Alberi caratteristici delle foreste e dei boschi

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1 Alberi caratteristici delle foreste e dei boschi L Arca della Biodiversità del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi e dell Appennino Romagnolo è un progetto finanziato dal Gal L Altra Romagna con la Misura 412 Az. 6 - Asse 4 Leader PSR Regione Emilia Romagna e cofinanziato dal Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi

2 LE FORESTE E I BOSCHI Il territorio del Parco delle Foreste Casentinesi è caratterizzato dalla presenza di foreste e boschi che ricoprono con grande continuità creste e vallate, estendendosi fino alle cime più elevate. I boschi non sono però tutti uguali, anzi è presente una notevole varietà di foreste differenziate per struttura, composizione delle specie arboree, influenza dell uomo. La foresta millenaria rappresenta l habitat dei boschi maturi, rappresentati dalle abetine artificiali, le faggete d alto fusto e i boschi misti di faggio e abete bianco. I boschi sub montani sono invece compagini in fase di evoluzione, di età più giovane e che I boschi sub montani sono invece compagini in fase di evoluzione, di età più giovane e che ha subito una maggiore influenza antropica: si tratta di castagneti, di querceti misti termofili (più caldi) a Roverella e querceti misti mesofili (più freschi) a Rovere e Cerro.

3 FAGGIO (Fagus sylvatica) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO Il Faggio domina l'orizzonte montano della foresta a partire dai m fino a m, che qui rappresenta il limite superiore del bosco; forma dei boschi puri oppure misti con altre specie quali l Abete bianco (abieti-faggeto), gli aceri (aceri-faggeto), i tigli (tilio-faggeto) ETIMOLOGIA Il nome generico latino Fagus sembra tragga origine dal greco phāgó (io mangio), ad indicare la commestibilità dei frutti (faggiole); il nome specifico sylvatica deriva da l latino sylva (che vive nei boschi). DESCRIZIONE Albero caducifoglio a portamento maestoso di altezza variabile tra 30 e 40 m. Tronco cilindrico, robusto con corteccia liscia di colore grigio. Le foglie sono intere, con margine cigliato; durante la stagione autunnale perdono il colore verde fino ad assumere tonalità bronzee. Nei fiori i sessi sono separati; quelli maschili sono riuniti in amenti penduli, mentre quelli femminili sono riuniti a coppie, protetti da un involucro chiamato cupola. I frutti, detti faggiole, sono protetti da una cupola legnosa che si apre una volta che i semi hanno raggiunto la maturità

4 FAGGIO (Fagus sylvatica) UTILIZZI Il legno del Faggio, rigido e resistente, viene impiegato per costruire mobili e oggetti per uso domestico ed è pure ottimo da ardere e per ottenere carbone. Dal seme essiccato e macinato si ottiene dell olio utilizzabile come condimento. Il frutto (faggiola) è molto ricco di sostanze grasse e rappresenta un ottimo alimento per diverse specie selvatiche della foresta; se tostate possono essere usate come surrogato del caffè. IMPORTANZA FORESTALE La famiglia delle Fagacee a cui il Faggio appartiene, comprende altre importantissime specie forestali che caratterizzano i boschi dell Appennino Romagnolo: le querce e il castagno. Il Faggio è impiegato in foresta, assieme ad altre latifoglie, nei rinfoltimenti delle radure delle abetine pure allo scopo di favorire il ripristino del bosco originario.. Esistono due principali tipi di sfruttamento del bosco di Faggio: la fustaia che prevede di lasciare sviluppare per parecchi anni gli esemplari ad alto fusto, oppure il ceduo che prevede il taglio periodico del bosco.

5 ACERO DI MONTE (Acer pseudoplatanus) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO L Acero di monte è diffuso in tutto l orizzonte montano; alle quote superiori si trova nelle faggete miste assieme all abete bianco e al sorbo degli uccellatori, mentre alle quote inferiori è inserito nel bosco misto di latifoglie decidue. ETIMOLOGIA Il nome generico latino Acer (aspro, duro) indica la consistenza del legname; il nome specifico pseudoplatanus ricorda che la sua corteccia tende a staccarsi in grandi placche come succede nel platano. DESCRIZIONE Pianta ad alto fusto che può raggiungere un altezza di m e un diametro del tronco di 3,5 m; la corteccia è inizialmente grigia o giallastra per poi tendere al rossastro e. Le foglie sono pentalobate con lobi poco acuti e un margine debolmente dentato, verde scuro sopra e chiare sotto. Sono opposte, di circa cm in lunghezza e larghezza, con un picciolo molto lungo. I fiori appaiono dopo la comparsa delle foglie, sono riuniti in pannocchie pendule, con peduncolo e 5 petali giallo-verdi; il frutto è una doppia samara.

