi di scavo urbano (cfr. CECCARELLI LEMUT- SODI 1996; Tangheroni in P.C.: entrambi utilizzano, in modo eccellente, i 2 importanti studi di GARZELLA 1990 e REDI 1991). L archeologia pisana ha restituito, di quel periodo, testimonianze precise ma poco significative per la formulazione di un giudizio motivato sul tipo di insediamento: 2 sepolture con corredi longobardi (per ultimi e con interpretazioni diverse, BRUNI 1994, e REDI 1996, pp , con relative bibl.) e materiali sparsi, dello stesso tipo, da «riconnettere, verosimilmente a più sepolture» (ABELA 1994, p. 677). Di altri ritrovamenti riferiti ad età longobarda o più genericamente all altomedioevo abbiamo solo notizie sommarie (MAGGIANI 1990; REDI 1991, p. 42). Di recente, nello scavo di Piazza dei Cavalieri, sono venuti alla luce pochi frammenti ceramici del tipo a stralucido che, com è noto, caratterizza alcuni siti occupati dai Longobardi. Il ritrovamento pone qualche incertezza interpretativa in quanto è avvenuto in uno strato datato alla prima metà dell XI secolo (RENZI RIZZO in P.C.). Data l esiguità numerica dei frammenti (7), tutti all apparenza pertinenti lo stesso esemplare, e la natura dello strato di rinvenimento (u.s. 34; cfr. ABELA in P.C.), riteniamo ragionevole interpretare la giacitura come secondaria. Non si può ignorare, tuttavia, che in un contesto toscano si è supposto che quella particolare tecnica di tradizione altomedievale potesse essere stata in uso fino a X-XI secolo (VANNINI 1987, p. 386, nt. 302). Conforta la nostra interpretazione la notizia che gli scavi ultimi di piazza del Duomo (affidati ad E. Abela, che ringrazio per l informazione) hanno restituito una quantità apprezzabile di questo tipo di ceramica da livelli di VI-VII secolo. Nel medesimo contesto di Piazza dei Cavalieri, a conferma di dati già leggibili nel precedente scavo di Piazza Dante, ma che, per l ampiezza della scansione cronologica emersa in quella sede, non erano apparsi sufficientemente evidenti, sono stati rinvenuti anche un esiguo numero di frammenti privi di rivestimento, a impasti selezionati (MEN- CHELLI-RENZI RIZZO in P.C.): essi sono collocabili in una fase cronologica databile ai secoli VII-VIII, ma l articolazione stratigrafica fa supporre un appartenenza più probabile all VIII secolo. La facies produttiva che essi denunciano, la prima con caratteri strettamente medievali, al momento si definisce meglio sul piano minero-petrografico e tecnologico che su quello morfologico. Essa è infatti caratterizzata, in primo luogo, da un certo numero di impasti ceramici (nn. 1, 2, 3, 4, 5, dell Elenco ceramico di MENCHELLI in P.D., pp e, ugualmente, dell Elenco ceramico di MENCHELLI-RENZI RIZZO in P.C.: nn. 7, 10, ivi), che hanno evidenziato compatibilità con argille locali di natura alluvionale e una granulometria piuttosto elevata (PALLECCHI in P.C., C7, C8, C9, C14, C16). (Cfr. anche Tab. 1). In secondo luogo è contraddistinta da buoni/medi livelli esecutivi, anche se la modesta depurazione degli impasti ha reso irregolare il degradare degli spessori e le cotture a temperature non controllate hanno prodotto effetti sulle superfici e all interno degli impasti. È certo, comunque, che si tratta di manufatti che indiziano la presenza di vere e proprie botteghe artigiane. Quanto ai tipi morfologici, si può oggi procedere ad un analisi comparata tra i pochi esemplari di piazza dei Cavalieri recuperati e quelli di Piazza Dante che erano stati inquadrati nella fascia cronologica che va dall VIII al X secolo ma che oggi, sulla base delle migliori conoscenze sulla prima fase produttiva medievale pisana pensiamo di poter includere con ragionevole probabilità in questo primo raggruppamento. Si tratta di contenitori quasi esclusivamente di forma chiusa (possibili eccezioni i nn. 26, 34, pp. 531, 533, di Alberti in P.D.). Il numero maggiore di reperti, pur nell esiguità dei ritrovamenti, è riferibile a recipienti di grandezza