WEST(Paris)(Roma) (Amsterdam)(Wien)(Athina) (Berlin)(Bruxelles)(London) (Beijing)(Praha)(Tokyo) (New York) Kinkaleri

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4 WEST(Paris)(Roma) (Amsterdam)(Wien)(Athina) (Berlin)(Bruxelles)(London) (Beijing)(Praha)(Tokyo) (New York) Kinkaleri Volume pubblicato dal / Book published by Centro per l arte contemporanea Luigi Pecci, Prato In occasione dell acquisizione nella collezione del Centro dell opera video multicanale WEST, On the occasion of the acquisition in the Centre s collection of the multichannel videowork WEST, Realizzata da / Made by Kinkaleri Matteo Bambi, Luca Camilletti, Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco, Cristina Rizzo In collaborazione con / In collaboration with OAC Osservatorio per le Arti Contemporanee, Ente Cassa di Risparmio di Firenze Video coprodotti con / Videos co-produced with Batofar, Paris Centro per l arte contemporanea Luigi Pecci, Prato Festival Enzimi, Roma OAC Osservatorio per le Arti Contemporanee, Ente Cassa di Risparmio di Firenze RED Festival, Reggio Emilia Tanzquartier, Wien Video Dance - Thessaloniki Film Festival, Athina Xing, Bologna Video in collaborazione con / Video in collaboration with 4+4 Days in Motion, Praha Associazione Culturale Danza Urbana, Bologna Comune di Firenze Ente Teatrale Italiano Hebbel-am-Ufer, Berlin Istituto Italiano di Cultura, Beijing Istituto Italiano di Cultura, New York Istituto Italiano di Cultura, Tokyo Kaaitheater, Bruxelles TTV, Riccione Xing, Bologna Si ringraziano tutte le persone che nelle varie città hanno favorito l organizzazione delle riprese video e tutti quelli che hanno partecipato accettando di cadere, senza i quali WEST non sarebbe potuto essere realizzato Thanks to all people in various cities who helped the video shooting organization and to everybody who participated in falling down, without whom WEST woud have not been made Un ringraziamento speciale a / Special thanks to Lucia Amara, Michel Bergamo, Richard Crow, Edoardo Donatini, Lucia Farinati, Giorgia Gambone, Richard Collin Green, Joe Keheller, Manuela Lietti, Monica Maggio, Agathe Moroval, Marc Pérennès, Neri Torrigiani, Cristina Zamagni Testi in volume / Texts in the book Antonio Grulli, Stefano Pezzato, Maria Antonia Rinaldi con / with Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco Traduzioni / Translations Luca Camilletti, Miranda McPhail Impaginazione grafica / Graphic Layout Fabiana Bonucci Studio, Firenze Impianti e stampa / Prepress and Printing Tipografia Bandecchi & Vivaldi, Pontedera Crediti fotografici / Photo Kinkaleri Alfredo Anceschi: p. 56 Nanni Angeli: pp. 38, 39 Archivio Centro Pecci, Prato: pp. 6, 10 Edoardo Donatini: p. 40 ZEPstudio, Milano: pp. 4, 5 Copertina / cover: WEST (New York), 2007 Back Stage, WEST (Berlin) 2005 Copyright 2011 Centro per l arte contemporanea Luigi Pecci, Prato Kinkaleri Per quanto riguarda i diritti di riproduzione, l editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte. Regarding the images which were unable to be attributed to their original sources, the editor is willing to pay any necessary amounts owed for their usage. ISBN

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7 E VENNE IL GIORNO (THE HAPPENING) antonio grulli Pagine precedenti / Previous pages WEST, Museo Pecci Milano, 2011 WEST, Project Room, Centro Pecci, Prato,

8 Every time I see you falling I get down on my knees and pray Bizarre Love Triangle New Order 1986 Ricordo ancora la prima volta che vidi WEST. Era al Pecci di Prato, nel 2004, e in contemporanea con una bella retrospettiva di Robert Morris se non sbaglio (ma forse sbaglio... tendo a sovrapporre i ricordi...), installato nella project room dalla strana forma a fagiolo al piano terra, il piano che dà sull anfiteatro. Nei video, girati nelle principali metropoli occidentali o in metropoli che hanno subito negli ultimi decenni un forte processo di occidentalizzazione, la camera è fissa e riprende uno squarcio di città. Al centro dell inquadratura vi è una persona ferma (a volte più di una persona) che, dopo pochi istanti, cade a terra mentre intorno a lei la vita continua come se nulla fosse. È un immagine che porta in se una forte negazione, un idea di debolezza, quasi di morte come spesso viene dichiarato dal gruppo stesso, che descrive il lavoro come il coinvolgimento di persone invitate a lasciarsi morire. Il titolo, WEST appunto, ricalibra tutto da un analisi di un umanità generalizzata (forse urbana?) a una parte di umanità molto più specifica: gli occidentali e forse il processo di occidentalizzazione. Inevitabilmente il mio pensiero, come anche quello