Fondazione Lombardia per l Ambiente. Linee guida per i piani di gestione dei Siti Natura 2000 del Fiume Po. Best practices

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1 Linee guida per i piani di gestione dei Siti Natura 2000 del Fiume Po Best practices novembre 2008

2 Il presente documento è stato rilasciato da: Fondazione Lombardia per l Ambiente Piazza Diaz, Milano Tel: Fax: flanet@flanet.org Autori: Lorenzo Fornasari, Guido Brusa Responsabile di progetto: Pietro Lenna (Regione Lombardia) Responsabili scientifici di progetto: G. Matteo Crovetto (FLA), Giuseppe Bogliani (Università degli Studi di Pavia) Gruppo di Lavoro: Giuseppe Bogliani (Università degli Studi di Pavia), Mattia Brambilla (FLA), Guido Brusa, Fabio Casale (FLA), G. Matteo Crovetto (FLA), Riccardo Falco (FLA), Lorenzo Fornasari, Pietro Lenna (Regione Lombardia), Anna Rampa (Regione Lombardia).

3 INDICE GESTIONE DEGLI HABITAT NATURALI E SEMINATURALI... 1 HABITAT DI INTERESSE COMUNITARIO... 1 GESTIONE SELVICOLTURALE IN RELAZIONE AL TIPO FORESTALE REGIONALE... 5 TECNICHE DI RIPRISTINO DEL LEGNO MORTO...18 FASCIA TAMPONE BOSCATE...23 FOREST FOR WATER...26 HABITAT E BIODIVERSITÀ...29 INTERVENTI DI RIPRISTINO HABITAT...35 GESTIONE DEL DEMANIO FLUVIALE...40 STRATEGIE DI RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE PARTECIPATA...44 REALIZZAZIONE DI AREE UMIDE...46 UN OASI A COSTO ZERO...50 RIQUALIFICAZIONE DI UN PALEOALVEO...51 MISURE DI GESTIONE PER L HABITAT CONSERVATION PRACTICE STANDARD...58 GESTIONE DELLE PIANTE ESOTICHE...66 CONTROLLO DELLE SPECIE VEGETALI ESOTICHE...66 GESTIONE DELLE PIANTE AUTOCTONE...75 REINTRODUZIONE DI SPECIE VEGETALI...75 GESTIONE NEGLI HABITAT ARTIFICIALI...83 CODICE DI BUONA PRATICA AGRICOLA...83 ECOCERTIFICAZIONE DELLA PIOPPICOLTURA...93 INTERVENTI A FAVORE DEI CHIROTTERI GESTIONE FAUNISTICA REINTRODUZIONI DI SPECIE FAUNISTICHE INTERVENTI DI RIPRISTINO ECOLOGICO DIRETTE ALL ITTIOFAUNA E STRATEGIE DI CONSERVAZIONE DELLE SPECIE ITTICHE ERPETOFAUNA ANATIDI E SPECIE AFFINI STERNIDI COLONIALI: FATTORI DI MINACCIA E MISURE GESTIONE MOSCARDINO RETE ECOLOGICA RETI ECOLOGICHE FLUVIALI PAESAGGIO ELEMENTI PER LA GESTIONE DEL PAESAGGIO MONITORAGGIO MONITORAGGIO SPEDITIVO DEGLI AMBIENTI NATURALI INDICE DI FUNZIONALITÀ FLUVIALE INDICE BIOTICO ESTESO COLEOTTERI CARABIDI INDICE DI BIODIVERSITÀ LICHENICA MONITORAGGIO DEGLI UCCELLI FLUVIAL ECOSYSTEM ASSESSMENT ALTRE MISURE DI GESTIONE RISCHIO IDROGEOLOGICO FASCIA DI MOBILITÀ FUNZIONALE EDUCAZIONE AMBIENTALE FRUIBILITÀ PER UN UTENZA AMPLIATA

4 GESTIONE DEGLI HABITAT NATURALI E SEMINATURALI Habitat di interesse comunitario Per ciascun Habitat incluso nell All. I della Dir. 92/43/EEC e riportato per i siti della Rete Natura 2000 nell area di studio si riportano le tendenze dinamiche in atto e le indicazioni gestionali tratte dalle schede relative al monitoraggio dei SIC su scala regionale realizzato nel FONTE: REGIONE LOMBARDIA, QUALITÀ DELL AMBIENTE. GLI HABITAT DELLA REGIONE LOMBARDIA: STATO DI CONSERVAZIONE E LORO MAPPATURA SUL TERRITORIO. RETE NATURA MONITORAGGIO SIC (AGGIORNATO AL 2005) Laghi eutrofici naturali con vegetazione del Magnopotamion o Hydrocharition 3170 * Stagni temporanei mediterranei 1

5 3260 Fiumi delle pianure e montani con vegetazione del Ranunculion fluitantis e Callitricho- Batrachion 3270 Fiumi con argini melmosi con vegetazione del Chenopodion rubri p.p. e Bidention p.p Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbie igrofile 2

6 91E0 * Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Alnion incanae, Salicion albae) 91F0 Foreste miste riparie di grandi fiumi a Quercus robur, Ulmus laevis e Ulmus minor, Fraxinus excelsior o Fraxinus angustifolia (Ulmenion minoris) 92A0 Foreste a galleria di Salix alba e Populus alba 3

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8 Gestione selvicolturale in relazione al tipo forestale regionale Seguendo la classificazione riportata nella pubblicazione I tipi forestali nella Regione Lombardia e delle cartografie elaborate nell ambito del Progetto carta dei tipi forestali (Regione Lombardia - Agricoltura, Ente Regionale per i Servizi all'agricoltura e alle Foreste), nell area di studio è ravvisabile la presenza dei seguenti tipi forestali regionali, suddivisi in cinque gruppi: 1. querco-carpineti: querco-carpineto della Bassa Pianura; 2. querceti: querceto di farnia dei dossi sabbiosi, querceto di farnia dei greti ciottolosi e querceto di farnia con olmo; 3. alneti: alneto di ontano nero tipico e alneto di ontano nero d impluvio; 4. formazioni particolari: saliceto di ripa, saliceto di Salix cinerea e formazioni di pioppo bianco; 5. formazioni antropogene: robinieto misto. Non si esclude la presenza altamente plausibile di altri tipi forestali (ad esempio, del robinieto puro o di altre formazioni ad elevata componente di specie esotiche, in particolare di ailanto). Per ciascuna dei summenzionati gruppi, si riportano indicazioni riguardanti l ecologia e la gestione colturale. FONTE: DEL FAVERO R. (ED.), I TIPI FORESTALI NELLA REGIONE LOMBARDIA. CIERRE EDIZIONI. 1. Querco-carpineti Nella categoria dei querco-carpineti sono comprese quelle formazioni in cui vi è la presenza del carpino bianco accompagnato dalla farnia. Il querco-carpineto della Bassa Pianura è tipico dell area planiziale lombarda, localizzandosi soprattutto lungo il corso del Ticino, anche se sono presenti piccoli lembi lungo gli altri grandi fiumi lombardi. Si tratta, quindi, di una formazione molto legata alla geomorfologia fluviale dalla quale dipende la sua esistenza. La composizione è notevolmente semplificata dato che nello strato arboreo sono presenti soprattutto il carpino bianco e la farnia, cui s'aggiunge, talvolta, la robinia, mentre sono solo sporadici il ciliegio selvatico, il pioppo bianco e poche altre specie. Da questo quadro si distacca il Bosco della Fontana (variante orientale), posto nei pressi di Mantova, che è più vicino agli altri querco-carpineti della parte orientale della Pianura Padana, non essendo influenzato dalla geomorfologia fluviale, ma piuttosto dal livello della falda libera della pianura. Anche la composizione diviene più varia con l'ingresso del cerro, dell'acero campestre, del frassino ossifillo e dell'orniello. Frequenti sono anche le specie esotiche, fra cui merita citare il platano. Il querco-carpineto della pianura alluvionale si colloca nelle aree di deposizione più remota, dove si è sedimentato del materiale più fine e dove le acque di piena del fiume arrivano solo saltuariamente (terza e ultima banda, detta di rigenerazione antica), condizioni che determinano la formazione di una vegetazione stabile o in lenta evoluzione verso cenosi complesse. I suoli, caratterizzati dalla prevalenza di materiale fine e non interessati da acqua stagnante, garantiscono un continuo rifornimento idrico, determinando condizioni particolarmente favorevoli al carpino bianco. La farnia, pur essendo anch'essa adattata a queste condizioni, presenta invece alcuni problemi che si manifestano soprattutto con l'avanzare dell'età e nella fase di rinnovazione. Nei giovani querco-carpineti la struttura verticale è prevalentemente biplana, a copertura regolare scarsa, con un piano dominate a prevalenza di farnia e un piano dominato a carpino bianco. Con l'avanzare dell'età, il carpino bianco tende a colmare gli spazi liberi dei piani superiori lasciando sguarnito il piano inferiore che, a causa della mancanza di luce, s'impoverisce della vegetazione arbustiva ed erbacea. I processi di degradazione e di mineralizzazione della sostanza organica tendono a rallentare e si forma uno strato più o meno spesso di sostanza organica solo parzialmente decomposta. Il seme della quercia che soprattutto nelle annate di pasciona cade abbondante al suolo, germina facilmente, ma già uno o due anni dopo la sopravvivenza delle giovani piantine è pressoché nulla. Varie e non ancora del tutto note sono le cause di questa forte mortalità, ma certamente 5

9 la mancanza di luce è una fra le principali. Tuttavia, questa non può essere considerata l'unica causa della mortalità della rinnovazione della farnia. Infatti, se così fosse la rinnovazione non dovrebbe mancare ai margini del bosco o entro le aperture del soprassuolo che si sono venute a creare naturalmente o che sono state provocate dal taglio. Ai margini del bosco o nelle aperture compare una fitta vegetazione di varie specie rientranti nella generica categoria delle "nitrofile", fra le quali vi è anche il rovo. Trascorso un certo numero d'anni, durante i quali questo tipo di vegetazione determina una totale copertura del suolo, s'insedia lentamente la rinnovazione di carpino bianco, mentre quella della farnia o manca o non riesce ad affermarsi. Nel contempo, all'interno del bosco, sulle farnie che hanno raggiunto i anni d'età si nota un progressivo disseccamento della chioma e la comparsa di marciumi radicali, la cui presenza risulta evidente nei soggetti che, a causa del vento o delle sporadiche inondazioni, si schiantano. La mancanza di rinnovazione e il limitato periodo di permanenza della farnia portano ad una regressione quantitativa di questa specie, e ad un progressivo cambiamento della composizione verso un carpineto puro. A conferma di queste osservazioni è opportuno ricordare che gli attuali querco-carpineti della Bassa Pianura o furono tagliati a raso durante l'ultimo conflitto mondiale, e spesso al taglio seguiva una lavorazione del suolo e la semina di ghiande di farnia, o erano continuamente "ripuliti" negli strati bassi per facilitare la pratica della caccia. E' quindi probabile che l'attuale diffusione della farnia sia superiore a quella naturale e molto legata a queste attività. Per quanto concerne gli aspetti colturali, il breve tempo di permanenza della farnia e le difficoltà che essa ha nel processo di rinnovazione naturale dei querco-carpineti della Bassa Pianura, circostanze che portano ad una progressiva evoluzione verso il carpineto puro, pongono non pochi problemi gestionali, soprattutto se si desideri mantenere nella composizione una certa aliquota di querce. In quest'ultima ipotesi le linee colturali che possono essere seguite sembrano essere due. La prima potrebbe prevedere di non eseguire particolari interventi durante il ciclo. Raggiunta la maturità, per favorire la rinnovazione della farnia, si dovrebbe procedere con il taglio del vecchio soprassuolo, rilasciando eventualmente come portaseme le querce superstiti. Sarebbe poi necessario evitare o limitare la durata della "fase delle nitrofile", procedendo con una lavorazione superficiale del suolo che potrebbe essere garantita anche dal solo strascico dei fusti abbattuti. Questo semplice accorgimento rende, infatti, più "primitivo" il suolo favorendo i semenzali di quercia che, rispetto a quelli del carpino bianco, sono più efficienti nell'uso dell'acqua, grazie alla loro capacità di chiudere gli stomi quando i valori del potenziale idrico sono ancora alti. A riprova di ciò si può ricordare la maggior facilità di rinnovazione della farnia negli altri tipi di querco-carpineto e nei querceti, formazioni caratterizzate, in genere, da una minor disponibilità idrica al suolo. Inoltre, a ulteriore conferma, si può segnalare che nelle zone di contatto del querco-carpineto della Bassa Pianura con il più "rustico" querceto di farnia spesso è presente la rinnovazione affermata anche della farnia. In tutti i casi dopo il taglio potrà esser utile, soprattutto in mancanza di soggetti portaseme, aiutare la rinnovazione con semine o impianti, magari mescolando il seme con quello prelevato in altre formazioni vicine per ristabilire il flusso genico ed evitare la concentrazione di caratteri in cluster ristretti). La seconda via che si potrebbe adottare è quella di mantenere costanti nel tempo le condizioni di "primitività del suolo" e di "giovinezza" del soprassuolo riducendo i livelli di massa, allevando, quindi, un soprassuolo più rado. E' questa la strada che si rifà al ceduo composto o ai modelli colturali proposti da vari autori. Pur con sfumature e valori di riferimento diversi, i vari autori propongono infatti la costituzione di una fustaia disetanea a netta prevalenza di farnia costituita da un limitato numero di grossi alberi. Questa impostazione deriva anche dall'osservazione che al crescere dei valori dei vari parametri (numero di alberi, area basimetrica, volume) il processo di rinnovazione s'arresta, processo che comunque deve essere assistito con opportune cure colturali che riducano la competizione esercitata dagli arbusti e dalle erbe sulle giovani piantine. In linea generale, mediando le varie proposte, nelle condizioni di "normalità" si dovrebbero avere su un ettaro da 150 a 250 soggetti con diametro maggiore di 17.5 cm, con area basimetrica variabile fra 10 e 15 m 2 e masse da 130 a 250 m 3, valori che risultano notevolmente inferiori a quelli presenti in molti degli attuali querco-carpineti della Bassa Pianura. 6

10 Sintesi delle indicazioni colturali riguardanti il querco-carpineto della Bassa Pianura: ALTERAZIONI ANTROPICHE: sostituzione con coltivazioni soprattutto a pioppo; altre volte la farnia potrebbe essere stata favorita da impianti artificiali o semine; frequenti infiltrazioni della robinia. TENDENZE DINAMICHE NATURALI: a causa della difficoltà d affermazione della rinnovazione possibile regressione della farnia a vantaggio del carpino bianco. RINNOVAZIONE NATURALE modalità: facile quella agamica del carpino bianco; diffusa quella gamica della farnia. fattori limitanti l insediamento: nessuno. fattori limitanti l affermazione: molti (mancanza di luce, alterazioni del bilancio idrico, patologie, ecc.) per la rinnovazione gamica della farnia e non ancora ben conosciuti. disturbo: nessuno. tolleranza copertura: molto lunga per il carpino bianco, non più di un triennio per la farnia. STATO VEGETATIVO senescenza precoce: disseccamento chiome farnie con età maggiore di anni. patologie: marciumi radicali. attacchi di insetti: fillofagi (Thaumetopoea processionea, Lymantria dispar, Tortrix viridiana) sulle querce. TEMPO DI PERMANENZA (anni): funzionale provvisorio: 200. fitosanitario: 80 (deperimento, marciumi radicali). TIPO DI GESTIONE ATTUALE: ordinariamente governata a fustaia. STRUTTURA SOMATICA (solo fustaie ordinarie) verticale copertura tessitura attuale multiplana grossolana biplana tendenziale biplana regolare colma grossolana INDICATORI BIOMETRICI E COLTURALI fustaia multiplana M/ha (m 3 ) attuale minima massima J/ha (m 3 ) 6 ip 2.72 periodo curazione min. 10 max. 10 statura attuale (m) 26 fertilità relativa 8 POSSIBILI INFLUENZE DEGLI INTERVENTI COLTURALI SUL DINAMISMO NATURALE: interventi di limitata intensità portano ad una progressiva riduzione della farnia per mancanza di rinnovazione; costante pericolo d invasione della robinia a seguito del taglio. POSSIBILI INTERVENTI D AGEVOLAZIONE DELLA RINNOVAZIONE NATURALE: per favorire la rinnovazione gamica della farnia può essere necessario creare condizioni di primitività (lavorazione superficiale) del suolo o mantenere "sempre primitivo" il sistema (fustaia chiara). PARTICOLARI PROBLEMATICHE O EMERGENZE DA CONSIDERARE NELLA SCELTA DEGLI INTERVENTI: pregio tipologico vegetazionale; la conservazione è favorita dall'adozione di particolari accorgimenti tecnici (vedi testo). 7

11 2. Querceti Nelle tipologie forestali della regione Lombardia la categoria dei querceti è una delle più articolate. In essa, infatti, si sono considerati sia i veri e propri querceti, vale a dire le formazioni in cui le querce sono dominanti, e sia quelle formazioni in cui le querce dovrebbero potenzialmente essere le specie principali, ma non lo sono ancora a causa o dell'eccessivo sfruttamento avvenuto in passato, che ha favorito le altre specie più rustiche, o per la "lentezza" con cui esse ricolonizzano le aree abbandonate dall'agricoltura. Nella bassa pianura alluvionale, ed in particolare in Lomellina (territorio compreso fra il Ticino e il Sesia), in corrispondenza di piccoli dossi di materiale sabbioso, non destinati alla coltivazione del riso o ad altre colture soprattutto per la natura poco adatta del suolo, vi è la presenza di alcuni lembi di querceti a netta prevalenza di farnia cui s'affianca talvolta la sola robinia (querceto di farnia dei dossi sabbiosi). Si tratta di formazioni di notevole interesse naturalistico che costituiscono gli ultimi relitti di quella particolare vegetazione planiziale caratterizzata da una generale riduzione della disponibilità idrica dei suoli. Sempre nella bassa pianura, ma soprattutto lungo il corso del Ticino, si ha il querceto di farnia dei greti ciottolosi che costituisce l'estremo opposto del querco-carpineto della pianura alluvionale. Esso è presente, infatti, dove i depositi fluviali sono più grossolani e il suolo è fortemente drenante e con scarsa disponibilità idrica. In queste situazioni si forma un consorzio a struttura lacunosa con singoli alberi sparsi di farnia, tozzi e di limitata altezza, talora anche solo cespugliosi, alternati ad arbusti di biancospino e di brugo. In una posizione intermedia si colloca, invece, il querceto di farnia con olmo che si forma là dove i depositi fluviali sono misti e s'alternano, in ogni caso in suoli caratterizzati da un discreto drenaggio profondo, zone con minore o maggiore disponibilità idrica. Quando quest'ultima è notevole e l'acqua ristagna o è libera, come avviene spesso, per esempio, in prossimità delle vecchie anse del fiume tagliate fuori dalla corrente (lanche), si ha spesso la presenza anche dell'ontano nero (variante con ontano nero). Dove invece essa diminuisce, come avviene sovente a contatto con il querceto di farnia dei greti ciottolosi, si forma frequentemente sotto il piano delle farnia un fitto strato a biancospino (variante a biancospino). Nelle situazioni intermedie, affianco alla farnia, sono presenti l'orniello e, talvolta, l'olmo, il pioppo bianco e il pado (Prunus padus). La disposizione spaziale delle diverse unità è comunque sempre complessa e può essere interpretata solo attraverso la ricostruzione storica delle variazioni di corso fluviale intervenute nel tempo. Relativamente al querceto di farnia dei greti ciottolosi, si può segnalare dal punto di vista colturale l'opportunità di lasciarlo alla libera evoluzione. Per gli altri querceti poco di diverso c'è da dire rispetto a quanto già segnalato nel paragrafo precedente relativo ai querco-carpineti. Questi querceti, infatti, hanno processi di rinnovazione e di funzionamento simili a quelli ricordati per i querco-carpineti. Tuttavia, merita segnalare la facilità di rinnovazione in questi querceti del ciliegio tardivo e in minor misura della quercia rossa e il fatto che spesso la rinnovazione delle querce autoctone è fortemente limitata dalla presenza della robinia governata a ceduo. Qualora questa forma di governo non si possa o non si voglia abbandonare e si continui nella gestione ordinaria del ceduo, la possibilità che si venga a creare una nuova generazione di querce è pressoché nulla. Questa potrebbe essere ottenuta, all'opposto, abbandonando la ceduazione e lasciando invecchiare per lungo tempo il soprassuolo, almeno fintanto che non compaiono sulle vecchie robinie dei fenomeni di deperimento. Una terza ipotesi potrebbe essere quella di prevedere l'allungamento del turno del ceduo fino a anni e il rilascio al momento del taglio, di almeno matricine ad ettaro di robinia (ma anche fino a 200, non oltre altrimenti l'utilizzazione del ceduo perderebbe di convenienza) e di tutti i soggetti delle altre specie che lentamente sottocopertura si sono andati diffondendo. Questi ultimi, se di piccole dimensioni, potrebbero essere anche favoriti nella crescita togliendo, nei primi due o tre anni dopo il taglio del ceduo, l'eventuale concorrenza esercitata dai nuovi polloni attraverso specifici interventi colturali. Evidentemente si tratta di operazioni molto impegnative dal punto di vista economico che, tuttavia, potrebbero essere attuate in ambienti particolari di aree protette. Parlando delle aree potenziali dei querceti lungo i grandi fiumi è da ricordare l'appariscente e grave assenza di boschi naturali lungo le golene dei fiumi sacrificati alle coltivazioni soprattutto di pioppi. I pioppeti sono un problema scientifico agronomico ed economico, data la loro 8

12 ingombrante presenza lungo il fiume. In particolare, va verificato se il pioppeto sia la forma d'uso ideale delle aree golenali, perché favorisce il rapido deflusso delle acque di piena, mentre le aree non coltivate sarebbero di ostacolo al deflusso stesso. Per alcune porzioni del corso fluviale potrebbe ipotizzarsi un arretramento della coltivazione al fine di offrire un minimo spazio alla vegetazione naturale, soprattutto forestale. Inoltre, circa le modalità di coltivazione dei pioppi, recenti indagini hanno dimostrato che il diserbo meccanico delle interfila, se praticato in modo non estensivo su tutta la superficie coltivata, ma lasciando, con opportune rotazioni, aree sporche, favorisce notevolmente la diversificazione dei popolamenti, soprattutto animali. Pratica che potrebbe essere consigliata perlomeno entro la fascia di validità delle legge Galasso. Sintesi delle indicazioni colturali riguardanti il querceto di farnia dei dossi sabbiosi: ALTERAZIONI ANTROPICHE: forte riduzione dell'area potenziale dell'unità a vantaggio delle colture agrarie. TENDENZE DINAMICHE NATURALI: stabile. RINNOVAZIONE NATURALE modalità: non abbondante ma sufficiente; si localizza soprattutto ai margini o allo scoperto. fattori limitanti l insediamento: nessuno. fattori limitanti l affermazione: mancanza di luce. disturbo: calpestio. resistenza copertura: non più di un quinquennio. STATO VEGETATIVO: nessuna alterazione significativa. TIPO DI GESTIONE ATTUALE: non ordinariamente gestita. INDICATORI BIOMETRICI E COLTURALI unità non ordinariamente gestita altezza media (m) 13 modalità lacunosa copertura riferimento selvicoltura di colturale qualità tempi - miglioramento specie adatte farnia fertilità relativa 6 POSSIBILI INFLUENZE DEGLI INTERVENTI COLTURALI SUL DINAMISMO NATURALE: eventuali diradamenti troppo intensi possono favorire l'ingresso del biancospino e di altre specie arbustive del mantello del bosco. POSSIBILI INTERVENTI D AGEVOLAZIONE DELLA RINNOVAZIONE NATURALE: nei soprassuoli maturi (che oggi mancano) tagli successivi su piccole superfici con taglio di sementazione piuttosto intenso e periodo di rinnovazione breve (8-10 anni). PARTICOLARI PROBLEMATICHE O EMERGENZE DA CONSIDERARE NELLA SCELTA DEGLI INTERVENTI: pregio tipologico-vegetazionale; la conservazione è favorita dal mantenimento di un'ordinaria gestione selvicolturale. Sintesi delle indicazioni colturali riguardanti il querceto di farnia dei greti ciottolosi: ALTERAZIONI ANTROPICHE: nessuna. 9

13 TENDENZE DINAMICHE NATURALI: stabile. RINNOVAZIONE NATURALE modalità: rara ma sufficiente quella della farnia che si localizza nelle microstazioni più favorevoli (depositi di materiale più fine). fattori limitanti l insediamento: aridità edafica. fattori limitanti l affermazione: stress idrici. disturbo: nessuno. resistenza copertura: n.d. STATO VEGETATIVO senescenza precoce: disseccamento chiome farnia stress: idrico dovuta anche all'alternanza di periodi secchi ad altri d'allagamento. TIPO DI GESTIONE ATTUALE: lasciata all evoluzione naturale per limiti stazionali. INDICATORI BIOMETRICI E COLTURALI unità lasciata alla libera evoluzione altezza media (m) 7-8 modalità aggregata copertura fertilità relativa 3 POSSIBILI INTERVENTI D AGEVOLAZIONE DELLA RINNOVAZIONE NATURALE: non necessari. PARTICOLARI PROBLEMATICHE O EMERGENZE DA CONSIDERARE NELLA SCELTA DEGLI INTERVENTI: pregio tipologico-vegetazionale; la conservazione è favorita dall'abbandono degli interventi. Sintesi delle indicazioni colturali riguardanti il querceto di farnia con olmo: ALTERAZIONI ANTROPICHE: talvolta sostituita con colture agrarie; frequenti infiltrazioni di specie esotiche. TENDENZE DINAMICHE NATURALI: possibile arricchimento con altre specie fra cui soprattutto l olmo se non più interessato dalla grafiosi. RINNOVAZIONE NATURALE modalità: non abbondante ma sufficiente; si localizza soprattutto ai margini o allo scoperto. fattori limitanti l insediamento: nessuno. fattori limitanti l affermazione: mancanza di luce, stress idrici da alternanza fra momenti di scarsa disponibilità idrica e allagamenti; inghiaiamento. disturbo: nessuno. resistenza copertura: non più di un quinquennio. STATO VEGETATIVO senescenza precoce: disseccamento chiome. stress: idrico dovuto ai cambiamenti di stato idrico del suolo (alternanza fra periodi secchi e allagamenti). patologie: inghiaiamento; marciumi radicali (schianti); grafiosi dell olmo (Ophiostoma ulmi). attacchi di insetti: fillofagi sulla farnia (Thaumetopoea processionea) e sul pado (Hyponomeuta padellus). TEMPO DI PERMANENZA (anni): funzionale provvisorio:

14 fitosanitario: 140 (deperimento, marciumi radicali). TIPO DI GESTIONE ATTUALE: ordinariamente governata a fustaia. STRUTTURA SOMATICA (solo fustaie ordinarie) verticale copertura tessitura attuale multiplana grossolana tendenziale biplana regolare scarsa grossolana INDICATORI BIOMETRICI E COLTURALI M/ha (m 3 ) fustaia multiplana attuale minima massima n.d. 7 ip 3.27 J/ha (m 3 ) periodo curazione min. 10 max. 10 statura attuale (m) 18 fertilità relativa 7 POSSIBILI INFLUENZE DEGLI INTERVENTI COLTURALI SUL DINAMISMO NATURALE: eventuali riduzioni troppo intense della copertura possono favorire l'ingresso del biancospino e di altre specie arbustive del mantello del bosco. POSSIBILI INTERVENTI D AGEVOLAZIONE DELLA RINNOVAZIONE NATURALE: nei soprassuoli maturi (che oggi mancano) tagli successivi su piccole superfici con taglio di sementazione piuttosto intenso e periodo di rinnovazione breve (8-10 anni). PARTICOLARI PROBLEMATICHE O EMERGENZE DA CONSIDERARE NELLA SCELTA DEGLI INTERVENTI: pregio tipologico-vegetazionale; la conservazione è favorita dal mantenimento di un'ordinaria gestione selvicolturale. 3. Alneti Nella categoria degli alneti rientrano quelle formazioni in cui prevale nettamente una o più specie del genere Alnus. Si tratta di formazioni spesso pure e di limitata superficie a causa della notevole specializzazione ecologica delle specie di questo genere. Le formazioni a netta prevalenza di ontano nero sono presenti in varie regioni, da quella avanalpica a quella mesalpica, nonché in quella appenninica. In generale, il distretto in cui sono più diffusi è quello dell'alta pianura diluviale occidentale. Sono questi gli ambienti in cui è presente l'alneto di ontano nero d impluvio. Si tratta di piccoli boschetti che si localizzano negli impluvi, a contatto con i corsi d'acqua, spesso torrentizi, o nei basso versanti, in corrispondenza di aree d'accumulo di nutrienti ben rifornite d'acqua. In quest'ultimo caso gli alneti di ontano nero derivano frequentemente da processi di ricolonizzazione di prati umidi di bassa quota. Nella composizione, oltre all'ontano nero e al nocciolo, compaiono poche altre specie (farnia e olmo), limitate nella loro diffusione dalla coprente chioma dell'ontano. Quest'ultima caratteristica fa sì che l'alneto di ontano nero d impluvio sia nel complesso e nel breve periodo relativamente stabile, non essendovi altre specie capaci di competere con l'ontano, anche in relazione alla facilità con cui si rinnova per via agamica e gamica. Caratteristiche in parte diverse hanno, invece, gli alneti di ontano nero della bassa pianura alluvionale (alneto di ontano nero tipico), che si collocano soprattutto alla base dei terrazzamenti fluviali, su suoli sempre riforniti d'acqua proveniente dalle falde idriche interrotte e d'elementi nutritivi, condizioni che sono particolarmente favorevoli all'ontano che raggiunge dimensioni considerevoli. Nello strato arboreo l'ontano nero è nettamente dominante accompagnato solo sporadicamente dai pioppi, dal frassino maggiore e dal pado. Si tratta di 11

15 popolamenti stabili, giacché le condizioni edafiche raramente rendono competitive altre specie. Nel complesso gli alneti costituiscono delle formazioni forestali di elevato valore naturalistico e di particolare interesse storico-paesaggistico, in quanto lembi residuali di ben più vaste superfici forestali ridotte nell ultimo secolo dall espansione delle colture agrarie intensive. Diviene, quindi, prioritario nella loro gestione conservarne la presenza che d'altra parte non è difficile grazie alla generale facilità con cui avviene la rinnovazione sia agamica e sia gamica. Si può quindi ritenere che sia l'abbandono alla libera evoluzione, sia il governo a ceduo e sia quello a fustaia non pregiudichino la loro conservazione. Gli alneti della bassa pianura rivestono una certa importanza anche dal punto di vista produttivo. Alcuni di questi alneti poi hanno un particolare valore naturalistico in quanto ospitano la nidificazione di varie specie ornitiche (garzaie). Uno specifico studio condotto sull'individuazione delle forme di gestione favorevoli alla nidificazione di queste specie ha evidenziato che, in generale, le condizioni ottimali sarebbero costituite da un bosco abbastanza giovane, ben diversificato in altezza, anche senza punte estreme di differenza, con una certa mescolanza tra ontano nero e le altre specie e con buona presenza, in particolare ai margini, di fasce cespugliose di salice cinereo. Gli ambienti adatti alla nidificazione dei vari ardeidi risultano poi diversi da specie a specie e comunque, per la vita di questi uccelli, risulta fondamentale l'attività agricola contigua alle aree forestali. Fra le varie considerazioni e indicazioni che emergono dal lavoro, merita segnalare l'opportunità della conservazione del governo a ceduo anche se, per diversificare la distribuzione delle chiome in più piani, si prevede una matricinatura piuttosto intensa di circa 200 soggetti per ettaro. Un'articolata distribuzione delle chiome in più piani e comunque dell'intero sistema potrebbe essere ottenuta ricercandola, più che a livello individuale, per piccoli collettivi. Ciò sarebbe possibile individuando, con un criterio planimetrico-spartitivo, la superficie annua da percorrere con il taglio e successivamente scomponendola in prese di dimensione più piccola (in relazione anche all'ardeide di cui si vuole favorire la nidificazione) opportunamente distribuite sull'intera superficie. Sintesi delle indicazioni colturali riguardanti l alneto di ontano nero d impluvio: ALTERAZIONI ANTROPICHE: spesso sostituito da prati e pascoli di bassa quota. TENDENZE DINAMICHE NATURALI: relativamente stabile, con possibili lente evoluzioni a seconda delle quantità di specie minoritarie presenti. RINNOVAZIONE NATURALE modalità: diffusa sia quella agamica e sia quella gamica dell'ontano; difficile quella delle altre specie. fattori limitanti l insediamento: nessuno. fattori limitanti l affermazione: nessuno per quella dell'ontano; eccessiva copertura per quella delle altre specie. disturbo: nessuno. resistenza copertura: n.d. STATO VEGETATIVO: nessuna alterazione significativa. TIPO DI GESTIONE ATTUALE: non ordinariamente gestita. INDICATORI BIOMETRICI E COLTURALI unità non ordinariamente gestita altezza media (m) 16 modalità copertura regolare colma riferimento colturale ceduo/fustaia monoplana tempi miglioramento n.d. specie adatte frassino, farnia fertilità relativa 6 12

16 POSSIBILI INFLUENZE DEGLI INTERVENTI COLTURALI SUL DINAMISMO NATURALE: la ceduazione può ulteriormente rallentare l'evoluzione verso altre cenosi. POSSIBILI INTERVENTI D AGEVOLAZIONE DELLA RINNOVAZIONE NATURALE: non necessari. PARTICOLARI PROBLEMATICHE O EMERGENZE DA CONSIDERARE NELLA SCELTA DEGLI INTERVENTI: pregio tipologico-vegetazionale; la conservazione è favorita dal mantenimento di un'ordinaria gestione selvicolturale. Sintesi delle indicazioni colturali riguardanti l alneto di ontano nero tipico: ALTERAZIONI ANTROPICHE: in parte sostituito dalle colture agrarie. TENDENZE DINAMICHE NATURALI: stabile. RINNOVAZIONE NATURALE modalità: facile quella sia quella agamica e sia quella gamica dell'ontano, scarsa o nulla quella di altre specie. fattori limitanti l insediamento: nessuno. fattori limitanti l affermazione: per le specie diverse dall'ontano la forte competizione esercitata dall'ontano. disturbo: nessuno. resistenza copertura: n.d. STATO VEGETATIVO senescenza precoce: disseccamento chiome. TEMPO DI PERMANENZA (anni): funzionale provvisorio: 200. fitosanitario: n.d. TIPO DI GESTIONE ATTUALE: ordinariamente governata a ceduo, non ordinariamente gestita, ordinariamente governata a fustaia. STRUTTURA SOMATICA (solo fustaie ordinarie) verticale copertura tessitura attuale monoplana grossolana tendenziale monoplana regolare colma grossolana INDICATORI BIOMETRICI E COLTURALI unità non ordinariamente gestita altezza media (m) 20 modalità copertura lacunosa riferimento colturale fustaia monoplana/ceduo tempi miglioramento attuale generazione specie adatte ontano nero, frassino, farnia ceduo ordinario I/ha a mat. (m 3 ) 6.5 numero allievi/ha med 200 min 50 max specie rilascio frassino, farnia turno med 15 min. 10 cons 15 limiti conv. nessuno 13

17 fustaia monoplana stadio sviluppo M/ha (m 3 ) J/ha (m 3 ) attuale standard attuale fustaia adulta n.d. fustaia matura n.d. n.d. n.d. turno Hd a 50 anni 18 fertilità relativa 9 POSSIBILI INFLUENZE DEGLI INTERVENTI COLTURALI SUL DINAMISMO NATURALE: non influenti. POSSIBILI INTERVENTI D AGEVOLAZIONE DELLA RINNOVAZIONE NATURALE: non necessari. PARTICOLARI PROBLEMATICHE O EMERGENZE DA CONSIDERARE NELLA SCELTA DEGLI INTERVENTI: pregio tipologico-vegetazionale; la conservazione è favorita dal mantenimento di un'ordinaria gestione selvicolturale; formazione con ridotta stabilità meccanica potenziale; sono consigliati interventi di stabilizzazione; in aree di pregio faunistico (garzaie) può essere adottata una matricinatura del ceduo intensa, fino a 200 soggetti per ettaro e/o impiegato un approccio palnimetricospartitivo con alcune varianti (vedi testo). 4. Formazioni particolari Le specie del genere Salix, assai numerose e colonizzatrici di vari ambienti a qualsiasi altitudine, dalle sponde dei fiumi in pianura alle vallette nivali delle quote più elevate, presentando un interesse ecologico non solo per il botanico naturalista. Esse manifestano, in generale, un elevato significato predittivo sulle caratteristiche ambientali del sito e, spesso, sono dotate di straordinaria plasticità e pionierismo, caratteri che le rendono fondamentali nella protezione del suolo. Il loro utilizzo nelle moderne tecniche di rinaturalizzazione di sponde fluviali, copertura di corpi di frana e per il blocco e il mascheramento di processi erosivi, costituisce oramai un settore applicativo che sta conoscendo uno sviluppo consistente anche nel nostro Paese e che non può quindi essere ignorato neppure nell ordinaria gestione selvicolturale. Saliceto di ripa Soprattutto lungo i grandi fiumi nella bassa pianura alluvionale, ma anche in quelli a minor portata, dall'alta pianura alla regione mesalpica, là dove i depositi fluviali sono prevalentemente sabbioso-limosi e i suoli sono spesso sommersi o in ogni caso ben riforniti d'acqua, magari non in superficie, si forma un saliceto a prevalenza di salice bianco (Salix alba), accompagnato spesso dai due pioppi, il nero e il bianco e dall'ontano nero e, talvolta, dal frassino maggiore, dalla robinia, ecc. Si tratta di un saliceto frequentemente rimaneggiato dal passaggio delle piene (prima banda di rigenerazione attiva) che dopo questi eventi ricompare di norma in una posizione spaziale diversa dalla precedente. Saliceto a Salix cinerea È questa una tipica ed esclusiva formazione arbustiva palustre che s'incontra nei luoghi umidi della pianura. Salix cinerea forma caratteristici ed inconfondibili consorzi, di regola di modesta estensione, in cui è spesso accompagnato dal salice bianco, dall'ontano nero e da un tipico corteggio di specie erbacee palustri. Questi lembi di territorio, per la loro rarità, meritano di essere salvaguardati e lasciati alla libera evoluzione. Formazioni di pioppo bianco Nella bassa pianura alluvionale sono presenti dei tratti a netta prevalenza di pioppo bianco che si pongono in relazione dinamica e topografica con il querceto di farnia e con l'alneto, ponendosi in una posizione intermedia testimoniata dalla presenza sia dell'olmo minore e sia dell'ontano nero nonché del nocciolo. Il pioppo bianco assume poi una discreta rilevanza come specie da impiegare negli impianti extrasilvani per la produzione di biomassa da combustibile. 14

18 5. Formazioni antropogene La robinia è la specie esotica maggiormente diffusa in Lombardia. Essa, infatti, partecipa, come specie principale o minoritaria, in molte formazioni costituendo anche dei soprassuoli in purezza o in cui è decisamente dominante. La diffusione dei robinieti è indipendente dalla natura del substrato, anche se essi sono più frequenti su quelli sciolti, posti nei basso versanti o nelle pianure. Nel suo areale d origine, gli Stati Uniti, la spiccatamente eliofila robinia è considerata una specie pioniera intollerante, cioè non in grado di costituire popolamenti puri, stabili e densi e nei boschi misti partecipa di norma solo al piano dominante. Per quanto attiene alla sua riproduzione, nonostante una produzione di seme piuttosto abbondante e con annate di pasciona frequenti (1-2 anni) ed una capacità germinativa che permane per circa 3 anni, la rinnovazione gamica in natura è piuttosto difficile e rara a causa della durezza e della consistenza del tegumento del seme, ed è facilitata da incendi e forti sbalzi termici. Più frequente è la rinnovazione agamica, favorita da una spiccata facoltà pollonifera, sia caulinare e sia radicale. I polloni si sviluppano da rudimentali gemme dormienti, presenti nelle ramificazioni delle radici più vecchie, oppure da gemme avventizie che si formano lungo le radici sottili orizzontali di 1-2 anni. In Italia la robinia è arrivata all inizio della seconda metà del 1700, come pianta ornamentale e sembra che sia stato Alessandro Manzoni a tentare nella sua villa in Brianza il primo impiego forestale di questa specie. Il periodo di maggiore diffusione è legato ai due conflitti mondiali per la ricostruzione dei boschi andati distrutti da questi eventi, sia con l introduzione nelle radure dei boschi degradati a causa dei tagli sregolati e sia nei terreni agricoli marginali, soprattutto nei versanti più scoscesi ed in dissesto. L elevata capacità pollonifera radicale ha poi facilitato la diffusione naturale della robinia nelle formazioni naturali limitrofe agli impianti, soprattutto se degradate o dopo un taglio di utilizzazione. La robinia raggiunge il suo massimo vigore in terreni sciolti e freschi, anche solo mediamente profondi, ma con un buon rifornimento idrico anche durante la stagione estiva, come avviene nell area dei carpineti, dei querco-carpineti e dei rovereti. Il carattere pioniere della robinia è evidente se si considera la sua capacità di colonizzare i più diversi tipi di suoli, da quelli idromorfi fino ai greti ciottolosi, dove però assume forme spesso quasi cespugliose a boscaglia. Nell evoluzione naturale, la robinia non sembra in grado di opporsi alla competizione esercitata dalla vegetazione spontanea che tende a riprendere il sopravvento quando i soggetti invecchiano. La copertura, spesso regolare e colma nei giovani robinieti, non permette però l ingresso di altre specie poco tolleranti le carenze di luce e pioniere, quali pioppi o salici, ma più spesso, quando vi è la presenza di piante portaseme, specie maggiormente tolleranti l'ombra quali il carpino bianco, gli aceri, gli olmi, il frassino maggiore e il ciliegio, nonché le querce. I boschi di robinia non sono accompagnati da uno specifico corredo floristico. Tuttavia, a fronte di un generale impoverimento delle specie proprie della vegetazione potenziale si ha l'ingresso di alcune specie indicatrici di disturbo, quali il rovo e il sambuco. Queste potrebbero essere avvantaggiate anche dalla particolare lettiera che si forma sotto il robinieto, prodotta da foglie il cui contenuto in azoto è volte superiore a quello delle altre latifoglie grazie alla nota azione azotofissatrice di batteri simbionti, presenti nelle radici. La robinia si è naturalizzata molto velocemente in Europa anche grazie all assenza di antagonisti naturali. In Italia in particolare questa specie non presenta parassiti di grande importanza, può essere però saltuariamente attaccata da cocciniglie e da alcuni afidi. Negli ultimi decenni si è assistito alla comparsa di un insetto minatore delle foglie (Parectopa robiniella), originario degli Stati Uniti. A livello di attacchi fungini, la robinia soffre di marciumi radicali che, in genere, si comportano come "parassiti di debolezza". I turni minimi prescritti nel ceduo sono di 10 anni al di sotto dei 600 metri di quota, ma solitamente quelli applicati variano fra 12 e 15 anni, cui corrispondono incrementi medi di maturità nelle stazioni con fertilità da media a ottima fra 10 e 16 m 3 /ha. Per quanto concerne la gestione dei robinieti, la capacità di questa specie di formare boschi puri è legata ad un regime di tagli frequenti e a raso, condizione che è verificata appunto nel governo a ceduo semplice. Se il taglio non è effettuato troppo oltre il turno consuetudinario (non più di anni), viene mantenuta la vitalità e la sua aggressività nei confronti delle 15

19 altre specie arboree nonché la sua capacità d'espandersi. Nel caso il robinieto abbia un'età superiore si assiste ad una forte competizione intraspecifica che porta ad una riduzione del numero di individui a soggetti a ettaro e alla formazione, nelle situazioni migliori, di una sorta di fustaia da polloni oppure, in quelle peggiori, al collasso del popolamento. In questa fase, se vi è la disponibilità del seme, si verifica l ingresso con possibilità di sviluppo delle specie autoctone. In queste situazioni, qualora dovessero mancare soggetti portaseme delle specie autoctone, è possibile prevedere d'intervenire artificialmente con sottopiantagioni. I robinieti misti, vale a dire le formazioni in cui vi è la presenza nel piano dominato di altre specie e la robinia è per lo più presente in quello dominante, derivano in genere dall'invasione naturale di quest'ultima in altri tipi di popolamenti. In queste condizioni il taglio del soprassuolo favorisce ulteriormente la sua diffusione, perciò, nei casi nei quali si voglia ridurre la sua presenza, si consiglia di sospendere qualsiasi intervento o di procedere con particolari accorgimenti, come, ad esempio, quello d'anticipare di qualche anno il taglio in modo che i giovani polloni soffrano della copertura dovuta al soprassuolo residuo. Infine, merita ricordare che nonostante la robinia sia in Italia una specie ormai completamente naturalizzata ed ampiamente diffusa e utilizzata per la sua alta qualità come legna da ardere, esistono situazioni in cui è opportuna l'eliminazione, come avviene, ad esempio, in aree protette con esigenze di rinaturalizzazione. In questi casi, quando non è proponibile un azione radicale meccanica o chimica molto impattante, l unica via è l invecchiamento, con rinuncia alla funzione produttiva nel medio lungo termine e con eradicazione non sempre completa. Sintesi delle indicazioni colturali riguardanti il robinieto puro: ALTERAZIONI ANTROPICHE: formazione di origine antropica anche se successivamente diffusasi spontaneamente. TENDENZE DINAMICHE NATURALI: stabile, almeno nel medio periodo. RINNOVAZIONE NATURALE modalità: estremamente facile quella agamica (soprattutto per polloni radicali); relativamente difficile quella gamica. fattori limitanti l insediamento: difficile germinabilità del seme. fattori limitanti l affermazione: carenze di luce. disturbo: nessuno. tolleranza copertura: molto limitata. STATO VEGETATIVO senescenza precoce: disseccamento chioma nei soggetti con età oltre i 30 anni. TIPO DI GESTIONE ATTUALE: ordinariamente governata a ceduo. INDICATORI BIOMETRICI E COLTURALI ceduo ordinario I/ha a mat. (m 3 ) 13 numero allievi/ha med 100 min 50 max 50 specie rilascio tutte non la robinia turno med 15 min. 10 cons 15 limiti conv. solo per invecchiamento fertilità relativa 8 POSSIBILI INFLUENZE DEGLI INTERVENTI COLTURALI SUL DINAMISMO NATURALE: la ceduazione favorisce l attuale composizione tendendo ad espandere spazialmente la formazione. POSSIBILI INTERVENTI D AGEVOLAZIONE DELLA RINNOVAZIONE NATURALE: decisamente sconsigliati. PARTICOLARI PROBLEMATICHE O EMERGENZE DA CONSIDERARE NELLA SCELTA DEGLI INTERVENTI: nessuna 16

20 emergenza significativa. Sintesi delle indicazioni colturali riguardanti il robinieto misto: ALTERAZIONI ANTROPICHE: formazione di origine antropica anche se successivamente diffusasi spontaneamente. TENDENZE DINAMICHE NATURALI: lenta evoluzione verso querco-carpineti o querceti. RINNOVAZIONE NATURALE modalità: estremamente facile quella agamica (soprattutto per polloni radicali); relativamente difficile quella gamica anche delle specie diverse della robinia che però, invecchiando il soprassuolo, si diffondono sporadicamente sotto copertura. fattori limitanti l insediamento: per la robinia difficile germinabilità del seme, per quella delle altre specie difficile. fattori limitanti l affermazione: carenze di luce, eccessiva competizione della robinia. disturbo: la ceduazione esalta la capacità competitiva della robinia. tolleranza copertura: molto limitata quella della robinia, per almeno un ventennio quella delle altre specie. STATO VEGETATIVO senescenza precoce: disseccamento chioma nei soggetti di robinia con età oltre i 30 anni. TIPO DI GESTIONE ATTUALE: ordinariamente governata a ceduo. INDICATORI BIOMETRICI E COLTURALI ceduo ordinario I/ha a mat. (m 3 ) 11 numero allievi/ha med 65 min 50 max 100 specie rilascio tutte non la robinia turno med 15 min. 10 cons 15 limiti conv. solo per invecchiamento fertilità relativa 8 POSSIBILI INFLUENZE DEGLI INTERVENTI COLTURALI SUL DINAMISMO NATURALE: la ceduazione ristabilisce la netta prevalenza della robinia pregiudicando la sua sostituzione; inutili sono anche gli interventi di cercinatura. POSSIBILI INTERVENTI D AGEVOLAZIONE DELLA RINNOVAZIONE NATURALE: decisamente sconsigliabili. PARTICOLARI PROBLEMATICHE O EMERGENZE DA CONSIDERARE NELLA SCELTA DEGLI INTERVENTI: nessuna emergenza significativa. 17

21 Tecniche di ripristino del legno morto FONTE: CAVALLI R., MASON F. (EDS.), TECNICHE DI RIPRISTINO DEL LEGNO MORTO PER LA CONSERVAZIONE DELLE FAUNE SAPROXILICHE. IL PROGETTO LIFE NATURA DI «BOSCO DELLA FONTANA» (MANTOVA, ITALIA). ARCARI EDITORE. La Riserva Naturale di Bosco della Fontana rappresenta un ambiente relitto e seriamente minacciato dalla carenza di legno morto e di alberi senescenti, che costituiscono habitat esclusivi per il completamento del ciclo vitale di numerose specie saproxiliche. La maggior parte di essi sono rappresentati da invertebrati, ma anche uccelli e mammiferi. Gli invertebrati saproxilici (sono soprattutto insetti come coleotteri, ditteri, collemboli, diplopodi, molluschi, ecc.) comprendono non solo le specie che si nutrono del legno ma anche i loro predatori e parassitoidi, le specie che si nutrono dei funghi del legno, quelle che occupano i fori lasciati nel legno da altri saproxilici. Per quanto riguarda gli uccelli (picidi, stigiformi, ecc.) e i mammiferi (soprattutto chirotteri), alcuni di questi necessitano delle cavità e dei buchi degli alberi da utilizzare come rifugio per la nidificazione. Le premesse per l'impostazione del progetto LIFE Natura di Bosco Fontana sono basate sul primo monitoraggio della dinamica forestale condotto nel 1992, che ha dimostrato chiaramente come la Quercia rossa (Quercus rubra), specie aliena introdotta nel ventesimo secolo, stia prendendo il sopravvento stravolgendo l'identità del querco-carpineto caratteristico di Bosco Fontana. Allo stesso modo, il platano non riveste nella riserva alcun ruolo ecologico o faunistico. Invece di eliminare il problema rimuovendo semplicemente gli alberi di specie esotiche si è scelto di riciclare sia la quercia rossa sia il platano, trasformandoli rispettivamente in legno morto e in microhabitat per le faune saproxiliche. Tipologie di intervento su quercia rossa. Fusto spezzato in piedi e fusto spezzato a terra. Il fusto spezzato in piedi e quello a terra sono costituiti da un moncone di tronco in piedi, ottenuto spezzando il fusto ad un'altezza di 3-4 m e dalla rimanente porzione di fusto che cade a terra. Si procede effettuando una tacca di direzione all'altezza prestabilita; quindi si effettua un taglio di abbattimento, lasciando una cerniera di 4-5 cm di spessore. Il fusto è quindi spezzato utilizzando un verricello e operando la trazione in modo diretto o indiretto tramite un rinvio, sulla base delle condizioni operative che si possono verificare. Sul moncone di tronco che rimane in piedi, si effettua una doppia cercinatura per evitare che la pianta vegeti nuovamente. Il diametro a petto d'uomo (d.b.h.) minimo per effettuare l'intervento è di 25 cm. La parte di fusto a terra è successiva mente sramata, recidendo i rami con diametro inferiore a 10 cm. Questi sono accumulati in corrispondenza degli alberi spezzati o sradicati, creando così nuove nicchie utilissime a micromammiferi e rettili. Fasi di lavoro e corrispondenti tempi relativi alla realizzazione di un fusto spezzato in piedi e di un fusto spezzato a terra. Tempo di preparazione: ripulitura del posto di lavoro; scelta della direzione di caduta; posizionamento del trattore e predisposizione del verricello. Tempo di allestimento per trazione: posizionamento e ancoraggio della scala; salita dell'operatore al limite della scala e messa in sicurezza dello stesso; posizionamento della catena strozzalegno ad altezza idonea (8-9 m); discesa dell'operatore dalla scala e spostamento della stessa in zona sicura; posizionamento della carrucola di rinvio con relativa cinghia tubolare; srotolamento della fune dal tamburo del verricello, introduzione nella carrucola di rinvio e fissaggio alla catena strozzalegno. Tempo di taglio: montaggio, posizionamento e ancoraggio del trabatello; esecuzione della tacca di direzione e del taglio di abbattimento; smontaggio 'e posizionamento del trabatello in altra sede. Tempo di trazione: avviamento del trattore; messa in tensione della fune del verricello; avvio della trazione; rottura del fusto. Tempo di recupero: recupero delle attrezzature utilizzate e avvolgimento della fune sul tamburo del verricello. Tempo di cercinatura: incisione con motosega dei bordi delle fasce da cercinare; scortecciatura della fascia da cercinare con scortecciatore manuale. Tempo di rifornimento: rifornimento della motosega. Tempi morti. Tempo di trasferimento al soggetto successivo: trasporto dei materiali al soggetto successivo. 18

22 Fusto spezzato in piedi e fusto spezzato a terra realizzati con l'impiego di cariche di esplosivo. Il fusto spezzato in piedi e quello a terra, realizzati con l'impiego di cariche di esplosivo sono costituiti rispettivamente da un moncone di tronco in piedi, ottenuto spezzando il fusto ad un'altezza di 3-4 m, e dalla rimanente porzione di fusto che cade a terra. Si procede effettuando con trapano elettrico alcuni fori circolari, di profondità pari a 2/3 del diametro del fusto all'altezza di rottura e di diametro appropriato alle dimensioni dei candelotti di esplosivo. Nei fori sono inserite le cariche esplosive innescate, collegate con un cavo elettrico all'esploditore. Il numero dei fori è direttamente correlato al diametro degli alberi. Le proporzioni da rispettare sono le seguenti: 1 foro per diametri minori di 35 cm; 2 fori per diametri compresi tra 35 e 44 cm; 3 fori per diametri compresi tra 45 e 70 cm; 4 fori per diametri maggiori di 70 cm. I fori sono orizzontali e leggermente convergenti verso il centro del fusto, questo per evitare che la potenza della carica si disperda troppo verso l'esterno. Nei fusti non perfettamente circolari, per un corretto posizionamento delle cariche si devono tenere in considerazione la conformazione della sezione e le tensioni della pianta, per individuare il punto più idoneo alla rottura. Si possono preparare due o più alberi e collegare le cariche in serie per farle esplodere contemporaneamente. Le fasi successive alla realizzazione di questa prima fase sono simili a quelle previste per la tipologia realizzata con motosega e verricello, ma non comprendono 19

23 quelle connesse all'uso del verricello, escluso nella realizzazione di questa tipologia. Fasi di lavoro e corrispondenti tempi relativi alla realizzazione di un fusto spezzato in piedi e di un fusto spezzato a terra con l'impiego di cariche di esplosivo. La normativa nazionale sull'uso dell'esplosivo a scopi civili prevede che il materiale sia ritirato dalla polveriera da una ditta specializzata nel trasporto e che esso sia utilizzato nell'arco della stessa giornata in cui è stato prelevato. L'eventuale quantità residua deve essere distrutta alla fine della giornata nel luogo di utilizzo e non può quindi essere immagazzinata. La richiesta di fornitura dell'esplosivo deve essere effettuata dalla ditta autorizzata all'utilizzo, previa comunicazione alla Questura competente per la zona di utilizzo. La Questura competente, e più precisamente l'ufficio Armi della stessa, provvede, inoltre, ad accertare il quantitativo realmente necessario per quell'intervento e deve essere a conoscenza del tragitto dell'esplosivo dal deposito al luogo di impiego. Considerate queste modalità operative, si è preferito suddividere l'intervento in due giornate, nella prima delle quali sono stati praticati i fori alle varie piante, mentre nella seconda sono state applicate e fatte esplodere le cariche esplosive. Data la particolarità dell'operazione, si sono considerati i tempi totali di esecuzione degli interventi. Albero sradicato artificialmente. La tipologia di intervento prevede che gli alberi siano sradicati per mezzo del verricello. Lo sradicamento risulta ecologicamente più efficace, dato che le radici, sollevandosi dal suolo, producono un rimescolamento del terreno. Il d.b.h. minimo per effettuare l'intervento è di 30 cm. Fasi di lavoro e corrispondenti tempi relativi alla realizzazione di un albero sradicato artificialmente. Tempo di preparazione: ripulitura del posto di lavoro; scelta della direzione di caduta; posizionamento del trattore e predisposizione del verricello. Tempo di allestimento alla trazione: posizionamento e ancoraggio della scala; salita dell'operatore al limite della scala e messa in sicurezza dello stesso; posizionamento della catena strozzalegno ad altezza idonea (8-9 m); discesa dell'operatore dalla scala e spostamento della stessa in zona sicura; posizionamento della carrucola di rinvio con relativa cinghia tubolare; srotolamento della fune dal tamburo del verricello, introduzione nella carrucola di rinvio e fissaggio alla catena strozzalegno. Tempo di trazione: avviamento del trattore; messa in tensione della fune del verricello; avvio della trazione con verricello; sradicamento della pianta. Tempo di recupero: recupero delle attrezzature utilizzate e avvolgimento della fune sul tamburo del verricello. Tempi morti. Tempo di trasferimento al soggetto successivo: trasporto dei materiali al soggetto successivo. Albero morto pendente. Questa tipologia è realizzata sradicando solo parzialmente l'albero, mediante il verricello, e facendolo appoggiare ad alberi circostanti. L'albero è poi devitalizzato, eseguendo una doppia cercinatura nella parte basale del tronco. Il d.b.h. minimo per effettuare l'intervento è pari a 20 cm. Fasi di lavoro e corrispondenti tempi relativialla realizzazione di un albero morto pendente. Tempo di preparazione: ripulitura del posto di lavoro; scelta della direzione di caduta; posizionamento del trattore e predisposizione del verricello. Tempo di allestimento alla trazione: posizionamento e ancoraggio della scala; salita dell'operatore al limite della scala e messa in sicurezza dello stesso; posizionamento della catena strozzalegno ad altezza idonea (8-9 m); discesa dell'operatore dalla scala e spostamento della stessa in zona sicura; posizionamento della carrucola di rinvio con relativa cinghia tubolare; srotolamento della fune dal tamburo del verricello, introduzione nella carrucola di rinvio e fissaggio alla catena strozzalegno. Tempo di trazione: avviamento del trattore; messa in tensione della fune del verricello; avvio della trazione; sradicamento parziale della pianta. Tempo di recupero: recupero delle attrezzature utilizzate e avvolgimento della fune sul tamburo del verricello. Tempo di cercinatura: incisione con motosega dei bordi delle fasce da cercinare; scortecciatura della fascia da cercinare con scortecciatore manuale. Tempo di rifornimento: rifornimento motosega. Tempi morti. Tempo di trasferimento al soggetto successivo: trasporto dei materiali al soggetto successivo. 20

24 Albero morto in piedi. La tipologia di intervento consiste in una doppia cercinatura nella parte basale del fusto che provoca la morte dell'albero in piedi. Il d.b.h. minimo per effettuare l'intervento è di 25 cm. Fasi di lavoro e corrispondenti tempi relativi alla realizzazione di un albero morto in piedi Tempo di preparazione: ripulitura del posto di lavoro. Tempo di cercinatura:incisione con motosega dei bordi delle fasce da cercinare; scortecciatura della fascia da cercinare con scortecciatore manuale. Tempo di rifornimento: rifornimento motosega. Tempi morti. Tempo di trasferimento al soggetto successivo: trasporto dei materiali al soggetto successivo. Tipologie di intervento su platano. Alberi habitat. A seconda del diametro, l'albero può essere interessato da uno o due interventi. Se il d.b.h. è ritenuto sufficiente, sul soggetto sono realizzati sia la cavità di nidificazione sia i catini basali; per diametri inferiori al contrario sono realizzati i soli catini basali. La scelta di esecuzione di uno o di entrambi gli interventi è legata alla resistenza alla rottura dell'albero in corrispondenza della cavità di nidificazione. Catini basali. I catini basali hanno lo scopo di favorire l'innesco di processi di marcescenza e la creazione di aree basali a marciume molle. L'intervento consiste nella formazione di una serie di tasche, disposte in successione verticale nella parte inferiore del tronco. Queste sono realizzate con la motosega, incidendo prima le pareti verticali delle tasche che sono poi ultimate con i tagli orizzontali, superiore ed inferiore; infine una volta estratti i tasselli, sono effettuate delle incisioni per favorire l'ingresso dell'acqua. Le dimensioni dei catini sono proporzionate alla rastremazione del fusto e diminuiscono, quindi, con l'altezza da terra. L'intervento ha anche lo scopo di stimolare la fuoriuscita di linfa dal fusto, necessaria alle specie saproxiliche specializzate. Cavità di nidificazione. Questa tipologia di intervento ha la finalità di creare dei siti di nidificazione per l'avifauna saproxilica e saproxilobia, nonché di rendere disponibili microhabitat per gli invertebrati saproxilici. La realizzazione di una cavità di nidificazione ad una altezza di 1-4 m dal suolo, con dimensioni varia bili secondo le specie per le quali viene predisposta, è attuata mediante: a) quattro tagli frontali per delimitare il tassello di legno e un taglio laterale per consentirne l'estrazione; b) estrazione del tassello di legno; e) riduzione dello spessore del tassello ed esecuzione del foro circolare, specifico per la specie da ospitare; d) applicazione e sigillatura del tassello di legno sulla cavità. Fasi di lavoro e corrispondenti tempi relativi alla realizzazione di un albero habitat. Tempo di preparazione: ripulitura della zona di lavoro. Scelta della posizione delle cavità: catini basali: in base alla presenza di tensioni nella pianta; cavità di nidificazione: esposizione compresa tra sud-est e sud-ovest; montaggio e ancoraggio trabatello. Tempo di esecuzione delle cavità di nidificazione: salita dell'operatore sul trabatello, posizionato ad altezza idonea; incisione sulla corteccia del perimetro del tassello da estrarre; taglio del tassello ed estrazione dello stesso; discesa dell'operatore a terra; ritorno al carrello portattrezzi per la sezionatura del tassello per ricavare il tappo e per eseguirvi l'apertura; ritorno all'albero; risalita dell'operatore sul trabatello; posizionamento e sigillatura del tappo; discesa dell'operatore dal trabatello; smontaggio trabatello. Tempo di esecuzione dei catini basali: taglio per la formazione di tre catini basali; estrazione dei tasselli dai catini basali; riordino attrezzatura. Tempo di rifornimento: rifornimento motosega. Tempi morti. Tempo di trasferimento al soggetto successivo: trasporto dei materiali al soggetto successivo. 21

25 Tipologie di cavità di nidificazione. Tra le specie più significative dell'avifauna che nidificano in cavità presenti su vecchi alberi marcescenti del Bosco della Fontana, si possono elencare le seguenti: civetta (Athene noctua); allocco (Strix aluco); torcicollo (Jynx torquilla); pigliamosche (Muscicapa striata); cincia bigia (Parus palustris); cinciarella (Parus caeruleus); cinciallegra (Parus major); picchio muratore (Sitta europaea); storno (Sturnus vulgaris); passera mattugia (Passer montanus). In considerazione delle specie sopra elencate, sono stati predisposti i modelli di cavità di nidificazione in figura. La scelta dell'albero su cui eseguire un determinato modello di cavità, dipende esclusivamente dal diametro dello stesso. Di conseguenza, gli alberi con diametro maggiore ospitano le tipologie più grandi e, in maniera proporzionale, si interviene su tutti i soggetti predestinati. Elemento fondamentale da considerare è la distanza tra due soggetti che ospitano cavità di nidificazione, la quale non deve essere inferiore a 20 m. Tale limitazione può influenzare l'effettivo utilizzo di tutti gli alberi con diametro utile e quindi influire sul numero finale di cavità realizzabili. Oltre all'esposizione della cavità, un altro aspetto di particolare importanza da tenere in considerazione, è l'inclinazione del foro circolare specifico del modello, che deve essere rivolta verso terra per favorire lo scolo dell'acqua all'esterno, evitando così che si possa creare un ristagno all'interno, almeno per i primi anni. I catini basali, generalmente tre per ogni albero, sono necessari per innescare fenomeni di marcescenza al colletto. Con il trascorrere degli anni, il propagarsi della marcescenza verso l'alto si congiunge con quella discendente, provocata dalla cavità di nidificazione, creando così un tronco cavo, caratteristico dei vecchi alberi senescenti, tipici di foreste mature ed equilibrate. 22

26 Fascia tampone boscate FONTI: CONTE G., MASI F., SANSONI G., TECNICHE DI DEPURAZIONE SEMINATURALI. IN NARDINI A., SANSONI G. (EDS.), LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE IN ITALIA. CENTRO ITALIANO PER LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE. MAZZANTI EDITORI. UNITED STATES DEPARTMENT OF AGRICULTURE. REMM: RIPARIAN ECOSYSTEM MANAGEMENT MODEL. Per la loro collocazione all'interfaccia tra il corso d'acqua ed il territorio circostante, le fasce di vegetazione del corridoio ripario intercettano le acque di dilavamento del territorio; per la loro capacità di rimozione di inquinanti sono anche denominate zone filtro (buffer zones) o fasce tampone (buffer strips). La collocazione e le capacità intrinseche rendono le fasce tampone boscate (FTB) lo strumento d'elezione per il trattamento naturale delle fonti di inquinamento diffuso veicolate dalle acque di dilavamento provenienti dai territori agricoli o urbanizzati adiacenti. Le acque di ruscellamento superficiale veicolano solidi sospesi e, adsorbiti ad essi, fosfati ed altri inquinanti; i nitrati, invece, essendo solubili, sono veicolati (disciolti) dalle acque di scorrimento, sia superficiale che sotterraneo. Le fasce tampone, abbattendo questi inquinanti, forniscono un contributo insostituibile alle acque fluviali, preservandone la limpidezza e contrastandone l'eutrofizzazione. Filtro per sedimenti. La forte torbidità delle acque fluviali spesso osservabile dopo le piogge deriva da due cause: l'erosione dei terreni spondali e il carico di sedimenti sospesi veicolato dalle acque meteoriche di dilavamento del territorio. Le FTB contrastano efficacemente entrambe. L'azione protettiva dall'erosione spondale è ben nota e si esplica attraverso due meccanismi sinergici: 1) il consolidamento del terreno spondale, esercitato dagli estesi apparati radicali; 2) la forte riduzione della velocità della corrente in prossimità della superficie del terreno, determinata dall'attrito con la parte emersa dei vegetali (erbe, tronchi, rami, fronde). Anche la filtrazione dei sedimenti sospesi nelle acque di ruscellamento si esplica attraverso due processi: 1) la sedimentazione, indotta dalla forte riduzione di velocità determinata dall'attrito con lo strato erbaceo e/o la densa lettiera fogliare; 2) 1 infiltrazione che, oltre a trattenere limi e argille nel profilo del suolo, riduce ulteriormente il flusso superficiale (suoli più porosi sono perciò più efficaci). Fasce tampone erbacee sono molto efficienti (una striscia larga 5 m abbatte circa 1'85% dei solidi sospesi) finché l'erba non è sommersa: a questo punto essa si piega e perde bruscamente la sua efficacia; sono perciò più efficaci in pianura (in collina si forma più facilmente un flusso concentrato che le aggira). La massima sedimentazione si ha nel primo metro, ove si forma un cuneo di deposito e, col tempo, un flusso parallelo alla fascia. Per assicurare sempre la massima efficacia di quest'ultima è perciò necessaria la manutenzione: 2-3 sfalci l'anno; periodica asportazione dei depositi (da restituire al terreno); cordoli trasversali per interrompere e livellare il flusso parallelo. Fasce tampone forestale accrescono la permeabilità del suolo (per i vuoti lasciati dal ricambio radicale e l'humus prodotto dalla lettiera e dagli organismi associati, es. lombrichi) e sono molto importanti per i piccoli alvei montani; questi, infatti, per la scarsa copertura vegetale e per il loro elevato numero, sono una fonte primaria di sedimenti. Fasce tampone composite possono essere appositamente costruite e gestite in associazione alle migliori pratiche agricole. In questo caso la struttura consigliata è a tre fasce parallele adiacenti (a partire dalla sponda: arborea permanente, arbustiva gestita e infine erbacea). Rimozione dei fosfati. Nel suolo il fosforo non è libero, ma adsorbito alle particelle terrose. Per eccessivo uso di fertilizzanti, la capacità d'adsorbimento del suolo coltivato può saturarsi generando fosforo disciolto nelle acque di ruscellamento superficiale (nelle acque d'infiltrazione, invece, il fosforo disciolto è nuovamente adsorbito e trattenuto sulle particelle di suolo). Gli apporti di fosforo ai corsi d'acqua sono perciò essenzialmente particolati e veicolati dai 23

27 solidi sospesi nelle acque di ruscellamento superficiale (al contrario di quelli di azoto, solubili e prevalentemente veicolati dalle acque sotterranee). I meccanismi di rimozione dei fosfati sono quindi gli stessi dei solidi sospesi (sedimentazione e infiltrazione). Le fasce tampone efficienti nella rimozione di questi ultimi lo sono perciò anche nella rimozione del fosforo (e di altri inquinanti adsorbiti alle particelle terrose, ad es. pesticidi che, così intrappolati, vengono più o meno rapidamente degradati). Rimozione dei nitrati. Come già detto, i nitrati dilavati dai terreni agricoli -nonché quelli derivanti dalla decomposizione della sostanza organica, ad es. scarichi civili e zootecnici- sono disciolti nelle acque (meteoriche o d'irrigazione) che, infiltrandosi, raggiungono i corsi d'acqua principalmente per via sotterranea. In questo scorrimento ipodermico, venendo in intimo contatto con l'apparato radicale delle fasce tampone, si spondale verifica una drastica riduzione della loro concentrazione. I meccanismi di rimozione sono: - durante la stagione vegetativa (ai nostri climi: primavera-estate) i nitrati sono assorbiti dalle radici e l'azoto è assimilato, cioè incorporato nei vegetali in crescita; - nell'autunno-inverno, o comunque in condizioni di suolo saturo e anaerobico i batteri denitrificati rimuovono i nitrati dalle acque sotterranee riducendoli ad azoto gassoso, liberato nell'atmosfera. Anche nella denitrificazione il ruolo delle fasce vegetate riparie è essenziale; esse infatti - attraverso la lettiera fogliare e gli essudati radicali- forniscono carbonio organico, essenziale sia come fonte energetica per i batteri denitrificanti sia perché la sua rapida ossidazione consuma l'ossigeno eventualmente presente, mantenendo così condizioni riducenti. Denitrificazione con FTB: consigli pratici. L'impianto di fasce tampone boscate può dare quindi un grande contributo alla denitrificazione delle acque ipodermiche che alimentano i corsi d'acqua, contrastandone l'eutrofizzazione. Quanto deve essere larga una fascia vegetata riparia per abbattere la quasi totalità dei nitrati? I numerosissimi dati sperimentali disponibili in letteratura forniscono larghezze da 5 a 30 metri. Tuttavia, più che affrontare il problema con un approccio quantitativo, è essenziale affrontarlo con un approccio ecologico. Le zone dove realizzare le FTB, infatti, vanno scelte con cura: per individuare le localizzazioni più efficaci occorre tener conto dei fattori limitanti, in particolare dell'idrologia del sito e delle condizioni di saturazione del suolo. Ad esempio, se la falda è molto profonda (per condizioni naturali o perché l'alveo ha subito una profonda incisione) le acque sotterranee passeranno al di sotto dello strato degli apparati radicali delle FTB, senza interessarli: in queste condizioni, sfavorevoli alla denitrificazione, sarebbe inutile piantare fasce riparie boscate, perlomeno ai fini della rimozione dei nitrati. Un criterio essenziale per la localizzazione ottimale delle FTB è perciò l'individuazione delle zone in cui si verificano frequentemente condizioni di suolo saturo; aree privilegiate di indagine saranno pertanto quelle dove si riduce la pendenza (fasce di raccordo tra il versante e la piana). Bisogna però tener conto che il deflusso sotterraneo verso i corsi d'acqua non è distribuito uniformemente, ma tende a seguire vie privilegiate (massima permeabilità, massima pendenza): un'indicazione di grande utilità pratica sarà allora l'individuazione delle aree che tendono a restare inzuppate dopo le piogge. In una risorgiva sarà d'estrema importanza realizzare la fascia vegetata tutt'attorno alla testata dell'emergenza, per intercettare le acque sotterranee che risalgono e convergono verso di essa, alimentandola. Inoltre nei tratti montani e collinari, a causa della pendenza, il flusso idrico sotterraneo sarà sempre diretto dal versante al corso d'acqua; la bassa pianura, invece, diviene una zona di immagazzinamento di acque sotterranee, in cui i flussi tendo no ad invertirsi (dominano i trasferimenti dal fiume alla piana). Le aree di pianura, però, sono oggi quasi sempre innervate da una fitta rete di canali artificiali che ricevono -per via superficiale o sub-superficiale- i deflussi provenienti dal territorio circostante e li drenano -per gravita o attraverso sollevamenti artificiali- verso i corsi d'acqua principali. In ogni caso, se l'obiettivo è la rimozione dei nitrati, è preferibile realizzare FTB sulla rete idrografica minore, la miriade di piccoli corsi d'acqua naturali o artificiali: infatti quello che conta è aumentare l'estensione dell'interfaccia tra FTB e territorio. Le fasce riparie dei corsi d'acqua principali svolgeranno invece una funzione primaria di conservazione degli habitat e della biodiversità. Per quanto sia ovvio, è infine opportuno ricordare che l'efficacia delle FTB sarà massima nelle aree che ricevono un elevato carico di nitrati, ovvero le aree agricole, nelle quali occorrerà 24

28 tener conto della distribuzione stagionale delle concimazioni azotate, dello spargimento di liquami, delle irrigazioni e dei sistemi di drenaggio. I sistemi di drenaggio del terreno agricolo, superficiali o sotterranei, conducono direttamente al corso d'acqua ricettore le acque meteoriche o di irrigazione, bypassando lo strato radicale delle FTB ed annullandone l'efficacia denitrificante. In questi casi occorre interrompere i condotti di drenaggio prima che raggiungano il corso d'acqua e collocare in questi siti FTB o aree umide vegetate. In conclusione, il miglior consiglio pratico per l'impianto di FTB è fare il massimo ricorso allo studio attento delle condizioni locali. Rendimenti delle Fasce Tampone. Per quanto riguarda l'azoto, sulla base delle esperienze riportate nella letteratura internazionale, si è verificato come le rimozioni annue possano variare da 20 fino a 400 kg di azoto per ettaro di FTB nel caso in cui vi siano le condizioni ideali per il buon "funzionamento" (falda superficiale ipodermica localizzata costantemente pochi centimetri al di sotto del piano di campagna e isolata dagli acquiferi sottostanti da strati impermeabili, permeabilità elevata dei terreni superficiali, concentrazioni di azoto nitrico superiori agli 8-10 mg/l). In termini percentuali, i valori di rimozione di azoto rispetto al carico in ingresso citati in letteratura sono generalmente elevati (superiori al 70%). Per quanto riguarda la rimozione del fosforo, la letteratura internazionale fornisce esclusivamente valori in percentuale di rimozione del carico in ingresso: i valori più frequenti oscillano tra il 30% e il 70%, con punte superiori al 90%. Sebbene esistano molte esperienze relative alla stima dell'efficacia depurante delle fasce tampone, la previsione dell'efficacia di una data fascia in un determinato sito resta sempre una sfida ardua. Di norma, se si conoscono le caratteristiche di dettaglio del sito di impianto, è possibile prevedere gli effetti semplicemente per similarità con casi noti in condizioni analoghe. Per prevedere gli effetti di rimozione dell'azoto e del fosforo a scala di bacino, esiste un modello spaziale molto complesso -il modello REMM- che richiede, però, una mole notevolissima di dati di input. È possibile, in alternativa, ricorrere a metodi semplificati di stima dell'effetto depurante per i diversi inquinanti che tenga conto delle prestazioni di abbattimento rilevate in letteratura e le adatti alle situazioni locali, differenziandole sulla base di informazioni facilmente disponibili, quali la permeabilità del suolo, la soggiacenza della falda e la distribuzione annua delle precipitazioni. Si ottengono così delle carte di "idoneità" ed "efficacia potenziale" delle fasce tampone nelle diverse condizioni che permettono stime grossolane ma utili a localizzare gli impianti dei siti adatti e ad avere un'idea degli effetti -su ciascuno degli inquinanti- di diversi scenari di impianto di FTB. 25

