SDestino singolare, elezione comune. studio del mese. La Chiesa, Israele e le nazioni

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1 studio del mese La Chiesa, Israele e le nazioni SDestino singolare, elezione comune Sulla comprensione dei propri rapporti con Israele e dei rispettivi ruoli nella storia della salvezza, è come se la Chiesa fosse ancora all anno zero, nonostante la svolta decisiva avviata dal concilio Vaticano II e i gesti compiuti dai pontefici successivi a esso. Eppure si tratta di una questione che non riguarda il dialogo interreligioso, bensì il cuore stesso dell identità della Chiesa di Gesù, l idea che essa ha di se stessa, dell inculturazione della fede presso ogni uomo e la sua comprensione della salvezza. È solo partendo dalla Scrittura che le resistenze sinora manifestate dalla coscienza cristiana possono essere superate, e nello specifico dal «nodo teologico» della Lettera ai Romani di Paolo, un ebreo credente in Cristo, che nei capitoli dal 9 all 11 espone il «mistero» della sorte di Israele. «Questo riconoscimento del dono gratuito al quale Israele non cessa di invitare vieta qualsiasi chiusura dell ecclesiologia: la Chiesa è irriducibile nel suo mistero; la Chiesa viene da oltre se stessa». 126

2 Sicut locutus est ad patres nostros, Abraham et semini eius in saecula». Dal cantico del Magnificat alla Preghiera eucaristica I, dalla Liturgia delle ore all eucaristia, la liturgia cattolica orienta continuamente i nostri sguardi e i nostri cuori verso il popolo d Israele, dal quale noi abbiamo ricevuto tutto, perché da esso è uscito il Salvatore ed esso ce lo ha trasmesso. In questo contesto, l origine dell antisemitismo nella coscienza cristiana resta un interrogazione La sua storia e l analisi delle sue possibili radici sono oggetto di numerose ricerche: 1 la storia delle dolorose tensioni fra la Chiesa e la Sinagoga nei primi secoli a partire da quello che alcuni hanno chiamato lo scisma originario (Ur-schism); 2 la tendenza inerente all esegesi patristica e medievale a svalutare l Antico Testamento nonostante la sua valorizzazione della storia; 3 le deviazioni dell Oremus pro conversionem Iudeorum ecc. Ci si può interrogare su certe letture della Lettera ai Romani negli ultimi secoli, benché dottori come san Tommaso abbiano aperto la strada a un interpretazione equilibrata. Perché l immagine dell ulivo usata da Paolo e citata dalla Lumen gentium al n. 6 non ha avuto un maggiore impatto sull ecclesiologia? E cosa ancor più grave, perché la «messa da parte» dei «rami tagliati» ha potuto essere compresa come un rifiuto da parte di Dio della casa d Israele e una sua sostituzione con la Chiesa? Come si sono potute ignorare le parole stesse dell apostolo Paolo, vero israelita: «Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile!» (Rm 11,1); «Essi hanno l adozione a figli, la gloria, le alleanze» (Rm 9,4); i rami tagliati restano «amati secondo l elezione» (Rm 11,29), perché la parte d Israele che è inciampata su Gesù Cristo (cf. Rm 9,32) non ha inciampato per cadere (Rm 11,11)? «Non solo tra i giudei, ma anche tra i pagani» (Rm 9,24) «Allora tutto Israele sarà salvato» (Rm 11,26) «Di Sion si dirà: Ogni uomo vi è nato» (Sal 86,5) «Un uomo aveva due figli» (Lc 15,11) Indubbiamente il concilio Vaticano II segna una svolta decisiva, che non dovrebbe essere considerata una risposta contingente in seguito al dramma della Shoah che ha visto la compromissione di un numero eccessivo di cristiani, da una parte, e dall altra ha permesso anche esperienze di avvicinamento. 4 Si tratta di una riscoperta, se non di una scoperta, di ciò che è fin dalle origini al centro della fede cristiana. Il card. Walter Kasper commenta i documenti conciliari tutti sanno quanto la loro genesi sia stata difficile parlando di un nuovo inizio, «l inizio di un nuovo inizio». 5 Effettivamente il Concilio ha sbloccato una sorgente che c è di che stupirsi aveva quasi smesso di zampillare nella storia della Chiesa. Siamo appena all inizio della recezione del Concilio: certo, da una parte oggi molti esegeti e teologi sono al lavoro per precisare vari punti, cercando la strada fra le posizioni estreme; ma, dall altra, bisogna riconoscere umilmente le resistenze intraecclesiali. Personalmente faccio sempre più l esperienza di queste resistenze nei miei diversi incontri: dalla tentazione marcionita sempre rinascente nei paesi di prima evangelizzazione alle teologie ancora ampiamente tributarie della dottrina della sostituzione. Se non c è un «insegnamento del disprezzo» (Jules Isaac), c è almeno un indifferenza certa. Se c è un interesse per la tradizione del popolo d Israele, spesso è alimentato da una concezione «archeologica», poiché si considera Israele solo il testimone del passato e non un attore attuale sulla scena della storia della salvezza. D altra parte è sintomatico che le relazioni cristianoebraiche siano spesso considerate solo dal punto di vista del dialogo interreligioso (ad extra) cosa evidentemente lodevole e necessaria, ma più raramente dal punto di vista ecclesiologico (ad intra): quali pellegrini si stupiscono veramente di venerare, davanti alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, due portatori ebrei della promessa fatta a Israele? Ritornerò più avanti sulle ragioni più profonde di queste resistenze. In questo contesto di resistenze della coscienza cristiana e di un compito di elaborazione dottrinale ancora da assolvere lo testimonia la quasi totale assenza di riferimenti a testi della Tradizione nei documenti conciliari che trattano di questo è più che mai importante ritornare alla parola di Dio, che è un fondamento permanente e una fonte di rinnovamento della teologia: qui più che altrove lo studio della sacra Scrittura deve essere per la teologia come la sua anima. 6 In questo campo è decisiva una ricerca esegetica rigorosa sulle relazioni fra i due Testamenti e sui principali passi biblici dei rapporti fra Israele e le nazioni. Al riguardo, la sezione costituita dai capitoli 9-11 della Lettera ai Romani costituisce indubbiamente «un nodo teologico». Riguardo a quest ultimo corpus, oggetto di numerosi studi da alcuni decenni, appare la difficoltà di praticare un esegesi scientifica rigorosa non influenzata da precomprensioni. 127

3 Studio del mese Si tratta anche del mistero della Chiesa «Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l ostinazione di una parte d Israele è in atto fino a quando non saranno entrate tutte quante le genti. Allora tutto Israele sarà salvato» (Rm 11,25). Questo «mistero» della sorte d Israele che Paolo espone alla comunità cristiana di Roma, rivolgendosi in particolare ai cristiani provenienti dal paganesimo, è stato posto dal concilio Vaticano II in relazione con il mistero della Chiesa: «Scrutando il mistero della Chiesa, questo sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo (stirpe Abrahae)» (Nostra aetate, n. 4; EV 1/861). Conviene leggere questo passo della dichiarazione specialmente alla luce di Lumen gentium n Quindi un legame unisce il popolo del Nuovo Testamento con la «stirpe di Abramo». Nonostante la tentazione marcionita sempre rinascente, per ogni cristiano che apre le Scritture con il Cristo risorto (cf. Lc 24, ), c è un legame imperdibile che unisce la Chiesa a Israele, perché l origine della Chiesa è esclusivamente israelitica. Ma il riconoscimento di questa relazione di origine non basta, perché il legame che unisce la Chiesa alla «stirpe di Abramo» non riguarda solo il passato, le generazioni (toledot) che hanno condotto la storia di Abramo fino a Cristo (cf. genealogia in Mt 1), ma anche il presente e l avvenire, le generazioni fra la venuta di Cristo e la parusia: «Si tratta delle relazioni esistenti nel passato e nel presente fra la Chiesa e il popolo ebraico». 8 Questo legame è detto «spirituale» non perché sarebbe inconsistente o incoerente, ma proprio perché, iscritto nel disegno divino della salvezza, non è solo storico, bensì storico e spirituale al tempo stesso, indissolubilmente. Come dicevano i padri, «i`storika. pneumatikw/j» e «pneumatika. i`storikw/j»! 9 C è fra il popolo ebraico e la Chiesa di Cristo un legame «per così dire ontologicamente storico e tale da presiedere essenzialmente, oggi come al primo giorno e per l eternità, alla costituzione stessa della Chiesa». 10 In altri termini, e questa convinzione è rafforzata dalla lettura della Lettera ai Romani, la questione delle relazioni fra Israele e la Chiesa non è solo una questione di dialogo interreligioso quand anche si precisasse che la religione d Israele occupa un posto unico fra tutte le religioni non cristiane, ma è propriamente parlando una questione ecclesiologica, e occorre precisarlo, una questione ecclesiologica centrale. La Chiesa non può comprendere se stessa né dire in verità il suo mistero senza contemplare Israele, ieri, oggi e domani. Una cristologia che non lasci tutto il suo posto alla questione d Israele può essere solo mancante. Israele: un «popolo» singolare fra tutti i «popoli» Senza poter troppo sviluppare la riflessione in questa sede, vorrei semplicemente notare che molte ambiguità, se non errori, derivano da una mancanza di rigore nell utilizzazione implicitamente analogica di certi termini. Prenderò qui un esempio importante: il concetto di «popolo», che viene applicato a realtà diverse; così la Lumen gentium parla di «popolo d Israele», di Chiesa «popolo di Dio» e di «popoli». 