variabile, verosimilmente brocche e boccali, di cui siamo in grado di evidenziare, al momento, solo alcuni caratteri tipologici: fondi apodi e piani (diametri da 13 a 14 cm), su cui si innestano pareti inclinate; una sola ansa, a nastro, largo nelle brocche (6 cm circa), più stretto nei boccali, a profilo arrotondato e impostata alta, sull orlo, in Contiguità con esso; questo risulta indistinto o appena marcato e sommariamente arrotondato nella parte superiore; i diametri delle bocche, negli esemplari misurabili, vanno da 6 a 10 cm (MENCHELLI in P.D., nn. 1, 2, p. 485; n. 1, p. 493; n. 1, p. 497; n. 1, p. 516; MENCHELLI in P.C., Pc1, Pc2; RENZI RIZZO in P.C., Mgc1). Concludendo, anche a Pisa il passaggio dal tardo-antico al medioevo sembra essere contraddistinto da un processo di forte riduzione morfologica, analogamente a quanto già rilevato in alcuni siti urbani centro-settentrionali (VAN- NINI 1987, p. 377; CIAMPOLTRINI 1994, p. 631; BROGIOLO- GELICHI 1996 pp ). Una produzione locale di manufatti di uso comune ci testimonia, comunque, un segno di vitalità dell apparato economico di VIII secolo, sia che essa sia stata frutto di un recupero di energie o che rappresentasse una sorta di «Continuità nel cambiamento» (l espressione è in CIAMPOLTRINI 1994). Non sembri inutile ricordare che a Pisa, nell VIII secolo, sono documentati la cattedrale, dedicata a S. Maria, uno xenodochio, almeno 4 chiese urbane e abitazioni private con basamento di pietra e pareti lignee (cfr. GARZELLA 1981; EADEM 1990, pp ; REDI 1991, pp. 82, 89; CEC- CARELLI LEMUT-SODI 1996). Al momento non possediamo elementi utili a definire il prosieguo di tali produzioni nel corso dei due secoli successivi. Altri indizi dal sottosuolo contribuiscono tuttavia ad abbozzare il quadro: una produzione locale specializzata come la ceramica dipinta in rosso (ABELA in P.C.); l arrivo dall area laziale di vasellame privo di rivestimento (MEN- CHELLI, ivi), a vetrina pesante e dipinto in rosso (ABELA, ivi); tutti segni di flussi commerciali per il momento modesti, a senso unico e da media distanza. C.R.R. C. LA SECONDA FASE PRODUTTIVA (FINE X-XII SEC.) Un notevole sviluppo innovativo nella ceramica pisana priva di rivestimento si registra a partire dalla fine del X sec., quando di nuovo vennero utilizzate le argille fini ed elaborate della valle terminale dell Arno (compatibilità in Capelli n. 2/5149, che rivela affinità con il n. 1/4716, il tipico corpo ceramico della Pisa romana). Dalle stratigrafie dello scavo di Piazza dei Cavalieri (MENCHELLI-RENZI RIZZO in P.C.) risulta che il vasellame manufatto con tale corpo costituiva il 31% del totale nei depositi di fine X sec.-inizi XI, e il 44% in quelli datati alla prima metà dell XI sec. (cfr. Tab. n. 1, corpo ceramico n. 6) Al momento non sappiamo se le terre così depurate fossero il risultato di tecniche di decantazione più specializzate, oppure se venissero cavate da appositi giacimenti alluvionali alla foce del fiume, non sfruttati in maniera sistematica nei secoli finali dell alto-medioevo. Quale che fosse la loro origine, è certo che l utilizzazione di queste terre costituì la premessa imprescindibile per lo sviluppo tecnologico delle manifatture pisane, non a caso verificatosi in una fase di espansione economica, testimoniata anche dalla ripresa dei commerci di vasellame rivestito, di anfore e di pic Edizioni all Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 2

