Nelle terre dei Giganti

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1 Nelle terre dei Giganti di Giuseppe Alberto Centauro A narrare il mutare delle forme in corpi nuovi mi spinge l'estro. O dei, se vostre sono queste metamorfosi, ispirate il mio disegno, così che il canto dalle origini del mondo si snodi ininterrotto sino ai miei giorni. (Ovidio, Metamorfosi, lib. I) Aquila reale in volo Elba, terra primigenia d eccellenza. Sulle rive acciottolate dell isola si sono trovati speciali approdi per lontanissime etnie postdiluviane, uomini possenti tanto da apparire ai posteri come semidei estintisi già al principio del II millennio avanti Cristo. Questi primi colonizzatori, attratti sull isola dai giacimenti minerari e dalla particolare geomorfologia dei luoghi, erano certamente navigatori, esperti esploratori ed abili cercatori di metalli. D altronde questa non è la sola nota distintiva dei primi pionieri alla scoperta dell Elba: il mediterraneo fin dalla preistoria è stato teatro di continue e capillari peregrinazioni ripetutesi per tutta la periodizzazione dell età dei metalli. Tuttavia, questi primi abitanti dell isola, si distinguono in modo particolare da tutti gli altri che seguiranno per i loro peculiari caratteri genetici che li distinguono in modo netto dai ceppi indoeuropei e semitici. Studiando l alveo antropologico delle culture indigene pre-ittite dell area anatolica si può ritenere, per comparazione su testimonianze archeologiche, che le avanguardie di queste genti potessero essersi insediate nell arcipelago toscano, come pure nell entroterra minerario dell Etruria, nel Cilento e in alcune aree della Sardegna. Possiamo ipotizzare con relativa certezza che questi uomini provenissero dalle coste nord occidentali del Mare Egeo e dalle regioni sud orientali del Mar Nero. In particolare, come sembrerebbe accertato confrontando riti e modalità di inumazione dei morti, troviamo che altre loro terre d insediamento sono state le isole Cicladi e, più in generale, gli altopiani delle regioni egeo-anatoliche dove si viveva la natura come in una sorta di eden. Queste lontane stirpi umane, di naviganti ed abili metallurgi appartengono cronologicamente a quella delicatissima fase evolutiva della civiltà umana che sta a cavallo tra l eneolitico e le prime età dei metalli, dal rame al bronzo antico I-IV. Possiamo anche affermare che queste lontane discendenze siano state artefici delle colonie umane primarie, identificate nei luoghi occupati ab origine, avvertendone la loro presenza già sul finire del V millennio avanti Cristo. Nell Italia Centrale hanno occupato le regioni peninsulari interne caratterizzate da peculiare idrogeomorfologia, ad esempio l area tosco umbro - laziale degli altopiani tufacei, come pure le rigogliose terre delle colline metallifere e per l appunto le meravigliose isole dell arcipelago toscano da Montecristo a Capraia, in primis l Elba e Pianosa.

