GALILEO E IL SUO TEMPO NELLA SCIENZA ASTRONOMICA

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1 GALILEO E IL SUO TEMPO NELLA SCIENZA ASTRONOMICA di Francesco Bertola* Secondo il filosofo Thomas Kuhn ( ) la scienza non progredisce in modo graduale per fornirci la vera visione del mondo, ma l'avvicinamento alla realtà avviene invece con tutta una serie di cambiamenti radicali che egli chiama "rivoluzioni scientifiche". E la rivoluzione scientifica per antonomasia è quella che ha come figura centrale Galileo Galilei ( ). Copernico e l'infinità dell'universo Come data di inizio solitamente viene assunto il 1543, quando Niccolò Copernico ( ) pubblica la sua fondamentale opera De Revolutionibus Orbium Caelestium in cui viene esposto il nuovo sistema del mondo destinato a sostituire quello di Tolomeo. Copernico, infatti, opera una trasposizione di corpi celesti ponendo il Sole al centro dell'universo, in luogo della Terra, e dotando quest'ultima di un movimento di rivoluzione attorno all'astro centrale. Questo cambiamento di posizione si prefiggeva di poter meglio spiegare il peculiare moto dei pianeti sulla volta celeste, spiegazione che costituiva da 2000 anni lo scopo precipuo dell'astronomia. L'operazione copernicana ha subito implicazioni profonde di carattere ideologico: l'uomo, ritenuto abitatore del centro dell'universo viene improvvisamente posto in una posizione periferica, e vengono messe in discussione le Sacre Scritture sulla rilevanza cosmica degli esseri umani. Nella sua opera Copernico crede ancora ad un universo costituito da sfere cristalline come nella concezione medievale, a sua volta di derivazione aristotelico-tolemaico. I pianeti erano corpi immersi in queste sfere e prendevano parte al moto di rotazione delle stesse. Il tutto era racchiuso entro la sfera delle stelle fisse, che pertanto venivano a trovarsi alla stessa distanza dal centro. L'Universo era quindi finito, e all'esterno della sfera delle stelle fisse la teologia cristiana aveva trovato il modo di collocare l'empireo abitato dalle schiere angeliche e dalla divinità. Ciononostante, Copernico comincia a nutrire dei dubbi sulla sfera delle stelle fisse e si pone il problema dell'infinità dell'universo. Sarà un tenace propugnatore di questa tesi, Thomas Digges ( ), a compiere, a breve distanza dal 1543, una seconda e importantissima rivoluzione di carattere cosmologico, infrangendo la sfera delle stelle fisse e mostrandoci un universo non più chiuso, ma infinito e infinitamente popolato di stelle. Con un solo disegno egli rende perfettamente l'idea, disegnando il Sole al centro, le sfere dei pianeti, e le stelle distribuite all'esterno della sfera del pianeta più lontano, Saturno, fino a riempire i bordi del foglio, indicando la loro distribuzione in uno spazio infinito. Giordano Bruno: l'universo infinito è popolato di stelle La rappresentazione di Digges prelude alla grandiosa visione dell'universo di Giordano Bruno ( ), la cui vastità e audacia di pensiero sono tali da porlo a buon diritto tra i padri fondatori della cosmologia moderna. Per Bruno l'universo è infinito e infinitamente popolato di "mondi", cioè di stelle,

2 ciascuna attorniata da un sistema planetario simile al sistema solare; i pianeti possono anche essere abitati. Con la sparizione della sfera delle stelle fisse scompaiono anche i luoghi adibiti all'abitazione della divinità. Anche questo è un motivo destabilizzante per chi era legato alla visione tolemaicocristiana dell'universo. Brahe e Kepler Lo studio di una cometa apparsa nel 1577 portò il grande astronomo danese Thyco Brahe ( ), fondatore del grande osservatorio di Uraniburgh, a stabilire che la sua orbita era eccentrica: questo fatto, assieme alla scoperta di Johannes Kepler ( ) che le orbite dei pianeti attorno al Sole sono di tipo ellittico e non circolare, indica che le sfere cristalline, isolate tra loro, trascinanti i pianeti, non hanno più senso, e che i corpi del sistema solare si muovono in uno spazio libero. Nel giro di una cinquantina di anni la visione del mondo è completamente cambiata, anche se ci vorrà ancora molto tempo prima che venga universalmente accettata. Il contrasto tra le affermazioni della nuova scienza e l'interpretazione letterale delle sacre scritture costituisce uno dei punti di maggiore tensione in questa fase del processo della conoscenza. Galilei e la "sensata esperienza" Figura emblematica di questo travaglio è Galileo Galilei, tenace assertore del sistema copernicano. Con le sue scoperte astronomiche dovute all'utilizzo del cannocchiale da lui messo a punto a Padova nel 1609, Galileo ritiene di inferire un duro colpo alla concezione aristotelica del mondo, e al contempo di portare argomenti a favore di Copernico. La scoperta della rugosità della superficie lunare rivela che il satellite della Terra non è una perfetta, liscia sfera di etere. I satelliti di Giove mostrano che nell'universo c è un altro centro del moto oltre a quello tolemaico costituito dalla Terra. Le fasi di Venere ben si spiegano se il pianeta ruota attorno al Sole. Le macchie solari mostrano che a questo astro manca la perfezione aristotelica e infine il fatto che la nebulosità della Via Lattea sia dovuta a tante piccole stelle contraddice la visione peripatetica che la interpretava come vapori luminosi sospesi nell'atmosfera terrestre. L'infinità dell'universo, proclamata così tenacemente da Giordano Bruno, viene considerata anche da Galileo, ma in modo molto cauto. Egli non prende mai una posizione precisa, anche perché all'epoca le distanze delle stelle non erano conosciute, e viene da pensare che possa averlo fatto principalmente per non incorrere in quella situazione in cui qualche decennio prima era venuto a trovarsi il Bruno. Si deve a Galileo l'impostazione del metodo con cui la scienza deve procedere per acquisire nuove conoscenze sulla natura. Tutto deve basarsi sulla "sensata esperienza", ossia sull'esperimento ripetibile, analizzato mediante una trattazione matematica rigorosa. Caratteristica della rivoluzione scientifica è proprio l'introduzione del metodo matematico nella trattazione dei fenomeni scientifici. Vari furono gli scienziati che nel corso del '600 vi si dedicarono: Cartesio ( ), Fermat ( ) e Pascal ( ). Il culmine venne raggiunto da colui che era destinato a concludere la rivoluzione scientifica iniziata da Copernico, Isaac Newton ( ). Si deve a lui, in competizione con Gottfried Liebniz ( ) lo sviluppo del calcolo infinitesimale capace di una trattazione rigorosa di tutti i problemi che la scienza andrà via via ponendo. Nella sua opera principale, pubblicata nel 1687, Philosophiae Naturalis Principia Matematica, Newton descrive