6 ACERO DI MONTE (Acer pseudoplatanus) IMPORTANZA FORESTALE L Acero di monte tende a svilupparsi naturalmente, grazie alle sue doppie samare, all interno delle radure delle abetine che si formano in seguito all abbattimento di piante schiantate a causa di eventi meteorici (galaverna e vento) oppure seccatesi a causa di attacchi parassitari (insetti scolitidi, marciume radicale). All interno del parco sono presenti numerosi esemplari monumentali, alcuni dei quali raggiungono i 4,5 metri di circonferenza. UTILIZZI Il legno, duro ed elastico, è il più pregiato tra quello degli aceri, per cui questo albero è spesso coltivato in impianti di arboricoltura da legno, che viene impiegato per fabbricare tavole, parquet, strumenti musicali, sculture e lavori al tornio. È un albero utilizzato anche a scopo ornamentale. Le foglie sono un buon foraggio per pecore e capre.

7 ABETE BIANCO (Abies alba) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO L Abete bianco forma boschi puri artificiali oppure boschi misti con Faggio e altre latifoglie, a partire da circa 950 m fino al crinale dove tende a essere sostituito dal Faggio. ETIMOLOGIA Il nome generico Abies era già in uso presso i Romani e forse deriva dal greco abios (longevo), forse anche in riferimento alla grande altezza dell albero; il nome specifico alba (bianco) si riferisce alle due linee stomatiche bianche sulla pagina inferiore della foglia o al colore della scorza, più chiara di quella dell'abete rosso. DESCRIZIONE L Abete bianco può raggiungere anche i 60 metri di altezza e i 3 metri di diametro. Ha portamento eretto, colonnare. Le foglie aghiformi, piatte e disposte su entrambi i lati del rametto, sono caratterizzate da due linee stomatiche bianche poste sulla pagina inferiore, costituite da un intricato insieme di peluzzi aventi la funzione di limitare la traspirazione. Le pigne, di forma quasi cilindrica, hanno squame fittamente embricate (sovrapposte) che cadono con i semi a maturazione. In questo modo lasciano scoperto l asse centrale che appare simile ad una candela; per questa caratteristica l abete bianco era considerato nella tradizione nordica come il simbolo del Natale, oggi sostituito dall abete rosso.

8 ABETE BIANCO (Abies alba) UTILIZZI Il legno, di colore chiaro e con poca resina, è leggero, tenero ed elastico, adatto alla costruzione di travi, mobili, lavori di carpenteria, imballaggi e pannelli. In passato i tronchi colonnari erano usati per le alberature navali; oggi il legno si usa anche nella produzione di pasta da cellulosa. IMPORTANZA FORESTALE La diffusione della abetine seminaturali ha una storia millenaria, che risale ai tempi dei primi insediamenti camaldolesi, con i monaci che ne erano i custodi e i coltivatori. Altre figure fondamentali per la cura di questo albero sono state l'opera del Duomo di Firenze, che impiegò il legname per la costruzione di Santa Maria del Fiore e rifornì i cantieri di Pisa e Livorno per le costruzioni navali ed il forestale boemo Karl Simon chiamato dal Granduca Leopoldo II per gestire le foreste verso la metà dell'800. Da segnalare la presenza di alcuni patriarchi, notevoli per età e dimensioni come ad es. gli abeti del Porticciolo in Campigna e l'abetone della Lama.