di molti altri credo, è andato all 11 settembre Forse l idea stessa di caduta, soprattutto se legata al contesto urbano, non potrà, ancora per molto tempo, essere dissociata dal crollo delle torri gemelle e dall immagine di persone lanciatesi nel vuoto dei due grattacieli. Negli anni novanta alcuni hanno iniziato a parlare di fine della storia. L idea era efficace e se ne è parlato molto nei quotidiani e sui magazine, ma non solo. Si basava sull idea che, venuta meno la contrapposizione ideologica tra blocco capitalista e blocco sovietico della guerra fredda, la storia si sarebbe fermata per mancanza di conflitti e di contrapposizioni dialettiche e ideologiche. Si trattava di una visione legata agli anni ottanta e novanta, il momento postmoderno con il suo cinismo, la sua ironia e il distacco quasi caricaturale con cui veniva osservata ogni cosa in quegli anni. L attentato del 2001 ha rimesso tutto in moto, la storia è ripartita e le teorie del postmoderno sono state rimpiazzate dal ritorno ad una riflessione su idee diverse, maggiormente incentrate su un nuovo desiderio di responsabilità, serietà e vicinanza alle cose e alle idee del mondo che probabilmente vede in un filosofo come Slavoj Zizek il suo esempio più conosciuto. Ed è buffo che uno dei lavori che maggiormente la mia mente collega al progetto WEST sia proprio di uno degli artisti simbolo degli anni ottanta, ossia Robert Longo e la sua serie di disegni Men in the Cities, iniziata nel 1979 e portata avanti per alcuni anni. Si tratta di immagini di uomini e donne, vestiti in maniera abbastanza elegante (quasi da colletti bianchi), dipinti in nero su sfondo completamente bianco in posizioni strane, come durante una danza dei tarantolati. Ho sempre pensato che queste pose (realizzate dall artista partendo dall immagine fotografica di alcuni amici a cui lanciava con violenza degli oggetti) fossero incredibilmente simili ai frame delle persone lanciatesi dalle Torri Gemelle durante l attentato. Basterebbe immaginare le immagini di Longo a testa in giù, cosa che poi, l artista stesso, in maniera anche abbastanza inquietante ha fatto proprio nel video della canzone Bizarre Love Triangle (1986) dei New Order, in cui si vedono persone cadere da grattacieli. La condizione di eterna attesa e di incompiutezza, di sospensione e di distacco,

9 sul genere de Il Deserto dei Tartari, che aveva caratterizzato il panorama culturale degli anni ottanta e novanta, in cui nulla sembrava accadere, è come se fosse sparita. Una sensazione che potrebbe benissimo essere riassunta dalla poesia di Pessoa in cui si parla di una tempesta lontana, che si percepisce e che aspettiamo, ma che forse non arriverà mai; una poesia che non a caso ho visto citare spesso all interno del mondo dell arte contemporanea insieme allo scrittore portoghese. Al contrario; nel 2001 qualcosa è accaduto, o forse sarebbe meglio dire qualche cosa è caduto. In un suo testo Zizek scrive We are the ones we have been waiting for (...) It s useless to wait - for a breakthrough, for the revolution, the nuclear apocalypse or a social movement. To go on waiting is madness. The catastrophe is not coming: it is here. Lo stesso suffisso post, tanto abusato negli ultimi anni, in realtà non ha mai significato l aver superato un determinato momento, ma la fase finale dello stesso, il periodo della degenerazione, del manierismo, della decadenza. Nel momento stesso in cui si supera un determinato periodo si smette semplicemente di riferirsi a quest ultimo, mentre forse non siamo mai stati ossessionati da modernismi vari e dal passato come nel periodo del postmoderno; prova ne sono ancora oggi i numerosi artisti che lavorano con l eredità di immagini, concetti, idee e storie che il secolo scorso ci ha lasciato. È come se fino al 2001 ci fossimo trovati al capezzale di un genitore morente, e che proprio per la sua condizione finale ossessionava ogni angolo della nostra mente e delle nostre giornate non lasciandoci liberi di pensare al presente in maniera leggera, e men che meno al futuro. Poi nel settembre di quell anno qualche cosa è accaduto, forse qualcosa è definitivamente morto o forse semplicemente noi gli abbiamo chiesto di morire perché non ne potevamo più, era diventato troppo per noi, e forse non era nemmeno più dignitoso per lui. Forse per un difetto dato dalla mia deformazione professionale ho sempre visto il gruppo dei Kinkaleri maggiormente parte del mondo delle arti visive piuttosto che del teatro o della danza. Questo proprio per la loro capacità di creare immagini sintetiche, forti, capaci di imporsi allo sguardo e alla memoria, come se per ogni lavoro o