11 Il primo significato ovvio del termine «popolo» indica le nazioni del mondo, intese come unità nazionali con delle caratteristiche fondamentali che sono lo stato, la lingua, la terra, la base etnica. Ora non si dice che il «popolo d Israele» è un «popolo», come si dice che le «nazioni» sono «popoli». Indubbiamente, nella sua storia ha avuto un esistenza analoga agli altri, ma dalla diaspora in poi la sua identità risulta di ordine unicamente religioso. E quest identità religiosa è singolare: Israele non comprende solo ebrei credenti ortodossi o liberali, ma anche persone che non hanno più la fede e persino degli atei. In realtà, la definizione del popolo ebraico trascende i criteri etnico-nazionali abituali: il popolo ebraico è una comunità indissolubilmente etnico-nazionale e religiosa, la cui unità non è costituita da nessuno dei caratteri che costituiscono l unità di una nazione o di una comunità di credenti. 12 «Ciò che costituisce l ebreo, nella sua essenza più misteriosa, ma più indelebile, sfuggendo a ogni determinazione della scienza, ma determinante tutta la sua realtà, è sempre l elezione originaria, perché i doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento» 13 (cf. Rm 9,4-5; 11,29): essi sono «secondo la carne», «kata. sa,rka» (Rm 9,3) o ancora, inseparabilmente, «secondo l elezione», «kata. th.n evklogh,n» (Rm 11,28). E quest unità del popolo ebraico è certamente ferita Paolo esprime la sofferenza e il desiderio di essere «separato» (cf. Rm 9,1-3), ma poiché è «kata. sa,rka», non è eliminata dallo «scandalo» e dalla «separazione» prodotti dalla venuta di Cristo. 14 In ultima analisi, il paradosso del popolo ebraico è iscritto nella sua misteriosa vocazione: in quanto popolo «kata. sa,rka» non può diventare universale, ma può solo essere testimone del Dio unico e vero davanti alle nazioni. Quando si parla della Chiesa come «popolo di Dio» si usa il termine «popolo» secondo un terzo significato distinto dai primi due. Da una parte, la Chiesa in quanto riunione nell unità dei figli di Dio dispersi (cf. Gv 11,52) accoglie in sé uomini di tutte le razze, lingue, popoli e nazioni (cf. Ap 5,9); dall altra, l ingresso nella Chiesa avviene in base a un elezione (cf. Rm 8,29-30) che non è più «secondo la carne». Bisogna essere rigorosi quando in uno stesso discorso si parla di «popolo ebraico» e della Chiesa «popolo di Dio»: appena si dimentica il carattere analogico dell uso del termine «popolo» si finisce in un vicolo cieco. D altronde, conviene fare anche un cenno sulle formulazioni a volte maldestre in un contesto nel quale la teologia della sostituzione non è del tutto scomparsa. L espressione «nuovo popolo di Dio» non è biblica, ma bisogna anzitutto riconoscere che essa si trova nella scia di espressioni bibliche e tradizionali («nuova alleanza», «nuova nascita», «nuova creazione», «uomo nuovo» ecc.), alla quale non si può rinunciare senza travisare l essenza del cristianesimo; tuttavia, ascoltata in un ambiente nel quale la relazione paradossale fra la conti- 128

4 nuità e la discontinuità, fra la promessa e il compimento è spesso ridotta a una pura e semplice dialettica cioè a una sostituzione, essa non è forse molto felice. Il «kata. sa,rka»-«kata. th.n evklogh,n» vieta scorciatoie del genere! «Israele» e «la Chiesa»: di che cosa si parla? Percorrendo la Lettera ai Romani e nel successivo lavoro di elaborazione teologica bisogna essere estremamente precisi, perché la tentazione principale è quella di proiettare sul testo paolino la nostra situazione attuale, provocando dei cortocircuiti con gravi conseguenze: possiamo essere tentati di assimilare Israele all Israele non credente (avvpisti,a, Rm 11,20.23; cf. 4,20), omettendo la parte credente; di conseguenza, possiamo essere tentati di assimilare la Chiesa alla Ecclesia ex gentibus. Anzitutto, parlando d Israele, molti commentatori commettono l errore di assimilare la totalità d Israele all Israele (temporaneamente) ostinato. È inutile ricordare qui le litanie del tipo: «Israele non ha riconosciuto il Cristo», «Israele è stato tagliato», «l indurimento d Israele» ecc. Di che cosa si parla veramente? Che cosa dice veramente la lettera della Scrittura? L insieme della sezione Rm 9-11 è compreso in quella che si potrebbe chiamare una doppia inclusione, un inclusione «simpatetica» 15 fra Rm 9,4-5 («essi sono Israeliti e hanno l adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione») e Rm 11,29 («infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili»), da una parte, e un inclusione «antitetica» fra Rm 9,6 e Rm 11,26 dall altra. Fra l inizio e la fine della sezione, l argomentazione progredisce e Paolo è attento a distinguere fra il tutto e la doppia componente d Israele di fronte a Cristo: «Infatti non tutti i discendenti d Israele sono Israele (ouv ga.r pa,ntej oi` evx VIsrah.l ou-toi VIsrah,l)»; da una parte c è «un resto, secondo una scelta fatta per grazia (lei/ /mma katvevklogh.n ca,ritoj)» (11,5); dall altra c è la grande maggioranza del popolo, che per il momento misconosce Cristo, che Paolo con speranza e delicatezza sembra ridurre unicamente ad «alcuni rami (tinej tw/n kla,dwn)» (Rm 11,17), cercando, del resto, di salvarne «alcuni» (tina.j evx auvtw/n)» (Rm 11,14). Se c è un «ostinazione d Israele», 16 bisogna parlare di un «ostinazione di una parte d Israele (pw,rwsij avpo. me,rouj tw/ visrah,l)» (11,25). Solo alla fine si tornerà a parlare d Israele come un tutto, l Israele riconciliato e salvato: «Allora tutto Israele (pa/j visrah,l) sarà salvato» (11,26). Per non rischiare di elaborare una teologia perversa (o perfida?) del disegno di misericordia, bisogna fare attenzione a non prendere la parte per il tutto (pars pro toto) proprio perché nella logica dell elezione per grazia è attraverso la parte che Dio raggiunge misteriosamente il tutto: è attraverso Israele che Dio raggiunge le nazioni e, in Israele, attraverso le «primizie» l «impasto», attraverso la «radice» i «rami» (11,17). In secondo luogo, correlativamente, vari teologi si sbagliano confondendo la Chiesa con quella che in Paolo non è che l Ecclesia ex gentibus, distinta dall Ecclesia ex circumcisione (cf. Rm 9,24: «Egli ha chiamato non solo fra i giudei, ma anche fra i pagani [ouv mo,non evx VIoudai,wn avlla. kai. evx evqnw/n]»). L immagine dell innesto dell olivo, non esplicitando la situazione dei giudei che sono diventati credenti e rimangono sulla radice santa, dà luogo a interpretazioni che rivelano una determinata concezione della Chiesa: applicando, ad esempio, l immagine, senza presa di distanza critica, al legame fra la «Chiesa» e «Israele». Al riguardo, nella lettura della Lettera ai Romani, bisogna prestare attenzione al gioco dei pronomi: «miei fratelli» (9,3), «fratelli» (10,1), «per loro» (10,2), «io sono» (11,1), «a voi, gentili, io dico» (11,13), «tu dirai certamente» (11,19), «fratelli» (11,25) ecc. Paolo si rivolge a volte all insieme della comunità cristiana di Roma costituita con la sua doppia origine, a volte ai soli cristiani provenienti dal paganesimo tentati di gloriarsi è, del resto, uno degli scopi della lettera! ; egli ricorda, di volta in volta, a questi diversi interlocutori la situazione dei pagani diventati cristiani, dei giudei increduli e dei giudei diventati credenti. Bisogna anche dire che, per non fare naufragio nell esegesi della Lettera e nell elaborazione teologica, bisogna tenere fisso lo sguardo sul faro luminoso che è lo stesso apostolo Paolo. Egli, «l apostolo dei gentili» (11,13), era e resta, «kata. th.n evklogh,n», «Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino» (11,1). Guardando Paolo, non possiamo ritenere che Dio abbia rigettato il suo popolo (Rm 11,1-2): «Impossibile! Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio». Guardando Paolo, non possiamo comprendere la Chiesa come Ecclesia gentium sostituita a un Israele rigettato. I pregiudizi sono radicati, ed è possibile incontrare considerazioni che fanno implicitamente di Paolo un cristiano nel senso di un cristiano proveniente dal paganesimo! che comincia con l evangelizzare invano dei giudei prima di rivolgersi finalmente con successo ai pagani. Strana amnesia! Tragica confusione. Paolo è il testimone vivente del «resto» santo (11,5) d Israele che reca l annuncio del Vangelo del suo Messia fino ai confini della terra (in Spagna!). Chiesa «ex circumcisione» ed «ex gentibus» Insomma bisogna essere rigorosi nell esegesi e nel discorso teologico, tenendo sempre ben presente, secondo gli attori e i momenti della storia della salvezza, la correlazione originale fra la Chiesa e Israele. L evoluzione dei rapporti fra la Chiesa cattolica (Ecclesia ex circumcisione et ex gentibus) e Israele (intendo la parte temporaneamente ostinata secondo il disegno della sapienza divina), le perturbazioni legate all incastro fra sfera politica e sfera religiosa inducono a considerare cristiani ed ebrei «come se si trattasse di due comunità, non necessariamente antagoniste, ma comunque ben definite e distinte, benché o perché dello stesso carattere». 17 Qui si trova il limite di molte istituzioni di dialogo cristiano-ebraico, 18 che tendono a rinchiudere le identità dei partner in cornici sbagliate perché separate. Qui tocchiamo il dramma del carattere estremamente minoritario degli ebrei credenti in Cristo in seno alla Chiesa. Come non interrogarsi in particolare sulla 129