9 ACERO RICCIO (Acer platanoides ) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO L Acero riccio ha una distribuzione sporadica nei boschi di latifoglie misti mesofili, umidi e riparati, dall orizzonte sub montano fino alla base di quello montano. ETIMOLOGIA Il nome generico latino Acer significa appuntito/acuto, forse per la forma dei denti fogliari della specie, oppure in riferimento al fatto che il legno di alcune specie europee, molto compatto ed elastico, era usato per la fabbricazione di lance; il nome specifico platanoides allude alla somiglianza delle foglie con quelle del platano. DESCRIZIONE Raggiunge mediamente un'altezza di 20 metri e talvolta si può spingere fino a 30 m. Il tronco è slanciato e dritto, la chioma inizialmente piramidale diventa ovale con l'età; la corteccia è liscia negli alberi giovani, bruno-grigiastra, mentre nella pianta adulta aumenta di spessore e si fessura, senza tuttavia staccarsi in placche. Le foglie sono di colore verde chiaro su entrambe le pagine, con 5-7 lobi divisi da seni poco profondi, allargati, arrotondati; i lobi terminano con una punta acuta, leggermente ricurva, per questo Acero riccio. I fiori sono glabri e di colore giallo-verdastri, con 8 stami, compaiono prima delle foglie. Il frutto è una disamara (doppia samara) con ali divergenti fino a quasi opposte.

10 ACERO RICCIO (Acer platanoides ) IMPORTANZA FORESTALE L Acero riccio ha una notevole importanza dal punto di vista conservazionistico e biogenetico. Inoltre è dotato di un bel legname che ha gli stessi pregi del più frequente acero montano, rispetto a cui possiede un minor accrescimento e sviluppo in altezza. In foresta è impiegato nel rinfoltimento delle radure delle abetine pure insieme ad altre latifoglie ; le giovani piante sono soggette a cure colturali da parte dell uomo per favorire il loro accrescimento. UTILIZZI La cultivar 'Crimson King', dal fogliame arrossato, è una delle più note e utilizzate a scopo ornamentale. Il legno, come quello degli altri aceri europei, è duro, compatto e flessibile; si utilizza per tavole, mobili, pannelli, strumenti musicali, lavori al tornio.

11 FRASSINO MAGGIORE (Fraxinus excelsior ) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO Cresce in boschi ripariali di latifoglie decidue e in forre umide, su suoli freschi e profondi, ricchi in humus; In alcune aree del versante romagnolo, caratterizzate da particolari condizioni microclimatiche, la specie si inserisce nella zona dell abieti-faggeto, assieme al tiglio selvatico, all'acero riccio, all'acero opalo e all'olmo montano. Una tale compresenza di specie arboree è molto rara per gli Appennini, tanto da rappresentare un fenomeno isolato e relittuale. ETIMOLOGIA il nome generico Fraxinus, già utilizzato da Plinio il Vecchio, deriva dal greco frasso (difendo), forse per l'uso del cugino orniello come pianta per siepi; il nome specifico excelsior (maestoso) si riferisce al grande sviluppo della chioma. DESCRIZIONE Il Frassino maggiore può raggiungere anche i 40 m di altezza; ha il fusto dritto e cilindrico con corteccia prima liscia e olivastra, successivamente grigio-brunastra e screpolata longitudinalmente. Le foglie sono formate da 4-7 paia di foglioline opposte e finemente seghettate di colore verde cupo, lucente sulla pagina superiore e più chiare su quella inferiore. I fiori piccoli sono di colore verdastro, riuniti in infiorescenze a pannocchia e compaiono prima delle foglie. Il frutto è una samara lunga 3-4 cm a maturazione, bruno chiaro.

12 FRASSINO MAGGIORE (Fraxinus excelsior ) IMPORTANZA FORESTALE Il Frassino maggiore è una pregevolissima latifoglia nobile, una specie ad alto interesse naturalistico, biogenetico ed economico in particolare per l'arboricoltura da legno: viene governata a fustaia con turni di anni, raramente a ceduo. E una delle principali specie utilizzate nei rinfoltimenti delle radure delle abetine pure e nelle faggete; viene favorita come specie nei tagli di conversione dei boschi cedui all alto fusto. UTILIZZI Il legno, molto pregiato, di colore bruno chiaro con riflessi lucidi, elastico e di facile lavorazione, viene utilizzato per la fabbricazione di remi, sci, racchette da tennis, mazze da golf, stecche da biliardo, mobili, ecc. Talvolta la specie viene utilizzata come albero ornamentale in parchi e giardini. Fiori, foglie, resina e corteccia vengono usati in fitoterapia per le proprietà febbrifughe, emollienti, astringenti, toniche, diuretiche. Le foglie anticamente erano usate come foraggio per gli animali. Essendo uno tra gli alberi a più rapido accrescimento, viene largamente usato nelle alberature stradali, nei parchi, nei giardini e nei rimboschimenti.