29 Forest for water FONTI: PROGETTO LIFE03 ENV/S/ DEMONSTRATION OF OPPORTUNITIES ON FOREST LAND TO SUPPORT THE IMPLEMENTATION OF THE WATER FRAMEWORK DIRECTIVE. GUMIERO B., IL PROGETTO LIFE FOREST FOR WATER. IN NARDINI A., SANSONI G. (EDS.), LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE IN ITALIA. CENTRO ITALIANO PER LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE. MAZZANTI EDITORI. Una gestione sostenibile della vegetazione a scala di bacino può ridurre l'inquinamento diffuso migliorando la qualità delle acque, aumentare i tempi di corrivazione abbassando così i picchi di piena, aumentare l'infiltrazione nel suolo attenuando l'entità delle magre, e ridurre il trasporto solido. L'inquinamento diffuso è spesso intermittente perché legato ad attività stagionali (es. agricoltura) o episodiche (es. movimenti terra, costruzione di strade o edifici) e mobilizzato da eventi irregolari quali forti precipitazioni. Questi apporti inquinanti non puntiformi sono difficili da misurare e da regolamentare proprio perché derivano da attività disperse su una vasta area di territorio, non sono convogliati in tubazioni (rendendo problematica l'individuazione dei responsabili) e, come detto, sono fortemente discontinui. La salvaguardia e l'incremento di aree boscate interposte fra le fonti inquinanti ed il corpo idrico recettore (effetto tampone) è tra le strategie più efficaci per la riduzione di questi carichi. Per gestire in modo sostenibile le foreste e salvaguardare le loro funzioni in generale è necessario mantenerle disetanee, al più con il taglio selettivo degli alberi più vecchi o ammalati; in ogni caso va evitato il taglio completo di ampie zone lungo i versanti e se possibile va mantenuto integro l'apparato radicale (coppature, potature). Al contrario, una cattiva pianificazione e gestione a scala di bacino imbrifero può accrescere l'erosione del suolo e l'apporto ai fiumi di inquinanti e sedimenti (torbidità), accentuare sia le piene che le magre, danneggiare la fauna ittica, ridurre la biodiversità; dove l'acqua è utilizzata per uso potabile può aumentare il costo per il trattamento. Proprio alla luce di queste conoscenze le strategie per la localizzazione e la gestione delle foreste stanno cambiando. Fino ad un decennio fa la forestazione interessava quasi esclusivamente l'ambito montano, mentre in futuro verosimilmente verranno sempre più forestale zone di pianura, che entreranno a far parte sia del territorio agricolo (come ecosistemi filtro e/o produzione legnosa), sia di quello urbano (aree vicine alle città e ai paesi, parchi urbani, ecc.). L'impianto di nuovi boschi autoctoni è incoraggiato da incentivi economici in ogni paese europeo (vedi PAC, crediti di Carbonio, utilizzo energetico delle biomasse). In questo quadro è nato il progetto Europeo LIFE Forest for Water, per analizzare e mettere in luce le opportunità date dalla forestazione per il raggiungimento degli obiettivi della direttiva quadro sull'acqua 2000/60/CE (WFD). Il progetto prevede l'azione dimostrativa in tre paesi europei (Svezia, Francia e Regno Unito) a cinque diverse scale spaziali: europea, nazionale, di distretto idrografico (secondo la definizione della Dir. 2000/60/CE), di bacino idrografico, di sub-bacino. Le azioni prevedono dimostrazioni innovative che contribuiscano al successo della direttiva 2000/60, tra le quali: - costituzione di un gruppo di esperti europei per la formulazione di linee guida e "bestpractices" sulla gestione delle foreste a scala di bacino a supporto dell'applicazione della direttiva quadro; - partecipazione pubblica dei portatori d'interesse a livello nazionale, di distretto, bacino e subbacino; - revisione dello stato dell'arte su come le foreste possano contribuire a migliorare la qualità sia delle acque superficiali che di quelle di falda; - miglioramento e sviluppo delle tecniche di monitoraggio sugli effetti delle azioni e dell'applicazione della WFD includendo, ad esempio, l'uso di immagini satellitari; - pianificazione di una strategia forestale in accordo alla scala spaziale (ad esempio per la prevenzione delle inondazioni o il miglioramento della qualità delle acque è necessaria una pianificazione a livello di bacino idrografico); 26

30 - gestione delle zone riparie, includendo e dimostrando le pratiche migliori per la rimozione degli inquinanti sia a livello di aziende agricole sia nei progetti di riqualificazione degli habitat; - gestione al di fuori delle zone riparie, inclusa la riqualificazione delle zone umide e protocolli di priorità per la conservazione e riqualificazione degli habitat. Suggestions on good practice forest management actions: 27

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32 Habitat e biodiversità FONTE: SCHIPANI I, HABITAT E BIODIVERSITÀ. IN NARDINI A., SANSONI G. (EDS.), LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE IN ITALIA. CENTRO ITALIANO PER LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE. MAZZANTI EDITORI. Le strategie per intervenire su un ecosistema fluviale possono essere ricondotte a due tipi principali di azioni: dirette: realizzazioni specifiche di opere di recupero ambientale; indirette: interventi mirati e localizzati per innescare processi di recupero spontaneo. Il fattore principale per determinare il tipo di azione da effettuare è il tempo a disposizione. L azione diretta, spesso più onerosa, ha sicuramente tempi di intervento meno lunghi, mentre un azione indiretta ha bisogno per la realizzazione di tempi più lunghi, ma ha il vantaggio di ridurre gli insuccessi e di contenere grandemente i costi. Assetto fisico-morfologico dell alveo. Allargamento dell alveo. La perdita di habitat e di funzionalità ecologica dovute a un processo di incisione del corso d acqua, può essere ripristinato tramite allargamento della sezione e l eventuale immissione di sedimenti nell alveo, ottenendo così diversi risultati: riduzione della velocità della corrente; arresto dell erosione verticale; ripristini di sponde naturali e relativi habitat; ricreazione di siti favorevoli all avifauna; habitat per la fauna ittica. Ripristino di un tracciato sinuoso. Il ripristino di un andamento meandriforme può essere proponibile solamente nei tratti che esibiscono naturalmente tale morfotipo e che sono stati rettificati in un passato più o meno recente. L allungamento del percorso conseguente al ripristino della sinuosità comporta una catena di effetti: riduzione della pendenza riduzione della velocità media della corrente maggior sedimentazione innalzamento del fondo (e diversificazione: raschi, pozze, barre) innalzamento del pelo libero dell acqua tendenza all aumento del livello della falda nella valle fluviale. Il ripristino o la costruzione di anse lungo il tratto fluviale prevede due modalità principali:! movimenti terra (veloce e adatta a corsi d acqua a bassa energia);! affidata alla corrente. Costruzione di isole fluviali. Le isole, la cui formazione ed evoluzione sono controllate dalla dinamica fluviale, costituiscono importanti rifugi per la fauna selvatica, protetti da disturbi antropici grazie la scarsa accessibilità. La costruzione di un isola presuppone un analisi per accertare l esistenza delle condizioni necessarie per la sua persistenza (regime idrologico e trasporto solido). Nei piccoli corsi d acqua a bassa energia l isola può essere realizzata scavando in prossimità delle onde e depositando il materiale al centro dell alveo. L impianto di un nucleo vegetale consolida la testa dell isola e ne favorisce l accrescimento, intrappolando i sedimenti trasportati dalla corrente. In corsi ad alta energia le isole fluviali possono essere realizzate scavando un alveo secondario. Posizionamento di massi e tronchi. L introduzione di massi e tronchi in un corso d acqua è un metodo poco costoso e molto utilizzato per creare e migliorare habitat ricreando pozze e barre nei tratti canalizzati. Sono possibili varie disposizioni dei massi nell alveo, ma ognuna tende a sortire il medesimo effetto: in prossimità dei massi e nei punti di convergenza del flusso, il substrato viene spazzato dalla corrente depositandosi poco più a valle generando una barra. Allo stesso modo l introduzione di larghi tronchi lungo le sponde o in pieno alveo è in grado di migliorare gli habitat acquatici, 29

33 alterando il flusso idrico a piccola scala e diversificando il substrato. Deflettori di corrente. I deflettori, al di là della protezione spondale, possono essere impiegati per migliorare la diversificazione morfologica, facilitando lo sviluppo di meandri, la formazione di buche-raschi e incoraggiando lo sviluppo della vegetazione riparia e le comunità di invertebrati. Sono realizzabili in materiali diversi (tronchi, pietre, reti metalliche ecc), di facile costruzione, economici e facilmente modificabili per adattarli alle condizioni del sito. Indicazioni relative alle tipologie e alle modalità di costruzione possono essere così riassunte: per conferire un andamento sinuoso a un filone principale della corrente i deflettori vanno posizionati sulle sponde opposte a una distanza 5-7 volte la larghezza dell alveo; evitare tratti con substrato molle e/o instabile o con elevato trasporto solido; evitare tratti con pendenza superiore a 3% o con forti oscillazioni di portata. Costruzione di pozze e raschi. Le sequenze buche-raschi offrono una grande varietà di habitat, quali zone di rifugio da velocità e corrente elevate, siti di deposizione delle uova e substrati colonizzabili da invertebrati bentonici e vegetazione sommersa. Tali sequenze possono essere ricreate purché sussistano le condizioni per la loro permanenza: pendenze non eccessive, trasporto solido non troppo elevato e sponde sufficientemente stabili. In condizioni di artificializzazione la spaziatura ottimale può essere dedotta da corsi d acqua con caratteristiche simili ubicati nelle vicinanze. In genere una spaziatura tra due buche o due raschi pari a 5-7 volte la larghezza dell alveo è sufficiente a simulare condizioni naturali. Creazione di aree di margine. Le aree di margine o ecotoni riscontrano un elevata biodiversità animale e vegetale. La costruzione diretta di aree di margine è indicata solo per i corsi d acqua a bassa energia, in quanto per i corsi ad alta energia significherebbe eliminare le opere spondali di contenimento effettuate per impedire l erosione delle sponde. Quindi per i corsi d acqua a bassa energia la costruzione diretta di aree di margine viene effettuata mediante movimentazione di terra, che differenziano la struttura in altezza, profili e larghezza in modo da poter accrescere la biodiversità ambientale. Ripristino dell inondabilità della piana. L alveo e la pianura inondabile costituiscono un sistema unitario. Le alterazioni più frequenti dei sistemi fluviali sono proprio le interruzioni dirette o indirette di questi rapporti e la distruzione della diversità ambientale della piana. In corsi d acqua poco incisi l intervento più indicato è di tipo indiretto, innescato dall eliminazione delle barriere alla continuità laterale (arretramento degli argini, rimozione di difese spondali), eventualmente in maniera controllata, graduale e spazialmente definita. In questo modo una piena dopo l altra la corrente d esondazione ricrea progressivamente i tipici habitat perifluviali, presto colonizzati da comunità vegetali e animali. Ricostruzione di zone umide nella piana. La presenza di zone sommerse dall acqua nella piana fornisce un ampio spettro di habitat per la flora e per la fauna e costituisce un elemento di grande importanza dal punto di vista ambientale. Quindi si suggerisce di ricreare: Stagni temporanei o permanenti, periodicamente inondati: gli stagni hanno un valore inestimabile per molte specie. Sono di facile realizzazione mediante scavo. Per stagni permanenti la profondità dello scavo deve scendere al di sotto del livello minimo annuo della falda; per stagni temporanei la quota del fondo deve essere compresa nell intervallo di oscillazione della superficie freatica. Bracci morti e lanche: sono antichi tratti fluviali ancora collegati al regime idrologico del corso d acqua. I bracci morti mantengono un collegamento diretto, almeno ad una estremità, con il corso d acqua, mentre le lanche hanno un contatto diretto solo durante le inondazioni. Nuovi bracci possono formarsi sole se il corso d acqua non è limitato o costretto nell espressione della propria dinamica. Tuttavia, anche in presenza di 30

34 impedimenti artificiali, è auspicabile mantenere i bracci morti in molteplici stadi di successione, mediante un piano di escavazione di limitate porzioni del fondo e inserendo strutture a protezione dell area umida ripristinata. È essenziale la conoscenza delle oscillazioni del livello della falda freatica per garantire le condizioni di umidità ottimali. Vegetazione. La vegetazione, in particolare quella riparia, svolge un ruolo chiave nell assetto morfologico e ecologico del corso d acqua. Il ripristino della biodiversità e dei processi di rigenerazione di queste comunità non possono prescindere dal considerare il regime idrologico che condiziona le formazioni vegetali. Le principali tecniche che fanno capo alla dispersione naturale prevedono sia la raccolta e l'introduzione di frammenti vegetativi di piante acquatiche provenienti dal medesimo bacino, sia il prelievo in natura di individui vegetali. Si fa affidamento, in seguito, sulla capacità di dispersione e colonizzazione naturale degli individui insediatisi. Particolari attenzioni vanno poste ad evitare l'introduzione involontaria di specie invasive e, nel caso, a tenerle sotto controllo. Le piante acquatiche possono essere introdotte "artificialmente" attraverso materiali di risulta di operazioni di dragaggio contenenti semi, radici e germogli da corsi d'acqua ricadenti nel bacino oppure sia singole piante prelevate in natura, dove la specie è ben distribuita, sia piante fornite da un vivaio riconosciuto. Il trasferimento del materiale scavato è in genere il modo più efficiente per far fronte ad impianti a grande scala, previo accertamento dell'assenza di semi o frammenti vegetativi di specie che potrebbero divenire problematiche. Le sementi, siano esse fornite da un vivaio o prelevate in natura, sono invece usate raramente (e limitatamente alle specie annuali o biennali) per le notevoli incertezze sul successo dell'impianto. Per le piante perenni, caratterizzate da un'ampia capacità di dispersione e di rapida colonizzazione, è preferibile perseguire un attecchimento spontaneo, magari coadiuvato dal trapianto di nuclei di esemplari. Alcune linee guida per l'impianto della vegetazione acquatica sono: - usare piante fresche, abbondanti nel sito di prelievo; - piantare combinazioni di specie. Piantare gruppi di specie in maniera tale che quelle più sensibili possano stabilirsi prima di subire la competizione con le specie più robuste; - rispettare i requisiti dell'habitat della specie e piantarle in condizioni favorevoli; - usare stock locali, possibilmente provenienti dallo stesso corso d'acqua o da un suo affluente; - dare preferenza ad un sito di prelievo già oggetto di operazioni di gestione, altrimenti usare grande cautela per non danneggiare l'habitat naturale durante il prelievo di specie; - piantare preferibilmente ad inizio primavera, quando compaiono i primi germogli; - appena raccolti i semi di piante annuali o biennali, disseminare prima possibile. L'impianto di vegetazione può avvenire manualmente o con l'uso di appositi macchinari. Le pratiche manuali sono molto più precise: le zolle contenenti le piante, estratte in primavera e immediatamente traslocate in acque basse o terreni umidi, mostrano le migliori possibilità di successo. L'impianto di canneti è spesso problematico: le migliori condizioni d'impianto sono quelle sulle sponde, su terreno umido e non direttamente in acqua (una volta affermatisi, colonizzeranno anche le sponde sommerse). In aggiunta alle pratiche classiche di messa a dimora dei rizomi e delle talee, l'espansione di un canneto che ha già attecchito può essere accelerata ancorando al suolo le estremità di steli maturi non ancora fioriti. L impiego di specie vegetali con esigenze ecologiche compatibili con l ambiente in cui si interviene è basilare per la riuscita dell impianto e consente di ridurre le operazioni colturali prima e dopo la realizzazione con contenimento dei costi. Le prime fasi sono: 1. analisi del sito: identificare le opportunità e i limiti offerti dal sito in relazione alla possibilità del successo dell impianto. 2. redazione di un piano per l impianto: contiene la strategia da seguire per la realizzazione dell impianto e descrive i passi operativi da intraprendere. 3. selezione del materiale vegetale: la selezione del materiale vegetale deve prevedere un analisi del sito in modo tale da analizzare i fattori che possono influire sull attecchimento e poter valorizzare specie con funzione di habitat per la fauna 31

35 selvatica. Sono da utilizzare specie provenienti da aree locali. 4. preparazione del sito: prima dell impianto possono essere necessarie alcune operazione di rimodellamento del sito, di eradicazione di specie invasive o operazioni agronomiche per migliorare il terreno. 5. tecniche di impianto: prendono in considerazione la scelta del luogo, del sesto d'impianto e delle specie da utilizzare. In generale, le singole specie vengono piantate in piccoli gruppi quando si vogliano ricostituire nuclei iniziali di vegetazione; gli alberi dovrebbero essere piantati in gruppi di 2 o 3 individui e gli arbusti in gruppi di 3 o 5 tra le macchie alberate,con l'obiettivo di costituire un habitat ripario con densi strati arborei e arbustivi. Nel caso della messa a dimora di selvaggioni (piantine sviluppate in loco, estratte e trapiantate nel sito di interesse) e semenzali, si devono adottare gli accorgimenti utili ad evitare il disseccamento delle piantine durante le fasi di trasporto e di trapianto. Le piantine prodotte in vivaio sono invece disponibili sia a radice nuda che in diversi tipi di contenitore. Per le specie che si propagano facilmente per talea il metodo più efficace ed economico è l'impianto di talee non radicate. E opportuno adottare particolari accorgimenti a protezione delle piante messe a dimora quando vi sia la possibilità di competizione da parte di specie erbacee infestanti (pacciamatura) o di danni da morso di animali (tubi o reti di protezione intorno ai fusti). Per la permanenza, lo sviluppo e la capacità di rigenerazione di un bosco ripario (o igrofilo) è essenziale che la piana sia periodicamente "disturbata" dalle piene, rinnovando gli apporti di acqua, sedimenti e sostanza organica. L'inondabilità è quindi una condizione essenziale anche per la costituzione ex-novo di un bosco ripario su una superficie devegetata e restituita al corso d'acqua, sia che si intenda contare sulla rigenerazione spontanea, sia che ci si proponga un intervento diretto di forestazione. In questo caso si procede direttamente a creare le condizioni favorevoli alla rigenerazione spontanea di un bosco igrofilo ripario. Tra le condizioni più importanti da creare vi sono: una portata tale da allagare periodicamente l'area, mantenendovi per un certo periodo una lama d'acqua che favorisca la crescita e l'affermazione delle specie riparie (e che ostacoli le specie che non tollerano periodi di sommersione); l'ideale è che l'area conservi condizioni di umidità nella prima stagione vegetativa, così che le radici delle pianticelle abbiano sempre accesso all'acqua; alternanza di periodi di sommersione ed emersione dell'area inondabile, in quanto giocano un ruolo fondamentale nella distribuzione dei semi e nell'attecchimento delle pianticelle; presenza di siti aperti, poiché molte specie pioniere non tollerano la competizione (ombreggiamento); esposizione a correnti di piena per creare così un mosaico di condizioni pedologiche e quindi una grande varietà di opportunità per la rigenerazione; presenza di un "serbatoio di semi" lungo il corso d'acqua, quale un bosco igrofilo. Nelle aree in cui la piana inondabile deve essere creata ex novo è necessario non livellare il terreno, ma piuttosto conferirgli rugosità, mediante la formazione di avvallamenti e rilievi. Il passaggio della piena, agendo su queste irregolarità, può così modellarle ulteriormente generando sia superfici più esposte, soggette a rapido prosciugamento, che conche naturali in cui l'acqua ristagna per periodi più o meno lunghi. Questo mosaico di condizioni, infatti, è la "culla" del mosaico vegetazionale dei boschi igrofili, costituiti sia da specie tolleranti frequenti e prolungate sommersioni che da specie che prediligono condizioni più asciutte, da nuclei di bosco maturo frammisti a formazioni pioniere in vari gradi di sviluppo, ecc. Anche la costituzione di un bosco ripario attraverso un intervento di forestazione deve puntare ad ottenere la massima diversità strutturale. E opportuno garantire la disetaneità degli esemplari e un rapporto bilanciato tra i sessi. Le specie legnose che danno scarsi risultati se propagate per seme in pieno campo, vengono coltivate in vivaio e trapiantate in vari stadi di accrescimento. Il metodo più efficace ed economico rimane comunque il trapianto di selvaggioni, raccolti in aree adiacenti al sito di intervento. La scelta del sito per lo sviluppo del bosco deve essere oculata per non compromettere la permanenza di alcuni ambienti (ad esempio, aree umide e canneti verrebbero fortemente disturbati da un intenso ombreggiamento). Per ottenere il massimo beneficio in termini ambientali l'impianto va pianificato a scala di bacino, privilegiando aree in grado di garantire una maggiore connessione delle formazioni vegetali lungo il corridoio fluviale. Le aree 32

36 interposte tra stretti meandri, ad esempio, sono spesso siti ideali per la formazione di boschi ripari; le frequenti inondazioni favoriscono la formazione di boschi impaludati, ambienti ad elevata biodiversità ormai divenuti rarissimi. Habitat per la fauna ittica. Inserimento di detriti legnosi grossolani in alveo. I detriti legnosi grossolani hanno un ruolo fondamentale nel costruire habitat per i pesci, poiché essi sono in grado di indurre la formazione di pozze, rifugi ombrosi e stabilizzare aree cruciali per la riproduzione. Purtroppo tronchi e cumuli vegetali in alveo, sono spesso intenzionalmente rimossi per un malinteso senso di "manutenzione" idraulica degli alvei. È invece opportuno, quando ciò non pregiudichi altri obiettivi irrinunciabili, non solo evitare di asportare le strutture legnose che naturalmente si depositano nell'alveo, ma anche -soprattutto nei corsi d'acqua a lento decorsointrodurvi appositamente cumuli di detriti legnosi grossolani. Uno dei metodi più semplici consiste nel recuperare o tagliare rami dal bosco ripario, trascinarli fino al corso d'acqua e posizionarli opportunamente nel sito prescelto (eventualmente ancorandoli). Un'altra possibilità è il taglio o l'incisione intorno al tronco di alberi marcescenti situati a ridosso dell'alveo bagnato, collocandoli lungo le sponde, contenendo così i costi relativi di prelievo e trasporto. II forte dinamismo delle acque correnti crea habitat peculiari, indispensabili alle comunità ittiche: sponde sottoescavate forniscono luoghi privilegiati di riposo, lontani dalla velocità di corrente del centro alveo; le pozze o le calme che si formano a valle di un grosso masso offrono luoghi di riposo e protezione, mentre i raschi forniscono cibo (larve di insetti acquatici) e rifugi (tra gli anfratti). Per ottenere ripari, rifugi e siti di alimentazione, è preferibile realizzarli indirettamente, puntando sulla creazione di pozze e raschi. La classazione dei sedimenti spazzati via nella formazione delle buche genera anche letti ghiaiosi di frega (siti di ovodeposizione per salmonidi). In molti alvei, tuttavia, la disponibilità di substrato ghiaioso è spesso limitata; l'introduzione in alveo di letti di ghiaia (metodo praticato da oltre un secolo) può perciò creare nuove aree di frega e accrescere notevolmente la produttività ittica. L'idoneità ambientale per la fauna ittica può essere migliorata con diversi dispositivi che agiscono indirettamente, modificando e indirizzando la corrente. I deflettori sono uno degli accorgimenti maggiormente impiegati perché svolgono più funzioni: - indirizzare la corrente in habitat chiave (es. ricoveri sottosponda); - riparare da velocità elevate di corrente; - migliorare le condizioni per l'ovodeposizione in corsi d'acqua a velocità di corrente ridotta (ripuliscono dal fango i siti ghiaiosi di ovodeposizione); - creare pozze forzando la corrente in una parte ristretta dell alveo. Naturalmente, si tratta di dispositivi da considerare in corsi d acqua in cui regimi idrici sono stati profondamente alterati e i soli processi naturali non sono in grado di ristabilire gli habitat perduti. Per ristabilire la continuità longitudinale in corsi d'acqua nei quali è interrotta da barriere (briglie, traverse, dighe) è necessario costruire "passaggi per pesci, finalizzati a consentire ai pesci di superare la barriera trasversale e raggiungere le aree di frega, ubicate per lo più nei tratti medio-alti dei corsi d'acqua. Esistono diversi modelli di passaggi per pesci e la scelta dipende dalla tipologia del corso d'acqua e dalla specie ittica che si vuole privilegiare. I deflettori posizionati lungo le sponde possono favorire la formazione di habitat preziosi per i pesci. Possono, ad esempio, mantenere le temperature dell'acqua più basse (incrementandone la velocità) e indirizzare la corrente in habitat chiave, come i ricoveri sottosponda naturali o artificiali o, addirittura, possono indurre la creazione di un ricovero, sottoescavando la sponda opposta. I ricoveri sottosponda possono essere costituiti da sponde sottoescavate, radici arboree sommerse e tronchi caduti in acqua. È possibile anche introdurre lungo le sponde ricoveri artificiali. Si tratta ovviamente di soluzioni di ripiego, utilmente impiegabili per migliorare l'idoneità ambientale per l'ittiofauna in tratti artifìcializzati che non è possibile riqualificare in 33

37 maniera più compiuta. Molti salmonidi (ma anche ciprinidi) utilizzano i canali secondari e le zone umide della piana inondabile per la frega, lo svernamento, l'alimentazione e il rifugio, poiché in queste zone sono normalmente presenti abbondanti riserve di cibo e condizioni idrologiche più stabili. In relazione a quest'ultimo aspetto, in particolare, la presenza di un reticolo secondario, anche artificiale, ma connesso all'asta principale e con portata sufficientemente elevata tutto l'anno, può svolgere un ruolo chiave per garantire la sopravvivenza della fauna ittica di corsi d'acqua periodicamente soggetti a stress idrici gravi. I giovani salmonidi si nutrono tipicamente nelle acque basse, mentre cercano rifugio dai predatori a maggiori profondità o negli anfratti di detriti legnosi o di vegetazione emergente. Lo sviluppo dei giovani individui in questi habitat influisce positivamente sul loro tasso di accrescimento e sulle capacità di sopravvivenza. Gli interventi che ambiscono a creare artificialmente habitat, per durare nel tempo e svolgere efficacemente la loro funzione, devono essere progettati con l'attenzione rivolta alla biologia ed ecologia delle specie che si vogliono sostenere e con una profonda considerazione dei fattori fisici prevalenti in un dato corso d'acqua. Ciò significa che è necessario comprendere il comportamento esibito dal corso d'acqua e mettere a punto interventi utilizzando tecniche che meglio si prestano ad assecondarlo, sfruttando le dinamiche fluviali anziché opporsi ad esse. L'inserimento di dispositivi artificiali o la creazione di particolari configurazioni (es. vegetazione sulle sponde) rappresentano in molti casi "estremi rimedi"; in nessun modo devono essere pensati come soluzioni di lungo termine, "sostitutive" al ripristino dell'equilibrio geomorfologico e delle dinamiche naturali. Gli interventi di riqualificazione di brevi tratti di un corso d'acqua non possono essere attuati in modo isolato. Tali tratti, infatti, sono profondamente legati al resto del corso d'acqua e alle comunità terrestri circostanti. Per agire con efficacia sui problemi riscontrati, la scelta delle tecniche deve prestare attenzione a fattori quali il controllo dell'erosione, il trasporto solido, la qualità dell'acqua, la rivegetazione spontanea, ecc., che, necessariamente operano a scale spazialmente estese. 34

38 Interventi di ripristino habitat FONTE: FILETTO P. (ED.), SCHEDE DESCRITTIVE INTERVENTI DI RIPRISTINO. ALLEGATO 4. COMPLETAMENTO AL PIANO DI SETTORE RIQUALIFICAZIONE AMBIENTI NATURALI. CONSORZIO DEL PARCO NATURALE DELL OGLIO SUD. Le schede sono da considerarsi come esempi per un corretto recupero degli habitat esistenti o per la ricostruzione di nuovi ormai scomparsi, pertanto non completano tutto ciò che può essere fatto sul territorio, ma ne rappresentano sicuramente una parte significativa. 1. Fasce tampone boscate. Questa tipologia, ampiamente studiata, rappresenta uno dei sistemi in campo agronomico per la riduzione del carico inquinante (denitrificazione) che finisce nei canali, nei fiumi o in altre aree umide. L efficacia di queste formazioni dipende da alcuni importanti fattori, primo fra tutti la profondità della falda, infatti più è superficiale maggiore è l efficacia. Altro elemento determinante la larghezza della fascia che non deve mai essere inferiore a 5 m e la sua composizione deve comprendere piante arbustive e arboree tenute sia a fusto singolo che a ceppaia per migliorare l efficacia dell azione filtro. Le possibili combinazioni per i sesti d impianto e le specie da impiegare sono molte pertanto si dovrà tenere in considerazione prevalentemente le condizioni del terreno per composizione e umidità. La manutenzione è importante in quanto l impianto necessita di interventi differenziati per struttura tipologica (alberi, arbusti e ceppaie), inoltre va sottolineato che questo tipo di impianto sacrifica una parte di terreno potenzialmente utile per gli scopi agricoli. Per una maggiore efficacia delle fasce tampone boscate si può associare anche la trappola per sedimenti, da realizzare nel canale oggetto di miglioramento. Essa consiste nell approfondimento di un tratto di canale in modo tale che le differenze di profondità incidano sulla velocità della corrente favorendo il deposito di materiali in sospensione. Il dimensionamento deve essere in rapporto alla velocità media della corrente e della profondità del canale, come termine di paragone la lunghezza del tratto deve essere almeno 3 volte la velocità media della corrente (es. 1 m/s velocità 3 m lunghezza tratto approfondito), mentre la profondità della buca da tre a quattro volte la profondità del canale, per aumentare ancora l efficacia di questo intervento si devono realizzare da un minimo di due ad un massimo di cinque trappole per km di canale. Pertanto l azione combinata di fasce tampone boscate e 35

39 trappola per sedimenti sono in grado di contribuire in modo significativo, all aumento della capacità autodepurativa del territorio in modo semplice e facilmente gestibile. 2. Recupero e ricostituzione di aree boscate. Per quanto attiene ai boschi due sono le situazioni riscontrabili nel territorio: boschi esistenti da riqualificare/migliorare o aree da imboschire ex-novo e a volte i due interventi possono entrare in sinergia. In particolare le aree forestali esistenti possono essere ulteriormente suddivise in tre tipologie: 1. boschi naturali anche se utilizzati (cedui); 2. rimboschimenti artificiali; 3. boschi derivati da abbandono di colture legnose (pioppeti e vivai). 4. Nel primo caso si tratta di formazioni di origine naturale scampate all agricoltura perchè cresciuti in aree poco appetite (scarpate, aree a falda periodicamente affiorante, suolo pesanti, ecc.) o risparmiati per ottenere legname per uso domestico o agricolo e frasca per il bestiame. La tipologia e la struttura variano a seconda della posizione rispetto alla distanza dal fiume e all altezza della falda e si va dagli ontaneti fino ai querceti planiziali di farnia. Questi boschi necessitano di un costante monitoraggio per definirne l evoluzione pertanto gli eventuali interventi di riqualificazione devono necessariamente tenere conto della forte aggressività delle specie alloctone presenti sia nello strato erbaceo-arbustivo che in quello arboreo, pronte ad approfittare di ogni apertura sullo strato dominante delle chiome. Quindi la riqualificazione e la protezione di questi boschi consta dei seguenti elementi: Ogni intervento di diradamento va effettuato partendo dal centro dell area boscata; Va mantenuta la copertura delle chiome dove si manifesta la rinnovazione delle specie autoctone fino a quando queste non si sono affermate (almeno 1,5 m di altezza); Se le dimensioni del bosco sono inferiori ai 5000 mq è opportuno prevedere fasce perimetrali di alberi arbusti (anche non continue su tutto il perimetro) di almeno 10 m di spessore per ridurre l effetto margine e contenere le specie infestanti; Per quanto attiene agli interventi prettamente selvicolturali si rimanda alla legislazione regionale vigente, tenendo conto però che la rarefazione di questi ambienti in pianura e le mutate necessità economiche ne consigliano un sfruttamento limitato e con caratteristiche di sostenibilità ambientale (tagli selettivi), sempre sotto la supervisione della Direzione del Parco. Per quanto riguarda i rimboschimenti artificiali tante possono essere le tipologie, che variano in funzione dell obbiettivo da raggiungere (riqualificazione paesaggistica, protezione di aree sensibili, creazione aree rifugio per la fauna, ecc.) ma sicuramente visto il territorio in cui ci si trova il più importante è sicuramente l aumento della biodiversità. Oltre a ciò non va trascurato il problema delle manutenzioni che possono, se particolarmente onerose e complesse inficiare il risultato finale. Con i criteri citati in precedenza abbiamo tre principali gruppi di rimboschimenti che si distinguono per le diverse funzioni: Realizzazione di impianti a bassa manutenzione con alberi e arbusti con sesti d impianto molto stretti (1x1 m fino a 0,5x1 m) e raggruppati tendenti alla formazione di nuclei non percorribili, a libera evoluzione, con principale finalità faunistica (rifugio, nidificazione, svernamento, ecc.); Realizzazione di impianti classici geometrici per recupero aree agricole dismesse e ricostituzione boschi di pianura i sesti d impianto delle specie definitive sono di 3x4 m o 4x4 m o 5x4 m intervallate da specie accessorie sia arboree che arbustive che vanno a riempire la distanza fra le piante definitive nelle file realizzando di fatto un sesto iniziale di 1x1 m, al fine di ridurre i rischi di ingresso di specie infestanti per lo meno fino a quando le specie definitive non raggiungono i 5 m di altezza. Questa tipologia necessita nei primi 8-15 anni di un impegno manutentivo medio alto. Realizzazione di impianti ad alto grado di biodiversità a struttura scalare, dove la struttura e la densità cambia a seconda che ci si avvicini ad aree agricole (bosco più rado) o ad altri elementi naturali (boschetti, zone umide, lanche) o artificiali (canali, ex-cave o specchi d acqua) di rilevante importanza dove il bosco sarà più denso. In particolare si andrà da sesti di 3x4 m fino a 3x2 m con all interno radure da mantenere a prato circondate da arbusti che formano una fascia ecotonale interna al complesso boscato. Un ulteriore approfondimento e arricchimento della tipologia consiste nel realizzare una fascia arbustiva formata da una o più 36

40 file (sesto 3x0,5 m) a margine dell area boscata a densità maggiore con finalità ecotonali o se in prossimità di aree ad elevata rilevanza naturalistica o paesaggistica, come sopra descritto, con funzioni anche protettive. Per le specie da impiegare si può far uso di quelle indicate all inizio di questo documento, tenendo conto anche delle indicazioni che i numerosi progetti di nuovi impianti di boschi, effettuati dal Parco, stanno dando, inoltre ricca è la bibliografia inerente questo tema basata su sperimentazioni ormai decennali. Molte delle aree interne al Parco sono utilizzate per arboricoltura da legno (pioppeti e noceti) o ornamentale (vivai), alcune di queste aree per vari motivi non sono più utilizzate e pertanto evolvono in maniera spontanea formando strutture boscate caotiche e di difficile gestione. In questo caso si possono intraprendere due strade principali: Lasciare invecchiare l impianto e seguirne l evoluzione, intervenendo solo in caso di collasso strutturale (soluzione auspicabile solo in aree isolate e di piccole dimensioni); Intervenire selvicolturalmente per creare un certo equilibrio nel popolamento con l obiettivo di favorire le specie autoctone a sostituzione di quelle esistenti. Fra gli elementi di contorno alle aree boscate, con valore prettamente paesaggistico troviamo le siepi e i filari, queste strutture pur non avendo grandi peso ecologico, se non quando la loro larghezza è superiore ai 3-5 m (più file parallele), rappresentano comunque un elemento estremamente utile per mantenere un certo collegamento con altre aree a vegetazione spontanea. Questo ruolo di corridoio secondario unito alla valenza paesaggistica conferiscono a questi elementi un importanza elevata nel processo di riequipaggiamento vegetazionale e nella ricostituzione paesaggistica. La struttura dell intervento è piuttosto semplice in quanto trattasi di una o più file, a seconda dello spazio a disposizione, di arbusti e alberi, sempre autoctoni che vengono messi a dimora lungo argini, strade, canali e confini di proprietà. I sesti d impianto da impiegare devono essere submetrici per gli arbusti e tra gli 8-10 m per gli alberi. In caso di due o più file queste dovranno essere sfalsate fra loro e distanti da 1 a 3 m, le specie da impiegare sono quelle del querceto planiziale e pioppi, il salice bianco se in prossimità di elementi d acqua (fossi, canali, lanche, ecc.). 3. Altri interventi in zone riparie. Oltre agli interventi citati nel primo paragrafo (fasce tampone boscate e trappole per sedimenti) vi sono altri interventi necessari per riqualificare, migliorare, recuperare le sponde e quindi anche garantire migliori capacità autodepurative del territorio. Una situazione analoga a quella delle fasce tampone, tipologia che risulta maggiormente impattante per l agricoltore (ombreggiamento, maggiore uso di suolo utile, terreno maggiormente vincolato), risulta essere la costituzione di una fascia di rispetto di 5 m costituita da 2/3 metri di prato e la restante parte di alberi e arbusti, dove gli alberi sono spostati in prossimità dell acqua, rappresentano un buon compromesso soprattutto laddove vi siano colture redditizie. Sicuramente la presenza di una fascia di terreno comunque non lavorato costituisce una buona pratica per la sostenibilità e il miglioramento della biodiversità. Se poi sulla sponda si devono effettuare le manutenzioni per espletare la sicurezza idraulica la fascia potrà essere costituita da 3 m di prato lato canale e tre metri prato lato campagna con in mezzo una siepe arboreo arbustiva. Nel Parco, una delle emergenze vegetazionali che connota sia gli aspetti naturalistici che paesaggistici, è rappresentata dai boschi riparii di salice bianco che sono ormai ridotti a poco più di monofile senescenti (salvo alcune eccezioni), lungo le sponde del fiume Oglio. Vista l importanza storica ma anche attuale di queste formazioni, si dovrà procedere con interventi che ne potenzino la struttura e ne ringiovaniscano gli elementi. Il primo intervento consta nel liberare l area circostante, per almeno 5-8 m di larghezza dal filare di salici, dalle specie infestanti presenti e collocare a dimora le specie che accompagneranno e caratterizzeranno la formazione (pioppi, frassino, ontano e salici arbustivi), contemporaneamente il 40-50% dei salici originari verranno ceduati per favorirne il ringiovanimento, mentre gli altri saranno trattati in seguito se le condizioni lo consentiranno (sufficiente illuminazione). 37

41 4. Rinaturalizzazione di ambienti connessi all acqua. Come già descritto nel documento, facente parte del piano di settore, denominato Modalità per la realizzazione di zone umide artificiali a carattere naturalistico l importanza di ricostituire ambienti umidi perenni è che essi rappresentano un formidabile elemento di biodiversità oltre a costituire (se di significative dimensioni) elementi determinanti (nodi) della rete ecologica di pianura. La realizzazione di questi ambienti risulta molto onerosa se non sostenuta da idonei interventi al comparto agricolo derivanti da finanziamenti europei, però lo sforzo è ampiamente giustificato dal valore ambientale che essi esprimono. Per altre specifiche tecniche si rimanda al documento citato in precedenza. Occorre mettere in luce come sia importante mantenere una certa separazione (almeno 5 m perchè abbia un efficacia) dalle colture agricole e inoltre di come gli interventi nel loro complesso siano semplici. Nel caso di una la sostituzione del pioppeto può avvenire a fine ciclo e può essere parziale cioè non deve necessariamente occupare tutta la superficie del pioppeto ma comunque almeno una fascia di 10 m per sponda (altrimenti il rapido sviluppo della nuova coltivazione del pioppo potrebbe mettere in difficoltà la fascia boscata). Per la lanca la separazione con il terreno coltivato è essenziale infatti visto che la circolazione interna delle lanche è molto limitata l accumulo di sostanza organica, inquinanti e terreno diventa un fattore di fortissima limitazione alla vita e allo sviluppo di questo ambiente e delle specie che lo utilizzano. Pertanto si deve mantenere una fascia di rispetto dalle lavorazioni di almeno 10 m, in modo tale che la vegetazione erbacea riduca l erosione superficiale e il trasporto solido, mentre le radici garantiranno una certa filtrazione dei composti azotati. Gli ambienti idrici canalizzati, rappresentano, nell ambito delle rete ecologica di pianura dei corridoi biologici secondari (i fiumi sono i primari), e perchè possano esplicare in pieno questa funzione devono avere punti di diffusione di naturalità. Considerando che le manutenzione ai canali sono periodiche e ripetute, non si può pensare che senza una modifica alla gestione si possano avere cambiamenti. Quindi visto che il cambiamento gestionale non sempre è possibile, l altra soluzione possibile e non interferente con il regime idraulico è la seguente dove in un canale viene realizzato uno scanso di qualche decina di metri quadri in cui si impiantano specie idrofitiche a costituire porzioni di canneto, cariceto, lamineto. In tale modo si costituirà un nucleo di rinnovazione che grazie allo scorrere delle acque porterà lungo tutta la rete dei canali semi, rizomi e altre parti buone ad innescare il processo riproduttivo/vegetativo. 5. Sistemazioni spondali. Il cambiamento morfologico (ridurre l artificialità delle sezioni e permettere la crescita della vegetazione) delle sponde fluviali o anche dei soli canali rappresentano un tema tanto importante quanto impegnativo, in quanto gli aspetti gestionali ed economici dell operazione possono essere fattori troppo limitanti. In ogni caso la sistemazione di alvei trapezoidali passa attraverso l ampliamento di una o di tutte due le sponde per permettere l instaurarsi della vegetazione, senza riduzioni di portata, altro fattore su cui puntare è l inclinazione delle sponde che deve essere diversa per favorire un diverso sviluppo della vegetazione e quindi una maggiore biodiversità. Le specie vegetali da impiegare sono quelle che costituiscono la cintura elofitica (canneto, tifeto e cariceto), mentre salici (arborei e arbustivi) e ontani per le piante legnose. Nel caso in cui questi corsi d acqua attraversino zone in cui vi possono essere scarichi che seppure a norma, contengono carichi di sostanza organica comunque elevati, per le portate di questi canali, si deve operare in modo da garantire una certa capacità autodepurativa del sito. 6. Sistemazioni di sponda con tecniche di ingegneria naturalistica. In parte questa tematica è già stata sviluppata mediante schemi esplicativi nel documento Modalità per la realizzazione di zone umide artificiali a carattere naturalistico. Naturalmente queste tecniche sono piuttosto collaudate pertanto anche conosciute, in questo capitolo si vuole segnalare in quali altri casi, oltre a quelli già citati, queste tecniche risultano non solo funzionali dal punto di vista del consolidamento ma stimolanti la ricostituzione vegetale. Queste tecniche si sono dimostrate molto utili per il consolidamento e la rinaturalizzazione di 38

42 sponde di canali compromesse da continue frane dovute all imbibizione del terreno a seguito di cambi di livello dell acqua, a sostegno di carraie e strade che fiancheggiano il canale. Con indubbi vantaggi sulla successiva manutenzione che si esplica solo sul contenimento della vegetazione arbustiva in esubero. Attraverso queste tecniche è possibile ricavare anche spazi per la fauna quale elemento non secondario, come ad esempio in un tratto curvo del fiume o di un canale arginato,dove si è costruito una barriere mediante l impiego di rulli di canna fissati nel terreno all interno dell alveo, che permettono all acqua di non uscire nei periodi di magra creando di fatto una pozza separata sfruttabile da insetti, rettili e anfibi. Oltre a questo si sviluppano con elevata celerità anche nuove formazione vegetali prima non presenti, grazie a questo nuovo ambiente venutosi a creare. 39

43 Gestione del demanio fluviale FONTE: PROGETTO DEM.O.S., GESTIONE DEL DEMANIO FLUVIALE NEL PARCO OGLIO SUD. Il progetto DEM.O.S prevede la gestione dei terreni demaniali, con azioni che mirano a garantire la valenza multifunzionale degli interventi (fasce tampone per ridurre l inquinamento delle acque, consolidamento delle sponde in erosione, riattivazione di lanche, gestione forestale di boschi di salice) e la realizzazione di una rete di aree di sosta per il turismo fluviale in corrispondenza dei centri abitati, degli agriturismi, degli attracchi fluviali esistenti. Gli obiettivi del progetto sono: 1- aumento della capacità autodepurativa delle fasce fluviali e della funzionalità ecologica del corso d acqua; 2- aumento della biodiversità delle fasce fluviali; 3- creazione di aree idonee alla fruizione turistica e didattico-ricreativa. In attuazione del PTC del Parco, per il raggiungimento di tali obiettivi, sono stati previsti i seguenti interventi di ricostituzione della continuità vegetazionale di tipo naturale: A la ricostituzione di un ambiente fluviale diversificato; B la promozione dell interconnessione ecologica di aree naturali; C la fruizione a scopi didattici e ricreativi di aree rinaturalizzate; D il rinverdimento di tratti della ripa del fiume. Gli interventi previsti sono eseguiti su particelle del demanio statale o regionale date in concessione al parco Oglio sud, per un totale di circa 80 ettari. Sono state escluse dal progetto e pertanto non sono state richieste in concessione, le aree che non sono state considerate interessanti (zone troppo vicine a edifici o manufatti, zone impiegate quali orti familiari, già attrezzate per il pubblico o utilizzate con impianti di arboricoltura da legno a ciclo lungo). In seguito alla suddivisione del territorio demaniale in particelle catastali, il parco, in relazione a diversi parametri (presenza di vegetazione spontanea o ambiente naturale, estensione dell area, vicinanza al fiume, accessibilità, vicinanza a case o centri abitati), ha attribuito ad ognuna di esse una destinazione principale e alcune destinazioni funzionali secondarie, e ha previsto i relativi interventi di recupero ambientale. Le destinazioni funzionali e gli interventi di recupero ambientale. Filtro dell inquinamento diffuso (buffer-zone). Le particelle che si sviluppano longitudinalmente alla riva del fiume sono state destinate prioritariamente ad aumentare la capacità autodepurativa del fiume in quanto, l elevata permeabilità dei suoli sabbiosi limosi, sciolti, associata alla superficialità della falda per lunghi periodi dell anno, rendono questi ambienti molto vulnerabili all inquinamento. In tutte le aree ove è prevista la realizzazione di fasce vegetate vegetated-buffer-strips (VBS) -, l idrologia prevalente, il suolo e la morfologia sono omogenei. Esse infatti sono aree pianeggianti, con suoli sciolti e falda acquifera superficiale, caratteri che generano una rapida percolazione dell acqua e deflussi sottosuperficiali accelerati nei periodi di magra, ristagni con sommersione nei periodi di piena autunnale e primaverile, quindi un alternanza di fasi di subaridità e fasi di sommersione completa dei suoli. Le tipologie di vegetazione previste sono quattro e sono state differenziate in relazione alla estensione, alla profondità dell area ed alla situazione pedo-ambientale: 1. fasce inerbite; 2. fasce ad arbusti; 3. fasce boscate di larghezza compresa tra 10 e 25 m; 4. fasce boscate di larghezza superiore a 25 m. Fasce inerbite. Sulle particelle di neoformazione con caratteristiche pedo-ambientali (suoli frequentemente rimodellati e sovralluvionati) tali da rendere difficile la colonizzazione da parte della vegetazione arborea, è stata prevista la realizzazione di fasce inerbite. In questi ambienti, in cui il naturale inerbimento ha luogo spontaneamente, è stato previsto un intervento di semina dei suoli incolti, per velocizzare il processo di copertura. Esso viene effettuato preferibilmente con le specie che normalmente colonizzano questi suoli poco evoluti di apporto alluvionale, ossia specie specializzate, dotate di apparati radicali molto sviluppati, in grado 40

44 esplorare una vastissima porzione di suolo in cerca di acqua e sostanze nutritive. Fasce ad arbusti. Su particelle disposte longitudinalmente al fiume e aventi larghezza inferiore a 10 m sono stati previsti interventi di realizzazione di fasce arbustive. Le fasce sono realizzate impiegando salici arbustivi (Salix triandra, Salix purpurea, Salix cinerea) e arbusti igrofili (Cornus sanguinea, Frangula alnus, Sambucus nigra, Viburnum opulus, Evonymus europaeus, etc.). Fascia boscata di larghezza compresa tra 10 m e 25 m. La creazione di fasce boscate, prevede, in successione dall argine all alveo inciso, la realizzazione di diverse tipologie di vegetazione: - una fascia inerbita di profondità pari a 1-2 m a confine con le aree coltivate limitrofe, con lo scopo di intercettare i sedimenti e di limitare l ombreggiamento alle colture agricole vicine; - una fascia arbustiva monofilare, atta a costituire il margine del bosco, con funzione protettiva; - una fascia arborea- arbustiva fitta inerbita fino a contatto con il fiume, composta, in successione verso l alveo inciso, da: Populus alba, Populus nigra, Alnus glutinosa, Salix alba, Salix cinerea, Cornus sanguinea, Sambucus nigra, Frangula alnus. Per limitare i futuri rischi di sradicamento e disseccamento di tronchi, con conseguente caduta nel fiume e aumento del rischio idraulico, la fascia a contatto con l alveo inciso, in cui è più complesso e oneroso effettuare la manutenzione, è occupata da cespugli e salici arbustivi. Le densità di impianto variano da 1500 a 2000 piantine per ettaro ed i sesti d impianto sono regolari a file sinusoidali. Per massimizzare l effetto di filtro e minimizzare l erosione idrica è inoltre previsto l inerbimento. Fascia boscata di larghezza superiore a 25 m. Anche in questo caso la creazione della fascia boscata prevede la realizzazione, in successione dall argine all alveo inciso, di diverse tipologie vegetazionali: - una fascia inerbita di profondità pari a 1-2 m a confine con le aree coltivate limitrofe, con lo scopo di intercettare i sedimenti e di limitare l ombreggiamento alle colture agricole vicine; - una fascia arbustiva monofilare, atta a costituire il margine del bosco, con funzione protettiva; - una fascia arborea rada inerbita (Quercus robur, Carpinus betulus, Ulmus campestris, Fraxinus oxyphylla); - una fascia arboreo-arbustiva fitta inerbita fino a circa 5 metri dall alveo inciso, composta in successione verso la riva da: Populus alba, Populus nigra, Alnus glutinosa, Salix alba; - una fascia arbustiva fitta inerbita fino all alveo inciso composta da salici arbustivi e Cornus sanguinea, Sambucus nigra, Frangula alnus. Le densità di impianto variano da 1500 a 2000 piantine per ettaro ed i sesti d impianto regolari a file sinusoidali. Anche in questo caso è previsto l inerbimento per massimizzare l effetto di filtro e minimizzare l erosione idrica. La funzione forestale- naturalistica. Questa tipologia funzionale, che prevede come intervento di recupero, l impianto di boschi con prevalente funzione naturalistica è stata riservata alle particelle non a diretto contatto con il fiume, che presentano substrati più evoluti e che quindi si prestano all impianto di fitocenosi mesofile complesse, rappresentative della tipica foresta planiziale caducifoglia, di cui esistono pochi lembi relitti nella pianura padano-veneta. Scopo principale dell intervento è l avvio della ricostituzione degli ecosistemi forestali che un tempo ricoprivano estesamente la pianura. In alcune aree sono previsti impianti forestali secondo le indicazioni del Modello di Gestione delle garzaie della Lombardia Sud-Orienatle, elaborato dall Università degli studi di Pavia ed approvato dalla Regione Lombardia. Queste formazioni sono realizzate con l obiettivo di ricostruire cenosi potenzialmente adatte a costituire siti di nidificazione di Ardeidi coloniali, stabilmente nidificanti nelle Riserve naturali Torbiere di Marcaria e Le Bine. In prevalenza sono impiegate: Quercus robur e Carpinus betulus accompagnate, in relazione alle caratteristiche stazionali delle singole particelle, da un corredo di specie appartenenti alla flora autoctona (Ulmus minor, Populus nigra, Populus alba, Alnus gutinosa, Prunus avium, Acer campestre e arbusti meso-igrofili). Le densità e i sesti d impianto sono analoghi a quelli previsti per le VBS. 41

45 La riattivazione delle lanche. Tra gli ambienti naturali esistenti nel tratto fluviale considerato, rientrano alcune lanche, tutte parzialmente o completamente interrate, sia per interventi antropici, che per naturale evoluzione. Esse includono boscaglie igrofile a Salix alba e comunità a dominanza di elofite, prevalentemente a Carex e Cyperus, quali cinture d interramento disposte alla periferia dei corpi d acqua, all interno dei quali si rinvengono fitocenosi pleustofitiche e più raramente rizofitiche. In assenza di interventi di ricostruzione attiva questi ambienti relitti sono destinati a scomparire. Un ridotto numero di particelle presenta inoltre evidenti tracce di ramificazioni e percorsi fluviali ancora parzialmente attivi. Considerato l assetto morfologico stabile del fiume e la scarsa dinamica evolutiva, queste situazioni costituiscono elementi di pregio in quanto ospitano habitat naturali estremamente rari nel territorio del Parco. Questi piccoli rami o bacini temporanei ad acque lentamente fluenti costituiscono inoltre efficienti sistemi autodepurativi delle acque e contribuiscono ad aumentare la capacità d invaso delle golene. In queste aree sono stati previsti periodici interventi di scavo per la riattivazione delle lanche, con lo scopo di conservare la dinamica fluviale e gli ecosistemi ad essa connessi ed aumentare l efficienza ecologica del corso d acqua. Al termine degli scavi è prevista la ricostruzione delle successioni vegetali con impianto di specie arboree ed erbacee e l eventuale vendita dei materiali recuperati. La gestione forestale. L obiettivo di questa destinazione funzionale è il governo dei saliceti esistenti che, quando accessibili, sono generalmente utilizzati a ceduo con tagli irrazionali e casuali. Le azioni previste mirano a conservare i piccoli boschi di salice in buone condizioni vegetative per impedire il disseccamento delle piante e lo sradicamento delle ceppaie più vicine alla riva, frequente nei soggetti di grandi dimensioni. L assenza di gestione potrebbe infatti condurre il soprassuolo, composto da Salix alba, specie pioniera e poco longeva, a rapido invecchiamento con disseccamenti delle chiome e invasione di esotiche infestanti aggressive quali Sycios angulatus e Amorpha fruticosa. Queste infestanti sono in grado di compromettere, nelle radure createsi a seguito dei disseccamenti, lo sviluppo della rinnovazione naturale. Tale azione è prevista esclusivamente per le fasce boscate di facile accessibilità, composte da salice bianco con sporadica presenza di poche altre specie (Ulmus minor, Platanus acerifolia, Morus alba, Populus nigra). Considerato che la legna è ancora richiesta da operatori agricoli della zona per autoconsumo aziendale, sono forme di convenzione con le aziende limitrofe per l esecuzione di tagli colturali finalizzati alla conservazione del bosco. Ove possibile, si procede al trattamento di ceduazione cosiddetto a sterzo, che consente di avere sulla ceppaia polloni di età differente, prelevando, allo scadere del turno, solo quelli che hanno raggiunto il diametro detto di recidibilità. In questo modo si ottiene una copertura continua del suolo con vantaggi per l assetto ecologico e per il contenimento delle specie esotiche infestanti. La funzione di rinverdimento e consolidamento delle sponde. Uno dei più evidenti aspetti di degrado del fiume appare la accentuata erosione delle sue sponde, particolarmente intensa in corrispondenza di anse pronunciate, prive di vegetazione arborea e arbustiva spontanea, ove è massima la velocità dell acqua durante le piene. Conseguenze di questo fenomeno sono il franamento delle sponde e l erosione del suolo coltivato cui segue un accentuato trasporto solido. In queste situazioni difficilmente si può innescare il naturale ricoprimento della vegetazione spontanea in quanto il profilo viene continuamente decapitato e le pendenze sono tali da non consentire il radicamento di alcun genere di pianta. Questi ambienti peraltro ospitano importanti presenze faunistiche: colonie nidificanti di Gruccione (Merops apiaster) e nidi di Martin pescatore (Accedo atthis), che nelle ripide scarpate trovano il loro habitat elettivo, e tane di volpe e tasso. Gli interventi di recupero sono progettati con l obiettivo di conservare gli spazi riproduttivi di queste specie ma nel contempo di ridurre l erosione dei terreni agricoli retrostanti. In corrispondenza delle sponde erose si rinvengono numerosi accumuli di rifiuti inerti provenienti da scavi e demolizioni; è probabile che si tratti di iniziative motivate dalla duplice 42

46 esigenza di consolidare le rive e disfarsi di rifiuti senza sostenere i costi di entrambe le operazioni. Gli interventi di sistemazione che verranno realizzati nell ambito di questo progetto hanno anche la finalità di costituire interventi dimostrativi di consolidamento e recupero ambientale, da esportare in analoghe situazioni e da realizzare anche con contributi pubblici. Sono previsti interventi di consolidamento delle sponde con tecniche di ingegneria naturalistica, ricorrendo a tipologie già sperimentate in ambiti planiziali. Si fa riferimento in particolare alla realizzazione di pennelli in legname o pietrame e alla copertura diffusa con astoni di salice, già attuata, in convenzione con i proprietari, lungo un tratto della sponda dell Oglio, in loc. Palero del Comune di Ostiano. La funzione di conservazione e monitoraggio. Un ridotto numero di aree presenta fasce boscate composte da salice bianco con sporadica presenza di poche altre specie (Ulmus minor, Platanus acerifolia, Morus alba, Populus nigra...). Queste formazioni, ubicate in luoghi di difficile accessibilità (si tratta per lo più di isole fluviali) generalmente non appaiono soggette ad alcun intervento di gestione e si prestano per questo alla conservazione ed al monitoraggio. In particolare le analisi periodiche saranno finalizzate alla conoscenza delle linee evolutive delle fitocenosi, alle presenze faunistiche ed allo sviluppo delle esotiche infestanti. Sono previsti interventi solo nel caso in cui si verificassero fenomeni evidenti di degrado irreversibile delle fitocenosi presenti. 43

47 Strategie di riqualificazione fluviale partecipata FONTE: PROGETTO STRARIFLU, "STRATEGIE DI RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE PARTECIPATA NEL PARCO OGLIO" Per quanto attiene al bacino dell Oglio sub-lacuale, i problemi e le cause di degrado del fiume Oglio sono ascrivibili alla forte antropizzazione e alla gestione agricola e zootecnica. I principali problemi cui è soggetto il sistema fluviale sono legati alla qualità dell acqua, alla ridotta portata dell alveo e alla generale compromissione delle naturali dinamiche dell ambiente fluviale. Obiettivo generale: Ripristinare, nel bacino dell Oglio sub-lacuale, condizioni di maggiore naturalità, affrontando secondo un approccio integrato i molteplici obiettivi in gioco (ambientali, riduzione del rischio idraulico, gestione della risorsa idrica, obiettivi socio-economici, fruibilità, etc.). Obiettivi specifici: portare, a lungo termine, il fiume Oglio sub-lacuale ad una condizione di più elevato valore ambientale, in cui siano maggiormente garantiti processi e dinamiche che caratterizzano un ambiente naturale; affrontare i conflitti legati alle problematiche differenziate e spesso contrapposte che interessano il fiume (ambiente, rischio idraulico, turismo/fruizione, gestione della risorsa idrica, obiettivi socio-economici) e ad individuare soluzioni che permettano di trovare un compromesso accettabile tra i diversi obiettivi; realizzare un piano d'azione condiviso e partecipato per la riqualificazione dell Oglio sublacuale, che tenga in conto degli studi ed esperienze pregresse e delle istanze di tutti gli attori in gioco, ma allo stesso tempo di fornire a tutti gli stakeholders degli strumenti che permettano di portare avanti nel tempo un processo di pianificazione e gestione del territorio partecipato e condiviso; mettere a disposizione uno strumento metodologico di valutazione integrata e partecipata per l'aggiornamento/ridefinizione in itinere del piano d'azione; avviare, nell'ambito delle tipologie di intervento previste dal piano, azioni pilota con valore divulgativo e sperimentale, con lo scopo di ottenere, già nell'ambito di questo progetto, importanti informazioni sulla realizzabilità degli interventi nel contesto specifico, sulla loro accettabilità da parte degli attori locali e dati preliminari sul loro effetto, almeno a scala locale; incrementare la condivisione di dati e informazioni ambientali relativamente al bacino dell Oglio sub-lacuale, migliorando l'attuale situazione di parcellizzazione e inaccessibilità di molte basi dati, incompatibile con una pianificazione e gestione territoriale veramente partecipata. Attività previste: Il progetto si compone di 2 percorsi, sviluppati in parallelo, ma strettamente correlati e sinergici, a loro volta relazionati al percorso più istituzionale, esterno al progetto, che porterà alla sottoscrizione del contratto di fiume. Il percorso più specificamente divulgativo e di coinvolgimento pubblico, di tipo "Agenda 21", sarà denominato "Forum dell Oglio sub-lacuale" e conterrà al suo interno specifici strumenti di diffusione dell'informazione, oltre a sviluppare con gli stakeholders forum tematici strettamente legati alla definizione del Piano d'azione e in parte finalizzati ad essa. Relativamente al percorso più prettamente tecnico, coordinato, come dettagliato oltre, dall'unità di Progetto, la prima fase consisterà nel valutare lo stato ambientale del fiume Oglio sub-lacuale; questo verrà realizzato sviluppando appositi indici di scala locale secondo la logica indicata dal progetto STRARIFLU di scala regionale realizzato nel Piano di Tutela delle Acque della Regione Lombardia. In seguito a questa prima fase di individuazione delle principali problematiche ambientali, e delle aree di interesse prioritario su cui ipotizzare interventi di riqualificazione, seguirà una fase di definizione delle possibili alternative di progetto, realizzata tramite il confronto, anche attraverso i forum tematici, con i portatori d interesse e raccogliendo sia i piani-progetti 44

48 esistenti sia nuove idee che nasceranno durante l intero processo. Le successive fasi dovranno portare a valutare quanto le diverse alternative soddisfino o meno gli stakeholders; sarà a tal fine necessario che questi definiscano una serie di criteri di valutazione (ambientali, economici, tecnici, sociali, etc.) secondo i quali verranno giudicate le diverse alternative. Si entra così nella fase di analisi, durante la quale si valuta come ogni alternativa incide sui criteri di valutazione dei portatori d interesse; ciò verrà realizzato tramite l approccio multicriterio ed in particolare sviluppando una Matrice di valutazione delle alternative che sintetizza in modo chiaro ed intuitivo il comportamento comparativo delle alternative progettuali. Si giungerà così alla vera e propria fase di valutazione e scelta delle alternative di progettopianificatorie che andranno a costituire il Piano d azione del Forum, punto focale del percorso partecipato qui proposto. Le fasi di analisi e valutazione, per essere definitive, devono avvalersi di modelli (matematici quantitativi o di altro tipo) per prevedere e misurare gli effetti delle alternative di progetto sul sistema socio-economico-ambientale coinvolto, in primis l'ecosistema fluviale e il grado di soddisfazione dei portatori di interesse. La presente proposta si limita tuttavia ad una valutazione qualitativa, in quanto tra i suoi scopi principali vi è quello di creare la struttura logica condivisa necessaria per poter effettuare una valutazione delle alternative di progetto in maniera intuitiva utile ad un processo negoziale. Tale struttura risulterà poi molto utile, nella fase successiva, una volta partito il Contratto di fiume dell Oglio sub-lacuale, per poter approfondire in termini modellistici-quantitativi alcuni aspetti particolari rimasti dubbi o l intero sistema stesso. Strettamente correlato con la definizione delle alternative di intervento è lo sviluppo di alcune interventi a scala pilota, la cui definizione e localizzazione precisa dovrà essere definita anche in base alle prime indicazioni del forum. 45

49 Realizzazione di aree umide FONTE: FILETTO P. (ED.), MODALITÀ PER LA REALIZZAZIONE DI AREE UMIDE ARTIFICIALI A CARATTERE NATURALISTICO. ALLEGATO 3. COMPLETAMENTO AL PIANO DI SETTORE RIQUALIFICAZIONE AMBIENTI NATURALI. CONSORZIO DEL PARCO NATURALE DELL OGLIO SUD. Le zone umide sono aree ad elevato valore naturalistico e conservazionistico, in quanto relative ad una risorsa naturale, l acqua, di fondamentale importanza per molte specie selvatiche (piante e animali), nonché fondamentale per il riequilibrio e la riqualificazione ambientale e paesaggistica. Queste aree possono essere naturali, seminaturali o di origine artificiale, ciononostante rappresentano quasi sempre ambienti di elevato valore naturalistico. Principi base. Innanzitutto si tratta di realizzare ex-novo aree umide con principale vocazione naturalistica pertanto l obiettivo principale sarà quasi esclusivamente quello relativo alla conservazione e sviluppo della biodiversità e in subordine per la fruizione turistico ricreativa con finalità educative. L aspetto determinante la diversa funzionalità degli ambienti che potranno essere realizzati è rappresentato dalle dimensioni e dalle forme delle nuove zone umide, infatti aree di poche centinaia di mq possono essere idonee per un numero limitato di generi, mentre aree di diversi ettari rappresentano punti significativi nel contesto territoriale per quanto riguarda lo sviluppo e la conservazione della biodiversità. Altro fattore determinante è rappresentato dal collegamento o meno di queste nuove zone con altri ambienti naturali o seminaturali. Considerando quindi che in generale le aree umide rappresentano ottime aree per lo sviluppo di molte specie, qualora esse siano anche collegate ad altre aree di valenza naturalistica, possono assumere il ruolo di importanti aree rifugio (se di piccole dimensioni: mq) o addirittura di veri e propri nodi della rete ecologica di pianura se superiori ai due ettari. Per effettuare una corretta realizzazione/ricostituzione di aree umide vanno seguite alcune semplici regole: Sponde irregolari sia sull andamento perimetrale che nell angolo di inserimento verso l acqua. Profondità diverse. Presenza di isole (se le dimensioni lo consentono). Fascia di rispetto con vegetazione di almeno 5 m dal margine bagnato dell area verso il lato campagna. Individuazione di un area (almeno un decimo di tutta la superficie) in cui interdire o regolamentare l accesso, quale area rifugio in caso di fruizione. Accertarsi di avere sempre la sufficiente disponibilità idrica per mantenere l habitat o per limitare ad eventi eccezionali le asciutte. Prevedere, qualora non esistesse già, il collegamento fra la nuova area umida e altre aree eventualmente presenti, anche con opere successive di riqualificazione ambientale quali ad esempio la creazione di siepi arboreo-arbustive. Utilizzare solo specie vegetali autoctone. Ricreare la seriazione vegetazionale tipica di queste aree (non è necessario farlo subito su tutta l area). Evitare di reintrodurre fauna ittica predatoria ma utilizzare prevalentemente specie erbivore. Controllare le immissioni esterne di acqua al fine di ridurre la possibilitàdi sviluppare specie indesiderate. Specifiche tecniche. Analizzando i punti precedenti vediamo il significato che essi hanno nella pratica realizzativa: a) Le sponde devono avere profili irregolari per aumentare la superficie di contatto con l acqua e quindi aumentare la capacità di scambio trofico dell ambiente. In pratica si dovranno realizzare penisole di dimensioni e forme anche diverse che possono risultare anche semi sommerse o comunque con profondità diverse rispetto al pelo libero dell acqua. Le sponde devono avere pendenze inferiori ai 30 anche intervallate da banchine o da tratti con pendenze inferiori ai 10, la profondità massima sufficiente è di 2-3 m per le aree più piccole (sotto 1 46

50 ettaro), e può arrivare anche a 8-10 m nel caso di grandi aree (oltre i ettari). b) Le isole possono essere di due diverse tipologie, la prima viene realizzata mediante modellazione morfologica del fondo o con aggiunta di idoneo materiale. In questo caso il livello dell acqua deve essere permanentemente più basso della parte sommitale dell isola altrimenti essa perderebbe parte della sua funzionalità, per cui deve risultare almeno a livello del piano campagna non umido. La seconda tipologia è rappresentata da isole costruite artificialmente su un substrato galleggiante e ricoperte di materiali naturali quali sabbia, ciottoli, terreno vegetale in rapporti variabili. Le isole così formate devono essere ancorate al fondo per non essere trasportate dal vento in luoghi non consoni. Lo scopo principale, infatti, delle isole è quello di permettere in particolare agli uccelli di avere luoghi di nidificazione protetti da predatori terrestri (canidi e mustelidi in particolare). Le isole per avere una certa efficacia devono avere sponde basse e forme irregolari (a stella, a ferro di cavallo, ed altre), per dare sia protezione che facilità di accesso ai pulli in fase di svezzamento. c) I margini delle zone umide non devono essere contigui direttamente con gli ambiti agrari o con altre attività o infrastrutture, ma devono avere una fascia di rispetto di almeno 5 m se questa è formata da alberi e arbusti o anche più se ritratta di vegetazione erbacea spontanea. Tutto ciò serve per filtrare gli impatti esterni e per formare altri habitat utili per lo sviluppo delle potenzialità dell area umida. In particolare questa fascia costituisce un vero e proprio filtro utile per aumentare i processi di denitrificazione, inoltre la schermatura servirà ad aumentare la tranquillità soprattutto della fauna che utilizza le aree di acqua bassa e le sponde. d) Le zone rifugio devono essere create per garantire in quasi ogni condizione la possibilità di nascondersi e/o ripararsi da parte soprattutto della fauna stanziale, pertanto va dedicato un luogo di adeguate dimensioni (pari a circa un decimo della superficie totale) dove vengono realizzate condizioni particolari di tranquillità. Ciò si ottiene realizzando una densa protezione con la vegetazione anche di tipo spinoso e realizzando eventuali sentieri per la fruizione ad almeno m di distanza o schermandoli. e) La vegetazione da impiegare è rigorosamente quella autoctona e laddove possibile dovrà essere ricostituita l intera sezione a partire dal bosco planiziale fino alla vegetazione galleggiante (vedi schema allegato), in particolare va ricostruita la fascia arboreo arbustiva asciutta (a farnia, acero campestre e carpino bianco) e quella umida (a salice bianco e ontano), il canneto-tifeto, il cariceto e tutto il comparto a idrofite (radicate/galleggianti emerse e sommerse). Molta importanza rivestirà anche la manutenzione di queste formazioni vegetali, che dovrà svolgersi principalmente nei mesi da settembre a gennaio per non disturbare la nidificazione. Comunque mai effettuare i lavori contemporaneamente su tutta l area gli interventi, meglio alternare i tratti secondo annualità diverse. L uso del fuoco deve essere bandito. f) La fruizione deve essere programmata come elemento di conoscenza e non di disturbo pertanto nei punti più sensibili si devono realizzare strutture semplici per il mascheramento del passaggio e della sosta dei visitatori e deve essere fatto divieto (salvo per motivi di studio) di uscita dai sentieri segnati. Tutte le opere infrastrutturali eventualmente da realizzare (es. sentieri, punti sosta e avvistamento, barriere, ecc.) dovranno essere realizzate con materiali naturali e possibilmente non impermeabili al fine di garantire una buona compatibilità con l area umida. Aree umide di piccole dimensioni. Piccoli invasi anche di ridotta profondità, possono costituire degli importanti biotopi, funzionali alla sopravvivenza e riproduzione di anfibi e di alcuni rettili ed invertebrati acquatici. Sono infatti sufficienti pochi metri quadrati di acqua bassa e stagnante con vegetazione idrofila per diventare punto attrattivo di buona parte delle famiglie citate in precedenza. Il fatto poi che durante il periodo estivo questo stagno possa asciugarsi non deve preoccupare visto che anche in natura le piccole raccolte d acqua subisco questo stato di cose senza per questo perdere la loro funzionalità. 47

51 Interventi accessori per le zone umide. Per la creazione di zone umide in pianura gli interventi consistono prevalentemente nello scavo, nel riporto e nel successivo rimodellamento delle masse terrose movimentate, ma soprattutto si deve operare in regime di falda abbastanza superficiale tale da garantire il mantenimento di un certo livello di acqua. Per completare l opera però sono necessari anche gli interventi per la ricostituzione del manto vegetale che come detto in precedenza può essere fatto anche per stralci successivi sempre però creando fin dall inizio nuclei di rinnovazione di tutte le principali tipologie vegetazionali (bosco, arbusteto, canneto, cariceto e lamineto). Inoltre si dovrà valutare caso per caso se al fine di proteggere tratti di sponda (materiale instabile, presenza sul bordo di pista, sentiero area di sosta, ecc.) dovrà essere rinforzata la sponda. Considerazioni finali sulla creazione di nuove zone umide. Gli ambienti che devono essere sempre presenti possono riassumersi in tre categorie secondo un gradiente crescente di umidità/acqua: 1. ambienti forestali riparii e arbusteti igrofili (falda sempre piuttosto superficiale da 5 a 50 cm sotto il piano campagna) con salici arborei e arbustivi, ontani e pioppi nelle zone più elevate. Queste formazioni possono essere utilizzate anche come ponte fra i vari biotopi presenti nell area (elementi lineari di collegamento), inoltre hanno buone capacità di filtro sottraendo grandi quantità di azoto e fosforo che in quantità eccessive portano le aree umide verso l eutrofizzazione; 2. ambienti per così dire anfibi che comprendono terreni molto umidi fino alla copertura di pochi centimetri d acqua utili per la formazione delle alleanze vegetali Phragmition, Magnocaricion, Bidention e Agropyro-Rumicion, interessanti per il valore pabulare dei frutti e dei semi nonché per le caratteristiche strutturali importanti come aree rifugio; 3. ambienti acquatici da pochi centimetri fino a oltre 3 metri di profondità caratterizzati da presenze di specie sommerse, galleggianti, radicate e non, tutte comunque estremamente utili per lo sviluppo di popolazioni faunistiche che vanno dai macroinvertebrati fino agli uccelli. Il rapporto che ha dato i migliori risultati fra vegetazione emersa e sommersa è di 1:1 avendo però cura di controllare la vegetazione di Typha tendente ad alti livelli di invasività. Va sottolineato che possono essere realizzate altre comunità vegetali non acquatiche quali i prati mesofile che assumono un significativo valore naturalistico in vicinanza dell acqua in quanto favoriscono lo sviluppo degli insetti. 48

52 Abaco dei principali parametri a favore della fauna nella realizzazione di aree umide. 49

53 Un oasi a costo zero FONTE: PARCO REGIONALE DELLA FASCIA FLUVIALE DEL PO, TRATTO VERCELLESE/ALESSANDRINO, E DEL TORRENTE ORBA. UN OASI A COSTO ZERO. VC_IT.PDF. Una nuova zona umida per l avifauna selvatica, per di più a costo zero. A promuoverne la realizzazione è stato il parco piemontese del Po, tratto vercellese/ alessandrino, che ha avuto l idea di utilizzare l attività estrattiva non come fine ma come mezzo per ottenere una rinaturalizzazione della golena fluviale. Il tratto di parco fluviale si estende da Crescentino (VC) sino alla confluenza con il torrente Scrivia, in un susseguirsi di ambienti diversi collegati dal corso d acqua. Nella prima parte il paesaggio è caratterizzato da due elementi, la collina e la risaia. A valle di Casale Monferrato si scopre il volto più naturale e selvatico del Po: qui il fiume, alimentato dalle acque di Sesia, Tanaro e Scrivia, modella ampi ghiareti, isole e lanche che favoriscono la presenza di rare specie faunistiche, gli aironi primi fra tutti. Il parco ospita infatti l unica colonia piemontese di airone rosso ma anche nitticore, sgarze ciuffetto, garzette. Diffusi anche martin pescatori, nibbi bruni e falchi di palude, cormorani, sterne, corrieri, fraticelli e, durante i passi migratori, il falco pescatore. L intervento ha previsto la realizzazione, ex-novo e in corrispondenza di un antico meandro sulla sinistra del fiume Po in stato avanzato di interrimento, di una zona umida a stretto modello di una lanca fluviale in fase giovanile. Si è infatti ritenuto più vantaggioso, dal punto di vista ecosistemico ed economico, creare una nuova zona umida anziché tentare di ringiovanire la vecchia con lavori di scavo. L ente parco ha quindi promosso un attività di cava, progettata e realizzata da imprese del settore estrattivo su terreni privati: questi ultimi, alla conclusione dei lavori, sono stati ceduti all ente. I lavori hanno interessato terreni agricoli posti su un paleoalveo caratterizzato da depositi alluvionali con una permeabilità primaria medio alta e falda libera, in diretta connessione con le acque di alveo e subalveo del Po, prossima al piano di campagna. L esecuzione del progetto ha comportato, tramite scavo spinto al di sotto del piano di falda, la realizzazione di più specchi d acqua fra loro collegati al fine di dare loro la morfologia, in pianta, tipica di un meandro abbandonato. Le zone umide sono state disegnate con un grado di elevata diversità morfologica mediante anse sinuose, penisole, isolotti con scarpate a pendenza dolce onde offrire molteplici habitat. La profondità massima al centro dei bacini è di 4,5 metri dal pelo medio della falda freatica. Complessivamente sono stati estratti circa metri cubi di sabbia e ghiaia. Lungo le sponde sono state create acque più basse e zone al limite dell oscillazione della falda per favorire la formazione spontanea di canneto e cariceto. Un canale mette in comunicazione la nuova lanca con la vecchia, garantendo continuità fra i corpi idrici. Il territorio circostante è stato destinato a bosco seminaturale igrofilo, mesoigrofilo e, per una piccola porzione, a prato arido. Per la ricostituzione del bosco sono state poste a dimora circa piante. I lavori hanno interessato una superficie di 26 ettari e sono stati effettuati nei pressi di una delle aree naturalisticamente più pregiate del parco e cioè la garzaia di Valenza. Tra le difficoltà riscontrate, c è stata quella relativa all inadeguata preparazione delle maestranze, abituate a eseguire lavori molto regolari piuttosto che un intervento particolare come questo. Nessun costo è attribuibile all ente per la realizzazione dell opera, sostenuto invece dalle imprese estrattive: le stesse hanno dovuto depositare una fidejussione a garanzia della corretta esecuzione dei lavori. 50