5 Studio del mese scomparsa della Chiesa di Gerusalemme nei primi secoli della Chiesa, specialmente sotto la pressione di Bisanzio, poi della conquista musulmana, causa di una delle principali perdite per la coscienza cristiana? 19 Tutto sommato, conviene riflettere su quella che Michel Sales ha chiamato «la costituzione israelitica della Chiesa apostolica»: 20 «C è un implicito vissuto nella coscienza cristiana che, se non viene esplicitamente conosciuto, tematizzato e riconosciuto, rischia di occultare il contenuto necessariamente israelitico della coscienza cristiana in quanto tale. Quest implicito vissuto della coscienza cristiana è la sua fede, ricevuta da Israele e condivisa con la fede dello stesso Israele, secondo cui il Salvatore del mondo sarebbe uscito da Israele e da nessun altro popolo». 21 Senza rifare qui l esposizione della storia della promessa e del suo compimento in Gesù, Cristo d Israele e Figlio di Dio, basterà ricordare che il riconoscimento di Gesù come Messia poteva essere fatto all inizio solo dal popolo della Promessa. È ai dodici apostoli scelti da Gesù e simboleggianti la pienezza d Israele che la Chiesa deve la fede che professa e annuncia a tutte le nazioni. L essenza della Chiesa è intimamente legata alla giudaità di Gesù, dei dodici apostoli e di Paolo, della vergine Maria e dei primi discepoli. Fin dalla prima generazione, gli apostoli istituirono come loro successori non solo dei figli d Israele, ma anche dei goyim. Questo perché, una volta che il collegio apostolico israelitico aveva ricevuto la rivelazione del compimento delle promesse per Israele e per le nazioni, poco importava che questa rivelazione fatta a Israele e di cui Israele portava in sé la realtà salvifica fosse ricevuta, assimilata e trasmessa anche per bocca e per mano di goyim, purché la comprendessero e trasmettessero fedelmente. 22 Ciò che in definitiva fonda la legittimità di una successione apostolica comprendente anche non ebrei alla testa della Chiesa e al posto degli apostoli è anche ciò che autorizza oggi il più indegno dei goyim ad annunciare non solo agli altri goyim, ma anche ai membri del popolo eletto il Vangelo del compimento. «Agendo in questo modo, il goy non fa che trasmettere a Israele ciò che ha ricevuto, e di cui non ha potuto ricevere la comprensione così come la realtà che dallo stesso Israele, nella sua fede cattolica venuta dagli apostoli». 23 Solo dopo aver posto queste basi si può affrontare la questione infinitamente delicata dell articolazione fra la dimensione universale della salvezza in Cristo e la permanenza della missione d Israele; in altri termini, la questione della missione della Chiesa nei riguardi della Circoncisione. Infatti non è una questione di poco conto interrogarsi sulla legittimità che potrebbe avere un successore degli apostoli di provenienza pagana per annunciare Cristo a un figlio di Abramo secondo la carne. Le controversie attorno all ultima formulazione dell Oremus et pro iudaeis lo hanno dimostrato. Indubbiamente un goy può annunciare il Vangelo allo stesso titolo di un vero figlio d Israele venuto a Cristo, se si è lasciato raggiungere dalla carità e dalla speranza di Paolo nei riguardi dei suoi fratelli. E se apparentemente un goy può farlo, non può certamente farlo allo stesso modo di Paolo: nessun cristiano proveniente dal paganesimo può far proprio, con il verbo alla prima persona singolare, il discorso di Paolo nella Lettera ai Romani! L A C HIESA E I SRAELE Per comprendere la Lettera ai Romani occorre far tesoro di un paradosso: un individuo si rivolge a una piccola comunità e mentre fa ciò il suo sguardo abbraccia il mondo intero. I destinatari erano di sicuro molto pochi se confrontati con l enorme popolazione dell Urbe imperiale. Li accomunava la fede in Cristo, ma non l origine. Vi erano degli ebrei e vi erano sicuramente anche dei gentili che, prima di accogliere l Evangelo, si erano già accostati all ebraismo entrando a far parte della categoria nota come «timorati di Dio». Difficile sapere se ci fossero altre provenienze. Impossibile conoscere chi per primo abbia fatto giungere il «buon annuncio» a Roma. Rispetto a questa mancanza d informazione, la capitale dell Impero è accomunata a Damasco, Antiochia e Alessandria. Di certo non si trattò di uno dei Dodici e tanto meno di Paolo, che dichiara apertamente di rivolgersi a una comunità non fondata da lui. Il contenitore è piccolo, anzi minuscolo. Il mittente è un singolo che ha davanti a sé un manipolo di nomi propri (cf. Rm 16,1-15). In termini attuali, verrebbe qualificato come un movimento allo stato nascente. Eppure il discorso condotto da Paolo è immenso: in queste pagine sono messe all ordine del giorno tutte le relazioni tra Dio, la creazione e la storia. In Romani si parla del- Infedeltà e salvezza le origini, di un mondo diviso tra ebrei e gentili, del peccato che tutti ci accomuna, della redenzione dell umanità e del cosmo, della legge, degli imperscrutabili pensieri di Dio rispetto a Israele, del potere civile e della sua legittimità e si finisce salutando Prisca, Aquila, Epèneto, Maria, Andrònico e Giunia La difficoltà di elaborare una teologia a partire da quelle pagine non può prescindere da questa originaria sproporzione. Resta incontrovertibile che, nel corso della storia cristiana, alcune svolte capitali sono state sollecitate da una rilettura di Romani. Basti pensare alla Riforma. Ma forse il riferimento per noi ancora più evocativo è costituito dal commento di Karl Barth, elaborato a seguito del trauma costituito dalla Prima guerra mondiale. Dopo la Seconda (il cui centro non fu più costituito dalla «guerra civile europea» avvenuta tra nazioni cristiane), l attenzione, a valle del baratro della Shoah, si è diretta da un lato alla relazione tra cristiani ed ebrei, e dall altro agli abissi costituiti dalla degenerazione totalitaria degli stati. In ogni caso, da allora, il destino dell «Europa cristiana» è strettamente legato, in una maniera o nell altra, al modo in cui si valuta la presenza ebraica. La percezione di ciò, però, non fu immediata. Per dir- 130

6 Alla luce del destino d Israele Nella storia totale della salvezza c è certamente un asimmetria, ma anche una sorta d interiorità reciproca fra Israele e la Chiesa. Da una parte la Chiesa è interna a Israele, come compimento e universalizzazione della promessa; dall altra, come ho ricordato, la situazione d Israele in questa storia totale è interna all atto di Cristo e di conseguenza interna al mistero della Chiesa. Perciò la contemplazione e meditazione del mistero d Israele non può non chiarire l intelligenza del mistero della Chiesa. Se in negativo senza dubbio molte resistenze alla recezione del Concilio vengono da resistenze a cambiamenti teologici e identitari che indurrebbero necessariamente un autentica apertura a Israele, 24 in positivo l approfondimento teologico del mistero d Israele può portare solo frutti per l ecclesiologia. Si potrebbero riprendere qui le diverse note della Chiesa ed esaminare in che cosa il mistero d Israele le chiarisca. La santità della Chiesa? Essa si decifra certamente in profondità anche alla luce della doppia situazione dei giudei e dei pagani di fronte alla giustificazione, come testimoniano specialmente i primi capitoli della Lettera ai Romani. L apostolicità? L ho già evocata sopra, ricordando la costituzione israelitica della Chiesa. L unità? La Lettera di Paolo alla comunità cristiana di Roma offre una carta singolare! La cattolicità? Se è vero che «cattolico» significa etimologicamente «secondo la totalità», «kaqvo[lon», 25 allora, riprendendo le categorie fondamentali della storia della salvezza, la Chiesa non può essere compresa se non come riunione nell unità sia degli ebrei sia dei pagani, Ecclesia ex circumcisione ed ex gentibus. È con gioia che ho trovato conferma ad alcune intuizioni nella riflessione di un seminario sulla Lettera ai Romani animato dai padri Jean Radermakers e Jean- Pierre Sonnet: «Di fronte alla Chiesa, Israele non è complementare a essa; ma, inserito all interno dell atto di Cristo, Israele ostinato e promesso alla salvezza viene come in soccorso dei cristiani, mettendoli davanti alla cattolicità della Chiesa». 