13 TIGLIO NOSTRALE (Tilia platyphyllos ) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO Il Tiglio nostrale si colloca sia nella fascia vegetazionale submontana e collinare, ma si rinviene anche nelle porzioni inferiori di quella montana. La specie è costituente fondamentale del Tilio-Acerion, una particolare associazione vegetale di grande valore conservazionistico, a prevalenza di acero montano, olmo montano, acero riccio, acero opalo, frassino e tiglio nostrano. ETIMOLOGIA Il nome generico Tilia deriva dal greco ptilon (ala), in riferimento alla forma delle brattee; il nome specifico platyphyllos (a foglie ampie) si riferisce all estensione della lamina fogliare. DESCRIZIONE Albero maestoso che raggiunge i 40 m di altezza e i 2 m di diametro del tronco. La corteccia è grigio scuro finemente fessurata; con l età forma strette e lunghe placche, spesso macchiate di licheni. Le foglie sono a forma di cuore e a margine dentato, con una riconoscibile base asimmetrica, leggermente vellutate sulla pagina superiore, con peli bianchi su quella inferiore. I fiori sono penduli in gruppi di 2-5, molto profumati con petali bianco-giallognoli. I frutti sono nucule, simili a noci di piccole dimensioni.

14 TIGLIO NOSTRALE (Tilia platyphyllos ) UTILIZZI Il legno tenero ed elastico viene impiegato per lavori artigianali di intaglio e tornio, e per realizzare piccoli utensili. Il tiglio è noto principalmente per le proprietà mellifere. I fiori e le brattee essiccati, sono usati in erboristeria per la realizzazione di tisane calmanti/emollienti e infusi. I Romani utilizzavano la scorza, tagliata in strisce, seccata e successivamente macerata, per ricavarne delle fibre usate nella fabbricazione di corde, tessuti e nella preparazione delle 'vincula tiliae', bende per fasciare le ferite. IMPORTANZA FORESTALE È un albero longevo che può vivere fino a più di 1000 anni. Non sempre è facile distinguere il tiglio nostrale dal Tiglio selvatico (Tilia cordata) e da altri tigli esotici introdotti per alberature stradali e nei giardini anche perché queste specie possono ibridarsi tra loro creando individui con caratteristiche intermedie. La maggior parte degli esemplari di interesse monumentale non sono stati rinvenuti in bosco ma in aree antropizzate, come il Viale del Granduca a Campigna, o l'arboreto Siemoni.

15 CERRO (Quercus cerris ) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO Il Cerro è diffuso nella fascia submontana e collinare arrivando al limite inferiore della fascia montana; si trova associato, ad altre latifoglie come Roverella, Castagno e Carpino nero. ETIMOLOGIA Il nome generico Quercus già in uso presso gli antichi, sembra avere una duplice origine: celtica da kaer e quer (bell'albero), cioè 'l'albero per eccellenza', e greca riferito alla rudezza del legno delle piante di questo genere; anche il nome specifico è di etimologia incerta. DESCRIZIONE Grande quercia che predilige suoli argillosi, raggiungendo anche i 35 m di altezza e 1 m di diametro. Ha tronco dritto e slanciato; la corteccia nei primi anni è grigia e liscia, ma successivamente presenta scanalature profonde e verticali interrotte da solchi trasversali e uno spesso strato di sughero rugoso di colore grigio scuro. Le foglie oblunghe e arrotondate alla base, sono profondamente lobate, quasi a toccare la nervatura centrale, mediamente lunghe da 6 a 11 cm. La ghianda è attaccata e protetta fino alla metà da una cupola emisferica, formata da peluria riccioluta di colore bruno-giallino..

16 CERRO (Quercus cerris ) IMPORTANZA FORESTALE Il Cerro predilige suoli profondi e argillosi con buona disponibilità idrica. In genere la fascia di distribuzione del cerro confina superiormente con quella della faggeta, solitamente sui 900 m di altitudine; però questo limite può essere ampiamente superato dalla cerreta se si trovano substrati argillosi che costituiscono un limite alla diffusione del faggio. Un bell esempio è costituito dall estesa cerreta che si estende dalla Carpegna fino ai rilievi di Sasso Simone e Simoncello che arriva fino a 1100 m di quota. UTILIZZI L impiego principale è quello del legno come legname da ardere; il legno è anche usato per fare traversine ferroviarie, doghe per botti e raggi per ruote; le ghiande hanno un alto contenuto in tannini che le rendono amare, e quindi non appetibili per il bestiame.