2 Affascina di questi individui lo stretto legame instaurato con la natura fisica dei vari luoghi divenuti sedi del loro insediamento, nonchè le memorie leggendarie del loro passaggio ben radicate nella mitologia greca e sopravvissute nell indiretta ma non casuale sovrapposizione con il mondo etrusco che si realizzerà postuma, a distanza di 10 secoli dalla loro scomparsa. Un popolo misterioso e dominante legato al culto della Grande Dea che ha saputo, se così si può dire, costruire il proprio sapere, così come quello etrusco, attraverso la conoscenza empirica; una profonda concezione animista basata sull osservazione dei fenomeni naturali intesi come motori della storia da interpretare ed accettare, quindi attraverso una profonda conoscenza prescientifica della geografia terrestre. Si tratta, in definitiva, di genti votate al culto del trascendente, delle forze cosmiche immanenti. Uomini dediti devozionalmente alla pastorizia, attività mai disgiunta dalla sacralità dei gesti e ragione di inesauribili ricchezze, come fonti perenni alle quali attingere. Sappiamo anche che il loro ciclo evolutivo si è spento lentamente, infine sopraffatto dalle bellicose ondate dei nuovi popoli venuti dal mare, demograficamente preponderanti e vogliosi di appropriarsi dei segreti che loro custodivano. Ben poco d altro ci è dato di conoscere, possiamo tuttavia sottolineare il fatto che gli studi antropologici ed archeologici su famiglie isolate di gruppi ed individui siano iniziati in Italia, a partire dal ritrovamento del 1903, di una serie di sepolture disposte entro grotticelle artificiali. Questi primi reperti sono stati rinvenuti nell Alto Viterbese nella località di Rinaldone, divenuta identificativa e distintiva di una ben determinata facies culturale. Le inumazioni dei Rinaldoniani, si caratterizzavano infatti per la peculiarità dell apparecchiatura delle tombe, indubbiamente legata a rituali ilozoisti con particolari allestimenti del corredo funebre, costituito da eleganti vasi ceramici imbutiformi realizzati con uno speciale impasto di argille dal colore ambrato, da apparire nero lucido dopo la lavorazione. La forma a fiasco di questi recipienti ha reso facilmente riconoscibile e ben comparabile la loro tipizzazione. Dominatori del fuoco e delle acque, questi individui erano in grado di bonificare terre, forgiare il bronzo, creare giardini pensili, lavorare il vivo della roccia con i soli strumenti di pietra e fare incisioni a valenza simbolica con semplici utensili di rame, da cui l altra attribuzione di età calcolitica (dal gr. chalkòs = rame) data all età eneolitica. Analoga a quella Rinaldoniana fu la cosiddetta cultura del Gaudo, dal nome della località posta alla foce del Sele (vicino a Paestum), dove, nel 1944, fu scoperta una vasta necropoli. Stesse modalità di inumazione collegavano la cultura di Rinaldone e quella del Gaudo, con quei corpi deposti delicatamente come tanti feti ricomposti pietosamente nel grembo materno, all interno delle celle sepolcrali, ora ricavate nel vivo della roccia ora raccolte in recinti circolari ipogei e in grotte, al mito dei Giganti, di omerica memoria. Giganti geniali che le leggende avevano trasfigurato in esseri superiori dall aspetto mostruoso e selvaggio. Appare evidente il contrasto con l animo sensibile e l alto rango ravvisabile nei loro raffinati corredi funebri, laddove alla rozzezza imputabile alla forza fisica corrispondeva una gestualità sapiente. Caprili del Monte Capanne (foto D. Simoncini)