3 una visione del mondo completa e unificata dalla presenza della Legge di gravitazione universale, che sarà perfezionata solo dall'avvento della Teoria della Relatività Generale agli inizi del secolo Ventesimo. *Professore di Astrofisica all'università di Padova. È membro dell'accademia Nazionale dei Lincei. Già presidente della Divisione Galassie e Universo dell'unione Astronomica Internazionale. Tra le sue pubblicazioni nel campo dell'astronomia culturale: Da Galileo alle stelle (a cura di, Biblos, 2009), Via Lactea. Un percorso nel cielo e nella storia dell'uomo (Biblos, 2003), Imago mundi. La rappresentazione del cosmo attraverso i secoli (Biblos, 1995).

4 IL CANNOCCHIALE, NUOVO STRUMENTO D'INDAGINE di Massimo Capaccioli* Galileo non è l'inventore del cannocchiale Lo strumento che ha rivoluzionato l'astronomia, la scienza e le coscienze, venne forse concepito per primo dal napoletano Giambattista Della Porta alla fine del Cinquecento e fu sicuramente realizzato all'avvio del Seicento da artigiani olandesi, che ne compresero anche le potenzialità pratiche, soprattutto a fini bellici. Probabilmente, Galilei non fu nemmeno il primo a puntare il cannocchiale al cielo, se è vero che la Via Lattea dipinta[1] come un fiume di stelle dal tedesco Adam Elsheimer nella primavera del 1609, ossia prima che il pisano desse avvio alle sue osservazioni celesti dal giardino della sua casa a Padova, è frutto di una visione telescopica. Ma Galilei ha il merito d'essere stato il primo a comprendere l'immensa portata delle informazioni restituite dal suo piccolo tubo di cuoio e vetro puntato al cielo. Le sue scoperte, velocemente rendicontate nel Sidereus Nuncius per non perderne la priorità, hanno dato un contributo determinante a chiudere la disputa tra i due modelli del mondo, quello geocentrico favorito dagli astronomi classici e dalla Chiesa di Roma, e quello eliocentrico, riproposto da Copernico e 'sponsorizzato', tra gli altri, da Keplero. Pur senza fornire alcuna prova definitiva a favore dell'uno o dell'altro, queste scoperte dimostravano la falsità dei preconcetti aristotelici di perfezione del mondo celeste e di centralità della Terra relativamente a ogni orbe celeste, sgombrando il campo dalle paure di ledere l'indiscussa maestà della tradizione filosofica e religiosa: paure mantenute vive anche dai roghi dell'inquisizione, deputata a rintuzzare gli attacchi di una rivoluzione scientifica dai complessi risvolti religiosi e sociali. Senza le scoperte astronomiche di Galilei il mondo occidentale avrebbe fatto ben più fatica a liberarsi dai lacci che impedivano alla scienza moderna di riprendere il viaggio dopo la lunga pausa del Medioevo. L'universo si può conoscere L'utilizzo astronomico del telescopio ebbe anche un altro esito, altrettanto importante. Puntato sui campi della Via Lattea, esso mostrava un universo sidereo non soltanto suggestivo, capace cioè di "far dubbiar ben saggi", come annota Dante nel Paradiso, ma finalmente esplorabile e potenzialmente conoscibile: un mondo che adesso era possibile "provare" e nel quale era possibile "riprovare" i modelli matematici secondo le regole del nuovo metodo scientifico dettato dal fisico toscano. Insomma, le scoperte astronomiche di Galilei conseguenti all'uso del cannocchiale segnano lo spartiacque tra una cosmologia antropocentrica, confinata al Sistema Solare e alle sue "stelle erranti" e costruita geometrizzando preconcetti estetici e superstizioni, e una moderna concezione del mondo fisico. Liberata dalle pastoie della superstizione, quest'ultima contempla un immenso universo di stelle come il Sole e relega l'uomo al rango di spettatore intelligente e non di inquilino privilegiato, figlio di quell'amor che, celato dalla sfera delle fisse, "move il Sole e l'altre stelle". In questo senso Galilei aprì davvero "all'anglo", autore della prima teoria unificata dell'universo, "le vie del firmamento[2] ".