54 Riqualificazione di un paleoalveo FONTE: PARCO REGIONALE DELL OGLIO SUD, PAGINA WEB: SOTTOSOTTOAREA=339 L'area oggetto dei lavori, denominata "Canalette", è localizzata in Comune di Acquanegra sul Chiese nella Riserva Naturale Le Bine (Parco Regionale Oglio Sud); parte della superficie di mq è privata, tale per cui il Parco ha stipulato una convenzione con la proprietà. In passato oggetto di bonifica, con l'apertura di canali paralleli di drenaggio, impianto di pioppeti e successivamente abbandonata, probabilmente a causa dell'eccessiva umidità del suolo, l'area si era naturalizzata con vegetazione infestante (Indaco bastardo, rovi) sviluppata vigorosamente sulle porzioni più rilevate. Non si era riscontrata negli ultimi dieci anni una evoluzione verso habitat di maggior pregio. Lo scopo dell'intervento è stato quello di ricostruire gli habitat naturali mediante riapertura di stagni laddove un tempo scorreva il fiume e di realizzare boschi igrofili, che costituiscono l'assetto naturale di queste aree. L'impianto del bosco è stato preceduto dalla sistemazione del terreno, operazione consistente: a) nella totale eliminazione delle canalette, la cui presenza non avrebbe consentito di dar corso ad un intervento ottimale ed avrebbe inoltre reso impossibile l'effettuazione delle cure colturali; la sistemazione agraria infatti era finalizzata ad utilizzi produttivi che non rientrano nelle finalità del progetto, che mira al contrario a rinaturare un'area bonificata; b) nella formazione di una piccola rampa di raccordo fra la strada alzaia e la campereccia che partendo dalla rampa, corre parallela all'adiacente pioppeto tale da permettere agevolmente sia la formazione del nuovo impianto e sia la sua successiva manutenzione periodica; c) nella formazione di uno stagno, quale habitat idoneo per l'alimentazione dell'avifauna svernante e nidificante e per la riproduzione degli anfibi, tra cui l'endemica rana di Lataste; la realizzazione dello stagno ha avuto inoltre lo scopo di ricostruire l'antico percorso fluviale, eliminato dalle precedenti bonifiche; d) nella formazione di un passaggio fra il terreno e l'isola che si andrà a formare; e) nella pulizia, approfondimento e risagomatura del fosso con lo scopo di aumentare le superfici umide o periodicamente inondate; f) nella preparazione del terreno con lavorazione meccanica ed apertura delle buche per la messa a dimora delle piantine. Operando sulla altimetria dell'appezzamento sono stati creati due appezzamenti a quote diverse, quella a quota maggiore è stata destinata all'impianto di un bosco meso-igrofilo mentre l'altra a quota inferiore all'impianto di un bosco igrofilo (Salix cinerea, Salix alba e Alnus glutinosa). Sono stati realizzati impianti vegetali modulari, rispondenti alle caratteristiche delle varie aree e alla costituzione di strutture vegetali aventi la massima variabilità di specie. Nell imboschimento di bosco planiziale variante meso-igrofila, le specie arboree impiegate sono costituite da latifoglie autoctone meso-igrofile (Cornus sanguinea, Fraxinus oxyphilla, Acer campestre, Quercus robur, Ulmus minor, Populus alba, Populus nigra, Crataegus monogyna e Sambucus nigra). La superficie interessata dall'intervento è pari a circa 8450 m 2 ; sono state messe a dimora circa 2000 piantine ad ettaro per le specie arboree e arbustive che andranno a costituire il soprassuolo. Considerata la superficie il numero totale di piante è pari a La densità d'impianto adottata nell'imboschimento è elevata in relazione alla finalità naturalistica del progetto: la densità innesca una notevole competizione degli individui dopo pochi anni dall'impianto ed accelera in tal modo la crescita iniziale in altezza delle piantine, la copertura e l'ombreggiamento del suolo, fattori che favoriscono la rapida chiusura delle chiome. I vantaggi di questa evoluzione sono molteplici: minori costi di manutenzione dopo i primi anni dall'impianto, costituzione in tempi brevi di aree rifugio per la fauna, possibilità di 51

55 ottenere, grazie ai diradamenti ed alla competizione, strutture più articolate e più prossime alla naturalità. La composizione di questo tipo di imboschimento risulta sintetizzato nella seguente tabella (MP2 = contenitore alveolare): Il sesto d'impianto, regolare ed eseguito su file parallele con andamento sinusoidale, con sesto di 2.50 tra le file x 2 m lungo la fila, è stato realizzato con gruppi di Populus alba, Populus nigra e arbusti, disposti a scacchiera, e con mescolanza per piede d'albero, per le altre specie ad accrescimento più lento. Ciò consentirà di raggruppare le specie per omogeneità di crescita riducendo la competizione che si verrebbe a creare impiantando piante a rapido accrescimento accostate a piante a lento accrescimento. Per i pioppi si è fatto uso in parte di talee radicate, munite di bacchetta di bambù con cima tinta di rosso per la successiva identificazione, e di astoni di uno o due anni (Populus alba) piantati "a palo", con la tecnica del pioppeto, con impiego di trivella per porre la piantina a contatto con gli orizzonti più profondi, dotati di umidità. Le altre specie sono state dotate di shelter del tipo Sylvitub, di altezza cm 60, con diametro cm 9,5, in materiale plastico biodegradabile, della durata presunta di 3-4 anni, sostenuto da due bacchette in bambù di altezza cm. 90. L imboschimento di bosco planiziale variante igrofila riguarda aree con condizioni pedologiche caratterizzate da elevata igrofilia e falda relativamente superficiale; pertanto si mira a costituire un bosco in grado di vegetare in situazioni di spiccata umidità degli orizzonti superficiali alimentati da una buona disponibilità di acqua ad una profondità esplorabile dalle radici. Le specie arboree da introdotte sono costituite da latifoglie autoctone igrofile. La superficie interessata dall'intervento è pari a circa 9550 m 2, in cui sono state messe a dimora circa 2500 piantine ad ettaro per le specie arboree e arbustive che andranno a costituire il soprassuolo. Considerata la superficie il numero totale di piante è pari a La composizione di questo tipo di imboschimento risulta essere sintetizzata nella seguente tabella (MP1 = contenitore alveolare): Il sesto d'impianto, regolare ed eseguito su file parallele con andamento sinusoidale, con sesto di 2,50 tra le file x 1,60 m lungo la fila è stato realizzato con mescolanza a gruppi, al fine di riprodurre la situazione che si verrebbe a creare con la spontanea colonizzazione di salici ed ontani su aree umide perifluviali. Gli esempi che abbiamo potuto osservare nelle aree umide simili infatti sono costituiti da boscaglie pure di salicale con gruppi sporadici di ontaneto. Per i salici si è fatto uso di talee radicate, munite di bacchetta di bambù con cima tinta di rosso per 52

56 la successiva identificazione. Le altre specie sono state munite di shelter del tipo Sylvitub, di altezza cm 60, con diametro cm 9,5, in materiale plastico biodegradabile, della durata presunta di 3-4 anni, sostenuto da due bacchette in bambù di altezza cm. 90. A partire dalla stagione successiva a quella dell'impianto, l'imboschimento è stato oggetto di cure colturali volte a controllare la crescita della vegetazione erbacea tramite lavorazione o trinciatura dell'erba negli interfilari e sfalci localizzati presso le giovani piante; tali interventi sono effettuati tre o quattro volte l'anno durante la stagione vegetativa (da maggio a settembre). Quando il soprassuolo avrà raggiunto dimensioni tali da garantire la copertura pressoché completa del suolo, presumibilmente a partire dal quinto o sesto anno dall'impianto e comunque in relazione allo sviluppo delle piantine, gli interventi colturali saranno ridotti ma verrà comunque eseguita la trinciatura di alcuni filari principalmente per motivi di accessibilità. Eventuali irrigazioni di soccorso verranno eseguite nel periodo estivo nel primo e nel secondo anno dall'impianto solo se necessarie all'attecchimento o alla sopravvivenza delle piantine in particolare nelle aree più aride. Per quanto riguarda l impianto vegetazione erbacea riparia lungo le rive dello stagno, sono stati messi a dimora cespi di carice (Carex elata e Carex riparia) lungo le rive dello stagno di nuova formazione. Il materiale è stato prelevato in aree umide vicine; i cespi divisi e piantati a distanza di 0.50 m in modo da formare (6) sei gruppi di lunghezza pari a m 20, distribuiti su tratti di sponda lungo il perimetro dello stagno. 53

57 Misure di gestione per l Habitat 3170 Si riporta un estratto del manuale riguardante l Habitat 3170* Stagni temporanei mediterranei, nell ambito della collana edita dalla Commissione Europea riguardante la gestione degli Habitat di interesse comunitario compresi nell All. I della Dir. 92/43/EEC. Le misure di conservazione, seppure specificatamente riferimenti al suddetto Habitat, possono comunque essere riprese più in generale nella gestione dei corpi d acqua lentica. FONTE: RUIZ E MANAGEMENT OF NATURA 2000 HABITATS *MEDITERRANEAN TEMPORARY PONDS. EUROPEAN COMMISSION. 2. Conservation management. General recommendations. As stated above, the occurrence of Mediterranean temporary ponds is decreasing in most of their distribution area, essentially due to human activities. Habitat management is mainly aimed at correcting the negative effects of these activities and at restoring the ecological functions of the ponds. Many of the problems experienced in temporary ponds have the same source, frequently related to agriculture or cattle management, and thus they may benefit from similar conservation measures. However, temporary ponds show a high degree of variability and their management must be adapted to the specific conditions of each. Detailed site specific analysis of each pond should be carried out to determine the precise management measures required Sometimes the ecology of the site is not well known. Thus, the first step is to inventory the site and diagnose its problems. Once these are known, a management plan should be drawn up for each wetland or group of wetlands. Some ponds do not require active management. They are usually the most natural ones in the most oligotrophic sites. However, in many other ponds the presence or abundance of the priority habitats results from interaction between natural processes and disturbance by human activities. This balance may be very fragile and can be disrupted by intensification or conversely by extensification of human activities, changes in practices, long-term processes (e.g. sedimentation), etc. In these sites active management can be necessary. In some sites, the economic activities contribute to the long-term conservation of ecological values through maintaining an appropriate rate of disturbance and indirectly preventing changes in land use. Active management. Clearing and mowing. Temporary ponds heavily invaded by scrub and perennial plant species such as sedges, reeds and grasses should be cleared of such vegetation. In the absence of grazing, it may be necessary to clear the vegetation manually. This can be done by using mechanical scrub cutters with different types of implements depending on the type of vegetation to be removed. Once the vegetation has been cut, the plant waste must be removed. The frequency of these actions may vary depending on the magnitude of the problem and the particular features of the site. They should be complemented with measures aimed at improving the growth of native species that are characteristic of the pond, which would contribute to reduce the need for clearing and mowing. Grazing management. In many cases, Mediterranean temporary ponds are linked to a traditional use of the land that is usually related to livestock farming. On the whole, extensive livestock farming is not detrimental to the conservation of temporary ponds (ICN 2007). If properly used, it can even be a useful management tool. The management of grazing must consider the balance between the positive impacts on competitive plant species and the negative impacts on target sensitive species. Grazing is especially needed in sites where the productivity is high enough to support the growth of perennial plant species which compete with the species characteristics of the priority habitats (Bolboschoenus sp., Juncus sp., etc.). However, livestock can cause problems if there is overgrazing or grazing at the wrong time of the year. For instance, if the livestock 54

58 grazes in the wetland during the flowering season, it can cause problems for the reproduction of certain species (Ranunculus spp., Agrostis spp., Orchis spp.). This may be a critical demographic issue for rare annual plants. The main concerns to the presence of grazers in Mediterranean temporary ponds are related to direct destruction of plants and animals by trampling in saturated sediment, re-suspension of sediment by tramping in the mud, and grazing on rare plants. Management strategies should aim to reduce the negative impact through selecting grazers that are light (e.g. local wetland breeds of cattle) and/or do not enter into the water (sheep, goats), or allowing grazing at periods where the cover of the target plants species is minimal. Grazing may also increase the turbidity of the water and cause a loss of the bottom soil structure. Trampling may damage plant roots especially if pigs are used. For the same reasons, big game, especially wild boar, can also have a negative impact on ponds. Their impact can be drastic by ploughing soil on extensive areas. However they are usually of lower concern because (1) they are usually less numerous than livestock, (2) they usually feed on competitive species, and (3) they promote regeneration niches for the short-living species that are characteristics of temporary ponds. Proper management implies an appropriate grazing load and the use of livestock species or breeds that are as close as possible to those that were traditionally used at a given site. Each site should be studied in detail to determine the best grazing load as well as the time of the year when grazing is least detrimental to the maintenance of the habitat. Given that one of the problems usually caused by livestock is the increase in water turbidity, livestock should be prevented from grazing directly on the water during the flooded period. The contamination produced by excrements of pigs and cows in particular may cause a significant eutrophication of the pond, which increases water turbidity owing to the algae growing. Control of agricultural activities in the surrounding catchment area. The area surrounding a temporary pond may be farmland. Agricultural activities may cause pollution from fertilizers, pesticides and herbicides, as well as increased erosion within the catchment, which leads to the silting of the pond. In order to avoid these problems, the use of fertilizers and plant health products in the surrounding area should be regulated. The Portuguese authorities have proposed the creation of 50-metre buffer zones around the ponds where the use of fertilizers and dredging and drainage activities are forbidden, as well as tillage in the dry season. The measure of protecting 50 metres around the wetlands has also been taken in La Albuera, but the final results of the impact of this measure have not been studied yet. Certain agri-environmental measures promoting the abandonment of agriculture such as reforestation plans in areas surrounding temporary ponds should also be considered with caution. Digging of wells and tree plantation (especially with species that consume large quantity of water as Eucalyptus spp.) must also be controlled in order to protect the underlying aquifer. Control of alien invasive species. The invasion of alien species may originate from different sources. In the case of invasive animal species, such as the introduction of fish or crayfish (Procrambarus clarki), if the invasion is detected at the beginning of the wet season, an attempt can be made to capture all the individuals using the means best suited for each site (nets, traps or manual capture). However, if the invasion is only seen at the end of the wet season, it is very likely that the native species within the pond have already been affected (especially micro-crustaceans and amphibians). In this case, the recommendation is to let the pond dry up so that the invasive species disappear and to concentrate efforts on finding the origin of the invasion (e.g. irrigation canals nearby) so that appropriate corrective measures can be taken. Procamabarus clarkii can survive the dry season by digging deep holes in the sediment. So, in contrast with fish which are killed by short drought, the dry season might not be sufficient to eradicate this invasive species. In the case of non native turtles (Thrachemys sp., Pseudemys sp., Graptemys sp.), the most practical approach is to capture them directly because they can be harmful to amphibians and invertebrates. It is also important to determine the origin of the turtles since they are often released directly by their human owners. In these cases, awareness raising campaigns may 55

59 help to prevent further releases. Invasion by plant species requires a different approach. First, a risk assessment should be done to decide about the most efficient strategy. Some species can invade the site very rapidly and in some cases there can be too many individuals of many species. The invasive species should be eradicated manually as soon as possible. Thereafter the site should be monitored every year to check the evolution of these species and to determine whether it is necessary to continue with the eradication work. This may need to be done over several years as the invading plant species often re-appear because seeds can be carried back into the site by the wind, the water or by animals. Thus the more thorough the initial eradication is, the less effort will be required later on. The method for eradicating invasive plants depends on the species, the density and the surface area. It is relatively easy to control Paspalum (e.g. through grazing), for example, but much more complex and expensive to get rid of Arundo donax, which is much larger. If trees are the problem they must be cut and uprooted. In some cases, invasive species appear because of changes in the water regime, for instance, through dredging or dam construction which alter the pattern and duration of flooding. In such cases, it may be enough to restore the proper hydrological conditions and eradicate the alien species for the biotic community of the site to recover. Restoring temporary ponds. Once the factors affecting a degraded pond are known and have been assessed, it is possible to restore the ecological functions, often starting with the hydrological dynamics. To restore the hydrological dynamics it is necessary to determine if the pond has suffered a process of drainage or siltation. Most often wetlands in cultivated areas have been deliberately drained to increase the surface of arable land. This drainage can be done in two different ways: by building channels to empty the pond basin or by modifying the runoff that feeds the pond so that the water is driven elsewhere. In these cases, hydrological restoration involves closing the drainage channels and restoring the original conditions of the basin. When the pond has been silted it may be necessary to remove the excess of sediments, restore the original depth of the pond and correct the conditions within the catchment area that led to this siltation. To determine the depth of the pond, different actions can be carried out. The analysis of sediments can allow identifying the depth where the highest density of seeds, spores and eggs of the target species occur and thus the amount of sediment to be removed. This depth should correspond to appropriate water depth and local hydrology unless changes in the catchment area or the edges of the pool have occurred. A viability analysis of these propagules allows evaluating the feasibility of restoring populations using local material or eventually the need of re-introducing populations, or to rely on natural colonization. A hydrological modelling could be used to identify the depth profile needed for restoring suitable hydrological conditions. When materials have to be removed from a silted wetland, this should be done with caution. First, part of the sediments should be removed, and the functioning of the wetland should be checked. Once the right depth has been established for the removal of the materials, the rest of the sediments can be taken out. It is important to leave slopes that are gentle enough to allow the different types of vegetation to find an adequate niche during the flooded period and avoid erosion. When a significant bank of seeds, eggs and cysts is not available in the sediments, the sediments can be removed and replaced with others from other similar wetlands nearby. If there is a significant amount of reproduction and propagation material in the sediments and there are no similar wetlands in the area, part of the sediments should be reserved for later replanting. When the silting has been caused by materials actively brought by humans, these materials must be removed. This is especially important when the pond has been used to dump solid waste, whether construction debris or other kinds of waste. Other relevant measures. Inventories and monitoring. To manage temporary wetlands, it is necessary to determine the optimum and average period and intensity of flooding, the animal and plant species composition, the use of the pond by 56

60 vertebrates, particularly amphibians, and the use of the habitat by waterfowl. It is also very important to monitor the water quality to determine the degree of pesticides and fertilizers contamination, particularly in sites located in cultivated areas. Moreover, it is necessary to analyse the intensity of use of the site by livestock and determine the optimum degree of use in order to adjust it to reasonable levels. Once the basic parameters and the management measures have been established, the impact of the measures should be monitored to check whether their quality and quantity is appropriate. The indicators used to measure the impact of the actions are the composition of the site in terms of animal and plant species and its evolution over time. It is necessary to determine what are the targets and references. The best references (a set of pools) should be found in undisturbed equivalent sites nearby. If possible, the chemical parameters of the water should be monitored to detect pollutants at an early stage. The diversity and abundance of crustaceans and insects are usually the best indicators of water quality. Monitoring of water level is also very important as it is a general proximate factor that controls the distribution and abundance of species. Land acquisition. The management measures usually undertaken include the purchase of land. However, given that these areas are small and are often located on private land, it seems more practical to reach management agreements with the landowners to guarantee the conservation of the temporary ponds. However, the conservation of Mediterranean temporary ponds usually depends on the adequate management of the activities in the whole catchment area. Public awareness. In all cases, there is a clear need to carry out education and awareness raising campaigns addressed both to the general public and to institutions linked to nature conservation, land management and agriculture. It is especially necessary to work with landowners who have temporary ponds on their property and try to obtain their support for the conservation of these habitats. There should also be adequate educational campaigns aimed at landowners to encourage them not to engage in activities that are detrimental for conservation, such as deepening the ponds so that they can be used as watering holes for livestock all year round, using them to dump solid waste or to release animals (exotic fish, etc.). 57

61 Conservation practice standard Il Dipartimento dell Agricoltura degli Stati Uniti ha elaborato una serie di documenti riportanti indicazioni nell ambito delle pratiche di conservazione ambientale, soprattutto in riferimento all espletamento delle normali attività agricole. Tali documenti sono stati elaborati sia su scala nazionale che di singolo stato (questi ultimi disponibili sul sito Tra gli ambiti considerati, troviamo la conservazione degli elementi adiacenti ai campi (argini, stagni, canali, ecc.), il trattamento dei rifiuti agricoli, la gestione delle risorse idriche e naturali, ecc. A titolo di esempio si riportano alcuni estratti da tre documenti riportanti le indicazioni standard. FONTE: UNITED STATES DEPARTMENT OF AGRICULTURE - NATURAL RESOURCES CONSERVATION SERVICES. NATIONAL CONSERVATION PRACTICE STANDARDS - NATIONAL HANDBOOK OF CONSERVATION PRACTICES Wetland enhancement (Code 659). Definition. The rehabilitation or re-establishment of a degraded wetland, and/or the modification of an existing wetland, which augments specific site conditions for specific species or purposes; possibly at the expense of other functions and other species. Purpose. To provide specific wetland conditions to favor specific wetland functions and targeted species by: hydrologic enhancement (depth duration and season of inundation, and/or duration and season of soil saturation). vegetative enhancement (including the removal of undesired species, and/or seeding or planting of desired species). Conditions where practice applies. This practice applies on any degraded or non-degraded existing wetland where the objective is specifically to enhance selected wetland functions. This practice does not apply to the following where the intention is to: treat point and non-point sources of water pollution (Constructed Wetland 656); rehabilitate a degraded wetland where the soils, hydrology, vegetative community, and biological habitat are returned to original conditions (Wetland Restoration 657); create a wetland on a site that historically was not a wetland (Wetland Creation 658). Criteria. General criteria applicable to all purposes. The purpose, goals and objectives of the enhancement shall be clearly outlined, including the soils, hydrology and vegetation criteria that are to be met and are appropriate for the site and the project purposes. The impact of this practice on existing non-degraded wetland functions and/or values will be evaluated. The soils, hydrology and vegetative characteristics existing on the site and the contributing watershed shall be documented before enhancement of the site begins. Where known nutrient and pesticide contamination exists, species selected will be tolerant of these conditions. Sites containing hazardous material shall be cleaned prior to the establishment of this practice. Appropriate actions to clean sites suspected of containing hazardous wastes shall be based on soil tests. Invasive species, federal/state listed noxious plant species, and nuisance species (e.g., 58

62 those whose presence or overpopulation jeopardize the practice) shall be controlled on the site. The establishment and/or use of non-native plant species shall be discouraged. Any use of fertilizers, mechanical treatments, prescribed burning, pesticides and other chemicals shall assure that the intended purpose of the wetland enhancement shall not be compromised. Criteria for Hydrologic Enhancement. The hydrology of the site (defined as the rate and timing of inflow and outflow, source, duration, frequency, and depth of flooding, ponding or saturation) shall meet the project objectives. An adequate source of water must be available to meet hydrology designs. Timing and level setting of water control structures is required for the establishment of desired hydrologic conditions for management of vegetation and for optimum wildlife and fish use. Existing drainage systems will be utilized, removed or modified as needed to achieve the intended purpose. Criteria for Vegetative Enhancement. Establish native hydrophytic vegetation typical for the wetland type(s) being established. Each state will develop specific guidelines that consider soil, seed sources and species. Where natural colonization of selected species will dominate within 5 years, natural regeneration can be left to occur. Adequate substrate material and site preparation necessary for proper establishment of the selected plant species shall be included in the design. If the targeted hydrophytic vegetation is predominantly herbaceous, several species adapted to the site shall be established. Herbaceous vegetation may be established by a variety of methods including: mechanical or aerial seeding, topsoiling, organic mats, etc., over the entire site, or a portion of the site and at densities and depths appropriate. For forested wetland establishment, where six or more native species are adapted to the site, reforestation shall include at least six species. Seeding rates shall be based upon percentage of pure live seed within 6 months of planting. Considerations. Dike (356), Wetland Restoration (657) and Structure for Water Control (587) may be used to enhance the performance of this practice. Consider manipulation of water levels to control unwanted vegetation. Consider existing wetland functions and/or values that may be adversely impacted. Consider effect enhancement will have on disease vectors such as mosquitoes. The inclusion of microtopography can achieve changes in depth and duration of flooding without changing extent of surface area. Consider effect of volumes and rates of runoff, infiltration, evaporation and transpiration on the water budget. Consider effects on downstream flows or aquifers that would affect other water uses or users. Consider effects on fish and wildlife habitats that would be associated with the practice. Consider linking wetlands by corridors wherever appropriate to enhance the wetland s use and colonization by the flora and fauna. Establishing vegetative buffers on surrounding uplands can reduce sediment and soluble and sediment-attached contaminant delivery by runoff and/or wind. Consider effects on temperature of water resources to prevent undesired effects on aquatic and wildlife communities. Soil disturbance associated with the installation of this practice may increase the potential for invasion by unwanted species. On sites where woody vegetation will dominate, consider adding 1 to 2 dead snags, tree trunks or logs per acre to provide structure and cover for wildlife and a carbon source for food chain support. For discharge wetlands, consider underground upslope water and/or groundwater source availability. 59

63 When determining which species to plant, consider microtopography and the different hydrology levels. Consider the effects that location, installation and management may have on subsurface cultural resources. Consider the effect of water control structures on the ability of fish to move in and out of the wetland. Consider the effects that water level draw drowns will have on the mortality of aquatic species such as turtles. Consider timing of water control to mimic the natural hydrological regime of the area, further enhancing the habitat for aquatic species. Consider design modifications that will limit potential negative impacts of wetland plants and animals on the project. Plans and specifications. Specifications for this practice shall be prepared for each site. Specifications shall be recorded using approved specifications sheets, job sheets, narrative statements in the conservation plan, or other documentation. Requirements for the operation and maintenance of the practice shall be incorporated into site specifications. Plans and specifications should be reviewed by staff with appropriate training in design and implementation of wetland enhancement. Operation and maintenance. The following actions shall be carried out to insure that this practice functions as intended throughout its expected life. These actions include normal repetitive activities in the application and use of the practice (operation), and repair and upkeep of the practice (maintenance). Biological control of undesirable plant species and pests (e.g., using predator or parasitic species) should be implemented where available and feasible. Inspection schedule for embankments and structures for damage assessment. Depth of sediment accumulation to be allowed before removal is required. Management needed to maintain vegetation, including control of unwanted vegetation. Haying or grazing shall be used as appropriate to manage vegetation. Minimize disturbance to ground nesting species, especially during the primary nesting season. 2. Contour farming (code 330). Definition. Using ridges and furrows formed by tillage, planting and other farming operations to change the direction of runoff from directly downslope to around the hillslope. Purpose. This practice is applied to achieve one or more of the following: Reduce sheet and rill erosion. Reduce transport of sediment, other solids and the contaminants attached to them. Increase water infiltration Conditions where practice applies. This practice applies on sloping land where annual crops are grown. For orchards, vineyards and nut crops use the practice Contour Orchard and Other Fruit Areas, code 331. Criteria. General criteria applicable to all purposes. Minimum Row Grade. The crop rows shall have sufficient grade to ensure that runoff water does not pond and cause unacceptable crop damage. Maximum Row Grade. The maximum row grade shall not exceed one-half of the up-anddown hill slope percent used for conservation planning, or 10 percent, whichever is less. Up to a 25% deviation from the design row grade is permitted within 150 feet of a stable 60

64 outlet. When the row grade reaches the maximum allowable design grade, a new baseline shall be established up or down slope from the last contour line and used for layout of the next contour pattern. Minimum Ridge Height: Row spacing greater than 10 inches. The minimum ridge height shall be 2 inches during the period of the rotation that is most vulnerable to sheet and rill erosion. Ridge height will be determined using the current approved erosion prediction technology. Row spacing 10 inches or less. The minimum ridge height shall be one inch for closegrown crops, such as small grains. Plant height shall be at least 6 inches high and the spacing between plants within the row shall not be greater than 2 inches during the time most vulnerable to sheet and rill erosion. The minimum ridge height criteria are not required when the practice Residue and Tillage Management, No Till/Strip Till/Direct Seed (code 329) is used on the contour and at least 50 percent surface residue cover is present between the rows after planting. Stable Outlets. Surface flow from contoured fields shall be delivered to stable outlets. Additional criteria to increase water infiltration: Row Grade. The maximum row grade shall not exceed 0.2%. Considerations. General. Several factors influence the effectiveness of contour farming to reduce soil erosion. These factors include: 10-year, 24-hour rainfall in inches; ridge height; row grade; slope steepness; soil hydrologic group; cover and roughness; and slope length. Cover and roughness, row grade, and ridge height can be influenced by management and provide more or less benefit depending on design. Contour farming is most effective on slopes between 2 and 10 percent. This practice will be less effective in achieving the stated purpose(s) on slopes exceeding 10 percent and in areas with 10-year, 24-hour rainfall of about 6.5 inches. The practice is not well suited to rolling topography having a high degree of slope irregularity because of the difficulty meeting row grade criteria. This practice is most effective on slopes between 100 and 400 feet long. On slopes longer than 400 feet, the volume and velocity of overland flow exceeds the capacity of the contour ridges to contain them. Increasing residue cover and roughness will change the vegetative cover-management conditions and decrease overland flow velocities, thus increasing the slope length at which this practice is effective. Increasing roughness alone is not sufficient to produce this effect. The closer the row grade is to the true contour, the greater will be the erosion reduction. Prior to design and layout, obstruction removal and changes in field boundaries or shape should be considered, where feasible, to improve the effectiveness of the practice and the ease of performing farming operations. When the intersection of crop rows with the field edge is not perpendicular, a Field Border (code 386) may be needed to allow farm implements room to turn. If using Residue and Tillage Management, Ridge Till on the contour, avoid crossing over ridged rows at correction areas because this will destroy the effectiveness of the ridges. Sod turn strips may be established if correction areas are unavoidable. The width of correction areas, and the distance between baselines, should be adjusted for equipment operation widths. Ridge Height. Ridge height is created by the operation of tillage and planting equipment. The greater the ridge height, the more effective the operation is in slowing overland flow. The RUSLE2 Operations database contains the ridge height value for each field operation. Stable Outlets. Grassed waterways, water and sediment control basins, underground outlets, or other suitable practices should be used to protect areas of existing or potential concentrated flow erosion. Plans and specifications. Specifications for establishment and operation of this practice shall be prepared for each field according to the Criteria, Considerations, and Operation and Maintenance described in this standard. The plans shall include, as a minimum: 61

65 Percent land slope used for conservation planning; The minimum and maximum allowable row grades for the contour system; A sketch map or photograph of the field showing: the approximate location of the baselines used to establish the system; the location of stable outlets for the system. Specifications shall be recorded using approved specification sheets, job sheets, narrative statements in the conservation plan, or other acceptable documentation. Operation and maintenance. Perform all tillage and planting operations parallel to contour baselines or terraces, diversions, or contour buffer strip boundaries where these practices are used, provided the applicable row grade criteria are met. Where terraces, diversions, or contour buffer strips are not present, maintain contour markers on grades that, when followed during establishment of each crop, will maintain crop rows at designed grades. Contour markers may be field boundaries, a crop row left untilled near or on an original contour baseline or other readily identifiable, continuous, lasting marker. All tillage and planting operations shall be parallel to the established marker. If a marker is lost, re-establish a contour baseline within the applicable criteria set forth by this standard prior to seedbed preparation for the next crop. Farming operations should begin on the contour baselines and proceed both up and down the slope in a parallel pattern until patterns meet. Where field operations begin to converge between two non-parallel contour baselines, establish a correction area that either is permanently in sod, established to an annual close-grown crop. Where contour row curvature becomes too sharp to keep machinery aligned with rows during field operations, establish sod turn strips on sharp ridge points or other odd areas as needed. 3. Field border (code 386). Definition. A strip of permanent vegetation established at the edge or around the perimeter of a field. Purpose. This practice may be applied to accomplish one or more of the following: Reduce erosion from wind and water Protect soil and water quality Manage pest populations Provide wildlife food and cover Increase carbon storage Improve air quality Conditions where practice applies. This practice is applied around the perimeter of fields. Its use can support or connect other buffer practices within and between fields. This practice may also apply to recreation land or other land uses where agronomic crops including forages are grown. Criteria. General criteria applicable to all purposes. Field borders shall be established around the field edges to the extent needed to meet the resource needs and producer objectives. Minimum field border widths shall be based on local design criteria specific to the purpose or purposes for installing the practice. The field borders shall be established to adapted species of permanent grass, legumes and/or shrubs that accomplish the design objective and do not function as host for diseases of the field crop. Plants selected for field borders will have the physical characteristics necessary to control wind and water erosion to tolerable levels on the field border area. Seedbed preparation, seeding rates, dates, depths, fertility requirements, and planting methods will be consistent with approved local criteria and site conditions. 62

66 Ephemeral gullies and rills present in the planned border area will be eliminated as part of seedbed preparation. If present, ephemeral gullies and rills located immediately upslope from the planned border area need to be treated to ensure more of a sheet flow into the planned border area. Additional criteria to reduce erosion from wind and water. Field border establishment, in conjunction with other practices, will be timed so that the soil will be adequately protected during the critical erosion period(s). Establish stiff-stemmed, upright grasses, grass/legumes or forbs to trap wind- or waterborne soil particles. The amount of surface and/or canopy cover needed from the field border shall be determined using current approved water and wind erosion prediction technology. Calculations shall account for the effects of other practices in the management system. Wind Erosion Reduction. Locate borders to provide a stable area on the windward edge of the field as determined by prevailing wind direction data. Minimum height of grass or forbs shall be one foot during the critical erosion period. Water Erosion Reduction. Locate borders to eliminate sloping end rows, headlands, and other areas where concentrated water flows will enter or exit the field. Orient plant rows as closely as possible to perpendicular to sheet flow direction. Additional criteria to protect soil and water quality. Do not burn the field border if the main goal of the field border is to protect soil or water quality. Reducing runoff and increasing infiltration. Locate borders around the perimeter of the field, or as a minimum, install borders to eliminate sloping end rows, headlands and other areas where concentrated water flows will enter or exit the field. Water quality adsorbed, dissolved and suspended contaminants. As a minimum, locate field borders along the edge(s) of the field where runoff enters or leaves the field. The minimum width for this purpose shall be 30 feet and have a vegetation stem density/retardance of moderate to high (e.g. equivalent to a good stand of wheat). Design border widths to comply with all applicable State and local regulations regarding manure and chemical application setbacks. Reducing soil compaction from equipment parking and traffic. Border widths will be designed to accommodate equipment turning, parking, loading/unloading equipment, grain harvest operations, etc. Additional criteria to manage pest populations. Provide a harbor for beneficial organisms (e.g. insects, mites, etc.). Include appropriate plants that attract beneficial organisms that prey on target pests. Mowing, harvesting, pesticide applications and other disturbance activities will be scheduled to accommodate life cycle requirements of the beneficial organisms. Provide a habitat to cause pests to congregate. Select plants for the field border that attract pests (e.g. alfalfa strips planted to lure lygus bugs away from a cotton crop). Additional criteria to provide wildlife food and cover. Establish plant species that provide wildlife food and cover for the target wildlife species. [Each state should indicate here what documents are to be consulted by the planner to make the correct species choices for wildlife purposes.] Schedule mowing, harvest, weed control, and other management activities within the field border to accommodate reproduction and other life cycle requirements of target wildlife species. Vegetative successional state shall be maintained to accommodate target wildlife species requirements. When wildlife is a concern, a lower percent groundcover than would be needed if protecting soil and water quality was the only goal is acceptable as long as the soil resource concern is also adequately addressed (i.e. no excessive soil loss). This may be achieved by simply increasing the field border width. 63

67 Additional criteria to increase carbon storage. Establish plant species that will produce adequate above- and below-ground biomass for the site (i.e. a positive soil conditioning index). Maximize the width and length of the herbaceous border to fit the site and increase total biomass production. Do not burn if the main goal of the field border is carbon storage. Do not disturb the roots of the established vegetation with tillage. Additional criteria to improve air quality. Establish plant species with morphological characteristics that optimize interception and adhesion of airborne particulates. Select plants with persistent roots and residue that stabilize soil aggregates and capture airborne soil particles. Establish species resistant to damage from equipment traffic. Considerations. Consider planting field borders around the entire field, not just on the field edges where water enters or leaves the field, for maximizing multiple resource protection. Establishing a narrow strip of stiff-stemmed upright grass at the crop/field border interface can increase soil particle trapping efficiency of the field border. Native plants are best suited for wildlife habitat enhancement and provide other ecological benefits where adapted to site conditions and when consistent with producer objectives. Include native plants that provide diverse pollen and nectar sources to encourage local pollinator populations. Use field borders as corridors to connect existing or planned habitat blocks. Prescribed burning, strip disking, or selective herbicide applications are management tools that can be used to maintain suitable habitat for specifically desired wildlife species. Overseed the field border with legumes for increased plant diversity, soil quality, and wildlife benefits. Waterbars or berms may be needed to breakup or redirect concentrated water flow within the borders. In selecting plant species to establish in the field border, among other items, consider the plant s tolerance to: Sediment deposition and chemicals planned for application Drought in arid areas or where evapotranspiration can potentially exceed precipitation during the field border s active growing period(s). Equipment traffic. Design border widths to match the required field application setback widths for easier management (i.e. land-use and management changes occur in the same location). Establish plant species that will have the desired visual effects and that will not interfere with field operations or field border maintenance. Consider the amount of shading that the field border or portions of the field border may experience and select species for those locations accordingly. The use of native perennial plant species as opposed to annual species provides a longer period of resource protection. Consider installing a contour buffer system, No Till practice or other conservation practices on adjacent upland areas to reduce surface runoff and excessive sedimentation of field borders. Plans and specifications. Prepare plans and specifications for each field or treatment unit according to the Criteria included in this Standard. Specifications shall describe the requirements for applying this practice to meet the intended purpose. Record practice specifications on the Field Border 386, Conservation Practice Job Sheet. The following components shall be included for recording this specification: Field Border widths and lengths based on local design criteria. Field Border location(s) within the field(s) or farm boundary. Species to be used and the location and planting density of the species used. Site preparation requirements. 64

68 Timing of planting and planting method. Liming or fertilizer requirements. Operation and maintenance requirements. Operation and maintenance. Field borders require careful management and maintenance for performance and longevity. The following O&M activities will be planned and applied as needed: Repair storm damage. Remove sediment from above or within the field border when accumulated sediment either alters the function of the field border or threatens the degradation of the planted species survival. Shut off sprayers and raise tillage equipment to avoid damage to field borders. Shape and reseed border areas damaged by animals, chemicals, tillage, or equipment traffic. Maintain desired vegetative communities and plant vigor by liming, fertilizing, mowing, disking, or burning and controlling noxious weeds to sustain effectiveness of the border. Repair and reseed ephemeral gullies and rills that develop in the border. Minimally invasive tillage (e.g. paraplowing) may be performed in rare cases where compaction and vehicle traffic have degraded the field border function. The purpose of the tillage is strictly to decrease bulk density and increase infiltration rates so as to provide a better media for reestablishment of vegetation and field border function. Maintenance activities that result in disturbance of vegetation should not be conducted during the nesting season of grass nesting birds. Avoid vehicle traffic when soil moisture conditions are saturated. 65

69 GESTIONE DELLE PIANTE ESOTICHE Controllo delle specie vegetali esotiche Vengono riprese alcuni estratti relativi al controllo delle specie vegetali invasive riportate nelle Linee guida per la gestione della flora e della vegetazione delle aree protette nella Regione Lombardia. Un esempio applicativo delle suddette linee guida è l elenco delle specie vegetali incluse nella lista nera della l.r. 31 marzo 2008, n.10, ed elencate nella d.g.r. 24 luglio 2008 n. 8/7736. FONTE: CERABOLINI B., VILLA M., BRUSA G., LINEE GUIDA PER LA GESTIONE DELLA FLORA E DELLA VEGETAZIONE DELLE AREE PROTETTE NELLA REGIONE LOMBARDIA. CENTRO FLORA AUTOCTONA - NON PUBBL. I taxa invadenti (o invasivi) sono piante naturalizzate, le quali producono propaguli spesso in elevato numero, permettendo, in termini reali o potenziali, l espansione dei taxa su vaste aree. La capacità di invadere gli ambienti diviene inoltre proporzionale al numero di sorgenti di propaguli (piante madri: sia introdotte, sia spontaneizzate). La proprietà di invadere l ambiente è sostanzialmente indipendente dalla capacità di impatto che il taxon ha sull ambiente e sui danni che può causare. La capacità di invadere l'ambiente può essere valutata su una scala di tre livelli: bassa: taxon con capacità di invadenza limitata, generalmente circoscritta alle vicinanze della pianta madre (perlopiù taxon naturalizzato in senso stretto); media: taxon con capacità di invadenza contenuta, sia in relazione al tipo di riproduzione (es. prevalentemente vegetativa), dispersione (es. bassa capacità di vagazione dei propaguli) e autoecologia (es. necessità di eccezionali condizioni ambientali per l insediamento delle plantule); elevata: taxon che non mostra evidenti limiti nella capacità di invadere l ambiente. L impatto sull ambiente individua i danni reali o potenziali che provengono direttamente (es. competizione con taxa autoctoni) o indirettamente (es. modificazione delle caratteristiche edafiche) dalla presenza di un taxon alloctono. Si possono distinguere gli impatti ambientali nei seguenti comparti: " biodiversità: alterazione della biodiversità autoctona (biodiversità β, α e sub-α); " caratteristiche abiotiche dell ecosistema: alterazioni dei fattori abiotici dell ecosistema (suolo, acqua, microclima, ecc.); " paesaggio: alterazione nelle componenti autoctone (biodiversità γ); " salute: il taxon rappresenta un rischio importante per la salute di uomini e/o animali; " danni economici: il taxon provoca danni economici in uno o più settori (agricoltura, selvicoltura, infrastrutture, ecc.). L impatto ambientale di un taxon può essere stimato sul numero di comparti in cui può provocare danni. Per semplificazione, questa valutazione può essere ridotta a sole tre classi di impatto ambientale: basso: il taxon al più può produrre danni in un unico comparto; medio: può produrre danni in due o tre comparti; alto: può produrre danni in quattro o cinque comparti. Un taxon deve essere considerato sempre ad alto impatto quando:! rappresenta un elevato rischio per la salute umana;! rappresenta una diretta, concreta e comprovata minaccia per la conservazione di taxa o habitat inclusi in elenchi di protezione (direttiva 92/43/CEE, red list, ecc.) o di particolare interesse naturalistico-scientifico (endemiti, relitti biogeografici o sistematici, ecc.). Non si ritiene di elevare ad alto impatto i taxa che determinano danni di natura economica, in quanto i taxa che provocano questo tipo di danno sono generalmente comprese negli elenchi 66

70 speciali finalizzati al controllo dei taxa esotici. Tra i taxa che rimarrebbero tuttavia esclusi, troviamo le infestanti in senso stretto, rappresentate perlopiù da malerbe legate alle coltivazioni, la cui gestione è di fatto regolata da una normativa cogente (es. tempistiche, modalità e limiti fissati dal legislatore per l impiego di erbicidi) e/o volontaria (es. disciplinari di produzione fissati da consorzi); la presenza di questi taxa è inoltre piuttosto rara in ambienti naturali o seminaturali. Inoltre, non si ritiene di elevare ad alto impatto i taxa esotici (es. Populus canadensis e Ulmus pumila) che determinano un inquinamento genetico in taxa indigeni (es. Populus nigra e Ulmus minor). In una successiva fase di revisione degli elenchi, ci si riserva comunque la possibilità di introdurre questo criterio. La classificazione del livello di pericolosità ambientale di un taxon esotico avviene tramite una semplice combinazione tra i tre gradi di capacità di invadere l ambiente e i tre livelli di potenziale d impatto ambientale. Si identificano pertanto nove possibili combinazioni, a loro volta raggruppate in tre classi: capacità di invadere l'ambiente alta media bassa tollerabile lista grigia lista nera tollerabile lista grigia lista nera tollerabile lista grigia lista grigia basso medio alto potenziale d'impatto ambientale Le tre classi di piante possono così essere descritte: - tollerabile: taxa che mostrano un basso impatto ambientale; conseguentemente la loro presenza risulta in generale tollerabile nell ambiente e quindi non viene prevista la loro inclusione nelle liste speciali; - lista grigia : sono rappresentati da taxa con un medio impatto ambientale, oppure alto ma con bassa capacità di invadere l ambiente. In generale si tratta di taxa dannosi per l ambiente, la cui diffusione deve essere perlomeno controllata e contrastata, ai fini di evitarne una maggior espansione e quindi mitigarne l influenza; - lista nera : sono rappresentati da taxa con un alto impatto ambientale abbinato ad una medio-alta capacità di invadere l ambiente. In generale si tratta di taxa alquanto dannosi per l ambiente, la cui diffusione deve essere contrastata e le singole popolazione di norma eradicate (almeno nelle situazioni più nocive per il comparto ambientale interessato). Esempi di taxa per ciascuna combinazione di capacità di invadere l ambiente e di potenziale d impatto ambientale sono riportati nella seguente tabella. 67

71 capacità di invadere l'ambiente alta media bassa Coniza canadensis Muhlenbergia schreberi Sorbaria sorbifolia Parthenocissus quinquefolia Helianthus tuberosus Pinus rigida Prunus serotina Pueraria montana Bambuseae basso medio alto potenziale d'impatto ambientale I taxa che presentano rilevanti problematiche ambientali sono quindi suddivisi nelle seguenti due liste: - lista grigia : comprende taxa la cui presenza è tollerabile unicamente in contesti ambientali particolari, in generale con una bassa biodiversità naturale (ambienti antropizzati, coltivi, ecc.). Si raccomanda un controllo della loro diffusione nell ambiente naturale, in particolare quando si manifestano localmente danni piuttosto rilevanti: in quest ultimo caso si può intervenire eradicando la popolazione. - lista nera : include taxa la cui presenza nell ambiente non è mai tollerabile, anche in ambienti con bassa biodiversità autoctona (ambienti antropizzati, coltivi, ecc.). In questi ultimi ambienti, anche se non caldamente raccomandabile, è possibile imporre modalità di gestione atte al solo controllo dei taxa, ovvero finalizzate ad un contenimento della loro capacità di dispersione in altri ambienti. In generale si esorta comunque una eradicazione delle popolazioni o comunque la predisposizione di interventi relativamente urgenti ai fini di evitare sia una maggiore diffusione del taxon sia il verificarsi di danni ambientali irreparabili. I taxa alloctoni non inseriti lista tollerabile comprendono taxa che si ritiene non presentino, allo stato attuale delle conoscenze, un potenziale d impatto ambientale tale da giustificare interventi gestionali di natura altamente repressiva negli ambienti naturali o seminaturali. In generale la loro presenza è pertanto sopportabile, mentre il loro controllo (e in casi estremi anche l eradicazione) è lasciata alla discrezionalità degli Enti Gestori e/o di terzi sulla base di particolari esigenze locali (controllo delle malerbe nei coltivi, manutenzione ordinaria dalle infestanti negli ambienti sinantropici, ecc.). Le caratteristiche salienti dei tre gruppi di taxa alloctoni sono riassunti nella successiva tabella. tollerabile lista grigia lista nera impatto ambientale basso medio-alto alto invadenza ambientale bassa-alta bassa-alta media-alta tipo di specie tollerabile parzialm. tollerabile intollerabile tipo di gestione discrezionale irrinunciabile irrinunciabile (urgente) modalità di gestione (controllo) controllo(-eradicazione) (controllo-)eradicazione La conoscenza delle caratteristiche biologiche e delle esigenze ecologiche di un taxon alloctono è fondamentale per una sua collocazione nelle suddette liste. Lo status di un taxon può 68

72 comunque cambiare nel tempo, in relazione ad un ampliamento delle conoscenze, nonché a mutamenti ambientali (es. climate change) in grado di determinare una variazione nel suo grado di impatto e/o invadenza ambientale. Si assiste inoltre ad un incessante ingresso sul territorio di nuovi taxa alloctoni. Per queste motivazioni si rende necessaria una revisione periodica delle liste (almeno su base triennale). Infine, sia l impatto che l invadenza di un taxon possono variare su scala locale. L individuazione di altri taxa alloctoni i da sottoporre a controllo per opera degli Enti Gestori è quindi auspicabile a livello locale, rispettando comunque i criteri di assegnazione sopra esposti. 69

73 Elenchi speciali finalizzati al controllo dei taxa esotici nome scientifico famiglia nome comune tassonomia Acer negundo L. Aceraceae Acero americano, Negundo spesso coltivato in cultivar, in modo cautelativo ritenute anch'esse dannose Ailanthus altissima (Mill.) Swingle Simaroubaceae Ailanto, Albero del paradiso, Sommacco falso. Ambrosia artemisiifolia L. Asteraceae Ambrosia con foglie di artemisia sono segnalate altre specie esotiche di Ambrosia (A. coronopifolia Torr. & A. Gray e A. trifida L.), la cui diffusione è maggiormente localizzata; nel caso estendere i trattamenti suggeriti anche a queste specie Amelanchier lamarckii F.G.Schroed. Rosaceae Pero corvino di Lamarck. Amorpha fruticosa L. Leguminosae Amorfa cespugliosa, Indaco bastardo. Artemisia verlotiorum Lamotte Asteraceae Artemisia dei fratelli Verlot potrebbe essere confusa con la specie indigena A. vulgaris L.; sono segnalate anche altre specie esotiche di Artemisia (soprattutto A. annua L.), a cui nel caso estendere i trattamenti suggeriti Bambuseae Kunth ex Nees Poaceae Bambù data la tassonomia piuttosto complessa che contraddistingue questa tribù di Poaceae, che implica un'estrema difficoltà nella determinazione delle specie, vengono ricomprese tutte le specie di bambù; tra le specie maggiormente segnalate e considerate potenzialmente invasive e dannose, si può annoverare in particolar modo Phyllostachys viridiglaucescens (Carrière) A.Rivière & C.Rivière Bidens frondosa L. Asteraceae Bidente foglioso potrebbe essere confusa con le specie indigene B. cernua L. e soprattutto B. tripartita L.; sono segnalate altre specie esotiche di Bidens, come B. bipinnata L. e B. subalternans DC., a cui nel caso estendere i trattamenti suggeriti Broussonetia papyrifera (L.) Vent. Moraceae Gelso da carta. Buddleja davidii Franch. Buddlejaceae Buddleja di David spesso coltivata in cultivar, talvolta rinvenute spontaneizzate Deutzia Thunb. [tutte le specie] Saxifragaceae Deuzia la specie maggiormente problematica è comunemente indicata come D. scabra Thunb., ma in realtà trattasi nella maggior parte dei casi di D. crenata Siebold & Zuccarini Elaeagnus pungens Thunb. Elaeagnaceae Olivagno pungente. Elodea Michaux [tutte le specie] Hydrocharitaceae Peste d'acqua sono ricomprese tutte le specie del genere Elodea: attualmente sono segnalate E. nuttallii (Planch.) H. St.John, E. densa (Planch.) Caspary [syn. Egeria densa Planch.] e la più comune tra tutte E. canadensis Michx Erigeron karvinskianus DC. Asteraceae Erigeron di Karvinski. Fallopia aubertii (L. Henry) Holub Polygonaceae Poligono del Turkestan syn. F. baldschuanica (Regel) Holub; sono segnalate anche altre specie esotiche di Fallopia, soprattutto F. multiflora (Thunberg) Haraldson, a cui nel caso estendere i trattamenti suggeriti Helianthus tuberosus L. Asteraceae Girasole del Canada, Topinambur sono compresi anche H. rigidus (Cassini) Desfontaines [syn. H. pauciflorus Nuttall] e le forme intermedie ibridogene Heteranthera Ruiz & Pavon [tutte le specie] Pontederiaceae Eterantera sono ricomprese tutte le specie del genere Heteranthera: attualmente sono segnalate H. limosa (Sw.) Willd., H. rotundifolia (Kunth) Griseb. e la più comune H. reniformis Ruiz et Pavon Humulus scandens (Lour.) Merril Cannabaceae Luppolo giapponese syn. H. japonicus Siebold & Zucc.; potrebbe essere confuso con la specie indigena H. lupulus L. Impatiens glandulifera Royle Balsaminaceae Impaziente ghiandolosa potrebbe essere confuso con altre specie esotiche di Impatiens, a cui nel caso estendere il trattamento; queste specie esotiche potrebbero essere confuse con la specie indigena I. noli-tangere L. Laurus nobilis L. Lauraceae Alloro, Lauro. Ligustrum lucidum Aiton Oleaceae Ligustro lucido. Ligustrum ovalifolium Hassk. Oleaceae Ligustro a foglie ovali potrebbe essere confuso con la specie indigena L. vulgare L. Ligustrum sinense Lour. Oleaceae Ligustro cinese potrebbe essere confuso con la specie indigena L. vulgare L. Lonicera japonica Thunb. Caprifoliaceae Caprifoglio giapponese potrebbe essere confusa con le specie indigene di Lonicera, in particolare con L. caprifolium L. Ludwigia grandiflora (Michaux) Greuter & Burdet s.l. Onagraceae Ludwigia a grandi fiori sono ricomprese tutte le specie esotiche del genere Ludwigia: attualmente sono segnalate L. hexapetala (Hook. & Arn.) Zardini, H.Gu & P.H.Raven e L. peploides (Kunth) P.H.Raven subsp. montevidensis (Spreng.) P.H.Raven; potrebbero essere confuse con la specie indigena L. palustris (L.) Elliott Mahonia aquifolium (Pursh) Nutt. Berberidaceae Maonia sono segnalate anche altre specie esotiche di Mahonia, a cui nel caso estendere il trattamento Nelumbo nucifera Gaertn. Nelumbonaceae Fior di loto. Parthenocissus quinquefolia (L.) Planch. Vitaceae Vite del Canada, Vite vergine sono ricomprese anche le forme riconducibili a P. inserta (A. Kerner) Fritsch [syn. P. vitacea (Knerr) Hitchc.] Pinus nigra J.F.Arnold Pinaceae Pino nero sono segnalate due sottospecie (subsp. nigra e subsp. laricio Maire), allo stato attuale da considerarsi entrambe come dannose Pinus rigida Mill. Pinaceae Pino rigido. Pinus strobus L. Pinaceae Pino strobo. Platanus hybrida Brot. Platanaceae Platano comune syn. P. hispanica Mill. ex Münchh., P. acerifolia (Aiton) Willdenow Polygonum polystachyum Wall. Polygonaceae Poligono a spighe numerose syn. Aconogonon polystachyum (Wall. ex Meisn.) Small Populus canadensis Moench Salicaceae Pioppo ibrido, Pioppo canadese potrebbe essere confuso con la specie indigena P. nigra L. Prunus laurocerasus L. Rosaceae Lauroceraso spesso coltivato in cultivar, ritenute anch'esse dannose Prunus serotina Ehrh. Rosaceae Ciliegio tardivo, Ciliegio americano potrebbe essere confuso con la specie indigena P. padus L. Pueraria lobata (Willd.) Ohwi Fabaceae Pueraria irsuta syn. P. montana (Lour.) Merr. var. lobata (Willd.) Maesen & S.Almeida Quercus rubra L. Fagaceae Quercia rossa. Reynoutria Houtt. [tutte le specie] Polygonaceae Poligono giapponese syn. Fallopia Adanson sect. Reynoutria; sono ricomprese: F. japonica (Houtt.) Ronse Decr. [syn. Reynoutria japonica Houtt.], F. sachalinensis (F. Schmidt) Ronse Decraene [syn. Reynoutria sachalinensis (F. Schmidt) Nakai] e F. x bohemica (Chrtek & Chrtková) J.P.Bailey [syn. Reynoutria x bohemica Chrtek & Chrtková] Robinia pseudacacia L. Leguminosae Robinia, Gaggia. Rosa multiflora Thunb. Rosaceae Rosa multiflora potrebbe essere confusa con specie indigene del medesimo genere Senecio inaequidens DC. Asteraceae Senecio sudafricano. Sicyos angulatus L. Cucurbitaceae Sicios angoloso. Solidago canadensis L. Asteraceae Verga d'oro del Canada. Solidago gigantea Aiton Asteraceae Verga d'oro maggiore. Spiraea japonica L. Rosaceae Spirea del Giappone spesso coltivata in cultivar, in modo cautelativo ritenute anch'esse dannose Trachycarpus fortunei (Hooker) H.Wendl. Arecaceae Palma di Fortune. Ulmus pumila L. Ulmaceae Olmo siberiano potrebbe essere confuso con specie indigene del medesimo genere Vitis riparia Michx. Vitaceae Vite americana potrebbe essere confusa con Vitis vinifera L. o con altre specie di origine americana; sono ricompresi anche gli ibridi in cui uno dei parenti è V. riparia 70

74 nome scientifico forma biologica origine scopo d'introduzione accidentale forestale ornamentale agro-alimentare Acer negundo L. albero America settentrionale. x x. Ailanthus altissima (Mill.) Swingle albero Asia.. x. Ambrosia artemisiifolia L. erbacea annuale America settentrionale x... Amelanchier lamarckii F.G.Schroed. albero America settentrionale.. x. Amorpha fruticosa L. arbusto America settentrionale. x.. Artemisia verlotiorum Lamotte erbacea geofita Europa-Asia x... Bambuseae Kunth ex Nees erbacea perenne Asia.. x. Bidens frondosa L. erbacea annuale America settentrionale x... Broussonetia papyrifera (L.) Vent. arbusto Asia. x.. Buddleja davidii Franch. arbusto Asia.. x. Deutzia Thunb. [tutte le specie] arbusto Asia.. x. Elaeagnus pungens Thunb. arbusto Asia.. x. Elodea Michaux [tutte le specie] erbacea idrofita America settentrionale.. x. Erigeron karvinskianus DC. erbacea perenne America settentrionale.. x. Fallopia aubertii (L. Henry) Holub liana Asia.. x. Helianthus tuberosus L. erbacea geofita America settentrionale.. x x Heteranthera Ruiz & Pavon [tutte le specie] erbacea annuale America x... Humulus scandens (Lour.) Merril erbacea annuale Asia x. x. Impatiens glandulifera Royle erbacea annuale Asia.. x. Laurus nobilis L. albero Europa-Africa-Asia.. x x Ligustrum lucidum Aiton albero Asia.. x. Ligustrum ovalifolium Hassk. arbusto Asia. x x. Ligustrum sinense Lour. arbusto Asia. x x. Lonicera japonica Thunb. liana Asia.. x. Ludwigia grandiflora (Michaux) Greuter & Burdet s.l. erbacea idrofita America meridionale.. x. Mahonia aquifolium (Pursh) Nutt. arbusto America settentrionale.. x. Nelumbo nucifera Gaertn. erbacea idrofita Asia.. x. Parthenocissus quinquefolia (L.) Planch. liana America settentrionale.. x. Pinus nigra J.F.Arnold albero Europa. x.. Pinus rigida Mill. albero America settentrionale. x.. Pinus strobus L. albero America settentrionale. x x. Platanus hybrida Brot. albero ibrido. x x. Polygonum polystachyum Wall. erbacea geofita Asia x... Populus canadensis Moench albero ibrido. x.. Prunus laurocerasus L. albero Europa-Asia.. x. Prunus serotina Ehrh. albero America settentrionale. x.. Pueraria lobata (Willd.) Ohwi liana Asia.. x. Quercus rubra L. albero America settentrionale. x x. Reynoutria Houtt. [tutte le specie] erbacea geofita Asia x. x. Robinia pseudacacia L. albero America settentrionale. x x. Rosa multiflora Thunb. arbusto Asia.. x. Senecio inaequidens DC. erbacea perenne Africa x... Sicyos angulatus L. erbacea annuale America settentrionale x... Solidago canadensis L. erbacea geofita America settentrionale.. x. Solidago gigantea Aiton erbacea geofita America settentrionale.. x. Spiraea japonica L. arbusto Asia.. x. Trachycarpus fortunei (Hooker) H.Wendl. albero Asia.. x. Ulmus pumila L. albero Asia. x x. Vitis riparia Michx. liana America settentrionale... x 71

75 comparti ambientali soggetti a impatto nome scientifico biodiversità abiot.ecosistemi paesaggio salute danni econom. impatto invadenza lista Acer negundo L. + x... a a nera Ailanthus altissima (Mill.) Swingle + x x + x a a nera Ambrosia artemisiifolia L x a a nera Amelanchier lamarckii F.G.Schroed. x x x.. m m grigia Amorpha fruticosa L. x x x. x a a nera Artemisia verlotiorum Lamotte... + x a a nera Bambuseae Kunth ex Nees x x x. x a b grigia Bidens frondosa L x a a nera Broussonetia papyrifera (L.) Vent. x. x.. m m grigia Buddleja davidii Franch. +. x.. a a nera Deutzia Thunb. [tutte le specie] x... x m m grigia Elaeagnus pungens Thunb. x x x.. m m grigia Elodea Michaux [tutte le specie] + x.. x a m nera Erigeron karvinskianus DC. x... x m m grigia Fallopia aubertii (L. Henry) Holub x. x. x m m grigia Helianthus tuberosus L x a m nera Heteranthera Ruiz & Pavon [tutte le specie] x x.. x m m grigia Humulus scandens (Lour.) Merril x x. + x a a nera Impatiens glandulifera Royle x x... m m grigia Laurus nobilis L. x x x.. m m grigia Ligustrum lucidum Aiton x x x.. m m grigia Ligustrum ovalifolium Hassk. x x x.. m a grigia Ligustrum sinense Lour. x x x.. m a grigia Lonicera japonica Thunb. x x x. x a a nera Ludwigia grandiflora (Michaux) Greuter & Burdet s.l. + x x.. a m nera Mahonia aquifolium (Pursh) Nutt. x x x.. m m grigia Nelumbo nucifera Gaertn. + x x.. a b nera Parthenocissus quinquefolia (L.) Planch. x. x. x m a grigia Pinus nigra J.F.Arnold + x x.. a m nera Pinus rigida Mill. x x x.. m b grigia Pinus strobus L. x x x.. m m grigia Platanus hybrida Brot.. x x.. m m grigia Polygonum polystachyum Wall. x x... m m grigia Populus canadensis Moench x x... m m grigia Prunus laurocerasus L. x x x.. m m grigia Prunus serotina Ehrh. + x x. x a a nera Pueraria lobata (Willd.) Ohwi x x x. x a m nera Quercus rubra L. + x x.. a m nera Reynoutria Houtt. [tutte le specie] + x x.. a m nera Robinia pseudacacia L. + x x.. a a nera Rosa multiflora Thunb. x. x.. m m grigia Senecio inaequidens DC. x.. x. m m grigia Sicyos angulatus L. + x x. x a a nera Solidago canadensis L. +. x.. a a nera Solidago gigantea Aiton +. x.. a a nera Spiraea japonica L. x. x.. m a grigia Trachycarpus fortunei (Hooker) H.Wendl. x x x.. m m grigia Ulmus pumila L. x... x m m grigia Vitis riparia Michx. x. x. x m a grigia [il simbolo + indica che la specie rappresenta una diretta, concreta e comprovata minaccia per la conservazione di taxa o habitat inclusi in elenchi di protezione (direttiva 92/43/CEE, red list, ecc.) o di particolare interesse naturalistico-scientifico (endemiti, relitti biogeografici o sistematici, ecc.) oppure rappresenta un elevato rischio per la salute umana] 72

76 nome scientifico Acer negundo L. Ailanthus altissima (Mill.) Swingle Ambrosia artemisiifolia L. specie a rapido accrescimento e con elevata capacità di dispersione; determina una riduzione della biodiversità (in particolare nelle fasce boscate igrofile ripariali, taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi in caso colonizzando anche formazioni erbacee), agendo anche mediante una modificazione di ripollonamento); rimozione del novelleto; evitare assolutamente la fruttificazione dei fattori microambientali (lettiera e suolo) taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi in caso specie a rapido accrescimento e con elevata capacità di dispersione; determina una di ripollonamento); se possibile, provvedere ad un ombreggiamento dell'habitat, riduzione della biodiversità (in particolare negli ambienti aridi, ad esempio nei prati tramite la piantagione di specie arboree o alto-arbustive indigene a rapido magri), destabilizza suoli e masse rocciose (nonché i manufatti), altera il paesaggio accrescimento; rimozione del novelleto; evitare assolutamente la fioritura degli naturale e può provocare dermatiti da contatto e in gravi casi miocarditi esemplari femminili specie infestante nei campi coltivati, prati, sentieri, strade, ecc. (più in generale in ambienti disturbati e piuttosto aridi); pianta fortemente allergenica (polline) specie a rapido accrescimento, con dispersione potenziale ancora da verificare; cresce in formazioni boschive, formando strati di vegetazione monospecifici, con Amelanchier lamarckii F.G.Schroed. conseguente alterazione anche delle caratteristiche edafiche e paesaggistiche del sito Amorpha fruticosa L. descrizione degli impatti specie a rapido accrescimento e fortemente pollonante; invade preferibilmente le rive lungo i corsi d'acqua (es. argini) e più in generale le vegetazioni igrofile, anche erbacee (incluse le torbigene); forma popolamenti monospecifici densissimi misure di intervento sfalcio selettivo (da ripetere 2/3 volte prima della fioritura); nel caso applicare diserbo e provvedere al ripristino di una copertura vegetale stabile (es. nei cantieri e nei margini stradali) o provvedere al dissodamento del terreno al momento della fioritura (es. set-at-side); evitare la fruttificazione taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi in caso di ripollonamento), quindi provvedere a sottopiantagione; rimozione del novelleto; evitare assolutamente la fruttificazione taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi), quindi provvedere alla piantagione di arbusti indigeni; pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione; evitare assolutamente la fruttificazione Artemisia verlotiorum Lamotte Bambuseae Kunth ex Nees Bidens frondosa L. Broussonetia papyrifera (L.) Vent. Buddleja davidii Franch. Deutzia Thunb. [tutte le specie] Elaeagnus pungens Thunb. Elodea Michaux [tutte le specie] specie stolonifera, legata ad ambienti marginali o più in generale antropizzati (es. coltivi e margini stradali); pianta allergenica (polline) sfalcio selettivo (da ripetere 2/3 volte prima della fioritura) e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi; se possibile, provvedere immediatamente alla semina con specie indigene o alla piantumazione di arbusti; evitare i movimenti terra (si riproduce vegetativamente per frammentazione dei rizomi) e la fioritura gruppo di specie a dispersione per sola via vegetativa e limitata unicamente al sito di introduzione; formano tuttavia fitti e monospecifici popolamenti, con conseguente taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni con almeno due tagli all'anno e/o coadiuvato impatto sulle caratteristiche edafiche e paesaggistiche; eventualmente provocano dall'impiego di erbicidi); impiego diretto di erbicidi anche danni a manufatti specie legata ad ambienti generalmente umidi e aperti, spesso soggetti a periodico disturbo, sia antropizzati (es. coltivi) che non (es. letto dei corsi d'acqua in asciutta); forma popolamenti fitti e monospecifici specie a rapido accrescimento e fortemente pollonante; è legata a suoli aridi, in particolare se soggetti a moderato disturbo, dove forma popolamenti monospecifici che alterano la biodiversità e il paesaggio specie a rapido accrescimento e a veloce dispersione; è legata a suoli aridi spogli o a copertura rada (es. prati magri); altera inoltre le caratteristiche paesaggistiche specie legate ad ambienti generalmente aridi, in particolare sinantropici, dove si espandono facilmente anche sui manufatti (es. vecchie costruzioni e muri a secco) specie sempreverde a rapido accrescimento con una buona capacità di sopportare la potatura; forma popolamenti densi e monospecifici, che alterano le caratteristiche del sottobosco (lettiera, luce, ecc.) e l'aspetto dei boschi specie che formano popolamenti densi e monospecifici; si propagano per via vegetativa; modificano drasticamente le comunità acquatiche di piante sommerse e alterano le qualità chimico-fisiche dell'acqua, ostacolandone anche il regolare deflusso sfalcio selettivo (da ripetere almeno 2 volte prima della fioritura) o estirpazione diretta delle piante; evitare la fruttificazione; se possibile (es. cantieri) applicare diserbo taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi); se possibile, provvedere ad un ombreggiamento dell'habitat, tramite la piantagione di specie arboree o alto-arbustive indigene a rapido accrescimento; pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione; evitare assolutamente la fruttificazione taglio selettivo (da ripetere per alcuni anni; eventualmente impiegare erbicidi in caso di ripollonamento); se possibile, provvedere ad un ombreggiamento dell'habitat, tramite la piantagione di specie arboree o alto-arbustive indigene a rapido accrescimento; immediata rimozione dei semenzali; evitare assolutamente la fruttificazione taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi in caso di ripollonamento); immediata rimozione dei giovani esemplari; evitare assolutamente la fruttificazione taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi), quindi provvedere alla piantagione di arbusti indigeni; pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione; evitare assolutamente la fruttificazione prosciugamento prolungato del corso d'acqua, dragaggio o applicazione di erbicidi (o combinazione tra queste tecniche); se possibile, provvedere ad un ombreggiamento del corso d'acqua, tramite la piantagione di arbusti e/o alberi sugli argini; evitare assolutamente dispersione di materiale vegetativo (es. installare dei filtri a valle) Erigeron karvinskianus DC. specie legata a substrati litici, si espande facilmente sui manufatti (es. vecchie costruzioni e muri a secco) o pareti rocciose presso gli abitati (da verificare la sua capacità di invadere gli ambienti rupicoli con vegetazione di pregio naturalistico) sfalcio o estirpazione diretta; nel caso di forte infestazione usare erbicidi; evitare la fioritura Fallopia aubertii (L. Henry) Holub Helianthus tuberosus L. Heteranthera Ruiz & Pavon [tutte le specie] Humulus scandens (Lour.) Merril Impatiens glandulifera Royle Laurus nobilis L. Ligustrum lucidum Aiton Ligustrum ovalifolium Hassk. specie di liana a rapidissimo accrescimento; si avvinghia a qualsiasi tipo di sostegno, che ricopre interamente, raggiungendo anche notevoli altezze specie a rapido accrescimento, legata a suoli moderatamente umidi (ma non esclusiva); si rinviene generalmente in ambienti soggetti a disturbo, dove forma popolamenti monospecifici, invadendo spesso anche le colture specie a rapido accrescimento e con una elevata produzione di semi; infesta soprattutto i coltivi (risaie), da qui si diffonde nei corpi d'acqua, invadendone la superficie per invasioni localizzate: taglio ripetuto per alcuni anni (alla base dei fusti nei mesi di giugno e settembre); per invasioni diffuse: taglio e impiego eventuale di erbicidi (solo sulla porzione al suolo); rimuovere accuratamente le parti tagliate; evitare assolutamente la fruttificazione sfalcio selettivo (ripetere per alcuni anni nel mese di luglio ed eventualmente prima della fioritura); impiegare erbicidi solo nel caso di massiccia invasione e comunque solo dopo due anni di sfalcio; evitare movimenti terra raccolta degli esemplari flottanti o sfalcio; in caso di forti infestazioni, prosciugamento prolungato del corso d'acqua, dragaggio o applicazione di erbicidi (o combinazione tra queste tecniche) specie di liana a rapidissimo accrescimento; è generalmente legata ad ambienti sfalcio selettivo; impiego di erbicidi in caso di forte infestazioni; evitare disturbati e aperti, che ricopre interamente; durante il periodo non vegetativo, il assolutamente la fioritura suolo rimane scoperto e può essere soggetto a erosione; pianta allergenica (polline) specie legata ad ambienti umidi e aperti; forma popolamenti monospecifici, che si sfalcio selettivo (da ripetere almeno 2 volte prima della fioritura) o estirpazione accrescono rapidamente; durante il periodo non vegetativo, il suolo rimane scoperto diretta delle piante; evitare la fioritura; se possibile provvedere alla semina con e può essere soggetto a erosione specie indigene specie sempreverde a rapido accrescimento con una buona capacità di sopportare la potatura; forma popolamenti densi e monospecifici, che alterano le caratteristiche del sottobosco (lettiera, luce, ecc.) e l'aspetto dei boschi specie sempreverde a rapido accrescimento; forma popolamenti densi e monospecifici, che alterano le caratteristiche del sottobosco (lettiera, luce, ecc.) e l'aspetto dei boschi specie sempreverde a rapido accrescimento con una buona capacità di sopportare la potatura; forma popolamenti densi e monospecifici, che alterano le caratteristiche del sottobosco (lettiera, luce, ecc.) e l'aspetto dei boschi taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi), quindi provvedere alla piantagione di arbusti indigeni; pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione; evitare assolutamente la fruttificazione taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni, nel caso di forte infestazione coadiuvato dall'impiego di erbicidi sui polloni), quindi provvedere alla piantagione di arbusti indigeni; pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione; evitare assolutamente la fruttificazione taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi), quindi provvedere alla piantagione di arbusti indigeni; pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione; evitare assolutamente la fruttificazione Ligustrum sinense Lour. specie sempreverde a rapido accrescimento con una buona capacità di sopportare taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi), quindi la potatura; forma popolamenti densi e monospecifici, che alterano le caratteristiche provvedere alla piantagione di arbusti indigeni; pronta rimozione delle giovani piante del sottobosco (lettiera, luce, ecc.) e l'aspetto dei boschi in aree di neo-invasione; evitare assolutamente la fruttificazione Lonicera japonica Thunb. specie di liana semi-sempreverde a rapidissimo accrescimento e con una buona capacità di sopportare la potatura; forma popolamenti densi e monospecifici, che ricoprono il sottobosco e talvolta anche gli arbusti e gli alberi; altera inoltre le caratteristiche edafiche del sottobosco e il paesaggio per invasioni localizzate: tagli selettivi (alla base dei fusti nei mesi di maggio e settembre, ripetuti per alcuni anni); per invasioni diffuse: tagli più frequenti e impiego di erbicidi (solo sulla porzione al suolo); rimuovere accuratamente le parti tagliate; evitare assolutamente la fruttificazione 73

77 nome scientifico Ludwigia grandiflora (Michaux) Greuter & Burdet s.l. Mahonia aquifolium (Pursh) Nutt. Nelumbo nucifera Gaertn. Parthenocissus quinquefolia (L.) Planch. Pinus nigra J.F.Arnold Pinus rigida Mill. Pinus strobus L. Platanus hybrida Brot. Polygonum polystachyum Wall. Populus canadensis Moench Prunus laurocerasus L. Prunus serotina Ehrh. Pueraria lobata (Willd.) Ohwi Quercus rubra L. Reynoutria Houtt. [tutte le specie] Robinia pseudacacia L. Rosa multiflora Thunb. Senecio inaequidens DC. Sicyos angulatus L. descrizione degli impatti specie legate ai corpi d'acqua lentici; formano colonie che ricoprono sfalcio e dragaggio; nel caso di situazioni fortemente compromesse, impiego di omogeneamente la superficie, formando una fascia di vegetazione perilacustre; erbicidi; evitare assolutamente la dispersione di materiale vegetativo durante le possono crescere anche sulle rive fangose; modificano la qualità chimico-fisica delle operazioni di rimozione (es. installare dei filtri sull'emissario) acque specie sempreverde a moderato accrescimento, con una buona capacità di sopportare la potatura; forma popolamenti densi e monospecifici, che alterano le caratteristiche del sottobosco (lettiera, luce, ecc.) e l'aspetto dei boschi specie legata ai corpi d'acqua lentici; forma colonie che ricoprono omogeneamente la superficie, formando una fascia di vegetazione perilacustre; modifica la qualità chimico-fisica delle acque specie di liana a rapidissimo accrescimento; si avvinghia a qualsiasi tipo di sostegno, che ricopre interamente, raggiungendo anche notevoli altezze taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi), quindi provvedere alla piantagione di arbusti indigeni; pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione; evitare assolutamente la fruttificazione sfalcio o nel caso di situazioni fortemente compromesse, impiego di erbicidi; evitare assolutamente la dispersione di materiale vegetativo nel caso di dragaggi per invasioni localizzate: taglio ripetuto per alcuni anni (alla base dei fusti nei mesi di luglio e settembre); per invasioni diffuse: taglio e impiego eventuale di erbicidi (solo sulla porzione al suolo); rimuovere accuratamente le parti tagliate; evitare assolutamente la fruttificazione specie invasiva in ambienti aridi (es. prati magri); la lettiera modifica le caratteristiche edafiche; altera il paesaggio taglio selettivo; asportazione del novelleto; evitare fruttificazione specie invasiva in ambienti aperti (es. molinieti); la lettiera modifica le caratteristiche taglio selettivo, ripetuto almeno due volte l'anno sul ripollonamento; asportazione del edafiche; altera il paesaggio novelleto; evitare fruttificazione specie invasiva in ambienti boschivi; la lettiera modifica le caratteristiche edafiche; altera il paesaggio taglio selettivo; asportazione del novelleto; evitare fruttificazione specie a rapido accrescimento, con moderata capacità di dispersione; cresce su suoli con una buona disponibilità idrica, ma non è esclusivo; altera le caratteristiche edafiche (abbondante e persistente lettiera) e paesaggistiche del sito specie a rapido accrescimento, con dispersione potenziale ancora da verificare; forma popolamenti monospecifici, con conseguente alterazione anche delle caratteristiche edafiche del sito specie a rapido accrescimento, determina una riduzione della biodiversità indigena (ibridazione con P. nigra); colonizza suoli poco evoluti taglio selettivo; se necessario, impiego di erbicidi sui polloni; evitare fruttificazione sfalcio selettivo (ripetere per alcuni anni); impiegare erbicidi solo nel caso di massiccia invasione e comunque solo dopo lo sfalcio; evitare movimenti terra e fruttificazione taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi in caso di ripollonamento); rimozione del novelleto; evitare la fioritura specie sempreverde a rapido accrescimento con una buona capacità di sopportare taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi), quindi la potatura; forma popolamenti densi e monospecifici, che alterano le caratteristiche provvedere alla piantagione di arbusti indigeni; pronta rimozione delle giovani piante del sottobosco (lettiera, luce, ecc.) e l'aspetto dei boschi in aree di neo-invasione; evitare assolutamente la fruttificazione specie a rapido accrescimento e con elevata capacità di dispersione; determina una riduzione della biodiversità (invade anche comunità non boschive), destabilizza i suoli (produzione di abbondante lettiera), altera il paesaggio naturale e determina una perdita di valore economico dei boschi specie di liana a rapidissimo accrescimento; ricopre completamente e uniformemente il terreno e qualsiasi tipo di sostegno, raggiungendo anche considerevoli altezze; altera drasticamente il paesaggio; provocando danni ai manufatti; altera le proprietà chimiche del suolo (pianta azotofissatrice) taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi in caso di ripollonamento); se possibile, provvedere ad una immediata piantagione di specie arboree o alto-arbustive indigene a rapido accrescimento; rimozione del novelleto; evitare assolutamente la fruttificazione taglio (almeno 3-4 volte all'anno e ripetuto per alcuni anni) e/o impiego diretto di erbicidi (solo sulla porzione al suolo); rimuovere accuratamente le parti tagliate specie a rapido accrescimento e con moderata capacità di dispersione; determina una riduzione della biodiversità indigena (in particolare nelle formazioni boscate e taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi in caso nelle brughiere), modifica le caratteristiche edafiche (abbondante lettiera lentamente di ripollonamento); rimozione del novelleto; evitare assolutamente la fruttificazione decomponibile) e altera il paesaggio naturale specie a rapido accrescimento e riproduzione pressoché vegetativa (ma discreta capacità di invadere l'ambiente); invade formazioni aperte (talvolta soggette a moderato disturbo) anche in ambiente naturale (es. greti e rive dei corsi d'acqua), aumentandone il rischio di erosione durante il periodo non vegetativo; inoltre, altera il paesaggio specie a rapidissimo accrescimento, in grado di invadere un ampia gamma di ambienti; altera drasticamente il paesaggio e le proprietà chimiche del suolo (pianta azotofissatrice) specie a rapido accrescimento con una buona capacità di sopportare la potatura; forma popolamenti densi e monospecifici, che alterano l'aspetto dei boschi specie con discreta capacità di dispersione, predilige ambienti aperti e soggetti a disturbo; è pianta tossica per il bestiame specie a rapidissimo accrescimento e fortemente invasiva; predilige habitat presso le rive dei corpi d'acqua, aumentandone il rischio di erosione durante il periodo non vegetativo; inoltre, altera il paesaggio e invade facilmente boschi e coltivi misure di intervento per invasioni localizzate: taglio (alla base dei fusti nei mesi di giugno e settembre, ripetuto per alcuni anni); per invasioni diffuse: tagli più frequenti e impiego di erbicidi; rimuovere accuratamente le parti tagliate taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi in caso di ripollonamento), se possibile seguito dalla piantagione di arbusti o alberi indigeni; immediata rimozione del novelleto; evitare assolutamente la fruttificazione; se possibile, seguire la naturale dinamica dei popolamenti (invecchiamento in piedi) taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi), quindi provvedere alla piantagione di arbusti indigeni; pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione; evitare assolutamente la fruttificazione sfalcio selettivo (ripetere almeno 2-3 volte all'anno) o estirpazione delle piante; impiego di erbicidi solo in ambienti non naturali; se possibile, provvedere alla semina di specie indigene o all'ombreggiamento tramite piantagione di arbusti; evitare la fioritura sfalcio selettivo (ripetere almeno 3-4 volte all'anno) o impiego diretto di erbicidi (solo al suolo); se possibile, provvedere all'immediata semina di specie indigene o all'ombreggiamento tramite piantagione di arbusti; evitare la fioritura Solidago canadensis L. specie legata in genere ad ambienti moderatamente disturbati; forma popolamenti monospecifici che si accrescono rapidamente; altera il paesaggio sfalcio selettivo (da ripetere 2/3 volte prima della fioritura) e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi; se possibile, provvedere immediatamente alla semina con specie indigene o alla piantumazione di arbusti; evitare i movimenti terra e la fioritura Solidago gigantea Aiton Spiraea japonica L. Trachycarpus fortunei (Hooker) H.Wendl. Ulmus pumila L. Vitis riparia Michx. specie legate in genere ad ambienti moderatamente disturbati, cresce tuttavia anche sfalcio selettivo (da ripetere 2/3 volte prima della fioritura) e/o coadiuvato nelle formazioni palustri e torbigene; forma popolamenti monospecifici che si dall'impiego di erbicidi; se possibile, provvedere immediatamente alla semina con accrescono rapidamente e alterano il paesaggio specie indigene o alla piantumazione di arbusti; evitare i movimenti terra e la fioritura specie a rapido accrescimento e con elevata capacità di dispersione; è legata ad ambienti solo parzialmente ombreggiati e soggetti a moderato disturbo; forma popolamenti monospecifici che alterano la biodiversità e il paesaggio specie sempreverde a rapido accrescimento; può formare popolamenti densi e monospecifici, che alterano le caratteristiche del sottobosco (lettiera, luce, ecc.) e l'aspetto dei boschi specie a rapido accrescimento e con discreta capacità di invadere l'ambiente; si può ibridare con gli olmi indigeni e può determinare una perdita di valore economico del bosco specie di liana a rapidissimo accrescimento; si avvinghia a qualsiasi tipo di sostegno, che ricopre interamente, raggiungendo anche notevoli altezze taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi); se possibile, provvedere ad un denso ombreggiamento dell'habitat, tramite la piantagione di specie arboree o alto-arbustive indigene a rapido accrescimento; pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione; evitare assolutamente la fruttificazione taglio selettivo; pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione; evitare assolutamente la fruttificazione taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall'impiego di erbicidi in caso di ripollonamento); rimozione del novelleto; evitare la fioritura per invasioni localizzate: taglio ripetuto per alcuni anni (alla base dei fusti nei mesi di luglio e settembre); per invasioni diffuse: taglio e impiego eventuale di erbicidi (solo sulla porzione al suolo); rimuovere accuratamente le parti tagliate; evitare assolutamente la fruttificazione 74