26 S intravede l impatto ecclesiologico di una vera recezione delle affermazioni bibliche e conciliari nel campo dell ecumenismo, ma anche, e questo m interessa personalmente, nel campo della missiologia (missione e inculturazione, universale e particolare, misericordia e conversione ecc.). Ispirandoci alle conclusioni del menzionato seminario, svoltosi all Institut d études theologiques di Bruxelles, possiamo meditare alcuni elementi, cominciando il nostro percorso dall alterità. Mistero di alterità e di trascendenza Noi (cristiani provenienti dal paganesimo) facciamo fatica a riconoscerlo, ma la tentazione del cristiano proveniente dal paganesimo sarà sempre quella di spiegare la Chiesa a partire da se stesso (dalla propria conversione e opere successive, dalla storia della propria famiglia o della propria cultura, l Occidente cristiano) e non dalla scelta libera di Dio e della grazia divina, che sempre lo precedono. Secondo l espressione di Emmanuel Lévinas, la tentazione sarà sempre quella di «totalizzare a partire dall identico», cioè di spiegare tutto a partire da sé e di assimilare tutto a sé. Ora Israele nella sua irriducibilità di fronte alla Chie- la con Nietzsche, fulmine e tuono hanno bisogno di tempo. È infatti solo a partire dagli anni Sessanta-Settanta che la Shoah ha cominciato a essere percepita sempre più come uno spartiacque capace di stabilire un prima e un dopo. 1 Comunanza e alterità Dal punto di vista della riflessione teologica, il processo ha trovato il proprio culmine negli ultimi tre decenni del XX secolo. In larga misura, nel mondo cattolico, esso ha quindi coinciso con il pontificato di Giovanni Paolo II e, in particolare, con la preparazione e lo svolgimento del Grande giubileo del Dopo l 11 settembre 2001 anche in quest ambito sembra che sia intervenuto un mutamento. Esso ha condotto a prospettare una crescente identificazione della tradizione «giudaico-cristiana» (detta appunto in questo modo) con l Occidente. Entro quest ultimo scenario appare dunque illanguidirsi il momento topico (per non ricorrere alla troppo impegnativa qualifica di kairos) nel quale si era chiamati a riflettere sul nodo Chiesa- Israele a partire, prevalentemente, dall evento della Shoah. Nel XXI secolo il discorso potrà, infatti, riaprirsi soltanto nella misura in cui, nel contesto del dialogo tra fedi e culture, si sarà in grado di recuperare un effettiva «alterità ebraica». Ciò non potrà avvenire senza compiere un franco e libero confronto con una condizione ebraica ormai, di fatto, massicciamente coagulatasi attorno allo Stato d Israele. Nel cruciale passaggio di fine millennio Romani 9-11, vale a dire la massima riflessione biblica relativa al rapporto Chiesa- Israele, sembrava poter assurgere a un ruolo paragonabile a quello affidato alla Lettera nel suo complesso nel caso della svolta barthiana. In quegli anni però non è stato scritto alcun volume capace di presentarsi come simbolo complessivo di un passaggio teologico epocale. Nella sua recezione ed elaborazione teologica ed ecclesiologica Romani 9-11 resta un paradigma incompiuto. Una delle ragioni di questo mancato compimento sta nel fatto che, negli ultimi decenni, il rapporto con gli ebrei è stato declinato soprattutto a partire dall egemonia attribuita alla presenza di un ethos universale espresso in modo riassuntivo dai «dieci comandamenti». Il legame speciale tra cristiani ed ebrei è stato quindi evocato principalmente per additare l universalità di una proposta etica comune. Tuttavia questa impostazione non riesce a esorcizzare fino in fondo il problema teologico della «salvezza» e degli influssi storici a esso connessi. Secondo la geografia pellegrinante fatta propria da Giovanni Paolo II nel 2000, si pensi alla successione: Sinai, Santo Sepolcro, Muro occidentale, Yad Vashem, Santo Sepolcro. La supposta presenza di 131

7 Studio del mese sa (intesa qui de facto come Ecclesia ex gentibus) è l altro che è il segno del totalmente Altro. Mi ricorda che «l elezione ci precede sempre, ci viene da un Altro e che noi la ereditiamo da un altro, il popolo eletto». 27 Per il cristiano proveniente dal paganesimo la vita cristiana è essenzialmente un «innesto» «contro natura» (Rm 11,24) e una partecipazione alla promessa fatta ad Abramo: è quindi un dono assolutamente gratuito, una «grazia» inaudita di Dio (cf. Rm 11,6). Perciò la permanenza d Israele è un pungolo che porta la Chiesa a riconoscere questo dono: insieme alla vergine Maria, figlia di Sion e madre della Chiesa, essa si umilia e rende grazie. Del resto, è proprio dalla difficoltà a riconoscere la salvezza come una grazia che scaturisce in parte l antisemitismo, come suggerisce l esegeta Paul Beauchamp in alcune righe particolarmente profonde: «Infatti in due modi l uomo conosce che la salvezza è una grazia: l ebreo, perché ha dovuto farne parte a un altro, e il pagano, perché un altro l ha ricevuta prima di lui. Questo è difficile da accettare: sia l uno che l altro resistono ( ). Come l ebreo rifiuta di diventare un altra cosa, così il cristiano ricaduto nello stato di natura, cioè l antisemita, rifiuta di essere stato un altra cosa. Vuole una salvezza che non abbia né preparazioni né legami, perché proietta su di essa la sua propria autonomia». 28 Questo riconoscimento del dono gratuito al quale Israele non cessa di invitare vieta qualsiasi chiusura dell ecclesiologia: la Chiesa è irriducibile nel suo mistero; la Chiesa viene da oltre se stessa; «è il regno di Dio già presente in mistero» (LG 3; EV 1/286), ma non ne è ancora il compimento e resta ancora il «sacramento dell intima unione con Dio e dell unità di tutto il genere umano» (LG 1; EV 1/284). Le conseguenze di questa purificazione da riprendere continuamente semper reformanda! sono importanti per esempio nella pratica missionaria. Qui penso, senza giudicare le persone, alle confusioni sulle questioni di inculturazione da parte dei missionari europei Poiché la Chiesa in Occidente sembra confondersi storicamente con l Ecclesia ex gentibus, da quando l Ecclesia ex circumcisione è scomparsa, essa è tentata di negare la particolarità del popolo d Israele e, di conseguenza, è tentata anche di trascurare le diverse culture. 29 Perciò la perennità visibile del popolo d Israele è per la Chiesa un continuo appello all umiltà, un appello che la preserva da una pretesa universale che non onorerebbe la profondità della storia nella quale opera lo Spirito di Cristo e che indurrebbe quindi effettivamente una concezione totalitaria del compimento. Parabola concreta dell incompiutezza della storia La permanenza d Israele a fianco della Chiesa è anche la «parabola concreta dell incompiutezza della storia»: 30 con l incarnazione noi siamo entrati nella «pienezza dei tempi» (Gal 4,4), ma c è ancora un non compimento. Sulla croce, Cristo compie la promessa fatta a Israele; libera lo Spirito grazie al quale Israele è reso capace di compiere la Legge (cf. Ez 36; Ger 31; Rm 8) e la sua vocazione fra le nazioni. Ora, questo momento del compimento coincide con uno scisma originario! Il dolore una comune etica sinaitica non è, dunque, in grado di risolvere in se stessa irriducibili differenze connesse alla «storia della salvezza». Paolo, un ebreo credente in Cristo Sulla base di Romani 9-11 è possibile costruire una riflessione teologica capace di affrontare la complessità di questi nodi? Alle fine del XX secolo si era orientati a rispondere con un sì. Quei capitoli furono, perciò, letti privilegiando il radicamento del messaggio cristiano nell eredità d Israele. La prospettiva fu anche presentata come un modo per stabilire l unità dei due Testamenti (Giovanni Paolo II, Joseph Ratzinger) e quindi come una maniera per prendere le distanze dalla teologia della sostituzione (spesso, impropriamente, interpretata come se si trattasse di una specie di criptomarcionismo). Tuttavia questa impostazione è obbligata a porre tra parentesi una dato decisivo: Paolo scrisse la sua riflessione sull azione di Dio nei confronti del popolo d Israele a partire non già dal suo essere un «cristiano», bensì dal suo essere un ebreo credente in Cristo. Non si tratta di una pura contingenza storica; al contrario questo fatto costituisce il perno su cui ruota l intero discorso. Dal punto di vista della riflessione teologica ed ecclesiologica, il ruolo svolto dal duplice «noi» di cui Paolo si dichiara partecipe è assolutamente imprescindibile. L «apostolo delle genti» prende parte a un duplice «noi». Da un lato infatti afferma di essere pienamente e stabilmente partecipe al «noi» che caratterizza Israele «secondo la carne», con tutti i doni che gli sono peculiari (Rm 9,1-4), dall altro afferma di avere parte, nella fede, a un «noi» di natura tutta diversa dalla precedente, si tratta cioè di un «noi» costituito dai chiamati dai giudei e dalle genti (Rm 9,24). 2 In Cristo infatti non c è né giudeo, né greco (Gal 3,28 ), pur continuando a esistere nella loro asimmetria giudei e greci. La contemporaneità psicologica del «noi diviso» di Paolo è fuori discussione (e non pochi, anche in sede filosofica se ne sono accorti), tuttavia va ribadito che essa è del tutto speculare alla sua «inattualità» teologica. Come avvenne al tempo di Lutero, anche oggi un ermeneutica del testo (non necessariamente solo una sua esegesi storica) evidenzia una distanza tra il modo di articolare il discorso della fede all epoca in cui avviene l interpretazione e il punto di partenza con cui ci si confronta. Romani 9-11 misura, infatti, una distanza dall origine non colmata dalla Tradizione. Quei capitoli vanno perciò letti anche sotto la categoria dell infedeltà della Chiesa a se stessa. Proprio in virtù dell affermazione, oggi universalmente ribadita, secondo cui l alleanza con Israele non è mai stata revocata (Rm 11,29), ogni ermeneutica fedele al messaggio di Romani 9-11 si colloca, per forza di cose, nella distanza posta tra il soggetto interpretante, vale a dire un gentile credente, e il soggetto scrivente: un ebreo credente in Cristo. Non so- 132