5 Newton e il telescopio riflettore Certo, sia il cannocchiale sia la cosmologia dovranno fare molta strada per arrivare agli odierni strumenti e modelli del mondo. Un passo fondamentale venne compiuto proprio da Newton nella seconda metà del Seicento con l'invenzione del telescopio riflettore. L'uso di uno specchio in luogo di una lente per raccogliere la luce delle stelle rendeva possibile fabbricare strumenti più economici (lo specchio è lavorato otticamente da una sola parte e, contrariamente a una lente cui è richiesta la perfetta trasparenza, può essere fatto di materiale "impuro"), migliori (perché privi di quell'aberrazione cromatica che affligge i sistemi rifrangenti), e di maggiori dimensioni (quando le lenti diventano troppo grandi, peso, spessore e costi ne rendono proibitivo l'uso). Quest'ultimo punto è fondamentale, perché attiene proprio alla funzione del telescopio, che è primariamente quella di raccogliere, focalizzandolo, il debole flusso di radiazione proveniente dalle sorgenti astronomiche, tanto più debole quanto più, a parità di luminosità, esse sono lontane. Gli astronomi debbono poter guardare il più lontano possibile perché il numero dei loro bersagli cresce mediamente con il quadrato della distanza, e con la distanza decresce invece il tempo cosmologico corrispondente all'atto d'emissione della radiazione raccolta. Insomma, affondare sempre più lo sguardo nel cielo profondo significa aumentare la nostra capacità di esplorare sia lo spazio sia il tempo (capacità nient'affatto marginale in un universo capace di evolvere nel tempo, nelle sue parti e nel suo insieme). Herschel, Rosse, Hubble È per questa ragione che, dopo l'avvio dell'era dei telescopi, a ogni rivoluzione tecnologica negli strumenti e nelle tecniche d'osservazione ha corrisposto un breakthrough nella conoscenza astronomica e cosmologica. William Herschel, coi grandi specchi che egli stesso lavorava, alla fine del Settecento, proprio mentre esplorava lo sconosciuto universo sidereo, sbalordì il mondo con la scoperta di un nuovo pianeta, Urano, il primo da quando gli uomini avevano preso ad alzare il naso al cielo. Gli splendidi disegni fatti da Lord Rosse a metà Ottocento con il suo Leviatano, un telescopio con un primario di 1.8 metri di diametro, vennero clamorosamente superati dalle prime applicazioni astronomiche della fotografia, pochi decenni dopo: una tecnica che tra l'altro rendeva oggettive e duplicabili le osservazioni del cielo. Negli anni Venti del Novecento Edwin Hubble, grazie a un uso sapiente del gigante di 100 pollici eretto da poco sul Monte Wilson in California, chiudeva la lunga disputa sulla natura delle nebulose bianche. Il nuovo paradigma era un cosmo popolato di galassie, gli "universi isola" di Kant, di cui oggi modelliamo l'evoluzione, a partire dal Big Bang, secondo una visione unitaria e dinamica del mondo fisico che ha raccolto strabilianti successi e che tuttavia, è bene ricordarlo, è solo un altro degli infiniti passi che restano da fare lungo il cammino della conoscenza.

6 L'Osservatorio dello European Southern Observatory sulla cima andina del Cerro Paranal, in Cile. L'ESO: le ultime frontiere È per questa intrinseca incapacità dell'uomo di conoscere il "vero fisico", il "noumeno" kantiano, che ancor oggi, appollaiati su cime montane remote o librati nello spazio, nascono nuovi telescopi sempre più grandi e raffinati, tanto costosi da richiedere il contributo di molte nazioni, come per l'extremely Large Telescope, un collettore di luce con un'apertura equivalente di oltre 30 metri che un consorzio di stati europei denominato ESO sta attualmente progettando. Un altro passo per soddisfare quella cocente curiosità che rode l'uomo e gli fa chiedere: Da dove vengo? Dove vado? E soprattutto, che ci faccio qui? Galilei, con le sue osservazioni dell'autunno del 1609, ha aggiunto un'importante vela alla barca di Ulisse. [1] Il quadro di Elsheimer, conservato all'alte Pinakothek di Monaco di Baviera, raffigura una sosta notturna della Sacra Famiglia durante la cosiddetta Fuga in Egitto. [2] citazione dai Sepolcri di Foscolo. Si riferisce a Galilei e Newton, autore quest'ultimo della teoria della gravitazione UNIVERSALE, che unifica cielo e Terra. *Professore di Astronomia all'università di Napoli Federico II. È stato per oltre un decennio direttore dell'osservatorio Astronomico di Capodimonte e presidente della Società Astronomica Italiana. Si occupa di galassie e di cosmologia osservativa, e si diletta di epistemologia e di storia e divulgazione delle scienze. Pubblicato il 15/5/2009