17 ROVERELLA (Quercus pubescens ) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO La Roverella è ampiamente diffusa in tutte le aree collinare e submontane ETIMOLOGIA Il nome generico Quercus già in uso presso gli antichi, sembra avere una duplice origine: celtica da kaer e quer (bell'albero), cioè 'l'albero per eccellenza', e greca riferito alla rudezza del legno delle piante di questo genere; quello specifico pubescens si riferisce alla caratteristica pelosità delle foglie. DESCRIZIONE La Roverella è un albero di taglia media, inferiore alle altre querce del gruppo, mediamente di m di altezza ma con diametri del tronco notevoli, anche 2-2,5 m. Ha fusto normalmente corto e anche sinuoso che porta una chioma ampia e globosa. La corteccia presenta solchi profondi e divisi in placche rugose molto dure. Le foglie alterne e semplici, normalmente a profilo ovale allungato, presentano 5-6 lobi più o meno profondi; di colore verde grigiastro, con parte inferiore pelosa. I fiori maschili sono presenti su amenti pendenti e pelosi, che si formano alla base del rametto in crescita, mentre i fiori femminili con stimmi verdastri si trovano all'ascella delle foglie, così chiamato il punto in cui il picciolo è attaccato al fusto..

18 ROVERELLA (Quercus pubescens ) IMPORTANZA FORESTALE La Roverella è un albero deciduo dell'europa meridionale presente in tutte le regioni d'italia. Cresce in boschi termofili aperti di latifoglie decidue, sia su calcare che su arenarie ricche in basi, su suoli argillosi neutro-basici, subaridi d'estate, con optimum nella fascia submediterranea. E una specie eliofila (amante del sole), rustica e frugale, che ha notevole capacità pollonifera; forma boschi aperti e luminosi e predilige i substrati marnoso arenacei. UTILIZZI Il legno, molto durevole, trova impiego nella costruzione di traversine ferroviarie e in passato veniva usato per travature, costruzioni navali, etc.; l'infuso della corteccia e dei giovani rami era utilizzato nella medicina tradizionale come astringente e febbrifugo. Le ghiande hanno avuto molti impieghi, dall'alimentazione dei suini all'uso come surrogato del caffè.

19 ORNIELLO (Fraxinus ornus ) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO L Orniello si trova nella fascia submontana e collinare dove costituisce querceti e boschi misti sia xerofili che mesofili. Si trova soprattutto nelle zone di pendio in boschi e foreste, in consociazione con il carpino a formare gli ornio-ostrieti. ETIMOLOGIA Il nome generico Fraxinus, già utilizzato da Plinio il Vecchio, deriva dal greco 'frasso' (difendo), forse per l'uso dell'orniello come pianta per siepi; il nome specifico ornus è quello usato per la pianta dai Romani. DESCRIZIONE E un albero di piccole dimensioni, di 8-10 metri di altezza con chioma tondeggiante, fusto solitamente diritto e corteccia grigio-cinerina. Le foglie sono verde opaco, opposte di forma lanceolata, con margine dentellato-seghettato.i fiori sono riuniti in pannocchie bianche, molto abbondanti e profumate; i frutti sono samare..

20 ORNIELLO (Fraxinus ornus ) IMPORTANZA FORESTALE L Orniello è una specie interessante in quanto resistente a condizioni climatiche difficili, adatta quindi al rimboschimento di terreni aridi e siccitosi come specie pioniera poiché riesce a vegetare su terreni rupestri e con scarsissimo terreno. Si trova frequentemente assieme al carpino nero in aree dove per cause antropiche passatesi è avuto un eccesso di ceduazione che ha portato alla degradazione del substrato. Il periodo di fioritura è in primavera inoltrata e il polline di questa pianta è considerato allergenico, ragion per cui viene costantemente monitorato nell ambito dei bollettini pollinici. UTILIZZI In Italia meridionale la linfa è utilizzata per la produzione della manna, sostanza zuccherina contenente mannite con deboli proprietà lassative, che viene estratta con incisioni praticate nella corteccia e lasciata rapprendere all'aria.