78 GESTIONE DELLE PIANTE AUTOCTONE Reintroduzione di specie vegetali La recente l.r. 31 marzo 2008, n.10, in particolare con l art. 10 disciplina la reintroduzione di specie vegetali. In base all art. 2, comma 1, punto f) della suddetta legge, si intende per reintroduzione esclusivamente specifiche azioni, attuate sotto rigoroso controllo tecnicoscientifico, il cui unico scopo è favorire la ricolonizzazione di un determinato territorio da parte di una specie di cui si sia ragionevolmente certi della locale estinzione, sia possibile documentarne la presenza storica nell'area considerata, siano state rimosse le condizioni sfavorevoli che ne hanno portato all'estinzione locale, esistano allo stato libero o in cattività popolazioni geneticamente compatibili in grado di fornire dei fondatori per la ricostituzione della popolazione senza depauperare la popolazione donatrice. Pur non essendo sinora state emanate delle linee guida a livello regionale, come previsto dal comma 7, dell art. 10 della suddetta legge, nell ambito della Società Botanica Italiana si è intrapresa la stesura di documenti finalizzati a questo scopo. Si riporta dunque uno di questi elaborati, ai fini di indirizzare la reintroduzione di specie vegetali. Documenti aggiuntivi sono disponibili nei seguenti siti: FONTE: ROSSI G., DOMINIONE V. & RINALDI G., LINEE GUIDA PER GLI INTERVENTI DI REINTRODUZIONE DI SPECIE VEGETALI RARE ED IN PERICOLO DI ESTINZIONE. IN: RINALDI G. & ROSSI G. (EDS.), ORTI BOTANICI, REINTRODUZIONE E CONSERVAZIONE DELLA FLORA SPONTANEA IN LOMBARDIA. QUADERNI DELLA BIODIVERSITÀ 2, P SCUOLA REGIONALE DI INGEGNERIA NATURALISTICA, CENTRO REGIONALE PER LA FLORA AUTOCTONA. REGIONE LOMBARDIA, PARCO DEL MONTE BARRO. 75

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86 GESTIONE NEGLI HABITAT ARTIFICIALI Codice di buona pratica agricola FONTE: D.M. 19 APRILE APPROVAZIONE DEL CODICE DI BUONA PRATICA AGRICOLA. PUBBLICATO NELLA GAZZ. UFF. 4 MAGGIO 1999, N. 102, S.O. La Direttiva CEE 91/676, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, stabilisce che gli Stati membri elaborino uno o più codici di buona pratica agricola (CBPA) da applicarsi a discrezione degli agricoltori. La motivazione di fondo del CBPA, nonché delle altre prescrizioni della Direttiva richiamata, concerne la tutela della salute umana, delle risorse viventi e degli ecosistemi acquatici, nonché la salvaguardia di altri usi legittimi dell'acqua. Il presente documento è un CBPA che prende in considerazione esclusivamente i problemi dell'azoto in ottemperanza alla Direttiva comunitaria. Il CBPA potrà costituire la base per l'elaborazione di codici mirati ad esigenze regionali o locali a discrezione delle competenti Amministrazioni, potrà inoltre rappresentare la base anche per l'elaborazione di altri CBPA riguardanti i problemi più diversi, come per esempio il fosforo, i prodotti organici di sintesi o le pratiche irrigue, dato che è stato formulato con un'articolazione flessibile che ne consente un più facile adeguamento ad esigenze future di varia natura. Nel CBPA, in modo complementare rispetto allo spirito della Direttiva comunitaria, si è voluto tener conto specificatamente anche del ruolo positivo che l'agricoltura può svolgere nei confronti di altre fonti di inquinamento di natura extra-agricola. Per concludere, mentre, come sopra affermato, il CBPA è applicabile a discrezione degli agricoltori, si deve far presente che le attività agricole attuate nelle aree riconosciute come vulnerabili saranno oggetto di misure restrittive obbligatorie nell'ambito di programmi di azione definiti dalle competenti autorità. Infine le pratiche più incisive definite in questo CBPA, la cui adozione risultasse particolarmente onerosa da parte degli agricoltori, potranno essere opportunamente incentivate attraverso una applicazione mirata della opportunità offerta dai Programmi Agro-ambientali predisposti dalle Regioni in attuazione del Regolamento CEE N. 2078/92. Obiettivi del codice. Obiettivo principale del presente CBPA è quello di contribuire anche a livello generale a realizzare la maggior protezione di tutte le acque dall'inquinamento da nitrati riducendo l'impatto ambientale dell'attività agricola attraverso una più attenta gestione del bilancio dell'azoto. L'applicazione del CBPA può inoltre contribuire a: - realizzare modelli di agricoltura economicamente e ambientalmente sostenibili; - proteggere indirettamente l'ambiente dalle fonti di azoto combinato anche di origine extraagricola. Il CBPA si basa su criteri di flessibilità sia nel tempo che nello spazio per tener conto di: - variabilità delle condizioni agro-pedologiche e climatiche italiane; - nuove conoscenze nel comparto ambientale; - miglioramenti nel settore genetico; - miglioramento nelle tecniche colturali; - nuovi prodotti per la fertilizzazione e la difesa delle piante; - miglioramenti nel trattamento degli effluenti zootecnici e delle biomasse di diversa provenienza convenientemente utilizzabili;- cambiamenti di indirizzo del mercato dei prodotti agricoli; - nuove tecniche di allevamento e di nutrizione animale. Il CBPA deve ottimizzare la gestione dell'azoto nel sistema suolo/pianta (esistente, entrante, uscente) in presenza di colture agricole che si succedono e alle quali occorre assicurare un livello produttivo e nutrizionale economicamente ed ambientalmente sostenibile al fine di minimizzare le possibili perdite con le acque di ruscellamento e di drenaggio superficiale e profondo. 83

87 Introduzione. Per ottenere un rapporto corretto fra agricoltura, fertilizzanti azotati e ambiente è essenziale avere una conoscenza approfondita del contesto agronomico nel quale i fertilizzanti vengono impiegati. L'impatto di un particolare tipo e di una certa quantità di prodotto impiegato dipende da una serie complessa di parametri ambientali e antropogenici che favoriscono od ostacolano la mobilizzazione delle diverse sostanze organiche ed inorganiche dalla superficie verso l'atmosfera per volatilizzazione e, più spesso, per infiltrazione verso gli strati più profondi del suolo. Di fatto per valutare i rischi di possibile contaminazione delle acque superficiali o profonde occorre stabilire preliminarmente quali siano i parametri climatici generali. Successivamente bisognerà impostare la fertilizzazione azotata su semplici bilanci tra quanto azoto ogni coltura deve assorbire per far fronte, senza insufficienze e senza eccessi, al suo fabbisogno fisiologico, e quanto azoto il terreno mette a disposizione di ogni coltura; se la fornitura naturale di azoto, come quasi sempre accade, è inadeguata ai fabbisogni colturali, la fertilizzazione deve colmare le insufficienze in modo da renderne massima l'utilizzazione da parte delle colture e, contemporaneamente, minima la dispersione per dilavamento. Per ogni coltura sono disponibili dati analitici che indicano le quantità di azoto assorbito ed il ritmo del suo assorbimento. Per ogni terreno è possibile stimare l'«offerta» di azoto che esso è in grado di fornire prontamente e il ritmo stagionale di questa. L'entità della fornitura di azoto è in funzione delle scorte di questo elemento presenti nel terreno, oltre che degli eventuali dilavamenti. Il ritmo è a sua volta dipendente dalle condizioni, stagionalmente variabili, di temperatura e di umidità, e dalle condizioni di aerazione del terreno, funzione della tessitura, della struttura, ecc. Applicazione dei fertilizzanti. Periodi non opportuni per l'applicazione dei fertilizzanti. - Colture a ciclo molto lungo, autunno-primaverile (tipicamente frumento e cereali affini, colza, erbai di graminacee): va evitata categoricamente la concimazione azotata alla semina; questa va effettuata in copertura in corrispondenza dei momenti di forte fabbisogno: segnatamente durante la fase di differenziazione delle infiorescenze e poco prima della ripresa vegetativa primaverile («levata»). - Colture perenni (prati, pascoli, arboreti, ortensi perenni): gli apporti azotati devono precedere di poco la ripresa vegetativa primaverile che segna l'inizio del periodo di forte assorbimento. - Colture a semina primaverile (barbabietola, girasole, mais, sorgo, pomodoro, peperone, melone, anguria, ecc.): la concimazione azotata alla semina è accettabile per il non lunghissimo lasso di tempo che intercorre tra il momento della concimazione e quello dell'assorbimento purché una limitata piovosità in questo periodo renda il dilavamento poco probabile. Qualora la piovosità media del periodo primaverile sia invece elevata occorre prevedere il frazionamento dei quantitativi oppure l'utilizzazione di fertilizzanti a lenta cessione e l'additivazione di inibitori della nitrificazione. Sono comunque da incoraggiare quelle tecniche con le quali la concimazione azotata viene effettuata con poco anticipo rispetto ai momenti di forte fabbisogno (concimazione in copertura, fertirrigazione). - Colture a ciclo breve (ortensi): nel caso di colture a ciclo breve, come la maggior parte delle ortensi da foglia, da frutto o da radice (insalate, cavoli, zucchine, ravanelli, ecc.) il momento di esecuzione della concimazione passa in secondo piano, come misura di contenimento delle perdite per dilavamento dei nitrati, rispetto al rischio, ben maggiore, di un irrazionale eccesso di concimazione azotata molto ricorrente in questo tipo di colture. Nel caso si utilizzino effluenti zootecnici occorre preventivamente pianificarne la distribuzione in funzione del fabbisogno fisiologico della coltura e delle epoche idonee e non in funzione delle esigenze dei contenitori di stoccaggio; è consigliata l'applicazione a terreni agrari tra la fine dell'inverno e l'inizio dell'estate. È praticabile l'applicazione al terreno degli effluenti ad inizio estate o in autunno dopo il raccolto solo se si prevede una coltura che possa utilizzare l'azoto nel periodo invernale (cereali autunno-vernini, colture intercalari, cover crops, ecc.). È consigliabile comunque prevedere l'applicazione al suolo degli effluenti zootecnici quando maggiore è l'efficienza dell'azoto in relazione alla coltura. Nel caso di somministrazioni elevate 84

88 occorre frazionare la somministrazione in più dosi. Concimi Minerali. Per l'applicazione dei concimi (minerali, organici, organo-minerali) le macchine impiegabili si differenziano in funzione dello stato fisico dei concimi da distribuire. Per i concimi solidi è di notevole importanza per la regolarità del dosaggio la forma fisica, polvere o granuli e per questi ultimi la omogeneità granulometrica e la conformazione dei granuli. Minore è la difformità granulometrica e più tondeggiante la forma dei granuli, minori inconvenienti si hanno nella regolarità dei sistemi di dosaggio. Per l'applicazione di concimi solidi su tutta la superficie del terreno le macchine esistenti sul mercato sono dei seguenti tipi: - spandiconcime per reazione centrifuga a dischi (uno o più) o a tubo oscillante; - spandiconcime per gravità o distribuzione lineare; - spandiconcime con distribuzione a trasporto pneumatico. Dato il costo e la semplicità costruttiva, gli spandiconcime attualmente più diffusi in Italia sono quelli centrifughi. La regolarità di distribuzione, in tali macchine, è influenzata dalla omogeneità della granulometria del prodotto, dal suo diametro medio e dalle caratteristiche del terreno. L'accidentalità e la zollosità del terreno, determinando fenomeni di ondeggiamento, influiscono sulla dinamica di lancio del granulo e quindi sulla larghezza di lavoro con conseguenti sovraddosaggi e dispersioni di concime; pertanto è consigliabile ridurre la zollosità del terreno prima dell'intervento di concimazione. La presenza di vento e la sua direzione incidono sulla distribuzione specie in caso di concimi polverulenti. Gli spandiconcime pneumatici sono quelli che assicurano la massima regolarità di distribuzione. L'interramento del concime distribuito su tutta la superficie avviene generalmente attraverso le lavorazioni del terreno. Per quanto riguarda i concimi azotati l'interramento non è consigliabile salvo che per concimi ammoniacali od ureici in caso di terreni a reazione alcalina. In tali casi l'interramento del concime evita le possibili perdite gassose di ammoniaca. La distribuzione localizzata in superficie si realizza seguendo due tecniche principali: la localizzazione in banda e la localizzazione in linea. La prima consiste nell'applicare il concime in bande di larghezza variabile. Essa è generalmente usata nelle colture arboree. Tale tipo di distribuzione può essere realizzata anche modificando opportunamente i normali spandiconcime centrifughi. La seconda consiste nel collocare il concime in una striscia della larghezza di alcuni centimetri tra le file delle piante. Tale tecnica è particolarmente seguita nella concimazione azotata di copertura del mais. La macchina più idonea, per garantire una uniformità di distribuzione, è lo spandiconcime a distribuzione pneumatica. L'interramento del concime con la tecnica della concimazione localizzata viene normalmente ottenuto impiegando spandiconcimi sussidiari alle attrezzature per la semina o per la sarchiatura. Principio fondamentale di questa tecnica è quello di fornire in loco e quindi con alto gradiente di concentrazione, gli elementi nutritivi necessari. Tale tecnica consente un risparmio di unità fertilizzante e la riduzione dei rischi di perdite per lisciviazione. Nella localizzazione alla semina è opportuno utilizzare concime a basso indice di salinità al fine di evitare danni al seme specie se la localizzazione del concime avviene troppo vicino al seme stesso. Per i concimi liquidi le tecniche di applicazione sono fondamentalmente le stesse. I sistemi di applicazione differiscono in questo caso in funzione dello stato fisico del concime liquido e cioè del fatto che si impieghi una soluzione o una sospensione. In ogni caso le macchine utilizzate devono assicurare una buona uniformità di distribuzione sul terreno e una ridotta polverizzazione del liquido. In linea generale è consigliabile l'impiego di macchine dotate di un sistema di regolazione con distribuzione proporzionale alla velocità di avanzamento, in grado di operare con pressioni di esercizio limitate e con elevata portata. La distribuzione dei concimi liquidi in linea di principio avviene con macchine simili alle irroratrici a barra utilizzate per i trattamenti fitosanitari. Nel caso di concimazioni di copertura è opportuno utilizzare ugelli a più getti rettilinei al fine di limitare al massimo la polverizzazione del liquido e favorirne il gocciolamento a terra. Nel caso delle sospensioni, impiegate principalmente per le concimazioni di fondo, le macchine utilizzate devono presentare particolari accorgimenti quali pompe di tipo centrifugo, sistemi di filtrazione, sistemi di agitazione della massa del concime, tubazioni di grande diametro, sistemi di riciclo per evitare fenomeni di deposito. Per la distribuzione delle sospensioni è consigliabile 85

89 utilizzare ugelli a specchio con elevato angolo di distribuzione e portate sostenute. Particolare precauzione va posta per il recupero delle acque di lavaggio della macchina a fine giornata di lavoro evitandone lo scarico diretto nei fossi di scolo o nelle acque superficiali. Per la distribuzione localizzata in superficie, da impiegarsi su colture sarchiate, si utilizzano le stesse macchine con gocciolatori sistemati a livello dell'interfilare della coltura in modo da consentire il gocciolamento della soluzione o della sospensione a opportuna distanza dalle piante. Per la distribuzione localizzata con interramento si utilizzano macchine abbinate alle seminatrici. Esse sono costituite, oltre che dal serbatoio, da una pompa volumetrica e da una serie di assolcatori per la localizzazione della soluzione o sospensione in prossimità della linea di semina. Accanto alle predette modalità tradizionali di distribuzione dei concimi esistono ulteriori tecniche tra le quali la fertirrigazione. Per fertirrigazione si intende la distribuzione di concimi con l'acqua di irrigazione. Il sistema della fertirrigazione presenta vantaggi e svantaggi. I principali vantaggi sono: - poca manodopera per le operazioni di applicazione del concime; - non calpestamento del terreno con le macchine; - facilità di esatto frazionamento della concimazione azotata; - possibilità di intervento anche in momenti in cui il terreno non è praticabile per la presenza della coltura. Gli aspetti negativi principali sono collegati a: - limitazione alle sole coltivazioni irrigue; - necessità di un impianto di irrigazione più perfezionato e costoso; - interventi di irrigazione non strettamente necessari ma effettuati a sola funzione concimante; - perdite per dilavamento e volatilizzazione. Tra le concimazioni gassose l'unica che ha avuto una qualche diffusione in Italia è quella dell'ammoniaca anidra che deve essere applicata al terreno ad una profondità compresa fra 15 e 20 cm in funzione delle caratteristiche del suolo (tessitura e umidità). L'ammoniaca passa dalla fase liquida a quella gassosa all'uscita dei tubi adduttori e viene successivamente fissata dal terreno. Se il terreno non si trova nelle condizioni ottimali, e risulta o troppo secco o troppo umido, i solchi scavati dai denti iniettori rimangono parzialmente aperti con conseguenti possibili perdite di ammoniaca gassosa. Analoghe perdite si possono verificare quando il conduttore della macchina solleva i denti iniettori (es. a fine campo) o nelle curve. Per la necessità di iniezione dell'ammoniaca nel terreno la capacità di lavoro di queste macchine è relativamente contenuta. Effluenti Zootecnici. Al fine di evitare o comunque ridurre gli inconvenienti sopra considerati è opportuno, ove possibile, introdurre tecniche innovative di distribuzione quali: a) la separazione delle fasi di trasporto e di spandimento dei liquami; b) l'interramento mediante dispositivi iniettori; c) la distribuzione in superficie con dispositivi a bassa pressione. A) Separazione delle fasi di trasporto e di spandimento dei liquami: La separazione delle fasi di trasporto e di distribuzione limita sostanzialmente il compattamento del suolo e permette l'intervento su terreno lavorato, in prossimità della semina e con colture in atto, cioè in periodi nei quali la somministrazione dei liquami consegue le più elevate efficienze produttive. Inoltre, l'adozione di soluzioni tecniche diverse per le due fasi di trasporto e spandimento può portare a riduzioni consistenti dei costi di gestione. Al fine di ridurre gli oneri, il trasporto può essere effettuato su ruote, utilizzando macchine operatrici di elevata capacità o, in alternativa, mediante tubazione. Per quanto riguarda il trasporto su ruote possono essere impiegate cisterne a pressione atmosferica di capacità complessiva fino a 35 m 3 che possono essere utilizzate per alimentare stoccaggi opportunamente collocati sui terreni aziendali. Nel trasporto in condotta, l'adozione di linee di adduzione di piccolo diametro alimentate in pressione consente di ridurre sostanzialmente i costi di investimento. Nella fase di distribuzione il ricorso a tubazioni avvolgibili che alimentano dispositivi per lo spandimento superficiale o per l'interramento riduce sostanzialmente il compattamento del suolo in fase di spandimento. L'adozione di tale sistema risulta particolarmente opportuna negli 86

90 interventi primaverili, nel corso delle operazioni di preparazione delle semine o con colture in atto. Esso consente inoltre una notevole riduzione della potenza richiesta in fase di distribuzione: nel caso in cui si effettui l'interramento diretto del liquame è possibile, ad esempio, limitare le forze di trazione a quelle necessarie alla movimentazione degli iniettori. Una alternativa alle tubazioni avvolgibili per le somministrazioni su terreno nudo e su prato è il cosiddetto sistema ombelicale, nel quale il collegamento tra lo stoccaggio e il dispositivo distributore avviene mediante una tubazione flessibile e resistente all'abrasione. B) Interramento: L'adozione di dispositivi iniettori che incorporano i liquami al terreno all'atto della distribuzione consente di limitare sostanzialmente le emissioni di odori e di ammoniaca che si verificano nel corso dello spandimento dei liquami. Risultati delle ormai numerose determinazioni effettuate hanno infatti evidenziato che, per questa via, le perdite di azoto ammoniacale si riducono a percentuali comprese, nella maggior parte dei casi, entro il 5% del totale apportato. Mediante l'interramento si conseguono altri risultati quali: - assenza di formazione di aerosol durante la distribuzione; - eliminazione dello scorrimento superficiale; - eliminazione della possibilità di contaminazione dei foraggi per le applicazioni su prato. I dispositivi per l'interramento dei liquami possono essere installati su un serbatoio, o in alternativa, essere alimentati da tubazioni avvolgibili e trainati da trattore. Per l'apertura del solco vengono utilizzati dischi, zappette, assolcatori ad ancora, posteriormente ai quali pervengono tubi di adduzione dei liquami. I dispositivi di interramento devono avere caratteristiche diverse a seconda che vengano utilizzati su terreno arativo o su prato. I principali limiti dell'interramento diretto dei liquami rispetto alla distribuzione superficiale sono l'elevata potenza richiesta e la ridotta capacità di lavoro, che determinano incrementi dei costi di spandimento compresi tra il 50% e il 100%. Se è vero che l'interramento comporta maggiori oneri rispetto alla distribuzione superficiale, per contro, riducendo le perdite di ammoniaca, permette migliori risultati produttivi rispetto a quest'ultima. Una soluzione alternativa all'interramento è rappresentata dalla lavorazione del terreno eseguita entro 3-5 ore dallo spandimento. C) Distribuzione in superficie con dispositivi a bassa pressione: La distribuzione con dispositivi a bassa pressione (2-3 atmosfere) consente di evitare la polverizzazione spinta del getto, riducendo i problemi di diffusione di odori, perdite di ammoniaca e formazione di aerosol, migliorando nel contempo la omogeneità di distribuzione. Tali problemi infatti risultano assai contenuti adottando ali distributrici a bassa pressione, disponibili per l'installazione su serbatoio o su tubazione avvolgibile. La distribuzione avviene sia attraverso ugelli dotati di piatto deviatore rompigetto sia mediante ugelli dotati di tubazioni mobili che depositano i liquami al livello del suolo. Quest'ultima soluzione è adatta solo allo spandimento di liquami chiarificati, in quanto la numerosità degli ugelli e il loro piccolo diametro comportano possibilità di intasamenti con materiali ad elevato contenuto di sostanza secca. Una variante del dispositivo in grado di assicurare una distribuzione omogenea e non «in file» è rappresentata dalla presenza di un deflettore, all'uscita delle tubazioni flessibili, che provvede a laminare il prodotto. D) Distribuzione con tecniche convenzionali: Qualora si adottino invece tecniche convenzionali di spandimento mediante serbatoio, ad esempio negli interventi post-raccolta sulle colture annuali e per le somministrazioni su prato, è opportuno far ricorso ad alcuni accorgimenti per ridurre i danni di compattamento del terreno ed in particolare: - attenzione alle condizioni di umidità del terreno; - adozione di mezzi di capacità contenuta al fine di limitare il peso delle macchine operatrici a non più di 10 t a pieno carico e a pesi per assale non superiori alle 5-6 t; - adozione di pneumatici larghi e a bassa pressione; - adottare la maggiore ampiezza possibile di lavoro, in modo da limitare il numero dei passaggi e quindi la superficie sottoposta a calpestamento, anche se ciò potrà andare a scapito della omogeneità di distribuzione. Qualora non sussistano rischi di compattamento si potrà perseguire l'obiettivo della buona omogeneità di distribuzione evitando il ricorso al getto irrigatore e operando con ampiezza di lavoro del piatto deviatore inferiore a quella massima tecnicamente consentita. È inoltre necessario adottare accorgimenti per meglio regolare la dose applicata; in assenza di 87

91 dispositivi specifici per questa funzione è possibile conseguire buoni risultati variando la velocità di avanzamento del mezzo. Casi particolari. Applicazione di fertilizzanti al terreno saturo d'acqua, inondato, gelato o innevato. La distribuzione di fertilizzante azotato in terreni saturi d'acqua in inverno sarebbe di scarsa utilità in quanto una parte rilevante ne verrebbe perduta per denitrificazione. Nell'eventualità di eccesso idrico durante il ciclo vegetativo delle colture è opportuno effettuare la fertilizzazione non appena lo stato idrologico del terreno sarà ritornato normale. In condizioni di terreno gelato per tutte le 24 ore del giorno, oppure coperto di neve, la fertilizzazione è da evitare. Tuttavia sul terreno che rimane gelato soltanto nelle ore più fredde della giornata, la fertilizzazione con dosi molto basse di concimi azotati o di liquami (non troppo densi) può essere effettuata per i cereali vernini. Applicazione di fertilizzanti ai terreni adiacenti ai corsi d'acqua. Le buone pratiche agricole da adottare nell'ambito di una corretta applicazione di fertilizzanti su terreni contigui ai corsi d'acqua interferiscono con i seguenti meccanismi: - riduzione della disponibilità di sostanze nutrienti in soluzione e adsorbite sulle particelle di terreno; - creazione di fasce di interposizione che rallentino il flusso verso il recapito delle acque di scolo superficiali e sottosuperficiali; - riduzione della velocità del deflusso idrico superficiale attraverso l'aumento della scabrezza del terreno e della capacità di invaso superficiale, nonché diminuzione della pendenza superficiale. Per le modalità di somministrazione dei fertilizzanti occorre attenersi ai criteri enunciati in precedenza (vedi Applicazione dei fertilizzanti), tenendo comunque presente che in tali terreni il rischio è più accentuato. Di conseguenza le applicazioni dovranno essere possibilmente frazionate mentre si dovrà evitare la somministrazione di concimi in corrispondenza dei periodi piovosi. Particolarmente utile per tali appezzamenti, ai fini del contenimento dei processi di dilavamento, è l'effettuazione di colture di copertura durante il periodo invernale (vedi Gestione dell'uso del terreno) o la conservazione dei residui vegetali sulla superficie del terreno stesso. In particolare si dovrà prevedere il mantenimento di una fascia perennemente inerbita sottoposta periodicamente a sfalcio - lungo il corso d'acqua per una larghezza tanto maggiore quanto minore è la pendenza delle sponde; su tali fasce di rispetto, che corrispondono alle superfici più frequentemente soggette ad esondazione, dovrà essere evitata la somministrazione di liquami e di concimi minerali. Le pratiche di concimazione dovranno altresì favorire l'apporto di sostanza organica e quindi la formazione di humus stabile, allo scopo di migliorare la struttura del terreno con conseguente minore compattazione e più ridotto grado di ruscellamento. Accanto alle pratiche colturali più direttamente connesse alla fase di somministrazione dei fertilizzanti rivestono grande importanza, ai fini della limitazione dei rischi di dilavamento negli appezzamenti contigui ai corsi d'acqua, le sistemazioni idraulico-agrarie e la presenza o meno di siepi campestri. In tal senso sono da favorire sistemazioni di piano che prevedano ridotta baulatura e falde di lunghezza contenuta, compatibilmente con le necessità di allontanamento delle acque in eccesso; infine, la conservazione o l'introduzione, laddove possibile, di siepi campestri lungo i corsi d'acqua è una pratica da favorire per proteggere le rive dall'erosione e per aumentare l'effetto di interposizione al flusso di elementi nutritivi verso la rete scolante. Avvicendamenti. È consigliabile evitare monosuccessioni o successioni di colture primaverili-estive che lasciano il terreno privo di copertura vegetale dall'autunno alla primavera (es. mais in monosuccessione, successione mais-soia, ecc.). Le rotazioni colturali più rispondenti al fine di ridurre le perdite per percolazione sono quelle che assicurano la copertura del terreno durante la stagione piovosa: i cereali vernini innanzitutto, in monosuccessione o, meglio, in rotazione con altre colture autunno-vernine (es.: colza, erbai di graminacee o di crucifere, cartamo, ecc.). Occorre porre particolare attenzione alla rotazione colturale che include una specie leguminosa 88

92 in quanto è necessario far seguire ad una leguminosa una specie in grado di utilizzare l'azoto fissato. In ogni caso l'avvicendamento delle colture deve essere programmato al fine di ottimizzare l'utilizzazione dell'azoto solubile residuo dalla coltura precedente e di quello mineralizzato della sostanza organica. Una misura atta a contenere la percolazione dei nitrati è quella di assicurare, nel periodo più critico, la presenza di una copertura vegetale attiva nell'assorbire e assimilare i nitrati sottraendoli così al dilavamento. L'interramento dei residui pagliosi può comportare che 100 kg di paglia di frumento intercettino oltre 1 kg di N solubile, che così è sottratto alla possibile percolazione. È possibile ridurre le perdite indesiderate di nitrati per percolazione mediante un'appropriata gestione dell'uso del terreno. Le linee operative possibili vanno dalla adozione di avvicendamenti colturali che non lascino il terreno scoperto a lungo, all'interramento dei residui colturali pagliosi ed alla corretta gestione delle lavorazioni del terreno. Mantenimento della copertura vegetale. Le coperture vegetali potenzialmente realizzabili sono le seguenti: - vegetazione spontanea: l'inerbimento naturale che si produce in fine estate-autunno dopo la raccolta delle colture dovrebbe essere visto molto positivamente nelle zone a rischio, come mezzo per contrastare la percolazione dei nitrati; quindi non dovrebbe essere ostacolato con lavorazioni, ma lasciato svolgere la sua funzione quanto più a lungo possibile, compatibilmente con le esigenze di preparazione del terreno per la coltura che seguirà; l'inerbimento spontaneo potrebbe trarre utile applicazione sulle superfici temporaneamente ritirate dalla produzione (set-aside); - colture intercalari: l'inserimento, ogni volta che sia possibile, di colture intercalari tra la raccolta della coltura precedente e la semina di quella successiva è una misura di notevole efficacia antidilavamento; tali colture intercalari possono configurarsi come colture foraggere (erbai), colture ortensi o anche colture di interesse apistico (es. Phacelia) o igienizzante (specie nematocide e nematofughe); - colture di copertura («catch crops»): si tratta di colture intercalari senza finalizzazione utilitaristica, ma unicamente finalizzate ad intercettare l'azoto solubile; in altre parole si tratta di realizzare un «inerbimento controllato» seminando specie vegetali capaci di nascere e crescere durante i periodi critici per il dilavamento dei nitrati; la biomassa vegetale prodotta sarà poi sovesciata in tempo utile per la semina della successiva coltura prevista dalla rotazione. Le specie da considerare idonee a questa funzione dovrebbero soddisfare le seguenti condizioni: - avere basse esigenze termiche in modo da poter crescere nel periodo autunno-inverno; - avere seme poco costoso, reperibile e di facile emergenza; - essere dotate di scarsa capacità infestante; - essere consumatrici di azoto (con esclusione quindi delle leguminose); - non creare problemi fitosanitari o di infestazione alla coltura che seguirà. Le famiglie botaniche più rispondenti a questo modello sono le graminacee, le crucifere, le composite e le chenopodiacee. Per tutte le famiglie sopraindicate la tecnica colturale che appare consigliabile tecnicamente ed economicamente è la seguente: - preparazione del terreno con la tecnica della lavorazione minima (erpicatura). - semina a spaglio con abbondanza di seme alle prime piogge di fine estate e interramento con erpice. - concimazione: nessuna. - interramento: all'uscita dall'inverno, mediante aratura a media profondità (0,20-0,25 cm), comunque prima che le piante disseminino. Lavorazioni e struttura del terreno. L'inerbimento è particolarmente efficace sui terreni in pendenza nel ridurre il ruscellamento superficiale e, di conseguenza, l'apporto di nitrati nelle acque dei corpi idrici di superficie. Inoltre, il terreno ha una minore potenzialità di lasciare percolare l'acqua a causa della sua maggiore capacità di immagazzinamento, conseguenza del consumo idrico del manto erboso. È ormai sufficientemente assodato che è possibile diminuire l'intensità delle lavorazioni del terreno (profondità, numero e tipo) senza riduzione della produzione delle colture in numerose 89

93 situazioni pedoclimatiche. La natura del terreno è l'elemento determinante la decisione sull'opportunità di una lavorazione principale. Su terreni massivi per caratteristiche di tessitura, quali quelli limosi o anche limoso sabbiosi, oppure in quelli asfittici perché di cattiva struttura, saranno necessari interventi più frequenti con lavorazioni atte a creare macroporosità. L'opportunità di fare lavorazioni può derivare dalla necessità di interrare residui colturali o materiali organici, oppure dall'esigenza di pareggiare il terreno sul quale siano rimaste tracce marcate di passaggio di macchine. Va comunque tenuto presente che, nella maggioranza dei casi, non appare opportuno fare lavorazioni principali di una certa consistenza tutti gli anni e per tutte le colture. Per esempio, può non essere necessaria l'aratura dopo la bietola che sarà seguita dal frumento; dopo le colture da rinnovo l'aratura eseguita postraccolta specie su terreno argilloso e umido produce effetti negativi. Le lavorazioni secondarie che riguardano la preparazione del letto di semina devono tener conto delle diverse esigenze delle colture, ma senza sminuzzare troppo in anticipo il terreno per evitare la formazione di croste superficiali. Inoltre, si stanno sempre più diffondendo seminatrici capaci di operare su terreni anche compatti. Nel caso in cui le piogge autunnali o primaverili ostacolino le lavorazioni in presemina, può essere opportuna una semina su sodo. Per il contenimento delle malerbe, le lavorazioni possono essere sostituite da operazioni di diserbo effettuate con conveniente anticipo sulla semina e con prodotti di cui sia ampiamente dimostrata la compatibilità ambientale. Sistemazioni idraulico-agrarie dei terreni coltivati. Nelle aree vulnerabili, le sistemazioni di pianura vanno incoraggiate al massimo, in quanto consentono anche la protezione delle acque profonde. Vanno previsti fossi o dreni razionalmente disposti, specie per quanto riguarda la distanza, la quale dovrà essere stabilita in funzione delle caratteristiche tessiturali e strutturali del terreno e pluviometriche del sito. Molto utile ad accelerare l'evacuazione delle acque saturanti superficiali verso le affossature risulta la «baulatura» dei campi. Per contenere l'erosione vanno auspicate le sistemazioni collinari classiche, che hanno svolto in passato un ruolo fondamentale e conservano tuttora piena validità tecnica, ma oggi sono spesso trascurate o abbandonate per motivi economici e di gestione aziendale; le tecniche alternative più semplici e meno costose oggi disponibili (non lavorazione o lavorazione minima, pacciamatura, inerbimento parziale o totale, diserbo chimico parziale o totale) sono caratterizzate da differenti livelli di contenimento dell'erosione e delle perdite di elementi nutritivi e pertanto vanno scelte e calibrate in relazione alla singola situazione reale. La produzione di effluenti zootecnici da parte del bestiame allevato è la conseguenza della normale attività biologica; essa dipende dalla efficienza con la quale l'organismo animale trasforma gli alimenti ingeriti. Vi è stato in questi ultimi decenni un consistente miglioramento nell'efficienza degli organismi animali allevati, per effetto della selezione e della migliore conoscenza da parte degli allevatori delle tecniche di allevamento e di alimentazione. La composizione degli affluenti zootecnici è variabile in dipendenza della specie allevata, delle tecniche di allevamento, delle modalità di raccolta e manipolazione delle deiezioni. Nell'ambito delle tecniche di allevamento si devono considerare gli effetti dell'allevamento su lettiera di paglia di cereali o su altri materiali, come segature di legno, torbe ecc., dell'esportazione delle deiezioni con tecniche innovative e delle modalità di alimentazione. In ogni caso la quantità globale di deizioni, di azoto, di fosforo, di potassio, di metalli e di residui che si trovano nelle deiezioni dipende dalla differenza fra la quota ingerita con gli alimenti e la quota di elementi nutritivi trattenuta e trasformata in produzioni. Per ridurre la produzione di deiezioni, in termini generali di sostanza secca eliminata con gli effluenti zootecnici, l'intervento più efficace è quello di rendere massima l'efficienza con la quale funziona in generale la macchina animale. Si tratta di rendere il più basso possibile l'indice di conversione per qualsiasi produzione si intenda realizzare. In pratica si deve tendere a rendere minima la quantità di sostanza secca di alimento per unità di prodotto ottenuto (carne, latte, lana, uova, ecc.). Questo obiettivo è perseguibile seguendo due strade: miglioramento genetico e corretta formulazione della dieta. Prevenzione dell'inquinamento delle acque dovuto allo scorrimento ed alla percolazione nei sistemi di irrigazione. Una buona pratica irrigua deve mirare a contenere la percolazione e lo scorrimento superficiale 90

94 delle acque e dei nitrati in esse contenuti e a conseguire valori elevati di efficienza distributiva dell'acqua. Per quanto riguarda il primo punto, il concetto-base è di fornire ad ogni adacquatura volumi esattamente adeguati a riportare alla capacità idrica di campo lo strato di terreno maggiormente esplorato dalle radici della coltura. Ciò presuppone la conoscenza delle caratteristiche idrologiche del terreno e la misura o la stima del suo stato idrico al momento dell'adacquamento (che varia da coltura a coltura). Sia la profondità da bagnare sia il punto d'intervento irriguo sono facilmente reperibili per le principali colture sui manuali. Ai fini della realizzazione di valori elevati di efficienza distributiva dell'acqua il metodo irriguo assume un ruolo determinante. I principali fattori agronomici che influenzano la scelta del metodo irriguo sono le caratteristiche fisiche, chimiche ed orografiche del terreno, le esigenze o/e caratteristiche delle colture da irrigare, la qualità e quantità di acqua disponibile e le caratteristiche dell'ambiente in cui si deve operare. Per contenere le perdite di nitrato per irrigazione a scorrimento superficiale e per percolazione profonda tale metodo dovrebbe essere adottato su terreni profondi, tendenzialmente argillosi, per colture dotate di apparato radicale profondo e che richiedono interventi irrigui frequenti. L'irrigazione per scorrimento superficiale è sconsigliata in zone a rischio elevato e moderato. Qualora si adotti l'irrigazione per infiltrazione laterale da solchi è bene ricordare che il rischio di percolazione dei nitrati decresce passando dall'inizio alla fine del solco, da terreni tendenzialmente sabbiosi, poco rigonfiabili ed a permeabilità relativamente elevata, a terreni tendenzialmente argillosi, rigonfiabili ed a bassa permeabilità; da terreni superficiali a quelli profondi; da colture con apparato radicale superficiale a quelle con apparato radicale profondo. In terreni fortemente rigonfiabili sono sconsigliati turni irrigui molto lunghi per evitare la formazione di crepacciature molto profonde attraverso cui potrebbero disperdersi notevoli quantità di acqua negli strati profondi, con trasporto in essi di soluti lisciviati degli strati più superficiali. Nel caso si pratichi una irrigazione a pioggia, per evitare perdite di nitrati per percolazione e ruscellamento superficiale bisognerà porre particolare attenzione alla distribuzione degli irrigatori sull'appezzamento, all'intensità di pioggia elevata rispetto alla permeabilità del terreno, all'interferenza del vento sul diagramma di distribuzione degli irrigatori, all'influenza della vegetazione sulla distribuzione dell'acqua nel terreno. Nel caso si effettui una fertirrigazione per prevenire fenomeni di inquinamento essa deve essere praticata con metodi irrigui che assicurano una elevata efficienza distributiva dell'acqua; il fertilizzante non deve essere immesso nell'acqua di irrigazione sin dall'inizio dell'adacquata, ma preferibilmente dopo aver somministrato circa il 20-25% del volume di adacquamento; la fertirrigazione dovrebbe completarsi quando è stato somministrato l'80-90% del volume di adacquamento. Piani di Fertilizzazione azotata. Il Piano di Fertilizzazione è il documento che, in funzione delle caratteristiche del suolo, del clima, delle colture previste e della loro produzione attesa (obiettivo di produzione), determina quantità, tempi e modalità di distribuzione dei fertilizzanti naturali e di sintesi. Il Piano di Fertilizzazione aziendale, articolato per singole colture, deve mirare a ottimizzare le risorse disponibili, tenendo conto di tutti i fattori che interagiscono con il sistema suolo-pianta. Presupposti per i Piani di Fertilizzazione sono: - la conoscenza del grado di fertilità del suolo e la stima dei fabbisogni delle diverse colture; - la conoscenza delle caratteristiche pedoclimatiche che condizionano il comportamento nel suolo degli elementi nutritivi nelle loro diverse forme. Ne consegue che una adeguata conoscenza dei suoli e del clima, che non si basi sulle sole analisi chimico-fisiche routinarie dello strato arato, ma che tenga conto anche dei rischi di inquinamento del suolo e delle acque superficiali e profonde, costituisce il presupposto indispensabile per la redazione di un Piano di Fertilizzazione. Tale conoscenza dei suoli oltre che derivare dall'uso di strumenti di riferimento quali le carte pedologiche, le carte attitudinali da esse derivate, le carte della fertilità dei suoli, discende soprattutto dalle osservazioni di campagna effettuate direttamente da un tecnico. Indispensabile, inoltre, è avere un quadro complessivo dell'azienda soprattutto relativamente a: - colture e rotazioni praticate e praticabili; - disponibilità aziendale ed extra aziendale di fertilizzanti organici; - possibilità di irrigazione e metodo utilizzato; - disponibilità di mezzi tecnici per la 91

95 distribuzione dei fertilizzanti; - tipi di lavorazioni e sistemazioni idrauliche adottate. La redazione del Piano di Fertilizzazione deve porre particolare attenzione ad evitare il pericolo di dilavamento dei nitrati, prendendo in considerazione le caratteristiche dei suoli e la distribuzione ed entità delle precipitazioni, fondandosi su un pur semplificato bilancio dell'azoto. Deve essere presa in considerazione la possibilità di utilizzare sostanza organica prodotta in azienda o disponibile in altre aziende agricole o comunque reperibile sul mercato, valorizzandola opportunamente come illustrato nei precedenti capitoli. Il Piano di Fertilizzazione assume speciale rilevanza quando si intendono impiegare anche reflui zootecnici aziendali ed extraziendali che, per la loro natura e continuità di produzione, richiedono particolare attenzione per una corretta utilizzazione agricola. Il Piano di Fertilizzazione diventa infine indispensabile nel caso si vogliano utilizzare reflui di origine extraagricola, tenuto conto di quanto indicato nel capitolo «Tipologia dei fertilizzanti azotati». In tal caso oltre al bilancio dell'azoto dovranno essere valutati gli accorgimenti e le soluzioni necessari ad evitare i rischi di ruscellamento ed altresì l'accumulo nel terreno di fosforo, potassio, rame, zinco ed altri metalli pesanti nonché la possibile emergenza di problemi igienico-sanitari. Un bilancio dell'azoto sia pure approssimato dovrebbe basarsi sulla stima delle diverse entrate ed uscite determinando gli apporti azotati in funzione dell'obiettivo di produzione secondo la semplice relazione di seguito riportata: concimazione azotata = fabbisogni colturali - (apporti naturali di N) + (immobilizzazioni e dispersioni di N) 92

96 Ecocertificazione della pioppicoltura Fonte: Vietto L. (ed.), Sub-task 5.4: disciplinare di produzione integrata per il pioppo. Relazione della Task 5. Produzione di un documento che possa diventare sia un disciplinare tecnico-amministrativo che una linea guida di ecocertificazione. PROGETTO "Ecocertificazione della pioppicoltura" (Ecopioppo). Regione Piemonte. Il progetto "Ecocertificazione della pioppicoltura (Ecopioppo)" nasce dalle esigenze di compatibilità e sostenibilità ambientale nel settore della produzione del legno di pioppo da parte dei pioppicoltori, dei consumatori e delle industrie di trasformazione. AI fine di individuare in modo dettagliato le esigenze ambientali cui la pioppicoltura deve far fronte e quindi gli strumenti più idonei per il loro soddisfacimento la Regione Piemonte - Settore Politiche Forestali ha costituito, informalmente, un gruppo di lavoro con il compito di definire le linee per la ecocertificazione della pioppicoltura. Norme tecniche per la buona pratica pioppicola: disciplinare di produzione integrata. Modello colturale per aree tipicamente agrarie finalizzato all ottenimento di un prodotto di elevata qualità destinato all industria del compensato. Il modello proposto è il risultato dell analisi degli impatti ambientali diretti più significativi provocati dalla coltivazione del pioppo; il modello è integrato da norme specifiche finalizzate ad una gestione ecologicamente disciplinata della pioppicoltura in aree sensibili: aree protette; fascia fluviale A (ai sensi del Piano Stralcio Fasce Fluviali e del Piano di Assetto Idrogeologico); Il disciplinare di produzione è coerente con i principi definiti dal Piano di Sviluppo Rurale Regionale approvato in applicazione del Reg. CE 1257/99. 5 Fertilizzazione. 5.1 Indicazioni sulla concimazione in pioppeto. Nelle aree sensibili, soggette a periodiche inondazioni e caratterizzate frequentemente da suoli sciolti, profondi, freschi, è possibile realizzare buone produzioni legnose anche senza l apporto di fertilizzanti minerali. L intervento è invece necessario nei terreni tendenzialmente asciutti e caratterizzati da bassa capacità di scambio, ma gli effetti della concimazione possono annullarsi se ad essa non si associa l irrigazione. Molto indicata è in ogni caso la concimazione organica fatta con letame o sovescio di leguminose. Per la costituzione di nuovi impianti di estensione superiore a 1 ettaro ed esclusivamente quando sia prevista la concimazione di fondo è richiesta l analisi chimica del terreno. La concimazione di fondo non dovrà comprendere azoto salvo l apporto dato da fertilizzanti organici (è consigliata la somministrazione di letame o compost). È ammessa soltanto la somministrazione di fosforo e potassio che non potrà superare rispettivamente i 120 kg/ha di P205 e i 250 kg/ha di K2O; dosi maggiori sono consentite nel caso di particolari esigenze avvalorate da analisi chimiche;. La concimazione in copertura è consentita unicamente con azoto nei primi 3 anni del turno; l azoto può essere somministrato localizzando il concime nel raggio di 1-2 m dal colletto delle piante e frazionando la dose in più applicazioni, dalla germogliazione delle pioppelle fino a giugno compreso. Ogni singolo apporto di azoto non deve superare i 60 kg/ha; non sono comunque ammessi apporti annuali superiori a 60 Kg/ha, 90 Kg/ha e 120 Kg/ha di azoto rispettivamente nel primo, secondo e terzo anno di coltivazione. È ammessa la distribuzione, con successivo interramento, di liquami provenienti da allevamenti suini e bovini, fatta esclusione per i mesi invernali e per le aree sensibili. Per quanto riguarda le quantità da impiegare vanno osservati i dosaggi massimi previsti per l azoto. 93

97 7 Gestione del suolo. 7.1 Piani di intervento per le lavorazioni del terreno in pioppeto. Nella prima metà del turno, per migliorare la struttura e la permeabilità dello strato attivo di terreno e per il controllo delle infestanti, sono di fondamentale importanza le lavorazioni del terreno eseguite con erpici a dischi; le eventuali arature devono essere eseguite nel periodo autunnale. In ogni caso, nella seconda metà del turno, queste operazioni colturali possono essere sostituite da 1-2 interventi di sfalcio o di trinciatura della vegetazione spontanea. Al fine di favorire l inerbimento del terreno nei periodi a più elevato rischio di esondazione, nelle aree sensibili le lavorazioni sono consentite unicamente nei primi 3 anni di coltivazione e con un massimo di 2 interventi/anno, da eseguire esclusivamente da maggio a luglio. Negli anni successivi sono ammessi soltanto interventi di sfalcio e/o di trinciatura evitando di operare nel mese di maggio (periodo di riproduzione della fauna selvatica). Il numero annuale di lavorazioni consigliabili decresce con l aumentare dell età del pioppeto; dopo il quinto anno non si evidenziano in genere effetti positivi sugli accrescimenti delle piante, pertanto viene meno la loro convenienza economica. 8 Controllo infestanti. 8.1 Piani di intervento per la gestione delle infestanti in pioppeto. Il contenimento della vegetazione spontanea può essere realizzato con interventi di sfalcio o di trinciatura. Nei primi 5 anni del turno è ammesso il diserbo chimico localizzato al colletto delle piante con i principi attivi e le dosi indicate nella tabella n. 5. Tabella 5 - Programma per la gestione delle infestanti. Infestanti Criteri di intervento Principi attivi Interventi agronomici Operare con sfalci, trinciature e/o lavorazioni del terreno nella prima metà del turno. % p.a. Limitazioni d uso e note In aree sensibili sono consentiti al massimo 2 interventi all anno limitatamente ai primi 3 anni del turno. Monocotiledoni Dicotiledoni Interventi chimici Trattamento localizzato al colletto delle piante, da eseguire su infestanti nei primi stadi di sviluppo. glufosinate ammonio Indipendentemente dal numero delle applicazioni eseguite, sono annualmente ammessi: l/ha=3 di formulato commerciale 10 Impiego e scelta dei prodotti fitosanitari. 94

98 10.1 Indirizzi di disciplina fitosanitaria compatibili con la difesa integrata. E consentito l impiego dei soli principi attivi indicati nelle tabelle n.7 e n.8, limitatamente alle avversità indicate, salvo specifiche deroghe rilasciate da parte dell Osservatorio regionale per le malattie delle piante. Devono essere osservate tutte le norme e le eventuali limitazioni di impiego. Nella distribuzione dei fitofarmaci è necessario adottare tutte le precauzioni possibili per ridurre i danni all operatore e all ambiente: rispettare i dosaggi dei principi attivi e le indicazioni relative ai volumi d acqua, eseguire le irrorazioni in assenza di vento e nelle ore meno calde della giornata, scegliere i prodotti commerciali a tossicità più bassa, eseguire periodicamente interventi di manutenzione, sulle attrezzature, utilizzare indumenti di protezione personali. 95

99 Tab. 7 - Difesa integrata del pioppo Avversità Criteri di intervento Principi attivi Limitazioni d uso e note Crittogame Bronzatura (1) (Marssonina brunnea) Interventi agronomici Impiego di cloni resistenti Interventi chimici Effettuare il primo trattamento alla completa distensione fogliare. Nei pioppeti al primo anno di età rinviare l intervento di almeno un mese. Impiegare volumi di acqua proporzionati alla dimensione delle piante. Mancozeb Maneb Metiram Dodina Sono consentiti al massimo 2 trattamenti nel corso dell annata. Il 1 intervento va effettuato con un prodotto di copertura. Si consiglia l aggiunta di adesivanti per favorirne la persistenza. Nelle aree sensibili non è consentito l impiego dei ditiocarbammati. Alla presenza di condizioni climatiche favorevoli allo sviluppo di infezioni, al superamento della soglia di 6-10 macchie necrotiche per cm 2 di superficie fogliare, intervenire una seconda volta possibilmente entro 36 ore da una pioggia infettante. Dodina Esaconazole Il 2 intervento deve essere effettuato entro l inizio del periodo estivo. Si consiglia di distribuire il fungicida Esaconazole a dose normale, in miscela con uno dei ditiocarbammati a dosi dimezzate per aumentare l efficacia del trattamento. E vietata l aggiunta di insetticidi Nota - (1) Il primo trattamento protegge efficacemente la vegetazione per almeno un mese e, alla presenza di condizioni climatiche non particolarmente favorevoli allo sviluppo di nuove infezioni, è in grado di prevenire gli attacchi del parassita per buona parte della stagione vegetativa. La difesa chimica è giustificata solo quando è associata alle pratiche colturali, nelle giovani piantagioni o quando le potenzialità produttive delle piante sono elevate. 9 6

100 Avversità Criteri di intervento Principi attivi Limitazioni d uso e note Defogliazione primaverile (Venturia populina) Interventi chimici La lotta chimica non è realizzabile per motivi tecnico-agronomici Interventi agronomici Impiego di cloni resistenti Nel caso di infezioni, eliminazione dei residui di potatura tramite trinciatura _ Non sono ammessi trattamenti. Ruggini (Melampsora spp.) Interventi chimici Trattare esclusivamente alla presenza di infezioni. L intervento curativo deve essere eseguito alla comparsa dei primi uredosori sulla pagina inferiore delle foglie (periodo estivo). esaconazolo Non sono ammessi interventi preventivi. Gli interventi chimici possono essere effettuati solo in piantagioni di età compresa tra 3-6 anni; E ammesso 1 solo trattamento all anno da eseguirsi entro la fine di agosto. Necrosi corticali (Discosporium populeum) Virosi Interventi agronomici Impiego di cloni tolleranti Interventi chimici Interventi agronomici Mantenere le piante in buone condizioni vegetative con pratiche colturali razionali. Idratazione delle pioppelle prima del trapianto. _ Non sono ammessi trattamenti. 9 7

101 (Poplar Mosaic Virus) Marciumi radicali (Rosellinia necatrix) Interventi agronomici Impiego di materiale asintomatico Impiego cloni resistenti Interventi chimici _ Non sono ammessi trattamenti. Interventi agronomici Scalzamento delle piante che manifestano ingiallimenti fogliari per esporre le porzioni radicali infette. Eliminazione dei residui delle ceppaie Evitare il reimpianto per almeno due anni, destinando il terreno a colture erbacee preferibilmente da sovescio. Fitofagi principali Punteruolo (Cryptorhynchus lapathi) Interventi chimici Effettuare il trattamento sulle piante in fase di germogliamento. E necessario operare su piante asciutte bagnando il fusto delle pioppelle fino a gocciolamento In alternativa, il trattamento può essere eseguito durante il periodo di riposo vegetativo. Quest intervento permette una selettività molto elevata nei confronti dell entomofauna utile. clorpirifos clorpirifos-metile clorp.m.+cipermetri na triclorfon alfametrina (*) ciflutrina (*) cipermetrina (*) deltametrina (*) Nella fase di costituzione degli impianti è d obbligo l impiego di pioppelle pretrattate Il trattamento è consentito solo al 2 e 3 anno del turno, fatte salve eventuali deroghe per impianti costituiti con il clone San Martino E ammesso al massimo 1 intervento all anno E fatto d obbligo rimuovere le erbe infestanti in fiore con una lavorazione del terreno o uno sfalcio prima del trattamento Nel caso il trattamento sia eseguito nel periodo di fine inverno le dosi d impiego dei piretroidi (*) vanno aumentate del 20% 9 8

102 Fitofagi occasionali Crisomela (Melasoma populi) Non sono consentiti trattamenti Sigaraio (Byctiscus populi) Saperda maggiore (Saperda carcharias Afide lanigero (Phloeomyzus passerinii) Interventi chimici Intervenire nel periodo compreso tra la fine di maggio e la metà di giugno. E necessario operare su piante asciutte e bagnare il fusto fino a gocciolamento In alternativa può essere eseguito un trattamento localizzato, galleria per galleria, nel periodo compreso tra metà giugno e metà luglio L epoca propizia per l esecuzione inizia quando le gallerie sono evidenti Interventi agronomici Adozione di pratiche colturali che favoriscano una crescita vigorosa delle piante L eliminazione delle erbe infestanti alla base dei tronchi (vedi capitolo 8), che creano un ambiente favorevole all attività di ovideposizione dell insetto, consente un adeguata bagnatura della corteccia nel caso di successivi interventi chimici. Conservazione nel pioppeto delle piante morte o spezzate per favorire la nidificazione del Picchio rosso, attivo predatore di larve di insetti xilofagi alfametrina cipermetrina clorpirifos clorpirifos-metile clorp.m.+ cipermetrina deltametrina propoxur+ ciflutrina Interventi chimici Trattamento delle piante infestate alla comparsa delle prime colonie (indicativamente dopo la olio minerale bianco Non sono consentiti trattamenti E consentito 1 trattamento all anno L intervento è consentito nelle piantagioni giovani di età comprese tra i 2-5 anni (va trattata solo la porzione basale del tronco), quando la percentuale di piante infestate è pari o superiore al 20% Spennellatura del foro d ingresso e della parte iniziale della galleria utilizzando gli stessi prodotti impiegati per il trattamento generalizzato, ma a dosi maggiorate Impiego bomboletta spray con beccuccio ll trattamento localizzato è da preferirsi nelle piantagioni costituite in aree sensibili Per ottenere un livello di efficacia soddisfacente, è importante intervenire quando lo sviluppo dell Afide è ancora 9 9

103 Lepidotteri defogliatori (Hyphantria, Clostera) metà di Maggio) Interventi agronomici Impiego di cloni resistenti Interventi chimici In caso di attacchi consistenti intervenire nel periodo estivo con trattamenti alla chioma. Nel caso infestazioni di Ifantria, il trattamento va effettuato su larve giovani della seconda generazione Interventi microbiologici Intervenire nel periodo estivo (circa metà agosto) con trattamenti alla chioma olio b.+ fenitrotion olio b.+ dimetoato esaflumuron triclorfon Bacillus thuringiensis var. Kurstaki limitato, e le colonie non sono ancora completamente ricoperte dalla secrezione cerosa. Il trattamento è consentito esclusivamente con infestazioni in atto Per la salvaguardia degli insetti utili e dei limitatori naturali dell Afide, prima del trattamento devono essere rimosse le erbe infestanti in fiore E consentito 1 trattamento chimico. Nel caso di infestazioni di Ifantria, l intervento è ammesso solo nelle piantagioni costituite con cloni euroamericani ed esclusivamente contro le larve di 2 a generazione (agosto-settembre) Il trattamento con esaflumuron è da preferirsi, e deve essere eseguito tempestivamente nel periodo di ovideposizione (indicativamente prima metà di agosto) o alla presenza di larve nei primi stadi di sviluppo. Nell impossibilità di intervenire con esaflumuron, triclorfon deve essere usato sulle larve (indicativamente fine agostoinizio settembre). Eseguire i trattamenti nelle ore serali: i fenomeni di fotodegradazione provocati dai raggi UV possono ridurre l efficacia dei prodotti a base di Bt Nelle aree sensibili è consentito esclusivamente l impiego di prodotti microbiologici 1 0 0

104 10.2. Fitofarmaci impiegabili nella difesa integrata del pioppo. E ammesso l uso dei soli principi attivi indicati in tabella, limitatamente alle avversità indicate, salvo deroghe specifiche rilasciate dall Osservatorio Regionale per le malattie delle piante. E possibile utilizzare esclusivamente prodotti fitosanitari che riportino in etichetta la dicitura pioppo, ricorrendo, quando possibile, ai formulati commerciali classificati con indicazione di pericolo Xi = irritante e Nc = non classificato (D.Lgs n.194 del 17 marzo 1995). Tabella 8 Principi attivi e relative dosi di impiego utilizzabili per la difesa integrata del pioppo. Principi attivi Dose impiego di p.a. (g-ml/hl) Avversità Fungicidi dodina 60 Bronzatura esaconazolo 3,6 Bronzatura Ruggini mancozeb 320 Bronzatura maneb 320 Bronzatura metiram 250 Bronzatura Insetticidi alfametrina 5 10 Bacillus thuringensis var. kurstaki 100 ( U.I./mg) 150 ( U.I/mg.) Punteruolo Saperda Lepidotteri defogliatori clorpirifos Punteruolo Saperda clorpirifos-metile Punteruolo Saperda clorpirifos m.+cipermetrina Punteruolo Saperda ciflutrina 5 Punteruolo cipermetrina Punteruolo Saperda deltametrina 2,4 4,8 Punteruolo Saperda esaflumuron 15 Lepidotteri defogliatori fenitrotion 60 Afide lanigero dimetoato 60 Afide lanigero olio minerale Afide lanigero olio minerale+dimetoato Afide lanigero triclorfon Lepidotteri defogliatori Punteruolo propoxur+ciflutrina (*) - Saperda (*) formulato spray per trattamenti localizzati 101

105 Interventi a favore dei Chirotteri L associazione FaunaViva, in collaborazione con il Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone, ha sviluppato delle indicazioni per misure pratiche di conservazione dei chirotteri da applicarsi nel caso di interventi in habitat antropico. Di seguito si riportano larghi stralci del Manuale, con alcune riduzioni e semplificazioni. FONTE: ANNONI R., CAVENATI I., FARINA F MANUALE TECNICO DIVULGATIVO PER LA TUTELA DEI CHIROTTERI (PIPISTRELLI) NEI SETTORI EDILE E FORESTALE. PARCO REGIONALE DI MONTEVECCHIA E DELLA VALLE DEL CURONE. I Chirotteri negli edifici I Chirotteri, essendo animali prettamente notturni, di giorno utilizzano rifugi tranquilli e sicuri per potersi riposare. All interno di un edificio sono presenti molti ripari accoglienti quali i sottotetti, le cavità presenti nelle facciate, le cantine, i cassonetti delle tapparelle, ecc. (Figura 4.1). Alcune specie di Chirotteri scelgono la propria dimora nei solai, soprattutto nel periodo estivo. Solitamente, in questi nascondigli, i Pipistrelli si appendono alle travi ed utilizzano sempre gli stessi posatoi che vengono marcati con un secreto ghiandolare. Riescono ad entrare nel rifugio volando attraverso finestre rotte o aperte, fessure e buchi nel muro oppure strisciando attraverso piccole aperture tra le tegole del tetto; anche i coppi di aerazione sono ottimi punti d accesso (Figura 4.2). Un apertura di 20 x 30 cm è sufficiente per il passaggio in volo dei Chirotteri. L entrata nel solaio è spesso tradizionale e se tale apertura viene modificata si rischia che la colonia abbandoni il rifugio. Le specie del genere Plecotus (comunemente denominati Orecchioni) amano rifugiarsi all interno degli ampi spazi che si trovano nei sottotetti delle chiese, nei campanili e nelle costruzioni storiche. Specie tipiche di questi rifugi sono anche il Rinolofo maggiore ed alcuni Vespertilionidi. I Pipistrelli trovano rifugio anche nello spazio che si trova tra la copertura esterna del tetto e il rivestimento interno. Le specie presenti da aprile ad ottobre costituiscono solitamente la nursery, dove vengono allevati i piccoli, mentre gli individui presenti da novembre a marzo formano le colonie d ibernazione (letargo). Le specie di Chirotteri che scelgono di rifugiarsi in questi spazi sono il Pipistrello albolimbato, il Pipistrello nano e il Serotino comune. Ogni fessura può fungere da rifugio per i Pipistrelli a patto che sia abbastanza calda, non vi siano correnti d aria e che la superficie sia abbastanza ruvida. I Pipistrelli di fessura trovano rifugio in spazi piccoli, anche, solamente, di un paio di centimetri. Tipici nascondigli sono gli spazi sotto i rivestimenti delle facciate, dietro le imposte delle finestre e grossi portoni, gli interstizi tra le bordure di metallo e i cornicioni dei tetti. Le specie che prediligono questi nascondigli sono il Pipistrello albolimbato, il Pipistrello nano e il Pipistrello di Nathusius. Queste specie possono occupare simili nascondigli soprattutto durante la bella stagione. Rifugi particolari sono rappresentati dai cassonetti delle tapparelle e dalle cataste di legno, quest ultime sfruttate soprattutto dal Pipistrello di Nathusius. 102

106 Figura 4.1 Parti degli edifici utilizzate dai Chirotteri. 1. Bocca del camino 2. Fessure tra falde di camini e tegole 3. Coppi di colmo e spazi tra le tegole 4. Spazi liberi tra gronde e canali 5. Scossaline metalliche e lattonerie 6. Rivestimenti in legno di facciate e gronde 7. Sottotetti e soffitte 8. Frontalini metallici dei balconi 9. Cassonetti di tapparelle avvolgibili 10. Imposte delle finestre tenute aperte per lunghi periodi 11. Fessure tra muri e canne fumarie 12. Fessure e crepe in intonaco, interstizi tra mattoni 13. Cantine 14. Cataste di legna Verifica della presenza Alcune semplici osservazioni possono risultare utili per verificare la presenza dei Chirotteri negli edifici. Facilmente visibili sono i Pipistrelli appesi alle travi dei solai, alle volte o rifugiati in cavità dei soffitti o delle pareti. Quando, invece, i Chirotteri occupano rifugi non ispezionabili, possono essere identificati al momento dell involo serale o durante il loro rientro. Un importante indizio della presenza dei Pipistrelli è dato dall accumulo del guano sotto l imbocco dei siti maggiormente frequentati o dei punti di appiglio; alcuni dei luoghi dove la presenza di sterco si nota più facilmente sono il davanzale della finestra, il portico, il balcone sotto il tetto, ecc.. Le feci dei Chirotteri, piccole (4-5 mm), cilindriche e nere, hanno aspetto simile a quelle dei topi, ma possono essere identificate in modo sicuro provando a sbriciolarle tra le dita Gli escrementi di Pipistrello contengono resti chitinosi degli insetti predati che si rilevano come piccoli pezzetti luccicanti. Lo sterco dei Chirotteri è, quindi, molto friabile e si rompe facilmente fra le dita

107 Figura 4.2 Possibili punti di accesso e rifugi in una copertura. A Spazi liberi tra gronda e canale - B Coppi di aerazione - C Fessure tra muro e rivestimento della gronda - D Coppi di colmo Si possono anche rinvenire, accumulate in gran quantità, le parti non ingerite degli insetti, primariamente ali di farfalle, dovute alle attività di caccia delle specie del genere Plecotus (Orecchioni). Questi, altamente specializzati nella cattura di Lepidotteri (farfalle) e grossi Ditteri (mosche), ingeriscono le prede piccole in volo, mentre portano quelle di taglia maggiore fino ad un punto d appiglio abituale (posatoio) dove le consumano Per sapere dove si trova esattamente l accesso al rifugio o il punto d appiglio, è sufficiente posare la torcia elettrica sul pavimento, nel punto di maggior accumulo di sterco, ed illuminare il soffitto o la parete appena sopra. Per tenere sotto controllo l utilizzo stagionale del rifugio da parte dei Chirotteri, bisognerebbe verificare quando è presente guano fresco. Se all interno dell edificio vi è una nursery, cioè se è in corso l allevamento dei piccoli, lo sterco si accumula soprattutto da aprile ad ottobre. Se sono presenti specie che trascorrono il letargo, gli ultimi escrementi vengono lasciati fino a novembre e ricompaiono a marzo. Se lo sterco si accumula per pochi giorni in autunno, si tratta di rifugi nuziali temporanei. Per determinare il numero di individui ospitati nel rifugio è opportuno fare delle osservazioni all ingresso dello stesso, dove si osserva la maggior concentrazione di guano; al tramonto si contano gli individui che lasciano il roost: bisogna avere un po di pazienza in quanto, a seconda della specie e delle condizioni meteorologiche, le uscite non avvengono tutte contemporaneamente ma sono dilazionate nel corso della serata. Al crescere del numero di esemplari presenti nella colonia, diventa più semplice sentire e riconoscere le vocalizzazioni dei Chirotteri, sorta di squittii acuti emessi all interno del rifugio. Per la sicurezza degli animali e degli operatori, per l identificazione delle specie tramite la cattura (incruenta) è opportuno rivolgersi a specialisti. Spesso, negli edifici, si rinvengono comunque esemplari morti: mummificati e ancora appesi al posatoio, oppure, si ritrovano sul pavimento, soprattutto, i giovani caduti dalla nursery. Interventi di manutenzione e ristrutturazione degli edifici Interventi di manutenzione o di ristrutturazione degli edifici potrebbero, in alcuni casi, interferire con la Chirotterofauna, soprattutto quando interessano le parti che abitualmente vengono utilizzate dai Pipistrelli come rifugio, quali soffitte, tetti, cantine, ecc.. In linea generale, per tutti i tipi di interventi, la scelta di un calendario dei lavori compatibile con il ciclo biologico di questi animali è di fondamentale importanza per la loro protezione, e in molti casi, è anche l unico accorgimento da prendere. Se ci troviamo di fronte ad un rifugio 104

108 utilizzato dai Pipistrelli per l ibernazione, dobbiamo astenerci dal fare i lavori, in linea di massima, dal mese di novembre ai primi di marzo. Nel caso di una colonia riproduttiva, il periodo critico in cui non eseguire i lavori va dall arrivo delle prime femmine gravide, in genere inizio aprile, al momento in cui i giovani nati sono completamente svezzati e abbandonano il rifugio, che si aggira intorno ai primi di ottobre. Queste date sono molto approssimative e possono variare in funzione della specie, delle caratteristiche ambientali e delle condizioni meteorologiche; vanno, quindi, valutate in modo più dettagliato caso per caso, soprattutto in presenza di colonie numerose e di specie particolarmente sensibili. Nel caso di interventi con sostanze potenzialmente nocive per i Chirotteri, come nel caso dei trattamenti del legno, bisognerà tener conto anche del tempo necessario a tali prodotti per perdere di tossicità. Alcune specie, come ad esempio gli Orecchioni, possono utilizzare lo stesso rifugio per tutto l anno. In questo caso non esiste un periodo ideale per intervenire, e sarà necessario contattare un esperto che sia in grado di valutare la soluzione migliore Se gli interventi non interessano direttamente il rifugio utilizzato dai Pipistrelli, ma locali o spazi a questo adiacenti, sarà comunque opportuno attuare alcuni accorgimenti per limitarne il disturbo sulla colonia, come chiudere porte o finestre che mettono in comunicazione i due locali con tavole di legno in modo da mascherare per esempio il passaggio continuo degli operai. Va tenuto, però, presente che non bisogna, in questo modo, ostruire passaggi che abitualmente vengono utilizzati dagli animali e conviene, quindi, prevedere, in queste chiusure temporanee, delle fessure di almeno una decina di centimetri nella parte alta. # Verniciatura e trattamenti antitarlo/antifungini degli elementi in legno utilizzati come rifugio dai Pipistrelli come gronde, rivestimenti di facciate, persiane, strutture di tetto e soffitte, tapparelle e relativi cassonetti, ecc. Questi lavori possono causare innanzitutto un disturbo diretto, dovuto al rumore e alla presenza degli operatori durante l esecuzione dei lavori, che in genere può spingere gli individui ad abbandonare il loro rifugio. Se i lavori non si protraggono per molto tempo, non alterano lo stato delle cose e non vengono effettuati in presenza di una nursery in primavera o di individui in ibernazione in inverno, il disturbo è abbastanza contenuto e, normalmente, dopo che è svanito l odore della vernice o della sostanza utilizzata, il rifugio può essere ricolonizzato anche in breve tempo. Molte delle sostanze utilizzate per la protezione del legno hanno un elevata tossicità per i Chirotteri che, non solo sono soggetti all inalazione per via aeree dei solventi e delle componenti più volatili di tali composti ma, dato che trascorrono il periodo di inattività diurna proprio aggrappati agli elementi che hanno subito il trattamento, possono subire avvelenamenti anche per contatto e per ingestione (leccandosi il pelo sporcato dal composto utilizzato). Sostanze come Lindano, Dieldrina e Pentaclorofenolo (PCP) si sono dimostrate estremamente tossiche per i Chirotteri: è stato dimostrato che i Pipistrelli possono morire a causa del contatto prolungato con legno trattato con tali composti, anche a distanza di parecchi mesi dal trattamento (Racey & Swift, 1986). In questi casi, per tutelare i Chirotteri, occorre programmare i lavori in modo da salvaguardare soprattutto i periodi critici per questi animali, prevedendo anche il tempo necessario per far svanire gli effetti tossici del prodotto utilizzato. E importante ispezionare con cura elementi da trattare/verniciare e dintorni, in modo da verificare l eventuale presenza di Pipistrelli, controllare tutti gli interstizi e le fessure con una pila e cercare tracce di presenza fresche (vedi cap. 4.1). Nel caso venisse accertata la presenza di Chirotteri, è preferibile contattare personale esperto in grado di consigliare il metodo migliore per operare, magari dopo un sopraluogo. E necessario utilizzare, per i trattamenti del legno, solo sostanze a bassa tossicità per i Mammiferi, e con una bassa persistenza nell ambiente. Buone garanzie si hanno dall uso di prodotti a base di piretroidi sintetici, come la Permetrina e la Cipermetrina. Ci sono poi nuovi prodotti, ancora poco diffusi, a base di Fluorfenoxuro (Flurox ) che agiscono in modo specifico sugli insetti come inibitori della chitina e hanno una bassissima tossicità sui Mammiferi. Sia per gli impregnanti che per le vernici, vanno utilizzati prodotti all acqua, cioè che non contengono solventi sintetici, in quanto hanno una minor tossicità (anche se la tossicità del solvente è in genere di breve durata, in quanto evapora rapidamente, soprattutto se in ambienti caldi e ben ventilati). 105

109 # Rifacimento delle facciate, chiusura di fessure e crepe nelle murature, pulizia e sistemazione di camini. Lembi di intonaco sollevati, piccole crepe tra elementi murari, interstizi tra pietre o mattoni e camini inutilizzati sono, per alcune specie di Pipistrelli, validi ripari soprattutto durante il periodo estivo. In genere ospitano animali singoli o gruppi di pochi animali, ed è facile che questi passino inosservati. Dato che tali interventi comportano l eliminazione del rifugio, andranno eseguiti al di fuori dei periodi riproduttivo e dell ibernazione, e comunque non prima di aver accertato l assenza degli animali al loro interno, ispezionando attentamente con una torcia tutte le fessure presenti, in modo da evitare il rischio di murare vivo qualche animale o ferirlo mentre, ad esempio, si scrostano parti di intonaco. # Pulizia e manutenzione di soffitte e cantine. Può capitare che durante la pulizia di soffitte o di cantine poco utilizzate, ci si imbatta in qualche Pipistrello che vi aveva trovato rifugio e che, spaventato dall insolito movimento, si metta a volare nervosamente nel locale per poi andarsene fuori attraverso qualche apertura. E opportuno, in questi casi, identificare il possibile riparo degli animali, cercando ad esempio segni di presenza come guano o resti alimentari che spesso vi si accumulano sotto, e le vie di accesso utilizzate. I lavori, dovranno, quindi, rispettare il più possibile questi elementi, evitando di chiudere finestre normalmente lasciate aperte, o posizionare oggetti ingombranti in modo da ostacolare le vie d accesso e di volo dei Pipistrelli. Sostituire un vetro rotto ad una finestra di un solaio potrebbe, ad esempio, pregiudicare l esistenza di una colonia di Orecchioni, bloccando alcuni animali all interno e impedendo l ingresso di altri. # Manutenzione e ristrutturazione dei tetti Come già detto in precedenza, il tetto, con le sue varie componenti, offre molte possibilità di rifugio per i Pipistrelli: ciò va tenuto conto nel momento in cui ci si appresta ad effettuare lavori di manutenzione e ristrutturazione. In presenza di colonie si deve scegliere accuratamente il periodo in cui operare: i lavori vanno eseguiti quando queste non sono presenti nel rifugio. Nel caso la colonia occupasse solo una piccola porzione di una copertura molto ampia, con una buona pianificazione dei lavori, si può prevedere di isolarla dal resto del sottotetto mediante, ad esempio, un intercapedine di legno, facendo attenzione a non ostruire o alterare i normali percorsi d accesso degli animali; si procede, quindi, con i lavori nella parte non utilizzata come rifugio. Il lavoro potrà essere completato solo dopo che la colonia avrà lasciato il rifugio. Bisogna procedere con cura nella rimozione degli elementi di rivestimento (perline, canali e scossaline) e delle tegole, in quanto spesso vi si rifugiano piccoli gruppi di individui che possono facilmente sfuggire ad una prima ispezione. Nel posizionare i nuovi elementi bisognerà evitare di sigillare completamente tutti gli interstizi, per non eliminare i possibili rifugi delle specie amanti dei piccoli spazi, e per non ostruire il passaggio tra l ambiente interno e quello esterno. Se si prevede di realizzare un isolamento, nel caso in cui il sottotetto non debba essere reso abitabile, è da preferire quello a pavimento: oltre ad essere il meno costoso non altera fruibilità e microclima del rifugio. # Creazione di nuove aperture, alterazione di luce e umidità I Chirotteri sono molto sensibili ai cambiamenti di luminosità, di umidità e di temperatura dei loro rifugi. L apertura di nuove finestre in un locale occupato da una colonia andrebbe evitato in quanto comporta un notevole aumento della luminosità, con conseguente disturbo per i Pipistrelli, che invece necessitano di ambienti bui. Lo stesso vale per la rimozione di elementi oscuranti presenti sulle aperture o anche per la semplice apertura di persiane o imposte che normalmente venivano tenute chiuse. Va evitata anche la formazione di forti correnti d aria, che determinano notevoli variazioni di temperatura e umidità. # Ristrutturazioni che prevedono notevoli alterazioni di destinazione e volume di rifugi utilizzati da Chirotteri Rendere abitabile un sottotetto significa allontanare definitivamente i Pipistrelli che lì vi trovavano rifugio. Per non aggravare ulteriormente l impatto già fortemente negativo 106

