Suggestioni londinesi di Kusanagi

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1 Dossier di questo numero: librerie di ieri e di oggi Editoriale di Francesca Pacini In casa Fnac di Lorenzo Bianchi Quando la libreria sposa la galleria di Lorenzo Bianchi Suggestioni londinesi di Kusanagi

2 Professione libraio. Conversazione con Lorenza Barnabei, diplomanda alla Scuola per librai di Orvieto di Nadia Terranova Numero 9 Il libro val bene un caffè di Briciolanellatte Parole in viaggio di Ettore Luttazi Il fascino discreto della libreria di Silvana Cannas Ibridamenti di Daniela D Angelo Editori e librai la libreria Fanucci di Francesca Mordacchini Alfano Quelli che la Feltrinelli di Personalità Confusa La mappa della mia libreria di Francesca Pacini

3 Editoriale Librerie di ieri e di oggi di Francesca Pacini Sono cresciuta dentro una libreria. Quella di mio nonno. Ricordo la mia infanzia che galleggiava sul profumo della stampa (infilavo sempre il naso nelle pagine che sfogliavo aspirando con voluttà), sui colori delle copertine, sui libri impilati pronti per il viaggio negli scaffali. Ne ho una memoria vivida, vivida come i caratteri stampati che man mano smettevano di essere geroglifici svelandomi i territori della letteratura. Era una libreria accogliente, quella di mio nonno. E lui, lui un libraio vero, come quelli che popolano ancora le nostre idee su questo mestiere. Quando qualcuno entrava, sapeva consigliare letture di ogni genere: filosofia, narrativa, poesia. Era onnivoro, come ogni lettore estremo che si rispetti. Quando, negli anni del dopoguerra, la libreria radunava persone in cerca di autori, mio nonno, che era un comunista vero, organizzò nella libreria la biblioteca circolante. Chi non aveva i soldi per comprare i libri poteva portarsi a casa quelli destinati all uso comunitario, per poi riconsegnarli una volta finiti. C era, nel sapere che guidava la vita di mio nonno (tanto che fu questo il nome della libreria, Sapere ), una concezione ampia, dilatata, che si faceva carne e umanità. Nel retro della libreria c erano due poltrone e un tavolino per fare due chiacchiere intorno a un libro. Ho passato interi pomeriggi a passare in rassegna con il dito il dorso dei libri che, come filari di alberi, accompagnavano i miei viaggi. Già, perché ogni libro è un viaggio. E io, lì dentro, attraversavo tutte le geografie. L atmosfera intima di quel posto mi regalava grandi entusiasmi. Mi sentivo un po come gli angeli di Wenders, giravo nel corridoio immaginando i pensieri delle persone che sostavano su un libri sfogliandoli, sbirciando un incipit promettente, affogando lo sguardo su una quarta di copertina. Chissà quali pensieri si affollavano su quelle teste di lettori. Era piccola, la libreria. Ma era costruita su due piani gloriosi capaci di ospitare tantissimi volumi. Sì, era la prima libreria della città. E anche la più vecchia. Io ero invece così nuova, all inizio, davanti a quelle storie che chiedevano attenzione. Storie che cambiarono con me, che seguirono i miei incerti passi verso l adolescenza e poi, più spediti, verso la maturità. Oggi quella libreria esiste ancora. Ma mio nonno non c è più. A un certo punto diventò cieco, come Borges. Ma, a differenza dello scrittore argentino, il buio intorno si fece anche interiore e diventò brivido. Non poteva leggere più, non poteva guardare i suoi libri adorati. Presto diventò impossibile gestire la libreria che fu venduta. Fu allora che iniziò lentamente a morire. Ogni giorno. Mi ricordo ancora le sue ultime giornate lì dentro: aveva perso la sicurezza della confidenza con la sua grande famiglia di carta e parole; si aggirava, spaesato, fra quegli oggetti improvvisamente muti, invisibili, silenziosi testimoni del suo tramonto. L ultimo periodo della sua vita fu accompagnato dalla radio. Ma non era la stessa cosa. Lui, senza i libri, aveva perduto la linfa vitale. Appassì come una piantina d inverno. 3

4 Dentro di me conservo intatto il suo ricordo. E quello della libreria ai tempi del nonno. Oggi ci vado ancora, quando torno nella mia città. Ed è cambiata. Come sono cambiate tutte le librerie. Non mi va di discutere sul peggioramento o sul miglioramento, né parlare delle grandi catene librarie che, come eserciti all assalto, stanno decimando quelle piccole. Se ne parla tanto. Ci sono stati anche film, come C è post@ per te. Il mondo cambia. Non si può fermare il tempo. E malgrado la mia nostalgia, frequento tranquillamente Feltrinelli o Mel bookstore. Solo che è...diverso. Come diverso, di nuovo, è il resto del mondo. Certo è che il librario di una volta era meno ossessionato dai lettori in fuga, meno assediato da quelli in cerca del libro di Vespa o Costa, meno teso verso il richiamo insistente di una cassa che batte al suono del marketing. Però il libraio è anche un commerciante, e questo va detto. Mio nonno passava notti intere a fare conti, a controllare il flusso di entrate, permanenze e uscite di quei volumi che racchiudevano la sua vita. Una volta il commercio era forse più rilassato perché i costumi seguivano ritmi meno incalzanti, più liberi dal rapido ciclo di vita, per usare un termine caro al marketing, che scandisce l alba e il tramonto di ogni cosa. Oggi, come tanti replicanti, siamo costretti a vivere in un tempo programmato, organizzato da una scadenza in cui le cose nascono e scompaiono con la velocità di una mela che cade dall albero. Se Newton scopriva la gravità, oggi noi sembriamo invece scoprirne e pagarne- tutto il peso. Ogni giorno. Perché pesa, la leggerezza di una superficie che imbratta tutto, implacabile. In questo pigia pigia che è il quotidiano, il tempo senza tempo del libro fatica a trovare i suoi spazi. E le librerie si sono adeguate, trovando nuove risorse, costruendo alleanze, piegandosi ai costumi che impongono alcune letture piuttosto banali. Ma i classici consoliamoci non muoiono mai. E il mestiere del libraio può ancora essere qualcosa di diverso dalla pallida memoria di ciò che una volta rappresentava, può ancora pulsare di vita perché i libri sono perla dell umanità. Per venti persone che compreranno L amore e il potere ce ne sarà una che cercherà I Malavoglia. La qualità anche se accerchiata resiste. E se la maggioranza preferisce i comici e le starlette giornalistico-politiche della televisione, c è sempre una minoranza silenziosa che allo spessore effimero della popolarità preferisce quello più autentico del pensiero. Ecco che dunque le librerie per quanto cambiate, moderne, percorse da commessi a volte ignoranti ( Eh? Chi? Nel computer non trovo Finzioni di Borgejoise, mi disse allarmato un tizio, una volta) raccontano ancora del fascino antico di questo mestiere. Le librerie. Il porto dei libri, il luogo di attracco di queste navi che solcano i nostri mari interiori. Da lì salperanno per una fissa dimora, finiranno a casa di qualcuno che, con mani amorose, le conserverà. E continueranno a viaggiare negli oceani nascosti in quelle pagine di carta e inchiostro. Mio nonno me lo immagino ancora lì, in piedi accanto ai suoi libri. Si gira, mi sorride. Prende un volume e lo rimette al suo posto. 4