spettacolo ragionassero negli stessi termini in cui pensa un fotografo o forse ancor di più un pittore. Nella fotografia la dimensione narrativa è sempre sospesa, lasciata intuire, si sente una profondità abitata nella quale sappiamo che le cose si muovono ma non abbiamo idea di cosa si tratti. Nel lavoro dei Kinkaleri invece, utilizzando anche il linguaggio proprio della scena, molte più cose vengono dette, la dimensione onirica e sospesa propria della fotografia è minore e mi sembra che costruiscano i lavori allo stesso modo in cui un pittore compone le immagini sulla tela. O forse il riferimento più adatto sarebbe a tutto quel filone della fotografia che prevede una costruzione della scena volutamente molto articolata e artificiosa, in cui questo linguaggio si confonde con la pittura stessa e con la scena del teatro. È il desiderio di fermare quei momenti della realtà in cui vi è come un increspatura, una resistenza nella quale il nostro sguardo inciampa, si ferma, sente che vi è un grumo nella storia in cui si addensa maggior senso, una parte del flusso costante che innegabilmente ha maggior valore, nel quale abbiamo fede perché sappiamo che lì vi si trova qualche cosa, forse un anima, di sicuro un senso che altrimenti nel flusso incondizionato e indiscriminato delle cose non vi sarebbe. Nel lavoro WEST ci troviamo di fronte forse alla massima esemplificazione di questo modo di operare. Non a caso nasce da <OTTO>, una performance teatrale che usava la caduta come elemento drammaturgico e da dove è scaturito un progetto editoriale dallo stesso titolo composto solo di una raccolta di immagini di varia natura dotate di particolare potenza visiva. Lo scenario cittadino in cui si svolgono le scene di WEST sono molto comuni, ma ad un certo punto succede qualche cosa: la persona al centro della scena, prepotentemente frontale, quasi schiacciata, che osservava in camera cade, come se fosse stata colpita, come se morisse. Qualcosa è accaduto e la storia (altrimenti inesistente) inizia a formarsi sotto i nostri occhi. Nell immagine video inizia a crearsi un punctum che cattura la nostra attenzione

10 e si impone. La caduta ha la stessa funzione dell obiettivo di una macchina fotografica che si chiude per fermare un immagine dotata di forza. Il corpo a terra accasciato permette di riattivare in modo nuovo il panorama sullo sfondo del video, e l immagine, da semplice ripresa di una persona nello spazio, si muta in un quadro di paesaggio. La caduta diventa quasi un pretesto per cambiare, straniandolo, il punto di vista sulla stessa dimensione urbana. Le riprese sono molto simili a quelle che possono essere girate da degli studenti che in gita scolastica fanno i coglioni in angoli di città poco caratteristici ma che denotano qualcosa di esotico. E al tempo stesso ricordano i lavori e le performance poeticamente impegnate di artisti come Jiri Kovanda e Mladen Stilinovic che hanno fatto proprio di azioni minime e surreali in contesti urbani il loro soggetto e medium d elezione, forzando gli accadimenti quotidiani e spostandoli in una dimensione sottilmente politica e ideologica. La stessa metodologia realizzativa è interessante; in particolare il legame che si crea tra il gruppo di artisti e le persone sconosciute e trovate per strada che di volta in volta vengono coinvolte a partecipare. Un momento molto intimo, simile a quando Isa Genzken chiedeva a dei passanti di poter fotografare il loro orecchio da vicino. Come scrivono i Kinkaleri stessi nel catalogo che accompagnava la mostra a Prato Chiedere a uno sconosciuto di fare qualcosa per me, qualcosa di cui potrei fare a meno, sostantivare la necessità improbabile di una complicità rauca, fermarlo per strada interrompendo un suo percorso, un suo itinerario, una sua occupazione, chiedergli di guardare fisso nell obbiettivo per circa quindici secondi dalla sua distanza, sta facendo parte di un inquadratura, chiedergli che il suo sguardo resti fisso e che dopo l approssimazione di tempo stabilita cada a terra, con la propria consapevolezza di farlo, di lasciare un vuoto, di operare in autonomia, un corpo a terra, senza un particolare comportamento, senza interpretazione, senza melodramma, l ultima caduta possibile, che muoia cadendo a terra, che resti morire al participio passato a terra per almeno dieci secondi e comunque non prima che gli sia detto che è tutto finito, siamo d accordo, mentre tutto il resto intorno continuerà per conto proprio, nella sua organizzazione. E non è possibile non fare riferimento anche a uno dei classici topos utilizzati dai registi del filone catastrofista-apocalittico. Ossia, riprendere immagini