3 L isola d Elba, possiamo affermarlo sulla base di distinte segnalazioni e accertati ritrovamenti, conobbe lunghi secoli di civilizzazione dei Giganti, probabilmente ricompresi in un estensione temporale bimillenaria, potendone documentare la presenza come nei luoghi dell entroterra peninsulare dal al 1900 a.c. circa. Loc. Lo Spino, tomba protoetrusca (foto di D. Simoncini) Si è trattato di un età feconda vissuta dall uomo in una perfetta simbiosi e perdurante armonia con l ambiente naturale nel connubio realizzato con la configurazione geomorfologica delle terre occupate. I reperti rivenuti in molti luoghi elbani attestano quindi una prolungata permanenza temporale di questa stirpe, almeno fino a quando i destini dei Rinaldoniani, insediati sulle pendici del Monte Capanne e su varie altre alture rupestri dell isola, stavano ormai per compiersi e le tracce del loro plurisecolare dominio disperdersi per poi scomparire apparentemente nel nulla, confondendosi in una sorta di metamorfosi delle rocce da loro stessi calcate e devozionalmente incise. Nell isola Elba molti sono i luoghi che hanno restituito tracce rilevanti della loro presenza e molti altri, qualora si studiassero con continuità e il dovuto rispetto, potrebbero offrire preziose sorprese; si ricordano, tra gli altri, i siti archeologici di Colle Reciso, la grotta di San Giuseppe, vicino a Rio Marina, e le miniere della costa sud-orientale. Altrove cacciatori di tesori e profanatori di tombe, ma anche disattenti archeologi che interessati più ai corredi delle loro tombe che a studiarne l habitat, hanno obliterato in modo spesso irreversibile molti segni dei loro insediamenti. Tutto sarebbe andato perduto per sempre se non fosse per le pazienti ricostruzioni di coraggiosi ed illuminati studiosi che, guardando al di là del mero scasso delle sepolture, hanno compreso l importanza della loro presenza al fine di risalire alle origini dell insediamento umano e di comprendere tutto il profilo evolutivo della colonizzazione elbana dalle origini fino agli etruschi ed oltre. Tuttavia i segni ancora impressi nella struttura rupestre dei luoghi, negli anfratti granitici del Monte Capanne, nell area tutt intorno ai monti Giove e Perone, nei giacimenti costruiti postumi da altri colonizzatori a ridosso o addirittura sopra i siti primitivi, hanno fornito nuovi fondamentali indizi, consentendo il lento riemergere di questa dimenticata e straordinaria pre-civiltà umana e reso in parte decodificabile la lettura dei segni traccianti la loro cultura, materiale specialmente nel supposto rapporto con le ancestrali deità celesti e la devozione alla Madre Terra.

4 Affermare l esistenza dei Rinaldoniani all Elba non corrisponde più solamente alla visione di suggestive mitologie e di bizzarri racconti da veglia. I Giganti elbani non sono più considerabili il frutto di fantasie e opinioni fin troppo facilmente confutabili, corroborate come sono da circostanziate e documentate verifiche archeologiche. Dunque una presenza tangibile quella dei Giganti nella realtà archeologica elbana, fatta di ineludibili attestazioni che, nonostante un inspiegabile rarefazione delle ricerche, ci riporta assai indietro nel tempo in una continuità spazio-temporale e stratigrafica sorprendente, dalla profondità della paleostoria all epopea etrusca. In questa direzione, da oltre un decennio, gli studi e gli articoli pubblicati da Michelangelo Zecchini hanno aperto una strada maestra che dimostra la dimensione plurimillenaria dell antropizzazione del territorio isolano. D altronde l isola offre reperti paesaggistici unici in grado di testimoniare una consolidata presenza delle culture più antiche. Queste testimonianze insistono in scenari rupestri che richiamano paesaggi archetipi ed emozionano anche lo spettatore più distratto. La presenza di megaliti, sia nella forma antropizzata di menhir aniconici, sia nella caratterizzazione di massi ovoidali e ciclopici blocchi variamente utilizzati, manipolati a più riprese dall uomo, talvolta allineati in cerchi e disposti lungo direttrici cardinali, conferma l antropizzazione della montagna elbana anche in aree ritenute fin qui selvagge ed impervie. In quest ottica, la montagna diviene nel suo insieme un paesaggio evocativo in un unica straordinaria espressione ambientale, modellata da questi remoti progenitori al fine di attuare il ricongiungimento con il divino. Cosa possiamo dire, se non che occorre studiare ed approfondire la conoscenza di questo mondo prearcaico con il rispetto e l educazione di una ritrovata sensibilità per la nostra terra, anche quando ci sembra ostile e perigliosa causa di frane, alluvioni e terremoti, ma anche stupenda nelle visioni che è in grado di offrire e vitale per i frutti che può dare nel rigenerare nell uomo un senso di appartenenza alla natura? La Madre Terra sopravvive dunque alla scomparsa dei Giganti che l hanno saputa sacralizzare nel loro quotidiano. Lo stato dei luoghi nello scorrere dei secoli ha assunto la forma di meravigliose sculture pietrificate. Si tratta di leggere con occhi diversi nel paesaggio ed affidare, in un gioco fantastico come fecero gli antichi, i nomi del mito alle complesse formazioni rocciose, a loro volta plasmate nei corsi e ricorsi