7 IL SIDEREUS NUNCIUS di Gabriele Vanin* sbalordito resoconto: Il professore e il suo strumento ottico Il 12 marzo 1610 a Venezia venne pubblicato un volume di ridotte dimensioni, ma forse il più importante nell'intera storia dell'astronomia. Già il giorno dopo la pubblicazione l'ambasciatore inglese a Venezia, sir Henry Wotton, scrisse al re Giacomo I uno " trasmetto qui accluso a Vostra Maestà il più strano campionario di notizie che Essa abbia mai ricevuto finora il quale è il libro allegato del professore di matematica a Padova, che con l'aiuto di uno strumento ottico inventato prima nelle Fiandre, e migliorato da egli stesso, ha scoperto quattro nuovi pianeti giranti in tondo presso la sfera di Giove, oltre a numerose altre stelle fisse; similmente, la vera causa della Via Lattea e per ultimo, che la Luna non è sferica, ma rivestita di numerose prominenze, e, la qual cosa è fra tutte la più strana, illuminata con la luce solare per riflessione dal corpo della Terra di queste cose qui si discute in ogni dove... E l'autore rischia di diventare o eccezionalmente famoso o eccezionalmente ridicolo". Le parole dell'ambasciatore chiariscono bene quale poteva essere l'animo dei lettori nel leggere di quelle scoperte che sir Wotton riassume così efficacemente. E certamente, le novità riportate erano talmente clamorose che c'era da augurarsi fossero tutte reali, altrimenti, come sottolineato, l'autore doveva sprofondare nel ridicolo più assoluto. Come sappiamo, era tutto vero. Anche se Galileo non fu il primo a osservare i cieli al telescopio (era stato preceduto almeno da qualche olandese e dall'inglese Thomas Harriot), a partire dall'autunno del 1609 fu lui che scoprì, lui solo, e nessun altro, tutto quello che c'era da scoprire nei cieli. L'enormità dei nuovi aspetti che i cieli svelavano era tale da costringere quasi Galileo a comunicare al mondo, senza perdere tempo alcuno, i particolari delle nuove cose trovate. Il libro che le annunciava venne intitolato, molto opportunamente, del resto, da Galileo, Sidereus nuncius, ovvero "avviso siderale". Il libro si apriva con una dedica al Granduca di Toscana nella quale Galileo si dichiarava pubblicamente copernicano, in un moto d'adesione che la maggior parte degli studiosi ha colpevolmente trascurato, sostenendo che Giove, assieme ai suoi satelliti, girava attorno al Sole e che la Terra altro non era che un pianeta come gli altri. La reinvenzione del telescopio e l'osservazione della Luna Dopo aver spiegato al lettore come era giunto a "reinventare" il telescopio sulla base delle notizie giunte d'oltralpe, Galileo passava a trattare dell'osservazione della Luna: sotto i suoi occhi si presentò un vero, nuovo, altro mondo. È difficile immaginare la sua emozione nel vedere un paesaggio che, lo capì ben presto, apparteneva ad un'altra Terra sospesa nello spazio. E l'emozione traspare tutta dalle pagine del Sidereus nuncius, perché Galileo sapeva che gli altri telescopi in giro per l'europa erano poco più che