3 Tab. 1 Vasellame privo di rivestimento (contenitori di piccole e grandi dimensioni, forme aperte) proveniente dallo scavo di Piazza dei Cavalieri (1993). Pisa. Totale frammenti schedati: Totale esemplari individuati: 484. Corpi ceramici 1-10: produzioni locali : importazioni dall area laziale : importazioni dal Nord-Africa o Sicilia. coli contenitori dall area siculo-maghrebina (BERTI e MENCHELLI in P.D.; MOLINARI 1994; MENCHELLI-RENZI RIZZO in P.C.). Il vasellame a terra d Arno risulta ben foggiato al tornio veloce, a pareti relativamente sottili, con cottura controllata in atmosfera prevalentemente ossidante. Le forme, attestate a partire dalla prima metà dell XI sec., e che poi si mantennero sostanzialmente inalterate nei secoli successivi, erano rappresentate soprattutto da boccali e da contenitori medio-grandi (brocche): i primi erano prevalentemente trilobati, sia a collo breve troncoconico, sia a collo alto, troncoconico o cilindrico (rispettivamente MENCHELLI in P.C., tipi 3, 5-6 e 7-8); le brocche presentavano generalmente imboccature cilindriche e indistinte, con anse complanari nei tipi più antichi (RENZI RIZZO in P.C., tipi Mgc 1 e 2). Sono inoltre attestati catini troncoconici ed emisferici (RENZI RIZZO in P.C., CT1; CO1). Bisogna sottolineare che in questo vasellame, già a partire dalla fine del X sec., compaiono gli schiarimenti di cottura biancastri (cfr. Capelli, n. 3/5149) e le decorazioni incise (linee con vario andamento; filettature); alla prima metà dell XI sec. si può datare inoltre la comparsa dei bolli a graticcio (MENCHELLI-RENZI RIZZO in P.C.). Il notevole sviluppo tecnico raggiunto, fra la fine del X e l XI sec., dalle manifatture che lavoravano con le terre d Arno è evidenziato dal fatto che il vasellame non rivestito, pur risultando meno depurato, non è poi così diverso dai corpi ceramici delle maioliche arcaiche (cfr. oltre). Per l XI e il XII sec. (e successivamente, come vedremo) è certa comunque una pluralità di centri manifatturieri in ambito pisano (bibl. in MENCHELLI 1997): accanto alle produzioni nude di migliore qualità tecnica (in letteratura definite industriali ) Continuò la manifattura di vasellame ad impasto meno selezionato, la cui argilla non veniva cavata dai sedimenti alluvionali della valle terminale dell Arno, (Capelli n. 3/5150) (Tab. 1, corpi ceramici 5, 7, 8, su cui cfr. PALLECCHI in P.C.). S.M. D. LA TERZA FASE PRODUTTIVA (PRIMA METÀ XIII-(XV?) SEC.) L introduzione di coperture vetrificate, che le fonti archeologiche e scritte pisane consentono di collocare almeno entro la prima metà del sec. XIII, determinò trasformazioni multiple sul piano tecnologico e conseguenti riorganizzazioni degli apparati produttivi (v. da ultimo, BERTI c.s.; BERTI-RENZI RIZZO 1995 c.s.). Il rinnovamento, epocale per la storia della ceramica, ha determinato contraccolpi sulle produzioni nude depurate?. Ci sembra opportuno riassumere qui, in sintesi estrema, quanto ci risulta attualmente dall analisi comparata dei dati archeologici più recenti, delle testimonianze dedotte dalle fonti scritte e delle ultime, mirate indagini di laboratorio in ordine a: 1) caratteri tecnologici; 2) quantità delle produzioni e commerci; 3) innovazioni morfologiche e decorative; 4) approvvigionamento della materia prima e localizzazione delle botteghe. Procediamo con ordine. 1) La ceramica nuda non sembra avere subito modificazioni tecnologiche nella prima metà del XIII secolo; anche gli impasti utilizzati Continuarono ad essere i medesimi (REN- ZI RIZZO in P.C., tabb. 5, 6, 7; graf. 2). Le analisi mineropetrografiche indicano un buon grado di affinità tra questi (Elenco cit.) e l impasto tipico delle maioliche arcaiche, essendo tutti compatibili con le terre della piana terminale dell Arno (Capelli, oltre). 2) Il supposto aumento dei prodotti nudi, a seguito del noto rinnovamento (BERTI-GELICHI 1995; RENZI RIZZO in P.C.), sembra oggi meno credibile sulla base di alcuni riscontri numerici. Dallo scavo di piazza Dante, dove la periodizzazione comporta un discrimine alla metà del XIII secolo, e tenuto conto che la fase IV comprende circa tre secoli (da seconda metà X a metà XIII) e la fase III circa due (da seconda metà XIII a metà XV) ricaviamo i seguenti dati (MENCHELLI in P.D., tabb. 2, 3, 4 pp ; ALBERTI, ivi, p. 526): BROCCHE BOCCALI CIL. BOCCALI TRIL. FORME AP. Fase IV Fase III in toto, i frr. relativi alle produzioni pisane risultano 1575 per la fase IV e 631 per la