5 In casa Fnac Dall ufficio stampa della Castelvecchi alla direzione della grande libreria nel nuovissimo centro commerciale Porta di Roma. Vittorio Graziani conosce benissimo il mondo dell editoria, e ci parla della professione del libraio ai tempi delle multinazionali, dove ci vuole un po tutto, dalla passione per la letteratura alle tecniche di marketing. Piccola avvertenza: non ditegli che le grandi librerie soffocano le piccole... di Lorenzo Bianchi La Fnac è il paradiso del lettore. Puoi trovare qualsiasi cosa, girare tra i reparti, ficcare il naso nell inchiostro dei volumi. Ma puoi trovare dischi, dvd, mp3 e molto altro. Lo spazio Fnac si inserisce nella struttura di Porta di Roma, più simile ad una città che ad un centro commerciale, tanto che per trovare Vittorio Graziani ci vorrebbe un navigatore satellitare. Ma ci facciamo bastare una piantina della struttura... Allora Vittorio, cominciamo con la tua formazione. Prima della Fnac hai lavorato alla Castelvecchi. Si, ho cominciato a fare l ufficio stampa ad Arcana, e poi sono stato subito inserito nell ufficio stampa Castelvecchi dove sono stato responsabile fino a giugno, e a luglio sono stato assunto dalla Fnac come responsabile della libreria e comunicazione. Come ti trovi a lavorare in una struttura del genere? Insomma si parla di una libreria che ha filiali in tutto il mondo. Innanzitutto bene. Sono felicissimo della scelta e delle nuove prospettive che questo lavoro mi ha dato dal punto di vista della mia formazione editoriale. Rispetto all ufficio stampa di una casa editrice c è una differenza fondamentale: la Fnac è una libreria e dirigerla ti da uno sguardo molto più vasto sul mondo editoriale, più completo e imparziale. Sono molto contento, soprattutto per questo aspetto. Si parla spesso del rischio che le grandi strutture editoriali rischiano di soffocare le piccole librerie. Tu che sei il responsabile di una libreria internazionale, pensi che sia una realtà oppure è un esagerazione, e nel mondo editoriale c è posto per tutti? Ho scritto pure un articolo su questa faccenda. Lo spunto me lo diede una libraia che scrisse a Umberto Galimberti di Repubblica, recitando il solito polpettone dei librai soffocati dalle grandi catene librarie. E una questione che sento da quando lavoro nel mondo editoriale: la questione è pensare che i librai sono soltanto i piccoli librai, e che librerie come la Fnac, la Mondadori o la Feltrinelli sono dei supermercati. Questo è sbagliatissimo; in primo luogo perché in queste strutture ci sono dei librai veri, gente appassionata, che legge e sa quello che vende, e non si occupa solo delle grandi case editrici. Qui in Fnac abbiamo tutte le case editrici possibili, compreso le piccole, perché un altro classico polpettone è quello del piccolo libraio, il quale afferma che solo lui segue le piccole case editrici. Non è affato vero, anzi è proprio il contrario. Sono proprio queste grandi librerie, grazie al loro spazio e alla loro visuale d insieme, che non solo hanno la possibilità di esporre le piccole società editoriali, ma anche di valorizzarle. Questi polpettoni sono fuori luogo e sono pronto a combattere in qualsiasi sede. Il concetto di base è che il libraio non è solo il piccolo libraio, ma anche quello che lavora in una grande struttura. Le dinamiche sono completamente diverse, pweò la cultura non sta da una parte o dall altra, si trova nella grande e nella piccola libreria. Ultima cosa: non è vero che il piccolo libraio ha un rapporto con il cliente mentre invece l addetto che lavora nei grandi centri non ce l ha. C è un carico di lavoro diverso: avere una libreria da metri quadri è differente da averne una da 80. Bisogna rendersene conto: ci sono più cose da mettere a posto, più cura sull esposizione, ma questa è gente che sa parlare con il cliente. Io ho conosciuto dei piccoli librai 5

6 che erano il contrario della vendita: gente altezzosa, così come ce ne sono nelle grandi librerie, però mi non piace quando si generalizza. Mi fa arrabbiare quando criticano l uso del computer: è normale che se un cliente chiede un libro noi dobbiamo necessariamente guardare nel nostro database, visto che abbiamo 800 metri quadrati di libreria e referenze, non ci possiamo ricordare tutto a memoria. Quali sono i libri che vanno di più in questo momento? Quale genere? Noi abbiamo un pubblico particolare, essendo in un centro commerciale. E un pubblico diverso da quello che possono avere le altre Fnac italiane, che stanno in centro città. Per esempio noi abbiamo clienti molto attenti alla narrativa rosa, cosa che assolutamente non mi aspettavo. Non abbiamo un pubblico da bestseller o da altissima letteratura, ma oltre alla narrativa rosa, va molto forte la saggistica, sia essa storia, politica, fotografia, architettura, musica. Parlando di politica è andato benissimo La Casta. Bisogna poi fare un altra considerazione: il pubblico del centro commerciale, tendenzialmente, non è composto da lettori assidui, quindi arrivano sul libro dopo che questo ha avuto un estremo successo. La Casta era già un caso a luglio e ha continuato ad essere venduto. Stessa cosa Gomorra che è ripartito un po per tutti, complice l intervista da Fazio e lo spettacolo teatrale. Tutto sommato vanno bene anche i bestseller, ma quelli superannunciati, solidificati. Mi incuriosisce il fatto che il centro commerciale arrivi in seconda battuta. Mi metto nell ottica nel cliente. Io devo comprare un libro e abito a Roma, non vado al centro commerciale, ma nella mia libreria. Se vado in un centro commerciale, per tutta una serie di motivi, e vado alla Fnac, poi alla libreria Fnac, non cerco subito la novità. Certo le novità vanno bene e siamo molto attenti ad esporle al meglio; Camilleri lo vendiamo moltissimo, e abbiamo anche una politica di prezzi abbastanza visibile. Però abbiamo un pubblico particolare, tra l altro non inquadrato benissimo visto che siamo aperti da quattro mesi. Come mai a Roma la Fnac è arrivata più tardi rispetto ad altre città italiane? Prima ha aperto a Milano, Torino, Napoli, Genova, Verona... Non ho una risposta esatta, vado a tentativi. Secondo me dopo Milano, l idea era quella di aprire in centri medi. E poi in un ottica di grande espansione, prima o poi Roma doveva arrivare. E stata una scelta intelligente quella di non misurarsi subito a Roma con Feltrinelli, Mondadori o Messaggerie, ma confrontarsi in un ambito di centro commerciale. Entro il 2009 la Fnac ha la prospettiva di 15 nuove aperture in tutta Italia, ne verrà aperta una in centro Roma. E una cosa ufficiale. Segnala uno scrittore esordiente, a tuo avviso interessante. Questa è una domanda difficile. Tra gli esordienti mi è molto piaciuto, e la considero anche molto brava, il libro di Veronica Raimo, Il dolore secondo Matteo. Tra i non esordienti, stiamo spingendo molto, come librai, Le benevole di Jonathan Littel, perché ci è piaciuto. Questo per tornare al discorso di prima: leggiamo e consigliamo. Consiglio anche Gli scomparsi, un libro che ha pubblicato Neri Pozza Bloom. Le benevole non è un opera semplice, perché è un po un Tolstoj del ventunesimo secolo, ma secondo me è davvero bello. Ai lettori veri lo consiglio come regalo di Natale. 6