di distruzioni in molteplici città del mondo; come nelle sequenze di Indipendence Day in cui i telegiornali mostrano le navicelle spaziali intente a distruggere le più importanti città del mondo. O come in The Day After Tomorrow e 2012, per fare solo alcuni esempi di un genere che non a caso è tornato molto in voga proprio negli ultimi dieci anni. Ma soprattutto come nel film E Venne il Giorno (The Happening, 2008) di Shyamalan in cui le persone inspiegabilmente iniziano a cadere in uno stato confusionale per poi togliersi la vita e le immagini delle città occidentali sono affollate di masse di persone che cadono morte a terra o si lasciano cadere nel vuoto da palazzi e ponti. Proprio in questo desiderio di mettere in comunione un insieme di persone che abitano ai quattro angoli del pianeta credo stia una delle chiavi di lettura di WEST. Ci troviamo ormai in una società in cui le stesse scelte politiche di un luogo dell Asia influenzano profondamente anche quello che accade in Italia, come ha dimostrato anche la recente crisi economica in cui l effetto domino ha attraversato ogni continente. In cui, nonostante gli allarmi di una tendenza alla frammentazione e allo sgretolamento sociale, sembra che grazie ai nuovi mezzi di comunicazione aumenti sempre di più la connessione tra i singoli. Una comunione di persone non più dettata da vicinanze geografiche come in passato, ma dalla decisione dei singoli stessi di creare comunità diffuse in tutto il mondo seguendo una qualche affinità o attitudine. Risultati inaspettati potrebbero venire proprio da questa moltitudine apparentemente sparpagliata e nebulizzata. Purché non prevalga la paura ma la fiducia nelle proprie scelte e nelle proprie azioni. E chi ha provato a lasciarsi cadere (o a far finta di morire) sa bene quanto diventi tutto ridicolo e pericoloso se prevale la paura di farsi male. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano, caduto nella terra, non muore, resterà solo; ma se muore, allora darà molto frutto (Vangelo di Giovanni, XII, 24)

11 AND THE DAY ARRIVED (THE HAPPENING) antonio grulli Live Performance, Centro Pecci, Prato, 2004 Live Performance, progetto / project, WEST,

12 Every time I see you falling I get down on my knees and pray Bizarre Love Triangle, New Order 1986 I still remember the first time I saw WEST. It was in 2004 in Prato, Italy, at the Pecci Centre for Contemporary Art; there was also a beautiful Robert Morris retrospective at the same time if I am not mistaken (but perhaps I am... I tend to allow my memories to overlap). WEST was installed in the bean-shaped project room on the ground floor, the floor looking onto the amphitheatre. In the videos, shot in the major cities of the WEST or in those metropolises that have undergone significant westernization in the last decades, the camera is fixed and it captures an opening onto the city. At the centre of the frame there is a person (sometimes it is more than one person) who is standing still and then, seconds later, who falls to the ground while all around them life goes on as if nothing was the matter. It is an image that has about it a strong sense of negation, an idea of weakness, of death almost, as the group themselves often admit, who describe the work as involving people who have been invited to let themselves die. The title, WEST, shifts everything from the analysis of a generalized (perhaps urban?) humanity, towards a much more specific section of mankind: Westerners, and maybe also the process of Westernization. My thoughts, like many others I m sure, inevitably went back to September 11, Maybe the very idea of falling, especially in an urban context, cannot be dissociated at least for some time to come from the collapse of the Twin Towers and the image of people throwing themselves into the void from the two skyscrapers. In the 90s some people started referring to the end of history. The idea was effective and there was a lot of talk of it in newspapers and magazines, and not only there. It was based on the idea that with the disappearance of the Cold War ideological opposition between the Capitalist Bloc and the Soviet Bloc, history would stop for the lack of conflict and of dialectical and ideological oppositions. It was a vision that belonged to the eighties and the nineties, to the postmodern moment and its cynicism, its irony and the almost caricature detachment with which everything was viewed in those years. The 2001 attack kick-started everything, history itself got going again, and theories of the postmodernism were replaced by the return of a different set of ideas centred on a new wish for