110 dell opera, è importante pianificare i lavori in modo da permettere agli animali presenti di completare il loro ciclo stagionale e di abbandonare naturalmente il rifugio; quindi, nel caso di una colonia riproduttiva, bisogna prevedere l inizio dei lavori in autunno, quando anche i giovani dell anno, ormai svezzati, se ne sono andati; mentre in presenza di una colonia in ibernazione si attenderà il completo risveglio dal letargo e lo spostamento dei Pipistrelli ai rifugi riproduttivi, che in genere avviene ad inizio primavera. In presenza di colonie è comunque importante prendere contatti con personale esperto per pianificare al meglio le modalità e le tempistiche di esecuzione dei lavori. Spesso non tutto il volume di un sottotetto può essere sfruttato a fini abitabili, dato che le parti adiacenti al colmo sono in genere troppo alte, e quelle nei pressi della gronda troppo basse. E possibile valutare la possibilità di predisporre questi volumi in modo tale da poter essere sfruttati come nuovo rifugio dai Pipistrelli, anche se non ci sono garanzie che la colonia che abitava in origine il sottotetto apprezzi la nuova sistemazione e decida di ricolonizzare l edificio (Figura 4.7). # Installazione illuminazioni artificiali interne ed esterne L illuminazione artificiale, che spesso viene posizionata per mettere in risalto edifici storici, religiosi o di particolare pregio architettonico, può avere effetti negativi sui Pipistrelli presenti in tali edifici se non si tiene conto di alcuni semplici accorgimenti. I Chirotteri regolano la loro uscita serale dal rifugio in base alla luminosità residua proveniente dall esterno; una forte illuminazione artificiale, soprattutto se direzionata verso le aperture utilizzate come vie d uscita, può indurli a credere che sia ancora giorno, ritardando, così, l inizio della loro attività di caccia e riducendo il tempo di alimentazione a loro disposizione. Nel periodo in cui le femmine sono impegnate nell allattamento, questo può avere un effetto assai negativo sulla sopravvivenza dei piccoli, tenuto conto anche del fatto che, le prime ore dopo il tramonto, sono quelle con la maggior densità di insetti, e quindi di prede. Bisogna quindi eliminare l illuminazione delle facciate che ospitano il sito di rifugio, mentre può essere mantenuta quella delle altre purché opportunamente orientata. In caso di presenza stagionale di una colonia è possibile semplicemente spegnere le sorgenti luminose più fastidiose per tutto il periodo di permanenza degli animali. In condizioni particolari, dove la presenza dei Pipistrelli non è ben localizzata ma diffusa in più parti dell edificio o in un insieme di edifici, conviene ritardare l accensione dell illuminazione più impattante finché non si è fatto buio completo, e, inizialmente, non al massimo della potenza, limitando, così, l interazione con gli orari di uscita in caccia delle varie specie di Chirotteri. All interno di locali utilizzati dai Pipistrelli non vanno posizionate fonti di illuminazione artificiale o comunque vanno mantenute spente per tutto il periodo di permanenza degli animali. 107

111 Tabella 3. Schema riassuntivo degli interventi sugli edifici, presi in esame, e relative indicazioni su come operare per la salvaguardia dei Chirotteri. TIPOLOGIA DI INTERVENTO COME OPERARE Verniciatura e trattamenti antitarlo/antifungini del legno Rifacimento di facciate, chiusura di crepe e fessure, pulizia dei camini Pulizia e manutenzione di soffitte e cantine - Verificare se e quando i Pipistrelli sono presenti - Programmare i lavori nei periodi di assenza dei Pipistrelli - Utilizzare prodotti non tossici e senza solventi sintetici - Prevedere il tempo per far svanire la tossicità del prodotto - Verificare se e quando i Pipistrelli sono presenti - Programmare i lavori nei periodi di assenza dei Pipistrelli - Verificare se e quando i Pipistrelli sono presenti - Limitare il disturbo in prossimità dei rifugi - Non ostruire le vie d accesso e di volo Manutenzione e ristrutturazione dei tetti - Verificare se e quando i Pipistrelli sono presenti - Programmare i lavori nei periodi di assenza dei Pipistrelli - Se sono presenti Pipistrelli limitare i lavori alle parti non occupate - Non ostruire le vie d accesso e di volo Creazione di nuove aperture, alterazione di luce e umidità Ristrutturazioni con consistenti cambiamenti di destinazione e volume dei possibili rifugi Installazione di illuminazioni artificiali interne o esterne Allontanare i Piccioni senza compromettere la presenza dei Pipistrelli Presenza di accumuli di escrementi di Pipistrelli Allontanare un Pipistrello accidentalmente entrato in un locale Presenza di Pipistrelli nel cassonetto delle tapparelle avvolgibili - Verificare se e quando i Pipistrelli sono presenti - Evitare la formazione di nuove correnti d aria - Non aumentare l illuminazione del rifugio - Verificare se e quando i Pipistrelli sono presenti - Programmare i lavori nei periodi di assenza dei Pipistrelli - Preservare le aree utilizzate dai Pipistrelli con le relative vie d accesso - Predisporre appositi spazi in volumi non utilizzabili a fini abitativi - Verificare se e quando i Pipistrelli sono presenti - Non illuminare i locali frequentati dai Pipistrelli - Evitare l illuminazione diretta di facciate con vie d accesso ai siti di rifugio - Ritardare l accensione dell illuminazione e limitarne la potenza - Ostruire gli ingressi in volo con sbarre orizzontali - Ostruire gli ingressi in arrampicata con chicane in legno - Se in soffitta posizionare un telo di plastica sul pavimento - Sopra porte o finestre installare una mensola per la loro raccolta - Utilizzare gli escrementi come ottimo concime per piante o fiori - Lasciare aperta la finestra, spegnere la luce e attendere che questo esca spontaneamente - Se non esce e si posa, catturarlo con cautela mediante una scatola di cartone e un cartoncino e poi liberarlo all esterno - Evitare di catturare l animale a mani nude - In caso di difficoltà o in presenza di un animale ferito contattare personale esperto - Posizionare un bordo a spazzola interno per evitare l ingresso accidentale dei Pipistrelli nel locale Interventi per favorire la presenza dei Chirotteri negli edifici # Rendere più ospitale un sottotetto o una cantina E indispensabile, innanzitutto, che il locale sia accessibile ai Pipistrelli, e se non possiede passaggi adatti per l ingresso in volo (aperture libere di almeno 20x30 cm, ma non troppo grandi per rispettare l oscurità del locale e posizionate in modo da non creare correnti d aria) ed altri per l ingresso in arrampicata, andranno creati ex novo. Per questi ultimi occorrono fessure di minimo due centimetri di larghezza aperte in intercapedini o piccoli spazi. Possono essere incrementate posizionando apposite tegole aeranti (Figura 4.8) o lasciando piccole fessure in prossimità di rivestimenti in legno di gronde e facciate. È importante che la superficie dei rivestimenti e della muratura intorno sia scabra, in modo da facilitare l appiglio dei Pipistrelli. In presenza di correnti d aria, se non è possibile chiudere alcune aperture, si può prevedere di suddividere il locale con tramezzi in legno, muratura o pesanti tendoni. Se si tratta di un sottotetto dovrà essere caldo d estate ma non secco, e, per garantire un buon 108

112 tasso di umidità, si possono predisporre ampi contenitori riempiti d acqua e ricoperti da una rete tesa a maglia fine, per evitare che accidentalmente ci cadano i Pipistrelli. Una cantina, che potrebbe ospitare individui in ibernazione, deve avere un buon tasso di umidità e garantire per tutto l inverno una tempera costante tra i +4 e i +12 C. Se è necessario variare o stabilizzare la temperatura del locale si può anche ricorrere all uso di termoconvettori. I rivestimenti interni del locale dovranno essere ruvidi, soprattutto nelle parti più elevate, in modo da consentire l appiglio ai Pipistrelli. Vanno bene i muri in mattoni o con intonaco rustico e i rivestimenti in legno grezzo. Per incrementare le possibilità di rifugio andranno incrementati i ripari a fessura, ad esempio applicando tavole di legno grezzo in corrispondenza delle giunzione delle travi del tetto (Figura 4.9 e 4.10), o attaccando alla pareti in posizione elevata mattoni forati in calcestruzzo (Figura 4.11). A volte i sottotetti, oltre che dai Pipistrelli, potrebbero venir colonizzati da Piccioni, animali che possono creare ben maggiori problemi di convivenza rispetto ai Chirotteri, sia dal punto di vista igienico che da quello del disturbo. E possibile precludere l accesso al sottotetto a questi uccelli, senza impedirlo ai Pipistrelli, applicando elementi di sbarramento alle aperture di accesso. Se le specie di Chirotteri presenti prediligono un ingresso del tipo in volo, è sufficiente applicare all apertura delle sbarre metalliche orizzontali, distanziate tra loro di 6-10 cm, altrimenti, se tollerano anche un ingresso del tipo in arrampicata, è possibile costruire un sbarramento più efficace con due tavole di legno grezzo (deve essere più ruvido possibile per favorire l appiglio ai Pipistrelli) leggermente sfalsate tra loro (Figura 4.12). Figura 4.8 Tegole di aerazione utilizzate dai Chirotteri come vie d accesso al sottotetto. 109

113 Figura 4.7 Predisposizione di rifugi per Chirotteri in volumi non utilizzabili, a fini abitativi, in un sottotetto. A punti d ingresso attraverso apposite tegole aeranti - B Apertura per l ingresso in volo dei Pipistrelli - C Tavoletta in legno grezzo posta in prossimità delle tegole aeranti per facilitare l uscita in arrampicata dei Chirotteri. # Installare rifugi artificiali Un altro sistema per incrementare la presenza di Chirotteri in aree urbane è quello di posizionare sulle pareti di edifici o sugli alberi di parchi o giardini appositi rifugi artificiali; possono essere di vario tipo, forma e materiale, ne esistono di già fatti in commercio ma sono di difficile reperibilità quindi in genere vengono autocostruiti in legno. Quelli denominati bat board (Figura 4.13) vanno posizionati su pareti di edifici ben esposte (sud-est, sud sud-ovest preferibilmente) ad un altezza di almeno 3 o 4 metri. Altri rifugi denominati bat box multicamera (Figura 5.2) sono più adatti per essere collocati anche su grossi alberi. La colonizzazione dei rifugi artificiali o di una soffitta opportunamente adattata non avviene comunque in breve tempo, a volte occorrono anche diversi anni prima che un Pipistrello decida di farvi visita. 110

114 Figura 4.9 Creazione di riparo artificiale di tipo a fessura mediante l applicazione di una tavola di legno grezzo. Figura 4.10 Creazione di riparo artificiale in corrispondenza della giunzione delle travi in legno del tetto mediante la collocazione di due tavole di legno grezzo. 111

115 Figura 4.11 Mattoni in calcestruzzo fissati sulla parete di una cantina, in prossimità del soffitto, per aumentare la disponibilità di ripari per i Pipistrelli. Figura 4.12 Metodi per impedire l ingresso dei Piccioni consentendo comunque il passaggio dei Chirotteri 112

116 65 SCHEMA DI ASSEMBLAGGIO INCISO SUL LATO INTERNO INCISI SUL LATO INTERNO FRONTE SEZIONE VISTA ASSONOMETRICA Figura 4.13 Schema per la costruzione di rifugio artificiale per Chirotteri a camera singola (Bat Board). 113

117 Metodi di esclusione ed allontanamento dei Chirotteri dagli edifici E da premettere che l allontanamento forzato dei Chirotteri da un edificio inteso come rapida soluzione ai vari problemi di convivenza, va sempre in ogni caso evitato, in quanto potrebbe seriamente compromettere la loro sopravvivenza, soprattutto se operato da personale non esperto e con tempi e modalità non appropriati. Esistono però alcuni casi in cui la loro esclusione si rende necessaria: quando si devono fare lavori di ristrutturazione in presenza di una colonia stabile per tutto l anno; per eliminare l uso di alcuni rifugi in posizione particolarmente fastidiosa; quando i proprietari dell edificio non ne tollerano assolutamente la presenza, ecc.. Tali operazioni possono essere effettuate solo da persone esperte ed autorizzate (va ricordato che è necessario un apposito permesso per poter catturare, anche momentaneamente, i Chirotteri) e al di fuori dei periodi critici della riproduzione e dell ibernazione. Se il rifugio è di quelli con entrata in volo bisogna attendere che all imbrunire tutti i Pipistrelli escano e poi chiudere provvisoriamente tutte le vie di passaggio con una rete di plastica a maglie sottili, in modo da impedirne il rientro e poter verificare che non ne siano rimasti intrappolati all interno (Figura 4.14). Dato che, in alcuni casi, singoli individui possono non uscire dal rifugio per una o due notti, bisognerà mantenere la chiusura provvisoria per alcuni giorni e dopo, una volta certi che il rifugio sia vuoto, sostituirla con una definitiva. Con rifugi dall ingresso in arrampicata si potrà posizionare la rete prima dell imbrunire, fissando solo il bordo superiore e quelli laterali. Al momento dell uscita i Pipistrelli, non potendo volare via a causa della rete, scivoleranno vero il basso e usciranno dal bordo inferiore appositamente lasciato aperto. Anche in questo caso non potranno più rientrare e dopo un paio di giorni si potrà togliere la rete e chiudere definitivamente le fessure o iniziare gli eventuali lavori di ristrutturazione. Figura 4.14 Metodo di allontanamento dei Pipistrelli da un cassonetto delle tapparelle mediante rete in plastica a maglie fini. 114

118 GESTIONE FAUNISTICA Reintroduzioni di specie faunistiche FONTE: FORNASARI L., WAUTERS L., PROTOCOLLO DI ATTIVITÀ PER GLI INTERVENTI DI REINTRODUZIONE (E ALLEGATI). IN FORNASARI E VILLA (RED.), LA FAUNA DEI PARCHI LOMBARDI TUTELA E GESTIONE. CD-ROM. REGIONE LOMBARDIA. MATERIALE UTILIZZATO PER LA DGR 20 APRILE 2001, N. 4535, DENOMINATA APPROVAZIONE DEL PROGRAMMA REGIONALE PER GLI INTERVENTI DI CONSERVAZIONE E GESTIONE DELLA FAUNA SELVATICA NELLE AREE PROTETTE E DEL PROTOCOLLO DI ATTIVITÀ PER GLI INTERVENTI DI REINTRODUZIONE DI SPECIE FAUNISTICHE NELLE AREE PROTETTE DELLA REGIONE LOMBARDIA. Spesso la pressione antropica causa la locale scomparsa di specie animali: è esperienza comune osservare una fauna sempre più banale e composta da poche specie parallelamente all intensificarsi delle attività umane e delle trasformazioni del territorio. Questo fenomeno diviene particolarmente preoccupante qualora si giunga alla completa estinzione della specie in un territorio relativamente esteso, secondo un fenomeno che in generale può essere più probabile qualora ricorra almeno una delle seguenti condizioni: presenza di specie endemiche a distribuzione assai ristretta (endemiti puntiformi): anche un intervento umano localizzato può minacciare o distruggere la specie; in generale, è una situazione comune a molti invertebrati dotati di limitate possibilità spostamento, per i quali un lago, una montagna o una grotta possono costituire l unico ambito di presenza; presenza di specie di dimensioni considerevoli (es.: grandi mammiferi), o comunque che abbisognano di territori notevoli per procurarsi nutrimento: tali specie sono seriamente minacciate anche da interventi umani che non portino alla totale artificializzazione di tutto il territorio frequentato; presenza di specie infeudate ad habitat assai specifici ovvero specie ultraspecializzate, per le quali può risultare esiziale ogni perturbazione del ristretto ambiente frequentato a scopo trofico e/o riproduttivo; questa situazione può divenire estrema nel caso degli invertebrati, ad esempio negli insetti monofagi. Nei territori in cui, in tempi storici si sia verificata la locale estinzione di una specie, può essere presa in esame la possibilità di una sua reintroduzione, che può essere attuata utilizzando animali appositamente allevati oppure prelevati da popolazioni naturali sufficientemente ricche (in questo secondo caso si parla di traslocazione ) e, possibilmente, con caratteristiche prossime a quelle delle popolazioni estinte. Un ottima definizione di reintroduzione è stata elaborata dall Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, secondo cui le reintroduzioni debbono essere intese come immissioni di animali in un area ove la specie di appartenenza era da considerarsi autoctona sino alla scomparsa. Le reintroduzioni sono pertanto operazioni non di rado piuttosto complesse che coinvolgono una pluralità di fattori ecologici, etologici ed antropici, allo scopo di contribuire al mantenimento o al ripristino della biodiversità naturale. Va da se che tali operazioni dovrebbero in tempi medi svincolarsi dalla necessità di continua assistenza umana al mantenimento della specie reintrodotta. 1. Reintroduzioni, introduzioni e ripopolamenti E necessario sottolineare che con il termine reintroduzione intendiamo esclusivamente specifiche azioni, attuate sotto rigoroso controllo tecnico-scientifico, il cui unico scopo è favorire la ricolonizzazione di un dato territorio da parte di una specie di cui: 1) sia possibile documentare la presenza storica nell area considerata; 2) si sia ragionevolmente certi della locale estinzione. Il venir dell una o dell altra condizione implica operazioni concettualmente e concretamente assai differenti, che nulla hanno a che fare con la fondamentale finalità delle reintroduzioni nella accezione utilizzata in questa sede, ossia la conservazione a lungo termine di specie o sottospecie animali. L immissione in un dato luogo di una specie alloctona è definita introduzione ed è in generale negativa sotto il profilo faunistico ed ecologico, poiché implica spesso potenziali squilibri, talora assai gravi e tali da mettere in crisi popolazioni di specie autoctone o interi ecosistemi: si pensi 115

119 ad esempio alla situazione assai critica che si è venuta a creare in molti tratti fluviali padani a seguito della comparsa del siluro, grande pesce predatore alloctono che sta minacciando seriamente non solo la sopravvivenza dei suoi competitori autoctoni (trote e lucci), ma anche l intero equilibrio della fauna ittica. Un caso da manuale, ancorché esotico, è quello creatosi in Australia a seguito dell introduzione di mammiferi europei, cosa che in circa 200 anni ha causato nel gruppo dei canguri l estinzione di 6 specie e una grave crisi per altre 4 specie (Short et al., 1992). Infine, un caso europeo, purtroppo poco noto: l introduzione in Inghilterra dello Scoiattolo grigio americano (Sciurus carolinensis) in circa 100 anni ha causato la scomparsa quasi totale della specie locale, lo Scoiattolo rosso della varietà britannica Sciurus vulgaris leucourus (Gurnell e Pepper, 1993); la citata specie esotica si sta ora diffondendo anche in Italia e, in particolare, in Lombardia. Nel caso in cui, viceversa, si immettano nell ambiente contingenti di una specie già presente nei luoghi di intervento, si opera un ripopolamento ; secondo l Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, con questo termine ci si riferisce a immissioni di animali in zone ove la loro specie è già presente in misura variabile con il fine di incrementare il numero di individui o per fini legati al consumismo venatorio e agli interessi economici ad esso collegati. Anche i ripopolamenti non sono privi di rischi, poiché interventi non oculati possono causare gravi fenomeni di inquinamento genetico delle popolazioni locali, con conseguente decremento della biodiversità naturale che, nei casi più gravi, può portare all estinzione dei ceppi autoctoni della specie gestita. Un altro rischio dei ripopolamenti è riconducibile ad aspetti di ordine sanitario: soggetti che vengano rilasciati in aree ove sia già presente una popolazione selvatica sana, anche se ridotta, possono rivelarsi vettori di agenti patogeni (Lanfranchi e Guberti, 1997). Inoltre, l insuccesso pratico di molti ripopolamenti nella ricostituzione di popolazioni stabili ed in grado di autosostenersi con i normali processi riproduttivi è provato da numerosi studi. La IUCN utilizza il termine "rinforzo" o "integrazione" quando l'aggiunta di un numero molto limitato di individui di origine selvatica a una popolazione già esistente di conspecifici viene effettuata per fini di arricchimento di un patrimonio genetico impoverito dalla deriva genetica. 2. Altre finalità delle reintroduzioni In aggiunta agli scopi primari, che restano l unico vero motivo in base al quale intraprendere una reintroduzione, si possono talora individuare ulteriori argomenti, non necessariamente di carattere naturalistico, a supporto di tali iniziative. Accenniamo brevemente ad alcune possibilità: 1) soprattutto a lungo termine e nel caso di ungulati o comunque animali di grande taglia, innesco di possibilità di fruizione turistico-ricreativa; 2) benefici di carattere sociale, specialmente sotto il profilo estetico o culturale, per le popolazioni residenti nei luoghi di intervento; 3) diffusione della cultura naturalistica e sensibilizzazione dell opinione pubblica sui problemi della conservazione della natura; 4) finalità di sperimentazione scientifica, utili alla raccolta di dati sull'ecologia della specie reintrodotta e sugli aspetti più propriamente concreti, tecnico-applicativi, degli interventi di conservazione (v. ad es. Gogan e Barrett, 1987). Per questo insieme di motivi, i progetti di reintroduzione sono progetti multidisciplinari, in cui gli aspetti strettamente biologici devono essere integrati con gli aspetti legislativi, economici e sociali. Nella situazione ideale, il programma di lavoro dovrebbe prevedere la creazione di un gruppo operativo comprendente uno o più faunisti (biologi o naturalisti), funzionari delle pubbliche amministrazioni con competenze in materia ambientale, rappresentanti dell associazionismo locale, consulenti con competenze legislative, finanziarie e organizzative (van Dierendonk e Wallis de Vries, 1996). 3. Perché le specie scompaiono In prima approssimazione, ci si può riferire alla seguente casistica dei fattori che stanno alla base di fenomeni di estinzione di determinate specie in ambito locale o nell intero areale distributivo. La persecuzione diretta, orientata su singole specie e sistematicamente operata, è ovviamente una delle più semplici cause di estinzione; in Europa si tratta di un fenomeno importante soprattutto nei confronti si specie che in qualche modo competono con l uomo nell utilizzo delle risorse naturali, quali rapaci e carnivori. Ad esempio lo Sparviero e l Astore vennero perseguitati sistematicamente fino agli anni '60 in Belgio, dove le associazioni colombofile ne incentivavano l'eliminazione; analogamente dicasi per la Lontra, la cui persecuzione era incentivata dalle associazioni di pescatori. In Italia, nell 800, Lupo e 116

120 Orso sono praticamente scomparsi dalle Alpi anche per l'esistenza di premi per i loro abbattimenti. Talora questi temi si sovrappongono a scenari più complessi, nei quali rientrano fluttuazioni collegate ai cicli vitali delle specie: ad esempio il maggiolino (Melolontha melolontha), negli ultimi anni si osserva con bassa frequenza in Lombardia; pochi decenni fa venivano però erogati premi in denaro a chi consegnasse alle pubbliche autorità tali organismi, che in caso di pullulazione risultavano nocivi alle coltivazioni. L'attività venatoria ha esercitato una altrettanto ovvia influenza sulle popolazioni di diverse specie cacciate: soprattutto gli ungulati tra i mammiferi ed i galliformi tra gli uccelli hanno risentito pesantemente di tali attività. Esempi lampanti ci vengono dalla scomparsa delle specie tipiche dei semi-deserti nord-africani e asiatici, avvenuta con la comparsa della caccia "motorizzata", che ha molto facilitato l'ingresso in ambienti prima quasi inaccessibili. Analogamente ha agito il prelievo esercitato sugli animali da pelliccia, comune fino ai primi decenni del secolo e distruttivo per diverse specie di felini e di mustelidi. Sotto forma di bracconaggio organizzato a livello commerciale, il prelievo eccessivo continua specie ormai su rarissime ed altamente simboliche come la tigre, il rinoceronte africano e l'elefante. Una caccia particolare riguarda molti invertebrati, soprattutto insetti e molluschi: nel caso di specie o sottospecie particolarmente ricercate per la loro bellezza o rarità anche l attività collezionistica può essere determinante, soprattutto quando condotta con l impiego di trappole innescate e rivolta ad endemiti. Circa l importanza di meccanismi di predazione o competizione da parte di specie intenzionalmente o casualmente introdotte dall'uomo si è già detto, citando il caso del Siluro e dei Canguri. Anche della più generale possibilità di crisi a seguito delle modificazioni dell ambiente si è già detto. Si può osservare una certa corrispondenza tra questa ripartizione e la effettiva esecuzione di programmi di reintroduzione. La prima osservazione riguarda il fatto che le specie reintrodotte sono nella maggior parte dei casi tra quelle scomparse a seguito di caccia o persecuzione diretta. A questo riguardo, si può in genere osservare che l elevato valore socio-economico di queste specie, con la sovrapposizione della cultura della conservazione della natura, si è trasformato in una spinta verso il recupero. Ciò è particolarmente evidente per le specie di interesse venatorio, la cui gestione spesso è sostenuta dallo stesso mondo venatorio. Nel caso dei predatori, le reintroduzioni di rapaci sono generalmente accettate o tollerate, mentre quelle di grosse specie di carnivori sono state in molti casi avversate. Poiché non ha senso operare reintroduzioni se permangono i motivi che hanno messo in crisi la specie in esame, non ha molto senso procedere all immediata reintroduzione di specie scomparse a seguito di introduzioni di predatori o competitori ovvero di distruzione dell ambiente naturale: occorre infatti innanzitutto eliminare queste perturbazioni. Ad esempio, molte specie di vertebrati inferiori e moltissimi invertebrati si trovano in uno stato di pericolo a causa della riduzione o dell'inquinamento degli habitat, e molte di esse si possono considerare "interessanti" nella redazione di programmi di riqualificazione ambientale: per limitarsi alle specie europee, programmi di riproduzione in cattività e rilascio sono in corso per l'ululone a ventre rosso e il Rospo smeraldino in Svezia, la Lucertola agile in Gran Bretagna, la Testuggine comune in Francia, il Pelobate fosco in Lombardia, nonché sul piccolo rospo Alytes muletensis endemico dell'isola di Majorca, con animali riprodotti negli zoo di Jersey e di Francoforte (Corbett, 1989). 4. Fattibilità degli interventi Presupposto alla base di una qualsiasi operazione di reintroduzione deve essere una attenta indagine di campo; da tale indagine dovrebbero emergere tutti gli elementi necessari per risalire ai motivi della scomparsa della specie e per verificare che essi siano stati effettivamente rimossi. Le principali circostanze da verificare sono: 1) che l'habitat della specie esista ancora in misura tale da ospitare una popolazione autosufficiente; 2) che tale habitat sia soggetto a misure di protezione a lungo termine; 3) che la nuova popolazione sia protetta completamente o sottoposta a rigide misure di controllo. In effetti, la quasi totalità delle specie di ungulati reintrodotte sono sottoposte alla tutela legislativa, che prevede la protezione completa (Stambecco sulle Alpi, Orice e altre antilopi in 117

121 Medio Oriente) o un prelievo controllato secondo piani di abbattimento (Camoscio sulle Alpi, Cervo e Pecora delle Montagne Rocciose in America settentrionale). Addirittura nel caso del Cervo in Canada la preparazione di piani di abbattimento è stata considerata una parte necessaria tra le attività progettuali, per prevenire il calo del numero di animali che spesso si verifica dopo il raggiungimento della capacità portante (Gogan e Barrett, 1987). Studi a lungo termine sulle popolazioni di Castoro reintrodotte in Svezia hanno suggerito che, in specie con tassi di crescita particolarmente rapidi, la caccia controllata durante la fase di incremento contribuisca a prevenire crolli incontrollati del livello di popolazione dovuti a supersfruttamento delle risorse alimentari (Hartman, 1994). Anche nelle popolazioni di ungulati che si sviluppano in seguito a operazioni di rilascio, è frequente la crescita iniziale secondo il modello logistico, seguita da un rapido crollo quando viene superato il tetto delle risorse a disposizione. Questo argomento non è da sottovalutare, in quanto spesso proprio gli ungulati possono dare problemi di grave portata al mantenimento delle comunità vegetali, talvolta altrettanto rare e minacciate. Un caso emblematico è rappresentato da una reintroduzione della Capra bianca americana (Oreamnos americanus): la rapida proliferazione dei soggetti rilasciati nello Olimpic National Park in Alaska ha portato ad effetti drastici sulla copertura vegetale, con cambiamenti di composizione nella flora e erosione del suolo (Scheffer, 1993); i problemi creatisi sono risultati così gravi che si è infine optato per la totale rimozione della popolazione reintrodotta. Nel caso in cui l'habitat sia troppo alterato o frazionato, è necessario prevedere la sua riqualificazione, attraverso misure dipendenti dalle esigenze biologiche della specie interessata. Possiamo distinguere tre livelli di intervento: 1) misure di ordine trofico, legate alla disponibilità di cibo o di acqua; 2) misure di ordine strutturale a livello dei territori occupati da ogni singolo animale (presenza di rifugi e siti riproduttivi) e dell'area occupata dall'intera popolazione (estensione dell'habitat, permeabilità della matrice ambientale); 3) misure gestionali sulle altre specie, orientate al controllo dei predatori o dei competitori naturali o all'eliminazione di predatori e competitori di origine alloctona. Il primo punto è in genere di facile approccio, ad esempio tramite la predisposizione di punti deputati all abbeverata o alla somministrazione di cibo in caso di necessità; ad esempio, nel caso degli avvoltoi si procede normalmente al rifornimento di carcasse in siti denominati "carnai". Gli altri due punti presuppongono maggior possibilità di intervento sul territorio, che non sempre è facilmente ottenibile. 5. Reperimento degli animali E necessario discriminare le reintroduzioni eseguite con soggetti provenienti da stock di animali mantenuti in cattività e le reintroduzioni eseguite con il trasferimento di animali prelevati da habitat naturali. Le prime riguardano specie molto rare, spesso minacciate di estinzione o già estinte allo stato selvatico, le seconde riguardano specie rare o estinte a livello locale. Il prelievo in natura deve logicamente essere sopportato dalla popolazione di origine: in un caso di reintroduzione di pecora delle Montagne Rocciose (Ovis canadensis) in Colorado, la rimozione di 53 animali (in tre successivi prelievi nell'arco di 5 anni) da una popolazione totale di circa 120 individui è risultata profondamente incisiva sulla dinamica della popolazione di origine, a causa della scarsa velocità di ripresa. Il reclutamento è risultato così scarso da necessitare di oltre sette anni per il recupero di uno soltanto dei tre prelievi (Stevens e Goodson, 1993). Al contrario, prelievi di entità molto scarsa e assolutamente non influenti sulla dinamica della popolazione di origine possono risultare impossibili a causa di una opposizione da parte degli enti di gestione del territorio o delle organizzazioni di cittadini, per un malinteso senso di proprietà degli animali coinvolti. Una tale opposizione è stata all origine della sospensione di un programma di reintroduzione dello Scoiattolo rosso nel Parco di Monza, in Lombardia. Una delle prime reintroduzioni eseguite con soggetti provenienti dalla cattività è stata quella del bisonte europeo (Bison bonasus), estinto allo stato selvatico tra la fine dell'800 e il 1925 e reintrodotto con successo nella foresta polacca di Bialowieza dopo la seconda guerra mondiale. Un esempio di reintroduzione in seguito a estinzione locale si è avuto in Lombardia, dove alcuni parchi regionali che comprendono frammenti isolati di foresta nella Pianura Padana hanno intrapreso la reintroduzione dello Scoiattolo rosso. Simili operazioni, di interesse apparentemente relativo per la conservazione delle popolazioni coinvolte, possono avere in realtà una importanza rilevante come esperimenti per la valutazione delle tecniche e delle 118

122 procedure di intervento, soprattutto nei casi (come questo) in cui la stessa specie o specie simili abbiano problemi di conservazione assai maggiori in altre parti dell'areale. Per molte specie la situazione è così drammatica che le popolazioni in cattività racchiudono la totalità o la quasi totalità degli individui residui. Grazie a un coordinamento a livello internazionale tra gli zoo di maggiore importanza, si è sviluppato un sistema di controllo del pool genetico per così dire "a disposizione" per ciascuna specie, così da programmare la riproduzione tra individui anche di zoo diversi, allo scopo di contenere la perdita di diversità genetica e limitare gli accoppiamenti tra consanguinei. Le informazioni necessarie sono raccolte nei cosiddetti Stud-book, preparati dai biologi dei diversi centri (per l'okapi ad esempio dallo zoo di Anversa). Casi particolari riguardano popolazioni naturali residue ad areale molto ridotto, per le quali è spesso opportuno procedere al trasferimento di tutti o di una parte degli individui. Un buon esempio è rappresentato dall'intervento effettuato a favore del silviide Acrocephalus sechellensis. Endemica dell'isola Cousin, nelle Seychelles, questa specie constava nel 1959 di una popolazione complessiva di soli 26 individui (Crook, 1960), a causa della riduzione degli habitat naturali per la coltivazione della palma da cocco. Attraverso la successiva gestione dell'isola come riserva naturale, la popolazione di A. sechellensis ha raggiunto la consistenza di 320 individui alla fine degli anni '80, quando è stato attuato il trasferimento di due nuclei di 29 individui ciascuno nelle due isole Cousine e Aride, allo scopo di diminuire il rischio di estinzione per eventuali catastrofi naturali (Komdeur, 1994). 6. Costi economici e sociali Per la riuscita di una reintroduzione è necessario che siano soddisfatte due condizioni: 1) una adeguata disponibilità economica per tutte le fasi dell'operazione; 2) la non opposizione della popolazione locale, o meglio ancora il suo coinvolgimento e la sua cooperazione. Sia i problemi di tipo finanziario, che quelli di tipo sociale e culturale, hanno evidentemente una portata diversa nei paesi sviluppati e in quelli del terzo mondo, dove per la riuscita di operazioni di reintroduzione può risultare decisivo il supporto economico di organizzazioni internazionali o fondazioni private. Nei paesi sviluppati questi costi sono spesso coperti dalle strutture governative o dalle amministrazioni locali. La maggior parte dei progetti di reintroduzione attuati nei confronti dei vertebrati riguarda specie che condividono le seguenti caratteristiche 1 : 1) la rarità (il numero di individui disponibili per i rilasci è basso); 2) le grandi dimensioni, cui si accompagna generalmente la lunga durata di vita; 3) il basso tasso riproduttivo, che limita la diffusione successiva al rilascio. La conseguenza è che i progetti devono necessariamente essere a lungo termine e quindi richiedono risorse finanziarie e appoggio politico per lunghi periodi. In casi come quello della Gazzella delle sabbie e dell'orice d'arabia (Haque e Smith, 1996) sono stati coinvolti governi e organizzazioni internazionali; situazioni come quelle dello Stambecco nell'arco alpino si sono basate invece su risorse provenienti dalle amministrazioni regionali; progetti su scala più ridotta possono basarsi su fondi anche di un singolo parco. La cooperazione internazionale è fondamentale nel caso dei paesi del terzo mondo: per il ripristino di popolazioni selvatiche di Cavallo di Przewalski risultano coinvolte l'onu e la FAO, si sono finora tenuti cinque simposi internazionali e sono in corso cinque programmi di riproduzione in cattività, con uno stock complessivo di 1200 animali; i progetti di reintroduzione in corso sono sette (3 in Mongolia, 2 in Cina, 1 in Kazakistan, 1 in Ucraina). La mancanza di cooperazione internazionale può essere altresì un freno: un branco acclimatato di Orici scimitarra, preparato al rilascio da un centro israeliano, non trova al momento accoglienza nei paesi arabi che ne racchiudono l'areale originario (Yosef, in verbis). L'aspetto più strettamente sociale può essere altrettanto importante, al punto da richiedere studi per valutare gli impatti, i costi e i benefici del programma di reintroduzione per la 1 Diversa è la situazione degli invertebrati, per i quali è in genere verificata solo la prima condizione, mentre si può di regola contare su un tasso riproduttivo ben più elevato di quanto osservabile nei vertebrati, per l elevatissima produzione di uova; i problemi sono pertanto assai diversi e, in particolare, non si può contare sull età dei singoli esemplari per stabilizzare la popolazione. 119

123 popolazione umana locale. In particolare si deve tener conto dell'impatto visivo ed emotivo della specie, soprattutto se la causa primaria dell'estinzione è stato il fattore umano (prelievo o persecuzione). In relazione a questo aspetto, si devono valutare anche i rischi per le proprietà (colture o bestiame) o al limite per la sicurezza della popolazione umana, ovvero i rischi di bracconaggio sui soggetti rilasciati. L'IUCN a questo proposito attribuisce una grande importanza al quadro legislativo esistente sia a livello locale (nazionale) sia internazionale. Per alleviare i problemi legati al bracconaggio, una misura adatta può essere l'effettuazione di campagne di divulgazione e sensibilizzazione dell'opinione pubblica, che potrebbe coinvolgere anche gli organi di gestione e sorveglianza come pure le organizzazioni scientifiche e naturalistiche. Anche queste attività richiedono tuttavia risorse economiche per la produzione e diffusione del materiale divulgativo. Il coinvolgimento "positivo" della popolazione locale può risultare dalle stesse attività di sorveglianza e protezione, che possono produrre posti di lavoro, come accade normalmente nei grandi parchi nazionali africani (v. Schaller, 1993). Nei paesi industrializzati, l'accettazione di interventi di reintroduzione è maggiormente connessa agli aspetti emotivi e culturali. Sono stati avversati ad esempio i progetti di immissione del lupo in America settentrionale e dell'orso nelle Alpi italiane. Inizialmente è apparsa problematica anche la reintroduzione della lince in Svizzera, contrastata da cacciatori e allevatori per i danni alla fauna selvatica e alle greggi (Breitenmoser e Haller, 1993). Per il rilascio del Gipeto (Gypaetus barbatus) sulle Alpi, l'accettazione da parte della popolazione locale (atteggiamento e preparazione di autorità e opinione pubblica) è stata uno degli aspetti decisivi nella selezione delle aree. L'opposizione locale sollevata in Svizzera ha fatto sì che venissero escluse le aree di Münstertal e Bern- Wallis, a vantaggio di zone alpine francesi e austriache (Genero e Perco, 1992). Il "Progetto Gipeto" rappresenta l'esempio tipico di cooperazione internazionale: animali mantenuti negli zoo di numerosi paesi europei sono stati utilizzati in un programma di reintroduzione in cui anche le attività di rilascio sono state concordate a livello sovranazionale, tra tutti i paesi dell'arco alpino, con il sostegno anche di organizzazioni internazionali come il WWF e la IUCN. Una mancata comunicazione nei confronti della popolazione locale può far rischiare il fallimento del progetto, come è avvenuto in Nepal in un'area destinata alla conservazione del Leopardo delle nevi (Oli et al., 1994). L'accettazione da parte della popolazione umana locale è indispensabile anche nelle eventuali aree di prelievo, allo scopo di prevenire azioni di "boicottaggio" durante le operazioni di cattura (Fornasari et al., 1997). Un aspetto che non può essere trascurato nel mantenimento di una opinione pubblica positiva è la predisposizione di fondi e iter per il rimborso di eventuali danni e la preparazione di piani di intervento nel caso di conseguenze negative. 7. Costi biologici In un certo senso, anche le operazioni di reintroduzione sono da considerarsi interferenze dell uomo nei processi naturali e, in quanto tali, possono essere fonte di ulteriori squilibri; il punto è stabilire (e in certa misura prevedere) se questi squilibri rientrano in un normale processo di assestamento ecologico, in vista del raggiungimento di uno stato di relativa stabilità, oppure se in termini ecologici la scomparsa della specie non sia più recuperabile in quanto l habitat allo stato di fatto non è più in grado di reagire positivamente alla ricomparsa del taxon estinto. In altre parole, è essenziale valutare le interazioni tra le caratteristiche biologiche di queste specie e le caratteristiche dell'habitat. Per l adeguata progettazione dell intervento è quindi necessaria la buona conoscenza della storia naturale delle specie coinvolte (che spesso manca nel caso di specie rare). I due principali problemi finora riscontrati nella pratica corrispondono al sovrapascolo distruttivo da parte di popolazioni di ungulati e alla predazione eccessiva (il cosiddetto surplus killing) da parte di predatori su popolazioni di prede che, a causa di una prolungata assenza di predatori dal loro areale, abbiano perso le adeguate risposte comportamentali. Nella scelta delle decisioni da adottare un buon aiuto è spesso fornito dalla preparazione di semplici modelli matematici di sviluppo demografico delle popolazioni. Seguendo lo sviluppo numerico delle popolazioni, è possibile intervenire prima che queste raggiungano dimensioni critiche. Gli strumenti di previsione demografica sono importanti anche per ottimizzare la struttura sociale e il rapporto tra i sessi nel gruppo dei "fondatori", soprattutto per le specie con struttura sociale complessa. Diverse specie soprattutto tra i mammiferi danno luogo ad harem con un 120

124 solo maschio e diverse femmine; le femmine di età diversa hanno diverso tasso riproduttivo, diverse probabilità di sopravvivenza, diversa probabilità di produrre piccoli di sesso maschile o femminile. Questo tipo di dati si può utilizzare per calcolare il minimo di individui necessario per sesso e classe di età, per rendere minima la probabilità di estinzione, sia nella popolazione rilasciata sia in quella oggetto del prelievo (v. ad es. Saltz, 1996, per il Daino persiano Dama dama mesopotamica in Israele). In questi casi è opportuno che gli animali abbiano il tempo di costituire gruppi organizzati prima del rilascio, entro i cosiddetti "recinti di acclimatazione". 8. Progettazione Il primo problema da risolvere dopo aver verificato la fattibilità tecnico-scientifica della reimmissione, consiste nel definire l'organigramma del personale da coinvolgere nel progetto e nel determinare quali siano mezzi, strumenti e materiali necessario. Da queste informazioni si potranno quindi ricavare i costi complessivi dell intervento. La situazione ideale si verifica quando al personale tecnico vero e proprio (biologi e naturalisti, con un supporto veterinario) si affiancano gruppi organizzati come il personale di sorveglianza delle pubbliche amministrazioni (guardiaparco, guardie venatorie, guardie forestali, guardie ecologiche volontarie) o volontari di associazioni protezionistiche o venatorie. Questo coinvolgimento può risultare fondamentale per la diffusione delle informazioni in modo positivo nella popolazione locale, oltre ad aumentare in modo insostituibile la capacità di monitoraggio e di intervento sui soggetti rilasciati. Altrettanto importante, dal punto di vista della fattibilità, è il fatto che questi contributi lavorativi non influiscono sul budget del progetto. Interazioni importanti sono anche quelle con il mondo cosiddetto scientifico. Procedere affiancati a strutture universitarie permette di utilizzare al meglio i dati raccolti, di accedere a banche dati già esistenti e alla letteratura specializzata. Tra le ricadute di questo contatto vi è certamente lo scambio di informazioni sulla biologia della specie interessata, in un flusso che può procedere nelle due direzioni. Il costo dei materiali dipende inevitabilmente dalle caratteristiche della specie e, a parità di condizioni, dal numero di individui utilizzati: particolarmente onerose potranno risultare necessità connesse all utilizzo di recinti per ungulati o altre strutture di mantenimento. Altre voci nel capitolo costi riguardano l'eventuale materiale per le catture (trappole ed esche), per la manipolazione (strumenti per la misura e la raccolta di dati biologici) e il trasporto (contenitori, mezzi di trasporto o carburante), per il monitoraggio post-rilascio (per esempio binocoli, radio-emettitori, antenne, ricevitori) e per l'analisi dei dati (computer). Il costo aumenta in modo esponenziale se il programma si sviluppa su scala pluriennale, come avviene normalmente con specie a basso tasso riproduttivo quali ungulati, rapaci o altri grandi predatori. In genere, i costi maggiori si avranno con i vertebrati piuttosto che con gli invertebrati, anche se in questo secondo caso si sarà di regola obbligati ad operare su un numero assai maggiore di soggetti. Sempre in prima approssimazione, per gli invertebrati potrebbero rivelarsi economicamente importanti interventi di ricostruzione dell habitat, con particolare riferimento a specie oligofaghe o monofaghe, per le quali si potrebbe dover affrontare la necessità di riproduzione delle piante nutrici. Infine, passo indispensabile per la reimmissione è l'autorizzazione di legge, vuoi per la cattura, vuoi per il rilascio. Nel caso specifico italiano, la competenza in materia è demandata alle regioni, che devono richiedere parere all'istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. 9. Il reperimento dei nuovi soggetti Per progettare le reintroduzione occorre innanzitutto accertare la disponibilità dei fondatori della nuova colonia; mentre per i vertebrati si potranno secondo i casi utilizzare animali selvatici o allevati, per gli invertebrati si utilizzeranno soggetti provenienti dallo stato selvatico, che potranno eventualmente essere allevati per un breve periodo (per ottenere, ad esempio, la fecondazione delle femmine, ovvero la deposizione delle uova, ovvero larve dell ultima età o crisalidi) e quindi rilasciati. La scelta del sito di prelievo dipende: a) dalla distribuzione attuale della specie interessata e in particolare dalla individuazione di popolazioni sufficientemente abbondanti e in grado di mantenersi anche in caso si verifichi un prelievo; b) dalle caratteristiche ambientali dell'area destinata al rilascio (il caso ideale è che l'habitat nel sito di rilascio e nel sito di prelievo siano molto simili, così da facilitare l'acclimatazione 121

125 dei soggetti traslocati); c) dalla distanza dal sito di rilascio (in caso sia possibile effettuare una scelta, alle distanze più basse corrispondono minori rischi legati al trasferimento e probabilmente condizioni ecologiche e climatiche più simili; la minore distanza diminuisce anche la probabilità di inquinamento genetico). Nel caso specifico dell'italia, in cui diversi programmi sono già stati attuati o sono tuttora in corso, si è riscontrato come le operazioni siano agevolate quando i siti di prelievo rientrino nell'ambito di zone di protezione o di gestione attiva del territorio, quali parchi e riserve naturali. Per verificare lo stato della popolazione di provenienza dei soggetti, è necessario effettuare censimenti, che possono richiedere la partecipazione di numerose persone (su breve periodo). Il livello del prelievo sostenibile dipende evidentemente dalle caratteristiche demografiche della specie coinvolta; è chiaramente opportuno non procedere alla asportazione di percentuali significative della popolazione di origine. L'eventuale disturbo può essere ulteriormente ridotto procedendo alle catture nel periodo post-riproduttivo, quando il numero di soggetti aumenta in modo considerevole e il prelievo può venire diretto su classi di età interessate da mortalità elevata o alto tasso di dispersione. Anche in questa fase possono venire in aiuto i modelli demografici utilizzati per valutare la probabilità di estinzione (Ballou, 1997). Si ritiene normalmente necessario che i soggetti rilasciati abbiano un grado elevato di diversità genetica, ovvero che abbiano una variabilità genetica rappresentativa dell'intera popolazione di provenienza. Per questo fine è necessaria una programmazione adeguata delle attività di cattura (dispersione dei siti) o un controllo della variabilità genetica nel caso di soggetti provenienti dalla cattività. Le teorie della genetica di popolazione fanno ritenere che per il mantenimento del livello originario di eterozigosi nella nuova popolazione sia necessario un minimo di 20 fondatori (Allendorf, 1986), tuttavia con le moderne tecniche di analisi biomolecolare la verifica diretta di laboratorio della diversità genetica mediante comparazione del DNA non costituisce, almeno tecnicamente, un problema. 10 L area e le condizioni di rilascio Se le operazioni di reintroduzione sono state progettate sulla base di esigenze locali, ad esempio rispondendo ad un esigenza di un determinato parco che abbia valutato positivamente l opportunità di reintrodurre elementi faunistici caratteristici, la scelta del sito di rilascio sarà relativamente obbligata e le ulteriori valutazioni riguarderanno le probabilità di riuscita della reintroduzione in una-poche aree disponibili. Se il progetto di reintroduzione fa invece parte di un programma più ampio, impostato focalizzando l attenzione su una determinata specie, anche la scelta del sito (o dei siti) di rilascio costituisce un ulteriore variabile; inoltre, tale scelta ha una grande influenza sulla probabilità di successo della reintroduzione. Griffith et al. (1989) riassumono il risultato di diverse operazioni, riscontrando su mammiferi e uccelli un successo maggiore nel centro dell'areale storico (76% di 133 tentativi) rispetto al suo margine (48% di 54 tentativi). Ciò si spiega in parte con il fatto che sul margine dell'areale le condizioni ecologiche sono spesso lontane dall'optimum, con una influenza diretta sulla demografia (Boitani, 1997). Altrettanto importante può risultare la qualità e la continuità dell'habitat nella zona di rilascio. La valutazione della qualità discende da misure relativamente facili, ad esempio sulla disponibilità delle risorse alimentari (produzione di semi, biomassa di piante erbacee, densità di prede; nel caso di insetti oligofagi o monofagi è evidentemente essenziale una adeguata presenza di piante ospiti) o sulla struttura del territorio e della vegetazione. Nei modelli di valutazione ambientale per lo Stambecco sono state prese in considerazione ad esempio l'altitudine, l'esposizione e la pendenza dei versanti, che influenzano la persistenza della neve e con essa l'accessibilità delle risorse alimentari nella cattiva stagione (Tosi et al., 1990); per lo Scoiattolo nel Parco regionale delle Groane sono state prese in considerazione la composizione e la copertura della vegetazione arbustiva e arborea, insieme alla produttività di frutti di querce e pini (Fornasari et al., 1997). Più complessa è invece la valutazione di quanto influisca la frammentazione degli habitat idonei: la teoria delle metapopolazioni, che prende in considerazione il flusso di individui e di geni tra frammenti diversi dello stesso habitat, spiega come la persistenza di una specie in un'area dipenda dal grado di frammentazione dell'habitat utilizzato (Wilcox e Murphy, 1985). I dati sperimentali riassunti da Andrén (1994) mostrano che la percentuale di habitat idoneo sull'intera area considerata, per evitare gli effetti dell'isolamento dovuti alla frammentazione, deve essere superiore al 30%. Anche per alcuni 122

126 invertebrati è stata dimostrata l importanza del ruolo delle metapopolazioni: ciò vale ad esempio per la Baccante, una bella farfalla legata al margine dei boschi, per la quale pare non abbia senso concentrare gli sforzi di tutela e conservazione su un unica popolazione. I problemi sono diversi nel caso di specie estinte in natura. Per il Cavallo di Przewalski, allo scopo di individuare le aree più opportune per il rilascio sono stati utilizzati dati paleontologici sull'habitat di popolazioni preistoriche (Bouman e Bouman, 1994) e dati attuali relativi a specie simili ancora viventi allo stato selvatico (van Dierendonk e Wallis de Vries, 1996). Le informazioni sugli ultimi siti occupati sono certamente utili, anche se questi non sempre rappresentano l'habitat ottimale, come è stato verificato ad esempio dopo diversi anni dalla reintroduzione, peraltro riuscita, dell'oca delle Hawaii (Black et al., 1993). Lo spettro delle tecniche utilizzabili per la cattura degli animali è molto ampio, al punto che per ogni specie è possibile (e talora necessario) sviluppare una tecnica ad hoc, con lo scopo principale di minimizzare i rischi per gli animali e di ottimizzare lo sforzo. Per uccelli, mammiferi ed insetti si impiegano normalmente reti e trappole. La cattura è agevolata per le specie territoriali, posizionando i mezzi di cattura in prossimità dei siti riproduttivi o degli abituali siti di alimentazione o di riposo. E' anche possibile utilizzare il cosiddetto pre-baiting (foraggiamento): gli animali vengono abituati alla presenza e alla frequentazione delle strutture artificiali con la messa a disposizione di cibo in continuità. In questo modo, grazie al controllo della risposta degli animali, è possibile aumentare significativamente l'efficienza di cattura. L'impiego delle trappole obbliga in generale a fornire all'animale catturato rifugio ed alimentazione fino al momento in cui la trappola viene controllata. Per evitare una permanenza troppo prolungata, è anche possibile dotare le trappole di un sensore di chiusura, che può venire controllato via radio. Il controllo è forzatamente continuo quando si impiegano le reti. Nel caso di catture con battuta (utilizzate per molti ungulati o fasianidi) l'asportazione dell'animale dalla rete è immediata. Le trappole opportunamente progettate possono fungere anche da contenitore per il trasporto, permettendo di mantenere l'animale isolato e tranquillo, senza richiedere una manipolazione aggiuntiva. La riduzione al minimo del tempo di cattura e trasporto è essenziale soprattutto per le specie di piccole dimensioni, caratterizzate da metabolismo particolarmente elevato, per cui un soggiorno in gabbia troppo lungo potrebbe anche risultare letale (v. Komdeur, 1994). In generale, il trasporto deve comunque essere organizzato in modo tale da ridurre lo stress per gli animali e di conseguenza ridurre anche i fabbisogni metabolici. Accorgimenti in questo senso sono il mantenimento al buio e la limitazione dei movimenti (anche per evitare ferite o fratture dovute a movimenti scomposti). Nel caso di insetti il ricorso alle trappole deve essere accompagnato da controlli assai frequenti, soprattutto nel caso di trappole a caduta ovvero nasse, per evitare danni agli organismi imprigionati. Particolari cautele dovranno inoltre essere riservate alle specie più delicate, quali le farfalle, oppure agli stadi larvali. Per evitare di trasferire animali ammalati o con un alto carico di parassiti, è opportuno procedere ad un controllo veterinario se possibile già al momento della cattura. Tra i mammiferi le specie più grandi o più pericolose richiedono l'uso di narcotici, sia per la sicurezza degli animali sia degli operatori. In questo caso il narcotico, iniettato a distanza con siringhe sparate da fucili, è un vero e proprio mezzo di cattura. La messa a punto delle dosi adatte alla specie è un aspetto molto delicato: la narcosi viene utilizzata anche per agevolare il trasporto, ma sempre accompagnata da un monitoraggio veterinario continuo delle condizioni di ogni singolo individuo. Può essere necessaria di routine anche la idratazione forzata attraverso fleboclisi. In questo tipo di operazioni è inevitabile che si verifichi una certa mortalità, anche per fattori fisiologici al di fuori dal controllo degli operatori. E' importante comprendere quali sono i fattori prossimi che agiscono nel determinare questa mortalità, per assicurare il successo dell operazione ma anche per trasmettere le informazioni alla comunità scientifica, così da migliorare anche l'efficacia di interventi futuri. I soggetti provenienti dalla cattività richiedono spesso per il rilascio l'impiego di recinti di acclimatazione (tecniche di soft-release). I vantaggi offerti da questa scelta sono molteplici: il controllo degli animali dal punto di vista sanitario e verso i predatori, la possibilità di familiarizzare con il territorio di rilascio, la facilità di interventi di sostegno (disponibilità di cibo, acqua, sale, rifugi). Il monitoraggio continuo del comportamento degli animali permette di verificare il corretto adattamento alla nuova situazione anche dal punto di vista 123

127 comportamentale. Questa tecnica è impiegata di frequente con gli ungulati: tra le specie del deserto esempi sono l'orice d'arabia nel Negev israeliano come pure la Gazzella delle sabbie in Arabia Saudita. Quando si ritiene che i problemi di acclimatazione siano superati, si procede semplicemente all'apertura dei recinti, che spesso continuano a venire utilizzati. Si ha l'evidente svantaggio economico del pagamento del personale e del mantenimento degli animali per periodi lunghi, di durata anche superiore all'anno. Negli individui provenienti dallo stato selvatico, il mantenimento in cattività anche ai fini dell'acclimatazione può essere controproducente a causa dello stress indotto e, se questo viene superato, a causa dell'eventuale abitudine alla presenza umana. Ciò può essere pericoloso per gli animali una volta che siano stati rilasciati (maggiore possibilità di bracconaggio o di incidenti) e anche per l'uomo, se si tratta di specie predatrici. In questi casi è certamente consigliabile procedere ad un rilascio immediato (il cosiddetto hard-release). Il successo del programma può comunque dipendere dalla disponibilità di un supporto iniziale, sotto forma della aumento delle risorse alimentari (si vedano i carnai per gli avvoltoi) o della predisposizione di rifugi o di siti riproduttivi (ad es. cassette nido per uccelli o per scoiattoli). La scelta del momento del rilascio è un altro aspetto importante, sia per motivi legati alla variazione stagionale del clima e della disponibilità di risorse, sia per motivi dipendenti dalla fisiologia delle specie interessate; per gli uccelli un momento molto delicato è ad esempio quello della muta; la conoscenza precisa di questi aspetti è inoltre fondamentale per gli insetti, per i quali si dovrà inoltre valutare quale stadio (uovo, stadio larvale, adulto) sia da preferire sia per il prelievo sia per il rilascio. 11. Controllo di riuscita Per valutare la riuscita di una reintroduzione si devono individuare, al momento del progetto, degli indicatori. L'indicatore ultimo è senza dubbio la formazione di una popolazione strutturata e autosufficiente, gli indicatori prossimi possono essere l'insediamento nel sito di rilascio, la sopravvivenza a lungo termine, la riuscita della riproduzione. Il monitoraggio di questi indicatori può essere campionario o complessivo (su parte o su tutti gli individui rilasciati), diretto o indiretto (attraverso osservazioni o rinvenimenti di segni di presenza), a breve o a lungo termine. Le scelte dipendono evidentemente dalle risorse finanziarie disponibili, ma anche dalla contattabilità della specie e dalle sue caratteristiche biologiche (alto o basso tasso riproduttivo, alta o bassa selettività ambientale). Nella situazione ideale, il monitoraggio iniziale della sopravvivenza e del comportamento di ogni individuo rilasciato permette di calibrare immediatamente ogni eventuale intervento di sostegno. Per i vertebrati, la radiotelemetria è la tecnica ideale per individuare rapidamente e identificare senza errore ogni animale rilasciato, compresi i soggetti deceduti (e valutare di conseguenza le eventuali cause di mortalità). Marcature colorate visibili a distanza possono eventualmente sostituire o aggiungersi ai radio-emettitori: nel caso del Gipeto rilasciato sulle Alpi, è stato fatto uso di sbiancanti su alcune remiganti, per rendere riconoscibile ciascun individuo anche all'osservazione da parte di terzi. Nel caso degli invertebrati questi problemi sono assai più importanti, sia perché spesso non è possibile marcare i soggetti rilasciati, sia perché, comunque, tale operazione ha in genere validità stagionale. Per il successo a lungo termine si valutano le caratteristiche demografiche delle popolazioni attraverso l'impiego di tecniche di censimento. Sia nel caso dello Stambecco sia dello Scoiattolo in Lombardia, l'utilizzo immediato di radiocollari per verificare l'insediamento degli animali è stato combinato con l'esecuzione di censimenti, rispettivamente diretti o indiretti, per valutare l'incremento e la diffusione della popolazione nel tempo (Pedrotti, 1995; Wauters et al., 1997). Un indicatore più preciso del successo a lungo termine, in particolare per le specie a vita lunga, è la struttura per sesso ed età della popolazione. In molti ungulati la facilità di suddividere gli animali semplicemente osservati nei due sessi e in molteplici classi di età rende questa valutazione particolarmente agevole, oltre a consentire la verifica della formazione di gruppi sociali tipici per composizione (harem, branchi di giovani maschi e linee matriarcali). In una reintroduzione di Cervo avvenuta in Canada (Gogan e Barrett, 1987) lo stress alimentare dovuto alla competizione con altre specie selvatiche e domestiche è stato rivelato ad esempio da una elevata mortalità dei soggetti più anziani e da un basso tasso di natalità; i due effetti erano chiaramente visibile nella piramide di età risultante dagli appositi censimenti. Nel caso degli invertebrati si dovrà in genere procedere con il supporto di adeguate elaborazioni statistiche applicate a campagne di raccolta-dati appositamente e specificamente 124

128 progettate, perché altrimenti sarà di regola impossibile quantificare gli esiti dell operazione. Qualora i censimenti indichino un mancato insediamento o una mancata crescita della popolazione, è opportuno che il programma preveda interventi di sostegno tra cui anche l'eventuale rilascio di individui aggiuntivi, a meno che non venga individuata una causa non eliminabile di fallimento dei rilasci. E' in ogni caso indispensabile che venga data comunicazione nell'ambito scientifico sia dei tentativi riusciti che di quelli falliti, in modo da agevolare la pianificazione e l'esecuzione di altri programmi. 11. Problemi sanitari Questi aspetti possono assumere grande rilievo nel caso in cui le reintroduzioni siano effettuate con soggetti provenienti dalla cattività. Il rischio di epidemie è tanto maggiore quanto più gli animali sono concentrati in poche popolazioni. Un esempio è costituito da una delle specie nordamericane maggiormente minacciate, il Furetto dai piedi neri (Mustela nigripes): un episodio di cimurro canino ha portato alla riduzione estrema della popolazione mantenuta in cattività, concentrata in una sola stazione, oltre a causare l'estinzione dell'ultima popolazione selvatica (Thorne e Williams, 1988). Gli aspetti sanitari sono spesso trascurati nei progetti di reimmissione, sia in generale che nei casi italiani. Per l'italia esiste comunque un documento a cura della Società Italiana di Ecopatologia della Fauna, in cui vengono fornite le linee guida per la prevenzione del rischio sanitario in questo tipo di operazioni (Anon., 1996). Un approccio corretto richiede che vengano rispettate tre condizioni: 1) verificare che gli individui immessi siano sani (controllo veterinario); 2) verificare che nella zona di rilascio non siano presenti infezioni che possano minacciare la salute dei soggetti rilasciati (controllo veterinario); 3) assicurare il benessere dei soggetti in tutte le fasi del progetto (impiego delle tecniche adeguate). Per quest'ultimo aspetto esiste una vasta letteratura veterinaria sulla sedazione in particolare negli ungulati, sia come metodo di cattura che come ausilio per il trasporto; al momento del rilascio si deve procedere alla somministrazione di antagonisti del sedativo utilizzato (si veda ad es. Meneguz et al., 1996, per lo Stambecco reintrodotto nel Parco Naturale dell'argentera, o Locati et al., 1991, per il Camoscio appenninico su Gran Sasso e Majella). Nella valutazione dei rischi sanitari è necessario tenere in considerazione l'intera biocenosi, poiché alcune parassitosi che non causano danni evidenti in una specie possono provocare una mortalità diffusa in altre specie. Questo caso si è già verificato in Italia sia con la paratubercolosi del Cervo nei confronti del Capriolo, sia con la pseudorabbia del Cinghiale nei confronti dei carnivori (v. Lanfranchi Guberti, 1997). La conoscenza dei cicli di questi parassiti e delle vie di scambio interspecifico è purtroppo molto scarsa (Guberti e Rossi, 1996). Mentre i controlli sulle popolazioni in cattività sono agevoli, quelli sulle popolazioni selvatiche risultano assai più complessi. Le popolazioni selvatiche presentano sempre un certo grado di malattie endemiche, che in condizioni normali non ne influenzano però la consistenza. Diversa è la situazione quando si verificano condizioni epidemiche, con zoonosi quali la tubercolosi, la brucellosi o la rabbia. Nei controlli si deve tenere presente che le infezioni si veicolano non soltanto tra individui della stessa specie, ma anche attraverso soggetti di specie anche molto diverse, nonché da bestiame domestico (la verifica della presenza di questi agenti patogeni è agevolata dalla obbligatorietà della denuncia di ogni caso riscontrato ai presidi veterinari). Popolazioni sia naturali che reintrodotte di cervo e di bisonte in America settentrionale sono attualmente coinvolte in una complessa dinamica di scambio dell'agente della brucellosi sia tra loro che con bovini di allevamento, al punto che si sono resi necessari costosi programmi di vaccinazione e abbattimento (Thorne et al., 1996). Si può definire una scala gerarchica dei controlli sanitari durante le operazioni di reintroduzione o ripopolamento (Lanfranchi e Guberti, 1997). Il primo livello riguarda l'idoneità della biocenosi di origine; alterazioni possono venire rivelate da forti oscillazioni numeriche o da stasi demografiche delle popolazioni selvatiche e dallo stato sanitario del patrimonio zootecnico. Il secondo livello riguarda direttamente l'idoneità della popolazione donatrice. Se i soggetti da rilasciare provengono dallo stato selvatico, le procedure più idonee per il controllo sanitario possono essere così lunghe da prolungare lo stato di cattività al punto da inficiare la reimmissione in natura (il mantenimento prolungato in cattività facilita anche la trasmissione delle malattie). In questo caso la procedura opportuna è il controllo preliminare dello stato di 125

129 salute di tutta la popolazione, oppure la verifica su un campione di soggetti prelevato appositamente. Le informazioni così raccolte possono consentire la preparazione di test veloci, per epizoosi specifiche, da utilizzare in seguito sui soggetti destinati al trasferimento. Va da sé che ogni soggetto catturato dovrà possedere dei requisiti minimi di idoneità per l'impiego come "fondatore": assenza di lesioni (dovute o no alla cattura), buone condizioni fisiche, biometria negli standard della popolazione, stato sanitario adeguato (Lanfranchi e Guberti, 1997). Nel caso di specie ben note come diversi ungulati o il lupo, è possibile provvedere a valutazioni molto precise dello stato di salute e alla vaccinazione contro i principali agenti patogeni (v. ad es. Fritts et al., 1997). Il livello successivo riguarda la biocenosi di rilascio. E' evidente che "sarà necessario verificare la rimozione dei problemi sanitari eventualmente coinvolti nell'estinzione locale della specie" nonché lo stato sanitario delle altre specie selvatiche e domestiche presenti nell'area (Lanfranchi e Guberti, 1997). Nella migliore delle ipotesi, nelle operazioni di monitoraggio postrilascio dovrebbe venire compreso anche il monitoraggio sanitario, con lo scopo di controllare l'eventuale diffondersi di malattie e, in caso negativo, di decidere che precauzioni prendere nel caso di eventuali interventi di "rinforzo" con altri soggetti da rilasciare. Considerati anche questi aspetti, è chiaro come una immissione corretta diventi una operazione estremamente articolata e costosa. Raramente i progetti di reintroduzione possono o riescono a rispettare tutte le condizioni necessarie ad assicurare la perfetta riuscita degli interventi. In particolare, i ripopolamenti a fini venatori non offrono di norma alcuna garanzia sanitaria. A prescindere da qualunque considerazione sulla sopravvivenza degli animali rilasciati, fagiani, lepri o starne possono facilmente risultare vettori di infezione per specie autoctone recettive e sono quindi potenzialmente dannosi per le popolazioni residenti di galliformi e leporidi (Lanfranchi e Guberti, 1997). BIBLIOGRAFIA ANONIMO, 1996, Linee guida per la prevenzione del rischio sanitario legato alle immissioni di fauna selvatica sul territorio nazionale, Atti del convegno naz.: ecopatologia della fauna selvatica, "Suppl. Ric. Biol. Selvaggina", XXIV, pp ALLENDORF F., 1986, Genetic drift and the loss alleles versus heterozygosity, "Zoo Biology", 5, pp ANDRÉN H., 1994, Effect of habitat fragmentation on birds and mammals in ladscapes with different proportions of suitable habitat: a review, "Oikos", 71(3), pp BALLOU J.D., 1997, Genetic and demographic aspects of animal reintroductions, Atti III Conv. naz. dei biologi della selvaggina "Suppl. Ric. Biol. Selvaggina", XXVII, pp BECK B., KLEIMAN D.G., DIETZ J.M., CASTRO I., CARVAHLO C., MARTINS A., RETTBERG- BECK B., 1991, Losses and reproduction in reintroduced golden lion tamarins Leontopithecus rosalia, "Dodo", 27, pp BIANCO P.G., 1991, I pesci d'acqua dolce delle aree extra-padane d'italia: una catastrofe naturalistica causata dagli interventi dell'uomo, "Suppl. Ric. Biol. Selvaggina", XVI, pp BLACK J.M., MARSHALL A.P., GILBURN A., 1993, Survival, movements and reproductive success of released Hawaiian Geese: an asessment after thirty-three years, U.S. Fish and Wildlife service, Honolulu. BOITANI L., 1997, Le immissioni faunistiche: un approccio basato sulla biologia della conservazione, Atti III Conv. naz. dei biologi della selvaggina, "Suppl. Ric. Biol. Selvaggina", XXVII, pp BOUMAN D.T., BOUMAN J.G., 1994, The history of Przewalski s Horse, in: L. BOYD, D.A. HOUPT (a cura di), Przewalski s Horse. The history and biology of an endangered species, State Univ. of New York Press, Albany, pp BREITENMOSER U., HALLER H., 1993, Patterns of predation by reintroduced European Lynx in the Swiss Alps, "J. Wildl. Manage.", 57, pp CORBETT K., 1989, Conservation of European Reptiles & Amphibians, Helm, London. CROOK J.H., 1960, The present status of certain rare landbirds of the Seychelles Islands, Seychelles Government Bulletin. FORNASARI L., CASALE P., WAUTERS L., 1997, Red squirrel conservation: the assessment of a reintroduction experiment, "Ital. J. Zool.", 64, pp GARSON P.J., YOUNG L., KAUL R., 1992, Ecology and conservation of the cheer pheasant 126

130 Catreus wallichii: Studies in the wild and the progress of a reintroduction project, "Biol. Conser.", 59, pp FRITTS S.H., BANGS E.E., FONTAINE J.A., JOHNSON M.R., PHILLIPS M.K., KOCH E.D., GUNSON J.R., 1997, Reintroduction of Wolwes to Yellowstone National Park and Central Idaho: Preparation and Early Results, Atti III Conv. naz. dei biologi della selvaggina, "Suppl. Ric. Biol. Selvaggina", XXVII, pp GENERO F., PERCO F., 1992, Il Progetto di reintroduzione del Gipeto (Gypaetus barbatus) sulle Alpi: analisi storica, primi risultati e prospettive, "Atti IV Conv. Sicil. di Ecologia",. Zangarastampa, Siracusa, pp GOGAN P.J.P., BARRETT R.H., 1987, Comparative dynamics of introduced tule elk populations, "J. Wildl. Manage.", 51, pp GRIFFITH B., SCOTT M.J., CARPENTER J.W., REED C., 1989, Translocation as a species conservation tool: status and strategy, "Science", 245, pp GUBERTI V., ROSSI L., 1996, Il rapporto ospite/parassita nei mammiferi selvatici: analisi della letteratura scientifica italiana dal 1970 al 1994, Atti del convegno naz.: ecopatologia della fauna selvatica, "Suppl. Ric. Biol. Selvaggina", XXIV, pp GURNELL J., PEPPER H., 1993, A critical look at conserving the British Red Squirrel Sciurus vulgaris, "Mammal Rev.", 23, pp HANNAH A.C., MCGREW W.C., 1991, Rehabilitation of captive chimapnzees, in BOX H.O. (a cura di), Primate Responses to Environmental Change, Chapman & Hall, London,. HAQUE M.N., SMITH T.R., 1996, Reintroduction of Arabian Sand Gazelle Gazella subgutturosa marica in Saudi Arabia, "Biol.Conser.", 76, pp HARTMAN G., Long-Term Population Development of a Reintroduced Beaver (Castor fiber) Population in Sweden, "Cons. Biol.", 8, pp KOMDEUR J., 1994, Conserving the Seychelles warbler Acrocephalus sechellensis by translocation from Cousin Island to the Islands of Aride and Cousine, "Biol. Conser.", 67, pp LANFRANCHI P., GUBERTI V., 1997, Aspetti sanitari delle immissioni faunistiche, Atti III Conv. naz. dei biologi della selvaggina, "Suppl. Ric. Biol. Selvaggina", XXVII, pp LOCATI M., GENTILE L. MARI M., 1991, La cattura di Camosci appenninici: considerazioni gestionali e recenti prospettive, in M. SPAGNESI, S. TOSO (a cura di), Atti del II Conv. Naz. dei Biologi della Selvaggina, "Suppl. Ric. Biol. Selvaggina", XIX, pp MENEGUZ P.G., MARI F., de MENEGHI D., ROSSI L., 1996, L impiego di xilazina e medetomidina antagonizzati con atipamezolo per la cattura di stambecchi: confronto su campo in situazione standardizzata, in M. SPAGNESI, V. GUBERTI, A.S. DE MARCO (a cura di), Atti del Conv. Ecopatologia della Fauna Selvatica, "Suppl. Ric. Biol. Selvaggina", XXIV, pp MINGOZZI T., BALLETTO E., 1996, The historical extirpation of the bearded vulture Gypaetus barbatus in the western Alps (France Italy): modelling the impact of human persecution, Ital. J. Zool., 63, pp OLI M.K., TAYLOR I.R., ROGERS M., 1994, Snow Leopard Panthera unca predation of livestock: an assessment of local perceptions in the Annapurna Conservation Area, "Nepal Biol. Conser.", 68, pp PEDROTTI L., 1995, La reintroduzione dello Stambecco (Capra ibex ibex) nelle Alpi Orobie, Tesi di Dottorato in Scienze Naturalistiche e Ambientali, VII Ciclo ( ), Università degli Studi di Milano. SALTZ D., 1996, Minimizing extinction probability due to demographic stochasticity in a reintroduced herd of Persian Fallow Deer Dama dama mesopotamica, "Biol. Conser.", 75, pp SCHALLER G.B., 1993, The last Panda, Univ. Chicago Press, Chicago. SCHEFFER V.B., 1993, The Olympic Goat Controversy: A Perspective, "Cons. Biol.", 7, pp SHORT J., BRADSHAW S.D., GILES J., PRINCE R.I.T., WILSON G.R., 1992, Reintroduction of macropods (Marsupialia: Macropodoidea) in Australia - A review, "Biol. Conser.", 62, pp SPAGNESI M., TOSO S., COCCHI R., TROCCHI V., 1992, Primo documento orientativo sui criteri di omogeneità e congruenza per la pianificazione faunistico-venatoria, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, Ozzano Emilia, Bologna. STEVENS D.R., GOODSN N.J., 1993, Assessing Effects of Removals for Transplanting on a 127

131 High-Elevation Bighorn Sheep Population, "Cons. Biol.", 7, pp THORNE T.E., WILLIAMS E.S., 1988, Disease and Endangered Specie: The Black-footed Ferret as a Recent Example, "Cons. Biol.", 2, pp THORNE T.E., REESE A.D., SMITH S.G., 1996, Brucellosis, wildlife and cattle in the Greather Yellowstone Area of the United States: the problem, conflicts and solutions, in M. SPAGNESI, V. GUBERTI, A.S. DE MARCO (a cura di), Atti del Conv. Ecopatologia della Fauna Selvatica, "Suppl. Ric. Biol. Selvaggina", XXIV, pp TOSI G., PEDROTTI L., SCHERINI G., 1990, Progetto Stambecco Lombardia - Reintroduzione nelle Alpi Orobie, Regione Lombardia, Settore Agricoltura, Milano. van DIERENDONCK M.C., WALLIS de VRIES M.F., 1996, Ungulate Reintroductions: Experiences with the Takhi or Przewalski Horse (Equus ferus przewalskii) in Mongolia. "Cons. Biol.", 10, pp VENNING T., SAINSBURY T., GURNELL J., 1997, Red squirrel translocation and population reinforcement as a conservation tactic, in J. GURNELL, P.W.W. LURZ (a cura di), The conservation of Red squirrels, Sciurus vulgaris L., P.T.E.S., London, pp WAUTERS L., CASALE P., FORNASARI L., 1997, Post-release behaviour, home range establishment and settlement success of reintroduced red squirrels, "Ital. J. Zool.", 64, pp WILCOX B.A., MURPHY D.D., 1985, Conservation strategy: the effects of fragmentation on extinction, "Am. Nat.", 125, pp ESEMPI A. Protocollo per la reintroduzione della farfalla diurna Zerynthia polyxena (testo redatto da N.Patocchi e M.Villa con la collaborazione di N.Zambelli e M.Moretti) Questo protocollo è stato redatto appositamente come esempio pratico per il "Regolamento delle Reintroduzioni delle specie animali nelle Aree Protette della Lombardia"; ancorché di carattere preliminare e di studio, può essere esemplificativo per analoghe operazioni su altri invertebrati terrestri. Per chiarezza, si sottolinea però che nell effettuare tali operazioni va tenuta in debito conto la nostra sostanziale ignoranza su aspetti determinanti dell ecologia, dell etologia e della distribuzione di parecchie specie, cosa che rende sempre necessario un particolare e specifico approfondimento tecnico-scientifico di tali tematiche. Anche la difficoltà di reperire maestranze con le indispensabili competenze ed esperienze tecnico-pratiche costituisce un fattore importante che va ponderato ed affrontato, di regola, con maggior impegno a livello di direzione lavori. 1. Premessa Zerynthia polyxena presenta numerosi motivi di interesse ai fini di possibili reintroduzioni: è farfalla diurna (papilionide) autoctona in Lombardia dove però, soprattutto negli ultimi decenni, appare localizzata ed in rarefazione, assecondando una tendenza nota anche a livello europeo; compare nell allegato IV alla direttiva 43/92/CEE (Direttiva habitat ); è una farfalla grande, particolarmente bella e vistosa e quindi è sia piuttosto facile da individuare e riconoscere, sia di sicuro gradimento da parte delle popolazioni locali o dei visitatori delle aree protette; pur essendo specie localizzata, è ancora presente in un certo numero di stazioni nell area alpina (particolarmente in Piemonte) e pertanto si presta ad interventi sperimentali di prelievo e trasferimento di esemplari senza il rischio di minacciare ulteriormente la sopravvivenza della specie. E dunque ammissibile e, per diversi motivi, possibile ed opportuna l ipotesi di reintroduzione in aree adatte alla specie ma che non ne sopportino più popolazioni vitali. Tra i fattori limitanti per questa specie, pare importante sia l abbandono delle tecniche agricole tradizionali, che in passato consentivano la sopravvivenza di Z.polyxena anche nell agrosistema, sia la generale avanzata del bosco: in effetti, gli ambienti a cui è presumibilmente legata questa farfalla nell Italia settentrionale e nel Canton Ticino sono quei biotopi di transizione tra aree 128