21 CARPINO NERO (Ostrya carpinifolia ) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO Il Carpino nero è diffuso nella fascia submontana e collinare, preferibilmente nelle porzioni mesofile in cui diventa una delle specie prevalenti dei boschi misti di latifoglie; nelle zone di pendio in boschi e foreste si trova in consociazione con l orniello a formare gli ornoostrieti. ETIMOLOGIA Il nome generico Ostrya in greco significa ostrica, per la forma a valva delle brattee che racchiudono i semi; quello specifico carpinifolia si riferisce alla forte somiglianza delle foglie con quelle del carpino bianco. DESCRIZIONE E un albero non molto alto, a volte a portamento arbustivo, che raggiunge metri, con chioma raccolta e conica. La corteccia è bruno-rossastra negli alberi giovani, con presenza di molte lenticelle orizzontali biancastre, marroni-grigiastre in fusti adulti. Le foglie sono ovali-lanceolate, vellutate al tatto, con picciolo breve e margine finemente seghettato. I frutti sono a grappolo e di colore bianco/verde..

22 CARPINO NERO (Ostrya carpinifolia ) IMPORTANZA FORESTALE Il Carpino nero è una specie eliofila rustica e frugale, con notevole propensione all adattabilità; ha carattere pioniero e tende a colonizzare i suoli dopo il passaggio di incendi boschivi o i suoli superficiali e primitivi. UTILIZZI Il maggior impiego era quello come combustibile, sia come legna da ardere che per la produzione di carbone; per questo veniva governato a ceduo da cui si ottenevano anche pali per sostenere le viti. Il legname, pur essendo poco durevole, era apprezzato per l'elasticità e la fibratura e usato per la costruzione di attrezzi o pezzi di macchinari soggetti a sforzo. Un uso particolare era la produzione di bottoni. Con la corteccia si tingevano i tessuti stabilmente in varie tonalità di arancione, rosso e rosa. In alcune regioni italiane le foglie sono ancor oggi impiegate per l'alimentazione del bestiame.

23 MAGGIOCIONDOLO (Laburnum anagyroides ) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO La specie è diffusa soprattutto alle quote inferiori, soprattutto nella zona dei boschi misti mesofili, dove può formare anche piccoli gruppi. Alle quote superiori, invece, la si rinviene con singoli individui sparsi che, man mano si sale di quota, vengono sostituiti dal Maggiociondolo alpino (Laburnum alpinum). ETIMOLOGIA Il nome generico Laburnum era già in uso presso i Romani e si pensa derivi dall'aggettivo latino alburnum (legno bianco), riferendosi al colore del legno; il nome specifico significa simile all'anagiride un arbusto a distribuzione mediterranea sempre appartenente alla famiglia delle leguminose DESCRIZIONE Piccolo albero o arbusto di 5-10 m di altezza, con chioma irregolare e dal portamento espanso tendenzialmente in verticale. Il tronco è eretto con corteccia verde-marrone, liscia. Le foglie sono lunghe fino a 6 cm, alterne, trifogliate, ellittiche, con margine intero; la pagina superiore è glabra, quella inferiore è pelosa e verdeargentata. I fiori molto profumati sono riuniti in gruppi penduli, lunghi fino a 25 cm, con calice campanulato verde con 5 denti; la corolla giallo-oro ha il petalo superiore di dimensioni maggiori, screziato di colore rosso-brunastro. I frutti sono legumi piatti e pelosi che contengono molti semi bruni e velenosi.

24 MAGGIOCIONDOLO (Laburnum anagyroidea) UTILIZZI Tutte le parti della pianta, soprattutto semi e foglie, contengono un alcaloide tossico (neurotossina), la citisina, che paralizza i centri nervosi provocando avvelenamenti anche mortali; alcuni animali selvatici, come lepri, conigli e ungulati, possono tuttavia cibarsi di questi semi, e per questo è ritenuta una pianta magica in alcune tradizioni. La pianta è spesso usata a scopo ornamentale per le belle infiorescenze pendule che si sviluppano nel mese di maggio; il legno si conserva bene e trova uso nella paleria, ma anche per lavori al tornio e pavimenti.. IMPORTANZA FORESTALE Il Maggiociondolo è una specie generalmente eliofila e frugale; trova il suo principale impiego nel consolidamento di scarpate e pendii come specie pioniera poiché riesce a vegetare bene anche in aree rupestri e accidentate. Come altre specie di Leguminose sviluppa delle micorrize, associazioni create tra la pianta e una colonia di batteri, da cui gli organismi traggono reciproco vantaggio e permettono di arricchire il suolo di azoto atmosferico, fissato dai batteri all interno di piccoli noduli che si sviluppano nelle radici della pianta.