8 dei giocattoli e sapeva perciò di essere il primo a scorgere i panorami selenitici, osservandoli quasi ogni giorno, durante l'autunno del Galileo descrisse in modo stupendamente vivido l'effetto sorprendente della luce e delle ombre prodotte dal Sole su valli e cavità esistenti sulla Luna. Era un terribile colpo agli aristotelici e ai filosofi in libris, ancora convinti che i corpi celesti fossero del tutto diversi dal nostro pianeta. Alle considerazioni sulla Luna erano accompagnati dei disegni che, lungi dal poter essere delle vere mappe lunari, davano però delle rappresentazioni per così dire "impressionistiche" e comunque molto efficaci e realistiche, dell'aspetto che la Luna presenta al telescopio. D'altra parte Galileo non aveva il tempo di disegnare delle mappe dettagliate. Doveva comunicare al più presto possibile queste scoperte, e il Sidereus è un libro che verrà composto in corso d'opera: Galileo lo scrisse mentre le prime parti erano già in composizione o addirittura stampate! Le stelle della Via Lattea Più avanti, Galileo passava a trattare della risoluzione in stelle della Via Lattea, cosa solo sospettata nell'antichità, ma ora rivelata in modo sperimentale al telescopio. Non solo, ma diverse stelle che si presentavano come "nebulose", al telescopio apparivano costituite da minutissime stelle. Galileo, insomma, rivelava migliaia e migliaia di stelle invisibili a occhio nudo, un numero così grande "che è appena credibile". Nell'opera sono contenute sia rappresentazioni di stelle nebulose, come la Testa di Orione e il Presepe, sia disegni di parti di costellazioni, come le Pleiadi e la Cintura e la Spada di Orione. L'incisore però stravolse i disegni manoscritti di Galileo (cosa già fatta parzialmente con la Luna) per cui le posizioni stellari non risultavano fedeli. Ma il valore di queste osservazioni non ne veniva sminuito: di fatto, Galileo, col suo telescopio apriva davvero, per la prima volta, la prospettiva della terza dimensione, la profondità, nell'esplorazione spaziale. Il telescopio, per la prima volta, spalancava letteralmente l'universo. Quattro nuovi pianeti intorno a Giove Un'altra scoperta importante contenuta nel Sidereus era quella di quattro nuovi pianeti attorno a Giove "non mai veduti dal principio del mondo", come scrisse Galileo. Prima, il 7 gennaio 1610, Galileo ne vide tre, poi, sei giorni dopo, riuscì a scorgere anche il quarto. Era una prova indiretta formidabile a favore di Copernico. I tolemaici insistevano nel dire che la Terra era l'unico centro di moto nell'universo. Ecco che la loro posizione risultava patentemente falsa: ecco Giove, attorno a cui giravano ben quattro nuovi astri. 550 copie Pensando a una diffusione europea, Galileo scrisse ovviamente il Sidereus nuncius in latino, ma in una lingua priva di orpelli retorici, fedele all'ideale di precisione del linguaggio scientifico, che ancor oggi ammiriamo per la sua essenzialità ed efficacia. Come si può immaginare, il libro suscitò un'enorme impressione in tutto il continente, e le 550 copie della prima edizione andarono bruciate in meno di una settimana. Curiosamente, e questa è una delle cose più strane nella storia della scienza, benché Galileo progettasse da subito una seconda edizione più ricca e questa volta illustrata da un incisore ben più capace, questa non fu mai realizzata. Né è da ritenere che la ristampa del libro, realizzata nello stesso 1610 a Francoforte, probabilmente illegalmente, esaurisse tutte le richieste degli studiosi.

9 *Presidente emerito dell'uai e Presidente dell'associazione Rheticus. Si occupa soprattutto di comete e meteore, supernovae, storia dell'astronomia, divulgazione e didattica. Tra le sue pubblicazioni più recenti Galileo astronomo (DBS, 2008). Pubblicato il 15/5/2009

10 GALILEO E I PROCESSI di Annibale Fantoli* La Terra è un pianeta Il punto di partenza dello scontro tra Galileo e la Chiesa cattolica è costituito dalle sue scoperte compiute mediante l'uso del cannocchiale nell'ultima fase del suo insegnamento all'università di Padova ( ) e proseguite negli anni successivi. Infatti, esse mettevano in crisi la tradizionale visione del mondo geocentrica, in cui l'interpretazione letterale di passi biblici che affermavano il moto del Sole e la quiete della Terra era divenuta indissolubilmente legata, a partire dalla scolastica medievale, alla cosmologia aristotelica e alla sua elaborazione matematica, tolemaica. La scoperta del carattere montuoso della Luna metteva infatti in crisi la distinzione essenziale di natura tra il mondo dei corpi celesti e quello terrestre, sostenuta da Aristotele, mentre quella dei quattro satelliti di Giove andava contro l'altra sua affermazione della Terra come unico centro di tutti i moti celesti. Ciò eliminava due delle difficoltà fondamentali che avevano finora impedito l'accettazione della visione eliocentrica, proposta da Niccolò Copernico nella sua grande opera De Revolutionibus orbium caelestium (1543). La Terra poteva infatti essere considerata come un pianeta (come la Luna) e il mondo poteva avere un centro diverso dalla Terra (il Sole). I filosofi aristotelici fanno appello alla Scrittura I primi a reagire contro queste scoperte, rese note con la pubblicazione del Sidereus Nuncius (marzo 1610), furono i filosofi aristotelici, detentori dell'insegnamento della filosofia naturale nelle università dell'epoca. Dopo il fallimento dei loro tentativi di contestarne la realtà, essi cominciarono a fare appello alla Scrittura, le cui affermazioni erano chiaramente contro la tesi eliocentrica. Preoccupato di questa svolta teologica nella discussione, Galileo espose in una lettera a un suo discepolo, il benedettino Castelli, i motivi per cui a suo parere non esisteva una contraddizione tra l'eliocentrismo e la Scrittura, i cui passi apparentemente opposti all'eliocentrismo rispecchiavano solo il modo comune di parlare popolare. Paolo V ammonisce Galileo Venuta nelle mani di due domenicani del convento di S. Marco, a Firenze, Lorini e Caccini, una copia della lettera fu inviata dal primo a Roma, al S.Uffizio, per un giudizio teologico sul suo contenuto, e seguita da una formale denuncia contro Galileo da parte del secondo. Anche se il giudizio del teologo del S. Uffizio fu sostanzialmente favorevole a Galileo, questi decise di recarsi a Roma per scongiurare una possibile decisione della Chiesa contro la teoria copernicana. Ma le sue accese discussioni con gli avversari non fecero che preoccupare ancor più le autorità romane, già allarmate dalla pubblicazione, da parte di un teologo napoletano, Foscarini, di una difesa della conciliabilità del sistema copernicano con la Scrittura. Il S. Uffizio decise finalmente di intervenire. Sulla base della qualifica della tesi copernicana come