responsibility, seriousness and closeness to the things and ideas of the world, of which the philosopher Slavoj Zizek is probably the best known example. And it is striking that one of the works most strongly connected for me with the WEST project belongs to an artist who is a symbol of the eighties, that is to say Robert Longo and his series of drawings Men in the Cities, begun in 1979 and continued for several years. These are images of men and women, rather smartly dressed (sort of like white collar workers) painted in black on plain white backgrounds, in strange poses, as if suffering from tarantism. I always thought that these poses (derived by the artist from a photographic image of some of his friends at whom he had hurled objects) were incredibly similar to the video stills of people throwing themselves from the Twin Towers during the attack. It suffices to imagine for oneself Longo s images turned upside down: which is what the artist himself did, rather disturbingly, in his video for New Order s song Bizarre Love Triangle (1986), in which people are seen falling from skyscrapers. The condition of eternal waiting and of

13 incompleteness, of suspension and of detachment as in The Tartar Steppe, which characterized the cultural landscape of the eighties and nineties, in which nothing ever seemed to be happening is as good as gone. A feeling that could be very well summed up by that poem of Pessoa about a far away storm that we sense and expect, but which perhaps will never come; a poem which, not by chance, has been quoted often in the world of contemporary art along with others by the Portuguese writer. As it is, though, in 2001 something did happen, or we would do better to say that something collapsed. Zizek writes in one of his texts: We are the ones we have been waiting for (...). It s useless to wait - for a breakthrough, for the revolution, the nuclear apocalypse or a social movement. To go on waiting is madness. The catastrophe is not coming: it is here. The same post suffix, so abused in recent years, has never really referred to the overcoming of a certain period, but rather its final stages, the period of degeneration, of mannerism, of decline. In the very moment a certain period is being superseded, we stop referring to this last phase, whereas perhaps we have never been so haunted by various modernisms and by the past as in the period of post-modernism; as proved by the number of artists today still working with the legacy of images, concepts, ideas and stories that the last century has left us. It is as if until 2001 we had found ourselves at the bedside of a dying parent, whose terminal condition had occupied every corner of our mind and of our days, and we were not free to think easily of the present, any more than of the future. Then in September of that year something happened, maybe something died for good, or perhaps simply we asked it to die because we could not stand it any longer, it had become too much for us, having itself lost all dignity. Maybe it is due to my professional bias, but I always considered the group Kinkaleri to be part of the visual arts world rather than that of the theatre or of dance. It is their ability to create concise synthetic images, capable of imposing themselves on the eyes and the memory, as if in each work or performance they considered things in the same ways a photographer does, or rather as a painter does. In photography the narrative element is always suspended, left to be intuited, you can feel a depth inhabited by things you know are stirring there but you have no idea what it is going on. In Kinkaleri s work however, many more things are told, thanks to the language of the performing arts; the visionary and suspended dimension peculiar to photography is thinner and they seem to build their works the way a painter composes images on a canvas. Or perhaps the most appropriate comparison would be with that current of photography where the construction of the scene is altogether structured and intentionally contrived, in which language mingles with the paint itself and with the theatrical stage. It is the desire to arrest these moments in which reality seems to have acquired a kind of wrinkle, a resistance at which our eyes stumble and hesitate, where we feel there is a clot in history where a greater meaning has become knotted, some part of the constant flux that has acquired an indisputably greater value, which we trust because we know that there is something there, a soul maybe, certainly a meaning that we cannot find in the otherwise indiscriminate and wholesale stream of things. A great example of such