7 Quando la libreria sposa la galleria Amedeo Bruccoleri è un veterano del mondo editoriale. Ha cambiato maglia diverse volte, sempre spinto dalla passione per i libri: Stampa Alternativa, Castelvecchi, dove ha lanciato autori di grande risonanza come Marco Lodoli, Aldo Nove e Isabella Santacroce, ufficio stampa di minimum fax, per citare solo alcune delle sue esperienze più significative. Adesso è passato all anello finale della catena del libro, intraprendendo, assieme alla moglie Irma, una nuova avventura, chiamata Libreria Capalunga. E per farlo ha scelto di tornare nella sua Sicilia, terra di magia e suggestioni. di Lorenzo Bianchi Fin dai primi minuti di chiacchierata con Amedeo, ho intuito subito che stavo parlando con un professionista dell editoria. Uno che conosce gli ingranaggi della macchina del libro ma che si mantiene umile a dispetto della notorietà degli autori che ha contribuito a lanciare con il suo lavoro. Quando ci si avvicina a un libro si dà un occhiata alla copertina, si legge il titolo, l autore, la casa editrice. Però dietro alla pubblicazione di un testo c è un lavoro sotterraneo, che non tutti conoscono: la correzione di bozze, l editor, il consulente, l ufficio stampa, il direttore editoriale. E poi i libri finiscono in libreria, il luogo di incontro con i lettori, il momento cruciale di un processo molto articolato. Adesso Amedeo è fuori dalla costruzione del libro, e si occupa di venderli, i libri, la sua passione di sempre. Amedeo, per te è cominciata l avventura Capalunga... Sì. Per me è una grande soddisfazione essere riuscito ad aprire una libreria ad Agrigento, dove praticamente uno spazio del genere mancava da anni. Questa città può vantare autori di altissimo spessore come Sciascia, Pirandello e, più recentemente, Camilleri. Io e mia moglie Irma, che ha una grande passione per la letteratura fantasy, abbiamo deciso di intraprendere quest avventura. Avevo voglia di condividere la passione per cultura con la mia terra. Tu hai una larga esperienza nel settore editoriale. Quali sono state le tue esperienze più importanti? Ho passato molti anni nell editoria, e ne ho visto veramente di tutti i colori. Sono stato a Stampa Alternativa, alla Castelvecchi, dove, come ufficio stampa, ho lanciato scrittori come Aldo Nove, Marco Lodoli, Isabella Santacroce. Sono stato alla Shake edizioni e poi alla Meltemi, dove ho avuto la fortuna di lavorare con Marco Della Lena, la persona più corretta che abbia conosciuto in editoria. Dal momento che conosci così bene questo settore, nessuno meglio di te può raccontarci lo stato attuale dell editoria. Personalmente ho lavorato in molte fasi del ciclo di vita di un libro: produzione, consulenza, ufficio stampa. I problemi dell editoria sono principalmente due: il primo è il monopolio della distribuzione, dove tre gruppi atrofizzano il mercato e sono Mondadori, Rcs e Messaggerie, che hanno bloccato i piccoli editori. Tre catene proprietarie di negozi e spazi che vendono quello che distribuiscono. Faccio un esempio: Federico Moccia. La Feltrinelli era investita dai suoi libri. É chiaro che poi vende. I libri di una piccola casa editrice che produce opere molto belle come Cavalli di Ferro non hanno le stesse possibilità, e meriterebbe più spazio. Il secondo è la progressiva scomparsa di consulenti editoriali di spessore. Adesso non si va in libreria puntando sulla qualità di un prodotto, ma facendo un ragionamento legato al marketing. Prima si faceva un piano strategico editoriale, adesso si pensa a una strategia mediatica vincente. Una su tutte: gli infiniti libri che sono stati scritti sulla vicende di Anna Maria Franzoni. Se pensiamo che prima a fare il consulente editoriale c era un certo Italo Calvino... questo dà la dimensione di come le cose siano cambiate. Il lato meno amaro, forse, è che i piccoli editori sono costretti a puntare tutto sulle idee... Le case editrici cosiddette minori puntano ovviamente sulla qualità e le intuizioni, come ha fatto Fanucci, la prima minimux fax, la stessa Cavallo di Ferro. Solo che in molti casi non è facile trovare i piccoli editori 7

8 che producono opere di qualità. Poi spesso si affidano ad agenti che si imparano a memoria quattro nozioni il giorno prima. Ma un libraio competente se ne accorge subito. Parliamo della tua libreria. Capalunga è uno spazio di 90 metri quadri, dove lavoro con mia moglie e Luca, il nostro collaboratore, anche lui accanitissimo lettore. Abbiamo scelto di esporre i libri fronte-vista. Il 30% è dedicato ai libri commerciali, il 70% ai piccoli editori. E la tua clientela? É molto trasversale: ci sono diversi ragazzi dai 15 ai 25 anni che leggono e vengono nella mia libreria. É una fascia che si fa molto guidare dalle classifiche: ad esempio ho venduto moltissimo i libri di Federico Moccia. Poi c è la clientela tra i 30 e i 40 che, invece, è molto colta. Sono lettori attenti e acquistano autori come Calvino, Bukowski, Orwell, McEwan. Spesso quindi si parte dai testi cosiddetti commerciali per poi evolversi e scoprire autori più colti. Prima hai parlato delle grandi catene editoriali che soffocano i piccoli editori. Lo stesso accade per le librerie? Più o meno le dinamiche sono le medesime. Tuttavia da due anni a questa parte c è il ritorno della piccola libreria. In queste ultime c è un rapporto più culturale tra cliente e libraio. Nelle grandi librerie invece c è il rischio di perdersi tra i volumi, spesso accatastati negli spazi espositivi. Raccontaci com è la professione del libraio, attualmente. Innanzitutto c è una grande influenza della tecnologia. Adesso grazie ad internet è possibile aggiornarsi con più facilità. Il problema tuttavia è nell iperproduttività del settore editoriale italiano: in poche parole, nel nostro paese si produce un numero di libri altissimo ed è impossibile stare dietro a tutto. Se sei un lettore molto forte, puoi leggere al massimo 200 libri all anno e visto che in Italia ci sono editori... Il bello è che siamo la nazione europea che produce più libri, ma siamo anche penultimi in quanto a libri letti ogni anno. È un paradosso. Noi come librai siamo costretti a mediare: dobbiamo prendere quei libri che ci assicurano la sopravvivenza e selezionare altri libri in mezzo alle migliaia di testi che vengono pubblicati. La questione è che oggi è molto semplice fondare una casa editrice in Italia. Ma non dovrebbe essere così in quanto il mestiere dell editore è difficilissimo e ci vuole una grande preparazione. Secondo me sarebbe necessario che i piani alti della politica istituissero una commissione di controllo sulla nascita di nuovi editori, che possa monitorare meglio il settore. E il rapporto tra scrittore ed editore? Quando si decide di pubblicare un libro, sono principalmente tre le parti interessate: editore, editor, scrittore. Nella prima fase quando l editor è il tramite tra le restanti parti e il tutto è controbilanciato. Questa è la fase migliore, perché le parti collaborano, si possono instaurare ottimi rapporti. Quando il prodotto è pronto, progressivamente, l autore si stacca dall editor e comincia a dialogare direttamente con l editore, e quest ultimo fa lo stesso. E si crea un rapporto, la maggior parte delle volte conflittuale. Se prima si decide una strategia comune, a tre voci, poi tutto cambia, l editor viene messo da parte e viene delegittimato del suo ruolo. Non sei tanto tenero nei confronti del mondo editoriale... Sinceramente le cose vanno di male in peggio ed è un mondo in cui non c è riconoscenza. Quest ultima viene scavalcata dall ipocrisia. 8