III. Si può giustamente obiettare che il calo può essersi verificato solo nei secoli XIV e XV e i dati di Piazza dei Cavalieri, poco ci possono aiutare: lì infatti, nel periodo che ci interessa, il decremento registrato è giustificato dai caratteri insediativi del sito, emersi dalla lettura stratigrafica. Indagini archeologiche condotte in località che hanno registrato nella prima metà del XIII secolo un rinnovamento omologo a quello pisano sembrano però rinforzare l ipotesi di un decremento: a Genova S. Silvestro la nuda rinvenuta passa dall 85% del totale nel XII secolo al 16% nella seconda metà del XV; in particolare, è pari al 94,9% nelle fasi K/L (1070/1170), comincia a diminuire fino all 86,5% nella fase M (1170/1200), e Continua a diminuire anche successivamente, raggiungendo il 72,5% nella fase N (1200/ 2001 Edizioni all Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 3

4 1250) e il 69,9% nella fase N 1 ( / 1340) (ANDREW- PRINGLE 1977, pp ). Siti dell interno e che non produssero maioliche arcaiche sembrano avere avuto andamenti diversi: per Rocca S. Silvestro è stato rilevato «un picco di utilizzo» della depurata nuda proprio tra XIII e XIV secolo (BERTI-GELICHI 1995, p. 231). Sono pertanto da separare i dati provenienti dai centri che hanno prodotto maiolica arcaica da quelli dei centri non coinvolti nel rinnovamento o che lo sono stati successivamente ai centri pilota. È inoltre probabile che il calo all inizio sia stato modesto: le cifre che provengono da Marsiglia (città che ha introdotto i rivestimenti vetrificati contemporaneamente a Pisa), dove sono avvenuti ritrovamenti di fornaci miste (manufatti rivestiti e non), lo proverebbero: per il primo quarto del XIII secolo i manufatti rivestiti costituivano il 10% della produzione totale, quelli nudi, in parte biscotti, il 90% (DEMIANS D ARCHIMBAUD et al. 1993). Da ultimo: non è lontano dal vero che l ipotesi di un aumento sia stata indotta dai ritrovamenti davvero numerosi di ceramica pisana in contesti genericamente datati o, appunto, attribuiti a XIII-XIV secolo (bibl. in BERTI-GELICHI 1995; MENCHELLI-RENZI RIZZO in P.C.). Le ultime segnalazioni riguardano alcuni castelli della Corsica (ISTRIA 1995, p. 30). 3) Furono introdotte alcune innovazioni morfologiche, che, solo in un caso, paiono avere una possibile relazione con i caratteri formali dei manufatti rivestiti: a) forme aperte) forme aperte: accanto a persistenze caratteriali (C1. 3, D3: cfr. RENZI RIZZO in P.C.) si evidenziano catini emisferici/troncoconici a tesa ingrossata e sopra arrotondata (tipo CT2, ivi), piatta (CT3, ivi), e ad arpione (CT4, ivi); con orlo estroflesso, arrotondato superiormente e appuntito lateralmente (CO2, ivi). b) forme chiuse medio-grandi: confermati alcuni tipi precedenti (1, 1,2, ivi) sembrano affermarsi contenitori a collo appena estroflesso, orlo ingrossato e arrotondato, ansa a nastro attaccata sotto di esso, a un po meno di un cm (tipi 3 e 3.1: cfr. tab. 3 e bibl. di O3, ivi). c) forme chiuse piccole: Continua la produzione di boccali di forma Busi A (n. 3.4 di MENCHELLI in P.C., e relativa bibl.); compaiono i trilobati di piccole e grandi dimensioni; quest ultimi caratterizzati da fondi con piedi a disco appena accennato (nn. 9, 10, ivi): è questo l unico carattere che potrebbe essere stato indotto dai manufatti rivestiti (BERTI- GELICHI 1995, pp ). Le uniche decorazioni che sembrano persistere, e solo su queste forme ultime, sono linee sinusoidali e filettature (P.D., n. 9 e P.C., n. 21). I grossi contenitori evidenziano, invece, alcuni tipi di bolli (cfr. da ultimo, MENCHELLI in P.D., pp e BERTI-GELICHI 1995, pp , ). 