a way of going about things is maybe what we come up against in WEST. It is not by chance that it has its roots in <OTTO>, a theatre performance that used the fall as a dramaturgical element, and from which arose a book with the same title consisting of a collection of different kinds of images endowed with a particular visual force. The urban setting within which the scenes of WEST take place is very ordinary, but after a while something happens: the person at the centre of the frame fiercely frontal, almost flattened, who had been staring straight into the camera, falls, as if they have been hit, as if they are dying. Something has happened and history (otherwise absent) starts taking shape before our eyes. A punctum starts to establish itself in the video image, which catches and holds our attention. The fall has the same function as the camera s mechanism, which closes so as to freeze the strengthening image. The collapsed body on the ground allows the

14 landscape in the background of the frame to be reactivated in a new way, and the image the simple recording of a person in the space is transformed into a landscape painting. The fall almost becomes a pretext to change by alienating it the point of view on the urban scene itself. The shots are very similar to those that students on a school trip might take, playing silly buggers in not too characteristic corners of the city that thereby start to appear exotic. And at the same time they recall the poetically committed works and performances of artists such as Jiřř Kovanda and Mladen Stilinović, who made minimal and surreal actions in urban contexts their subject and their chosen medium, pressurizing everyday occurrences and shifting them towards a subtly political and ideological dimension. The method of realizing the project is itself interesting; particularly the connection between the artist group and those strangers, encountered by chance on the street, who from time to time become participants. It is a very intimate moment, similar to Isa Genzken asking passersby to photograph their ear in close-up. As Kinkaleri wrote in the catalogue accompanying the event in Prato, Italy: To ask a stranger to do something for me, something I could do without, that the stranger could do without, to substantivize the unlikely need of a raucous complicity, to stop him in the street and interrupt him in his tracks, to interrupt his itinerary, his occupation, to ask him to stare from a distance for about fifteen seconds into the lens, making him part of a framing, to ask him to keep his gaze fixed and after the agreed approximate time to fall to the ground, in full awareness of doing so, so as to leave a void, to operate autonomously, a body on the ground, without any specific behavior, without interpretation, without melodrama, the last possible fall, to die falling to the ground, to remain dying, a past participle on the ground for at least ten seconds and anyway not before he has been told that it s ok now, it s over now, while all around everything else goes on by itself, in its own way. And nor is it possible not to refer also to one of the classic topoi used by film directors of the catastrophic-apocalyptic type. That is to say, filming images of destruction in several cities of the world, like the sequence in Independence Day where TV news reports show spaceships busy destroying the most important cities in the world. Or like in The day after tomorrow and 2012, to give just a few examples of a genre that not by chance has become popular again in the last ten years. But above all like in the film The Happening (2008) by Shyamalan where people inexplicably start falling into a state of mental confusion until they kill themselves; and the images of Western cities are crowded with masses of people falling to the ground dead or else throwing themselves into the void from buildings and bridges. Indeed in this desire to make a community of a collection of people inhabiting the four corners of the planet lies I think one of the keys to understanding WEST. We find ourselves by now in a society where political choices made somewhere in Asia deeply affect what happens in Italy, as the recent economic crisis has shown, in which the domino effect has touched every continent. In which, despite the alarm of a tendency towards social fragmentation and erosion, there seems thanks to new means of communication to be increased connection between individuals. A communion of people no longer determined by geographic proximity as in the past, but chosen by the individuals themselves in the creation of communities spread all over the world, on the basis of affinity or attitude. Indeed, unexpected results could arise from such a seemingly scattered and atomised multitude. As long as what prevails is not fear but faith in our own choices and our own actions. And those who have tried to let themselves fall (or pretended to die) know well enough how everything becomes ridiculous and dangerous if all that prevails is the fear of hurting oneself. Amen, amen I say to you, unless the grain of wheat falling into the ground die, itself remaineth alone. But if it die, it bringeth forth much fruit. (Gospel of John, XII, 24)