9 Suggestioni londinesi 84 Charing Cross Road nasce come libro e in seguito diventa anche un film. Narra la magia delle librerie in cui le storie di carta e inchiostro si mescolano alle vicende umane dei protagonisti. Perché un libro è un po come un essere umano: pulsa di vita propria. E certe atmosfere, forse oggi in pericolo, non smettono mai di ricordarcelo. di Kusanagi I luoghi alle volte sono qualcosa di più della loro semplice collocazione spaziale, alle volte rappresentano molto di più di un semplice punto nella cartina geografica. Ci sono luoghi che sono per noi emozioni, luoghi che sono schegge di memoria, che non riusciamo a considerare nella loro nuda oggettività, perchè per noi significano qualcosa, perchè ad essi è legata un esperienza di vita che ci portiamo sempre con noi. Per chiunque sia appassionato di lettura, o anche solo per chi almeno una volta nella vita si è trovato catapultato dalla realtà vera, quella che possiamo toccare con mano, alla realtà sognata ed immaginata che le pagine degli autori ispirati sanno creare attorno a noi, ecco, per tutte queste persone una libreria altro non è che un portale, un crocevia di mondi, una finestra aperta sull immaginazione e sulla conoscenza. Immaginate cosa può voler dire quindi trovarsi per davvero a percorrere una strada che di tali magici accessi sia piena, e che traspiri non puramente commercio, ma un autentico amore per la pagina scritta, sia che essa sia nuova, consumata dal tempo o gelosamente custodita per divenire testimonianza del passato e memoria storica per i popoli e gli avvenimenti che vi sono narrati. Ed è proprio così che vi capiterebbe di sentirvi se vi trovaste un giorno a Londra, svoltando a destra da Oxford Street in St Giles Circus, e iniziaste a percorrere Charing Cross Road. Questa celeberrima strada è infatti la sede di alcune tra le più famose librerie delle capitale britannica, tra cui certamente spicca Foyles,,che coi suoi tre piani colmi di libri, i suoi divanetti e le sue sale di presentazione è senz altro una delle istituzioni londinesi, e di librerie a tema come ad esempio Murder One, in cui si possono trovare scaffali pieni di libri gialli e thriller, o Zwemmer Russian Bookshop, specializzato in libri in russo o comunque in inglese sulla cultura russa, oppure ancora Sportspages, che come si intuisce dal nome ha solo pubblicazioni sullo sport, in particolare calcio e cricket, sport nazionali inglesi, ma estesa ad ogni genere di attività sportiva coi libri d importazione statunitense, su baseball, football, hockey e basket. E poi ci sono le librerie che vendono libri di seconda mano, che costituiscono in un certo senso il cuore pulsante della strada, dove si può andare per trovare un occasione, ma in cui si respira soprattutto l amore per i libri, la comune passione per i mondi possibili creati dalla parola scritta, che persone di diverse culture e nazionalità, vendendo e comprando pagine consumate e lette da altri, contribuiscono a diffondere e condividere, compagni in uno stesso viaggio. sognatori dello stesso sogno. Proprio da una di queste librerie, che ora non esiste più, nasce una storia che ci parla non solo di passione per i libri, in particolare per quelli usati, vissuti e conosciuti da altri, ma anche di amicizia, di fratellanza e di profonda umanità. Una storia che ha percorso un lungo cammino, essendo nata dapprima nella realtà come uno scambio epistolare, e che via via si è trasformata prima in un libro, quindi in commedia teatrale, per diventare infine un film. Nel 1987 infatti uscì la pellicola 84 Charing Cross Road, interpretata da due attori ricchi di talento come Anne Bancroft, già affermata per le sue interpretazioni di Il laureato e di Anna dei Miracoli (che le valse un Oscar), e Anthony Hopkins, che ancora doveva raggiungere la fama internazionale che gli avrebbe re- 9

10 galato il personaggio di Hannibal Lecter. Nel libro da cui il film è tratto si narra la vera storia del carteggio intercorso dal 1949 al 1969 tra Helene Hanff, residente a New York City, e Frank Doel, libraio della Marks & CO., una libreria antiquaria situata proprio all indirizzo londinese del titolo, un luogo che la scrittrice stessa descrive come la più adorabile delle librerie, che sembra essere uscita direttamente dalle pagine di Dickens con scaffali che sembrano non finire mai, e vanno su fino al soffitto, antichi e grigi per la polvere assorbita negli anni. Probabilmente, rispondendo nel lontano 1949 ad un annuncio posto da una libreria londinese su una rivista letteraria locale, alla ricerca di edizioni non disponibili sul mercato statunitense, la lettrice newyorkese Helene Hanff non avrebbe mai immaginato di esser in procinto di cominciare un avventura umana e letteraria che l avrebbe coinvolta per i successivi vent anni, portandola a condividere gioie e dolori della vita di tutti i giorni, oltre a quell amore per la pagina scritta che era stato il motivo principale della nascita del rapporto, che da puramente commerciale divenne pian piano confronto di culture, e scambio di opinioni sincero e appassionato. Come ogni rapporto nato su un interesse comune, l amicizia tra la lettrice e il libraio si sviluppa inizialmente sulla base di un semplice rapporto commerciale, ma ben presto, grazie sia alla disponibilità e generosità dell uno che all intraprendenza mista a sfacciataggine dell altra, si passa ad un amichevole scambio di favori, che si concretizza con la spedizione di pacchi contenenti beni alimentari da parte dell amica americana ai corrispondenti londinesi, sottoposti ad una duro razionamento nel periodo post-bellico per via delle carenza di cibo. Dallo scambio di sensazioni e di beni tangibili, la relazione tra la newyorkese e gli amici di penna londinesi si arricchisce man mano che passano gli anni, riflettendo gli avvenimenti della storia, come ad esempio l improvvisa morte del re, o l incoronazione della regina Elisabetta II vissuta da Helene solo per radio, e amplificata dalle sensazioni di prima mano degli amici anglosassoni. Lo spirito americano della Hanff, pragmatico e spiccio, si scontra e si incontra con la classica aplomb inglese di Doel, e in questo i due attori che portano sul grande schermo sono perfetti per i loro ruoli, da un lato la Bancroft con la sua energia e la schiettezza di donna intelligente e appassionata e dall altro Hopkins, con la calma, il contegno e la freddezza solo apparente del gentleman inglese. Differenze che si rispecchiamo anche nel comune amore per i libri, visto che all entusiasmo quasi fanciullesco dell americana nel trovarsi tra le mani un edizione impreziosita da una copertina particolare e pagini finissime, corrisponde una reazione alquanto composta del suo corrispondente inglese, che poco lascia trapelare delle sue emozioni. Il libro è arrivato sano e salvo, lo Stevenson è così bello che quasi imbarazza la mia povera libreria, sono quasi intimorita a maneggiare una cosi morbida copertina e le pesanti pagine ingiallite. Abituata alle fredde pagine bianche e alle rigide copertine cartonate dei libri statunitensi, non avrei mai immaginato che un libro potesse essere una tale gioia al tatto. Ad un certo punto quasi casualmente c è tra i due una conversazione densa di significato, sulla diversa concezione di quello che un libro può o deve essere, e sul fatto che un libro passato attraverso più mani, benchè di minor valore, acquisti un qualcosa in più proprio per il fatto di esser appartenuto a più persone, e al fatto che ogni persona abbia lasciato un segno tangibile del suo passaggio, con una dedica, o una nota a margine di un passaggio significativo. Amo i libri usati che si aprono alla pagina che un qualche proprietario precedente ha letto più spesso. Il giorno che lo Hazlitt arrivò tra le mie mani e si aprì sulla frase Odio leggere libri nuovi, nel silenzio della mia stanza subito esclamai ad alta voce Compagno! a chiunque l avesse aperto prima di me. Amo le dediche e le note a margine, mi piace il senso di complicità che sprigiona dal voltare pagine che qualcun altro ha già girato prima di me, e leggere passaggi sottolineati su cui qualcun altro chissà quando ha richiamato la mia attenzione. 10