132 antropizzate ed aree verdi (scarpate, aree marginali) con gestione saltuaria ed estensiva, oggigiorno sempre più rari in un paesaggio che, secondo i casi, è totalmente abbandonato ovvero intensivamente sfruttato. Poiché i bruchi di Z.polyxena sono stenofitofagi su piante del genere Aristolochia (A.clematitis, A.pallida e, forse, A. rotunda), premessa indispensabile ad un progetto di reintroduzione è accertare l esistenza di un buon popolamento delle piante ospiti. Tali piante devono inoltre vegetare in ambiente idoneo e relativamente stabile. Questo protocollo è stato redatto con particolare riferimento ad uno studio di fattibilità elaborato per il Canton Ticino, dove Z.polyxena è stata segnalata fino al 1918; poiché la mancanza di recenti segnalazioni fa ritenere estinta la specie in Svizzera, i biologi ticinesi N.Zambelli, N. Patocchi e M. Moretti, con la collaborazione del Dr.Ladislaus Reser, entomologo del Museo Cantonale di Storia Naturale di Lucerna, e del Museo Cantonale di Storia Naturale di Lugano, hanno redatto un progetto preliminare per la reintroduzione di Zerynthia polyxena nei pressi del paese di Meride, in un area in cui recentemente è stata segnalata una stazione della pianta ospite. 2. Valutazione di fattibilità Il progetto di reintroduzione deve definire innanzitutto i seguenti punti preliminari : a. Inquadramento dell intervento a favore di Z.polyxena all interno delle strategie di conservazione locali, nazionali ed internazionali. Indagine preliminare di campo volta ad accertare l assenza (o quanto meno l estrema rarefazione) della specie nell area oggetto di possibile reintroduzione: a seguito di tale indagine, da compiersi a vista lungo transetti opportunamente disposti in ambiti significativi, non deve essere contattato alcun esemplare della specie. Esame critico della documentazione esistente e disponibile (letteratura, dati di archivio, collezioni pubbliche e private, testimonianze attendibili ecc.) al fine di definire la distribuzione pregressa della specie con particolare riguardo all area oggetto dell ipotesi di reintroduzione e al territorio limitrofo; analisi della distribuzione attuale del genere Zerynthia in Europa e Norditalia. Descrizione delle caratteristiche ambientali fondamentali che in passato supportavano la presenza di Z.polyxena nell area in cui si intende operare. Esame dettagliato delle caratteristiche ambientali attuali dell area della proposta di reintroduzione, sempre al fine di verificare l esistenza dei requisiti necessari all insediamento di Z.polyxena; dovrà essere esaminata in dettaglio la presenza e la consistenza della popolazione di piante ospiti, nonché la distribuzione delle tre specie di Aristolochia a livello prealpino (Svizzera e Italia settentrionale). Esposizione dei probabili motivi che hanno causato la locale estinzione della specie e localizzazione temporale di tale evento. Individuazione e descrizione di una buona popolazione in grado di fornire gli esemplari da reintrodurre; tale popolazione deve essere preferibilmente localizzata in Italia Settentrionale, non deve essere minacciata di estinzione, deve vivere in area con caratteristiche ambientali simili a quelle dell area di intervento. Andrà motivatamente scelto lo stadio di sviluppo da utilizzare per la reintroduzione (piante occupate dalle uova o dalle crisalidi, larve o adulti); in ogni caso gli esemplari da prelevare dovranno essere raccolti in un area la più ampia possibile, al fine di tentare la conservazione di una certa variabilità genetica nei fondatori della nuova popolazione; occorre valutare il numero minimo di esemplari da reintrodurre al fine di costituire una popolazione vitale. Approfondita documentazione sulle esigenze ecologiche di Z.polyxena, in riferimento a tutti gli stadi (uova, larve, pupe, adulte), con individuazione dei fattori limitanti. Documentazione della non permanenza o delle modalità di preliminare rimozione delle cause di estinzione nell area scelta per la reintroduzione. Verifica di eventuali vincoli o proprietà riguardanti le aree prescelte. Valutazione degli effetti degli eventuali interventi di riqualificazione ambientale sul resto dell ecosistema, su altri progetti di tutela e gestione naturalistica del territorio e sulle attività antropiche di interesse economico. Programmazione di campagne informative e di sensibilizzazione degli abitanti. Descrizione del programma pluriennale di monitoraggio dell esito dell intervento. 129

133 A titolo esemplificativo di quanto esposto in alcuni dei punti precedenti, si dovrà rispondere alle seguenti domande: Ecologia della farfalla: il luogo della reintroduzione soddisfa le esigenze ecologiche (per estensione, struttura ecologica, collegamenti con altri ambienti adatti e/o popolazioni di farfalle, tipo di piante e d ambiente per tutte le funzioni vitali ai diversi stadi di sviluppo, microclima, topografia, esposizione ecc.)? In caso di trapianto della pianta ospite, il luogo soddisfa esigenze ecologiche sia della pianta sia della farfalla? Quale stima si può fare per le dimensioni di una popolazione vitale minima? Sono state rimosse le cause d estinzione locale? Vanno verificati eventuali effetti secondari indesiderati (ad es. : potenziali conflitti con l agricoltura)? C è disponibilità di fondatori: stesso taxon di quello estinto (per condizioni genetiche ecc.)? La popolazione che darà i fondatori è abbastanza stabile e grande da non venire compromessa? L allevamento è opportuno? Le condizioni ecologiche dell area di prelievo sono simili a quelle dell area di prevista reintroduzione? Progettazione dell intervento Il progetto dell intervento deve essere sviluppato sui seguenti punti fondamentali: Pianificazione degli interventi per rimuovere le cause di estinzione e/o per migliorare le caratteristiche ambientali dell area in cui si intende reintrodurre Z.polyxena, con particolare riferimento alle garanzie di permanenza di un congruo numero di esemplari della pianta ospite. Individuazione delle popolazioni da cui effettuare il prelievo in base a considerazioni di tipo sistematico, sanitario, ecologico e conservazionistico; descrizione almeno semiquantitativa (ossia sulla base dell esecuzione di transetti a vista opportunamente disposti) dello status della popolazione che fornirà gli esemplari da reintrodurre. Descrizione delle cautele atte a minimizzare i rischi che il prelievo incida negativamente sulla popolazione di provenienza. Individuazione del periodo ottimale per la raccolta degli esemplari da trasferire e delle eventuali modalità di verifica del relativo stato sanitario. Progetto esecutivo che definisca: Ruoli e responsabilità (privati/enti coinvolti; responsabile/i del procedimento; progettista; direttore lavori; responsabile ed esecutore del monitoraggio ecc.); modalità esecutive amministrative (economia diretta, appalto a ditta, coinvolgimento di associazioni ecc.); Istruzione e formazione del personale coinvolto; Interventi di riqualificazione ambientale per favorire l insediamento delle nuove popolazioni, con particolare riferimento alla garanzia di presenza della pianta ospite per gli anni successivi alla reintroduzione. Tempi e metodi di raccolta, trasporto, eventuale allevamento e rilascio degli esemplari; definizione della struttura dei fondatori (rapporto tra i sessi, classi d età ecc.). Programma di monitoraggio pluriennale: un primo controllo dovrà verificare se la specie si è instaurata oppure, nel caso contrario, fornire elementi utili alla comprensione dei motivi dell insuccesso; onde valutare una eventuale ripetizione dell operazione; successivamente sarà necessario un monitoraggio più approfondito (anche attraverso l osservazione ed il conteggio di uova e bruchi) per verificare dimensione e stabilità della nuova popolazione. I risultati potranno accrescere le conoscenze riguardo all ecologia di questa specie; dovranno inoltre essere finalizzati anche alla definizione del tipo migliore di gestione. Modalità per l esecuzione di eventuali varianti in corso d opera. Tempistica per l avvio ed il completamento di tutte le operazioni previste; Costi complessivi dell operazione nelle sue diverse fasi, elenco prezzi, capitolato speciale. Modalità per l informazione e l eventuale coinvolgimento di amministrazioni pubbliche, enti, associazioni e popolazioni locali; Dovranno essere esplicitamente previsti rapporti tecnico-scientifici e testi divulgativi; dovrà essere fornita una relazione finale contenente una valutazione critica dei risultati ed osservazioni e proposte sulla possibilità di proseguire il progetto in altre aree ovvero con specie più delicate. 130

134 Protocollo di Attività per la pianificazione e la realizzazione degli interventi di Reintroduzione di Pelobates fuscus insubricus (a cura di F. Barbieri) Il presente documento rappresenta un esempio di analisi preliminare, punto per punto, di un intervento di reintroduzione per una specie di anfibio minacciata. 1. Valutazione di fattibilità In primo luogo vanno valutate l opportunità e la possibilità di reintrodurre il Pelobate fosco attraverso l analisi critica di tutti gli elementi necessari: a. Motivazione dell intervento in considerazione dello status di specie prioritaria a livello comunitario; b. Inquadramento dell intervento a favore di Pelobates fuscus insubricus all interno delle strategie di conservazione locali, nazionali ed internazionali; c. Valutazione dello status legale di Pelobates fuscus insubricus; d. Indagine storica finalizzata alla definizione dei seguenti parametri relativi alla specie: i. Distribuzione pregressa, sulla base della bibliografia prodotta a partire dal 1873, anno di scoperta in Italia della specie; ii. Caratteristiche ambientali originariamente presenti nell area; iii. Cause e periodo di estinzione. e) Verifica della disponibilità di individui da reintrodurre aventi i seguenti requisiti: i. Appartenenza alla sottospecie insubricus di Pelobates fuscus; ii. Provenienza da una popolazione non minacciata di estinzione; iii. Provenienza da aree con caratteristiche ambientali il più possibile simili a quelle dell area di intervento; iv. Garanzie della provenienza degli individui da reintrodurre da differenti popolazioni e da ovature al fine di ridurre al minimo i rischi di consanguineità. f) Approfondita documentazione sulle esigenze ecologiche di Pelobates fuscus insubricus nelle diverse fasi della sua biologia ed individuazione dei fattori limitanti; g) Rimozione delle cause di estinzione (presenza di predatori, cattiva qualità delle acque, disturbo antropico, ecc); h) Lo stock deve essere costituito da girini e non da adulti e subadulti, al fine di assicurare la fedeltà al sito prescelto dopo la metamorfosi. Infatti, si tratta di una specie filopatrica che, cioè tende ad utilizzare per la riproduzione gli stessi corpi d acqua in cui è avvenuta la metamorfosi; i) Valutazione del numero minimo di larve da reintrodurre al fine di costituire una popolazione od un insieme di popolazioni contigue (metapopolazione) vitali ben strutturate: indicativamente dovrebbero essere rilasciati circa 500 girini per sito; j) Individuazione delle possibili aree di reintroduzione in funzione delle caratteristiche ecologiche della specie; la presenza di suoli sabbiosi risulta essere di particolare importanza per consentire l attività fossoria, tipica della specie, nonché la buona qualità delle acque; k) Verifica della presenza di patologie che colpiscano gli Anfibi nell area di intervento; l) Verifica di eventuali vincoli o proprietà riguardanti le aree prescelte; m) Realizzazione di campagne informative e di sensibilizzazione degli abitanti; n) Valutazione degli effetti degli interventi di riqualificazione ambientale sul resto dell ecosistema; o) Verifica dei potenziali effetti di detti interventi su altri progetti di conservazione e sulle attività antropiche di interesse economico; p) Verifica della possibilità di realizzazione di un monitoraggio dei risultati ottenuti. In considerazione delle abitudini estremamente elusive dei neometamorfosati e dei subadulti, è necessario prevedere un monitoraggio di lamento quattro anni, al fine di permettere il raggiungimento dell età riproduttiva degli individui rilasciati. 2. Progettazione dell intervento Si tratta della preparazione di un programma esecutivo che preveda le azioni e definisca le componenti operative coinvolte nella reintroduzione: a. Pianificazione degli interventi per rimuovere le cause di estinzione e per migliorare le caratteristiche ambientali dell area in funzione di Pelobates fuscus insubricus. A questo fine 131

135 dovranno essere presenti o venire realizzate pozze di almeno m 2 di superficie e di circa 1 m di profondità; b. Individuazione delle popolazioni da cui effettuare il prelievo in base alle considerazioni di tipo sistematico, sanitario, ecologico e conservazionistico sopra esposte; metà delle larve ottenute dalle ovature dovranno essere rilasciate nei luoghi di prelievo iniziale, al fine di non depauperare le popolazioni esistenti, previa verifica dello stato sanitario; c. Individuazione delle strutture idonee per la schiusa delle uova e l allevamento delle larve, fino alla comparsa degli arti posteriori, previa verifica dello stato sanitario; d. Stesura di un progetto operativo che definisca: i. Ruoli e responsabilità tecnico-legali nell ambito del quadro operativo; ii. Informazione ed eventuale coinvolgimento di amministrazioni pubbliche, enti, associazioni e popolazioni locali; iii. Istruzione e formazione del personale coinvolto; iv. Tempi e metodi di raccolta, trasporto e stabulazione delle uova e delle larve, tenendo conto che le deposizioni generalmente avvengono in aprile; v. Tempi e siti per il rilascio delle larve; vi. Interventi di riqualificazione ambientale per favorire l insediamento delle nuve popolazioni. Il ripristino e/o la creazione delle zone umide dovrà essere effettuato durante il periodo autunnale ed invernale per non causare danni alla fauna durante il periodo riproduttivo e per consentire la naturalizzazione degli interventi; vii. Monitoraggio dei risultati in funzione della biologia di Pelobates fuscus insubricus ed eventuali migliorie in corso d opera. e) Stesura di un piano finanziario e reperimento dei fondi necessari. 132

136 Lo Scoiattolo Sciurus vulgaris nel Parco di Montevecchia e valle del Curone (testo redatto da Lorenzo Fornasari, sulla base di un progetto condotto da Lorenzo Fornasari, Massimo Sacchi e Luc Wauters) Il presente documento riesamina in modo analitico il progetto e le operazioni condotte per un intervento di reintroduzione già eseguito con successo. I punti esposti riassumono quanto contenuto nel progetto, nei rapporti intermedi e nel rapporto conclusivo prodotti per il Consorzio di Gestione del Parco. 1) Studio di fattibilità a) Esposizione critica delle motivazioni dell intervento. I boschi del Parco di Montevecchia rappresentano un ambiente apparentemente rispondente alle esigenze dello Scoiattolo. Ciononostante, i rilevamenti condotti nell ambito degli studi per il Piano Faunistico del Parco hanno rivelato l assenza di questa specie, e di conseguenza suggerito la reintroduzione. Questa appare giustificata da motivi legati 1) alla integrazione della comunità di vertebrati forestali, 2) alla forte valenza didattica e di coinvolgimento dei cittadini di un tale intervento su una specie di relativamente facile osservazione, 3) alla ricaduta scientifica, in termini di condotta dell operazione, per una specie che è considerata minacciata in alcune parti dell areale europeo. b) Inquadramento dell intervento nelle strategie di conservazione locali, nazionali ed internazionali. Lo scoiattolo rosso è peraltro da considerarsi in generale specie prossima allo status di minacciata (1996 IUCN RED LIST OF THREATENED ANIMALS) a causa della rarefazione degli ambienti forestali e della competizione con lo Scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis), specie di origine americana introdotta in Gran Bretagna e in Italia. Questo particolare rende qualunque conoscenza sulle tecniche di reintroduzione di grande interesse per la conservazione in Italia. In Lombardia la specie è da considerarsi pressoché estinta nella pianura adibita agli usi agricoli, mentre è ancora diffusa con continuità nelle prati collinari e montane. Nella fascia di transizione, corrispondente in parte con l Alta Pianura tra il Ticino e l Adda, in cui è compresa la zona di intervento, la conservazione a livello di metapopolazione richiede interventi alla scala di alcuni dei principali corpi boschivi (vedi la già avvenuta reintroduzione nel Parco delle Groane). c) Valutazione dello status legale del taxon in oggetto. La specie è protetta ai sensi delle normative nazionali e regionali. Ciò dovrebbe garantire la salvaguardia dei soggetti rilasciati. d) Indagine storica. La distribuzione pregressa in Lombardia era evidentemente determinata dalla distribuzione degli habitat vocazionali, vale a dire boschi maturi o di media età in cui fossero presenti specie arboree con frutti legnosi. In diverse aree del territorio planiziale la specie è scomparsa per l intenso sfruttamento del bosco nei primi decenni successivi al secondo conflitto mondiale. La mancata ricolonizzazione è da imputarsi all isolamento dei frammenti ritornati idonei. e) Verifica della disponibilità dei fondatori. Il prelievo nelle aree limitrofe assicura l appartenenza allo stesso taxon e il requisito delle condizioni ecologiche simili. Il prelievo dei fondatori è stato pianificato in base a rilievi nell intera fascia di Alta Pianura compresa tra i fumi Ticino e Adda. Sono state splorate 216 unità boschive per mezzo di transetti lineari; in 121 sono stati rinvenuti scoiattoli. Sono state individuate 5 popolazioni di dimensioni relativamente cospicue, in grado di sopportare il prelievo. I siti individuati sono stati oggetto di precise operazioni di stima dell entità delle popolazioni presenti mediante il conteggio dei nidi nella stagione autunnale. Il prelievo è stato ripartito inizialmente su due di esse (Parco delle Groane, Parco della Brughiera), e diluito 133

137 sull arco di un anno. Oltre che a INFS e Regione, autorizzazioni specifiche sono state richieste a questi due parchi, oltre che al Parco del campo dei Fiori e al Parco del Ticino. L idoneità sanitaria della popolazione è stata verificata in base alla presenza di nuclei distributivi stabili e allo stato sanitario dei soggetti da trasferire, al momento della cattura. f) Analisi dei parametri biologici. Per determinare la disponibilità delle risorse alimentari necessarie per la specie lungo l intero arco dell anno si rende necessaria l analisi del territorio. la fase cruciale per la sopravvivenza corrisponde con il periodo autunno-invernale, in cui le uniche risorse utilizzate sono rappresentate dai frutti legnosi di specie arboree come il nocciolo, il castagno, le querce e le conifere (nella fascia alto-padana e nella fascia collinare in maniera predominante il pino silvestre). Allo scopo di verificare l idoneità dei siti già indicati negli studi per il Piano Faunistico del Parco, si è proceduto al rilievo della produttività dei consorzi arborei, mediante campionamenti effettuati su aree campione sotto la chiome delle piante. Sono stati utilizzati quadrati permanenti di superficie di 1 m². La produttività dei boschi per ettaro è stata stimata per estrapolazione dai campionamenti, in base a misure sulla densità degli alberi. I risultati hanno consentito di valutare la capacità portante dei boschi del parco, utilizzando le conoscenze note sul fabbisogno energetico della specie. Esempio per il nocciolo in Alta Val Curone: Copertura esercitata dal nocciolo: 7,5% Produzione semi per m² (6 aree di saggio): 41,8 Nocciole prodotte per ettaro: 41,8 nocciole/m² * m²/ha * 7,5/100 = nocciole/ha Conoscendo la produzione totale di semi eduli e il loro contenuto energetico, e sapendo che lo scoiattolo ha un fabbisogno energetico di kjoule/giorno, è possibile stimare la capacità portante dell area prescelta. E importante tener conto della efficienza di prelievo da parte dello scoiattolo, che in via prudenziale può essere stimata nel 20%. La capacità portante dovrebbe quantomeno approssimare la densità ottimale di uno scoiattolo per ettaro. Nella tabella che segue sono indicati i fabbisogni considerando i principali semi eduli (con Pigna si indicano gli strobili di Pino silvestre). SEME Kjoule/seme Kcal/seme Semi/giorno Semi/anno Quantità minima Ghianda Castagna Nocciola Pigna g) Accertata rimozione delle cause di estinzione locale. La gestione forestale attuata dagli anni 70 in poi ha garantito la ricostituzione di un nucleo boschivo esteso. Le modalità attuali di gestione, connesse alla presenza dell area protetta, fanno da garanzia per la sua persistenza. h) Stima della dimensione della minima popolazione vitale. La stima della minima popolazione vitale riportata in letteratura è di 50 individui. Il numero di fondatori necessario appare compreso tra 10 e 20. i) Individuazione dell area di reintroduzione. L area di reintroduzione (Riserva Naturale Parziale di Valle Santa Croce e Alta Val Curone) è stata individuata in base alla composizione in specie arboree e arbustive e alla disponibilità di frutti legnosi. Il minimo disturbo è assicurato dallo status di Riserva Naturale. La minima popolazione vitale richiede un estensione di 50 ha di habitat utile (densità ottimale di 1 134

138 scoiattolo per ha). Il corpo boschivo parzialmente protetto dalla Riserva ha estensione di alcune centinaia di ettari. l) Verifica sanitaria dell area di reintroduzione. Non sono noti casi di trasmissione di agenti patogeni dallo scoiattolo ad altre specie. m) Verifica dell adeguatezza del quadro legale. La specie è protetta e l area di reintroduzione e Riserva Naturale. Questo è il miglior quadro possibile. Andrebbe considerata la possibilità di eliminare eventuali competitori di provenienza alloctona, come lo Scoiattolo grigio (norma introdotta nel Piano Faunistico). n) Valutazione dell adeguatezza del quadro socio-culturale. La percezione della specie da parte del pubblico è senz altro positiva. Questa si presta anzi come veicolo promozionale delle presenze e delle attività del Parco. o) Potenziali effetti sulla biocenosi. I potenziali effetti sulla biocenosi sono stati valutati sulla base del prelievo potenziale sui semi eduli, in condizioni di elevata densità di scoiattoli. Tale prelievo risulta percentualmente trascurabile rispetto alla produzione. L effetto della possibile predazione sui nidiacei delle specie di uccelli forestali potrà venire valutata con opportune tecniche di monitoraggio. p) Compatibilità con altri progetti di conservazione. Non si è riscontrata alcuna potenziale interazione negativa con i progetti di conservazione già in corso o previsti nell area. q) Effetti sulle attività antropiche. L unico possibile effetto negativo sulle attività antropiche di interesse economico riguarda la cimatura dei germogli arborei in anni di scarsa produzione di semi eduli. La composizione attuale del bosco dovrebbe da sola prevenire tale situazione. r) Possibilità di attuazione di interventi di controllo. Eventuali danni su lotti sottoposti a taglio potrebbero venire risarciti dal Parco. Eventuali individui in soprannumero potrebbero agevolmente venire catturati e trasferiti in altre aree idonee del territorio regionale. 2) Progettazione a) Interventi per la rimozione delle cause di estinzione Non necessari. Su tempi lunghi è prevedibile l individuazione di corridoi boschivi per la connessione con altre aree di territorio idoneo. b) Interventi di recupero ambientale. Salvaguardia ed incremento di pini silvestri e noccioli sono interventi qualificanti suggeriti nell ambito del Piano Faunistico del Parco. c) Gerarchia delle fonti di individui da reintrodurre. I criteri utilizzati per individuare le popolazioni di prelievo tra quelle idonee sono la dimensione (per ridurre l effetto del prelievo), la vicinanza (per ridurre i rischi connessi al trasferimento) e lo status del territorio (privilegiando le aree protette). I censimenti nelle aree di possibile prelievo sono stati svolti compiendo il conteggio dei nidi di Scoiattolo presenti in un ettaro di bosco, scelto casualmente tra quelli vocazionali per la specie. Il numero di nidi per ettaro può dare l indicazione della consistenza della popolazione di 135

139 Scoiattolo utilizzando un coefficiente di trasformazione che tiene conto del numero di nidi solitamente costruiti da un solo individuo. Tale rapporto è di circa 4,3 nidi per animale. La tabella seguente indica le densità medie rilevate nelle zone esaminate, quindi indica il numero presunto di Scoiattoli per ettaro di bosco. Densità sufficienti al prelievo si individuano all interno del Parco delle Groane, delle quote più basse del Parco del Campo dei Fiori, dell area di Cantù nel Parco della Brughiera Briantea e dell area Angera-Cocquo-Taino nel Parco del Ticino. I dati relativi alla Pineta di Appiano Gentile e Tradate risalgono alla operazione di reintroduzione nel Parco delle Groane. Il Parco Pineta è stato escluso dalla presente operazione a causa dell opposizione di parte della popolazione locale. Censimenti eseguiti Capacità portante negli habitat ottimali Parco Pineta di Appiano Gentile (1986) Groane Campo dei Fiori - sentiero basso (n 10) Cantù Taino Spina verde Campo dei Fiori - sentiero alto (n 1) 3,4-4,7 nidi per ettaro 3,2 nidi per ettaro 4,6 nidi per ettaro 2,8 nidi per ettaro 2,6 nidi per ettaro 2,0 nidi per ettaro 1,2 nidi per ettaro 0,3 nidi per ettaro d) Consistenza minima e struttura dello stock di fondatori. Si è previsto di rilasciare circa 20 individui, con rapporto sessi unitario o leggermente sbilanciato verso le femmine. Si è escluso dal calendario delle immissioni il prelievo invernale, poiché l alimentazione in tale periodo è basata principalmente su risorse accumulate dagli animali in dispense all interno dell home-range. e) Contenuti del progetto operativo. - Le responsabilità tecniche del progetto, redatto in base alle richieste di un bando di pubblico concorso, sono dei consulenti prescelti. Le responsabilità legali sono del Consorzio di gestione del Parco. - L adeguamento del quadro normativo, dal punto di vista locale, è stato affrontato con i Piani di settore del Parco. - Si è prevista la partecipazione alle attività di monitoraggio a lungo termine da parte del personale di sorveglianza volontaria del Parco. - La cattura è avvenuta con trappole incruente del modello standard impiegato negli studi di campo sullo scoiattolo, utilizzate dopo pre-baiting. Il trasporto e il rilascio sono avvenuti nella stessa giornata di cattura, in scatole di legno con fessure per la respirazione, lasciate in sito aperte così da ridurre lo stress del rilascio. - Il marcaggio con radiocollare è stato effettuato nel sito di cattura, al termine del controllo sanitario (condizioni generali, peso, presenza di lesioni da parapoxyvirus). - Il piano di controllo prevede a breve termine il controllo quotidiano dei soggetti rilasciati per mezzo della radiotelemetria e con la valutazione dell uso dello spazio. Indicatore a medio termine è la sopravvivenza e la riproduzione degli individui. Indicatore a lungo termine è la dimensione della popolazione, valutata attraverso le opportune tecniche di censimento (conteggio di nidi e di residui alimentari) f) Piano finanziario. La disponibilità finanziaria per l operazione è stata determinata dal bando pubblico del parco, previo finanziamento da parte dell Amministrazione Regionale. 136

140 3) Realizzazione del progetto a) Realizzazione delle fasi descritte. Le fasi descritte nel progetto sono state realizzate dai consulenti del Parco, secondo modalità concordate con il Parco stesso nell ambito di un programma delle operazioni. b) Monitoraggio degli individui rilasciati. Il monitoraggio degli individui rilasciati è avvenuto tramite radio-tracking, con analisi dell home-range mediante le opportune tecniche statistiche. L evoluzione demograficodistributiva sarà seguita dal personale di sorveglianza volontaria del Parco, previo addestramento da parte dei consulenti incaricati del progetto. da precedenti esperienze di reintroduzione, è prevedibile il raggiungimento della capacità portante in 5-10 anni. c) Relazioni tecniche. Sono stati previsti i seguenti rapporti: Programma di massima delle operazioni Individuazione e analisi delle popolazioni di potenziale prelievo Analisi del territorio del Parco e individuazione delle zone di potenziale rilascio Rapporto sulle catture, i rilasci e il monitoraggio a breve termine E prevista la redazione di pubblicazioni scientifiche in merito, e il progetto è stato affiancato da una tesi di laurea. d) Valutazione critica dei risultati. La valutazione critica dei risultati è stata effettuata attraverso la costante supervisione da parte degli organi tecnici del Consorzio. 137

141 Interventi di ripristino ecologico dirette all ittiofauna e strategie di conservazione delle specie ittiche FONTI: ZERUNIAN S., PIANO D AZIONE GENERALE PER LA CONSERVAZIONE DEI PESCI D ACQUA DOLCE ITALIANI. QUADERNI DI CONSERVAZIONE DELLA NATURA, 17. MINISTERO DELL AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E ISTITUTO NAZIONALE PER LA FAUNA SELVATICA, 123 PP. PUZZI C., STRATEGIE DI CONSERVAZIONE DELLE SPECIE ITTICHE L ESEMPIO DEL FIUME TICINO. IN FORNASARI E VILLA (RED.), LA FAUNA DEI PARCHI LOMBARDI TUTELA E GESTIONE. CD-ROM. REGIONE LOMBARDIA. 1) Interventi di ripristino ecologico Possono essere individuate diverse tipologie di ripristino ecologico capaci di ricreare o di migliorare le condizioni idonee alla vita della fauna ittica: interventi di rinaturalizzazione dei corsi d acqua canalizzati o con alvei artificializzati, rifacimento delle opere di sistemazione idraulica mediante tecniche di bioingegneria, rimboschimento delle fasce ripariali dei fiumi e dei laghi, realizzazione di passaggi per pesci in corrispondenza delle dighe e degli altri sbarramenti trasversali dei corsi d acqua. In alcuni casi si tratta di interventi che hanno una consolidata base teorica e tecnica, in altri c è bisogno di preventive sperimentazioni che portino ad individuare le soluzioni capaci di produrre reali vantaggi per i pesci. Fra gli interventi di ripristino ecologico che possono concretamente concorrere alla conservazione dell ittiofauna ci sono quelli che producono un aumento della diversità ambientale, mediante una rinaturalizzazione anche solo parziale degli ecosistemi acquatici artificializzati. Questi interventi hanno valore di conservazione se costituiscono la premessa per la ricostituzione delle comunità ittiche originarie; ciò si verifica con il reinsediamento dei pesci d acqua dolce localmente estinti a causa delle alterazioni degli habitat, che può avvenire per ricolonizzazione spontanea o per reintroduzione. Un aumento della diversità ambientale può essere ottenuto ad esempio con lo smantellamento degli alvei cementificati e la successiva ricostruzione di alvei pseudonaturali, oppure con la creazione di piccole anse artificiali nei tratti canalizzati di un corso d acqua (Fig. 43); in questo tipo di interventi, particolare attenzione deve essere posta nel prevedere tratti con differente velocità e profondità dell acqua e, soprattutto, presenza di vari tipi di substrati in relazione alle esigenze riproduttive delle diverse specie. Pensiamo che l ingegneria naturalistica, adeguatamente integrata da valutazioni e da indagini sul campo riguardanti le comunità biotiche e le popolazioni ittiche che si vogliono favorire, abbia gli strumenti per individuare le idonee soluzioni tecniche; queste devono essere calibrate su ogni singolo corso d acqua sul quale si va a intervenire. Nel caso della reale necessità di costruire argini artificiali o di rinforzare argini naturali dei corsi d acqua a difesa dell erosione e delle esondazioni, soluzioni a basso impatto sull ecosistema fluviale e quindi sull ittiofauna sono quelle proposte dalla bioingegneria. Questa disciplina si occupa della stabilizzazione dei terreni con l aiuto delle piante, in particolare dei loro apparati radicali. Varie tecniche sono state messe a punto, con risultati positivi per quanto riguarda il consolidamento delle sponde e lo sviluppo di vegetazione arbustiva e arborea nelle aree ripariali dei corsi d acqua (vedi ad esempio Sauli, 1987, 1999 e Zeh, 1992). In un ottica di ripristino ecologico dei corsi d acqua artificializzati sono ipotizzabili interventi di rifacimento delle opere di sistemazione idraulica, con l eliminazione dei materiali ad 138

142 alto impatto ambientale e il successivo impianto di idonee specie legnose che tenga conto di tecniche bioingegneristiche. Numerose e molto importanti sono le funzioni delle fasce di vegetazione ripariale lungo i corsi d acqua e nelle aree circumlacuali. Il corredo naturale di alberi e arbusti lungo le rive dei fiumi e dei laghi ha un enorme valore paesaggistico e funzionale, riconosciuto tra l altro dalla normativa in campo ambientale (vedi le Leggi n 431/1985, 183/1989, 37/1994). Le fasce di vegetazione ripariale influenzano in modo positivo il grado di diversità ambientale degli ecosistemi acquatici, favorendo così la costituzione di comunità ittiche con alti valori di biodiversità. Esse svolgono un utile funzione di filtraggio e riduzione del carico di nutrienti e degli apporti inquinanti, e mitigano i picchi di luminosità e di calore; svolgono inoltre una funzione equilibratrice per quanto riguarda la disponibilità di materia organica. Molte attività antropiche tendono a ridurre o ad eliminare la vegetazione arborea e arbustiva delle fasce ripariali, determinando consistenti alterazioni paesaggistiche ed effetti negativi sugli ecosistemi acquatici e sulle comunità ittiche. Tenendo conto di queste considerazioni, risulta evidente che tra gli interventi di ripristino ecologico che possono produrre vantaggi per l ittiofauna c è il rimboschimento delle fasce ripariali dei fiumi e dei laghi che sono prive di vegetazione in conseguenza di attività antropiche. Tali interventi non devono porsi obiettivi esclusivamente estetici, ma devono puntare a ripristinare tutte le funzioni ecologiche delle fasce di vegetazione ripariale; infine, la scelta delle specie arboree e arbustive da utilizzare deve naturalmente tenere conto della composizione floristica e delle conoscenze fitosociologiche del territorio. Le dighe e gli altri sbarramenti trasversali rappresentano delle fratture che incidono negativamente sulla struttura, sulla funzione e sulla dinamica di molte componenti abiotiche e biotiche di un ambiente fluviale. Un ripristino parziale della funzionalità di un corso d acqua e delle possibilità dinamiche riguardanti varie specie ittiche si può ottenere mediante idonei passaggi per pesci, vie idrauliche artificiali destinate ad essere utilizzate dall ittiofauna. Tali strutture possono essere costruite in prossimità delle dighe e degli altri sbarramenti, per consentire ai pesci migratori anadrome e ai pesci stenoalini dulcicoli che risalgono i corsi d acqua durante il periodo riproduttivo di raggiungere le loro aree di frega; queste sono ubicate principalmente nei tratti medio-alti dei corsi d acqua, dove gli alvei presentano substrati ghiaiosi. Esistono diverse tipologie di passaggi per pesci, in relazione alle specie ittiche che si vogliono privilegiare ed alla categoria idrologica del corso d acqua; le principali sono: rampa grezza (o rapida artificiale), by-pass (o canale rustico), passaggio di Denil, bacini successivi (o scala di risalita), ascensori (vedi Ferri, 1992). In alcuni paesi centro-europei in corrispondenza dei passaggi per pesci sono state allestite delle sale dimostrative munite di grandi cristalli, dove il pubblico può osservare l ittiofauna nelle sue fasi dinamiche ed essere sensibilizzato alla problematica delle migrazioni riproduttive di varie specie ittiche e dei manufatti che possono impedire il completamento del loro ciclo biologico; anche nel nostro paese simili iniziative potrebbero svolgere un ruolo molto importante nel campo dell educazione ambientale riferita agli ecosistemi fluviali e alle loro comunità ittiche. Più in generale auspichiamo che in Italia venga avviata e portata avanti con coerenza una politica di ripristino ecologico che porti alla realizzazione di passaggi per pesci (per una discussione sull argomento vedi Ferri, 1999); questi sarebbero senz altro utili per la conservazione di specie come la Lampreda di mare, la Lampreda di fiume, lo Storione, lo Storione cobice, lo Storione ladano, l Alosa, la Savetta, la Lasca. Un altra tipologia di parziale ripristino ecologico può essere individuata in prossimità delle dighe: la realizzazione di aree di frega artificiali in canali opportunamente costruiti a valle degli sbarramenti. Tale soluzione, pur essendo di ripiego rispetto alla precedente, può produrre comunque dei vantaggi per l ittiofauna nei casi in cui risultasse particolarmente complicato o antieconomico dotare gli sbarramenti già esistenti di idonei passaggi per pesci. La realizzazione di aree di frega artificiali è stata sperimentata con successo in Slovenia, a vantaggio del Ciprinidi Chondrostoma nasus (vedi Ferri, 1992). Ferri M., I passaggi per pesci. In: Martino N. (ed.), Tutela e gestione degli ambienti fluviali, WWF Italia, Roma: Ferri M., I passaggi per pesci in Italia, un tema ancora difficile. Atti VII Conv. naz. AIIAD / Quad. E. T. P., Reg. Friuli-Venezia Giulia, 28:

143 Sauli G., Tecniche di bioingegneria nel consolidamento e reinserimento ambientale dei corsi d acqua. Atti Conv. Progetto Ledra / Comitato difesa F. Ledra, Buia: Sauli G., Protezioni spondali con tecniche di ingegneria naturalistica. Atti VII Conv. naz. AIIAD / Quad. E.T. P., Reg. Friuli-Venezia Giulia, 28: Zeh H., La bioingegneria, fondamenti della disciplina. In: Martino N. (ed.), Tutela e gestione degli ambienti fluviali, WWF Italia, Roma: ) Strategie di conservazione delle specie ittiche - l esempio del Fiume Ticino Premessa Una gestione razionale e lungimirante delle fauna ittica non può prescindere dalla conoscenza puntuale e scientifica non solo delle comunità ittiche ma anche delle condizioni generali dell ambiente acquatico in cui esse vivono. Le informazioni ricavate da un simile studio diventeranno infatti la base conoscitiva su cui fondare qualsiasi iniziativa di tutela faunistica e anche di sfruttamento sostenibile della risorsa, consentendo di individuare eventuali elementi o situazioni di squilibrio o criticità, che richiedano un intervento immediato. Un esempio concreto del tipo di studio che deve essere svolto e della quantità e natura delle informazioni utili che devono scaturire da esso, viene dalla Ricerca sulla Fauna Ittica del Fiume Ticino realizzata nel 1999 dalla società GRAIA Srl di Varano Borghi per conto del Parco del Ticino Lombardo e con il contributo del Parco del Ticino Piemontese e della Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee (F.I.P.S.A.S.). Con un lavoro durato due anni, è stato realizzato un accurato inventario delle specie ittiche, autoctone ed introdotte, presenti lungo l intera asta fluviale del Ticino e nei numerosi ambienti laterali (lanche, rogge, canali, rami laterali) di cui il fiume si contorna e che sono altrettanto importanti per la vita di numerose specie ittiche, valutando per ciascuna di esse la consistenza e lo stato di benessere, la distribuzione, l accrescimento, i rapporti interspecifici, l entità del prelievo di pesca. Tutte le informazioni raccolte, opportunamente elaborate ed integrate, hanno consentito ai ricercatori della G.R.A.I.A. di individuare e proporre al Parco le linee guida per la gestione dell habitat e delle attività più strettamente legate ai pesci Oggetto di particolare interesse, visto il loro forte impatto sul popolamento ittico preesistente, sono state anche le numerose alterazioni operate dall uomo sull ambiente fluviale - le sottrazioni d acqua, l inquinamento, gli sbarramenti, l introduzione di specie esotiche -, per ciascuna delle quali è stato proposto un intervento di mitigazione. La diffusione e l ecologia del siluro, l impatto degli sbarramenti invalicabili dalla fauna ittica migratrice e lo stato di minaccia per alcune specie ittiche di particolare pregio faunistico sono alcuni degli argomenti su cui si è maggiormente focalizzata l attenzione. Tra le specie trovate in una situazione di forte compromissione è stata individuata la trota marmorata (Salmo (trutta) marmoratus), in favore della quale è già in corso di attuazione, da circa un anno, un progetto di recupero, che prevede un allevamento a ciclo chiuso, con tecniche estensive, ed il ripopolamento del fiume a partire da riproduttori selvatici geneticamente adeguati. Per la grande mole delle conoscenze acquisite, questa ricerca si propone come un prototipo applicabile con gli opportuni adattamenti ad analoghe realtà ambientali meritevoli di particolare tutela e valorizzazione. Organizzazione della Ricerca All esigenza di compiere uno studio quanto più possibile organico ed esaustivo, che descrivesse tutte le realtà ittiche che animano il fiume, si contrapponevano non poche difficoltà operative per la realizzazione dei campionamenti. Fin dai primi sopralluoghi infatti, il Ticino si è confermato essere un ecosistema complesso e articolato, fatto di molti e differenziati habitat, ognuno con proprie specifiche caratteristiche e perciò vocato ad ospitare comunità ittiche variamente composte e strutturate. Per lunghi tratti del fiume le condizioni idrauliche di portata e di corrente riducono l efficacia o addirittura impediscono il campionamento sia con l elettrostorditore (FIGURA 3) che con le reti. A tali difficoltà è stato possibile sopperire tramite 140

144 due altri tipi di approccio: le osservazioni subacquee ed il censimento dei pescatori (Creel census). L osservazione subacquea delle comunità ittiche non solo ha consentito di indagare quelle zone altrimenti non raggiungibili con l azione di pesca, ma ha anche fornito preziose informazioni, spesso originali, sul posizionamento e sul comportamento dei pesci nel loro habitat. Le informazioni tratte dai questionari compilati con le interviste ai pescatori hanno costituito un altro prezioso strumento per lo studio del popolamento ittico del Fiume Ticino, in alcuni casi confermando con le loro segnalazioni la presenza di specie che l azione di campionamento non era riuscita a riscontrare. Figura 3. Risultati La campagna di raccolta dati si è estesa per un anno, interessando 64 stazioni posizionate lungo l intera asta principale del fiume e sugli ambienti laterali (lanche, rogge, canali, rami laterali). Ciascuna stazione è stata oggetto non solo di campionamento ittico ma anche di uno studio dell habitat fluviale e ripario ed il rilevamento dei parametri abiotici che maggiormente concorrono a rendere le acque più o meno idonee ad ospitare un popolamento ittico. La mole di dati che ne è scaturita è decisamente imponente: 40 specie ittiche rinvenute soggetti catturati ed identificati soggetti di cui sono stati rilevati dati biometrici di lunghezza e peso 688 campioni di scaglie prelevati, per l attribuzione dell età ai singoli soggetti e la costruzione delle curve di accrescimento lineare. La valutazione integrata dei risultati ottenuti dalla campagna di campionamento ittico, dalle osservazioni subacquee e dal Creel census ha consentito di formulare una serie di considerazioni conclusive e di proposte gestionali. Esse sono riferibili a due grandi categorie d intervento: l habitat fluviale e la fauna ittica: 1. L habitat fluviale del Ticino deve essere migliorato perseguendo i seguenti obiettivi: ottenere un deflusso minimo vitale adeguato: il tratto iniziale del fiume viene infatti oggi pressoché prosciugato durante i periodi di magra estiva; mitigare l impatto dei grandi depuratori e degli scolmatori di piena, che in occasione di piogge intense si rivelano gravemente lesivi per l ambiente acquatico, attraverso l affinamento dei reflui mediante fitodepurazione e la costruzione di vasche volano in ambienti paranaturali; costruire passaggi artificiali per i pesci in corrispondenza dei due sbarramenti fissi, attualmente invalicabili: le dighe di Porto della Torre e Pamperduto. 2. La fauna ittica del Ticino dovrà essere gestita: adottando misure minime di cattura (ricavabili dalle curve di accrescimento) che permettano agli adulti di partecipare almeno ad una riproduzione; interrompendo i ripopolamenti effettuati per le specie che in realtà sono state trovate in buona salute ; intraprendendo azioni di contrasto e di contenimento del siluro, il quale si è dimostrato in grado di colonizzare tutti gli habitat fluviali, compresi quelli ad elevata velocità di corrente, e viste le sue abitudini di cacciatore notturno; concentrando gli sforzi, in termini di tutela e di ripopolamento, sulle poche specie 141

145 ittiche di pregio -la trota marmorata, il temolo e lo storione- effettivamente bisognose di immissioni per poter tornare ad automantenersi nel Ticino. Recupero della Trota Marmorata del Fiume Ticino Decimata dall impatto degli scarichi inquinanti degli anni passati, dalle derivazioni d acqua che affliggono pesantemente i primi 30 km di percorso del fiume e dalla persecuzione accanita del bracconaggio, la popolazione di trota marmorata (Salmo (trutta) marmoratus), importante endemismo del bacino padano e specie di interesse comunitario ai sensi dell'allegato B della Direttiva 92/43/CEE, è ora così numericamente ridotta che le possibilità di una sua ripresa spontanea sono piuttosto scarse. A seguito dei risultati della ricerca, dal dicembre 1999 è stato avviato dal Parco del Ticino un programma di recupero della popolazione di trota marmorata del Fiume Ticino, coinvolgendo anche il Parco Piemontese, comprendente un allevamento estensivo a ciclo chiuso, con la riproduzione artificiale di riproduttori autoctoni, il primo accrescimento e l immissione delle trotelle prodotte nelle acque del fiume. Le vasche di allevamento per la stabulazione dei riproduttori catturati in fiume e l accrescimento dei giovani sono ambienti semi-naturali, molto simili ad un corso d acqua di pianura, alimentate da acque di risorgiva e abitate spontaneamente da una comunità animale numerosa, fatta di piccoli pesci e invertebrati. Prima del loro utilizzo, le vasche sono state sottoposte ad alcuni interventi migliorativi, volti ad aumentarne l efficienza produttiva in termini sia quantitativi che qualitativi di rusticità dei soggetti allevati. L obiettivo è infatti sia quello di assicurare ai riproduttori stabulati un esistenza il più possibile vicina alla vita libera finora condotta in fiume, sia di far crescere i soggetti giovani in un ambiente che ne favorisca lo sviluppo di tutti quei caratteri comportamentali, tipici della trota marmorata allo stato libero, che in una prospettiva futura ne avrebbero assicurato la sopravvivenza anche fuori dall ambiente protetto dell allevamento. Terminati gli interventi di naturalizzazione e sistemazione degli ambienti destinati all allevamento, si è proceduto con la campagna di reclutamento dei riproduttori. I soggetti adulti di trota marmorata catturati negli ambienti laterali del Fiume Ticino e soprattutto recuperati in occasione delle periodiche asciutte dei canali artificiali, e selezionati sulla base del fenotipo, sono trasferiti nell allevamento. Dagli esemplari reclutati, sessualmente maturi e pronti per la riproduzione sono state ricavate nel 1999 circa 3500 uova fecondate e portate all incubatoio FIPSAS di Porto della Torre (Somma Lombardo, VA). Gli avannotti prodotti sono stati introdotti in due piccole rogge opportunamente rimodellate in modo da aumentare la disponibilità di rifugi dai predatori. Il passaggio successivo del progetto è consistito nel rilascio in ambiente naturale dei soggetti giovani cresciuti e nella creazione di uno stock di riproduttori selezionati. 142

146 Erpetofauna FONTI: KNOTSON M.G., RICHARDSON W.B., REINEKE D.M., GRAY B.R., PARMLEE J.R. & WEAICK S.H., AGRICULTURAL PONDS SUPPORT AMPHIBIAN POPULATIONS. ECOLOGICAL APPLICATIONS, 14: CALHOUN A.J.K., MILLER N.A. & KLEMENS M.W., CONSERVING POOL-BREEDING AMPHIBIANS IN HUMAN-DOMINATED LANDSCAPES THROUGH LOCAL IMPLEMENTATION OF BEST DEVELOPMENT PRACTICES. WETLANDS ECOLOGY AND MANAGEMENT, 13: BEST MANAGEMENT PRACTICES FOR AMPHIBIANS AND REPTILES IN URBAN AND RURAL ENVIRONMENTS IN BRITISH COLUMBIA. PREPARED FOR BC MINISTRY OF WATER, LAND AND AIR PROTECTION, NANAIMO, BC, CANADA, 2004, BY BIOLINX ENVIRONMENTAL RESEARCH LTD (K. OVASKA, L. SOPUCK, C. ENGELSTOFT, AND L. MATTHIAS) AND E. WIND CONSULTING (E. WIND AND J. MACGARVIE). 151 PP. 1) Agricultural ponds support amphibian populations Introduction Agriculture strongly dominates the landscapes of some regions of North America, especially the midwestern United States, and agricultural practices have a potentially large influence on amphibian populations because of the attendant problems of habitat loss, isolation, and chemical and nutrient contamination (Bishop et al. 1999, Kolozsvary and Swihart 1999, Zampella and Bunnell 2000, Joly et al. 2001). However, in regions where natural wetlands are scarce, constructed agricultural ponds may represent important alternative breeding habitats for amphibians (Baker and Halliday 1999). Properly managed, agricultural ponds may effectively increase the total amount of breeding habitat in a region and help to sustain populations (Meyer-Aurich et al. 1998, Pechmann et al. 2001). Pool design and management Best management practices for improving overall amphibian reproductive success include providing ponds with low nitrogen concentrations, low amounts of vegetation, and no fish (Fig. 3). The presence of fish interacted synergistically with emergent vegetation and total nitrogen concentrations to reduce the probability of high reproductive success in ponds. When fish and vegetation were absent from a pond, the probability of two or more amphibian species exhibiting high reproductive success was significantly higher at a given nitrogen concentration than when fish were present. For example, amphibians in a pond with no fish or vegetation would have a 0.5 probability of attaining high reproductive success with total nitrogen concentrations of 0.45 mg/l (Fig. 3). With fish present, but no vegetation, the same reproductive success would occur at a total nitrogen concentration of 0.16 mg/l. With both fish and high density of vegetation, the model predicts that the probability of reproductive success would not reach 0.1, regardless of total nitrogen concentrations. In some agricultural regions like the Driftless Area, natural wetlands are scarce and constructed agricultural ponds may represent important alternative breeding habitats for amphibians. Informed agricultural pond design and management can improve breeding habitat quality. The USDA has published engineering guide- lines for building agricultural ponds (Deal et al. 1997), but ecological guidelines are also needed. Pond management guidelines that derive from our results include limiting livestock access to the pond, limiting nitrogen inputs, and avoiding the introduction of fish. If fish populations are already established and removing them is not an option, increasing habitat diversity may help provide refuges for amphibian breeding (Kats et al. 1988, Sih et al. 1988). Wide grassed buffer strips around the perimeter of the pond help reduce sediment, nutrient, and water flow into ponds during storm events (Castelle et al. 1994). Bibliografia (estratto) Baker, J. M. R., and T. R. Halliday Amphibian colonization of new ponds in an agricultural landscape. Her- petological Journal 9: Bishop, C. A., N. A. Mahony, J. Struger, P. Ng, and K. E. Pettit Anuran development, density and diversity in relation to agricultural activity in the Holland River watershed, Ontario, Canada ( ). Environmental Monitoring and Assessment 57:

147 Castelle, A. J., A. W. Johnson, and C. Conolly Wetland and stream buffer size requirements-a review. Journal of Environmental Quality 23: Deal, C., J. L. Edwards, N. Pellmann, R. Tuttle, and D. Wood- ward Ponds: planning, design, construction. Pages 1-85 in M. R. Mattinson, L. S. Glasscock, J. D. Massey, and W. R. Pierce, editors. Agriculture Handbook No USDA Natural Resources Conservation Service, Washing- ton, D.C., USA. Joly, P., C. Miaud, A. Lehmann, and O. Grolet Habitat matrix effects on pond occupancy in newts. Conservation Biology 15: Kats, L. B., J. W. Petranka, and A. Sih Antipredator defenses and the persistence of amphibian larvae with fish- es. Ecology 69: Kolozsvary, M. B., and R. K. Swihart Habitat fragmentation and the distribution of amphibians: patch and landscape correlates in farmland. Canadian Journal of Zoology 77: Meyer-Aurich, A., P. Zander, A. Werner, and R. Roth Developing agricultural land use strategies appropriate to nature conservation goals and environmental protection. Landscape and Urban Planning 41: Pechmann, J. H. K., R. A. Estes, D. E. Scott, and J. W. Gibbons Amphibian colonization and use of ponds created for trial mitigation of wetland loss. Wetlands 21: Sih, A., J. W. Petranka, and L. B. Kats The dynamics of prey refuge use: a model and tests with sunfish and salamander larvae. American Naturalist 132: Zampella, R. A., and J. E Bunnell The distribution of anurans in two river systems of a coastal plain watershed. Journal of Herpetology 34: ) Conserving pool-breeding amphibians in human-dominated landscapes through local implementation of Best Development Practices In questo lavoro gli autori individuano come modalità generale tre management zones : la depressione della pozza (pool depression), il suo intorno (pool envelope, land within 30 m of the pool) e l habitat critico circostante (critical terrestrial habitat m from the pool). Nella tabella 4, qui di seguito riportata, sono riassunti gli scopi e le raccomandazioni relativi a ciascuna delle tre tipologie. Appendix 1. (Adapted from Calhoun and Klemens 2002). Recommended guidelines for development activities near seasonal woodland pools. Roads and driveways 1. Roads and driveways should be excluded from the pool depression and pool envelope. 2. Roads and driveways with projected traffic volumes in excess of 5 10 cars per hour should not be sited within about 230 m of a seasonal pool (Windmiller 1996). Regardless of traffic volumes, the total length of roads within the critical terrestrial habitat should be limited to the greatest extent possible (Egan and Paton, 2004). 144

148 3. Use curbing with a 1:4 slope that small animals can cross (Cape Cod-style curbing) or nocurb alternatives on low capacity roads. 4. Use oversize square box culverts (2 x 3 ft) near wetlands and known amphibian migration routes to facilitate amphibian movement under roads. These should be spaced at 6-m intervals and use curbing to deflect amphibians toward the box culverts. 5. Use cantilevered roadways (i.e., elevated roads that maximize light and space underneath) to cross low areas, streams, and ravines that may be important amphibian migratory routes. 6. Cluster development to reduce the amount of roadway needed and place housing as far from vernal pools as possible. Site clearing, grading, and construction activities 1. Minimize disturbance and protect existing buffer areas to the extent practicable. 2. Site clearing, grading, and construction activities should be excluded from the pool depression and the pool envelope. 3. Site clearing, grading, and construction activities should be limited to less than 25% of the entire pool habitat (i.e., the pool depression, envelope, and critical terrestrial habitat). 4. Limit the area of clearing, grading, and construction by clustering development. 5. Minimize erosion by maintaining vegetation cover on steep slopes. 6. Avoid creating ruts and other artificial depressions that hold water. If ruts are created, refill to grade before leaving the site. 7. Refill percolator test holes to grade. 8. Use erosion and sediment control best management practices to reduce erosion. Stagger silt fencing with 6-m breaks to avoid disrupting amphibian movements or consider using erosion control berms. Use combinations of silt fencing and hay bales to reduce barrier effects. Reseed and stabilize disturbed areas immediately; permanent stabilization for revegetated areas means that each area maintains at least 85% cover. Remove silt fencing as quickly as possible and no later than 30 days following final stabilization. Minimize use of silt fencing within about 230 m of pools. Erosion control berms can be leveled and used as mulch or removed upon final stabilization. 9. Limit forest clearing on individual house lots within the developed sections of the pool management zones to no more than 50% of lots that are 0.8 ha or more in size. Encourage landscaping with natural woodland, containing native understory and groundlayer vegetation, as opposed to lawn. 10. Silt fencing should be used to exclude amphibians from active construction areas. However, construction activities should, ideally, occur outside of peak amphibian movement periods for the amphibian species occurring in your region (which include early spring and fall breeding and mid-late summer dispersal). Stormwater management 1. Pool depressions should never be used, either temporarily or permanently, for stormwater detention or biofiltration. 2. Detention and biofiltration ponds should be located at least 230 m from a pool; they should never be sited between pools or in areas that are primary amphibian overland migration routes, if known. 3. Treat stormwater runoff using grassy swales with less than 1:4 sloping edges. If curbing is required, use Cape Cod curbing. Maximize open drainage treatment of stormwater. 4. Use hydrodynamic separators only in conjunction with Cape Cod curbing or swales to avoid funneling amphibians into treatment chambers, where they are killed. 5. Maintain inputs to the vernal pool watershed at pre-construction levels. Avoid causing increases or decreases in water levels. 6. Minimize impervious surfaces (i.e., surfaces that do not absorb water) to reduce runoff problems and resulting stormwater management needs. Use of grass pavers (concrete or stone that allows grass to grow) on emergency access roads and in low use parking areas is recommended. Use of phantom parking is also recommended. Zoning formulae often require more parking spaces than are actually needed. Under a phantom parking strategy, sufficient land is reserved for projected parking requirements, but only a portion of the parking area is 145

149 constructed at the outset. Additional areas are paved on an as-needed basis. 7. Examine the feasibility (which varies by location) of reducing the road width standard to achieve conservation goals (i.e., minimize the footprints of roads). This is often done in tandem with development clustering, to reduce impervious surfaces and disturbance areas. Lighting 1. Exterior and road lighting within 230 m of a pool should use low spillage lights those that reflect light directly downward onto the area to be illuminated. A variety of products to accomplish this goal are now on the market. Avoid using fluorescent and mercury vapor lighting. Wetland creation and alteration 1. Alteration of natural conditions within seasonal forest pools and other small wetlands should be avoided. 2. Creation of ponds and similar wetlands should be avoided within 230 m of a pool. 3. Redirect efforts from creating low-value, generalized wetlands to enhancing terrestrial habitat around pools. These enhancements could include reforestation of post-agricultural lands within 230 m of a pool, restoration of forest, importing additional cover objects (e.g., logs, stumps), and removal of invasive plants and animals. Post-construction activities 1. Discourage predators by making garbage and other supplemental food sources unavailable. 2. Consider keeping cats indoors at all times. This would reduce depredation on a wide variety of species, ranging from pool-breeding amphibians to ground-nesting birds. Attaching bells to cat collars does not significantly reduce the ability of cats to prey on small vertebrates. 3. Mark the edge of a protected area (e.g., the critical terrestrial habitat) with permanent markers. Well-marked boundaries make enforcement of restricted areas clear to both homeowners and the local wetlands enforcement agencies. For example, granite monuments or stone cairns could be placed every 3 m around a protected area. In cases where intrusion is a concern, small sections of stonewall could be erected; these walls should be discontinuous, so that they do not impede amphibian movements. 4. Use covenants or deed restrictions to assure that the vernal pool and its envelope are conserved and that pesticide use, lot clearing, and other degrading activities are kept out of associated areas. Assign the homeowner or homeowner s association with responsibility for ensuring that conditions of the covenant or deed restriction are met. Provisions should also be included to allow a third party, such as the town or local land trust, to enter the property with adequate notice, and conduct appropriate management and remediation, charging the homeowner for these services. 5. In the case of a homeowner s association or other type of multiple tenant arrangement, a stewardship manual could be prepared that would educate each purchaser, or lessee, as to the unique nature of the property they are purchasing or renting, what their collective obligations to protect the resource entail, and where to obtain additional assistance or information. 6. A conservation easement, covering at minimum the vernal pool depression and vernal pool envelope (and, preferably, including land within the critical terrestrial habitat ), could be held by a municipality, land trust, or other nongovernmental organization. Bibliografia (estratto) Calhoun A.J.K. and Klemens M.W Best Development Practices: Conserving Poolbreeding Amphibians in Residential and Commercial Developments in the Northeastern United States. MCA Technical Paper No. 5, Metropolitan Conservation Alliance, Wildlife Conservation Society, Bronx, New York, USA. Egan R.S. and Paton P.W.C Within-pond parameters affecting oviposition by wood frogs and spotted salamanders. Wetlands 24: Windmiller B.S The Pond, the Forest, and the City: Spotted Salamander Ecology and Conservation in a Humandominated Landscape. Ph.D. Dissertation. Tufts University, Medford, Massachusetts, USA. 146

150 3) Best Management Practices for Amphibians and Reptiles in Urban and Rural Environments in British Columbia. In questo esteso documento i principi di buona gestione per gli Anfibi e i Rettili nella aree rurali e urbane sono applicati a scala geografica ampia, esaminando anche gli aspetti che competono ad una amministrazione centrale, con una successiva focalizzazione su alcuni distretti della Columbia Britannica. Si riportano di seguito i principi applicabili alla scala della singola area, con gli approfondimenti relativi ad alcune delle tematiche gestionali. La disamina di ciascuno degli aspetti elencati (e la relativa bibliografia), come pure la loro applicazione declinata alla scala locale, è consultabile al sito, Principles of habitat management The management of habitats for amphibians and reptiles in urban environments is fundamentally similar to their management in other disturbed landscapes. However, differences exist in the emphasis, scale, and specific tools for achieving the common goals. Semlitsch (2000, 2002) discussed principles for the management of habitats for aquaticbreeding amphibians. The following recommendations are modified from these principles to focus on amphibians and reptiles in British Columbia [ ]: Identify and protect critical habitats (such as aquatic breeding sites of amphibians, caves and seepages for some salamanders, snake dens, and turtle nesting grounds) from development and human disturbance protect sufficient habitat peripheral to critical habitats to allow for all essential life-history activities to continue (such as terrestrial foraging habitats for semi-aquatic amphibians) prevent degradation of habitat quality in both aquatic and terrestrial habitats by controlling contamination, human access, spread of exotic species, and other measures as deemed necessary preserve habitat attributes important for amphibians and reptiles, such as coarse woody debris, rock outcrops, talus, and appropriate substrates for burrowing maintain and manage natural processes, such as hydro-periods and vegetation succession, so that habitats continue to provide suitable conditions for target species over the long term avoid fragmentation of habitats (i.e., isolation, edge effects); where habitats are already fragmented, provide habitat continuity that allows for movements of animals provide sufficient habitat and landscape linkages so that population processes that depend on emigration and immigration and gene flow can be maintained Principles of habitat restoration for amphibians and reptiles A diversity of habitats and habitat features promotes species diversity and long-term survival of amphibian and reptile populations, and should be kept in mind when restoring habitats Restoration activities may involve either increasing connectivity to allow for dispersal and migratory movements of amphibians and reptiles, or blocking continuity of habitats to prevent access by their predators and competitors, such as introduced nonnative or bullfrogs Whereas permanent wetlands suitable for amphibians can be created, creating temporary wetlands is very difficult; where they exist naturally, however, both types of wetlands are amenable to restoration Restoration of natural drainage patterns for temporary and permanent wetlands is beneficial for amphibians and reptiles Riparian buffer zones, necessary for control of contaminants that enter a water body, also provide essential terrestrial habitat for amphibians and reptiles. However, for many species relatively wide buffer zones and habitat connectivity are required to provide sufficient upland habitat Often, restoration objectives can be achieved through natural vegetation succession and resisting intensive management practices, such as mowing and weeding (although within ponds, plants may need to be removed to maintain some open water areas) Practices that promote the establishment of native vegetation are beneficial for amphibians and reptiles, as they restore habitat diversity and natural ecosystem processes 147

151 Maintaining and restoring habitat features important for amphibians and reptiles, such as large pieces of coarse woody debris and rock outcrops, enhances the quality of terrestrial habitats for these animals The maintenance and restoration of south-facing rocky slopes adjacent to foraging habitat in the forest or wetlands provides warm, sheltered sites for snakes and lizards for egg-laying, nursery, or overwintering. The creation of artificial structures (rock or brush piles) for shelter, over-wintering, or nesting can be beneficial for reptiles in areas where natural sites for these activities have been degraded or reduced in numbers. Inadvertent creation of ecological traps, which attract amphibians and reptiles to sites where their survival is impaired, should be avoided. Careful planning is important for all restoration and habitat enhancement activities. Principles for effective tunnel systems Recommendations for effective amphibian tunnel systems include the following [ ]: Proper location of tunnels and fences based on knowledge of target species and their migration routes Orientation of tunnels from winter/foraging grounds to breeding grounds 2-way tunnels with large diameter (such as 1 m) are effective and also allow for passage of a variety of other animals Smaller tunnels with slots for ambient light and moisture can be effective; these include grated tunnels placed flush with the road surface Proper construction and maintenance of fencing to avoid breaching and circumvention by animals Where fencing is parallel to the road, guiding systems are needed to direct animals to tunnels Interval between tunnels 50 m or less Taking appropriate control measures to avoid flooding of tunnels Monitoring of tunnel use to assess its effectiveness and need for refinements Fencing and road crossing structures for reptiles In conjunction with roads, residential developments, industrial parks, recreational facilities, parking lots and other types of developments can act as barriers to movements of those amphibians and reptiles that are able to coexist with humans within populated areas. Harris and Scheck (1991) listed several options for providing landscape connectivity for wildlife, some of which apply for amphibians and reptiles. Recreational greenway parks and streamside management zones may benefit some species, provided that such connectivity does not facilitate invasion by nonnative or exotic species such as Bullfrogs that can adversely affect native species (see Section 3.7). Natural and restored ecosystems within parks and greenways are more useful for amphibians and reptiles, and other wildlife, if they are relatively large and wide (rather than narrow strips) and receive little human disturbance (rather than heavy, intrusive use). Sufficiently wide streamside management zones can also provide important habitat and serve as movement routes for a variety of wildlife. Information on specific habitat requirements of target species is required to assess the suitability existing riparian management zones as movement corridors for amphibians and reptiles (Burbrink et al. 1998). These authors found that the presence of upland forest habitat and fishless ponds, rather than the width of the riparian zone, was an important determinant of the use of these areas by a number of species. Hedgerows, fence-rows, windbreaks, and narrow cover strips are not beneficial for wildlife as movement corridors, unless their alignment in the landscape happens to be congruent with animal movements (Harris and Scheck 1991). However, where they are appropriately placed and composed primarily of native plants, these features can be useful for small wildlife that require cover such as some snakes and lizards. Not all habitats need to be connected; nor are such efforts desirable. A general principle is to restore connectivity among patches of similar habitats and where connections existed previously (Harris and Scheck 1991). For amphibians and reptiles, connectivity implies providing travel routes between essential seasonal habitats that are spatially separated, connecting small patches of similar habitat that were fragmented by human activities, and 148

152 providing sufficient connectivity among habitat components to permit population processes at landscape level scales. Semlitsch and Brodie (1998) and Semlitsch (2000) stressed the importance of small isolated ponds and wetlands as stepping stones for amphibian dispersal, so facilitating recolonization of habitat patches subjected to local extinctions and the longterm persistence of a species across the landscape. The nature of landscape level processes is incompletely understood for populations of most amphibians and reptiles in British Columbia, and a prudent approach is to protect a diversity of aquatic and adjacent terrestrial habitats at scales that allow for movements of animals among habitat patches. [ ] Compared to amphibian tunnel systems, relatively little information is available on mitigating measures for road mortality of reptiles. The most intensive research on this problem is from the Narcisse Snake Den Area in Manitoba, where the massive over-wintering aggregations of the Red-sided Garter Snake (Thamnophis sirtalis) in limestone pits are an internationally renowned phenomenon (reviewed in CARCNET 2000a, b). Snakes are subjected to road mortality during their spring and autumn migration movements while crossing a highway, located within a few hundred meters from the denning area, and in the autumn while they meander in the vicinity of the dens and on the thermally attractive road surface. Initial mitigative measures involved the erection of drift fences leading to existing culverts. Even low (30 cm-high) fences have been successful in directing snakes towards tunnels, and some snakes pass through them. Two other types of tunnels have been tried at this site (CARCNET 2000a). One of these is similar to amphibian tunnels and consists of a 20 cm polymer concrete channel covered with an iron grate that lets in ambient light and heat. Experimental releases of snakes at the tunnel entrance have been encouraging. However, this system is unlikely to be durable enough to be deployed on a highway with heavy traffic on a long-term basis. In 2000, several 6 12 pipes were installed under the highway using horizontal boring equipment. This method is attractive, because numerous tunnels can be created with relatively little cost and without damaging the road surface. Whether these pipes are effective remains to be evaluated. Measures to induce snakes to move through the tunnels have been sought. Such measures include using snake pheromones and artificially creating thermal gradients in the tunnels. So far, results of these experiments have been inconclusive. Speed reductions and signs along the highway were ineffective. Management recommendations Recognize the importance of small wetlands and streams. Management plans should consider all wetlands and streams, regardless of their size, flow rates, depth, or duration. Avoid draining wetlands, regardless of their size, depth or duration. Avoid altering flow regimes of creeks, surface runoff, or groundwater and avoid impermeable surfaces. Impermeable surfaces alter the flow of water throughout an area, and carry pollutants (see Section 3.4). Provincial guidelines promote the use of absorbent landscaping and infiltration facilities (Stephens et al. 2002), and BMP s used in the United States and Europe recommend the use of porous materials for parking lots, pavement, and roads. Protect riparian and emergent/submerged vegetation. The maintenance of hydrological regimes and water quality is dependent in part on vegetation to intercept runoff, for evapotranspiration, and filtration. Avoid creating permanent ponds or sink habitats. Deep, permanent water bodies, especially those where the shallow littoral zone has been lost, are unsuitable to most native amphibian species. The creation of steep-sided embankments due to dredging water courses/bodies to make them deeper, or to channelize them, results in habitat degradation and loss. It is often recommended that trenches, basins, drains, ditches, and detention ponds be used to control runoff. However, it is critical that permanent ponding areas are not created as a result of construction because they can collect contaminants from runoff, act as vectors for the spread of nonnative species, and potentially become sink habitats (see Sections 3.1 and 3.2; Di Mauro and Hunter 2002). These areas should be designed so that they can be drained and/or dry each winter to avoid the establishment of predators, such as fish and/or Bullfrogs. Restore ponds and creeks to increase the proportion of wet areas and potential amphibian and reptile habitat within the landscape. This can be accomplished by removing a proportion of vegetation that may be choking the system, eradicating nonnative species, repairing natural 149

153 flow regimes, removing sources of pollutants, limiting human access, and planting with native species in littoral zones. For example, frog abundance increased in a natural area of Illinois where restoration work raised water levels (by 10 cm) within ephemeral wetlands, so that pond duration was extended each year; they removed constructed features (such as ditches), adjusted the outflow dimensions to slow flow rates, removed invasive species that shaded the wetlands, and planted native species (Nyberg and Lerner 2000). [ ] Limit access to important amphibian and reptile habitats (e.g., shoreline areas, denning and basking sites). To protect critical habitats, humans should be excluded from some natural areas, or parts thereof. Design trail systems to encourage people to stay on designated trails via board walks, fencing and plantings, and offer viewing positions from a distance, such as viewing platforms. In addition, buffers can be placed around critical habitats, to deter human access. For example, trails and campgrounds should be placed away from critical shoreline areas, breeding and basking sites. Entry into areas can be limited at certain times of the year via trail closures during the breeding season and juvenile dispersal. Although education of young people about amphibians and reptiles is important ( ), schools and playgrounds should not be located near critical habitats where rare and endangered amphibians and reptiles are found (e.g., talus slopes, rock outcrops, creeks and wetlands). This will minimize the risk of contact and harassment, the potential for nonnative species establishment, such as the release of Bullfrog tadpoles (see Section 3.7), and in some areas of the province potential injury from snake bites. Limit access of free-roaming pets into parks and reserves. The placement of housing developments directly beside critical amphibian and reptile natural areas should be avoided when possible, or buffered. Strict bylaws and adequate enforcement regarding free-roaming pets, with signage informing residents that animals will be trapped and removed, may help to discourage the public from allowing their pets off-leash or having unsupervised access to natural areas. To control harassment by dogs, use of an area can be prohibited and/or restricted by leash laws and seasonal usage (e.g., exclusion during breeding periods). The use of fencing and signage about pets in and around creeks/ponds would limit disturbance to riparian areas. The most effective control of cats will come through the design/planning phase, through laws/legislation, and public education. Have strict garbage control so that feral animals and opportunistic predators are not inadvertently fed or attracted to natural/critical areas (Coleman et al. 1999). 150

154 Anatidi e specie affini In particolare la letteratura Nord-americana è ricca di informazioni sulla gestione delle zone umide diretta alla conservazione degli uccelli acquatici. Qui di seguito si forniscono alcuni brevi estratti di una trattazione generale, che mettono a fuoco gli effetti del disturbo e danno un esempio specifico di progettazione ambientale diretta ad evitarlo. Sono riportate anche alcune indicazioni relative alla gestione ambientale per il Codone, specie fortemente in regresso come svernante in Lombardia. FONTE: CROSS D.H., VOHS P. (EDS.), 1988 [E SUCC. INTEGRAZIONI]. WATERFOWL MANAGEMENT HANDBOOK. FORT COLLINS, CO: U.S. FISH AND WILDLIFE SERVICE. Nutritional Values of Waterfowl Foods (Supplying Nutritional Needs for Waterfowl). Waterfowl are well adapted to the dynamics of natural wetland systems. Mobility and foraging adaptability are behavioral characteristics that enable waterfowl to acquire needed resources. Dynamic wetlands supply a variety of food resources that allow waterfowl to feed selectively and to formulate nutritionally adequate diets from a variety of sites. Although a single wetland site may not provide adequate food for all requirements, management areas with a variety of wetlands or flooding regimes usually have a mix of habitats that provide all nutritional requirements. Because a variety of strategies exists within and among waterfowl species (wintering, migration, or breeding), not all individuals or species require similar resources simultaneously. Thus, a diverse habitat base is a logical approach to meet the various needs of waterfowl. Furthermore, when suitable food and cover are within daily foraging range, acquisition of required resources is enhanced. A good rule of thumb is to provide many wetland types or food choices within a 10-mile radius of waterfowl concentrations. Appropriate management requires preservation, development, and manipulation of manmade and natural wetland complexes. Such an approach provides nutritionally balanced diets for diverse waterfowl populations. Where natural wetlands remain intact, they should be protected as unique components of the ecosystems. The protection of natural systems and the development and management of degraded systems increases choices of habitats and foods for waterfowl. Likewise, the provision of adequate refuge areas where birds are protected from disturbance is an essential ingredient to ensure that food resources are available to waterfowl and can be used efficiently. Pintail habitat management (migration and winter). Pintails are noted for their use of large expanses of shallow, open habitats. These wetlands often provide an abundance of food and good visibility for avoidance of predators and other disturbances during the day. At night, habitats with greater, robust cover are often sought. Although they forage in openings in southern hardwoods, pintails generally do not use flooded sites in the forest interior. Similarly, they are less apt to use woody riparian corridors than are mallards or other ducks. Many well-managed wetlands have the potential to provide an abundant supply of high-energy and nutritionally complete foods for pintails when water depths are < 18 inches and preferably < 6 inches. Gradual flooding and draining of impoundments at appropriate times during spring and fall migration create conditions that allow optimal foraging opportunities over extended periods. When impoundments vary in depth by more than 18 inches, gradual flooding increases the potential for pintails to consume more available seeds. Waters > 18 inches can still provide important roost sites and give security from predators. Newly developed wetland areas are more easily managed for pintails if levees and other water control structures are configured to provide the maximum area in optimal foraging depths of 18 inches. Because waste grains from agricultural production are of great importance to pintails, refuge or farm programs that make these grains available after harvest have special value for pintails 151

155 in certain areas. Pintail use is increased by shallow flooding of any crop or by manipulating rice stubble by rolling or burning. Barley and rice usually are preferred over corn, although corn is consumed extensively in some locations... Maintaining ideal foraging conditions throughout winter and during spring migration provides required resources for molt, migration, and deposition of reserves for breeding. Stable water levels are undesirable, but gradual drawdowns have the potential to increase the vulnerability of invertebrate prey and to make seeds within mud substrates accessible. Furthermore, some good foraging sites should be protected from disturbance by hunters, bird watchers, aircraft, and boaters, as well as from management activities throughout fall and winter. Management Considerations (general). Fortunately, numbers of breeding waterfowl usually increase in response to reduction or elimination of human disturbances. For the benefit of waterfowl, the harm from human disturbances must be minimized or eliminated. Management alternatives that reduce human disturbances of waterfowl include: 1. increasing the quantity, quality, and distribution of foods to compensate for energetic costs from disturbances; 2. establishing screened buffer zones around important waterfowl roosting and feeding areas; 3. reducing the number of roads and access points to limit accessibility to habitats; 4. creating inviolate sanctuaries; and 5. reducing the sources of loud noises and rapid movements of vehicles and machines. Disturbances occur chiefly during all critical parts of the annual cycle of waterfowl - nesting, brood rearing, migration, and wintering. Each part of the cycle is crucial to the breeding and survival of waterfowl populations. Common to all parts of the cycle is disturbance while feeding, which may increase flight time and decrease feeding time. Disturbances of nesting birds may cause abandonment of the nest, disruption of the pair bond, reduction in clutch size, increased egg mortality, abandonment of the nesting area, and increased predation of the nest. Disturbances during brood-rearing may cause exhaustion of young and an increase in losses from predation. These disturbances can be lessened or their effects mitigated on refuges or other areas managed for waterfowl. Because disturbances are sometimes caused by professional wildlife managers or researchers and private citizens, creation of sanctuaries is often necessary at critical times and locations. Access to roads and trails can be limited for professionals and for bird-watchers. Activities of other users of wildlife, such as trappers and hunters, may have to be restricted in space and time; boating, angling, camping, and picnicking may be restricted similarly. Human disturbance often is increased by viewing platforms and waterfowl can be viewed at a closer distance if the platform is screened with vegetation and made more like a blind. Proper screens and appropriate control of noise let people really enjoy wildlife close at hand. Structures such as pumping stations and maintenance buildings on wildlife areas should be screened and placed where necessary human visits cause the least disturbance of waterfowl. Disturbances, particularly at critical times of the year, can be reduced notably by restricting access of pedestrians, autos, and boats; by regulating activities such as farming, grazing, bait collecting, camping, hunting, fishing, and trapping; and by prohibiting the use of nets that can entrap diving ducks. Access by dogs and other pets should not be permitted in critical areas during the nesting and brood-rearing periods. Airboats, aircraft, and all-terrain-vehicles are often useful to managers of waterfowl and wetland, but their use must be carefully planned to minimize harm from sight or sound. Construction of dikes, canals, water control structures, roads, and similar structures and military uses of wetlands or refuge areas should be scheduled for non-critical times in the annual activity cycle of waterfowl. Disturbance of feeding waterfowl ca can sometimes be mitigated by acquiring feeding areas on privately owned land to create a sanctuary or by practicing moist soil management and thus increasing the availability of highly nutritious foods in the refuge or wetland areas. With careful planning, deleterious effects of human disturbance on waterfowl can be mitigated or eliminated by creating sanctuaries in time and space. Managers must aggressively protect waterfowl from any human disturbance that reduces productivity and health of populations. To accomplish this goal, managers must resolve conflicting interests between needs of the public and needs of wildlife and researchers must gather more data to provide a greater range of management options. 152