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17 talking about west maria antonia rinaldi Pagine precedenti / Previous pages <OTTO>, Kitazawa Town Hall, Tokyo, 2007 Videocamera X, WEST Paris, 2002 Videocamera Y, WEST Paris,

18 Passaggio da OTTO a West: Parigi Talking about West è la sintesi di una lunga chiacchierata avuta durante due pomeriggi con Gina, Marco e Massimo su West, appunto, il progetto video di Kinkaleri che li ha impegnati dal 2002 al 2008 e giunto a conclusione con la presentazione nel piazzale della Stazione Leopolda a Firenze durante Fabbrica Europa del 2009 e, con l acquisizione in collezione, al Museo Pecci Milano nel Maria Antonia Rinaldi: Come è nato West? Quando nel 2001 foste invitati a Parigi dal Batofar, non era ancora West ma semplicemente il settimo studio di OTTO, il vostro spettacolo più celebre, dove la caduta, lo stare a terra come morti, motivo dominante dello spettacolo, diveniva il minimo comun denominatore dei due lavori. Ma è ben evidente che tutto cambia, anche la caduta stessa in West prende accezioni differenti, verrebbe da dire si declina in maniera diversa. Inoltre dopo Parigi decideste di ripetere l esperienza nelle città simbolo dell occidente. Ecco, tutto questo come è nato? Quali sono stati i passaggi? Quando avete capito che una performance estemporanea poteva diventare un lavoro molto più ampio portato avanti per sette anni? Marco Mazzoni: L idea iniziale fu quella di sperimentare e collocare l azione della scena direttamente nella città. Ma il progetto si è concretizzato solo in fase di montaggio. Massimo Conti: Fino al montaggio non avevamo idee precise su quello che avevamo fatto, e tanto meno pensavamo di esportare il lavoro in altre città. Quello che avevamo in mente, in fase iniziale, era una visione, la caduta di OTTO non più relegata alla scena ma immessa direttamente nella città. Illuminante è stato vedere tutto il montato proiettato in loop durante la serata di presentazione al Batofar. Lì abbiamo compreso le potenzialità del lavoro. Ci siamo accorti quanto la sequenza delle cadute riuscisse ad attrarre costantemente l attenzione delle persone e ad aprire una serie di piani di percezione fino a quel momento rimasti oscuri per noi durante le riprese. Mentre ballavamo, anche noi, come gli altri, non riuscivamo a distogliere lo sguardo dai monitor e dallo schermo. Al Batofar era una sorta di festa, una situazione che abbiamo sempre ricercato quando abbiamo presentato West M.M. Questa caduta, presa e messa nella città, esportata in esterno, diventava una performance da filmare che si apriva a molteplici interpretazioni. L idea originaria di documentare semplicemente l azione reiterata nella città è stata, guardando il girato, travalicata. Abbiamo scoperto cosa metteva in atto, e le possibilità di sviluppare molteplici piani di lettura, dove il cadere era solo uno degli elementi. La visione della città M.C. Ci siamo accorti, quanto la presenza della città modificasse la caduta di OTTO, più di quanto avessimo supposto. La visione di West si articolava non solo attorno al corpo a terra, ma comprendeva: la caduta, la città e la combinazione delle due con la caduta nella città. M.A.R. Avete avuto dei riferimenti, da cui partire, come avete concepito inizialmente il modo di documentare e poi di sviluppare in un progetto più articolato la rappresentazione urbana? M.C. All inizio ho pensato alle prime immagini di vedute di città in movimento. Senza un intenzione narrativa, ma con l intento di restituire il movimento interno della città. Avevo in mente Vertov: L uomo con la macchina da presa. Poi però me ne sono dimenticato subito, e la dimensione turistica, meno epica e più casuale nel filmare, ha preso il sopravvento. M.M. Ecco, paradossalmente io, pur girando un video, mi sono sempre più preoccupato dell immagine fissa che vedevo attraverso la camera, pensavo più ad una fotografia, alla visione e costruzione fotografica, ed il movimento - la registrazione del movimento si sviluppava all interno delle linee compositive. M.C. Per me il movimento era essenziale. M.A.R. L inquadratura fissa sembra unificare queste due opposte concezioni dell immagine. Quando avete deciso di adottarla? M.C. Parigi era ancora una fase del tutto sperimentale. E prima di Parigi, a Prato avevamo fatto delle prove dove addirittura avevamo