4) Le analisi cui è stato sottoposto un certo numero di campioni del corpo ceramico 6, riferibili a diverse cronologie, hanno evidenziato una sostanziale identità degli stessi ma anche alcune variazioni dei componenti (PALLECCHI in P.C., gruppo Ia); esse, pertanto, non possono suggerirci, al momento, una collocazione precisa delle cave ma solo che erano nel tratto terminale dell Arno e che i prelievi subirono spostamenti nel corso degli anni; il corpo 7, il cui utilizzo è testimoniato anche in questa fase, sembra provenire dalla piana pisana settentrionale (PALLECCHI in P.C.) e indizia una probabile contemporanea diversificazione degli approvvigionamenti. Alcune fornaci sono già state identificate nel contado pisano (da ultimo DANI et al. 1988) e le fonti scritte ci indicano, per la prima metà del secolo XIII, due zone di concentrazione artigiana, entrambe in ambito urbano e lungo il corso dell Arno (RENZI RIZZO 1994). In conclusione, non siamo ancora in grado di provare: se vi fu un inurbamento delle fornaci di ceramiche nude nella prima metà del XIII sec. o se tali manifatture erano già attive in Pisa a partire dall XI sec. e se tali botteghe erano o divennero a produzione mista. Tab. 2 Tabella riassuntiva dei caratteri minero-petrografici delle ceramiche studiate. Le percentuali modali indicate hanno un margine di errore, in quanto determinate attraverso diagrammi per la stima visuale delle percentuali. Le dimensioni indicate sono le massime osservate; X = scarso, fine; XXXXX = abbondante, grossolano. Solo il prosieguo delle indagini archeologiche in Pisa (alla ricerca di fornaci!) coadiuvate da mirate analisi archeometriche potranno fornire le risposte ai quesiti ancora insoluti e precisare anche l ambito cronologico finale di queste produzioni. C.R.R. E. LE ANALISI MINERO-PETROGRAFICHE Sono stati analizzati in sezione sottile 4 campioni ceramici (nn. 1-4), considerati particolarmente rappresentativi delle produzioni pisane di età tardo-romana e medievale. Tali campioni sono compresi nella Banca Dati Analisi Archeometriche del Laboratorio di Topografia antica, Università di Pisa, da anni collegata con il Settore di Mineralogia applicata all Archeologia dell Università di Genova. All osservazione in sezione sottile, i 4 campioni presentano uno scheletro costituito da elementi più o meno fini e piuttosto generici (Tab. 2). I campioni 1/4716 e 2/5149 sono caratterizzati da una matrice argillosa ricca in ferro ossidato e da uno scheletro con una prevalente componente metamorfica acida (gneiss a grana fine, quarzo, plagioclasio, miche), l origine della quale può tuttavia essere in parte legata al rimaneggiamento di rocce sedimentarie: sono infatti presenti, anche se in percentuali subordinate, frammenti di arenarie e di siltiti. Il n. 2 presenta inoltre uno schiarimento superficiale (0,3-0,5 mm) della matrice, probabilmente realizzato nella fase finale della cottura con una variazione di atmosfera del forno verso condizioni riducenti, che hanno favorito la formazione di ferriti di calcio, poco colorati, a discapito dell ematite, di colore rosso. I caratteri dei due campioni, più o meno simili tra loro e ben confrontabili con quelli di molte maioliche arcaiche 2001 Edizioni all Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 4

5 pisane, sono compatibili con quelli dei sedimenti alluvionali della valle terminale dell Arno. Le altre due ceramiche (nn. 3/5150 e 4/5147) sono relativamente simili tra loro, con alcune differenze ( ad esempio la percentuale di microfauna); gli impasti si discostano dai precedenti per diversi caratteri, tra cui la matrice carbonatico-ferrica, l assenza di rocce detritiche, la presenza di calcite spatica (subangolosa, non aggiunta intenzionalmente), le percentuali minori di biotite. L origine di tali argille è probabilmente legata a sedimenti marnosi di ambiente marino, affioranti in diverse aree della Toscana. C.C. BIBLIOGRAFIA ABELA E. 1994, Appendice, in BRUNI 1994, pp ANDREW D., PRINGLE D. 1977, Lo scavo dell area sud del Convento di San Silvestro a Genova ( ), «Arch. Med.», IV, pp BERTI G. c.s., Pisa. Le maioliche arcaiche. Secoli XIII-XV. (Museo Nazionale di San Matteo), Firenze. 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