11 almeno erronea nella fede, data dagli esperti teologi, il papa Paolo V decise il 25 febbraio 1616 che Galileo doveva essere ammonito privatamente dall'influente cardinale Bellarmino ad abbandonare quell'opinione, mentre la Congregazione dell'indice avrebbe emesso un decreto che dichiarava l'inconciliabilità dell'eliocentrismo con la Scrittura. Di fatto, Galileo fu ammonito il 26 febbraio e promise di ubbidire. Urbano VIII, la pubblicazione del Dialogo e il processo Dopo un forzato silenzio di sette anni, l'elezione al pontificato (1623) del suo antico amico e ammiratore, Maffeo Barberini, che prese il nome di Urbano VIII, fece rinascere nello scienziato la speranza che ci potesse essere un cambiamento nell'atteggiamento della Chiesa nei confronti del copernicanesimo. Anche se in occasione delle sei udienze che Galileo ebbe con il papa l'anno successivo egli restò deluso in proposito, riuscì almeno ad ottenere il permesso di presentare in un suo libro gli argomenti in favore delle due teorie opposte, quella aristotelico-tolemaica e quella copernicana, ma senza prendere posizione in merito. Nacque così il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, finito nel 1630 e portato da Galileo a Roma per il permesso della stampa (l'imprimatur). Dopo lunghe trattative con i revisori, preoccupati per l'evidente favore dato da Galileo alla tesi copernicana, il Dialogo venne alla luce a Firenze al principio del L'arrivo delle prime copie a Roma verso la fine di aprile, causò una violenta reazione da parte degli avversari di Galileo, sdegnati che un libro così chiaramente in favore di Copernico (nonostante gli artifici retorici usati da Galileo per mascherare la sua vera intenzione), avesse potuto essere pubblicato, con un permesso ecclesiastico. Data l'amicizia di Urbano VIII per Galileo, a tutti nota, il sospetto più grave rischiava di ricadere sullo stesso Pontefice. Venuto personalmente a conoscenza del libro, Urbano VIII affidò l'esame del Dialogo a una speciale commissione. Il parere di essa fu che di fatto Galileo aveva difeso la tesi copernicana. In più la scoperta negli archivi del S. Uffizio del documento che riportava l'ammonizione che Galileo aveva ricevuto da parte di Bellarmino, lo rendeva colpevole anche di aver taciuto su di essa, al momento di chiedere l'imprimatur. Sentendosi così doppiamente tradito nella sua fiducia verso il suo antico amico, Urbano VIII decise di convocarlo a Roma per essere sottoposto a un processo da parte del S. Uffizio. Un "veemente sospetto di eresia" Iniziato il 12 aprile 1633, esso si concluse con la condanna dello scienziato "per veemente sospetto di eresia" all'abiura di fronte ai cardinali del S. Uffizio, e alla prigione del S. Uffizio, subito dopo commutata negli arresti domiciliari, prima presso l'arcivescovo di Siena (grande amico di Galileo) e poi nella sua abitazione di Firenze, sotto rigorose condizioni che durarono fino alla morte dello scienziato (8 gennaio1642). Anche se il gioco d'azzardo giocato da Galileo con la pubblicazione del Dialogo, fondato su un sovrastima del suo rapporto di stima e amicizia con Urbano VIII, contribuì alla dolorosa conclusione della sua lotta per la teoria copernicana, alla base di tale conclusione è da vedere l'errore dell'affrettata

12 decisione presa nel 1616 da Paolo V di chiudere una discussione che le scoperte di Galileo reclamavano a buon diritto fosse lasciata aperta. Da questo errore derivò come logica conseguenza quello della condanna dello scienziato nel 1633, resa ancora più grave in base a una interpretazione dottrinale, in senso rigoroso, del contenuto del Decreto del 1616, da parte di Urbano VIII. Nel discorso dell'ottobre 1992 alla Pontificia Accademia delle Scienze, Giovanni Paolo II ha offerto, a distanza di trecentocinquanta anni dalla condanna di Galileo, un riconoscimento di tali errori. *Ha insegnato ( ) storia e filosofia della scienza in diverse università giapponesi. Attualmente è Adjunct Professor nel dipartimento di filosofia dell'università di Victoria, Canada. Tra le sue pubblicazioni: Galileo. Per il Copernicanesimo e per la Chiesa (Libreria Editrice Vaticana, Tradotto in 7 lingue); Il Caso Galileo (Rizzoli, 2003); Gli Extraterrestri (Carocci, 2008). Pubblicato il 15/5/2009