8 sperimentato dall apostolo Paolo nella sua carne (cf. Rm 9,1-3) segna in qualche modo tutta la Chiesa. Nei capitoli 9-11 della Lettera, Paolo non può evocare questo strappo senza annunciare anche, in una successione di a fortiori (cf. Rm 11,12 «po,soj»; cf. 11,15), la reintegrazione e la salvezza finale di «tutto Israele». La chiave interpretativa va ricercata nella misericordia infinita di Dio, al quale non sfugge alcun avvenimento della storia delle libertà umane. Che cosa sarà quest integrazione? Paolo usa un espressione sorprendente: sarà «una vita a partire dai morti (zwh. evk nekrw/n)» (Rm 11,15). Alla luce della profezia di Ez noi comprendiamo che sarà la riunione di tutto Israele non come somma di individui, ma come popolo. La prospettiva è grandiosa: comunione nell unità del «pleroma (plh,rwma) delle nazioni» e di «tutto Israele (pa/j VIsrah,l) salvato» (cf. Rm 11,25-26). Quando? Come? Al riguardo l interpretazione della lettera è delicata. A mio avviso la prospettiva dell Apostolo è escatologica, 32 il che non esclude una certa missione nei riguardi d Israele, ma la storia della teologia nel XX secolo dimostra che vari autori sostengono prospettive storiche, 33 senza parlare delle tesi sviluppate dalle Chiese evangeliche. 34 Bisogna constatare che le opzioni fondamentali dei sistemi teologici, la carica affettiva investita nelle relazioni cristiano-ebraiche dopo la Shoah, gli a priori culturali e politici costituiscono un ostacolo non trascurabile per una lettura della Scrittura rispettosa della sua lettera. Sia come sia, la Gerusalemme terrena dove essa è nata ricorda continuamente alla Chiesa che essa è in cammino verso la Gerusalemme celeste, verso il suo compimento totale. Così, paradossalmente, nella sua permanenza storica e spirituale Israele, lungi dall orientare la Chiesa verso il passato, la pone davanti alla sua realtà ultima, verso il compimento della storia, la «consumazione». Qui si apre lo spazio per la speranza, la speranza alla scuola di Paolo. 35 La distanza d Israele e la nostra distanza da Cristo Se la Chiesa è ancora in pellegrinaggio verso il suo compimento, se l umanità non ha ancora raggiunto la sua statura perfetta (cf. Ef 4), se la Chiesa prega «maranatha», allora possiamo interrogarci sulle ragioni dell attesa o del «ritardo». Dipenderebbe dal fatto che Israele (incredulo) si oppone all evangelizzazione delle nazioni (cf. 1Ts 2,15-16)? Paolo ha potuto pensarlo e scriverlo, ma non è più vero! Dipenderebbe dal ritardo degli ebrei a uscire dalla loro incredulità, come sembrano pensare alcuni gruppi evangelicali, praticando una missione sistematica aggressiva? La lettura della Lettera ai Romani impone un altra costatazione: tutti i figli di Adamo, ebrei e pagani, sono peccatori! «Dio ha rinchiuso tutti (gli uomini) nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti» (Rm 11,32). La colpa del ritardo non è dell altro! Al contrario, Paolo sembra addirittura sottolineare la necessaria conversione dei pagani, la realizzazione del «pleroma» delle nazioni (cf. Rm 11,25). Del resto, bisogna cominciare dal ricordare che l elezione d Israele rinvia tutta l umanità al suo peccato. Infatti, l elezione e la separazione d Israele fra le nazioni è la risposta paradossale di Dio alla divisione dell umanità no quindi consentiti facili recuperi. Tuttavia, proprio a causa della sua consapevole inadeguatezza, l interprete si viene a trovare in una condizione paradossalmente affine a quella dell «apostolo delle genti». Paolo, nell atto di scrivere a un manipolo di credenti sperduti nella «grande città», si rapportava con il tema sommo dei rapporti iniziali, salvifici ed escatologici di Dio con il mondo; dal canto suo, oggi, ogni lettore dei capitoli 9-11 della Lettera ai Romani è chiamato a confrontarsi con il bimillenario e ampiamente infedele rapporto che è intercorso tra Chiesa e Israele: si tratta di un tema dotato, nella fede, di un valore salvifico ed escatologico senza uguali. Pur privi di risorse, si è costretti a pensare in grande. Un nodo ecclesiologico decisivo Il contributo di Emmanuel Pinot, presbitero parigino appartenente alla Communauté de l Emmanuel, è nato come semplice esercitazione di esame a conclusione del corso «Un nodo teologico: Romani 9-11 nell orizzonte del dialogo cristiano-ebraico», svolto dal sottoscritto nel primo semestre presso il Centro card. Bea per gli studi giudaici della Pontificia università gregoriana. La qualità del lavoro, peraltro consapevolmente articolato in maniera provvisoria, ha indotto a una sua sollecita pubblicazione. Il testo di Pinot evidenzia infatti alcune questioni chiave troppo spesso trascurate: il ruolo dell ermeneutica biblica nel pensare teologico, la portata ecclesiologica della riflessione paolina contenuta in Romani 9-11, la determinante funzione svolta dal nesso con Israele in relazione alla missione evangelizzatrice affidata alla Chiesa. Alcune sue affermazioni risulteranno difformi dagli attuali standard con cui si svolge il dialogo tra cristiani ed ebrei. Esse perciò suoneranno sgradite a non pochi orecchi ebraici. Lo stesso destino, del resto, toccò in sorte a qualche presa di posizione compiuta dal card. Lustiger, una figura giudicata problematica da alcune componenti ebraiche (ma non da altre). Si tratta di reazioni pienamente legittime; per tutti, però, è un bene misurarsi con nodi teologici che da un lato non hanno nulla da spartire con la «teologia della sostituzione», mentre dall altro pongono al centro questioni di lungo periodo (peraltro troppo di frequente dimenticate o mal poste) decisive per il dirsi stesso della missione della Chiesa. Piero Stefani 1 Cf. A. FOA, Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento, Laterza, Roma-Bari 2009, 213ss. 2 Per l esattezza in greco manca l articolo determinativo. 133

9 Studio del mese a causa del peccato (cf. Gen 3-11) e il luogo di una progressiva guarigione di tutte le altre divisioni, di cui la coppia Israele-nazioni è il simbolo: «Benedirò coloro che ti benediranno» (Gen 12,3). Al centro della storia della salvezza, la morte del Cristo d Israele è la riunione nell unità dei figli di Dio dispersi (Gv 11,52), la riunione dei giudei e dei pagani (Ef 2,14ss). 36 Evocando la messa in disparte dei rami increduli, Paolo pone fortemente in guardia i cristiani provenienti dal paganesimo dalla tentazione che li minaccia (cf. Rm 11,17-23). Se rimproveriamo all altro la sua ostinazione «chi sei tu che giudichi?» (Rm 2,2.3), siamo nel peccato. In verità noi, ebrei e cristiani, siamo solidali in tutto ciò che ci impedisce di abbandonarci senza riserve al Cristo di Dio; nella nostra propria esperienza spirituale possiamo comprendere la distanza d Israele dal suo Cristo. 37 Perciò «la distanza d Israele da Cristo corrisponde anche alla nostra propria ripugnanza alla conversione. Noi siamo all interno dell ostinazione dell altro. ( ) In questo senso, dobbiamo ricevere Israele come una grazia concessa a noi peccatori, perché ci rivela che il misconoscimento di Cristo non deriva dalla cultura (come può essere sempre il caso dei goyim), ma fondamentalmente dalla fede: solo Israele misconosce il Cristo in nome della fede in Dio che si rivela. La sua ostinazione di fronte a Cristo smaschera i nostri alibi culturali e ci riconduce all unica battaglia che s imponga davanti a Cristo. La battaglia spirituale». 38 Se nella figura d Israele io (cristiano proveniente dal paganesimo) posso guardare come in uno specchio la mia propria distanza da Cristo, non bisogna forse discernere nelle radici dell antisemitismo cristiano una colpevolezza rimandata, il tentativo di eliminare quest accusa? Attraverso la sua sola testimonianza, l ebreo non svela nel mio essere di cristiano proveniente dal paganesimo gli idoli che non sono ancora convertiti a Cristo? La misericordiosa fedeltà del Dio dell Alleanza Nella figura d Israele mi è dato di decifrare non solo la mia distanza da Cristo, ma anche la fedeltà di Dio i cui «doni e (la cui) chiamata sono irrevocabili» (Rm 11,29). La speranza di fede d Israele che attende la venuta del Messia 39 non è senza legame con quella della Chiesa. E la Chiesa deve prendere sul serio la speranza d Israele, che si basa sulla fedeltà del Dio dell Alleanza verso il suo popolo «amato a causa dei padri» (Rm 11,28). Per il cristiano, la fedeltà di Dio è suggellata definitivamente nell atto di Cristo, nel quale si compie la promessa fatta a Israele e, attraverso Israele, a tutte le nazioni. La fedeltà di Dio trascende tutte le nostre infedeltà (cf. Rm 3,3). Alle obiezioni addotte contro la giustizia di Dio o ai dubbi avanzati riguardo all universalità della vittoria di Cristo, Paolo oppone la «misericordia» divina, che è una delle articolazioni di Rm 9,14-18 e Rm 11, La risposta al «passo falso» di una parte d Israele (Rm 11,11), a causa dell «elezione», rivela la misericordia divina. Certamente il passo falso d Israele