25 CILIEGIO SELVATICO (Prunus avium) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO Si localizza prevalentemente alle quote inferiori, nella fascia submontana e collinare delle querce caducifoglie, ma è possibile rinvenire qualche singolo individuo anche all'interno della faggeta. ETIMOLOGIA Il nome generico Prunus, già in uso presso i Romani, deriva dal greco prunon, che significa susino o prugna; quello specifico avium in latino significa degli uccelli. Quindi la volgarizzazione potrebbe riassumersi in il susino degli uccelli. DESCRIZIONE E un albero medio a rapido accrescimento, con tronco slanciato e chioma piramidale, più tondeggiante con l età. La corteccia è rosso-bruno scuro con grosse lenticelle allungate e appiattite orizzontalmente. Le foglie sono alternate, ovoidali, lunghe 7-14 cm, di un verde brillante nella parte superiore e una punta acuminata. Il picciolo, lungo 2-3,5 cm, porta da due a cinque piccole ghiandole nettarifere di colore rossiccio. Il fiore tipico da Rosacea (famiglia a cui appartiene il ciliegio, ma anche la rosa selvatica) è bianco, composto da 5 petali e riunito in ombrelle che attirano un gran numero di insetti. Il frutto è una drupa carnosa, dal sapore molto dolce (ciliegia)..

26 CILIEGIO SELVATICO (Prunus avium) IMPORTANZA FORESTALE Il Ciliegio selvatico è un albero deciduo oggi divenuto sub-cosmopolita per coltivazione in diverse varietà; l'areale originario dovrebbe essere il territorio che va dal Caucaso ai Balcani; secondo alcuni autori che si rifacevano agli scritti di Plinio, l'ingentilimento e la messa a coltura sono iniziati nell'asia occidentale; tuttavia, i semi sono stati trovati in depositi archeologici presso insediamenti dell'età del bronzo antico in tutta Europa, compresa la Gran Bretagna, oppure presso Desenzano del Garda e Lonato. Il sapore dolce e gustoso dei frutti attira gli uccelli ma anche mammiferi, che disperdono il seme nei loro escrementi. UTILIZZI Si coltiva per il frutto fresco o da conservare in alcool, come pianta ornamentale, per la ricca fioritura primaverile e per l'aspetto che acquisisce in autunno con l'ingiallimento delle foglie, oppure per il legname. Il legno è duro, a grana uniforme, dalle tonalità calde, bruno-rossicce, e si presta per la costruzione di mobili di pregio e lavori al tornio. Le foglie contengono una sostanza colorante viola.la sua presenza in radure completamente rimboschite, è la testimonianza di un antico presidio dell'uomo in questi territori.

27 CASTAGNO (Castanea sativa) DISTRIBUZIONE NELL APPENNINO ROMAGNOLO Essenza tipica della fascia vegetazionale submontana e collinare, si colloca preferibilmente nelle porzioni più mesofile, dove diventa una delle costituenti principali del bosco misto di latifoglie decidue con Cerro, Roverella, Carpino nero e Carpino bianco, Acero opalo, Acero montano, Faggio e Orniello. Fortemente favorito dall'uomo, è stato impiantato anche in zone non adatte. ETIMOLOGIA Il nome generico Castanea deriva dal greco kástanon (castagna), da Kastanáia, un villaggio della Tessaglia; il nome specifico sativa significa coltivato e fa riferimento alla sua diffusa coltivazione. DESCRIZIONE Grande albero molto longevo, che può superare i 500 anni di vita. il portamento è maestoso e può raggiungere in condizioni ottimali i metri di altezza e notevole diametro del tronco. La corteccia è grigio-bruna, con profondi solchi verticali; le foglie sono disposte a spirale, con contorno ellittico-lanceolato e margine seghettato. La pagina superiore delle foglie estive è liscia, lucida, di color verde intenso. I fiori sono amenti penduli e finemente pelosi: il frutto è una castagna, racchiusa in gruppi di 2-3 all interno di un involucro spinoso chiamato riccio..