5 delle forze della natura: massi forati e poi lisciati dall acqua dirompente; concrezioni rocciose cristallizzate o dissolute nelle masse calcaree che si confondono alle strutturate composizioni del metamorfismo geologico; formazioni singolari dalle sembianze antropomorfe scolpite dall erosione dei venti marini o variamente spezzate dall abbattersi premonitore dei fulmini, come è accaduto nel 2004 all Omo Masso che Zecchini ricorda nello stato primitivo come: spettacolare scultura naturale androcefala attribuita da molti studiosi alla dea Catha/Luna. Ed ecco apparire: le stalle di Gerione, il drago Lacone, Centauri pietrificati, l occhio di Efesto, il giaciglio dei giganti, la mano di Atlante (foto di D. Simoncini)

6 Questa doverosa premessa per introdurre la visione dei paesaggi antropomorfi realizzati da una progenie che nel mito odierno indichiamo come le terre dei Giganti che qui ebbero dimora. Un paesaggio che sembra sospeso ed immobile per l eternità, eppure, a ben vedere, il sottile filo che ci lega alle origini sembra vibrare ancora come un eco lontana, formando un immagine indelebile con la preistoria che appare tanto forte e tenace da poter essere ancor oggi osservata. Esploriamo questo straordinario compendio paesaggistico che caratterizza l orizzonte visivo delle valli e dei versanti collinari, salendo lungo i sentieri da Marciana Marina verso le creste montuose superiori. In particolare, le antiche terre di Poggio, di Marciana e l entroterra di Marina racchiudono queste remote e segrete ascendenze: la Madre Terra che tutto riunisce congiunge la montagna al mare fino a renderla realmente sacra. E qui infatti che si percepisce, prima ancora di studiarla, la recondita dimensione dei luoghi, la genesi stessa dell uomo, quando ancora peregrinava nel Mare nostrum alla ricerca dell isola fortunata che potesse rigenerare il paradiso perduto. E da luoghi come questo che le fabulae della civiltà etrusca hanno preso corpo, rispettose e pietose verso la progenie dei Giganti, da loro ben compresi e imitati, personificati in una sorta di narrazione extra sensoriale, trasfigurata nelle decorazioni figurate di splendidi vasi a figure nere e a figure rosse, oppure rappresentate nelle pitture consegnate ai sepolcri, riemergendo infine nel racconto delle diaspore e delle lotte fratricide dei popoli venuti dal mare, specchiate dalle comuni leggende di dei e di eroi. Gli Argonauti che secondo la leggenda approdano sull isola, altro non sono che le avanguardie micenee di questi popoli venuti dal mare sulle rotte delle metallurgia del bronzo, un manipolo di eroi votato alla riconquista dei tesori evocati da Giasone. Il mito dell uomo nuovo che entrerà senza più uscirvi nella storia, vive per gli antichi nella figura di Ercole che sottrae i segreti ai Giganti, sconfiggendoli uno ad uno. Non si tratta di una nemesi sanguinosa ma della lotta stessa dell uomo per la sopravvivenza. Un eroe dai due volti, quello bellicoso della belva furiosa e quello pietoso, simbolo del coraggio dell Uomo nuovo com è stato dipinto dagli artisti del Rinascimento.