addolora Paolo ed esige da lui un atto di speranza nella reintegrazione. Ma c è di più. La permanenza d Israele come soggetto storico dimostra che l opera compiuta nel Cristo non si estende a «molti», ma alla totalità del mondo e della storia, perché si estende sia a Israele sia alle nazioni. Perciò oggi Israele è il segno paradossale dell universalità della misericordia. Così il passo falso d Israele o piuttosto la sua successiva permanenza diventano un motivo paradossale di speranza! «Nulla potrà mai separarci» (Rm 8,38s)! La sofferenza del servo-israele e la sofferenza di Cristo-servo È opportuno fare un ultima osservazione. Tuttavia, non solo a causa dei limiti di spazio, ma anche della prossimità al cuore del mistero, posso solo balbettare parole inadeguate. Tutta la storia d Israele, fin nel suo rifiuto e nella sua reintegrazione oggetto di speranza, è all interno dell atto di Cristo. D altra parte, Cristo compie la missione sacerdotale d Israele a favore delle nazioni: c è quindi un intimità massima fra la missione di Cristo-servo e la missione d Israele-servo. Ora Cristo ha compiuto la sua 1 Penso, in particolare, al Simposio del 1997 in preparazione al giubileo del 2000 (AA. VV., Radici dell antigiudaismo in ambiente cristiano. Colloquio intra-ecclesiale. Atti del Simposio teologico-storico, Città del Vaticano, , Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2000). 2 Tensioni che si tratta di riconoscere senza mai esagerarle in modo polemico; penso qui a certe elaborazioni illegittime a partire dalla Birkat ha-minim. Bisogna reperire, inoltre, tutti i punti di contatto e di fecondazione reciproca in epoca patristica, ma anche, e forse soprattutto, in epoca medievale. 3 Cf., per esempio, H. DE LUBAC, Catholicisme. Les aspects sociaux du dogme (1938, , ) , Oeuvres complètes VII, Cerf, Paris 2003; ID., Histoire et Esprit. L intelligence des Écritures d après Origène, «Théologie» 16, Aubier-Montaigne, Paris 1950, ripreso in Oeuvres complètes XVI, Cerf, Paris 2002; ID., Exégèse médiévale, Les quatre sens de l Ecriture, 4 tomes, «Théologie» 41, 42 e 59, Aubier-Montaigne, Paris 1959, 1961 e Si noterà la predilezione significativa del p. De Lubac per il «simbolo origeniano della trasfigurazione», che permette di esprimere in forma meno inadeguata la «dialettica» paradossale dell uno e dell altro Testamento. Tuttavia, nonostante questo, l ermeneutica così proposta deve trovare un necessario correttivo, che io penso di poter scoprire nei lavori del p. Paul Beauchamp. Questo esegeta del Centre Sèvres (Paris), tenendo conto dello spostamento della coppia tipo-antitipo e quindi dell azione dello Spirito verso l interno dell Antico Testamento, propone un correttivo alle debolezze della tipologia. Ma, da parte sua, il p. Beauchamp riesce veramente a preservare la novità paradossale di Cristo da ogni riduzione? A mio avviso non è certo. È indubbiamente complicato affrontare la dialettica dell uno e dell altro Testamento; sarebbe certamente più vantaggioso tenere insieme l uno e l altro, Henri de Lubac e Paul Beauchamp 4 Cf.C.JOURNET, Destinées d Israël. A propos du Salut par les Juifs, LUF-Egloff, Paris 1945, 12-13, citato da G. COTTIER, «Sur la théologie d Israël», in Nova et vetera (1985), , qui 99: «Ecco che un odio istintivo, cieco, sinistro, che investiva al tempo stesso la Chiesa e la Sinagoga per lo stesso motivo, cioè per il fatto che esse rappresentavano le due facce di luce e d ombra di un unico mistero, quello del soprannaturale che penetra, checché si faccia, come una spina nella carne del mondo, e che si abbatte simultaneamente sugli ebrei e sui cristiani, sembrava volerli, in forza di una stessa crocifissione, riunire in vista di una qualche invisibile e futura riconciliazione». Stessa percezione in certi ebrei, come Maurice Samuel: «È di Cristo che i nazi-fascisti hanno paura. È nella sua onnipotenza che essi credono. È lui che sono decisi, nella loro rabbia, a eliminare. ( ) Per questo gli antisemiti dirigono i loro assalti contro coloro che sono stati responsabili della nascita e della diffusione del cristianesimo. Essi cominciano con lo sputare sui giudei assassini di 134

10 missione e la vocazione d Israele assumendo la figura del Servo sofferente (cf. Is 52,13-53,12; cf. At 8,30ss), nella quale Israele comprendeva il suo proprio destino. 40 Considerando con Paolo «la caduta» (h[tthma)» e il «rifiuto (avpobolh,)» (Rm 11,12.15), come non pensare alla passione di Cristo-servo, che assume il peccato di tutti gli uomini anche quello d Israele «in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8,3)? Il combattimento di tutto Israele e quello di Cristo non sono strettamente legati? Del resto, non è forse perché Cristo-servo ha assunto la resistenza di tutto Israele in particolare quella dell Israele ancora ostinato che «la vita dai morti» per tutto il popolo può essere oggetto di speranza? Di più, è veramente folle (cf. Rm 11,33: «Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!») pensare che la prova che subisce il popolo d Israele (i rami accantonati) a partire da Cristo fino al suo culmine nella Shoah, è misteriosamente integrata nella prova del suo Cristo e trova lì il suo senso e la sua fecondità? Come il Cristo, per lui e in lui, «questo straordinario popolo (che) continua a portare dentro di sé i segni dell elezione divina ( ) ha pagato un alto prezzo per la sua elezione». 41 Qui noi oltrepassiamo certamente la lettera della Lettera ai Romani La Chiesa non può forse approfondire, nella figura d Israele perseguitato, la sua missione di servizio verso le nazioni: un umile missione al seguito del Servo, una missione che passa per la contraddizione e la croce, una missione animata da una speranza invincibile? Israele può insegnarci! La conversione della Chiesa A partire dalla Nostra aetate, che ha ricordato che Israele è «la radice dell ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell ulivo selvatico che sono i popoli pagani», 42 nonostante le numerose resistenze, scrutando il suo proprio mistero, la Chiesa sta rinnovando il suo sguardo sul popolo d Israele. Ricordiamo la «formula di Magonza» pronunciata dal papa Giovanni Paolo II, il 17 novembre 1980, davanti a capi delle comunità ebraiche in Germania. 43 Da allora si sono fatti molti passi. Nel 2005, in una lettera indirizzata al card. Jean-Marie Lustiger, il papa Benedetto XVI evocava ciò che è «comune all insieme del popolo di Dio, Chiesa con Israele», identificando così il popolo di Dio con Israele e la Chiesa. 44 È certamente attraverso un potente lavoro esegetico ancora incompiuto che possiamo sperare di avanzare sulla strada di questo approfondimento cruciale del mistero della fede. Per molti Padri, dottori e teologi la Chiesa è ormai il popolo di Dio, ma bisogna certamente correggere in questo modo l affermazione: dopo Cristo, il popolo ebraico non è più, da solo, il popolo di Dio Prolungando la lettura della Lettera ai Romani con una «meditazione», noi intravediamo la profondità della relazione che unisce oggi la Chiesa alla parte d Israele messa (temporaneamente) da parte. Sicuramente, «la religione ebraica non ci è estrinseca, ma in un certo qual modo, è intrinseca alla nostra religione». 45 In forza del legame «spirituale» (cf. «spiritualiter» in Nostra aetate, n. 4), la Chiesa può comprendere la sua identità unità, santità, cattolicità, apostolicità e lavorare a corrispondervi realmente solo meditando il destino singolare del «popolo eletto» nella storia totale della salvezza. Qui lo sguardo sulla figura dell apostolo Paolo e l attenzione alla costituzione israelitica dell apostolicità della Chiesa devono impedire di fidarsi esclusivamente delle apparenze, pensando cioè l Ecclesia unicamente come Ecclesia ex gentibus! Israele è per la Chiesa uno stimolo che alimenta la sua memoria e la sua speranza, perché le rappresenta l origine e la fine della salvezza. Riconosciamolo. Israele è anche per la Chiesa un pungiglione che invita a cambiamenti, se non a conversioni, nel modo di considerare la missione nel cuore del mondo. Non è forse questa la ragione delle nostre resistenze? L elezione d Israele è una Via crucis per la ragione umana in generale 46 e per la coscienza cristiana in particolare. Bisogna sempre percorrerla per essere continuamente rinnovati. A tale titolo, Rm 9-11 è un nodo teologico decisivo perché la Chiesa possa conformarsi sempre più all appello che le rivolge il suo Signore, il Messia d Israele. Emmanuel Pinot Cristo [sic!] (Christ-killers), per poter sputare su altri ebrei, che donano Cristo (Christ-givers)»: citato ivi, W. KASPER, Non ho perduto nessuno. Comunione, dialogo ecumenico, evangelizzazione, EDB, Bologna 2006, Cf. CONCILIO VATICANO II, cost. dogm Dei Verbum sulla divina rivelazione, n. 24; EV 1/907; VATICANO II, decr. Optatam totius sulla formazione sacerdotale, n. 16; EV 1/805ss. Cf. più recentemente BENE- DETTO XVI, esort. apost. postsinodale Verbum Domini sulla parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa; Regno-doc. 21,2010,649ss. 7 Cf.G.BAUM, «Les relations d Israël et de l Église», in G. BARAU- NA (a cura di), Vatican II. L Église de Vatican II. Etudes autour de la Constitution conciliaire sur l Église, Tomo II, Commentaires, «Unam sanctam» 51b, Cerf, Paris 1966, A. BEA, L Église et le peuple juif, Cerf, Paris 1967, 9. 