11 Il pensare al libro come ad un oggetto vivente, che superi i costrittivi limiti della sua mera fisicità, fatta di carta, inchiostro e rilegatura, e che acquisti un significato diverso da quel che mostra la sua apparenza, è uno dei concetti più interessanti e profondi che traspare dalle pagine della Hanff, così come il ruolo del libraio non come semplice rivenditore di merce, ma come custode di tale tesoro. Se il libraio diviene così una sorta di guida spirituale, la libreria non può essere solo una semplice rivendita di libri, usati o nuovi che siano: essa diventa un luogo dove i libri sono raccolti per esser sottoposti alla nostra attenzione, dove nel silenzio e nella tranquillità si possa creare quel particolare legame tra noi e le storie che raccontano, un non luogo dove perdere il nostro tempo, e poterci immergere in un mondo interiore, dove lasciarci incantare. Perchè una libreria non è un negozio qualsiasi, è lo spazio che più si avvicina ad una rivendita di sogni. Ciò che non puoi essere, vuoi per indole, per nascita o per estrazione sociale, puoi diventarlo anche solo per poche ore semplicemente vagando per i sentieri creati dagli scaffali. Ad ogni svolta puoi fare un nuovo incontro, e ti permette sia di imparare che di sognare, decidendo volta per volta cosa vuoi essere e dove vuoi andare. Ti consente di esplorare la realtà oppure di evadere completamente da essa. Si potrebbe dire in un certo senso che e l esperienza che più si avvicina all assunzione di droghe senza però averne le controindicazioni. E se hai già provato una volta quell esperienza, quel brivido, sai che quando entrerai in una libreria rimarrai nuovamente rapito, che non saprai verso quale scaffale dirigerti perchè ce ne saranno troppi a tentarti, ognuno col suo carico di doni. Ed è proprio questa la sensazione che si può toccare con mano passeggiando in Charing Cross Road ed entrando da Foyles o da Books Etc, o da Murder One, locali che rispecchiano una concezione tutta anglosassone di quel che significa essere una libreria. Un concetto purtroppo ben diverso da come siamo abituati generalmente a considerarla qui in Italia, dove invece la si potrebbe paragonare ad un enorme edicola, dove fermarsi appena il tempo dell acquisto di un prodotto, e non per cominciare un rapporto intimo con qualcosa di vivo e pulsante. Perciò se vi capiterà di passare per Londra, e amate i libri e ciò che significano, non mancate di fare un passaggio lungo Charing Cross Road: dove un tempo c era la libreria Marks & Co, troverete ora una targa in memoria del luogo in cui nacque una particolare ed unica amicizia consegnata, attraverso le pagine di un libro, alla memoria collettiva di tutti i lettori del mondo, una comunità che troverà sempre un posto amico in cui rifugiarsi fintanto che esisterà una libreria. 11

12 Professione libraio. Conversazione con Lorenza Barnabei, diplomanda alla Scuola per librai di Orvieto Sta per concludersi il primo Corso di alta formazione in gestione della libreria inaugurato lo scorso anno a Orvieto: a dicembre verranno consegnati i diplomi di quella che è, a tutti gli effetti, la prima Scuola per librai nel nostro paese. Nato per iniziativa dell ALI (Associazione Librai Italiani), il Corso è stato applaudito dalle grandi catene e dalle piccole librerie, da anni in attesa che si colmasse il vuoto formativo sulla professione più affascinante e ambita del mondo editoriale. Per chi fosse interessato (il bando per la selezione e per il secondo Corso scade il 15 gennaio 2008), facciamo il punto della situazione con Lorenza Barnabei, che l anno scorso ha superato l esame di ammissione e ha frequentato il Corso di Nadia Terranova Ciao Lorenza. Allora, per iniziare perché non ci racconti la giornata tipo di una corsista? Le lezioni, che si svolgono una settimana al mese (dal lunedì al venerdì) nella splendida cornice di Orvieto, nel Centro Studi che sorge proprio davanti al duomo, iniziano alle 9 e terminano alle 17, con una pausa pranzo tra le 13 e le 14 che passiamo a rifocillarci al ristorante-mensa San Francesco, con un pranzo gentilmente offerto dalla Scuola. Le lezioni sono fittissime, a volte non riusciamo nemmeno a strappare la pausa caffè delle 11 e delle 15:30. Ma, nella maggior parte dei casi, le ore scorrono velocemente, tra testimonianze di librai e di personaggi del mondo della cultura e dell editoria, spiegazioni pratiche su come si fa una resa, particolari tecnici sull allestimento o sulla rotazione del monte merci. Meno veloci sono le ore dedicate alla gestione economica della libreria, per noi studenti che proveniamo per lo più da studi umanistici. Si torna a casa sempre stanchi: io parto la mattina da Terni alle 7:30 e rientro alle 19:30. Chi proviene da fuori regione per lo più si ferma a Orvieto e (qualche volta mi sono fermata anch io a Orvieto e posso testimoniarlo!) vive una vita da studente, anche se ormai siamo tutti grandi e laureati. Ci si incontra la sera a cena o dopo cena e si parla molto di libri, ancor più di librerie e, ultimamente, del nostro futuro che continua a spaventarci nonostante la certezza di una passione. Come giudichi finora l esperienza della Scuola per librai? Il bilancio complessivo è senza dubbio positivo. Imparare un mestiere è una cosa che arriva con anni di esperienza, ma di certo a livello teorico le basi sono state gettate, e incrementate da due cicli di 9 settimane ognuno di stage in libreria. Per ora le prospettive sono legate al lavoro nelle catene, tranne alcuni casi di lavoro già iniziato nelle indipendenti (due colleghe già lavorano in una libreria indipendente). Ma alcuni di noi pensano seriamente all apertura di una libreria, e gli stimoli della settimana che passiamo ogni mese in aula non fanno che alimentare la nostra intenzione, sebbene siano spesso gli stessi librai a scoraggiarci enumerando fatiche e delusioni (soprattutto economiche) di questo mestiere. Una cosa molto positiva per il nostro apprendimento è proprio la scelta di intervallare gli stage con ore di aula, per non farci perdere gli stimoli che ci arrivano dalle lezioni e anche per permetterci di confrontarci continuamente tra di noi. Che rapporto si è stabilito tra i corsisti? La classe che ho trovato a Orvieto è stata una delle più belle sorprese del corso. Nella mia vita ho frequentato diversi corsi, ma qui soltanto ho trovato un gruppo degno di definirsi tale. Sarà perché siamo già tutti adulti, con esperienze varie, alcune davvero molto interessanti, sarà quel clima da Scuola superiore alimentato anche dalle gite per fiere e manifestazioni, fatto sta che a pochi giorni dalla fine del corso tutti si percepisce chiaramente fatichiamo ad abituarci all idea che forse non ci rivedremo. Durante gli stage, quali differenze hai riscontato tra piccole e grandi librerie? La mia esperienza è un po diversa da tutti i miei colleghi di corso, visto che ho svolto i miei due stage in due librerie molto simili, pur essendo una indipendente e una di catena: la Melbookstore di Roma e la nuova Feltrinelli aperta a settembre a Perugia. In entrambe, le procedure pratiche di lavoro sono molto 12