7 Il passaggio di Eracle e il tumulo ove giace il gigante Caco (foto di D. Simoncini) Eracle è il primo uomo, dopo i Giganti, che entra nella leggenda, come quando rubati i pomi d oro dal Giardino delle Esperidi, minata la resistenza dei centauri, tenaci difensori e depositari dei saperi antichi, sconfigge il gigante Caco per trafugare i buoi di Gerione. In queste fatiche dell eroe si fissa l eloquente metafora del rinnovamento del genere umano che segue l evoluzione della specie e segna la fine del tempo dei Giganti, sconfitti dalla loro stessa fragile e mortale natura, prima ancora che dalle armi dei nuovi popoli. La casa delle tre ninfe e la scala che sale al Giardino delle Esperidi La migrazione di questi nuovi popoli, perduta l età dell oro, preesistente al loro nuovo errare, inutilmente cercata nei tesori sottratti dalla stirpe dei Giganti, produrrà piuttosto in terre di ricchezza e fertilità come quella elbana l emancipazione tecnologica allora resa possibile dagli eroi che sconfissero i Giganti.

8 Fu proprio in quel tempo che ebbe fine il tempo dei Giganti che gli Etruschi per primi seppero comprendere e riconoscere come loro avi, condividendone altresì l amaro destino nel profetizzato finalismo, che i greci e i romani, da par loro, ritennero di confinare nell olimpo degli dei quali gelosi custodi dei segreti di Efesto. Un isola felice appariva dunque in quel tempo l Elba: maestosa, rigogliosa e prodiga di ripari e di risorse. Su per le erte vie del lunato Monte Giove, come Culsans, il romano Giano bifronte, gli Etruschi si voltarono verso Cautha, o Catha la dea della Luna (Monte Catino) sul fare di ogni tramonto, nel volgere eterno che separa il giorno dalla notte, la luna nascente dal sole ormai calante nell orizzonte marino, rigenerando l armonia del vivere quotidiano. Ripari rocciosi del Masso dell Aquila che nascondono testimonianze etrusche (foto D. Simoncini) Lungo i sentieri che s inerpicano sulle cote rocciose possiamo trovare ancora oggi queste deità personificate nei luoghi stessi che oltrepassiamo nel nostro cammino, santuari biblici delle divinità di ieri e della cristianità di oggi (Madonna del Monte) che segnano sorgenti e sicuri ripari ai quali hanno lasciato in dote i nomi. Insieme a questi, oltre il Monte Catino e il Masso dell Aquila, si possono ancora incontrare i Giganti: il citato Omo Masso e su altre vie, nel versante sud-orientale del Capanne, la Pietra Murata, seguendo le direttrici indicate dai Sassi Ritti. Per gli scettici diciamo che in questi luoghi si nascondono, come ancora recentemente ha ricordato Zecchini: stupefacenti testimonianze etrusche (ceramiche dipinte, buccheri, fibule d argento e di bronzo).

9 La terra dei Giganti (foto di D. Simoncini) Ma quello che non possiamo vedere si può ancor meglio immaginare nelle testimonianze tangibili delle forme con i Giganti pietrificati che sembrano ancora scrutare dall alto l orizzonte di oggi, le marine, il golfo con il porto, le arroccate casette del Cotone e la dirimpettaia Torre degli Appiani. Da lassù, dalla sommità dei picchi rocciosi, essi governavano le acque, cogliendo i frutti dei lussureggianti giardini da loro stessi costruiti, pascolando senza timori gli armenti facendo scorrere lento lo sguardo lungo le rotte marittime più distanti verso la terraferma, ben oltre il promontorio dell Enfola (omphalos), tangibile retaggio del loro primo sbarco. Da questi siti i Giganti prima, gli Etruschi poi affidavano ai venti più favorevoli le loro imbarcazioni cariche dei preziosi minerali elbani fino a traguardare con lo sguardo gli scali sicuri degli empori marittimi dei loro commerci. A noi, uomini moderni, non resta che continuare a cercare nelle pieghe delle montagne, o forse in prossimità delle marine, laddove i torrenti si gettano in mare, nuovi indizi del passaggio dei Giganti, alla ricerca del segreto segnacolo del fondatore, così come seppero fare gli Etruschi per carpire i segreti, attraverso gli aruspici, dei loro destini e non tradire, così come dovremmo fare ancora oggi noi, le giuste aspettative di pace e sviluppo per il domani.

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