9 DE LUBAC, Catholicisme, M. SALES, Le corps de l Église. Suivi de Pour introduire à la lecture de la Promesse du cardinal Lustiger, «Communio», Parole et silence, Paris A volte c è la distinzione tra plebs, populus e gentes, ma vi sono delle esitazioni. Le ambiguità sono ancora maggiori in alcune lingue moderne, come ad esempio il francese, dove «popolo» traduce indifferentemente le tre parole indicate. 12 Cf. SALES, Le corps de l Église, 17-19: «Essere ebreo è appartenere, per nascita carnale, a un popolo religioso per la sua origine e per la sua fine». 13 G. FESSARD, citato in SALES, Le corps de l Église, Paolo sembra anzitutto escludere dall unità d Israele gli israeliti increduli (Rm 9,6), ma in un secondo tempo, con l immagine dell olivo, mostra che si tratta di un accantonamento solo temporaneo si potrebbe dire contro natura prima di essere nuovamente innestati sull olivo al quale essi appartengono per natura (Rm 11,24). Paolo non nega l appartenenza naturale degli israeliti non credenti all olivo buono, ma li considera temporaneamente come rami tagliati dalla radice santa a causa della loro condizione di incredulità. 15 Cf.P.STEFANI, «L olivo buono e quello selvatico. La Chiesa delle genti e il popolo d Israele in Rm 9-11», in Regno-att. 22,2009,365s. 16 Si noterà che Paolo non usa gli stessi termini per parlare dell ostinazione del faraone (Rm 9,18) e per parlare dell ostinazione d Israele (Rm 11,7.25), che non sono della stessa natura. 17 SALES, Le corps de l Église, Cf. SALES, Le corps de l Église, 15.Cf.P.STEFANI, «Postfazione» in F. CAPRETTI, La Chiesa italiana e gli ebrei. La recezione della Nostra aetate n. 4 dal Vaticano II a oggi, EMI, Bologna Cf. J.-M. LUSTIGER, La Promesse. «Mes yeux ont devancé la fin de la nuit pour méditer sur ta promesse» (Psaume 119,148), «Essais de l École Cathédrale», Parole et silence, Paris 2002, 17-18: «Perciò la Chiesa 135

11 Studio del mese di Gerusalemme è, nella Chiesa cattolica, la permanenza della promessa fatta a Israele, la presenza del compimento, l attestazione della grazia fatta ai pagani. Così la Chiesa è al tempo stesso quella degli ebrei e dei pagani. Questa Chiesa di Gerusalemme è sopravvissuta al massimo fino al VI secolo. È uno dei misteri della storia e forse un grande dramma spirituale incompiuto. Infatti non si può dire che sia una faccenda chiusa, come non lo è la separazione fra la Chiesa d Oriente e la Chiesa d Occidente. Questo fa parte di quelle ferite, di quei peccati che dobbiamo riconoscere, che ci giudicano e riguardo ai quali dobbiamo attendere da Dio che faccia qualcosa in sintonia con la sua promessa. Questa Chiesa di Gerusalemme è stata distrutta sotto la pressione di Bisanzio. Si tratta indubbiamente di una delle grandi perdite della coscienza dei cristiani. Così la memoria della grazia che era stata concessa venne praticamente rimossa, non dico da parte della Chiesa in quanto sposa di Cristo, dico da parte dei cristiani. Ecco per loro una causa di tentazione e una prova spirituale, una causa di infedeltà a Cristo; ecco uno dei grandi problemi del cristianesimo». 20 Cf. SALES, Le corps de l Église, Cf. SALES, Le corps de l Église, 28. Consentitemi di citare qui il poeta cattolico Léon Bloy: «Si dimentica, o piuttosto non si vuole sapere, che il nostro Dio fatto uomo è un ebreo, l ebreo per eccellenza della natura, il Leone di Giuda; che sua madre è un ebrea, il fiore della razza ebraica; che tutti i suoi antenati sono stati degli ebrei, che gli apostoli sono stati degli ebrei, come tutti i profeti; infine, che tutta la nostra sacra liturgia è attinta nei libri ebraici». 22 Cf. SALES, Le corps de l Église, Ivi. 24 Cf. l analisi di P. STEFANI, «Postfazione», sulla declinazione del cattolicesimo in chiave di religione civile dell Italia rispetto all apertura introdotta dal Concilio, laddove la Chiesa si dichiarava disposta anche a rinunciare a prerogative e privilegi pur di preservare la trasparenza della sua testimonianza (cf. Gaudium et spes, n. 76); oggi «l unica sede in cui è recepibile il confronto con il popolo ebraico è perciò quella del dialogo tra un cattolicesimo identitario e un ebraismo italiano, nelle sue espressioni ufficiali altrettanto identitario». 25 Cf. H. DE LUBAC, «Pourquoi Église catholique et non Église universelle», nota inedita del 1959 redatta in vista di una consultazione teologica al momento della traduzione in francese dei due simboli di fede, nota ripresa in Catholicisme, in Oeuvres complètes, VII, Cerf, Paris 2003, J.-P. SONNET, J.RADERMAKERS, «Israël et l Église», in Nouvelle Revue théologique 107(1985), Ivi. 28 P. BEAUCHAMP, «L Église et le peuple juif», in Études 321(1964), 263. Riprendo qui tutto il passo: «Facendo eco, san Giovanni dirà che la salvezza viene dai giudei. Alla radice più profonda dell antisemitismo c è non solo il misconoscimento di questa verità, ma il rifiuto dell atteggiamento che essa richiede. Infatti in due modi l uomo conosce che la salvezza è una grazia: l ebreo, perché ha dovuto farne parte a un altro e il gentile, perché un altro l ha ricevuta prima di lui. Questo è duro da accettare: sia l uno che l altro resistono. Si potrà immaginare che è questa particolarità dell ebreo a non piacere; noi lasceremo da parte queste reazioni puramente sociologiche per andare dritto a ciò che solo spiega la loro virulenza unica, purtroppo dimostrata dai fatti: se il popolo nel quale è nato il Salvatore fosse stato di un altra razza, la reazione sarebbe sostanzialmente la stessa. Come abbiamo detto, noi siamo esistiti come popolo di Dio prima di Cristo e questa unità con altri diversi da noi è reale, perché può esservi un solo popolo di Dio. Ora questa forma precristiana non comportava il suo compimento in se stessa. Come l ebreo rifiuta di diventare un altra cosa, così il cristiano ricaduto nello stato di natura, cioè l antisemita, rifiuta di essere stato un altra cosa. Vuole una salvezza che non abbia avuto preparazioni né legami, perché proietta su di essa la sua propria autonomia. Al contrario, questa salvezza è la risposta a una storia orientata verso di lui, ma priva di lui, riempimento di una figura che, come dice Pascal, comporta assenza e presenza, e non si può riceverla senza ricevere al tempo stesso la conoscenza di ciò che si è, vuoto e vocazione: gli ebrei esistono per mostrarci questa assenza e questa vocazione, e gli ebrei che rifiutano Cristo esistono per mostrarci che né quest assenza né questa vocazione hanno in loro stesse la loro fine. Ma questa conoscenza di sé ripugna. Attraverso il peso della natura, il cristiano viene continuamente tirato in una concezione che gli mostra tutto il suo essere e tutta la sua cultura, tutte le sue figure, come costituenti un unico blocco continuo con il cristianesimo, al quale egli sembra cimentato di diritto in un unità naturale e non in quella del dono di Dio vivificante. Egli identifica immediatamente il suo ambiente, la sua arte, la sua cultura con la sua fede, che cessa allora di essere il principio di unità gratuito che viene liberamente dall alto. In questa disposizione mentale, tutto ciò che è ebraico viene respinto, perché ci impedirebbe di captare e di annettere Cristo come volevano fare gli ebrei, prima della sua morte: infatti, ciò che è ebraico ci ricorda che non è questa cultura particolare alla quale io appartengo il luogo primo nel quale nacque il cristianesimo, quindi che un altra cosa avrebbe potuto nascere dalla mia situazione, o ancora che in una situazione completamente diversa dalla mia il cristianesimo può fiorire. Allora ci sentiamo minacciati da un senso di spossessamento. Sentiamo il vuoto che separa la nostra condizione dal dono di Dio, vuoto necessario perché sia chiamato dono. Ci irrigidiamo contro chiunque ce lo fa sentire: se non si è solidali con l ebreo che accetta la grazia, non si sfugge a essere solidale con l altro. È per un cristianesimo giudaizzante che gli ebrei sono una minaccia, la quale si diversifica in molti modi: ad esempio, i cristiani che riducono la loro credenza al monoteismo e attendono la loro salvezza solo dall osservanza di una legge, avendo di Cristo e della grazia solo un idea rudimentale, sono tormentati dalla presenza degli ebrei, la cui religione appare loro con lo stesso contenuto, ma si stabilisce al di fuori della loro e può farne tranquillamente a meno. È per respingere questa somiglianza accusatrice che si moltiplicheranno le ragioni per agire e pensare diversamente, fino all ostilità. Non è forse su questo sedimento, lasciato da un cristianesimo che si era ritirato, che sono germogliati il nazismo e le ideologie analoghe, in un mondo governato dalla Legge, senza grazia? Così l antisemitismo è, da parte dei cristiani che ne soffrono, una ritorsione del peccato d Israele e, per una necessaria conseguenza, ne è l imitazione. Di fronte a questo, è salutare constatare che la dottrina paolina, nella quale tanti ebrei vedono la fonte di tutti i mali nel loro rapporto con la Chiesa, non può lasciarci alcun pretesto per essere antisemiti. La cellula generatrice da cui usciamo è quindi l incontro fra l ebreo e il non ebreo, che vanno l uno verso l altro in un gesto di forma diversa e di contenuto identico, e confessano di aver ricevuto il dono nell atto di trasmetterlo o di riceverlo e condividerlo. Dio ha un solo figlio, perché il figlio che riceve e il figlio che è ricevuto formano un solo figlio e sono figli a patto che Cristo li riunisca in uno. L universalità della Chiesa non livella né allinea, perché è una carità, nella quale l incontro richiede da ciascuno dei chiamati un gesto diverso che li faccia incontrare. E questa differenza dura per sempre, come la carità». 