28 CASTAGNO (Castanea sativa ) UTILIZZI La massima diffusione dei castagni si ebbe nel Medioevo grazie agli ordini monastici che lo utilizzavano per le castagne e il legname. Per molti secoli ha assunto il ruolo di alimento primario per le popolazioni contadine delle regioni montane, diventando 'l'albero del pane'. Le castagne, ricche di amido e zuccheri, sono consumate fresche, secche o ridotte in farina. Oggi sono molto richieste le varietà di grandi dimensioni, dette 'marroni', usate per la preparazione di marmellate e marrons glacés. Il legname è apprezzato a causa dell elasticità e compattezza per paleria, falegnameria, mobili, travi, botti, ecc. e a volte è usato per la produzione di cellulosa al solfato. Legno e corteccia venivano usati per la concia delle pelli, a causa dell'elevato contenuto in tannini. IMPORTANZA FORESTALE Il Castagno è un albero originario dell Europa sudorientale e dell Asia occidentale, forse introdotto con il noce in epoca preromana; oggi presente in tutte le regioni d Italia ebbe la massima diffusione nel Medioevo grazie agli ordini monastici che lo utilizzavano per le castagne e il legname.. Da alcuni anni è attaccato dal cinipide galligeno del castagno, Dryocosmus kuriphilus, proveniente dalla Cina, contro cui si sta effettuando, in tutta Italia, la lotta biologica con un suo antagonista, il Torimus sinensis, proveniente dalle stesse regioni di origine, che depone le proprie uova nelle larve del primo, uccidendole.

29 AMBIENTI FORESTALI DI INTERESSE CONSERVAZIONISTICO Ai sensi delladirettivahabitat (92/43/CEE), si definiscono habitat naturali quelle zone terrestri o acquatiche che si distinguono in base alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, interamente naturali o seminaturali. Tra tutti gli habitat considerati, alcuni sono habitat di interesse comunitario (indicati nell'allegato I della Direttiva), definiti come habitat naturali che nel territorio dell'unione europea, alternativamente: rischiano di scomparire nella loro area di distribuzione naturale; hanno un'area di distribuzione naturale ridotta a seguito della loro regressione o per il fatto che la loro area è intrinsecamente ridotta; costituiscono esempi notevoli di caratteristiche tipiche di una delle regioni biogeografiche alpina, atlantica, continentale, macaronesica e mediterranea. Questi habitat sono considerati prioritari poichè più di altri rischiano di scomparire; per questi l'unione Europea dedica delle specifiche misure di tutela e conservazione.

30 AMBIENTI FORESTALI DI INTERESSE CONSERVAZIONISTICO Gli habitat forestali di interesse comunitario indicati nell Allegato I della Direttiva Habitat, presenti all interno dei Siti del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi sono numerosi. Di seguito l elenco degli habitat riferiti alla foresta millenaria e al bosco submontano: TILIO ACERION: è una particolare associazione vegetale di grande valore conservazionistico, che riunisce i boschi mesofili delle valli strette e profonde, con tigli e Acero montano prevalenti, Olmo montano, Acero riccio, Acero opalo, frassino e Tiglio nostrale. Localizzata nelle zone di forra e nei valloni incassati. BOSCHI DI CASTAGNO: Si tratta di formazioni forestali (anche curate e coltivate) dominate dal Castagno, con sottobosco seminaturale, di origine antropica, frequenti nell area collinare e basso-montana. Sono compresi anche i castagneti governati a ceduo, talora derivati dal rimboschimento spontaneo e/o dalla modificazione della forma di governo di castagneti da frutto abbandonati. Negli ex-castagneti da frutto, solitamente molto vecchi e per lo più in fase di abbandono, possono essere presenti esemplari di grandi dimensioni, elemento di diversificazione ambientale importantissimo, in quanto habitat insostituibile per molte specie animali.

31 AMBIENTI FORESTALI DI INTERESSE CONSERVAZIONISTICO FAGGETE APPENNINICHE CON TASSO E AGRIFOGLIO: Faggete termofile molto frammentate, in cui sono presenti molte specie endemiche, con Taxus baccata e Ilex aquifolium. Sull Appennino romagnolo l habitat incontra il limite ecologico e latitudinale alla sua distribuzione. Questo spiega la scarsa numerosità di individui di Taxus baccata e Ilex aquifolium che risultano sempre subordinati al Faggio, sia nello strato arboreo dominato che in quello arbustivo alto; questo habitat è presente ad nella Riserva Integrale di Sasso Fratino ed in buona parte della Foresta di Campigna,

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