13 I LUOGHI DI GALILEO IN ITALIA E OLTRE di Nicoletta Lanciano* I 'luoghi di Galileo' possono essere considerati i luoghi della penisola italiana dove Galileo ha fisicamente vissuto e operato, ma anche i luoghi dell'europa, e del mondo, in cui si trovavano persone con cui lo scienziato era in contatto per corrispondenza o alle quali ha inviato i suoi strumenti e i suoi libri, o dove sono stati pubblicati i suoi scritti. Parlare di luoghi vuol dire, per l'epoca, parlare anche di prìncipi e mecenati che governavano i diversi paesi, e che hanno aiutato la sua vita scientifica, che lo hanno sostenuto o invece ostacolato e combattuto. In Toscana Galileo nasce a Pisa nel 1564 da famiglia fiorentina: qui inizia gli studi che prosegue a Firenze e a Vallombrosa. Inizia l'università a Pisa, dove il padre gli chiede di studiare medicina che però abbandona ben presto, perché è nato in lui l'interesse per la matematica e la fisica. È dalla Torre di Pisa che fa alcuni dei suoi primi esperimenti sulla caduta dei gravi. Nel 1587 è a Roma per la prima volta e vi incontra il Padre Clavio al Collegio Romano, con il quale mantiene poi una corrispondenza. Nella Repubblica Veneta È all'università di Padova che nel 1592 ottiene la cattedra di matematica e si trasferisce quindi nella Repubblica Veneta dove diventa precettore di Cosimo, figlio del Granduca di Toscana. Nella primavera 1609, a Venezia viene a conoscenza delle tecniche per costruire un cannocchiale. Torna a Padova e qui 'reinventa' lo strumento che nell'agosto porta al Doge di Venezia come sua invenzione: dal campanile di San Marco mostra navi assai lontane non visibili a occhio nudo e i campanili delle chiese della laguna a dimostrazione della potenza del suo strumento. A Venezia c'era allora anche l'ambasciatore del re Giacomo I d'inghilterra e la novità si diffonde verso l'europa. Nell'autunno, dalla sua casa di Padova, in quella che era Borgo dei Vignali e che ora è Via Galileo Galilei, non lontana dalla Basilica del Santo, effettua quelle osservazioni che poi gli daranno il materiale per il testo del Sidereus Nuncius pubblicato all'inizio del 1610 a Venezia, ma dedicato a Cosimo II dei Medici che era stato suo allievo e che ora, giovanissimo, era diventato Granduca di Toscana. Alla Corte dei Medici Per motivi economici, relativi al contratto con l'università di Padova, Galileo abbandona il Veneto e si trasferisce a Firenze presso la corte dei Medici, non senza rammarico per il Doge e il Senato della Repubblica Veneta. Molti studiosi hanno sostenuto in seguito che questo trasferimento è la base dei problemi che Galileo ha poi dovuto affrontare con le Autorità dell'epoca e che gli sarebbero stati risparmiati sotto la protezione del Doge.

14 Il 10 luglio 1610 è eletto primario matematico nello studio di Pisa e anche del Granducato di Toscana. Si reca intanto all'università di Bologna a mostrare i satelliti medicei all'astronomo Magini: anche in altre città italiane si discute pro e contro le cose viste dal signor Galilei. Il suo testo, il Sidereus Nuncius provoca reazioni in Europa e tra i primi ad averlo e commentarlo è l'autorevole Keplero a Praga, attraverso l'ambasciatore di Toscana Giuliano dei Medici: Galileo ha peraltro inviato una copia del suo cannocchiale a Massimiliano di Baviera e al cardinal Francesco Dal Monte Elettore Arcivescovo di Colonia da cui lo ottierne Keplero che lo può usare per confermare, anche con l'osservazione diretta, ciò che Galileo aveva scritto. A Roma A fine marzo del 1611 Galileo torna per la II volta a Roma per mostrare il suo strumento e le sue scoperte ai matematici del Collegio Romano e al Padre Clavio in particolare, una delle massime autorità astronomiche dell'epoca insieme a Keplero e a Galileo stesso. Con lui al Collegio Romano c'erano allievi di diversi paesi europei, il padre Gringberger del Tirolo e Odo van Maelcote del Belgio, ai quali si rivolgerà il consigliere del Papa, Cardinal Bellarmino, per avere un'opinione circa le cose che Galileo aveva scritto di aver visto. A Roma Galileo incontra anche i giovani della Accademia dei Lincei appena fondata dal principe Federico Cesi. Di Cesi Galileo diventa grande amico e questi lo invita, la sera del 14 aprile, presso il casino Malvasia sul Gianicolo, a un banchetto in suo onore dopo il quale Galileo mostra ai convitati il cielo e la Terra, con il suo nuovo strumento, fino ad allora chiamato 'occhiale d'olanda' o 'perspicillum' o 'canna-occhiale', che in quell'occasione è battezzato 'telescopio', su proposta del matematico greco Demisiani. Dopo poco anche Galileo è eletto tra gli Accademici Lincei. A Napoli Intanto era possibile procurarsi un telescopio in molte città d'italia e d'europa, ad esempio a Napoli l'astronomo Fontana, oltre a svolgere osservazioni astronomiche con un telescopio, contribuva all'evoluzione dello strumento stesso; ma è a Firenze che sono fatte le lenti migliori, con grande giovamento per Galileo. E ancora a Napoli, in carcere, c'è Tommaso Campanella che nel 1616 scrive L'Apologia per Galileo. La Comunità scientifica e le relazioni internazionali Nella Comunità scientifica dell'epoca le osservazioni di un astronomo erano scambiate e confrontate con gli altri a livello internazionale: ad esempio, sulle macchie solari lavoravano astronomi in Germania e in Austria, oltre a Galileo a Firenze: non solo i diversi osservatori sapevano l'uno dell'altro, ma disputavano a distanza su chi avesse visto per la prima volta un dato fenomeno, e avevano a volte posizioni assai diverse dato che, di molte cose che erano vedute grazie al telescopio, prima non si sospettava l'esistenza, anzi questa contrastava con la filosofia dominante. Galileo ebbe, inoltre, molteplici scambi con la Spagna e con gli Stati Generali d'olanda per trattative inerenti la questione della determinazione delle longitudini in mare, questione assai importante e delicata che interessava soprattutto i popoli di navigatori e che ebbe grande contributo dall'impiego della scoperta dei satelliti Medicei e del Celatone.