29 Cf.P.BEAUCHAMP, «The role of the Old Testament in the process of building up local churches», in AA. VV., Bible and inculturation, PUG, Roma 1983, 16: «Incapace di onorare le loro origini e di rispettarli in un popolo reale (non solo in un libro) e in una cultura concreta, la Chiesa occidentale (comprensibilmente da un punto di vista logico) non è riuscita a mostrare il dovuto rispetto a culture che erano state chiamate al Vangelo dopo quella greca e quella latina. Con il mistero ebraico rimasto avvolto nell oscurità, la relazione del Vangelo con le culture è stata concepita nei termini di una sola cultura dominante. Come reazione contro questa dominazione c è una tentazione a esaltare le culture particolari dimenticando il modello biblico. Il modello biblico ricorda che Israele è stato eletto, e che nei suoi momenti migliori Israele è stato capace di dichiarare che non era solo e universale in se stesso». 30 Cf. SONNET, RADERMAKERS, «Israël et l Église», Alcuni esegeti vedono qui un allusione alla risurrezione finale; con Paul Beauchamp, io propendo piuttosto per un eco intertestuale con la grande profezia di Ez 37, la visione delle ossa aride: è vero che il profeta non annuncia lì la risurrezione escatologica dei corpi, bensì la risurrezione di un nuovo Israele dopo l esilio, mentre questa allusione acquista tutto il suo senso: tuttavia si tratta di corporeità nel senso di corpo sociale e ritorno o la conversione d Israele si presenta come il cambiamento di un gruppo e non di una polvere di individui. A tale titolo, la visione annuncia un cambiamento nella stessa storia. Cf. P. BEAUCHAMP, «Israël et les nations hors et dans l Église. Lecture de Rm 9-11», in Conférences. Une exégèse biblique, Editions facultés jésuites de Paris, Paris 2004, Così nei teologi Gaston Fessard ( ) e, sembra nella scia di Karl Barth, Hans-Urs von Balthasar. Fra coloro che sostengono la prospettiva escatologica, alcuni tendono a difendere una teologia delle due vie tuttavia contraria al pensiero paolino: non è forse il caso, ad esempio, di Franz Müssner nel suo Traktat über die Juden? 33 Cf. Charles Journet, che si è fortemente opposto a G. FESSARD, Destinée d Israël. A propos du salut par les juifs, LUF, Paris 1945, e al suo amico J. MARITAIN, Quelques pages sur Léon Bloy, Paris Cf. M.-H. ROBERT, Israël dans la mission chrétienne. Lectures de Romains 9-11, «Lectio divina», Cerf, Paris È certamente in questo orizzonte escatologico di cui noi viviamo già in qualche modo in questi ultimi tempi, che conviene collocare quella che può essere una preghiera per gli ebrei, il Venerdì santo. A mio avviso, nulla impedisce che Paolo preveda l illuminazione futura della maggioranza d Israele ancora ostinato e inviti al tempo stesso fin d ora a convertirsi a Cristo i suoi fratelli che incontra. 36 I padri della Chiesa hanno magnificamente commentato questo passo, chiave della storia. «Cristo è l ago che, dolorosamente confitto durante la sua passione, tira ormai tutto al suo seguito e ripara così la tuni- 136

12 ca un tempo lacerata da Adamo, cucendo insieme i due popoli, quello dei giudei e quello dei gentili, e rendendoli uno per sempre» (citato in DE LUBAC, Catholicisme, 14). O ancora Ireneo di Lione: «Attraverso il legno della croce, l opera del Verbo di Dio si è manifestata a tutti: su di esso le sue mani sono stese per radunare tutti gli uomini. Due mani stese, perché vi sono due popoli dispersi su tutta la terra. Una sola Testa al centro, perché c è un solo Dio al di sopra di tutti, in mezzo a tutti e in tutti» (Adversus haereses V, 17, 4 citato in DE LUBAC, ivi, 324). 37 Il p. Gaston Fessard, nella sua dialettica spesso mal compresa dell ebreo e del pagano mostra che alla contraddizione intima del popolo ebraico corrisponde il fatto che anche il cristiano non è perfetto e che i cristiani (provenienti dal paganesimo), nel loro complesso, restano dei pagani che devono convertirsi. 38 SONNET, RADERMAKERS, «Israël et l Église», Al di là delle discussioni rabbiniche qui penso al 12 dei 13 articoli della fede redatti da Maimonide (cf. MAIMONIDE, Commentario sulla Mishna): «Io credo con fede piena nella venuta del Messia. E anche se tarda, io credo! Nonostante tutto, aspetterò ogni giorno la sua venuta». 40 Cf. M. REMAUD, Chrétiens devant Israël serviteur de Dieu, Cerf, Paris 1983, GIOVANNI PAOLO II, Varcare la soglia della speranza, Arnoldo Mondadori, Milano 1994, 112. Il papa continua: «Forse attraverso ciò è diventato più simile al Figlio dell uomo, il quale, secondo la carne, era anche figlio d Israele» (ivi). Notiamo che la figura di Edith Stein, uccisa come ebrea, ma morta come ebrea cristiana, ha rivelato in modo singolare «l identificazione fatta da Dio stesso fra il popolo ebraico e il Messia crocifisso. È qui che il mistero d Israele raggiunge il mistero della croce». Cf. Y. DE ANDIA, «Mystiques d Orient et d Occident», in Spiritualité orientale 62, Abbaye de Bellefontaine, Bégrolles-en-Mauges 1994, Cf. VATICANO II, decr. Nostra aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, n. 4; EV 1/ «L incontro tra il popolo di Dio dell Antica Alleanza, mai revocato da Dio (cf. Rm 11,29), e quello della Nuova Alleanza». Ci si potrà tuttavia interrogare sulla legittimità del rinvio a Rm 11,29. La discussione che ne è seguita evidenzia delle divergenze nell interpretazione. Cf. A. VANHOYE, «Salut universel par le Christ et validité de l Ancienne Alliance», in Nouvelle Revue théologique 116 (1994), Cf. E. MAIN, «Ancienne et Nouvelle Alliances dans le dessein de Dieu. A propos d un article récent», in Nouvelle Revue théologique 118 (1996), Cf. M.R. MACINA, «Caducité ou irrévocabilité de la première Alliance dans le Nouveau Testament? A propos de la formule de Mayence», in Istina 41 (1996), , riprendendo uno studio effettuato all Oxford Centre for Hebrew and Jewish Studies. 44 Si tratta di una lettera scritta da Benedetto XVI il 12 novembre 2005 al card. Lustiger per incoraggiare l opera del p. Patrick Desbois, ossia la ricerca delle fosse comuni degli ebrei ucraini sterminati dalle pallottole dei nazisti. Il cardinale francese commentava queste parole alla sessione nazionale del Servizio dell episcopato francese per le relazioni con l ebraismo nel gennaio 2006: «La definizione della Chiesa deve comprendere nella nozione di popolo di Dio quell alterità che è il popolo ebraico». E sottolineava, per marcare l importanza di questo cambiamento teologico: «Lo afferma il magistero della Chiesa per l insieme della Chiesa cattolica, non un gruppo isolato ( ). Se non si ammette che l elezione del popolo ebraico continua, non si può comprendere l elezione del Messia così come la accetta il cristiano». Cf. B. TOSSERI, «La session nationale du Service pour les relations avec le judaïsme s est tenue à Lyon samedi 28 et dimanche 29 janvier», in La Croix Cf. «Patrick Desbois, le juste», in (la lettera del papa è citata in appendice). 45 GIOVANNI PAOLO II, «Allocuzione nella Sinagoga durante l incontro con la comunità ebraica della città di Roma», in Insegnamenti di Giovanni Paolo II IX/1 (1986), Il papa continuava: «Voi siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori». 46 L elezione d Israele è chiaramente un paradosso rifiutato dalla ragione astratta, il che dimostra a suo modo l antisemitismo di tipo voltairiano, come ricorda Jean-Marie Lustiger: si tratta di «un intolleranza in rapporto al fatto ebraico nella sua sostanza, nella sua potenza di rivelazione ( ) un rifiuto dell elezione divina, l odio di una singolarità religiosa originale, in quanto irrazionale, e quindi inaccettabile ( ). Anche l antisemitismo ufficiale sovietico è della stessa natura. Sono entrambi frutti del medesimo razionalismo e troppi cristiani hanno ceduto a esso» (J.-M. LUSTIGER, La scelta di Dio. Intervista rilasciata a J.-L. Missika e D. Wolton, Longanesi, Milano 1987, 77s). a cura di Marco Elefanti Non profit: dalla buona volontà alla responsabilità economica In questi ultimi decenni la crescita delle organizzazioni della società civile è stata notevole, sia in termini quantitativi, sia per il ruolo fondamentale che esse ricoprono nei processi di governance. Anche le realtà non profit sono tenute all accountability, ovvero a rendere conto delle proprie scelte agli stakeholder interni ed esterni. I contributi raccolti nel volume offrono spunti pratici per il governo degli enti non profit, al fine di valorizzare trasparenza e responsabilità dell azione. «Volontari perché» pp ,00 A p. 126: REMBRANDT, San Paolo in prigione, 1627 (part.). 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