13 più standardizzate e parcellizzate rispetto al lavoro del libraio come ce lo hanno insegnato. Nelle piccole librerie è il libraio che fa tutto: ordina i libri ai fornitori, riceve i colli, spunta le bolle, spacchetta i libri, li carica sul computer, li mette a scaffale, li vende, sta in cassa, tiene la contabilità, fa le rese e in più spolvera, fa le vetrine, riceve i promotori, e se ha tempo organizza letture ed eventi. Nelle catene, o comunque nelle grandi librerie, per esigenze legate alle dimensioni e ai quantitativi esageratamente maggiori di libri ordinati, il direttore dispone il lavoro della giornata e lo suddivide tra i librai, ma c è in più la figura del magazziniere che fa gran parte del lavoro di ricezione, carico, preparazione delle rese, oltre a quella dell amministrativo che si occupa di contabilità. Neanch io immaginavo quanto fosse vario e impegnativo il mestiere del libraio, che costringe chiunque, anche un perfezionista e stakanovista, a delegare. Nelle catene questa delega avviene in modo sistematico, organizzato: ognuno ha il suo compito e, per raggiungere determinati standard e un certo fatturato, ognuno deve svolgere quel compito nel modo migliore e insieme più veloce possibile. È inutile dire che chi, come noi, sogna di fare il libraio, ha in mente la figura più romantica del libraio, quello che sta in libreria come se stesse a casa propria e con la stessa familiarità accoglie i clienti a cui dà consigli preziosi e personalizzati. In nessuna delle mie due esperienze ho visto nulla di tutto ciò, ma comunque ho imparato i ritmi e le priorità che questo lavoro impone e, nonostante i pregiudizi iniziali, ho incontrato librai veri, preparati e disponibili. Altri, confesso, molto meno. La Scuola prevede anche delle gite nelle principali fiere editoriali d Italia e del mondo. Come sono state queste esperienze? Le visite alle fiere nazionali e internazionali, nonostante le raccomandazioni dei docenti che ci stimolavano a non prenderle solo come viaggi di piacere, sono state per noi delle vere e proprie gite scolastiche, ancora più belle perché eravamo davvero interessati alle mete e perché venivamo lasciati liberi di muoverci come meglio credevamo. I viaggi hanno avuto inizio ad aprile con la Fiera dell editoria per ragazzi di Bologna, per proseguire a maggio con il Salone del Libro di Torino, a settembre con il FestivalLetteratura di Mantova e a ottobre con la Buchmesse di Francoforte. A Roma, infine, all interno della manifestazione PiùLibriPiùLiberi, l 8 dicembre ci verranno consegnati i diplomi, dopo l esame finale, che si svolgerà in due giorni, il 6 e il 7, e consisterà nella redazione (a cui tutti, divisi in nove gruppi, stiamo lavorando da due mesi) del progetto della nostra libreria, con tanto di analisi di mercato, pianta del locale, scelta del layout e redazione del budget (la nota dolente!). Lorenza, in bocca al lupo per i tuoi progetti. Conoscendoti, non ho dubbi che sarai una libraia entusiasta ed entusiasmante. C è un consiglio che vuoi dare a chi tenterà di accedere al Corso 2008? Ancora non mi sento in grado di dare consigli ai miei successori. Ma una cosa voglio dirla: preparatevi a un anno piuttosto duro, che vi assorbirà completamente. Armatevi di tanta passione e anche di una buona dose di pazienza e, se avete un idea, e magari anche un locale, dopo la Scuola provate ad aprire la libreria dei vostri sogni. Io non ho ancora deciso quando, ma prima o poi lo farò. Per info: 13

14 Il libro val bene un caffè A Firenze gli appassionati di letteratura si incontrano alle Giubbe rosse, lo storico caffè che nel 900 ha radunato i più importanti movimenti italiani (fra cui il futurismo). Qui Massimo Mori dirige - con felice intuizione - una serie di incontri che avvicinano il mondo di chi scrive al mondo di chi legge. Ne abbiamo parlato con lui... di Briciolanellatte Da molti anni Massimo Mori è, tra l altro, direttore degli Incontri Letterari alle Giubbe Rosse a Firenze, forse il più famoso tra i Caffè storico-letterari italiani (è stato il Caffè dei futuristi, degli ermetici e di tutte le più importanti tendenze del 900). Mori è un uomo poliedrico e polivalente, un artista che si mette continuamente in gioco sperimentando di arte, ma è anche un sensibile e arguto poeta oltre a un maestro sapiente nell antica pratica del Tai Chi Chuan. Ho avuto modo di avvicinarlo accostandomi a quest ultima disciplina, ma ogni volta che ho creduto di poterlo conoscere bene mi sono prima o poi piacevolmente meravigliato nello scoprire che c era dell altro nella sua umanità, qualcosa di più profondo e avvol-gente di cui non mi ero accorto. Mi ha fatto quindi un enorme piacere poterlo intervistare per la rivista, chiedendogli, come osservatore privilegiato all interno del Caffè alle Giubbe Rosse a Firenze, la sua opinione sul suo molteplice impegno e sui fermenti letterari fiorentini Come è nata l idea di una collaborazione con il Caffè storico delle Giubbe Rosse in Firenze? Nell 84 con alcuni amici poeti fondammo OTTOVOLANTE, circuito di produzione di poesia. Le attività di quel movimento durarono circa otto anni raggiungendo, con un considerevole numero d iniziative, un livello internazionale. Le vicende di quell esperienza e le sue motivazioni sono raccontate in forma storicocritica nel libro Il circuito della poesia che ho pubblicato con l editore Manni nel 97, ed un archiviazione completa dei documenti è conservata alla Biblioteca Nazionale Centrale. Tra le iniziative che realizzammo vi furono gli Incontri Letterari alle Giubbe Rosse iniziati da Giancarlo Viviani e da me proseguiti, dopo la sua scomparsa nel 99, fino ad oggi. L intenzione era di recuperare nella storia del più famoso tra i Caffè storico-letterari italiani (il Caffè dei futuristi, degli ermetici e di tutte le più importanti tendenze del 900), gli incontri e gli scontri tra letterati ed artisti. All interno del Caffè ti sei ritagliato uno spazio ben definito. Qual è l idea di fondo in base alla quale selezioni gli incontri letterari? All interno del Caffè l attuale proprietà dei fratelli Smalzi iniziata nel 91, si è dimostrata, soprattutto nella persona di Fiorenzo, disponibile ed interessata alla promozione d una continuativa attività culturale. Così, formalmente, ho assunto da molti anni l incarico di direttore degli Incontri Letterari alle Giubbe Rosse. L impronta che fin dagli inizi abbiamo inteso dare a questa attività nell antico Caffè, è stata quella di volerne fare un porto franco della letteratura e dell arte. Questa intenzione è creativamente testimoniata in un opera di poesia visuale in rame e alluminio, incorniciata dietro il bancone del bar, che realizzai in quegli anni. Nel periodo del postmoderno e della contaminazione volevamo in tal modo non vincolare le iniziative a 14

15 specifiche linee di tendenza, ma riverberare invece, fatti salvi criteri di qualità, la pluralità delle voci a confronto. In anni più recenti diverse associazioni, gruppi, consorterie, hanno ritagliato un percorso autonomo di presentazione e proposizione, spesso vicendevolmente ignorandosi e rivendicando un primato nelle attività del locale. Ma non riconosciamo una prevalenza per garantire la pluralità. Mori, puoi parlarci del tuo concetto di poesia? Quanto il tuo particolare sentire la poetica influisce sull attività di collaborazione col Caffè? Questa domanda mi consente di completare il profilo del mio ruolo. Se il locale è aperto alla pluralità delle correnti, dei generi e delle linee di tendenza, è chiaro tuttavia che io stesso abbia operato delle scelte e praticato la poetica che più mi convince e mi forma. In questa direzione solo gli avvenimenti che compaiono con la dizione Incontri Letterari alle Giubbe Rosse a cura di Massimo Mori sono sotto la mia diretta scelta critica e responsabilità e corrispondenti quindi alle mie scelte di poetica. Tra questi avvenimenti, che cerco di contenere in non più di due al mese perché è deleterio l affastellarsi velleitario di miriadi di presentazioni che vengono ormai organizzate in qualunque locale, emerge per rilevanza internazionale il festival di poesia in azione A +Voci che sarà, il prossimo marzo, alla decima edizione. La mia visione e formazione è quella che si rifà al concetto di poesia totale che, con ascendenti anche più lontani nel tempo, può essere ricondotta ai poeti Adriano Spatola, Corrado Costa, Amelia Rosselli, Antonio Porta, Eugenio Miccini ed altri contemporanei che non sono più tra noi. Dagli anni giovanili, più rivolti alla cosiddetta poesia lineare, il mio percorso si è poi svolto nei territori della poesia visiva, dell attività performativa, della poesia in azione, della poesia sonora, della videopoesia ecc.. Con queste attività ho avuto l opportunità di partecipare a molte tra le più importanti manifestazioni internazionali, recentemente a Marsiglia e prossimamente in Spagna. Oltre che poeta e artista polivalente sei anche Maestro dell antica pratica del Tai Chi. Come riesci a coniugare arte e pratica che sembrano concetti così distanti tra loro? La poesia totale che nei nostri giorni si rende manifesta nell intermedialità e, dal punto di vista teorico, nella tradizione del nuovo analizzata da Anceschi, ha tra le sue finalità quella di mostrare come concetti apparentemente lontani hanno radici comuni. Superando l antica differenziazione schizofrenica tra le due culture o tra oriente e occidente la poesia totale è la visione olistica scientifica e creativa della visione del mondo, di un rapporto compatibile tra natura e cultura. Compatibilità che viene messa in crisi dai disastri compiuti dall insipienza umana. All inizio degli anni sessanta venni contemporaneamente in contatto con ambienti della poesia totale e della pratica del Tai Chi. Una combinazione fortunata e tutt altro che incompatibile; il Tai Chi è un grande poema gestuale. La pratica e soprattutto l insegnamento educativo del Tai Chi, nella declinazione dei suoi principi in qualunque attività umana, ha dato alla mia pratica poetica essenzialmente tre contributi determinanti. Il primo è riferibile al perfezionamento di un esecuzione ed esibizione performativa, il secondo ad una riduzione dell egocentrismo d ogni attività artistica rifuggendo le mitologie moderniste del successo e dell affermazione personale. Questa intervista è filtrata per la stima e la pratica scritturale e del Tai Chi dello stesso intervistatore. Il terzo è che troppo spesso le avanguardie di riferimento nella mia attività creativa, sono state vittime di un entropia che attraverso le ideologie o le vie di fuga nelle psicodelie, attraverso l alienazione o facili suggestioni, sono frequentemente finite nella dispersione e nella dissipazione fino all auto annullamento. Per tornare alla domanda, cerco di praticare l arte e di rendere la pratica artistica. La critica si è espressa più volte a proposito del mio lavoro creativo e gli ambienti del Tai Chi conoscono invece le caratteristiche del mio insegnamento; tengo accuratamente separate queste due attività perché entrambe devono avere una loro indipendente credibilità ma la radice (e l obiettivo) sono comuni. Nella storia del 900 è conosciuta la vita del maestro di Tai Chi Chen Man Ching che era anche poeta, pittore, medico, calligrafo, così come nota la storia del grande artista Yves Klein che era un noto maestro di Judo. E ancora difficile rendere manifesta questa continuità, è un lavoro lungo, delicato e dedicato, lento e difficile, ma chi la coglie ha una visione superiore. 15