156 Vegetation management. There are three basic ways to provide quality waterfowl foods through vegetation management. They are 1) natural moist soil plants, 2) planting a crop for wildlife and 3) management of crop residue. Advantages of moist soil management over planting crops are: Management costs are less. Attracts greater diversity of wildlife. Provides foods with greater nutrient value. Possible on marginal row crops sites. 153

157 Production less influenced by weather. Advantages of planting crops are: Total energy production can be higher. Does not require as precise of water control. Easier to control undesirable plant species. Each shallow water area may be managed using different methods in different years. In some cases, altering the type of management can facilitate maintenance and increase productivity and diversity of the site. 154

158 Sternidi coloniali: fattori di minaccia e misure gestione FONTI: BIRDLIFE INTERNATIONAL (2008) SPECIES FACTSHEET: STERNA HIRUNDO. DOWNLOADED FROM ON 22/12/2008) BIRDLIFE INTERNATIONAL (2008) SPECIES FACTSHEET: STERNA ALBIFRONS. DOWNLOADED FROM ON 22/12/2008. BIRDLIFE INTERNATIONAL (2008) SPECIES FACTSHEET: CHLIDONIAS NIGER. DOWNLOADED FROM ON 22/12/ ) Sterna commune Sterna hirundo Threats During the breeding season the species is vulnerable to human disturbance at nesting colonies (e.g. from off-road vehicles, recreation, motor-boats, personal watercraft and dogs), and to the flooding of nest sites as a result of naturally fluctuating water levels. On its breeding grounds the species is also threatened by habitat loss as a result of coastal developement, erosion, vegetation overgrowth (rapid vegetation succession encroaching upon nesting habitats), and chemical pollution (which may also result in eggshell thinning). It suffers predation at nesting colonies from rats (especially on islands) and from expanding populations of large gull species such as Herring Gulls Larus argentatus (gulls may also prevent the species from nesting in the area by colonising it first). The species is susceptible to avian influenza so may be threatened by future outbreaks of the virus. Management information Management techniques used to increase the breeding numbers and reproductive success of the species in the Great Lakes region of North America include creating artificial nesting sites, vegetation management, enhancement of existing nesting habitat, using models and vocalisation to attract breeding pairs and predator control (e.g. mammalexclusion, destruction of gull nests, direct predator removal, or preventative measures against gull nesting). A conservation scheme for the protection of gull and tern breeding colonies in coastal lagoons and deltas (e.g. Po Delta, Italy) involves protection from human disturbance, prevention of erosion of islet complexes, habitat maintenance and the creation of new islets for nest sites. The scheme particularly specifies that bare islets with % cover of low vegetation (sward heights less than 20 cm) should be maintained or created as nesting sites. Artificial nesting rafts have proved effective in promoting breeding success in areas where there is a lack of suitable nesting habitat or where human disturbance is a particular threat (1996). Using fire to expose the ground surface in areas where vegetation succession is proceeding too far towards closed vegetation stages has been successful in some areas. Culling predatory gulls can be an effective management tool to enhance breeding productivity, although some management plans recommend non-lethal harassment techniques that target gulls (e.g. egg and nest destruction, conspicuous human observers, gull displacement walks, and pyrotechnics) to reduce predation on nesting colonies rather then cullling. 2) Fraticello Sterna albifrons Threats The species is threatened by habitat destruction such as the development and industrial reclamation of coastal breeding habitats (e.g. for the development of new harbour facilities). It is also highly vulnerable to human disturbance (including birdwatchers) at coastal and inland nesting sites which can lead to nest failures. Pesticide pollution (e.g. organochlorine pollutants, mercury and DDT) and artificially induced water-level fluctuations in saltmarshes may also pose a threat to the species's reproductive success. The species also suffers from local egg collecting and is susceptible to avian influenza so may be threatened by future outbreaks of the virus. Management information Protective measures such as fencing-off sensitive nesting areas, erecting warning signs and wardening are effective measures of increasing the breeding success of this species on sandy beaches. There is also evidence that earlier breeders benefit more (i.e. have higher reproductive success) from protective measures, suggesting that 155

159 conservation efforts can be maximised if concentrated earlier in the season. Breeding pairs are also known to be attracted to coastal locations where artificial nesting sites have been constructed (e.g. beaches of bare shingle and islands or rafts covered with sparse vegetation). A conservation scheme for the protection of gull and tern breeding colonies in coastal lagoons and deltas (e.g. Po Delta, Italy) involves protection from human disturbance, prevention of erosion of islet complexes, habitat maintenance and the creation of new islets for nest sites. The scheme particularly specifies that small bare islets of ha with very reduced vegetation cover (less than 30 %) and sward heights less than 20 cm should be maintained or created as additional nesting sites for this species. 3) Mignattino Chlidonias niger Threats On its breeding grounds the species is threatened by reductions in food availability due to the eutrophication of surface waters (which reduces the diversity of large insects), the acidification of lakes (which leads to the death of fish), the introduction of exotic fish species (e.g. peacock bass Cichla ocellaris) and pesticide pollution (which may also lead to direct mortality from poisoning). When breeding the species is also threatened by fluctuating water levels, the loss and deterioration of freshwater nesting habitats (e.g. through drainage for agriculture and overgrowth of Typha spp. beds, and human disturbance (especially where this forces breeding pairs to leave the nest before the young are fully fledged). The species is also susceptible to avian influenza so may be threatened by future outbreaks of the virus. Management information In the Netherlands the provision of anchored artificial nesting rafts has been partly successful as a conservation measure, especially in habitats where unstable nest substrates (such as floating water-lilies) result in poor breeding successes. In the Netherlands there have also been successful programmes to reduce disturbance and improve habitat quality in agricultural areas, which has benefited the species. The application of glyphosphate-based herbicides to combat and prevent the overgrowth of Typha spp. in wetlands may also benefit the species. 156

160 Moscardino Il Moscardino Muscardinus avellanarius è l unica specie di Micromammifero incluso nella Direttiva Habitat e segnalato come presente nei formulari relativi ai Siti Natura 2000 della Golena lombarda di Po. È una specie considerata in pericolo in diverse parti del suo areale e oggetto di interventi di conservazione. Qui di seguito si riportano gli elementi del Piano d Azione nazionale britannico applicabili anche alla situazione in esame, e di successive applicazioni a scala locale e modalità di intervento. Sono inoltre fornite indicazioni sulle modalità di studio e monitoraggio della specie i nlombardia. FONTI: DORMOUSE. (MUSCARDINUS AVELLANARIUS) SPECIES ACTION PLAN. BIODIVERSITY: THE UK STEERING GROUP REPORT - VOLUME II: ACTION PLANS (DECEMBER 1995, TRANCHE 1, VOL 2, P86). ONLINE AT SHROPSHIRE BIODIVERSITY ACTION PLAN. ONLINE AT: 50A21C CD80256D5E002EB17D/$FILE/SAPDORMOUSEJULY2003.PDF WOODLAND MANAGEMENT IN THE PRESENCE OF THE DORMOUSE GUIDANCE FOR COMPLIANCE WITH THE CONSERVATION (NATURAL HABITATS, &C.) (ENGLAND AND WALES) REGULATIONS 1994 AS AMENDED BY THE CONSERVATION (NATURAL HABITATS, &C.) (ENGLAND AND WALES) (AMENDMENT) REGULATIONS 2007 (THE HABITATS REGULATIONS). ONLINE AT: FORNASARI L., MIOXIDAE. RAPPORTO SULLE TECNICHE DI MONITORAGGIO ALLA REGIONE LOMBARDIA, ASSESSORATO AGRICOLTURA (NON PUBBLICATO). In addition to the effects of habitat loss, dormice have declined as a result of the isolation of their woods and inappropriate woodland management. The animals are reluctant to cross open ground and consequently are vulnerable to local extinctions when woodland is lost. The grubbing out of hedgerows in recent decades has removed these wildlife 'corridors' between woods that might have allowed dormice to move more freely to alternative sites. Because of their specialised diet they are unlikely to be found in recently established woodland or isolated old woods of less than 20 ha in size. The common dormouse is no longer 'common'. Because of its serious decline, it is listed as a UK Biodiversity Action Plan (UKBAP) species. English Nature has also included it in their Species Recovery Programme (SRP). The initial objectives for saving the dormouse included gaining more knowledge as to its range and numbers, securing the existing populations, promoting suitable woodland management and re-introducing animals to appropriate sites. Because of its popularity with the public and its potential as an excellent 'indicator species' the dormouse became the centre of a publicity campaign designed to draw attention to the threat to the animal and its habitat. This included producing information on the value of old, well managed woodland, establishing a National Nest-box Recording Scheme on computer database and involving the public and school children in 'The Great Nut Hunt'. Part of National Dormouse Week, the Great Nut Hunt encouraged people to search their local woods for signs of nibbled hazel nut shells. Unlike squirrels which open nuts by splitting them, dormice nibble a small hole and extract the kernel piecemeal. The discovery of these nuts, indicating the presence of dormice, showed that the wood was still in a favourable condition. The last Great Nut Hunt took place in [ 1) SCALA GENERALE (UK) Current factors causing loss or decline Changes in woodland management practice, notably cessation of hazel coppicing and stock incursion into woodland. Fragmentation of woodland, leaving isolated, non-viable populations. (Short distances, possibly 157

161 as little as 100m, form absolute barriers to dispersal, unless arboreal routes are available). Current action Ecological research has led to practical proposals for conservation management. A nestbox scheme has been established, aimed at collating data on breeding and population density from sites throughout the present range. A Practical Guide to Dormouse Conservation was published by the Mammal Society in 1989, and NE are preparing a manual of dormouse conservation management. In 1992 the dormouse was added to English Nature`s Species Recovery Programme, with the aim of protecting and consolidating the species at selected sites where it still occurs, and developing methods to re-establish dormice in counties from which they have been lost. Trial re-introductions have been undertaken in Cambridgeshire and Nottinghamshire. A major public participation exercise - the Great Nut Hunt of aroused considerable interest and prompted many local surveys which improved knowledge of dormouse conservation status. Developments which fragment habitats and break up natural features which link wildlife sites (notably road building) have a significant impact on dormouse populations. The importance of retaining and managing natural features linking wildlife sites was emphasised in DoE`s Planning Policy Guidance Note on Nature Conservation (PPG9), published in October 1994, which covers England. Site safeguard and management Sites supporting dormice should be identified and advice provided to land managers on appropriate management. Grant-aid and incentive schemes should be used to encourage owners to manage suitable habitat sensitively. Manage woodlands and hedgerows to maintain current populations and prevent further habitat fragmentation. Species management and protection Continue the programme to re-introduce dormice where they are currently absent. Reinforce populations in other counties where they are scattered. Establish a co-ordinated programme of captive breeding to support the re-introduction programme, including research into the long term survival of captive bred individuals. Advisory A new manual on dormouse conservation will be published. Support training in conservation of dormice both for land managers and advisers. Future Research and Monitoring Continue research into dormouse ecology, with particular emphasis on the ecology of dormice in hedgerows or conifer sites, the analysis of existing population data, hibernation requirements, and the effects on populations of isolation. Promote research on methods of conserving dormice which are consistent with various silviculture systems. The National Dormouse Monitoring Scheme should be maintained and extended. Methods of survey or monitoring should be further developed and standardised to obtain sufficient longterm data on which to assess the effects of site management and successional development. Surveys of sites identified in the Great Nut Hunt of 1993 should be repeated at 5-10 year intervals to provide data on changes in distribution and abundance. Carry out a survey of dormice in Wales to assess the range and habitat use and identify necessary conservation measures. Encourage research on the ecology and conservation of this species in an international context. Pass information gathered during survey and monitoring of this species to JNCC in order that it can be incorporated in a national database and contribute to the maintenance of an up-to-date Red List. Communications and Publicity 158

162 Ensure that landowners, agencies and local authorities are aware of the requirements of the dormouse, especially the impact woodland and hedgerow management may have, and the effects of habitat fragmentation. Ensure continued public awareness of this species as a key indicator of desirable woodland and hedge conditions. 2) SCALA LOCALE (Shropshire) Land Management Consider the needs of the dormouse in agri-environment schemes where dormice (or suitable habitat) are present. Encourage landowners to manage their land to support dormice populations. Enhance at least five sites that currently support dormice through habitat creation and appropriate management. Select at least one site as a demonstration area to illustrate best practices for dormice conservation. Monitoring and Research Continue to survey hedgerows, scrub and woodlands for dormice, especially in areas with few records. Establish the value of conifer woodlands and other habitats for supporting dormice. Establish and monitor nest boxes to determine the effectiveness of management techniques and to assess population numbers. Provide data on Shropshire dormice to the national nest box scheme run by Royal Holloway College and funded by English Nature. Train individuals so they have licences to check nest boxes. Advisory Provide advice to land managers and advisors on the conservation dormice. Produce a leaflet for landowners on dormice, including principles management and ecology. Increase public awareness of the status and needs of dormice. 3) MODALITÀ DI INTERVENTO (Wales) How to avoid or reduce the impact whilst carrying out woodland operations Routine forestry / woodland management activities can potentially result in offences being committed if dormice or their breeding sites or resting places are present and it is vital that managers review planned activities to identify such risks. The following types of operations have a risk of committing offences if dormice are present: Harvesting, including felling or thinning of stands (disrupt feeding activities and kill foraging individuals and damage nests even during period of least impact; in winter damages and destroys hibernation sites and in summer breeding and resting sites). Ground preparation (can mainly damage or destroy hibernation sites if carried out in hibernation period). Tending and establishment (disturb, damage or destroy hibernation sites, or breeding and resting sites). Construction & maintenance of infrastructure (clearance of woodland in winter can damage or destroy hibernations sites and in summer breeding and resting sites) Management of open space (can damage or destroy hibernation sites and resting sites). The way to reduce the risk of committing an offence should be, during operations, to avoid damaging or destroying a resting place or carrying out activities that disturb dormice in their nests. Dormice are unable to move around a woodland quickly, (for instance to flee from a threat), their breeding sites and resting places (nests) are very hard to find and their terrestrial resting places are likely to be distributed throughout the woodland. Thus, providing an alternative operation, or location for the operation, that will not damage or destroy their resting places is difficult; a best practice guide is listed in table

163 Woodland habitats can be improved for dormouse by encouraging long-term presence of a shrub layer through intervention which ensures plant succession, and by increasing the overall contiguous area composed of a mosaic of woodland ages and hedgerows. Specific guidance includes: Maintaining and promoting a diverse matrix of different aged habitats with patches of early growth e.g. by creating small glades during thinning or a patchwork coppice coupe style management [even of conifers]. More frequent intervention may be required in younger conifer woodlands compared to older broadleaved woodlands. Ensuring rack, ride and track management enables cross-track canopy connections to strengthen. Providing connections across open ground to increase the size of the connected woodland unit for dormice. Providing a shrub-rich patchwork within plantation woodland by heavily thinning small areas, or small clearfells. Good practice reference list Bright, P., Morris, P. & Mitchell-Jones, T. (2006) The dormouse conservation handbook. Second edition. pp74. English Nature, Peterborough. Sanderson, F., Bright, P. & Trout, R.C. (2004) Managing woodlands for dormice. In: Eds. Quine, Trout & Shore. Managing woodlands and their mammals. Joint FC and Mammal Society conference, November Forestry Commission. Edinburgh. Thompson, R.N., Humphrey, J.W., Harmer, R. & Ferris, R. (2003) Restoration of native woodland on ancient woodland sites. Forestry Commission, Edinburgh. pp52. Eds: Corbet & Harris. (2006) The hazel dormouse. In: The handbook of British mammals; 5 th Edition. Blackwells, Oxford. Eds Gurnell & Yalden 160

164 161

165 4) MONITORAGGIO (Lombardia) 3.Metodi generali di stima quantitativa RITMI DI ATTIVITÀ I ritmi annuali di attività influenzano grandemente le possibilità di stima delle popolazioni di mioxidi. Il verificarsi del letargo invernale, su un arco di tempo lungo anche oltre sei mesi, limita evidentemente il periodo utile. La fase attiva ha inizio tra aprile e maggio; dati sistematicamente raccolti sul Quercino in Francia in tutto il corso dell'anno (Le Louarn e Spitz, 1974) mostrano un primo massimo di densità nel corso del mese di giugno, a causa della presenza degli adulti sessualmente attivi, ed un secondo, più che doppio per la comparsa dei giovani, a cavallo tra agosto e settembre. I parti si verificano normalmente in giugno-luglio, tranne che per il Ghiro, in cui la gestazione termina in agosto; si ha un solo parto all'anno, con l'eccezione in alcuni casi del Moscardino, le cui femmine possono produrre due figliate nel corso della medesima stagione. Lo stesso fenomeno è stato appurato per popolazioni meridionali di Driomio e di Quercino; in ambiente mediterraneo, il Quercino è risultato sessualmente attivo da febbraio a novembre, con letargo limitato anche ad un solo mese (Moreno, 1988). Poiché la distinzione tra giovani e adulti è solitamente agevole, la densità dei secondi è valutabile in qualunque momento del periodo di attività; per censimenti dell'intera popolazione è consigliabile evitare il momento immediatamente precedente o immediatamente successivo al letargo (quando la proporzione di individui attivi può essere variabile). RICERCA DEI NIDI Tra le peculiarità dei mioxidi vi è la possibilità di utilizzare rifugi di tipologie estremamente variabili. Durante il letargo le situazioni predilette sono camere scavate nel terreno, in cui possono anche convergere più individui. Nel periodo di vita attiva, possono venire utilizzati veri e propri nidi, costruiti ex novo o sulla base di vecchi nidi di uccello, grazie all'impiego di materiale vegetale di vario tipo (erba, foglie, muschio). La forma di questi nidi è globosa, le dimensioni sono raramente superiori ai cm, molto meno nel caso del Moscardino (circa 12 cm nel caso di femmine gestanti). La ricerca di questi nidi esterni è stata utilizzata ad esempio in un programma su larga scala in Gran Bretagna, rivolto a determinare distribuzione e consistenza del Moscardino su scala nazionale (Hurrell e McIntosh, 1984). Il periodo migliore è evidentemente l'autunno, quando la vegetazione è ridotta e cade la possibilità di disturbare soggetti in riproduzione. Tutti possono fare nidi in cavità naturali o artificiali, come buchi di alberi o intercapedini di edifici. Ciò costituisce un evidente preadattamento al diffuso impiego di cassette nido da parte di queste specie. Notizie sull'altezza e la localizzazione preferenziale dei nidi per le quattro specie dovrebbero facilitare da un lato la ricerca vera e propria, dall'altro dovrebbero permettere di posare trappole o altri artifizi con migliori possibilità di impiego. Nel Moscardino i nidi sono ad altezze comprese tra 30 cm e 2 m, spesso in arbusti. Il Ghiro fa nidi ad altezze comprese tra i cinque e i sei metri, in un buco d'albero o in un nido d'uccello; materiali utilizzati muschio e foglie. Il Driomio "nidifica" preferenzialmente in giovani faggi, ad altezze di cm; sono stati rinvenuti nidi anche su abeti rossi, fino a sei metri di altezza. Il Quercino costruisce nidi anche in fratture delle rocce, o in cavità di tronchi. Controlli ripetuti sul numero dei nidi potrebbero fornire un indice di presenza. IMPIEGO DELLE CASSETTE NIDO Il metodo più frequentemente utilizzato per il censimento prevede l'impiego di cassette nido, del tutto analoghe a quelle impiegate come covatoi artificiali per gli uccelli del genere Parus; l'abitudine dei mioxidi di utilizzare come rifugi le cassette nido predisposte per le cince è nota infatti da decenni (v. ad es. Mansfeld, 1942); tale utilizzo si protrae per tutto il periodo "attivo", mentre la loro posizione esposta rende le cassette nido inadatte per il periodo del 162

166 letargo, quando vengono disertate. Diversi autori che hanno destinato le cassette nido allo studio di ghiri e moscardini le hanno allestite con il foro di ingresso rivolto verso il basso o dal lato della pianta; un diametro di 3,5 cm appare sufficiente anche per la specie più grande. La predisposizione di cassette nido a intervalli regolari su superfici vaste, con frequenze sufficienti, consente di raccogliere informazioni su gran parte degli individui presenti, al punto che alcuni autori definiscono su questa base delle densità minime giudicate globalmente attendibili (tra i primi Gaisler et alii, 1977, ma anche Bright e Morris,1990). Secondo Bright e Morris (1991, per il Moscardino) le cassette nido possono arrivare ad essere frequentate dall'intera popolazione dell'area interessata, consentendo quindi un censimento accurato. Per Catzeflis (1984, per la stessa specie) con questo metodo è possibile invece che si ottenga una sottostima, non tenendo conto dei soggetti che utilizzano soltanto nidi naturali. Un esempio di applicazione in Italia è dato da Pilastro (1990): la densità minima della popolazione è stata valutata considerando sia le osservazioni dirette di adulti di Ghiro sicuramente diversi avvistati da luglio in poi, sia quelle indirette basate sul rilevamento di tracce in cassette nido distanti almeno 100 m da altre occupate (l'aggiunta dei dati di natalità ha poi consentito all'autore di stimare la densità massima). In realtà diversi fattori possono influenzare l'efficacia dell'applicazione di questa tecnica di censimento. In assenza di piante mature, l'impiego delle cassette nido provoca normalmente un aumento della densità, sia per effetti diretti sulla sopravvivenza e sul successo riproduttivo, che per l'induzione di fenomeni di immigrazione (ad es. Morris et alii, 1990). Per questo motivo, non sempre è consigliabile utilizzare tale metodo di censimento per lo studio delle dinamiche naturali interannuali. Allo scopo di eliminare l'effetto immigrazione dal loro calcolo, Bright e Morris (1990) hanno escluso i nidi disposti lungo la linea esterna della griglia predisposta per il controllo della densità. Per contro, è possibile che in boschi maturi e ricchi di cavità naturali l'occupazione dei covatoi artificiali risulti rallentata. Le densità misurate possono risultare alterate nel senso di una sottostima anche da motivi legati alle interazioni tra specie diverse, Gaisler et alii (1977) suppongono infatti una esclusione competitiva delle altre specie da parte del Ghiro. Nel caso particolare del Quercino sembra poi di assistere a una vera e propria avversione per queste strutture, al punto che per le valutazioni su questa specie si rende necessaria l'applicazione di tecniche di censimento differenti (v. oltre). Per giungere a una stima corretta sono necessari alcuni accorgimenti. Innanzitutto, la distanza delle cassette tra loro deve essere inferiore al diametro dell'home range della specie studiata: per il Moscardino, Bright e Morris (1990) hanno impiegato una maglia di 30 m. Per il Ghiro, Gaisler et alii (1977) hanno calcolato la superficie investigata considerando l'area compresa nel raggio di 200 m dalle cassette nido utilizzate, valutando appunto in 200 m il diametro medio dell'home range di questa specie. In realtà, la mobilità è maggiore per i maschi, rispetto alle femmine, e per i giovani (subadulti), rispetto agli adulti. Poiché spesso i movimenti portano alcuni individui a visitare diverse cassette, si rende necessario marcare gli animali studiati. Nella maggioranza degli studi apparsi in letteratura, i dati di ricattura sono risultati troppo esigui per consentire stime sulla base di procedure analoghe a quelle applicate per altre specie di micromammiferi. Le ricatture vengono impiegate per stime locali dello spazio mediamente utilizzato dai diversi individui, sulla base delle distanze coperte con la visita a cassette differenti; il diamentro dell'home range viene considerato pari alla distanza media coperta tra una cassetta e l'altra. Questi risultati possono venire influenzati dalle condizioni sperimentali: Catzeflis (1984) a tale proposito ha puntualizzato come la maggiore ampiezza dei movimenti dipenda dalla poca disponibilità di rifugi, portando dei moscardini a compiere spostamenti vicini al chilometro (Pielowski e Wasilewski, 1960), contro una media di circa 40 m in condizione di elevata disponibilità di nidi artificiali. Il diametro, supposto, dell'home range è stato utilizzato da Gaisler e collaboratori (1977) come parametro per il calcolo della superficie studiata, e quindi per il calcolo della densità, partendo da linee di cassette nido della lunghezza di un chilometro. I valori forniti sono di 200 m per il Ghiro, 150 m per il Driomio e il Moscardino. Per il Ghiro si avrebbe in ogni campione una superficie di metri quadrati, vale a dire 20 ettari; con una media di 4,48 individui rinvenuti per gruppi di nidi, il valore di densità ottenuto dagli Autori è di 0,2 individui per ettaro. 163

167 I covatoi artificiali possono venire sfruttati diversamente dai due sessi. Gaisler e collaboratori (1977) hanno trovato un rapporto tra i sessi sbilanciato a favore dei maschi almeno per Ghiro e Moscardino, e complessivamente la totale assenza dalle cassette nido, per il Ghiro, di femmine con piccoli. Al contrario Pilastro e collaboratori (1994) hanno rilevato casi di uso frequente delle cassette nido da parte delle femmine nel periodo dell'allevamento dei cuccioli: in due aree adiacenti si è verificato un tale impiego delle cassette nella prima area del 50% di quelle disponibili, nella seconda di una percentuale trascurabile e soltanto nel secondo anno dalla loro "comparsa". Per quanto riguarda le altre specie, l'uso riproduttivo delle cassette da parte del Moscardino sembra avvenire senza difficoltà, come per il Driomio, mentre il Quercino non sembra gradire del tutto queste cavità artificiali. Nello studio di Gaisler et alii (1977), il Driomio (in confronto a Ghiro e Moscardino) è risultato la specie meno comune all'interno delle cassette, ma ciononostante quella con il maggior numero di rinvenimenti di femmine con piccoli. I dati presentati da Coppa (1991) sul successo riproduttivo del Moscardino in una fustaia di quercia nel Nord Est francese (con importanti fluttuazioni sull'arco di quattro anni) dimostrano comunque l'eccezionale efficacia di un metodo tanto semplice anche per il monitoraggio dei livelli di popolazione, una volta assodato un uso delle cassette da parte dei mioxidi regolare e proporzionale alla densità. L'USO DELLE TRAPPOLE I mioxidi presentano in generale densità troppo basse per una applicazione esauriente del metodo di cattura e ricattura, sui cui si basa la stima delle densità ricavata dall'impiego delle trappole. Tuttavia, l'esecuzione di trappolamenti condotti contemporaneamente allo studio dei nidi artificiali consente di eliminare molte delle perplessità che derivano dalle considerazioni esposte nel paragrafo precedente. Ad esempio, il rapporto tra maschi e femmine può risultare differente nei soggetti catturati rispetto a quelli rinvenuti nei nidi, il che può consentire di correggere la stima finale della densità (attraverso una semplice proporzione). Nel caso si attui la marcatura dei soggetti rinvenuti nei nidi, il numero di individui marcati sul totale dei catturati può invece permettere di risalire a una stima della popolazione reale sulla base della densità minima. Nei loro studi sul Moscardino in Gran Bretagna, Bright e Morris hanno messo a punto un protocollo di cattura standardizzato, per ottenere un indice di attività/abbondanza in aree differenti: in diverse stazioni gli Autori hanno eseguito trappolamenti con due linee di dieci trappole, esposte per dieci notti; l'indice è dato dal numero di individui catturati per 100 "notti di esposizione di una trappola" (equivalenti in sostanza alla metà di un campionamento). L'effettuazione di esperimenti di cattura in aree a densità di popolazione nota consente di ottenere dei coefficienti di conversione in densità reali (i valori trovati sono nell'ordine di una decina di individui per campionamento, con circa il 25 % di catture sul totale degli individui presenti). Le catture offrono risultati meglio confrontabili nella parte finale della stagione, quando i giovani sono già svezzati e minore è la variabilità nella attività degli adulti. L'agevole distinzione tra adulti e giovani dell'anno consente da un lato di escludere questi ultimi dalle valutazioni sugli andamenti interannuali delle popolazioni, dall'altro di stimare, anno per anno, il successo riproduttivo. La descrizione di una semplice trappola a gabbia è fornita da Morris e Withbread (1986). La trappola ha dimensioni di 10 x 11 x 30 cm ed è interamente costruita in rete metallica con maglia circa di un centimetro. Lo sportello di ingresso è sostenuto da braccia collegate a una pedana, tutto sempre in robusto filo metallico, e si chiude quando la pedana viene toccata. Le abitudini per nulla terricole del Moscardino costringono a localizzare le trappole all'interno della vegetazione arbustiva; lo stesso tipo di accorgimento appare necessario per Ghiro e Driomio, mentre il Quercino visita con relativa facilità anche le trappole disposte sul terreno. Una metodologia di campionamento basata sul trappolamento è stata messa a punto dai francesi Le Louarn e Spitz (1974) appositamente per il Quercino: i due Autori per individuare l'optimum ecologico per la specie hanno utilizzato linee di trappole distanziate di 10 m l'una dall'altra, suddivise in unità campionarie di cinque trappole, caratterizzate dal punto di vista ambientale, e mantenute in situ consecutivamente per tre mesi (dal 15 giugno al 15 settembre). Il tipo di dato ottenuto è di nuovo un indice di attività/abbondanza, che può venire tramutato in densità reali sulla base dell'effettuazione di griglie di trappolamento (con la 164

168 metodologia della cattura e ricattura) atte a definire dei coefficienti di conversione. Utilizzando il metodo della cattura e ricattura sull'arco di un intero anno, Moreno (1988) ha evidenziato come il numero di catture segua il ritmo circannuale di attività. Anche in questo caso, la standardizzazione del campionamento su periodi di tempo più brevi potrebbe portare alla preparazione di indici poco dispendiosi in termini di sforzo di rilevamento. Negli studi sul Quercino a questo scopo è stato fatto frequentemente uso anche di trappole a scatto (trappole da morto). In Spagna, Diaz e collaboratori (1993) hanno rilevato tra le specie più comuni il Quercino grazie a trappole a scatto posizionate sul terreno, in boschi di quercia, con densità quasi analoghe a quelle di Apodemus sylvaticus (10 individui a 18). Lavorando con trappole di qualunque genere, ocorre tenere presente che nei mioxidi è possibile una sorta di autotomia caudale, in cui la pelle della coda se trattenuta può sfilarsi come il dito di un guanto. Una volta disseccata, la coda viene poi recisa a morsi dall'animale. TECNICHE DI MARCATURA La condivisione dei nidi da parte di diversi soggetti, in successione o anche contemporaneamente, è uno dei principali motivi per cui negli studi di popolazione dei mioxidi è consigliabile utilizzare la marcatura individuale. Una delle tecniche più diffuse è l'amputazione delle falangi, in base a codici numerici in cui le dita anteriori vengono numerate secondo le unità da uno a otto e quelle posteriori secondo le decine da 10 a 100; le combinazioni possibili con solo una o due dita offese sono 106 (per ognuno dei due sessi). Questa tecnica è certamente più invasiva di altre ma ha il vantaggio di costituire una marcatura permanente, molto utile in studi a lungo termine. Allo scopo di diminuire le possibilità di infezione è comunque consigliabile utilizzare un disinfettante e un emostatico, meglio se insieme a un anestetico locale. Un'altra tecnica diffusa è quella della perforazione dei padiglioni auricolari; è possibile anche la applicazione di targhe auricolari (in alluminio), che però possono venire perse da consistenti percentuali di animali. Metodi di marcaggio meno drastici, come l'apposizione di collari colorati oppure la colorazione o decolorazione di zone della pelliccia, non sono giudicate altrettanto soddisfacenti (v. ad es. Coppa, 1991). Una tecnica per nulla dannosa consiste nel tagliare una parte del pelo, sciegliendo tra sei posizioni codificate sui lati dell'animale (Gurnell e Flowerdew, 1990); con un massimo di tre zone tosate contemporaneamente si possono marcare 41 individui (per ognuno dei due sessi). Questo metodo ovviamente si presta soltanto a utilizzazioni a breve termine. METODOLOGIE ALTERNATIVE Se l'obiettivo della ricerca è l'ottenimento di un indice di attività/abbondanza, sono a disposizione alcune tecniche che prescindono dalla cattura degli animali. Un'indicazione relativa sull'abbondanza delle varie specie può venire dalla raccolta delle impronte. A tale scopo si possono utilizzare fogli di carta assorbente della lunghezza di 30 cm, inseriti all'interno di pezzi di tubi idraulici in materiale plastico, del diametro di almeno 5 cm; all'inizio o al centro di ciascun foglio viene unito (con una pinzatrice) un tratto di 8 cm di carta oleata o carta plastificata, su cui sia stata spalmata con un pennello una sospensione di polvere di carbone in olio di paraffina. Qualunque animale che attraversando il tubo posasse le zampe sull'olio di paraffina lascerebbe poi le sue impronte sulla carta (van Apeldoorn et alii, 1993). I tubi andrebbero ovviamente posizionati sospesi nella vegetazione arbustiva o arborea (Bright e Morris, 1989). Il risultato ottenuto è una "frequenza di tubi attraversati", un chiaro indice semiquantitativo. Un dato molto simile è quello ottenuto sul Moscardino da Richards et alii (1984), utilizzando invece assicelle di legno sistemate su rami di nocciolo a circa un metro e mezzo da terra. Ciascuna assicella era preparata con la copertura di un foglio carta e la posa di pezzi di mela; l'individuo che visitava la tavoletta defecava immediatamente dopo essersi alimentato, lasciando così una traccia evidente. Le feci di Moscardino sono facilmente distinguibili da quelle di altri roditori, grazie a una forma irregolare, spesso appiattita e con evidenti creste superficiali. Per il Ghiro è possibile applicare anche una metodologia di censimento decisamente inattesa, 165

169 basata sull'ascolto delle vocalizzazioni, secondo una tecnica proposta da Hoodless e Morris (1993). I ghiri hanno l'abitudine di emettere una sorta di rauco chiacchiericcio quando escono dal rifugio occupato durante il giorno, abbastanza evidente e molto facile da riconoscere, che può costituire il dato di base da raccogliere lungo transetti effettuati nelle prime ore di buio; questa attività "canora" si prolunga dalla tarda primavera fino a tutto il mese di agosto. Secondo l'esperienza degli Autori, l'attività vocale è coperta dalla presenza di vento o pioggia, sono quindi da preferire notti calme e asciutte. I transetti preparati erano lunghi circa mezzo chilometro, percorsi a passo tranquillo (in min.), con segnali per registrare la posizione dislocati ad intervalli di 30 metri. In questo modo per ogni individuo sentito è stata individuata la posizione su carta, con l'indicazione della distanza dall'inizio del transetto e la stima della distanza laterale dall'osservatore. Quest'ultimo dato consente di valutare l'estensione dell'area indagata. Gli Autori propongono più metodi per valutare la distanza effettiva rilevata dal transetto, per poter giungere a valori di densità, infatti disporre di una distanza laterale nota di rilevamento consente, attraverso la moltiplicazione per la lunghezza del transetto e per due (i due lati da cui si rileva), di ottenere l'area della superficie investigata. Un metodo consiste nel calcolo dell'intersezione di due rette di regressione, costruite rispettivamente a partire dai dati più prossimi o più lontani dal transetto, lungo la curva cumulativa delle osservazioni in ragione della distanza. In un secondo metodo viene dapprima individuato quell'intervallo di distanza a cui il numero di individui rilevati è meno della metà che nell'intervallo precedente (secondo fasce progressive di 5 m di larghezza); questo parametro viene moltiplicato per il rapporto tra il numero totale degli individui rilevati e il numero di individui rilevati al suo interno, così da ottenere una stima corretta per la dimensione del campione. Come terzo metodo viene proposta la media tra i due precedenti. In questo modo sono state calcolate densità di 0,5-2 ghiri per ettaro. 4.Metodi consigliati Con le dovute cautele interpretative dei risultati, il metodo più efficace e meglio ripetibile è probabilmente quello delle cassette nido. Per poter disporre di dati sufficienti queste devono comunque venire utilizzate nel numero di diverse decine. Dall'analisi della letteratura i risultati sembrano molto influenzati dalla distanza tra le cassette; in mancanza di lavori generali di riferimento, è opportuno trattare i dati con circospezione, ed attuare contemporaneamente un trappolamento di controllo. 5.Bibliografia (estratto) van Apeldoorn R., Daem M., Hawley K., Kozakiewicz M., Merriam G., Nieuwenhuizen W. e Wegner J Footprints of small mammals. A field method of sampling data for different species. Mammalia, 57 (3): Bright P. W. e Morris P.A "A practical guide to Dormouse conservation". Occ. Publs Mamm. Soc. Lond. No. 11. Bright P. W. e Morris P. A Habitat Requirements of Dormice Muscardinus avellanarius in Relation to Woodland Management in Southwest England. Biological Conservation 54: Bright P. W. e Morris P. A Ranging and nesting behaviour of the dormouse, Muscardinus avellanarius, in diverse low - growing woodland. Journal of Zoology (London), 224: Bright P. W. e Morris P. A "The Dormouse". The Mammal Society, Bristol, 22 pp. (ISBN ). Catzeflis F Etude d'une population de Muscardins (Muscardinus avellanarius) lors du repos journalier (Mammalia, Gliridae). Revue suisse Zool., 91 (4): Coppa G Etude d'une population de Muscardins (Muscardinus avellanarius L. 1758) dans une hetraie en régénération du nord-est de la France. Ciconia, 15 (2-3): Diaz M., Gonzales E., Munoz-Pulido R. e Naveso M. A Effects of food abundance and habitat structure on seed-eating rodents in Spain wintering in man-made habitats. Z. Säugetierk., 58:

170 Gaisler J., Holas V. e Homolka M Ecology and reproduction of Gliridae (Mammalia) in Northern Moravia. Folia Zoologica, 26 (3): Gurnell J. e Flowerdew J.R Live trapping Small Mammals: a pratical guide. An occasional publication of the Mammal Society (London): NO. 3, pp. 39.(ISBN X) Hoodless A. e Morris P. A An estimate of population density of the fat dormouse (Glis glis). Journal of Zoology (London), 230: Hurrell E. e McIntosh G Mammal Society dormouse survey, January April Mammal Rev, 14 (1): Le Louarn H. e Spitz F Biologie et ecologie du lerot Eliomys Quercinus L. dans les Hautes-Alpes. La Terre et la Vie, 28: Mansfeld K Zum Auftreten der Bilche in Nistkasten und zu ihrem Fang in der Bilchschachtel. Deutsche Vogelwelt, 67: Moreno S Reproduction of Garden Dormouse Eliomys quercinus lusitanicus, in southwest Spain. Mammalia, 52 (3): Morris P. A., Bright P. W. and Woods D Use of Nestboxes by the Dormouse Muscardinus avellanarius. Biological Conservation, 51: Morris P. A. e Whitbread S A method for trapping the dormouse (Muscardinus avellanarius). Journal of Zoology (London), 216: Pielowski Z. e Wasilewski A Haselmäuse in Vogelnistkästen. Z. Säugetierk., 25: Pilastro A Studio di una popolazione di ghiro (Glis glis Linnaeus) in un ambiente forestale dei Colli Berici. Lavori Soc. Ven. Sc. Nat., 15: Pilastro A., Gomiero T. e Marin G Factors affecting body mass of young fat dormice (Glis glis) at weaning and by hibernation. Journal of Zoology (London), 234: Richards C.G.J., White A. C., Hurrell E. e Price F.E.F The food of the Common dormouse, Muscardinus avellanarius, in South Devon. Mammal Rev., 14 (1):

171 RETE ECOLOGICA Reti ecologiche fluviali FONTE: OSSERVATORIO DEL PAESAGGIO DEL PO E DELLA COLLINA TORINESE, LINEE GUIDA PER LA COSTITUZIONE DELLE RETI ECOLOGICHE FLUVIALI. WORKING PAPER 08/2008. PARCO NATURALE COLLINA TORINESE, PARCO FLUVIALE DEL PO TORINESE, DIPARTIMENTO INTERATENEO TERRITORIO POLITECNICO E UNIVERSITÀ DI TORINO. Non deve apparire strano progettare e realizzare una rete ecologica fluviale, visto che i corsi d acqua costituiscono già di per sé una rete di corridoi naturali. Infatti, il complesso di interventi operati sulla rete fluviale nel corso di una lunga storia ne ha limitato grandemente proprio la continuità e la funzionalità ecologiche, le quali richiedono apposite misure per essere ricostituite. Il corridoio fluviale dovrebbe tendere a ripristinare lo spazio naturale del fiume con i suoi biotopi pionieri, costituiti dalla foresta alluvionale. Esso deve inoltre ricostituire una buona connessione con la rete idrologica secondaria, in modo da ridare funzionalità all intero sistema idrologico. I criteri per la determinazione dell area del corridoio fluviale sono: 1. Mantenere il corso d acqua, in ogni suo tratto, nello stato naturale o seminaturale, assicurando la sua continuità e le sue funzioni; 2. Ricostituire il corridoio del fiume, recuperando ad esso, per quanto ancora possibile, tutto lo spazio compreso tra i terrazzi alluvionali; 3. Costituire, all interno dell originario letto grande del fiume, uno spazio libero per il corso d acqua entro il quale i vari rami possano muoversi e vi possa essere un funzionamento ottimale degli ecosistemi acquatici e terrestri; 4. Mantenere o istituire, all interno del corridoio così definito, una rete ecologica di biotopi attraverso un reticolo di tipici habitat chiave terrestri ed acquatici ben connessi con la rete idrografica secondaria. Lo scopo di una rete ecologica è di conseguire un buon stato di conservazione degli ecosistemi, degli habitat, delle specie e dei paesaggi. A questo fine è necessario assicurare: - la conservazione degli ecosistemi caratteristici, degli habitat naturali, e dei paesaggi in tutte le aree dove sono tradizionalmente distribuiti; - un uso sostenibile degli habitat seminaturali; - il mantenimento della vivibilità delle popolazioni e delle specie attraverso tutta la loro tradizionale gamma; - il mantenimento dei processi ambientali sui quali questi ecosistemi, habitat, specie e paesaggi dipendono. Gli obiettivi della determinazione delle reti sono: 1. Preservare, dove ciò è ancora possibile, o in parte restaurare i processi ecologici fondamentali tipici del sistema fluviale; 2. Proteggere le dinamiche fluviali e le connessioni tra gli elementi dell ecosistema e l ambiente vitale lineare del corso d acqua e il suo sistema idrologico; 3. Mitigare le frequenti frammentazioni dell ambiente fluviale e consentire la continuità del sistema fluviale essenziale per lo scambio ecologico; 4. Garantire la presenza di tutti gli habitat tipici del sistema fluviale; 5. Considerare il corridoio fluviale nel quadro complessivo del suo bacino. Le tre funzioni fondamentali delle componenti di una rete ecologica sono: - offrire una quantità e una qualità ottimale dello spazio ambientale (core area); - assicurare una appropriata interconnettività tra core area (corridoi); - proteggere le core area e i corridoi dalle potenziali influenze negative esterne (buffer zone). Nel caso dei corridoi fluviali, l idrosistema deve essere una stringa di core area, di aree di 168

172 sviluppo ecologico e di zone di connessione che possono servire come aree di transizione. L ecotono ripariale, cioè il confine del corridoio con gli spazi di contesto, si presenta come l area critica soggetta alle maggiori pressioni antropiche, per cui la sua difesa è strategica. Le caratteristiche di una rete fluviale sono: 1. Le core area sono innanzitutto formate da quei tratti dei corsi d acqua e dai loro ambienti adiacenti che sono rimasti in uno stato naturale o seminaturale (spesso i nodi delle confluenze sono questo tipo di aree); 2. In aggiunta alla aree precedenti vi sono i boschi spondali e le foreste alluvionali; 3. La funzione di corridoio è esercitata dal corso d acqua principale e dai suoi tributari minori che hanno la naturale funzione di consentire la circolazione delle specie e dei microrganismi e di collegare gli habitat alluvionali; 4. È essenziale ristabilire una buona connessione tra il corso principale e i tributari minori per migliorare la circolazione dell acqua nell intera pianura alluvionale; 5. Lungo i corsi d acqua, habitat simili non devono essere troppo distanti gli uni dagli altri, in modo da prevenire l isolamento genetico delle popolazioni; 6. La configurazione delle buffer zone non può essere identificata a priori, in quanto dipende dalle caratteristiche idrologiche e biologiche e dai potenziali impatti provenienti dall ambiente circostante; 7. Le buffer zone sono principalmente localizzate parallelamente ai confini naturali del letto più ampio, in modo da proteggere sia la rete idrologica sia le foreste alluvionali; 8. Le buffer zone possono corrispondere alle aree tradizionalmente usate da attività agricole meno intensive, in quanto riguardanti aree, seppur raramente, inondabili. I passi da seguire nella formazione della rete ecologica consistono in: - l inventario e un analisi dello stato ecologico e degli usi del suolo dell area interessata; - la definizione dei criteri per la selezione degli spazi da includere nella rete; - la definizione degli obiettivi ecologici dell area a cominciare dallo stato di riferimento; - la selezione degli spazi, la definizione del loro stato nella rete e della futura gestione; - la definizione di un piano del monitoraggio scientifico. Il processo per determinare le reti è dunque il seguente: 1. Eseguire l inventario delle aree, la valutazione del loro stato ecologico e l analisi degli usi del suolo. L inventario deve riguardare l intera lunghezza del fiume e l ampiezza fino al limite del terrazzo alluvionale, con priorità per quei tratti ancora in uno stato naturale o seminaturale; 2. Selezionare gli spazi da includere nella rete sulla base dei criteri che consentono di fissare le priorità in base alla funzionalità dell ambiente e alla sua importanza biogeografica; 3. Definire gli obiettivi ecologici di ciascuna area a cominciare dallo stato di riferimento per il corso d acqua. L obiettivo ecologico per l area è il risultato di un aggiustamento tra le condizioni esistenti e l evoluzione necessaria da un punto di vista ecologico e tenendo conto degli usi in atto e degli aspetti del contesto; 4. Selezionare gli spazi e assegnare ciascuna componente dell ecosistema fluviale alla rete. La funzione di ciascuna componente dipende dall obiettivo fissato per l area e dalle particolari caratteristiche dello spazio in questione. Alle tre categorie base della rete (core area, corridoio, buffer zone) altre categorie possono essere aggiunte; 5. Stabilire un monitoraggio scientifico su un periodo di almeno 20 anni, con valutazioni intermedie di 5 anni, relativo agli effetti sulla funzionalità e sulla biodiversità nella rete. Per assicurare una protezione di lungo termine occorre: 1. Includere le esistenti aree protette della rete, a cominciare da quelle indicate nella Rete Natura Incoraggiare l inclusione di ulteriori aree naturali e, in particolare, la rete dei fiumi; 2. Assegnare alla rete uno statuto normativo, che assicuri un sistema dinamico per la funzionalità della rete stessa; 3. Garantire alla rete una sufficiente quantità d acqua atta a mantenere il naturale sistema idrologico, in modo che tutti gli elementi della rete siano legati nelle tre dimensioni spaziali (lunghezza, larghezza, profondità) e temporale. 4. Gestire la risorsa idrica e la conservazione degli ecosistemi a livello dell intero bacino idrografico; 5. Mantenere o creare uno spazio libero per il corso d acqua creando casse di espansione per le 169

173 dinamiche fluviali e includendo gli elementi degli ecosistemi acquatici e terrestri (tutti i tipi di habitat); 6. La funzionalità della rete è in senso inverso al suo grado di artificialità. Si raccomanda dunque di eliminare gli ostacoli per la rinaturazione e di operare interventi di rigenerazione atti a favorire i naturali processi di ricolonizzazione di piante e animali. 170

174 PAESAGGIO Elementi per la gestione del paesaggio Il paesaggio e le sue componenti influenzano in modi estremamente complessi la consistenza e la distribuzione di popolamenti faunistici, specialmente in aree in cui l ecotessuto è strutturato in modo articolato e gli habitat umani si interfacciano e si frammischiano agli habitat naturali. Nella Pianura Padana è ovvia la presenza di una matrice agricola, in cui gli elementi naturali sono dispersi e poco o nulla collegati tra loro. In questo contesto il ruolo del Po è fondamentale sia per gli habitat naturali residui ospitati dalla golena (in sé), sia per il ruolo di corridoio di movimento e di connessione per gli elementi faunistici e floristici (nel bene e nel male). Tra i compiti individuati per gli enti gestori vi è la gestione del paesaggio e l implementazione della rete ecologica alla scala locale. In questo quadro è estremamente importante il coinvolgimento dei privati, gestori dei fondi agricoli. Allo stato attuale l accesso dei privati ai fondi stanziati per la gestione del paesaggio da parte dei Piani di Sviluppo Rurale è ancora estremamente ridotto, e viene effettuato in modo preferenziale da aziende che presentano reddito elevato e sono orientate su settori quali l agricoltura biologica. [Borsotto P., Henke R., Macrì M.C. e Salvioni C. (2008). Participation in rural landscape conservation schemes in Italy. Landscape Research, 33: ]. Per questo appare importante che gli enti gestori sviluppino degli strumenti per motivare e coinvolgere il settore agricolo. Il capitolo che viene parzialmente riportato qui di seguito (Fornasari, 1997) esamina i legami tra la fauna vertebrata e il paesaggio, in modo da spiegare attraverso quali meccanismi la gestione del territorio artificiale influenza lo stato delle componenti naturali al suo interno o nel suo intorno. Peraltro, la definizione del sistema dei Siti Natura 2000 nella Golena lombarda di Po rappresenta una premessa positiva, individuando per gli operatori del settore degli interlocutori locali. La presenza di enti gestori costituisce senza dubbio una precondizione perché si attivino delle dinamiche positive nella conservazione e gestione del territori, come è avvenuto con la rete dei Parchi regionali in altre aree della regione [v. Canova L. (2006). Protected areas and landscape conservation in the Lombardy plain (northern Italy): an appraisal. Landscape and Urban Planning, 74: ]. (Richardson, 2008), nel volume Regional Landscape Conservation in Maine - Best Practices for Enhancing Quality of Place riassume nei seguenti 14 punti le migliori pratiche nella pianificazione del paesaggio: 171

175 Best Practices for Regional Landscape Conservation The following best practices are offered as a synthesis of insights and lessons learned over the last two decades by participants of regional landscape conservation initiatives in Maine. Due to the varied ecological, social, political and economic characteristics of each region, these practices are designed to be broad in nature, allowing replication in differing planning contexts. Vision 1. Engage a diversity of stakeholders representing varied constituencies, perspectives and organizational capacities. 2. Invest necessary time and resources early on to create a clearly defined, consensus-driven vision. Collaboration 3. Designate a clear organizational structure, including an entity responsible for sustaining coordination and momentum among partners. 4. Create time to have fun and build personal relationships. Planning 5. Identify the assets and skills of participating organizations and plan to fill capacity gaps with outside consultants where needed. 6. Inventory and analyze ecological and natural resources when determining landscape conservation priorities, taking advantage of existing information and data where available. 7. Solicit public input and include community priorities for cultural, recreational and scenic resources when determining conservation goals. Outreach 8. Establish a concise identity to clearly and consistently communicate the scope and vision of the project. 9. Utilize existing social relationships and networks within the region to generate awareness. Implementation 10. Employ a variety of conservation tools including fee acquisition, easements, regulation and public education. 11. Treat landowners with respect. 12. Establish phases and benchmarks during implementation, allowing pauses for evaluation and celebration of successes. Management 13. Include long-term management and stewardship of conserved lands during the early planning phases and subsequent capital campaigns. 14. Recruit volunteers to expand the capacity of the organization to monitor and enhance conservation lands 172

176 FONTE: FORNASARI L. (1997). I RAPPORTI TRA I VERTEBRATI E IL PAESAGGIO: TEORIA ED ESEMPI. IN INGEGNOLI V. (ED.): ESERCIZI DI ECOLOGIA DEL PAESAGGIO. UTET, MILANO, PP Rapporti tra fauna vertebrata e paesaggio Fino all'ultimo decennio, le ricerche sull'ecologia dei vertebrati riguardavano principalmente i rapporti tra le diverse specie e le caratteristiche ambientali all'interno dei singoli ecosistemi. Al livello di comunità, questo metodo di lavoro si è tradotto nel tentativo di identificare le faune corrispondenti a diverse situazioni ambientali, sostanzialmente corrispondenti a diverse tipologie vegetazionali. Nei convegni dell'international Bird Census Committee (ora European Bird Census Council) è stata prodotta su scala europea una lunga serie di lavori assiomatici sulle avifaune dei diversi tipi forestali (ad esempio dei boschi di abete rosso; Oelke, 1980). D'altro canto, un fondamentale lavoro di Robert e John MacArthur nel 1961 dimostrava che la diversità delle comunità di uccelli può dipendere dalla struttura della vegetazione molto più strettamente che non dalla sua composizione. Una valutazione sull'influenza che le complessità del fogliame ha sulla densità di diverse specie in alcuni boschi della pianura padana è stata fornita ad esempio da Fornasari e Massa (1991; le relazioni trovate sono riportate in tabella 5.1). In realtà, con l'opportuna scala di rilevamento, è possibile evidenziare l'influenza sulle 173

177 comunità di uccelli tanto della composizione della vegetazione dal punto di vista floristico, quanto della sua struttura, attraverso variabili come l'abbondanza di latifoglie, la ricchezza di specie arboree e arbustive, la presenza di particolari specie arboree (Fuller, 1995). Un elenco di possibili parametri, con le tecniche per misurarli, è fornito da Bibby et al. (1992). Gli sviluppi recenti della ricerca hanno messo in luce che nel determinare i livelli di popolazione e la composizione della comunità agiscono profondamente non soltanto composizione e struttura dell'habitat studiato, ma anche le interazioni tra questo e gli habitat circostanti. Il concetto alla base della disciplina nota come ecologia del paesaggio è che questo, il paesaggio, è considerato come un insieme integrato di ecosistemi (v. Ingegnoli, 1993). In effetti, anche fenomeni che riguardano la fauna avvengono normalmente ad una scala superiore a quella del singolo ecosistema Regolazione delle popolazioni di uccelli Tra gli esempi più evidenti di interazioni sulla scala del paesaggio sono i sistemi di regolazione delle popolazioni di uccelli, in modo particolare per le specie ad habitat forestale. I più studiati da questo punto di vista sono i piccoli uccelli cantori, i Passeriformi, caratterizzati dal possedere territori di dimensioni limitate (e una limitata mobilità) nel periodo riproduttivo, oltre che da una strettissima fedeltà al sito riproduttivo, ri-occupato da un anno al successivo con una frequenza sorprendente per animali che in alcuni casi migrano su distanze di migliaia di chilometri. Nella Bigiarella, studiata su un arco di 10 anni in Inghilterra, la percentuale di ritorni di adulti inanellati da un anno all'altro (all'interno di un'area di soli tre ettari) è risultata dell'ordine del 50% (Boddy, 1994), valore veramente elevato se si tiene conto dell'alta mortalità annuale dei piccoli Passeriformi come questo. Uno studio analogo sull'averla piccola nell'italia settentrionale (Massa et al., 1993) ha evidenziato una percentuale di ritorni del 27,4% negli adulti; nei casi di maschi adulti ricatturati, è stato riscontrato il ritorno esattamente nei territori occupati negli anni precedenti. Questi due fattori, territorialità e fedeltà al sito, agiscono ancorando gli individui in riproduzione non soltanto all'habitat utilizzato ma anche ad una precisa posizione nello spazio. Tranne rare eccezioni, il ruolo di ciascun individuo all'interno della popolazione riproduttiva, legata a quel particolare habitat in quella particolare area, cambia esclusivamente attraverso il suo contributo al tasso di mortalità (il decesso). Dal punto di vista individuale (il punto di vista locale) la popolazione si mantiene su livelli stabili grazie alla riuscita della nidificazione e all'involo dei piccoli. Reclutamento è il termine che si utilizza per definire l'ingresso dei giovani nel pool riproduttivo: negli habitat ottimali, è intuitivo che la sopravvivenza degli adulti sia elevata, come alto è il tasso riproduttivo, quindi il numero di territori liberi è molto basso e basso è, forzatamente, anche il reclutamento. Negli stessi esempi considerati prima, il ritorno delle giovani bigiarelle e delle giovani averle al sito di nascita, per la loro prima riproduzione, è risultato inferiore al 10%. Negli habitat sub-ottimali o marginali, la bassa densità, la bassa natalità e l'alta mortalità consentono al contrario ogni anno l'ingresso di un numero di giovani elevato. Già Svärdson (1949) scriveva che la maggior parte delle specie di uccelli preferisce stabilire territori negli habitat cosiddetti primari, e solo quando i livelli di popolazione sono elevati la pressione intraspecifica forza parte degli individui a nidificare in habitat secondari. Studi condotti su altri Passeriformi, come il Luì verde (Norman, 1994) e la Balia nera (Winkel, 1982), provano che gli adulti hanno una minore fedeltà al sito se la nidificazione è fallita o se non sono del tutto riusciti a procurarsi un partner. Con queste premesse, se consideriamo che la fedeltà dei giovani al sito di nascita è assai scarsa rispetto alla fedeltà degli adulti al sito riproduttivo, è facile intuire come gli habitat non ottimali agiscano da sistema tampone per la densità di popolazione (buffer habitats secondo la definizione di Brown del 1969). Qui, infatti, si riversano gli individui in soprannumero quando in generale il successo riproduttivo è elevato, e da qui provengono eventuali rincalzi in caso di episodici cali. Dunque è soprattutto in questi tasselli ambientali che si assiste alle fluttuazioni più marcate, mentre l'effetto è molto attenuato negli habitat di elezione. Indicazioni in questo senso sono presenti da tempo nella letteratura specializzata: già nel 1953 Kluijver e Timbergen evidenziarono che popolazioni di cince (genere Parus) erano più stabili nei boschi di latifoglie che nei boschi di conifere, e nel 1960 Glas dimostrò che il Fringuello sale di densità preferenzialmente nei boschi misti di conifere e latifoglie, prima di incrementare nei boschi di conifere puri. 174

178 5.1.2 Funzionamento dei sistemi tampone In Europa, il più completo insieme di dati relativo agli andamenti delle popolazioni è quello raccolto per la Gran Bretagna dal British Trust for Ornithology (Marchant et al., 1990), nell'ambito di un programma chiamato Common Bird Census (CBC). Dal 1961 questa organizzazione coordina a livello nazionale i censimenti eseguiti da volontari in molteplici aree di studio (da 200 a 300 ogni anno) ripartite tra boschi (woodland) e zone agricole (farmland). Va specificato che alle superfici esplorate nelle zone agricole appartengono anche elementi di diversificazione del paesaggio come siepi, filari, giardini, piccole macchie arboree, e quindi appare opportuno chiarire che per habitat agricolo si intende qui non l'ambiente agricolo coltivato, bensì l'intero paesaggio agricolo. I dati raccolti (in una stagione tipica oltre territori individuati) vengono utilizzati per calcolare degli "indici di popolazione", che rendono conto dei cambiamenti relativi di abbondanza delle singole specie, in modo distinto per le due categorie ambientali. In questa semplice dicotomia, i boschi giocano spesso il ruolo di habitat principale, a più elevata densità e maggiore stabilità; esempi sono specie molto comuni come il Tordo bottaccio, il Beccafico, la Capinera, la Cincia mora, la Cinciarella, la Cinciallegra, il Ciuffolotto. Dalla fine degli anni '60 il Beccafico (fig.5.1a) mostra un evidente declino in entrambi gli habitat, più precoce e accentuato per le zone agricole, con il raggiungimento dei valori minimi negli anni 1975 e Secondo O'Connor e Fuller (1986) il decremento è stato di circa il 2% all'anno in ambiente boschivo, contro il 6-7% in ambiente agricolo. Il successivo recupero è stato viceversa più lento nelle zone di farmland che non in quelle di woodland, fino circa al 1985, quando le popolazioni boschive si sono stabilizzate mentre è continuato l'incremento delle popolazioni "di campagna". 175

179 Nell'interpretare questi andamenti, occorre tenere presente che nella Gran Bretagna come in gran parte dell'europa centrale e meridionale gli habitat boschivi sono ora assai più ridotti di quanto non siano le zone soggette alle colture, quindi i primi tendono a saturarsi in anticipo e i secondi, pur ospitando densità più basse delle specie in questione (nell'ordine delle unità anziché delle decine di coppie per kmq), alla fine essendo più estesi possono ospitare un numero totale di individui anche molto maggiore. Sempre nell'ambito del genere Sylvia, i dati relativi alla Capinera suggeriscono addirittura il quadro della colonizzazione di un nuovo habitat, parallelamente alla lieve tendenza all'incremento nell'habitat principale (fig.5.1b). O'Connor e Fuller (1986), sviluppando il concetto di buffer habitat proposto da Brown (1969), hanno costruito un modello di occupazione sequenziale degli habitat in relazione ai livelli di popolazione e alla dimensione dei territori. In tale modello gli uccelli mostrano una gerarchia di preferenze tra habitat diversi, dove le preferenze sono determinate da considerazioni evolutive sulla fitness: l'habitat ottimale è tale poiché offre una maggiore disponibilità di risorse e permette un maggiore successo riproduttivo, e lì saranno posizionati i nuovi territori fino alla completa occupazione dello spazio disponibile, con una progressiva riduzione della superficie occupata da ciascun individuo. Gli uccelli cominceranno ad occupare un habitat sub-ottimale soltanto quando l'habitat ottimale sarà saturato, e poi eventuali habitat marginali dopo la saturazione di quelli sub-ottimali (fig.5.2a). Le oscillazioni nei livelli di popolazione riguarderanno dapprima questo ultimo livello e solo dopo la totale scomparsa degli individui dagli habitat marginali interesseranno i livelli sottostanti (fig.5.2b). 176

180 Il modello appare semplicistico, ma Osborne (1980) ha descritto un siffatto andamento per il Luì piccolo: all'interno di un'area agricola, a basse densità praticamente tutti i maschi in canto si trovavano all'interno di macchie di bosco ceduo; in anni caratterizzati da densità intermedie comparivano individui anche nelle siepi e negli alberi immediatamente limitrofi; in anni con alte densità si ritrovavano individui in siepi anche ad un chilometro di distanza dai nuclei centrali. Krebs (1981) ne ha dato un'evidenza sperimentale sulla Cinciallegra: asportando gli individui possessori di un territorio da un ambiente boschivo, si è verificata immediatamente l'occupazione delle stesse aree da parte di altri individui prima stanziati in territori marginali, nelle vicine zone agricole; molti di questi uccelli avevano un solo anno d'età, e non erano presumibilmente in grado di sostituire gli adulti finché questi occupavano e difendevano i territori "migliori". A proposito del ruolo differente giocato da ambienti più o meno idonei per le diverse specie, Pulliam (1988) utilizzando una terminologia di tipo idraulico ha proposto una suddivisione tra sorgente (source) e scarico (sink), distinguendo tra habitat ove la riproduzione è sufficiente a controbilanciare la mortalità e habitat ove questo non avviene. Il surplus di individui prodotti negli habitat sorgente è quello che sostiene le popolazioni negli habitat scarico. Watkinson & Sutherland (1995) hanno precisato questo quadro ipotizzando l'esistenza di popolazioni pseudo-sink, relativamente a quei nuclei in cui la sovrapproduzione di giovani è "mascherata" dalla dispersione. Nelle dinamiche sopra descritte, è evidente che una stessa area occupata da un determinato habitat può giocare in momenti differenti ruoli diversi, a seconda della riuscita della riproduzione sia al suo interno che in altre aree, riuscita che dipende anche da fattori diversi da quelli intrinseci all'habitat stesso, come ad esempio l'andamento climatico. Peraltro, gli habitat ottimali funzioneranno da source più frequentemente degli altri. Meccanismi di questo genere agiscono anche su specie di dimensioni maggiori, appartenenti ad altri gruppi sistematici, e differenze importanti si possono rilevare anche all'interno degli habitat forestali. In uno studio a livello locale condotto nella taiga russa su un tetraonide, il Francolino di monte, Beshkarev et al. (1994) hanno dimostrato che il numero di francolini di monte presenti in un paesaggio dominato da habitat ottimale (foresta matura di abeti - source) dipende dal numero di individui lì presente nell'anno precedente, mentre così non è per un paesaggio dominato da habitat non ottimale (foresta di pino silvestre - sink) Metapopolazioni e frammentazione Un insieme di popolazioni che all'interno di un'area geografica interagisce attraverso flussi di individui come quelli appena descritti può essere interpretata per alcuni versi come una unità funzionale. Levins (1970), per descrivere gli effetti della frammentazione ambientale su singoli gruppi di individui, in un mosaico di gruppi disgiunti dal punto di vista spaziale, ha introdotto il termine metapopolazione. Nell'interpretazione data da Wells e Richmond (1995) il concetto di metapopolazione si avvicina alle situazioni reali sopra descritte per gli uccelli. Nella traduzione letterale: "una metapopolazione dovrebbe essere definita come un insieme di gruppi di individui disgiunti dal punto di vista spaziale ma con qualche connessione demografica o genetica". Il modello originale di Levins assumeva che 1) tutti i frammenti ambientali avessero la stessa dimensione, 2) tutti gli individui in dispersione avessero la medesima probabilità di raggiungere ogni frammento, 3) i gruppi di individui all'interno di ogni frammento avessero la stessa probabilità di estinzione. Tali semplificazioni hanno portato a disaccordi nella letteratura successiva su che cosa fosse o non fosse in effetti una metapopolazione, individuando una falsa contrapposizione tra il modello e il concetto generale (Hanski & Gilpinn, 1991; Taylor, 1991). Appare improbabile che Levins volesse restringere l'uso del termine alle situazioni simili al suo modello, è più verosimile che egli volesse risolvere l'incongruenza di dover descrivere un gruppo di popolazioni ancora con il termine popolazione (per i problemi terminologici legati al concetto di popolazione v. Wells & Richmond, 1995). Le condizioni per cui diversi nuclei riproduttivi concorrono a interrelazioni demografiche complesse si verificano con maggiore facilità negli habitat frammentati. Esistono tipologie ambientali la cui distribuzione è frammentaria in condizioni naturali, ad esempio i canneti o le isole sabbiose lungo i corsi d'acqua; in habitat normalmente continui la frammentazione ambientale può avvenire attraverso fenomeni come gli incendi, gli uragani o le frane, ma la causa più frequente e su maggiore scala è certamente l'espansione e l'intensificazione dell'uso antropico del territorio (Burgess & Sharpe, 1981). 177

181 Gli effetti delle frammentazione degli habitat sulla distribuzione delle singole specie e sulla ricchezza di specie sono stati studiati principalmente attraverso il parallelo con la teoria della biogeografia insulare (MacArthur & Wilson, 1967). Brown (1971) ha considerato in questo senso la distribuzione dei mammiferi negli ambienti montani sommitali, Harris (1984) ha paragonato invece ad isole frammenti di habitat forestale. Secondo la cosiddetta random sample hypothesis l'isola (o la vetta montuosa, o il frammento di foresta) non rappresenta nient'altro che un campione casuale di territorio e del pool di specie che vi sono rappresentate. L'ipotesi può venire applicata anche alle singole specie; la predizione è che il cambiamento di dimensione della popolazione dipenderà linearmente dalla variazione della superficie dell'isola (o della vetta, o dell'habitat disponibile). In realtà, la frammentazione agisce sui livelli di popolazione attraverso tre meccanismi principali, tutti che concorrono al decremento della diversità biologica all'interno dell'habitat originale (Wilcox, 1980; Wilcox & Murphy, 1985): 1) la perdita percentuale di habitat originale, 2) la riduzione di dimensione dei frammenti ambientali e 3) l'incremento dell'isolamento dei frammenti residui. Andrén (1994) nota che rispettano le previsioni della suddetta ipotesi gli studi effettuati in presenza di proporzioni elevate di habitat favorevole. La diminuzione di superficie di habitat favorevole ha un effetto puramente statistico agli stadi iniziali della frammentazione. In paesaggi con proporzioni elevate di habitat originale, i frammenti di dimensione ridotta hanno vicine porzioni di habitat simile più grandi che agiscono da source, e quindi non risentono di una marcata diminuzione di specie. Oltrepassato un valore soglia l'area e l'isolamento dei frammenti di habitat originale iniziano ad influenzare in altro modo la dimensione delle popolazioni all'interno dei frammenti, provocando una diminuzione superiore rispetto a quella dovuta alla semplice perdita di habitat. Questa soglia sembra situarsi tra il 10 e il 30 % di habitat utilizzabile sia per gli uccelli che per i mammiferi; quando l habitat residuo è ridotto a 178

182 valori di circa il 20%, nel paesaggio iniziano a presentarsi frammenti piccoli ed isolati, con un incremento esponenziale nella distanza dai frammenti limitrofi. Mostrano questo tipo di occupazione dei frammenti tra le specie europee il Picchio muratore (Verboom et al., 1991) e l'arvicola rossastra (Geuse et al., 1985; Apeldoorn et al., 1992), come anche lo Scoiattolo rosso (Verboom & Apeldoorn, 1990; Wauters et al., 1994). A riprova, la presenza dello Scoiattolo in Italia è risultata dipendere dalla distanza della più vicina area di habitat sorgente nei frammenti boschivi della Pianura Padana, il cui paesaggio è chiaramente alterato oltre la soglia sopportabile, mentre in aree appenniniche meno modificate si registra esclusivamente la dipendenza dalla superficie dei frammenti (Celada et al., 1994) Un concetto noto: l'effetto margine Unità spaziali o frammenti (patches) che presentano attributi morfologici e vegetazionali omogenei nella letteratura sull'ecologia del paesaggio sono definite come ecotopi (Naveh & Liebermann, 1984; Zonneveld, 1990). Il fenomeno sopra descritto, osservato dal punto di vista del singolo ecotopo, corrisponde in parte con il ben noto effetto margine. Per molte specie infatti è stata descritta la tendenza all'aumento o alla diminuzione di densità in corrispondenza delle cosiddette zone ecotonali, le fasce di confine tra ecotopi adiacenti. Per fare un esempio tra i mammiferi, nell'arvicola americana Microtus pennsylvanicus si verifica la selezione di habitat ecotonali di alta qualità da parte di femmine dominanti (Bowers et al., 1996): le femmine adulte nei settori di confine occupano territori più ampi ed esclusivi, hanno dimensioni superiori, tempi di residenza più lunghi e si riproducono più spesso di quelle che occupano le parti centrali. Salendo di scala, questo effetto margine è largamente responsabile anche della maggior proporzione di femmine di grandi dimensioni, riproduttive, negli ecotopi più piccoli e frammentati rispetto a un ambiente continuo. L'aumento della frammentazione può tradursi in un aumento localizzato della ricchezza e diversità di specie, con effetti più generali che sono però di diminuzione della biodiversità, attraverso la scomparsa delle specie che dipendono direttamente dalla presenza di habitat estesi e continui. Dal punto di vista dei problemi di conservazione, l'aspetto più studiato di questo fenomeno corrisponde con la diminuzione delle specie prettamente forestali avvicinandosi ai margini del bosco. E' evidente che un tale effetto margine negativo avrà un peso maggiore se le dimensioni dei corpi boschivi sono ridotte, fino a coincidere con l'eradicazione delle specie più sensibili. Frochot (1987) ha descritto per un bosco di querce francese un effetto margine negativo (fig. 5.4) per Picchio rosso mezzano, Picchio rosso minore, Cincia bigia, Luì verde; Opdam e Schotman (1987), analizzando la dimensione di 68 boschi decidui maturi nel territorio olandese e la presenza al loro interno di diverse specie di uccelli, hanno evidenziato l'esistenza di un effetto margine negativo per Rampichino, Picchio rosso maggiore, Picchio muratore, ancora Cincia bigia e Frosone. Esistono peraltro anche specie di ambiente aperto che mostrano un effetto margine negativo in relazione alla diminuzione di superficie delle aree occupate e alla comparsa di ecotoni con habitat arbustivi o arborei (ad esempio lo Strillozzo e il Saltimpalo; Frochot, 1987), e molte più specie "boschive" che presentano negli stessi ecotoni un effetto margine positivo (tra i più marcati Scricciolo, Tordo bottaccio, Merlo, Usignolo, Capinera, Fringuello, Zigolo giallo; Frochot, 1987; Fuller e Wittington, 1987). Kurlavicius (1995), utilizzando circa 800 frammenti di foresta in Lituania, ha tentato di stabilire quale sia la superficie minima (critica) di habitat necessario per una specie per soddisfare tutti i bisogni vitali durante il periodo della nidificazione. Una specie esigente come il Picchio rosso maggiore richiede una superficie minima superiore ai sei ettari, mentre rapaci medio-grandi come la Poiana o il Falco pecchiaiolo posizionano i nidi solo in frammenti più grandi di due ettari e mezzo. La maggior parte dei Passeriformi a vocazione forestale abita isole boschive non inferiori a 0,1-0,5 ettari (Merlo, Cesena, Tordo bottaccio, Pettirosso e Usignolo maggiore tra i turdidi, Luì verde, Beccafico, Bigiarella, Capinera, Canapino maggiore tra i silvidi, Cincia bigia, Cinciarella e Cinciallegra tra i paridi). Per il Passero mattugio, per la maggior parte dei fringillidi (Cardellino, Fanello, Verdone, Ciuffolotto scarlatto) e dei corvidi (Cornacchia, Corvo imperiale, Gazza, Taccola), sono sufficienti anche alberi o arbusti isolati; queste ultime specie, granivore o eurifaghe, si alimentano preferibilmente in habitat agricoli aperti. 179

183 Uno studio analogo condotto da Hinsley et al. (1996) in 151 boschi inglesi di piccole dimensioni ha mostrato che la probabilità di rinvenire nidificanti le specie ad habitat forestale (usualmente assenti da altri habitat) si approssima al 100% solo per corpi boschivi di dimensioni superiori ai 10 ettari. Per diversi uccelli i boschi di dimensioni inferiori sono da considerare come habitat sub-ottimali; al contrario essi rappresentano le situazioni preferite da specie "di margine" come il Merlo o lo Scricciolo. Come già evidenziato da Kurlavicius, anche per queste specie esiste comunque un limite inferiore di superficie di habitat utile. I motivi sono molteplici; ad esempio, la predazione sui nidi di Merlo diminuisce con l'aumento di superficie dei frammenti occupati. Pape Møller (1988) ha messo in luce come in generale i Passeriformi con nidi aperti siano relativamente più abbondanti in frammenti boschivi di dimensioni maggiori. Nei sei anni in cui si è svolto lo studio inglese appena citato, per evitare l'estinzione locale è apparsa necessaria una consistenza minima di sei coppie per lo Scricciolo e di tre per il Merlo (Newton, 1995) Estinzione, isolamento e ricolonizzazione Con un parallelo con la teoria della biogeografia insulare (Mac Arthur & Wilson, 1967), se in un paesaggio articolato la frammentazione agisce aumentando le probabilità di estinzione delle singole popolazioni locali, l'isolamento sembra agire riducendo le probabilità di ricolonizzazione. L'estinzione di una singola popolazione può venire considerata come un fenomeno puramente statistico. Ogni specie è caratterizzata da una certa capacità riproduttiva, che varia da un minimo di zero (in caso di fallimento della riproduzione) a un massimo che in mammiferi e uccelli è molto raramente superiore alla quindicina di piccoli per evento riproduttivo. La variabile "esito della riproduzione" può venire interpretata con una distribuzione statistica, in cui ciascun individuo ha una certa probabilità (finita e maggiore di zero) di non riuscire a riprodursi. Come insegna la statistica, è più facile che una coincidenza di eventi negativi si verifichi se il campione è piccolo: è meno improbabile che esca sempre testa se si lancia una moneta tre volte piuttosto che trenta, come è meno improbabile che non riescano a riprodursi tutti gli individui (o la loro maggior parte) in una popolazione ridotta piuttosto che in una popolazione estesa. Soprattutto in popolazioni piccole, un tasso riproduttivo troppo basso, associato al normale tasso di mortalità, conduce rapidamente all'estinzione. In questo senso è 180

184 stato dimostrato sia teoricamente (Leigh, 1981) che empiricamente (Terborgh e Winter, 1980, Diamond, 1984, Soulé et al., 1988) che il tempo di persistenza di una popolazione è proporzionale alla sua dimensione. Secondo un modello matematico sviluppato da Burkey (1989), su intervalli di tempo brevi la probabilità di estinzione di una popolazione cresce esponenzialmente con il grado di frammentazione dell'habitat utilizzato, ovverosia con la diminuzione della superficie delle tessere ambientali occupate. Lawton & Woodroffe (1991) hanno mostrato come ad esempio l'arvicola terrestre sia presente con frequenza minore in siti isolati. Una disamina della letteratura recente (fig. 5.5) prova che le estinzioni locali sono molto frequenti, sia tra i vertebrati che tra altri organismi (Fahrig e Merriam, 1994). Gilpin e Soulé (1986) sottolineano come nel caso delle popolazioni isolate esista un feedback positivo tra influenze deterministiche e influenze stocastiche (ovverosia "casuali" in senso statistico): popolazioni le cui dimensioni siano ridotte da fattori deterministici come la diminuzione di habitat utile e la predazione divengono più vulnerabili a variazioni climatiche casuali o ad eventi demografici "improbabili". Soulé et al. (1992) hanno verificato come questi fenomeni agiscano anche alla scala di frammenti compresi tra i 10 e i 100 ettari, in un ambiente di macchia arida della California. Il collasso biotico delle popolazioni residue di vertebrati può venire rallentato dalla presenza di superpredatori che controllino il numero dei predatori di dimensioni minori, ivi inclusi i gatti domestici. Soulé e collaboratori hanno battezzato tale tendenza effetto Coyote, dalla specie coinvolta nel loro studio. Estinzione e ricolonizzazione hanno entrambe caratteristiche specie-specifiche che dipendono dalle capacità di movimento delle specie considerate, come anche dai loro andamenti demografici. E' chiaro che l'estinzione di una piccola popolazione può venire prevenuta anche da una immigrazione che ne sostenga il livello (effetto soccorso o rescue effect di Brown & Kodric-Brown, 1977). Per la massima parte delle specie, la possibilità di immigrazione o di colonizzazione diminuisce con l'isolamento; tale relazione è valida soprattutto per organismi poco mobili come gli anfibi o i micromammiferi, in confronto ad organismi particolarmente mobili come gli uccelli (Sinsch, 1990; Sjogren, 1991; Newton, 1995). Gli anfibi aderiscono perfettamente ai modelli teorici relativi alle metapopolazioni, con sottopopolazioni ripartite tra frammenti di habitat riproduttivo (pozze, laghetti, ruscelli). In molti casi, la ricolonizzazione dei siti rimasti vacanti può risultare difficoltosa per gli anfibi, a causa, oltre che della limitata mobilità, della presenza di barriere "fisiologiche" (ad esempio habitat aridi) e di una estrema fedeltà al sito riproduttivo (Blaustein et al., 1994). I rettili risultano assai più mobili, i serpenti possono spostarsi di diverse centinaia di metri in pochi giorni e di diversi chilometri in pochi mesi; le stesse lucertole possono avere home-range della dimensione di centinaia di metri quadrati (Porter, 1972; Stamps, 1983). 181