19 Mail WEST(London),

20 adottato delle inquadrature strette sul volto che nella caduta scompariva per lasciare dietro un piano sfocato. Gina Monaco: Nel video di Parigi sono ancora presenti riprese in diagonale, dall alto e campi lunghi; prospettive più varie dove, in alcuni casi, le figure cadevano anche in lontananza, non immediatamente individuabili. Alcune di queste differenti inquadrature, sono ancora presenti nel montato finale. M.M. Poi in seguito abbiamo fatto una scelta. L inquadratura fissa era fondamentale per cercare una cosa che ci interessava molto: cercare un rapporto forte tra lo sguardo di chi cadeva e la videocamera. M.A.R. Forse è stato anche un modo per omogenizzare i due gruppi che facevano le riprese: da una parte Marco, Gina e Luca, e dall altra Massimo, Matteo e Cristina. M.M. Sì, la necessità di uniformare ha portato anche ad un momento centrale di standardizzazione. Per esempio l attenzione maniacale all altezza del cavalletto. M.C. Anche se le due troupe hanno sempre mantenuto delle differenze operative. M.M. All inizio era molto evidente la differenza tra le due troupe, poi ci siamo stilisticamente uniformati e nel tempo ci siamo influenzati a vicenda. Almeno io montando venivo condizionato anche dal loro girato. Per esempio, ho iniziato a sporcare molto l immagine. Perché mi rendevo conto che quell attenzione alla composizione, di cui dicevo prima, a volte, rivedendola, mi stuccava, rischiava di divenire troppo vedutistica. M.C. Io non sono mai riuscito a organizzare, a controllare quel che accadeva mentre riprendevo. Loro invece sì. M.M. È capitato che chiedessimo di rifare le cose, se si vedeva un immagine che non ci piaceva, si diceva scusate, si rifà! M.A.R. Quali erano i motivi per far ripetere una scena? Chiedevate di cadere in un certo modo, in un certo punto? G.M. In realtà non ci interessava tanto come le persone cadessero, ci interessava di più quello che accadeva attorno. Tendevamo a ricercare un colore, un passaggio di una macchina, l entrata di un passante. Eravamo molto legati al luogo, al movimento del luogo. Se la ripresa era vicino ad una fermata d autobus, aspettavamo che l autobus passasse da lì. Oppure davanti all uscita della metropolitana, aspettavamo l uscita dei passeggeri. Per cui davamo quasi sempre noi il segnale di quando cadere. M.C. Sì, comunque sono sfumature molto meno percettibili, perchè a queste cosa stavamo attenti anche noi. Mi accorgo che ora che stiamo elencando le differenze, le stiamo anche enfatizzando. G.M. Perché come diceva prima Marco ci siamo influenzati a vicenda. Partivamo, comunque, da una stessa idea e da una struttura condivisa. M.A.R. Da quello che dite emerge una grande attenzione all immagine. Avete parlato della visione iniziale, dell immagine cinematografica e di quella fotografica: i colori, le prospettive, le ortogonali compositive. In questo senso West mi ha fatto pensare anche ad un Haiku, a questa composizione poetica che si fonda su un immagine, e dove allo stesso modo la struttura è fondamentale. L attenersi alle rigide regole compositive serve a liberare la visione, l immagine. In West l immagine è legata a dati temporali e storici - una città in un preciso anno, con tutti gli elementi che la connotano - e simultaneamente sospesa come se la presenza della caduta creasse una vertigine percettiva. M.M. L immagine e la sua percezione: questo corpo cadendo modifica sostanzialmente la scena sotto i tuoi occhi, spostando l attenzione. Nel momento in cui questo corpo va a terra, lascia spazio alla composizione interna dell immagine, i nostri occhi si sganciano dal contatto quasi ipnotico con lo sguardo fisso in macchina e siamo liberi di guardare ciò che accade intorno. E allora noti la nuvola che passa, o un bambino che gioca in secondo piano, un piccione, le foglie secche che fanno un mulinello e così via. Tutti elementi che rendono percettibile la sospensione temporale, messa in atto dalla caduta. E la città cambia il suo status, se inizialmente poteva essere relegata ad elemento scenografico, ora emerge in primo piano e acquista autonomia e presenza. Mappatura della città M.A.R. Da quello che avete detto la città appare come luogo originario di West, non semplice contesto della caduta. M.M. Infatti la scelta dei luoghi da filmare era

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