15 Di nuovo a Roma Nel novembre 1615 è per la terza volta a Roma per difendersi dalle calunnie e per opporsi alla proibizione della dottrina copernicana; ne riparte a giugno del Dal 16 al 31 vive nella Villa di Bellosguardo a Firenze dove scrive il Dialogo sopra i due Massimi Sistemi. Durante il suo quarto viaggio a Roma, nell'aprile del 1624, Galileo fa una sosta ad Acquasparta in Umbria ed è ospite, dall'8 al 22 aprile, dall'amico Federico Cesi con il medico Giovan Battista Winter, con Francesco Stelluti, tutti Accademici Lincei: questa tappa è particolarmente significativa, per la riflessione sulla complessità del mondo naturale e le categorie della nuova conoscenza, stimolate anche da una visita alla foresta lignea dove i fossili, ormai pietrificati, erano però oggetti appartenuti al mondo vegetale. Per la quinta volta si reca a Roma da Firenze nel maggio del 1630 per sollecitare la stampa del Dialogo dei Massimi Sistemi, stampa che avverrà a Firenze nel Ancora Roma è presente nella vita dell'astronomo pisano a causa dei Processi del Sant'Uffizio. Nella villa di Arcetri Nel 1633, parte per Roma per la sesta e ultima volta e il 30 aprile è autorizzato a vivere nel Palazzo del Granduca di Toscana a Villa Medici con l'obbligo di restarvi come in un carcere. Ma Galileo chiede di poter tornare in Toscana e gli viene concesso in giugno di trasferirsi a Siena e poi nella sua villa di Arcetri, sopra Firenze: nel 1631 aveva preso in affitto la Villa detta 'Il Gioiello' vicino al Monastero di san Matteo dove erano le sue due figlie femmine, suore francescane. Qui Galileo trascorre la vecchiaia e passa gli ultimi anni ormai divenuto cieco. Ma anche in questa ultima parte della sua vita continuano i contatti con l'europa: nel 1635 lo vorrebbero all'università di Amsterdam; fa stampare in Germania i suoi Dialoghi sulle Nuove Scienze e incontra l'ambasciatore di Francia a cui ne consegna alcune copie. Da tutta Europa arrivano peraltro al Sant'Uffizio richieste per la scarcerazione di Galileo. Muore a 78 anni, cosa assai rara per l'epoca, l'8 gennaio 1642 e la sua salma è in Santa Croce a Firenze. Viaggiare nel Seicento Ma per capire meglio che cosa volesse dire, all'inizio del 1600, andare da una città all'altra può essere utile riflettere sui tempi necessari all'epoca per raggiungerli: quanto impiegava una lettera? Ad esempio, tra Venezia e Firenze occorrevano sei-sette giorni, mentre tra Brescia e Firenze il corriere doveva passare per Milano e quindi impiegava più di una settimana. Per una persona spostarsi voleva dire usare carrozze, cavalli e lettighe. Quando Galileo da Firenze si recò a Roma per la seconda volta era partito il 23 marzo ed era arrivato a Roma attraverso San Casciano, Siena, San Quirico, Acquapendente, Viterbo e Monterosi, il 29 marzo. Un altro viaggio di ritorno da Roma a Firenze durò dall'11 al 15 giugno. Documenti per avere informazioni su tali eventi sono, tra l'altro, le numerosissime lettere scritte e ricevute da Galileo; i suoi scambi sono perfino con la Cina, dove si trovava il Linceo Johann Schreck, latinizzato in Terrenzio, che gli chiedeva previsioni delle eclissi. *Professore presso l'università di Roma "La Sapienza", insegna Didattica delle scienze presso la Facoltà

16 di Filosofia e Astronomia e archeoastronomia presso la Facoltà di Scienze. È docente della SSIS del Lazio e si occupa di formazione degli insegnanti. È responsabile del Gruppo di ricerca sulla pedagogia del cielo del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE). Pubblicato il 15/5/2009

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