16 I circoli culturali una volta erano molto attivi, pensiamo ai famosi Caffè parigini. E poi c erano le librerie, con i loro salotti. E oggi? Che succede? Molte cose sono cambiate e volere riproporre i salotti culturali e il clima di quei famosi Caffè sarebbe, oltre che perdente, culturalmente sbagliato. E cambiata la comunicazione ed i suoi mezzi. E l agorà telematico interattivo che oggi convoglia i confronti e gli scontri. Non a caso il sindacato nazionale scrittori ha scelto come proprio luogo la rivista in rete Le reti di dedalus ed è nel blog che si incontrano le varie esperienze. Le librerie si sono trasformate in grandi magazzini dell editoria di consumo. Allora perché reiterare gli incontri in uno storico Caffè? Questi incontri non rappresentano più una frequentazione quotidiana del locale da parte degli intellettuali, ma costituiscono l opportunità periodica, fuori dal clamore dei media, di una verifica esperienziale diretta con l autore dove le sue caratteristiche antropologiche si rivelano specchio e matrice delle opere prodotte. La continuazione di queste attività è anche il ribadire nella storia, che non è finita anche se tende a ripetersi in diverse forme, l intenzione di resistere con la creatività della poesia e dell arte ad ogni tentativo di omologazione coatta o indotta, di resistere al trend dei sistemi della moda. 16

17 Parole in viaggio La Libreria del Viaggiatore nasce a Roma dalle chiacchiere di tre amici. E diventa una realtà. Un luogo accogliente dove si respira un atmosfera intima e si trovano testi di ogni tipo per viaggiatori reali o immaginari. Insieme agli autori più noti- Chatwin e Terzani, per citarne due - è possibile scovare anche insolite chicche narrative. Abbiamo intervistato Bruno Foschin, uno dei fondatori... di Ettore Luttazi A Roma al civico 78 di via del Pellegrino, a pochi passi da Campo de fiori e Piazza Navona, c è la Libreria del Viaggiatore. Un piccolo ambiente in cui oltre titoli, dedicati al viaggio in tutte le sue forme, sono disposti negli scaffali in legno e in vecchie valigie di pelle. Un luogo caldo e accogliente dove il libro non è solo un insieme di pagine stampate, ma un vero e proprio mezzo per intraprendere viaggi reali o immaginari. Basta spulciare negli scaffali, tracciare la propria rotta ideale sui mappamondi o sulle carte geografiche che rivestono le pareti e partire con la fantasia. Bruno Boschin, uno dei due gestori, ci ha raccontato la storia della libreria dalla sua nascita ad oggi. Quando e come è nata la Libreria del viaggiatore? La libreria è nata nel 1991 dalle chiacchiere di tre amici. Prima di aprirla ci sono state tante parole fino a quando, dopo un lungo discutere sul nostro modello ideale di libreria di viaggio, abbiamo capito che il nostro sogno era creare un luogo in cui il libro fosse un mezzo, un veicolo, uno strumento concreto per viaggiare. Dalle parole siamo passati ai fatti. Abbiamo cominciato selezionando i titoli partendo dai classici di avventura con le opere di Salgari, Verne o Conrad fino agli autori più recenti, poi siamo passati ai libri di storia, di fotografia, alle guide e alle carte geografiche, alle mappe di ogni tipo di cui da noi potete trovare un vasto assortimento. Con il tempo uno dei tre soci ha lasciato questa avventura per viaggiare davvero e qui siamo rimasti io e mio fratello Marco. La sede della Libreria è stata sempre questa, e devo ammettere che è una collocazione ottima perché si inserisce perfettamente nel percorso di una tipica passeggiata romana. Volevamo una posizione centrale, ma a via del Pellegrino siamo arrivati per caso e oggi mi rendo conto che non esisteva posto migliore. Chi è il cliente tipo della Libreria del viaggiatore? In realtà non esiste un cliente tipo. La nostra clientela è assolutamente eterogenea. Ci sono persone giovani e anziane, di diverse formazioni culturali, tutte accomunate dalla passione per i viaggi, ma non per forza veri viaggiatori. C è un alta percentuale di stranieri, non tanto turisti di passaggio quanto quelli che vengono a Roma e ci restano per lunghi periodi magari per motivi di studio o di lavoro. Per questo abbiamo anche un ampia selezione di testi in lingua inglese e francese. La cosa particolare è che qui si arriva con il passaparola perché noi non facciamo molta pubblicità, diciamo che sono i clienti stessi a farci pubblicità con la loro esperienza diretta. Come si difende una libreria piccola e specializzata dal dilagare continuo dei grandi megastore in cui si trova di tutto? C è una differenza fondamentale tra noi e le grandi librerie. Quelle sono vere e proprie catene commerciali che rispondono a meccanismi di tipo imprenditoriale, noi lavoriamo con altri numeri ci rivolgiamo ad un pubblico più ristretto. Io dico sempre che le grandi librerie sono come delle industrie in cui il personale svolge delle mansioni predefinite, il modello della nostra libreria invece è più vicino all artigianato. Nel libraio è molto forte la componente umana che si perde negli addetti alla vendita dei grandi bookstore. 17

18 Non voglio fare il poeta, anche noi siamo imprenditori e facciamo i conti con i numeri, ma la componente umana è ancora molto forte ed è un elemento importante di questo modello ideale di libreria. La persona che acquista un libro da noi torna sempre perché non è solo un cliente tra i tanti, ma diventa un amico. Quali sono state le richieste più particolari che avete ricevuto? Ha qualche aneddoto da raccontarci che ha avuto come teatro la vostra libreria? Di aneddoti ce ne sono tantissimi anche se ora non me ne viene in mente nessuno in particolare. Capita spesso che ci richiedano dei testi molto particolari, non so magari di uno sperduto villaggio danese di cui anche in Danimarca stenti a trovare notizia. Per fare un esempio è come andare a Copenaghen e chiedere un libro su Sermoneta! Poi ci sono i clienti abituali, i viaggiatori per eccellenza che tornano e raccontano le loro avventure. Per esempio due vigili del fuoco di un reparto speciale che sono andati in pensione molto presto e ora non fanno altro che viaggiare e ogni volta che tornano passano qui a documentarsi per il viaggio successivo e a raccontare quello che hanno visto in giro per il mondo. Oppure due fratelli, entrambi biologi, che fanno esplorazioni nei fondali oceanici e rimangono fuori per molti mesi, si immergono con i sommergibili in luoghi sperduti e assolutamente affascinanti. O ancora un tipo che mi colpiva perché era un po l italiano medio, un po grigio, lo stereotipo dell impiegato statale, che mi raccontava della sua passione per New York perché è una città in cui puoi fare tutto quello che vuoi senza che nessuno ti dica nulla e lui per provare questa sua convinzione un giorno era uscito per le strade della Grande Mela con l asciugamano dell albergo in testa a mo di turbante e nessuno si era voltato a guardarlo. Insomma ascoltando le persone si può vedere il mondo rimanendo fermi dietro il bancone. Quale è, se c è, il libro più richiesto? Ci sono titoli che si vendono molto bene, ma succede a volte che dei titoli che sarebbero al primo posto nella classifica delle vendite non si trovano. Penso a L odore dell India di Pier Paolo Pasolini, che credo rappresenti il massimo per una libreria come questa, da due anni è fuori commercio, nonostante le continue richieste, è fuori produzione e non so dirti perché. Ma è assurdo. Vendiamo moltissimo i libri di Marco Aime, un antropologo italiano molto preparato che scrive sull Africa, i suoi non sono libri da turista, ma è un autore molto letto. Un altro è Cesare Brandi. Poi c è tutta la letteratura dei vari Chatwin o Terzani che è scontato anche citare. Ma i librai della Libreria del viaggiatore quanto viaggiano? Poco, e per brevi periodi. Fisicamente intendo, perché pur restando fermi in questa piccola stanza siamo sempre in giro per il mondo. La ringraziamo per la sua disponibilità. La Libreria del Viaggiatore via del Pellegrino, 78 06/ libreriaviaggiatore@yahoo.it Aperta dalle 10 alle 14 e dalle 16 alle 20, chiusa la domenica e il lunedì mattina 18

19 Editori e librai La libreria Fanucci Quello di Fanucci è un nome noto nel mondo editoriale. La casa editrice pubblica con successo libri di qualità, che spaziano dal fantasy alle sperimentazioni narrative che raccolgono umori metropolitani. Oggi Fanucci è anche una libreria che, nel centro di Roma, trova uno spazio autonomo e resiste all assedio delle grandi catene. Abbiamo incontrato il responsabile, Romano Castellani. di Francesca Mordacchini Alfani La libreria Fanucci è aperta dal 2004 proprio nel centro di Roma, in piazza Madama; titoli distribuiti su circa 90 mq, uno spazio accogliente e molto gradevole. Essendo legata a un editore specializzato e ben identificabile che, come si legge nel catalogo, ha sviluppato e ampliato l iniziale orientamento in un concetto di letteratura dell immaginario (...) per giungere a un idea di romanzo in cui si sperimentano visioni, si prefigura il possibile viene subito da chiedersi se questo legame determini il cliente tipo e la filosofia della libreria. Ci risponde Romano Castellani, responsabile della libreria. R. Non necessariamente perché di fondo questa è una libreria generalista. Non si è voluto identificarla troppo, proprio per raggiungere varie tipologie di cliente. Bisogna tener conto anche della posizione, siamo vicini al Senato, con tutto l indotto, e nel centro di Roma quindi cerchiamo di coprire tutti gli argomenti possibili. Per questioni di spazio non possiamo allargare i settori, ma cerchiamo di mantenerli calibrati. È chiaro che chi conosce il catalogo della casa editrice è più portato a venire qui perché sa di trovare tanti libri Fanucci che in altre librerie non ci sono. La presenza di Fanucci è ovviamente importante, ma discreta. D. Come si pone la libreria nei confronti dei medi e piccoli editori? R. Cerchiamo di lavorare al meglio i piccoli editori, con un occhio di riguardo, ma senza nessuna forma di snobismo nei confronti dei grandi. Si sente dire spesso che le grandi case editrici non sanno fare i libri, non mi sento di poter appoggiare questa affermazione. È vero anche che i piccoli editori romani hanno portato sul mercato librario un po di movimento, costringendo i grandi editori a entrare nel loro stesso territorio di caccia. Tra l altro molti curatori delle piccole case editrici sono confluiti nelle grandi. Guardando il banco delle novità e sapendo scremare, da venti anni a questa parte, il livello dei libri è migliorato, o quanto meno non è peggiorato. D. Secondo il rapporto AIE 2007 sullo stato dell editoria riferito all anno precedente si è verificata una crescita delle vendite di libri nei supermercati, centri commerciali e librerie di catena. Viene da chiedersi se e quanto sia ancora importante la figura del libraio. R. Il libraio è fondamentale. Ma il libraio deve vendere i libri, non deve fare l intellettuale, deve mettere a proprio agio tutti quelli che entrano, indistintamente, senza pensare di saperne più degli altri. Si può apprendere molto dai clienti, perché su un determinato libro o argomento spesso il lettore è molto preparato. Il libraio è un tecnico, che deve sapersi muovere con facilità tra i cataloghi, attraverso gli strumenti informatici e che deve dare nel più breve tempo possibile risposte mirate alle richieste del cliente. In libreria si fa cultura, ma perché si vendono i libri. Il veicolo per fare cultura in libreria è principalmente questo. D. Quindi per poter sostenere la concorrenza dei grandi sistemi distributivi la professionalità e la preparazione del libraio fanno ancora la differenza? R. Il libraio deve gestire tra novità e ristampe circa titoli l anno, è fuori discussione che deve avere una certa dimestichezza con il mondo editoriale, deve leggere e tenersi informato attraverso i quotidiani, gli inserti culturali, le riviste specializzate le trasmissioni radiofoniche, cercare di avere più informazioni possibili per non essere preso alla sprovvista dalla richiesta del lettore. Bisogna amarlo questo mestiere, perché fatto professionalmente è un lavoro impegnativo. Se un libraio è bravo lo si vede dalla libreria, dove il lavoro è a vista. Mi spiego: oltre alla selezione dei titoli che è ovviamente il momento preliminare, è importante il modo di disporre i libri a scaffale selezionando quelli a cui dare maggiore rilievo. Poi, se c è una richiesta specifica o se il cliente non è abituato a entrare in libreria, il libraio deve apparire per 19

20 dare aiuto. Adesso è stata aperta la scuola dei librai a Orvieto ed è una buona iniziativa. Certo quando si parla di formazione, si tratta di investimenti, progetti e volontà politiche, ma questo è un primo importante passo. Mi piacerebbe si potesse arrivare a una scuola vera e propria come in Germania e in Francia, dove funziona e dura tre anni. D. Quali sono, secondo lei, i principali vizi delle librerie italiane? R. Il primo vizio è quello di non voler considerare la libreria un esercizio commerciale. Spesso il libraio è supponente e presuntuoso, e allontana la persona che si avvicina per la prima volta a una libreria. Ma è proprio lì che si fa battaglia, è quello il cliente da conquistare. C è poi ancora l idea molto lontana dalla realtà che aprire e gestire una libreria e qui torniamo al primo punto sia facile e che possa avere qualcosa di poetico. Non è così, bisogna conoscere i libri e qui torniamo al discorso sulla professionalità del libraio, sull aggiornamento. Ultima cosa, ma importante è il saper rischiare. Comprare un titolo perché come si dice fa libreria, perché rappresenta il lavoro di informazione e di ricerca che c è dietro la formazione dello scaffale. Un po come fanno i piccoli editori, bisogna avere, qualche volta, il coraggio di rischiare. 20

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