185 Da una simulazione condotta da Farhig & Paloheimo (1988) la dispersione sembra più importante dei fattori demografici interni alle singole popolazioni nel determinare l'abbondanza complessiva di una metapopolazione. Questo risultato è confortato anche da uno studio su popolazioni di piccoli roditori, in cui l'immigrazione è apparsa correlata con la persistenza delle popolazioni locali più dei singoli andamenti demografici (Blaustein 1981). Valutazioni sulle capacità di dispersione sono essenziali dal punto di vista dei problemi di conservazione. Haila (1985), relativamente agli uccelli, ha prodotto una semplice ripartizione in quattro categorie: 1) specie non selettive per l'habitat, con grande capacità di dispersione; 2) specie non selettive per l'habitat, con bassa capacità di dispersione; 3) specie selettive per l'habitat, con grande capacità di dispersione; 4) specie selettive per l'habitat, con bassa capacità di dispersione. E' evidente che i primi due casi non richiedono interventi particolari di gestione, mentre al terzo ben si adatta una gestione complessiva del territorio, in cui le misure adottate riguardino il mantenimento di standard ambientali su larga scala; il quarto caso necessita invece di una pianificazione territoriale attenta, su scala locale, poiché alterazioni della struttura del paesaggio possono facilmente provocare l'estinzione locale ed impedire una successiva ricolonizzazione. Per molte specie rare e in declino, Thomas (1994) suggerisce 1) che l'estinzione sia usualmente la conseguenza deterministica di una modificazione ambientale che rende l'habitat indisponibile (per la modificazione o la scomparsa dell'habitat, o per l'introduzione di un predatore o di un competitore), 2) che questo dopo l'estinzione rimanga indisponibile, così che un'estinzione raramente generi frammenti utilizzabili e vuoti, 3) che la colonizzazione sia successiva al miglioramento di alcune delle tessere dell ecomosaico dal punto di vista delle specie considerate. In quest'ottica, la persistenza in un territorio sottoposto a modificazioni dinamiche dipende in maniera predominante dalla capacità degli organismi di seguire i cambiamenti di ubicazione delle condizioni ambientali loro necessarie. 1.6 Alcuni concetti nuovi: complementazione, supplementazione e connettività Le specie presenti in un paesaggio eterogeneo possono muoversi tra i frammenti ambientali, dello stesso tipo o di tipo diverso. Nel caso in cui una certa specie necessiti contemporaneamente delle risorse differenti presenti in patches di tipo diverso, si verifica la complementazione quando l'entità della popolazione è maggiore in paesaggi in cui i due tipi di habitat sono vicini o frammisti, piuttosto che in paesaggi in cui sono distanziati o isolati (Dunning et al., 1992). I motivi della maggiore densità possono trovarsi ad esempio in un più efficiente sfruttamento delle risorse quando queste sono vicine, o in una diminuzione del tempo di esposizione ai predatori durante i trasferimenti. La complementazione tra ecotopi è stata dimostrata da Petit (1989) relativamente alla distribuzione invernale degli uccelli "forestali". Nelle specie seguite, frammenti di un tipo di habitat erano utilizzati per il foraggiamento, frammenti di un secondo contenevano dormitori protetti preziosi contro il cattivo tempo e la rigidità del clima; la distribuzione degli uccelli nelle aree di foraggiamento era determinata dalla distribuzione relativa dei due tipi di habitat. Complementazione tra ecotopi è stata evidenziata anche da McIvor e Odum (1988), che hanno studiato la distribuzione di pesci all'interno di una palude salmastra. Il pesce si alimentava sulla palude con l'alta marea, e rientrava nei flussi di marea con l'abbassamento del livello dell'acqua. Nella aree ove la bassa marea lasciava delle pozze temporanee, utilizzate dai pesci come temporaneo rifugio dai predatori, la densità di pesci era superiore. Può anche verificarsi una risposta alla dislocazione di piccoli frammenti contenenti un solo tipo di risorsa. Nel processo definito supplementazione (Dunning et al., 1992), la popolazione di un frammento può risultare più cospicua nel caso che il frammento stesso sia collocato in una porzione di paesaggio che disponga di risorse addizionali. Gli organismi coinvolti possono rinvenire risorse supplementari utilizzando frammenti vicini di uno stesso habitat, oppure utilizzando risorse alternative in frammenti vicini di habitat differente. Attraverso questo meccanismo, possono persistere popolazioni all'interno di frammenti che sarebbero altrimenti troppo ridotti per poterle sostenere. Ancora una volta gli uccelli ci offrono un esempio molto chiaro: molte specie ad habitat forestale, di dimensioni medie o grandi, possono infatti utilizzare frammenti boschivi di dimensione inferiore a quella di un singolo territorio, ripartendo le proprie attività (essenzialmente di foraggiamento) tra molti frammenti vicini. Un tale impiego del paesaggio è descritto ad esempio da Whitcomb et al. (1977) per l'allocco barrato e per il Picchio pileato nordamericani, da Widén (1989) per l'astore in Svezia. Quest'ultimo può avere in paesaggi frammentati un home-range fino a 300 volte più grande che in una foresta 182

186 matura e continua, così come il Picchio nero (Tjernberg et al., 1993) può arrivare a comprendere nel proprio home-range oltre 70 frammenti di foresta. Dunning et al. (1992) ascrivono alla supplementazione tra ecotopi anche l'utilizzo di habitat secondari all'interno di dinamiche source-sink. A mio parere possono rientrare in questa seconda tipologia di impiego delle risorse anche migrazioni su breve raggio, con l'utilizzo sequenziale di risorse in habitat adiacenti da parte di una stessa popolazione. Il Cervo ad esempio (Albon e Langvatn, 1992) esegue migrazioni altitudinali per trovare più a lungo piante al giusto livello di maturazione (più giovani, meglio digeribili e più ricche di proteine). Migrazioni di questo genere sono state notate in diversi cervidi come l'alce (Le Resche, 1974) il Cervo codabianca (Marchinton & Hirt, 1984), il Cervo mulo (Wallmo & Regelin, 1981), la Renna (Skogland, 1984). Migrazioni altitudinali e parziali cambiamenti di habitat sono la normale risposta di molte specie di uccelli ai cambiamenti di stagione nelle zone temperate (ad es. Osborne e Osborne, 1987; Fornasari et al., 1992). Abbiamo fin qui descritto l'influenza della percentuale di habitat disponibile, della dimensione e della distanza tra i frammenti. La mobilità degli animali tra un frammento e l'altro, nonché la probabilità di estinzione all'interno dei frammenti, dipendono però anche dalla forma assunta dall'ecotopo considerato. Influisce in modo particolare il rapporto tra superficie e perimetro; a parità di superficie, da un lato un aumento del perimetro consente una maggiore probabilità di connessione con altri frammenti simili attravero la creazione di corridoi di habitat favorevole (incrementando la possibilità di immigrazione/colonizzazione e diminuendo quindi la probabilità di estinzione), dall'altro determina un incremento delle aree ecotonali, a discapito delle specie che risentono in maniera negativa dell'effetto margine. Dunning et al. (1992) definiscono due essenziali caratteristiche del paesaggio nella composizione (percentuale di habitat) e nella fisionomia (dimensione, distanza e forma dei frammenti), paragonandole alla composizione floristica e alla struttura di una vegetazione. Una terza caratteristica, essenziale quanto le prime due, è costituita dalla connettività (Taylor et 183

187 al., 1993), cioè a dire dal grado di permeabilità (o di resistenza) che i diversi elementi del paesaggio presentano ai movimenti degli animali tra i frammenti ambientali. E' evidente che la presenza di una matrice paesaggistica "impenetrabile" attorno ad un ecotopo rende impossibile il verificarsi di complementazione e supplementazione con altri ecotopi; una permeabilità ridotta rende invece molto importante, dal punto di vista teorico, la distanza che esiste tra l'ecotopo "focale" e gli altri ecotopi utilizzabili, mentre una permeabilità molto elevata rende l'effetto della distanza assai meno importante. La connettività è ovviamente assai importante anche per quanto riguarda i fenomeni di immigrazione e colonizzazione, ed è per questo che è attualmente così vivo il dibattito sui corridoi nelle strategie di conservazione (Noss, 1987; Simberloff e Cox, 1987; Saunders e Hobbs, 1991; Simberloff et al., 1992; Beier, 1993; Harms et al., 1993; Bennett et al., 1994; Dunning et al., 1995). Tali strutture risultano importanti sia per i movimenti di animali di grandi dimensioni, come il Puma (Beier, 1993) o il Tasso (Knaapen et al., 1995), che per specie di mole molto minore, come lo Scoiattolo rosso europeo (Wauters et al., 1994) o il Chipmunk, un piccolo scoiattolo striato nordamericano (Bennett et al., 1994). In generale, è evidente che il valore dei corridoi non dipende semplicemente dalla loro presenza nel paesaggio, ma anche dalla dimensione e dalla qualità dei frammenti che uniscono. 184

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192 MONITORAGGIO Monitoraggio speditivo degli ambienti naturali FONTE: FILETTO P. (ED.), PROGRAMMA DI MONITORAGGIO SPEDITIVO DELLO STATO DI CONSERVAZIONE DEGLI AMBIENTI NATURALI. ALLEGATO 1. COMPLETAMENTO AL PIANO DI SETTORE RIQUALIFICAZIONE AMBIENTI NATURALI. CONSORZIO DEL PARCO NATURALE DELL OGLIO SUD. Per quanto riguarda gli ambienti ricondotti alle tipologie lanca, torbiera, specchio d acqua e canale, ecologicamente determinati dalla presenza di acqua libera e di suoli saturi, molteplici sono gli elementi e gli aspetti che possono essere periodicamente monitorati al fine di verificarne lo stato di conservazione. Data l impossibilità di indagare in modo approfondito le biocenosi che li colonizzano, si suggerisce di limitare l attività di monitoraggio agli aspetti strutturali. In particolare, per quanto riguarda i corpi idrici si propone: - la verifica annuale (in particolare modo tra fine luglio-fine agosto) dell idroperiodo dei corpi idrici, appurando se vi sia, nel periodo di massima evapotraspirazione e al culmine dello sviluppo delle formazioni vegetazionali, il completo prosciugamento dei bacini e lo sviluppo di comunità terofitiche sui sedimenti esposti. Operativamente va definito il periodo di completo prosciugamento, definendo delle classi discrete in relazione alla durata dell esposizione dei sedimenti: 0-20gg, 21-40gg, 41-60gg, >60gg. Tale suddivisione è motivata in ragione del periodo richiesto per lo sviluppo e la riproduzione delle terofite nitrofile/ruderali (per es. Bidens sp.pl., Polygonum sp.pl., ecc.) capaci di colonizzare le aree nude lasciate libere dalla riduzione della colonna d acqua. Queste comunità determinano, infatti, un profondo deterioramento funzionale e qualitativo dell habitat umido. Va verificata, inoltre, la presenza/assenza (0/1) delle principali essenze nitrofile/ ruderali: le specie del genere Bidens, Polygonum e Cyperus all interno dei bacini. - la caratterizzazione delle tipologie prevalenti delle comunità di produttori primari all interno dei corpi idrici, appurando la presenza di comunità di fanerofite (e poi nello specifico di pleustofite/rizofite/idrofite sommerse ed emergenti) o la totale dominanza del fitoplancton. Va quindi valutata la presenza/assenza (0/1) delle diverse tipologie di specie, raggruppate secondo questa scala in termini di qualità: rizofite e/o idrofite sommerse > rizofite emergenti > pleustofite > fitoplancton (completa assenza di piante superiori). - la verifica del rapporto, nel caso siano presenti comunità di piante superiori, tra forme sommerse ed emergenti, liberamente flottanti o radicate. Studi recenti hanno, infatti, verificato la corrispondenza tra la dominanza di pleustofite (ad es. specie del genere Lemna, ecc.) e condizioni complessivamente eu-ipertrofiche dei bacini colonizzati, mentre l affermazione di comunità sommerse o radicate ai sedimenti è associata a concentrazioni relativamente contenute di nutrienti disciolti in acqua. Operativamente va valutato il rapporto di dominanza tra le diverse specie in ragione della loro forma biologica e secondo un gradiente di qualità funzionale così definito: rizofite e/o idrofite sommerse > rizofite emergenti > pleustofite > fitoplancton (completa assenza di piante superiori). Non va quindi valutata unicamente la presenza/assenza (0/1) delle diverse tipologie di specie ma anche la superficie occupata rispettivamente da ciascuna forma biologica, definendo delle classi discrete in relazione all estensione delle comunità (superficie relativa occupata): 0-20%, 21-40%, 41-60%, 61-80%, >80%. Per quanto riguarda le formazioni riparie e retroriparie: - la verifica della continuità lineare delle formazioni elofitiche (che devono essere ben strutturate per essere considerate funzionali, con una estensione laterale non inferiore ai 3-5 m). Va valutata la funzionalità ecologica della fascia riparia in ragione della sua continuità e della superficie che occupa, definendo delle classi discrete di qualità in relazione alla continuità 189

193 della fascia rispetto al perimetro totale della zona umida (0-20% > 21-40% > 41-60% > 61-80% > >80%) e alla sua estensione laterale (0-3m < 3-5m < 5-15m < >15m). - la verifica della presenza di individui appartenenti ai generi Carex e Cyperus (in generale alle specie considerate elofite) come specie indicatrici di una discreta conservazione funzionale della zona riparia. Non va valutata unicamente la presenza/assenza (0/1) delle diverse specie elofitiche ma anche la superficie occupata rispettivamente da ciascuna forma biologica, definendo delle classi discrete in relazione alla superficie occupata: 0-20%, 21-40%, 41-60%, 61-80%, >80%. Per quanto riguarda le formazioni lineari di ripa: - la verifica della attiva rinnovazione delle essenze arboree e la dominanza negli stati arbustivi e basso-arbustivi della specie lianose alloctone S. angulatus e H. scandens. Va verificata la presenza/assenza (0/1) delle principali essenze nitrofile/ruderali (--): le specie S. angulatus, Amorpha fruticosa, H. scandens, e delle plantule di Salix alba (++) (sintomo di attiva rinnovazione dei saliceti bianchi ripari) all interno delle formazioni lineari. Per quanto riguarda le formazioni di bosco, arbusteto, i rimboschimenti e gli ex vivai: - la verifica della presenza di specie erbacee tipiche delle formazioni planiziali mesofile ricondotte alle formazioni a Quercus robur e Carpinus betulus della bassa Pianura Padana centro-orientale (Carex pendula, Arum maculatum, Ajuga reptans, ecc. da Ubaldi, 2003). Va verificata la presenza/assenza (0/1) delle principali specie erbacee tipiche del sottobosco dei consorzi forestali planiziali: Carex pendula, Arum maculatum, Ajuga reptans, Allium ursinum, Viola reichembachiana, Vinca minor, Anemone nemerosa, Carex sylvatica, Mercurialis perennis. A queste modalità di tipo qualitativo vanno aggiunte, con frequenza almeno triennale, verifiche di tipo planimetrico, al fine di constatare variazioni spaziali delle tipologie descritte. La tecnica speditiva migliore consiste nell utilizzo di GPS portatili da impiegare in concomitanza con i rilievi qualitativi, i dati da rilevare sono: perimetro esterno dell area rappresentante la tipologia di studio; punti di interesse (singole piante, aree umide temporanee, formazioni ecotonali e altri elementi di interesse quali le risorgive); elementi di degrado (abbandono rifiuti, lavorazioni del terreno non corrette, stoccaggio materiali di varia natura, ecc.). I dati georeferenziati così raccolti devono essere integrati nel database al fine di costituire la base su cui implementare le valutazioni sull evoluzione degli ambienti analizzati, ed avere così sempre sotto controllo le situazioni di cambiamento (positivo o negativo). In conclusione, nelle aree oggetto del monitoraggio, definite quali ambienti naturali presenti all interno delle aree già art. 30 e art. 31 del PTC nonché nelle nuove aree identificate dal Piano di Settore, si dovrà procedere per la parte prettamente qualitativa con cadenza annuale nelle zone umide e con cadenza almeno biennale nelle restanti aree, mentre per quanto riguarda le indagini spaziali (verifica di aumenti o diminuzione delle aree naturali) si dovrà procedere per i perimetri esterni delle aree con cadenza almeno triennale, invece per la documentazione geografica di punti di interesse (presenza di specie rare, aree di degrado, ecc.) almeno con cadenza biennale. 190

194 Schema di sintesi monitoraggi (per gruppi di tipologie). 191

195 Indice di Funzionalità Fluviale FONTE: SILIGARDI M. (ED.), IFF INDICE DI FUNZIONALITÀ FLUVIALE. MANUALI E LINEE GUIDA. APAT. L obiettivo principale dell Indice di Funzionalità Fluviale (IFF) consiste nel rilievo dello stato complessivo dell ambiente fluviale e nella valutazione della sua funzionalità, intesa come risultato della sinergia e dell integrazione di un importante serie di fattori biotici ed abiotici presenti nell ecosistema acquatico e in quello terrestre ad esso collegato. Attraverso l analisi di parametri morfologici, strutturali e biotici dell ecosistema, interpretati alla luce dei principi dell ecologia fluviale, vengono rilevate le funzioni ad essi associate, nonché l eventuale allontanamento dalla condizione di massima funzionalità, individuata rispetto ad un modello ideale di riferimento. La lettura critica ed integrata delle caratteristiche ambientali consente così di definire un indice globale di funzionalità. La metodica, proprio per l approccio olistico, fornisce informazioni che possono differire, anche sensibilmente, da quelle fornite da metodi di valutazione che considerano una specifica comunità o comparto ambientale (analisi biologiche, chimiche, microbiologiche, ecc.). Non si tratta quindi di metodi alternativi o in competizione, ma di strumenti complementari, che concorrono a fornire una conoscenza completa del sistema fluviale. La valutazione della funzionalità fluviale attraverso l utilizzo di un indice globale trova vasta applicazione nell ambito delle indagini conoscitive sugli ecosistemi acquatici. Gli obiettivi dell indagine possono limitarsi al rilevamento dello stato di salute di un corso d acqua o mirare direttamente all individuazione di ambienti o tratti di corsi d acqua ad alta valenza ecologica per approntare strumenti di salvaguardia o, viceversa, all individuazione di tratti degradati per predisporre interventi di ripristino e riqualificazione degli ambienti fluviali. Altri campi di applicazione sono sia la valutazione dell impatto di determinate opere che la valutazione dell efficacia degli interventi di risanamento. L esigenza diffusa di procedere a interventi di riqualificazione o rinaturalizzazione dei corsi d acqua può trovare nell IFF un valido strumento operativo per individuare i tratti fluviali che necessitano maggiormente di intervento, per evidenziare i singoli elementi da recuperare (es. vegetazione riparia, sinuosità, qualità delle acque, ecc.) e, infine, per verificare l efficacia degli interventi stessi (con opportuni accorgimenti, anche per valutazioni previsionali). Un uso più estensivo dell IFF è sicuramente quello di utilizzarlo come strumento di pianificazione territoriale ed urbanistico. Infatti è possibile fornire indicazioni progettuali di destinazione urbanistica di vaste zone di pertinenza fluviale, tutelando le zone riparie e golenali quali elementi dell ecosistema fiume. In questo caso è possibile delineare e definire ambiti fluviali con una loro dignità, che dovranno essere mantenuti o esaltati per le loro funzioni tampone e di corridoio fluviale, anche in un ottica di reti ecologiche. La definizione dell obiettivo dell indagine comporta quindi anche differenti livelli di scala di rilevamento e, soprattutto, definisce la frequenza con cui il rilevamento va eseguito. Il monitoraggio, inteso come indagine conoscitiva dell ambiente fluviale, può infatti essere eseguito con cadenza pluriennale; in ogni caso, campagne di indagine più ravvicinate sono giustificate solo qualora si siano verificate variazioni significative dei parametri oggetto di studio. Nel caso di progetti di riqualificazione ambientale, invece, il rilievo andrebbe eseguito almeno nella fase che precede gli interventi e, con una frequenza maggiore, nella fase successiva. L IFF, riportato su carte di facile comprensione, consente quindi di cogliere con immediatezza la funzionalità dei singoli tratti fluviali; può essere uno strumento particolarmente utile per la programmazione di interventi di ripristino dell ambiente fluviale e per supportare le scelte di una politica di conservazione degli ambienti più integri. La Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE) ha introdotto nella normativa italiana relativa alla qualità delle acque superficiali un concetto, nuovo dal punto di vista normativo, ma ecologicamente assodato, di scostamento dalle condizioni di riferimento. Infatti, l espressione del giudizio di qualità per ciascun corpo idrico si basa sulla valutazione dell entità delle alterazioni indotte dalle attività antropiche sulle comunità biotiche e sugli elementi 192

196 idromorfologici e chimico-fisici (considerati a sostegno degli elementi biologici) caratteristici della tipologia ambientale a cui appartiene. In pratica, si richiede quindi di utilizzare, come valore ambientale di riferimento, la naturalità, sia dal punto di vista delle comunità che da quello di tipo idromorfologico. L IFF considera proprio tutti gli elementi di tipo idromorfologico citati dalla Direttiva, tra i quali sono comprese le caratteristiche della zona riparia anche dal punto di vista vegetazionale, ma utilizza le informazioni raccolte per esprimere un giudizio riferito alle condizioni teoriche di massima funzionalità, caratteristiche di un corso d acqua ideale. Va osservato come in molti casi le condizioni di massima naturalità corrispondano a quelle di massima funzionalità: per molti corpi idrici il valore dell IFF può quindi fornire una stima soddisfacente (seppur approssimata e indiretta) anche della naturalità. L IFF fornisce quindi un valore di funzionalità reale assoluta, riferita cioè ad un corso d acqua teorico, in cui ciascuno dei caratteri considerati si trova nella condizione migliore. Se, invece, questo valore di IFF viene rapportato a quello potenziale della sua condizione di riferimento, si ottiene la funzionalità reale relativa. Si noti che è possibile calcolare la funzionalità relativa anche per gruppi di domande dell IFF congruenti ad un aspetto dell ecologia fluviale, come per esempio quello idromorfologico, ottenendo così elementi direttamente utilizzabili per valutare alcuni aspetti dello stato ecologico, soddisfacendo direttamente i requisiti della Direttiva. L introduzione del confronto con le condizioni di riferimento e la conseguente espressione di un giudizio di funzionalità relativa mediante l IFF non è, comunque, un obbligo, ma un opportunità che, fornendo un informazione addizionale sintetica di particolare valore gestionale, colma una lacuna e accresce ulteriormente la potenzialità e l efficacia applicativa del metodo. Ovviamente, però, l individuazione delle condizioni di riferimento per ciascun singolo tratto, e quindi della funzionalità potenziale, sulla base della quale è possibile calcolare la funzionalità relativa, è un processo estremamente delicato, che non può essere totalmente procedurizzato, e che, quindi, si fonda totalmente sulla competenza e sull etica scientifica del rilevatore. L utilizzo di riferimenti errati o, peggio, eticamente scorretti, può determinare l espressione di un giudizio di naturalità non affidabile, con le prevedibili conseguenze nel campo della tutela, della gestione e della pianificazione degli ecosistemi fluviali. L Indice di Funzionalità Fluviale è strutturato per essere applicato a qualunque ambiente d acqua corrente. È possibile applicare l IFF anche a tratti puntuali (ad esempio per verificare l impatto di una centralina o di un opera di presa), ma in questo caso è necessario percorrere e compilare le schede anche per i tratti a valle e a monte della zona di interesse, in modo da avere un quadro complessivo della situazione. La scheda IFF si compone di una intestazione con la richiesta di alcuni metadati e di 14 domande che riguardano le principali caratteristiche ecologiche di un corso d acqua; per ogni domanda è possibile esprimere una sola delle quattro risposte predefinite. I metadati richiesti riguardano il bacino, il corso d acqua, la località, la larghezza dell alveo di morbida, la lunghezza del tratto omogeneo in esame, la quota media del tratto, la data del rilievo, il numero della scheda, il numero della foto e il codice del tratto omogeneo. Alle risposte sono assegnati pesi numerici raggruppati in 4 classi (con peso 138 Indice di funzionalità fluviale: protocollo di applicazione minimo 1 e massimo 40) che esprimono le differenze funzionali tra le singole risposte. L attribuzione degli specifici pesi numerici alle singole risposte non ha particolari giustificazioni matematiche, ma deriva da valutazioni di esperti sull insieme dei processi funzionali influenzati dalle caratteristiche oggetto di ciascuna risposta. Il punteggio di IFF, ottenuto sommando i punteggi parziali relativi ad ogni domanda, può assumere un valore minimo di 14 e uno massimo di 300. Il punteggio finale viene tradotto in 5 livelli di funzionalità (L.F.), espressi con numeri romani (dal I che indica la situazione migliore al V che indica quella peggiore), ai quali corrispondono i relativi giudizi di funzionalità; sono inoltre previsti livelli intermedi, al fine di meglio graduare il passaggio da una classe all altra. Ad ogni livello di funzionalità viene associato un colore convenzionale per la rappresentazione cartografica; i livelli intermedi vengono rappresentati con un tratteggio a barre oblique a due 193

197 colori alternati. La rappresentazione grafica viene effettuata con due linee, corrispondenti ai colori dei Livelli di Funzionalità, distinguendo le due sponde del corso d acqua. Essa può essere eseguita su carte in scala 1: o 1: per una rappresentazione di dettaglio e in scala 1: per una rappresentazione d insieme. 194

198 Indice Biotico Esteso FONTI: GHETTI P.F. (1997). MANUALE DI APPLICAZIONE. INDICE BIOTICO ESTESO (I.B.E.) I MACROINVERTEBRATI NEL CONTROLLO DELLA QUALITÀ DEGLI AMBIENTI DI ACQUE CORRENTI. PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, AGENZIA PROVINCIALE PER LA PROTEZIONE DELL AMBIENTE. APAT/IRSA-CNR (2003). METODI ANALITICI PER LE ACQUE. 29/2003 VOL. 3: L'Indice Biotico Esteso (IBE) è un indicatore dell effetto della qualità chimica e chimico-fisica delle acque mediante l'analisi delle popolazioni di fauna macrobentonica che vivono nell alveo dei fiumi. Esso si basa essenzialmente sulla diversa sensibilità agli inquinanti di alcuni gruppi faunistici e sulla ricchezza complessiva in specie della comunità di macroinvertebrati. Se le analisi chimico-fisiche evidenziano le alterazioni dei corsi d'acqua in relazione alla presenza degli inquinanti, le indagini per l'indice biotico tendono a mettere in risalto gli effetti degli inquinanti sulla comunità degli organismi che ci vivono. L'ambiente acquatico costituisce l'habitat naturale di numerose comunità animali e vegetali, tra queste la comunità dei macroinvertebrati, composta da organismi molto diversi (insetti, in particolare larve, crostacei, molluschi) ma tutti di piccole dimensioni (da 0.5 mm a qualche cm). I macroinvertebrati bentonici sono organismi che vivono sulla superficie dei substrati di cui è costituito il letto fluviale (epibentonici) o all'interno dei sedimenti (freaticoli). Tali organismi, data la loro scarsa mobilità, si sono rivelati un utile strumento per effettuare indagini sulla qualità degli ecosistemi fluviali; essi infatti, trascorrono gran parte del loro ciclo vitale nei corsi d'acqua, per cui rappresentano una sofisticata rete di controllo in grado di fornire una risposta modulata e lineare a qualsiasi alterazione ambientale, sia tipo naturale, come un evento di piena, sia a carichi pulsanti di inquinanti che di norma sono assai difficili da individuare con le normali metodiche di analisi. La diversità della comunità riflette la diversità dei microambienti. I macroinvertebrati inoltre occupano tutti i livelli della piramide trofica (detritivori, erbivori, carnivori). I vantaggi, derivanti dall utilizzo dei macroinvertebrati, come indicatori biologici, dipendono dal fatto che questi organismi: possiedono cicli vitali lunghi; rappresentano un insieme eterogeneo di taxa con differenti livelli di sensibilità alle alterazioni dell ambiente e con differenti ruoli ecologici; sono adeguatamente campionabili e facili da identificare; sono relativamente poco mobili e quindi rappresentativi delle condizioni di una determinata sezione di corso d acqua; sono ubiquitari e abbondanti in tutti i sistemi fluviali. Per questi motivi i macroinvertebrati sono la comunità più comunemente utilizzata nel controllo della qualità delle acque correnti. L IBE ha quindi lo scopo di formulare diagnosi della qualità di ambienti di acque correnti sulla base delle modificazioni nella composizione delle comunità di macroinvertebrati indotte da fattori di inquinamento delle acque e dei sedimenti o da significative alterazioni fisiche dell alveo bagnato. Le biocenosi acquatiche sono alla base del processo di autodepurazione ed omeostasi degli ecosistemi fluviali. Nell ambito della catena depurativa i macroinvertebrati costituiscono l anello di congiunzione tra microrganismi e macrorganismi. Infatti, frammentando la sostanza grossolana, aumentano la superficie attaccabile da funghi e batteri e nutrendosi dei microrganismi ne mantengono le popolazioni in fase giovanile. Inoltre presentano innumerevoli specializzazioni alimentari e costituiscono alimento di pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi. Ogni organismo presenta un optimum e un proprio intervallo di tolleranza nei confronti delle condizioni ambientali e occupa una propria nicchia ecologica in base alla posizione nella rete trofica, alla strategia riproduttiva e ai propri adattamenti morfologici e comportamentali. Le comunità animali bentoniche reagiscono alla degenerazione delle caratteristiche chimicofisiche dell acqua (inquinamento) e/o all alterazione morfologica dei substrati, secondo un determinato succedersi di eventi: decremento delle abbondanze relative fino alla scomparsa dei taxa più sensibili; 195

199 diminuzione del numero dei taxa totali presenti; aumento delle abbondanze relative dei taxa più tolleranti nei confronti dell inquinamento. Una riduzione della diversità biologica comporta una risposta più lenta e meno efficace alle variazioni temporali del carico organico, una riduzione dell efficienza depurativa e una minore stabilità del corso d acqua. Il campionamento ha lo scopo di ricostruire la reale struttura in taxa della comunità di macroinvertebrati che colonizza un determinato tratto di corso d'acqua; il metodo consente di confrontare la comunità rinvenuta con quella potenziale che potrebbe cioè svilupparsi in un corso d acqua con caratteristiche analoghe in assenza di fattori di disturbo; il campionamento rappresenta, quindi, una fase cruciale per una corretta diagnosi di qualità. Il valore di IBE è stato assegnato mediante l utilizzo di una tabella a due entrate: un entrata orizzontale (primo ingresso in tabella) che deve essere utilizzata in corrispondenza dell Unità Sistematica (taxa a livello definito di classificazione) più sensibile presente nella comunità della stazione in esame. In colonna, infatti, sono riportati alcuni gruppi di macroinvertebrati che, dall'alto verso il basso, riflettono una sempre minore sensibilità all'inquinamento; un entrata verticale, che va utilizzata in corrispondenza della colonna che comprende il numero totale di U.S. formanti le comunità in esame. Il totale delle unità sistematiche, o taxa, rinvenuti in una determinata stazione, determina la ricchezza in U.S., o in taxa, della stessa. Il valore di IBE è dato dal numero corrispondente alla casella che si trova all'incrocio della riga di entrata orizzontale con la colonna di entrata verticale. La tabella consente, perciò, di tradurre in un valore numerico lo stato di qualità biologica di un ambiente fluviale sulla base di due indicatori: la diversa sensibilità di alcuni gruppi di organismi alle alterazioni ambientali e l effetto prodotto da questa alterazione sulla ricchezza totale in taxa della comunità. I valori di IBE sono raggruppati in cinque Classi di Qualità, ciascuna individuata da un numero romano. Queste classi consentono di rappresentare la qualità dei corsi d'acqua mediante 5 intervalli di giudizio, e possono essere visualizzate in cartografia mediante colori convenzionali. 196

200 Coleotteri carabidi FONTE: BRANDMAYR P., ZETTO T., ROBERTO P., I COLEOTTERI CARABIDI PER LA VALUTAZIONE AMBIENTALE E LA CONSERVAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ. MANUALE OPERATIVO. APAT, MANUALI E LINEE GUIDA, 34. La famiglia Carabidae fa parte dell ordine Adephaga, sottordine dei Coleoptera, che è considerato come il più ricco del regno animale, al 1990 sono note circa specie di Coleotteri, di cui quasi appartengono ai carabidi (su specie d insetti conosciute). In Italia sono note oltre specie. I coleotteri carabidi sono considerati a livello internazionale uno dei gruppi di bioindicatori più affidabili e il loro studio, attraverso procedure operative, consente di valutare lo stato di conservazione dell ambiente che ne ospita le comunità. Esaminando le caratteristiche biologiche ed adattative di ogni specie campionata, è possibile trasformarle in valori di leggibilità universale adatti ad essere trasferiti ed integrati nella cartografia ambientale, evidenziando in modo semplice ma realistico i processi di trasformazione che avvengono a livello di ecosistema o anche di interi paesaggi. Partendo dal censimento ambientale di questi insetti è quindi possibile abbinare alle unità ambientali di grandi strumenti scientifici di riferimento, come la Carta della Natura, realizzata in attuazione della legge Quadro per le Aree Naturali Protette (L. 394/91) prima dal DSTN ed oggi dall APAT, un sistema di indicizzazione basato su elementi e parametri riconosciuti dal panorama scientifico internazionale ed oggi correntemente usati in progetti di vasto respiro. Viene così quantificato in modo oggettivo il valore intrinseco della diversità biologica di ecosistemi sia naturali che antropizzati, cioè più o meno modificati dall uomo, per costituire un solido punto di partenza per attività di conservazione ed uso sostenibile del patrimonio naturale, come pure della sua pianificazione a livello di sistema paesaggistico. La scelta del luogo dove effettuare il campionamento è necessariamente condizionata dallo scopo della ricerca. Nel più semplice dei casi la ricerca ha come scopo la raccolta di individui di singole specie, per cui è necessario conoscere l autoecologia delle specie. Generalmente i coleotteri carabidi vengono utilizzati per studi applicativi su vaste aree, comprendenti gradienti bioclimatici, o paesaggi ecologici, oppure successioni ecologiche. In tutti questi casi, ciascun sito destinato al campionamento viene scelto in base alla caratteristica più evidente, cioè la tipologia vegetazionale, e quindi, in relazione al tipo di applicazione della ricerca, deve essere rappresentativo di una fascia bioclimatica secondo un gradiente altitudinale, oppure deve corrispondere ad uno stadio di una successione ecologica primaria o secondaria. All interno dell area da investigare il sito di campionamento viene definito individuando un biotopo (luogo fisico del campionamento) con habitat (caratteristica ecologica del campionamento) omogeneo per tipologia e fisionomia. I campioni di materiale biologico vengono raccolti con metodo automatico, basato sull utilizzo di trappole a caduta ( pit-fall traps ). E noto che l impiego di questi strumenti non permette di raccogliere la totalità dei carabidi caratterizzanti un sito, in quanto poco efficace per la cattura delle specie meno mobili e con densità di popolazione estremamente ridotta, ma rimane comunque il sistema che fornisce i campioni più completi, arrivando ad intercettare oltre il 90% delle specie presenti. Le trappole vengono interrate fino all orlo, curando in modo particolare la eliminazione di qualsiasi spazio vuoto tra il bordo e il terreno, assicurando la continuità della superficie con l impiego di terriccio fine o muschio. In ciascuna trappola viene introdotta una soluzione di aceto commerciale di vino e formalina al 5% in volume, in quantità pari a circa 150 ml. In quasi tutte le circostanze è possibile sostituire la formalina con acido ascorbico, in ragione di 5-10 gr/litro di aceto, evitando possibili conseguenze tossiche della formaldeide sull operatore. Il numero di trappole da utilizzare e la loro disposizione variano in funzione della superficie del sito 197

201 di campionamento, della sua pendenza e morfologia. Generalmente, il mantenimento in funzione di 5-6 trappole disposte in linea a una distanza reciproca di 6-10 metri, garantisce un campionamento esauriente del sito. Questo significa che qualora intervengano fattori di disturbo (bestiame, escursionisti, meteorologia) che tendono a ridurre le trappole attive, è necessario incrementarne il numero. La raccolta del materiale che cade nelle trappole deve essere effettuata ad intervalli di giorni o al massimo un mese, durante la stagione di attività della fauna a coleotteri geoadefagi. Quest ultima generalmente si protrae da marzo a novembre. Il materiale che cade nella trappola viene raccolto sul campo e separato dai liquidi (acqua piovana e soluzione di aceto) tramite un colino a maglia sottile (0.75 mm circa), ed introdotto in appositi contenitori di plastica (volume di 0.25 litri o 0.5 litri) tramite un imbuto per polveri con imboccatura larga (2-3 cm di diametro). I contenitori sono dotati di doppio tappo di chiusura, uno interno a pressione ed uno esterno a vite, oppure di un solo tappo con bordo interno per chiusura ermetica. Il contenuto di tutte le trappole posizionate in un sito di campionamento viene raccolto in un unico contenitore, dentro al quale viene aggiunto alcool 60 per conservare il materiale raccolto fino al momento dello smistamento. Se viene impiegato alcool denaturato, questo dovrebbe essere preventivamente decolorato, per evitare che il colorante aggiunto al denaturante possa alterare il colore naturale degli insetti. Il contenuto delle trappole è solitamente considerato nel suo complesso, almeno nel caso di valutazione di siti o biotopi di una certa dimensione. In caso di sospetta eterogeneità della stazione o a scopi particolari, per esempio in studi di aggregazione delle popolazioni o di marcaggio e ricattura (con trappole in vivo ) è consigliabile tenere separato il contenuto di ciascuna pit-fall trap. La fase di determinazione del materiale smistato consiste nella individuazione della specie di appartenenza di ciascun esemplare raccolto. A tale scopo si procede alla disposizione dei singoli individui su apposite tavolette di plexiglas rivestite con carta assorbente, ordinati in base alla somiglianza rilevata ad occhio nudo. Per molti esemplari la corretta determinazione a livello specifico richiede l utilizzo di tecniche di preparazione entomologica, l impiego di tabelle dicotomiche ed il confronto con le specie conservate in collezione. La determinazione delle specie ed il conteggio degli individui permettono di ottenere i dati qualitativi (lista delle specie) e quantitativi (abbondanza di ogni specie) di base per una valutazione della distribuzione delle specie nei diversi ambienti. I dati vengono sintetizzati in una tabella, in cui lungo le righe vengono disposte le specie e lungo le colonne i siti di campionamento, e all interno di ciascuna casella le quantità di individui campionati. Si costruisce in questo modo una matrice di eventi congiunti (specie i nel sito j) rappresentante lo spazio ecologico che descrive l area di studio. Lo spazio ecologico è quindi definito da m variabili (con m = numero di specie) e da n stati (con n = numero di siti), ed è uno spazio multidimensionale raffigurabile solo tramite una ipersfera. Per una corretta comparazione dei dati relativi ai diversi siti è necessario tener conto delle differenze dei metodi di campionamento che generalmente riguardano il numero di trappole utilizzate. Per uniformare i dati si procede al calcolo della cosiddetta Densità di Attività (DA) per ogni specie, che consiste nel dividere il numero di individui catturati durante ogni periodo di raccolta per il numero di trappole trovate ancora funzionanti ed i giorni di permanenza delle stesse, quindi moltiplicare il risultato per 10, ottenendo così il valore che più probabilmente indica il numero attivo di individui che nell arco di dieci giorni cadono in una trappola durante quel periodo dell anno. Per ottenere una stima del numero di individui attivi in dieci giorni in relazione al periodo totale di campionamento, non si calcola la media delle singole DA, ma si ricorre al calcolo della unità di sforzo (us) che rappresenta le decadi di attività di tutti i gruppi di trappole utilizzati nei diversi periodi di campionamento. In questo modo la Densità di Attività annua (DAa) per ogni singola specie si ottiene dividendo il numero di individui catturati durante tutto il periodo di 198

202 campionamento per le unità di sforzo impiegate in quel sito di campionamento. L aspetto qualitativo dei dati raccolti non si riferisce solamente alla diversità delle specie raccolte (quali specie sono presenti, e perché alcune sono assenti), ma anche alla valutazione di quelle che chiameremo le caratteristiche biologiche delle specie, che vanno ad identificare la qualità delle specie. Per quanto riguarda i Coleotteri Carabidi, le principali caratteristiche biologiche a cui fare riferimento sono il potere di dispersione, la distribuzione geografica più o meno ristretta, sino all endemismo, la posizione al limite dell areale, la dieta ed il grado di specializzazione, e la diversità, per i raggruppamenti di specie. Il calcolo del pregio faunistico avviene tramite semplici operazioni matematiche. L insieme degli adattamenti di una specie ai diversi fattori ecologici definisce la sua nicchia ecologica, la quale ha come corrispondente territoriale l adattamento di quella specie ad un determinato habitat (o a più ambienti nel caso di eurivalenza); e questo determina a livello geografico la presenza di quella specie su una o più aree, con diverse densità di popolazione al loro interno. L applicazione di questa relazione tra nicchia ecologica ed habitat, basata sull adattamento (cioè l evoluzione) delle specie, permette di ottenere una rappresentazione tramite mappe tematiche non solo della distribuzione territoriale delle specie, ma anche delle loro caratteristiche biologiche, e quindi del pregio naturalistico da esse valutabile. Si tratta sostanzialmente di attuare una operazione di sintesi del contenuto di informazione che dal dato biologico porta alla formulazione di indici (numeri puri) di naturalità. Nel caso dei coleotteri carabidi è possibile sfruttare la loro capacità di distribuirsi seguendo l eterogeneità ambientale, per creare semplici rappresentazioni cartografiche dei raggruppamenti di specie dei carabidi avendo a disposizione mappe della copertura vegetale, come ad esempio carte della vegetazione, carte degli habitat, carte dell uso del suolo. La procedura consiste nell assegnare alla mappa della copertura vegetale il corrispondente raggruppamento di carabidi individuato nello studio di comunità. 199

203 Indice di Biodiversità Lichenica FONTE: ANPA, I.B.L. IINDICE DI BIODIVERSITÀ LICHENICA. MANUALI E LINEE GUIDA 2/2001. AGENZIA NAZIONALE PER LA PROTEZIONE DELL AMBIENTE - DIPARTIMENTO STATO DELL AMBIENTE, CONTROLLI E SISTEMI INFORMATIVI. La biodiversità dei licheni epifiti ha dimostrato di essere un eccellente indicatore dell inquinamento prodotto da sostanze gassose fitotossiche. I licheni rispondono con relativa velocità alla diminuzione della qualità dell aria e possono ricolonizzare in pochi anni ambienti urbani e industriali qualora si verifichino dei miglioramenti delle condizioni ambientali, come evidenziato in molte parti d Europa. I licheni sono anche sensibili ad altri tipi di alterazioni ambientali, tra queste l eutrofizzazione rappresenta uno degli esempi più conosciuti. Essendo molto sensibili ai cambiamenti delle condizioni microclimatiche e alle attività di gestione forestale, i licheni sono stati usati anche per stimare la continuità ecologica delle foreste e perfino per stabilire reti di monitoraggio climatico. Negli ultimi decenni sono stati proposti molti metodi che, utilizzando opportune scale di interpretazione, valutano attraverso i licheni la qualità dell aria. In Svizzera negli anni 80 è stato avviato un progetto, che ha condotto allo sviluppo di un modello oggettivo e riproducibile di bioindicazione sensibile all effetto combinato di molti inquinanti atmosferici. La verifica, mediante analisi statistica multivariata, di 20 differenti tecniche utilizzate per il calcolo dell IAP (Index of Air Purity), ha evidenziato come i campionamenti effettuati con una griglia di 10 unità rappresentino i migliori risultati e non richiedano nessuna assunzione riguardante la sensibilità delle specie. Tale metodo è stato rapidamente adottato in molti paesi, specialmente Italia e Germania, spesso con l introduzione di alcune modifiche riguardanti l ampiezza della griglia.. Gli studi di qualità dell aria mediante licheni hanno trovato in Italia larga diffusione a partire dagli anni ottanta, in concomitanza con la ripresa dell interesse per gli studi lichenologici. Le numerose indagini realizzate sinora riguardano centri urbani, territori comunali e provinciali, zone di interesse naturalistico, e aree con presenza di attività antropiche alteranti. E importante precisare che i licheni considerati per la valutazione della biodiversità sono essenzialmente quelli epifiti, il che consente di limitare la variabilità di parametri ecologici indipendenti dall inquinamento, quali tenori in basi o capacità idrica, assai variabili nei substrati litici. I licheni sono particolarmente sensibili agli stress ambientali, specialmente per quanto riguarda l inquinamento, l eutrofizzazione e i cambiamenti climatici. Le ragioni principali sono: l assorbimento delle sostanze da parte dell intera superficie del lichene avviene esclusivamente attraverso l atmosfera; diversamente dalle piante superiori i licheni non hanno la cuticola (strato con prevalente funzione protettiva) e pertanto gli inquinanti possono quindi penetrare inalterati all interno delle cellule fungine e algali; i licheni hanno un lento tasso di accrescimento e scarsa capacità di riparare rapidamente ad eventuali danni; durante i periodi con più umidità i licheni aumentano la loro attività metabolica; i licheni continuano a metabolizzare a basse temperature, per questo possono anche subire danni durante i periodi invernali; le influenze esterne (come l inquinamento atmosferico) possono gravemente danneggiare la fragile associazione simbiotica che li caratterizza. Le alterazioni indotte dall inquinamento atmosferico sui licheni epifiti, si possono manifestare a tre differenti livelli: fisiologico, con generale depressione della fotosintesi e della respirazione cellulare (per danneggiamento della clorofilla, nonché un evidente riduzione della fertilità). In situazioni di inquinamento particolarmente accentuato è frequente osservare anche la modificazione della permeabilità agli ioni delle membrane cellulari, accompagnata da una riduzione della 200

204 fissazione del C 14 durante il processo fotosintetico. Studi ecologici in campo e ricerche di laboratorio hanno dimostrato che l anidride solforosa è tra gli inquinanti più dannosi per i licheni. La diversa sensibilità delle specie licheniche all anidride solforosa è imputabile a diversi fattori: superficie disponibile per gli scambi gassosi, velocità di idratazione e idrorepellenza del tallo, attività metaboliche, ph e capacità tamponante del substrato; morfologico, con evidente scolorimento e modificazione della forma del tallo. In generale, avvicinandosi alle sorgenti inquinanti, si assiste ad un progressivo peggioramento delle condizioni di salute del lichene; ecologico, con generale diminuzione della copertura di specie e alterazione della comunità lichenica. In zone densamente antropizzate si assiste spesso ad una modificazione della flora lichenica locale legata: alla riduzione del numero totale di specie; alla diminuzione del numero di individui appartenenti a ciascuna specie. Mentre le alterazioni morfologiche e fisiologiche sono difficilmente quantificabili e spesso di difficile interpretazione, le variazioni ecologiche permettono di tradurre le risposte dei licheni in valori numerici, riferibili ai diversi livelli di inquinamento atmosferico. Il sistema di campionamento dell indagine sulla Biodiversità Lichenica (BL) è basato su una selezione del campione oggettiva, documentata, riproducibile e coerente con gli scopi dell indagine. La distribuzione spaziale del campione e le sue dimensioni tengono comunque conto delle esigenze connesse al mappaggio e della variabilità dei dati. La popolazione di interesse dell indagine (target population) è costituita dai valori di BL di celle territoriali di forma e superficie definita. Il sistema di campionamento si basa su un insieme di Unità di Campionamento Primarie (UCP), costituite da un campione del totale delle celle territoriali costituenti la popolazione di interesse, e di Unità di Campionamento Secondarie (UCS), da selezionare all interno delle UCP. UCP ed UCS sono quindi porzioni di territorio con superficie e forma definite all interno delle quali, seguendo procedure standard, vanno individuati gli alberi su cui eseguire il rilevamento della Biodiversità Lichenica. UCP ed UCS hanno lo scopo di assicurare l uniformità di selezione e l omogeneità della distribuzione del campione. La forma delle UCP è quadrata, le loro dimensioni variano, a seconda delle scale territoriali, da 1x1 km a 250x250 m. Gli alberi (forofiti) da campionare in ciascuna UCP, vengono selezionati all interno delle UCS individuate internamente alle UCP. La scelta dei forofiti (specie albero-substrato) viene effettuata dopo una esplorazione preliminare dell area di studio, per appurare la frequenza/distribuzione di alberi idonei. Le specie di albero adatti per l indagine si ripartiscono in due gruppi, distinti dal ph della scorza e da altri parametri, quali la ritenzione idrica, la durezza, il tipo di scorza ecc. Preferibilmente, va utilizzata una sola specie d albero. Quando questo non sia possibile, si può ricorrere ad altre specie nell ambito dello stesso gruppo. Gli alberi devono avere le seguenti caratteristiche: 1. inclinazione del tronco non superiore ai 10, per evitare effetti dovuti all eccessiva eutrofizzazione di superfici molto inclinate; 2. circonferenza minima di 60 cm, per evitare situazioni con flora lichenica pioniera; 3. assenza di fenomeni evidenti di disturbo (verniciature, gravi malattie della pianta etc.). Le aree forestali sono campionabili, escludendo però alberi in vegetazione boschiva chiusa, scegliendo alberi siti in radure, margini di formazioni forestali e margini di strade all interno delle stesse cercando di salvaguardare una distanza di 10 m tra tronchi adiacenti. Il reticolo di campionamento è costituito da quattro subunità, ciascuna formata da una serie lineare di cinque quadrati di 10x10 cm,che devono essere disposte verticalmente sul tronco. La parte inferiore di ciascuna unità deve essere disposta ad un metro dalla superficie del suolo. In aree particolarmente aride, e specialmente nei centri urbani, la copertura lichenica è spesso ristretta alla base degli alberi (maggiore umidità dovuta all evaporazione dal suolo). In questi casi il rilevamento è permesso ad altezze sul tronco minori di 100 cm. Questi dati, tuttavia non possono venire elaborati assieme a quelli previsti al punto precedente, ma vanno utilizzati separatamente, nelle forme ritenute più convenienti, per definire ulteriori zonazioni dell area di studio. I quattro elementi della griglia devono essere posizionati in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Una rotazione di 20 in senso orario è ammessa per evitare parti del tronco non idonee ad essere campionate (vedi oltre). Nel posizionare i quattro elementi della griglia vanno 201

205 evitate, anche se con forte copertura lichenica: parti del tronco danneggiate o decorticate; parti con presenza di evidenti nodosità; parti corrispondenti alle fasce di scolo con periodico scorrimento di acqua piovana; parti con copertura di briofite superiore al 25% (eventuali licheni muscicoli vanno comunque considerati nel calcolo della biodiversità); Durante le indagini si rilevano tutte le specie licheniche (inclusi i licheni crostosi sterili) presenti all interno di ciascuna unità e la loro frequenza, calcolata come numero di quadrati in cui ogni specie è presente (i valori di frequenza di ciascuna specie variano quindi tra 0 e 5); se lo stesso individuo di una specie è presente in più di un quadrato, la sua frequenza è pari al numero di quadrati in cui è presente. Per ogni specie vengono inoltre annotati eventuali segni di evidente danneggiamento dei talli (decolorazione, necrosi, etc.). Il valore di biodiversità lichenica relativo all albero campionato (BLs) si ottiene facendo la somma delle frequenze rilevate per ciascuna subunità. Per ciascuna unità di campionamento (quadrato di 1km di lato) vanno rilevati da un minimo di 3 ad un massimo di 12 alberi. L elaborazione dei dati dell indagine sulla BL ha gli scopi di fornire i valori per i descrittori statistici (medie, mediane, deviazione standard, errori connessi al campionamento) e di permettere la mappatura. La cartografia può essere realizzata seguendo due diverse procedure: - La griglia di riferimento viene riportata sulla carta: il valore di BL della stazione (UCP) viene ricondotto ad una classe di qualità a cui corrisponde un colore riportato sulla carta. - Può essere utilizzato un programma di mappatura automatica. In questo caso vengono effettuate interpolazioni tra valori contigui. E necessario fare particolare attenzione all algoritmo utilizzato poiché aree morfologicamente differenti, o a differente densità di campionamenti, non possono essere trattate con il medesimo algoritmo. I valori di BLs ottenuti sono interpretati attraverso scale di naturalità/alterazione dell aria diverse per le quattro regioni biogeografiche in cui è stato suddiviso il territorio italiano. Ad ogni classe di valori corrisponde un espressione verbale ed un colore che ne permette la rappresentazione cartografica. L individuazione delle principali comunità licheniche di un area di studio fornisce infine utili informazioni sulle condizioni ecologiche prevalenti. 202

206 Monitoraggio degli uccelli FONTE: ASSOCIAZIONE FAUNAVIVA (2008). PRONTUARIO DEL MIGLIORE TECNICO. PROGETTO GALATEO. Il censimento delle specie o degli habitat presenti in un Area protetta o i rilevamenti effettuati ad hoc per valutarne consistenze e stato di conservazione consentono di delineare un quadro della situazione. Nel momento in cui si effettuano interventi di qualunque tipo (ad esempio di gestione, sia essa ordinaria o straordinaria), si agisce direttamente sugli equilibri in atto nell area e risulta dunque fondamentale avere uno strumento per verificare l andamento, l efficacia o l impatto di tali azioni. Per questa ragione, come verrà esposto nei paragrafi successivi, in ciascuna fase di un progetto o di un intervento in un Area protetta dovrebbe essere predisposto un programma di monitoraggio. Nel suo significato più ampio, la parola monitoraggio può essere definita come una qualsiasi registrazione di dati - ad esempio relativi al numero di Uccelli o alla loro distribuzione - che fornisca una banca con la quale possano essere confrontati i dati relativi a successive registrazioni (Marchant et al., 1990). Una definizione più rigorosa di monitoraggio, offerta dall NCC (Nature Conservancy Council), sviluppa il concetto di misurazione rispetto ad uno standard, specificando la necessità della puntualizzazione delle finalità del progetto prima dell effettuazione dello stesso. In un programma di monitoraggio è essenziale che i rilevamenti siano ripetuti nel tempo, che siano standardizzati in modo da poter fornire risultati confrontabili e che le aree di studio e i metodi utilizzati per l indagine siano chiaramente definiti a priori. La caratteristica generale dei programmi di monitoraggio così definiti dovrebbe essere il calcolo di indici che esprimono cambiamenti numerici nelle popolazioni; questi consistono in scale numeriche che permettono il confronto della dimensione di ciascuna popolazione con un valore di base. I confronti vengono effettuati tra conteggi ripetuti in periodi successivi. Che cosa è opportuno sottoporre a monitoraggio? La strada della raccolta di dati su tutte le specie e habitat presenti in un area non è percorribile, per ovvie ragioni di efficienza (tempo, personale, costi ecc.). Nel monitoraggio biologico è dunque preferibile concentrare gli sforzi su un indicatore. Come efficacemente formulato da Bogliani et al. (2003), l importanza assunta recentemente dall utilizzo di indicatori per monitorare l ambiente è legata alla possibilità di ridurre in modo significativo lo sforzo di campionamento: la scelta di un parametro come indicatore prevede che questo sia utile per descrivere tutte le caratteristiche ambientali ed evita la necessità di ricorrere ad altre misure. Una sola rilevazione biologica può quindi descrivere in modo sintetico ed efficace numerosissimi parametri ambientali. Per poter essere utilizzato quale indicatore un taxon deve possedere qualità ben definite, riassumibili nelle seguenti caratteristiche (Bogliani et al., 2003): abbondanza di informazioni di base (sia come inquadramento tassonomico sia come ricca letteratura bibliografica che ne spieghi biologia ed ecologia); facilità di rilevamento; ampia distribuzione geografica; sufficiente grado di specializzazione. Tra le comunità di animali selvatici, gli Uccelli sono ottimi indicatori ecologici, in quanto presentano notevoli vantaggi dal punto di vista della rilevabilità: rappresentano un taxon ricco di specie e di facile contattabilità e si ritrovano in tutti gli ambienti a diversi livelli della piramide ecologica; risultano quindi essere non solo un oggetto di protezione, ma anche un valido strumento di misura dello stato del territorio, con applicazioni pratiche che vanno dalla pianificazione paesistica alla valutazione di impatto ambientale (ad esempio: Bogliani, 1989; Massa e Fornasari, 1989; Koskimies e Väisänen, 1990). Gli Uccelli sono stati infatti più volte utilizzati come indicatori ecologici per valutazioni su larga 203

207 scala della qualità ambientale e per la pianificazione dell uso del territorio (ad esempio: Graber e Graber, 1976; Svensson, 1977; Haila, 1985). Un ulteriore prerogativa che li rende particolarmente adatti ad essere usati per questo scopo è l elevata mobilità che consente loro di rispondere in modo repentino a cambiamenti ambientali significativi. L importanza del monitoraggio e degli indicatori (in particolare per quanto riguarda l avifauna) è sottolineata anche da un punto di vista normativo, essendo elencata quale indicazione, o addirittura quale obbligo, in linee guida e decreti sia a scala nazionale che regionale. Di seguito si propone una veloce panoramica di citazioni dei suddetti documenti e normative, riguardanti in particolare gli argomenti di questo capitolo; sebbene tali indicazioni concernano per lo più oggetti di tutela da parte delle direttive europee e siano dunque concentrati sulla Rete Natura 2000, emerge comunque con evidenza la necessità di azioni di monitoraggio di specie e habitat, estensibili anche ad altre tipologie di Aree protette che non rientrano (o rientrano solo parzialmente) nella Rete. A questo proposito, nel Manuale per la Gestione dei Siti Natura 2000 (edito dal Ministero dell Ambiente e della Tutela del Territorio vengono definite le principali categorie di indicatori da monitorare, in grado di fornire informazioni sullo stato e sulle prospettive di conservazione degli habitat e delle specie vegetali ed animali presenti nei siti: Gli indicatori suggeriti possono essere assunti come parametri da analizzare, fornendo così una serie di elementi utilizzabili a vari livelli, sia per la definizione di strumenti di gestione territoriale, sia per le procedure di valutazione previste dalla normativa vigente, sia per il monitoraggio dello stato di conservazione degli habitat e delle specie. ( ) È generalmente accettata la valenza indicatrice di qualità ambientale di certi gruppi come, ad esempio, gli Uccelli, quando essi sono considerati come comunità specifiche, misurabili con propri parametri ecologici (ricchezza, diversità trofica, ecc.). ( ) Per questo scopo, le cenosi che più si prestano sono quelle relative agli Uccelli nidificanti, anche per il largo sviluppo di metodologie di censimento standardizzate. Citando inoltre il D.P.R. 357/97 Regolamento di attuazione della Direttiva 92/43/CEE - conservazione habitat, flora e fauna (Articolo 7), il documento ricorda che sono le Regioni e le Province Autonome a disciplinare l adozione di misure idonee a garantire la salvaguardia e il monitoraggio dello stato di conservazione delle specie e degli habitat di interesse comunitario. A scala regionale, la già citata D.G.R. della Regione Lombardia n. 7/4345 del 20 aprile 2001 (Programma regionale per gli interventi di conservazione e gestione della fauna nelle Aree protette) recita, a proposito degli interventi di monitoraggio: Le attività di monitoraggio sono finalizzate alle specie inserite negli allegati delle direttive comunitarie citate, alle specie oggetto di particolari interventi (quali interventi di reintroduzione, sia con progetti nazionali che internazionali) ed alle specie per le quali si renda necessario un approfondimento delle conoscenze o una loro verifica. ( ) Gli interventi di monitoraggio sono consigliati per tutte le specie considerate prioritarie dalle direttive comunitarie, nonché per tutte le specie con particolari problemi di conservazione, per la quasi totalità degli invertebrati considerati (in particolare molluschi e artropodi) e per i gruppi di specie interessati da monitoraggi già in atto. Sempre in Regione Lombardia, sebbene in riferimento specifico alle sole aree Natura 2000, in una delibera di recente approvazione (D.G.R. n. 7/6648 del 20 febbraio 2008) viene elencato come obbligo nelle Zone a Protezione Speciale che insistono sul territorio lombardo il monitoraggio delle popolazioni delle specie ornitiche protette dalla Direttiva 79/409/CEE e in particolare quelle dell'allegato I della medesima Direttiva o comunque a priorità di conservazione. Nei seguenti paragrafi verranno trattate l importanza del monitoraggio in ciascuna fase di un intervento o di un progetto che riguardi un Area protetta e le principali metodologie di censimento, archiviazione ed utilizzo dei dati raccolti. 204

208 Importanza del monitoraggio ornitologico per la progettazione Come già sottolineato, il monitoraggio costituisce uno strumento fondamentale per la valutazione degli interventi nella progettazione, durante la realizzazione e nella fase successiva. Le modalità di esecuzione delle azioni di monitoraggio devono necessariamente essere modellate sulla base degli scopi prefissi, del tipo di progetto e delle fasi progettuali. In generale, pur adattandosi e modificandosi sulla base di differenti esigenze e scopi, il monitoraggio deve comunque essere organizzato in fasi ben definite (Sartori, 1998): precisa definizione dell obiettivo/i; selezione degli indicatori chiave e del parametro che si vuole valutare sulla base degli obiettivi prefissati, con conseguente definizione di una scala di valori di riferimento; selezione di un approccio praticabile e della metodologia ottimale; disegno dello schema di campionamento ottimale; raccolta e interpretazione dei dati, determinazione del loro valore predittivo e definizione di una soglia limite oltre la quale prevedere eventuali decisioni operative di intervento in corso di monitoraggio; valutazione finale dell azione e formulazione di eventuali proposte operative per migliorare la situazione. Come viene raccomandato e sottolineato in molti testi su monitoraggi e indicatori (si veda ad esempio Hellawell, 1991), la durata delle osservazioni o dei campionamenti deve essere comunque sufficientemente estesa per registrare le fluttuazioni nel tempo del valore dell indicatore; si tratta di un fattore importante di cui tenere debito conto durante il disegno del Piano di monitoraggio, soprattutto nella fase post-progettuale. In particolare, il monitoraggio ornitologico risulta ottimale in tutte le fasi di progettazione: gli Uccelli risultano infatti, non solo utili indicatori dello stato dell ambiente, ma anche specie chiave per l educazione ecologica del pubblico (Bibby et al., 2000). L Executive Committee dell EBCC (European Bird Census Council) ha così sintetizzato gli scopi di un monitoraggio ideale dell avifauna (1997): individuare le variazioni nel tempo delle popolazioni e della loro distribuzione; contribuire alla diagnosi delle cause delle variazioni rilevate; fornire utili informazioni a chi governa e gestisce il territorio, in modo da prendere iniziative atte a invertire i cambiamenti indesiderati; continuare nel tempo, in modo da monitorare anche i risultati delle iniziative intraprese. Allo stato attuale delle conoscenze, in molte Aree protette è stata raggiunta una buona consapevolezza delle consistenze di popolazione e/o della distribuzione dell avifauna; queste informazioni di base rendono il monitoraggio ornitologico ancora più importante in quanto diventa una concreta possibilità di identificare futuri cambiamenti in termini di distribuzione, abbondanza e diversità (Bibby et al., 2000). Una volta ottenute stime di base su distribuzione e abbondanza delle specie, infatti, il monitoraggio consente di identificare tali cambiamenti in relazione a caratteristiche ambientali, quali l habitat o l uso del suolo, o a minacce dirette. Le tecniche di censimento dell avifauna sono attualmente anche largamente impiegate nelle Valutazioni di Impatto Ambientale e nell identificazione del successo o del fallimento di azioni di conservazione e gestione in Aree protette in tutta Europa (Bibby et al., 2000). La pianificazione del monitoraggio Il primo passo in ogni monitoraggio ambientale, e dunque anche ornitologico, deve 205

209 necessariamente includere una chiara definizione degli obiettivi del progetto di monitoraggio e di come questi devono essere raggiunti. Un individuazione degli scopi non ben definita e l utilizzo di procedure di pianificazione non corrette può comportare il fallimento nella realizzazione del progetto. La fase di pianificazione del monitoraggio dovrebbe portare a specificare non solo quali informazioni si vogliono acquisire, ma anche la loro forma e l utilizzo che se ne intende fare. In questo senso, i risultati di un monitoraggio che potrebbero essere usati da tecnici o faunisti saranno necessariamente differenti da quelli che potrebbero essere utilizzati da politici o da pianificatori (Graves e Dittberner, 1986). La pianificazione degli interventi dovrebbe anche prendere in considerazione la suddivisione dell intero progetto nelle sue fasi, con scadenze precise e una chiara definizione delle responsabilità per ciascuna fase. Durante questa fase, dunque, deve essere innanzitutto individuato uno staff adeguato sulla base delle competenze di ogni componente ed eventualmente delle necessità di ciascuna fase del progetto o intervento. Anche l intensità o la risoluzione dello studio devono essere ben definite prima dell inizio del monitoraggio. In altre parole, è opportuno che chi disegna il progetto di monitoraggio si chieda quanto accurato deve essere lo studio per fornire le informazioni richieste in una forma largamente utilizzabile. Come già sottolineato, si tratta in ogni caso di decisioni che devono basarsi principalmente sull uso che si intende successivamente fare dei dati raccolti e sulla disponibilità di risorse nella loro acquisizione. I passi principali nella pianificazione di un corretto progetto di monitoraggio sono ben riassunti da Graves e Dittberner (1986), che tengono conto di tutte la fasi temporali di realizzazione di un intervento: 1. individuazione dell obiettivo/degli obiettivi: si tratta di un passo chiave per il successo del monitoraggio. Solo una volta individuati gli obiettivi è possibile specificare quali informazioni si intendano raccogliere e il metodo ottimale per farlo; 2. analisi della letteratura esistente sull area in esame: questa fase consente di evitare la ridondanza di dati e fornisce informazioni utili per il disegno del monitoraggio, consentendo un risparmio di tempo e risorse finanziarie; 3. compilazione di una lista dettagliata delle specie presenti: in questo modo è possibile caratterizzare l area da un punto di vista ecologico e costituire una base con la quale le future informazioni raccolte possano essere comparate; 4. individuazione di misurazioni di base valide statisticamente: in altri termini, si tratta di stabilire la migliore strategia di campionamento tenendo conto di fattori, quali accuratezza, efficienza e disponibilità di metodi statistici per l analisi dei dati (si veda anche le spiegazioni sui criteri di scelta ); 5. sviluppo preliminare del Piano di monitoraggio (fase pre-intervento): dopo che l area è stata caratterizzata ecologicamente, è necessario disegnare un Piano per monitorarla nel corso di realizzazione dell intervento. In questa fase è importante considerare le caratteristiche delle variabili che si intendono misurare, gli aspetti temporali e spaziali del regime di campionamento e i metodi a disposizione per i censimenti; 6. monitoraggio durante la realizzazione di un intervento: in questa fase di raccolta dei dati in un progetto di monitoraggio la situazione delle specie nell area di studio sono determinate ad intervalli regolari, in modo da valutare in tempo reale le risposte alle azioni intraprese; in questa fase vengono impiegate anche le informazioni raccolte in quelle precedenti e si producono informazioni per le analisi e le decisioni delle fasi successive; 7. monitoraggio dell area al termine dell intervento: si tratta sostanzialmente della continuazione della fase precedente ed è un passo che fornisce informazioni sul tasso e sulla capacità dell area (o delle specie) di recuperare dopo una perturbazione o di dare indicazioni sugli effetti a lungo termine, ad esempio, di una gestione di tipo 206

210 continuato. Una pianificazione del monitoraggio ben fatta in ciascuna di queste fasi consente di effettuare un monitoraggio in maniera organizzata e ben scandita temporalmente. Come in ogni processo sequenziale, la qualità della fase successiva dipende strettamente dall adeguatezza dei risultati di quella precedente. Il monitoraggio in fase pre-intervento L importanza degli studi di base, e nel caso specifico di un monitoraggio ornitologico precedente alla fase operativa, è abbondantemente sottolineata in letteratura (si veda ad esempio Perrins et al., 1991, Fox et al., 2006). Lo scopo di questo tipo di indagini è principalmente quello di raccogliere sufficienti informazioni standardizzate per ottenere un quadro più preciso possibile della situazione iniziale, non solo per stendere progetti compatibili con le specie (e di conseguenza gli habitat) presenti e le loro esigenze ma anche per ottenere informazioni di base con cui effettuare confronti durante le fasi operative o al termine del progetto/intervento. È importante sottolineare che questa azione è molto diversa da una semplice compilazione di un elenco di specie presenti nell area di indagine, sia esso basato su informazioni rinvenute in bibliografia o su dati raccolti sul campo ad hoc la realizzazione dell intervento. Il monitoraggio prevede infatti una raccolta di dati di tipo quantitativo, distributivo o, meglio, di entrambi, che fornisce il quadro di base da cui partire per effettuare le valutazioni sulle eventuali variazioni intercorse durante le azioni di realizzazione. L elenco è comunque di fondamentale rilevanza, così come anche la raccolta di tutte le informazioni disponibili in letteratura, in quanto consente a chi deve redigere il progetto di intervento di avere in mano degli elementi per valutare qual è la migliore metodologia di rilevamento e qual è il disegno ottimale di campionamento (che devono essere decisi in questa fase e rimanere pressoché inalterati nel monitoraggio al termine dell intervento, per poter effettuare dei confronti). Assume dunque fondamentale importanza il legame tra un adeguato studio di base e un altrettanto adeguato monitoraggio post-intervento; il periodo iniziale di indagine dovrebbe avere una durata tale da consentire di individuare e distinguere i diversi gradi di variazione naturale delle popolazioni prima delle azioni di progetto e, soprattutto, confrontabile con la durata similare del monitoraggio finale (Fox et al., 2006). In letteratura viene consigliato un periodo minimo di 2 anni per gli studi di base (Fox et al., 2006, Hüppop et al., 2002). Pur essendo una condizione ottimale, si tratta però di un impegno notevole e dispendioso, che va certamente calibrato in fase di disegno di monitoraggio sulla base delle risorse umane ed economiche utilizzabili, nonché sull eventuale disponibilità di informazioni di tipo quantitativo già raccolte nell area in esame. Il monitoraggio in fase di realizzazione dell intervento La fondamentale utilità di un monitoraggio in fase operativa, così come finora definito e descritto, consiste nella maggiore possibilità rispetto ad altri strumenti conoscitivi di verificarne effettivamente gli effetti. Sulla base di tali risultati è quindi possibile calibrare e adattare nel tempo le azioni di realizzazione dell intervento, anche in corso d opera. In questa fase è comunque fondamentale prevedere (e attuare) un meccanismo di feedback (retroazione), che consenta di tenere aperta la strada a possibili aggiustamenti delle azioni progettuali direttamente in fase operativa, nel caso si presentino situazioni che li richiedano. Si tratta dunque sostanzialmente di verifiche eseguite durante lo svolgimento del lavoro, che non solo controllano il corretto svolgimento delle operazioni, ma consentono anche eventuali cambiamenti, nel caso emergano fattori non considerati nella fase precedente alla realizzazione dell intervento o si verifichino risposte differenti dall atteso. In questo caso la decisione relativa alla durata del monitoraggio non comporta problemi, in 207

211 quanto per definizione deve essere pari a quella delle azioni di realizzazione dell intrevento. Naturalmente la metodologia e la strategia di campionamento devono essere le stesse utilizzate per la raccolta dei dati antecedenti l inizio degli interventi, in modo da poter effettuare velocemente confronti con la situazione ante-operam ed eventualmente individuare possibili adattamenti delle azioni progettuali sulla base dei risultati. Il monitoraggio in fase post-intervento Al termine della realizzazione dell intervento, l esecuzione di un monitoraggio, a medio o a lungo termine, consente di verificare le risposte delle specie (e, indirettamente, dei loro habitat) alle eventuali perturbazioni introdotte dagli interventi effettuati. In questo modo è possibile valutare sia gli effetti diretti delle azioni intraprese (e concluse) sia l efficienza delle misure cautelative messe in atto durante le fasi progettuali. I monitoraggi vanno eseguiti anche al termine di interventi mirati alla riqualificazione ambientale o alla reintroduzione delle specie. Le informazioni così ottenute concorrono a migliorare le conoscenze di base sui comportamenti delle popolazioni locali in relazione ai cambiamenti specifici del territorio in esame, in modo da fornire anche indicazioni per eventuali progetti o interventi analoghi che verranno effettuati in futuro nelle stesse aree o in altre zone con caratteristiche analoghe. L utilità di questo tipo di monitoraggio per la verifica delle attività si conferma anche nel caso di interventi di gestione ordinaria del territorio, in quanto il suo svolgimento permette la raccolta di informazioni su un intervallo di tempo prolungato. Uno degli scopi del monitoraggio eseguito al termine dei lavori è dunque l aumento delle prestazioni predittive, attraverso l incremento delle capacità di formulare modelli sugli effetti delle perturbazioni indotte. Sebbene inizialmente economicamente costose, le azioni di monitoraggio post-progettuale consentono infatti di migliorare le capacità di formulare previsioni, attraverso il confronto tra gli effetti previsti e quelli osservati (Fox et al., 2006). La durata di questo tipo di monitoraggi varia necessariamente da caso a caso, sulla base delle caratteristiche dell area, delle informazioni derivanti dalle fasi precedenti e delle risorse disponibili. In ogni caso, sarebbe opportuno prevedere la durata già in fase di disegno progettuale, al fine di includere il monitoraggio post-intervento nel budget complessivo di un progetto, mantenendo comunque la possibilità di variazioni determinate dai risultati ottenuti durante gli antecedenti monitoraggi. Pur tenendo conto delle possibili limitazioni (disponibilità delle risorse), quale regola generale nel disegno progettuale dell intervento, è importante assicurarsi che il monitoraggio (sia preche post-intervento) abbia una durata sufficiente ad escludere la variabilità naturale delle popolazioni, fattore che può mascherare proprio quegli effetti che lo studio si propone di indagare durante la fase operativa. Inoltre, mediante un monitoraggio sequenziale postintervento che copre una serie di anni è possibile introdurre l elemento temporale nella modellizzazione per l analisi degli effetti: in questo modo si possono valutare le variazioni interannuali delle popolazioni esaminate, nonché il punto in cui interviene l acclimatazione all eventuale disturbo (Fox et al., 2006). Al fine di distinguere gli effetti delle perturbazioni dalle normali variazioni delle popolazioni naturali, in letteratura viene consigliata una durata minima di 3-5 anni per il monitoraggio post-intervento (Fox et al., 2006, Hüppop et al., 2002). Sebbene si tratti di requisiti scientificamente fondati, è comunque un ipotesi di lavoro dispendiosa dal punto di vista delle risorse; appare dunque fondamentale in fase progettuale dell intervento prevedere una durata ottimale del monitoraggio, che includa più anni di rilevamento, per non comprometterne l utilità, ma che sia comunque basata sulle reali condizioni di lavoro e tarata sull entità del progetto. Tecniche di censimento dell avifauna I censimenti possono essere definiti come gli strumenti che consentono la raccolta dei dati su 208

212 presenza, distribuzione e abbondanza della fauna. Questi rilevamenti sono tanto più importanti e informativi quanto più rientrano in progetti con finalità precise, come l individuazione di aree di interesse conservazionistico, il monitoraggio delle popolazioni di animali oppure la determinazione dello stato dell ambiente (Sartori, 1998). Indipendentemente dalla metodologia scelta, alla base di tutte le tipologie di rilevamento vi è la raccolta di dati grezzi come, ad esempio, il numero degli individui per unità di superficie o per chilometro percorso o per unità di tempo impiegato. Indipendentemente dal disegno progettuale e dal tipo di informazioni che si intende raccogliere, è ormai prassi comune e scientificamente consolidata il rilevamento di dati georeferenziati, ovvero che contengono informazioni sulla loro localizzazione geografica (coordinate). Questi dati vengono in un secondo momento archiviati ed elaborati (ad esempio su base geografica) per ottenere informazioni più articolate, da poter utilizzare in tutta l area in esame per gli scopi del progetto/intervento. Dal momento che le risorse umane ed economiche a disposizione sono limitate e che non è pensabile ottenere un quadro esaustivo della fauna di un area, tutte le metodologie rappresentano di fatto un compromesso tra accuratezza dei risultati ed efficienza di lavoro (Sartori, 1998). Il fattore importante diventa dunque non la mancanza di errori nella raccolta dei dati ma la loro standardizzazione, in modo tale da poter ripetere e confrontare i dati raccolti in diversi anni. La validità dei risultati ottenuti dipende evidentemente: a) dalla rappresentatività del campionamento; b) dalla precisione del metodo di censimento (Sartori, 1998). Il campionamento Se vogliamo ottenere misure prive di errori statistici dell abbondanza delle specie di Uccelli (ad esempio una stima della dimensione di popolazione assoluta o relativa) sarà necessario contare gli individui in un numero di campioni che sia rappresentativo dell area di studio. Questo significa porsi due domande significative: quante unità dovranno essere visitate? E, questione cruciale, quali? Più grande è la dimensione del campione (numero di aree e di conseguenza numero di Uccelli contati) più precise saranno le stime (Gregory et al., 2004). Tale dimensione dipende perciò largamente dall affidabilità che vogliamo le nostre stime abbiano. Esistono metodi statistici, che richiedono la raccolta di dati pilota, per calcolare la dimensione del campione necessaria per raggiungere livelli predeterminati di precisione (Snedecor e Cochran, 1980). Ma nel mondo reale, comunque, la dimensione del campione è piuttosto influenzata dalle risorse umane e finanziarie a disposizione; poiché in genere queste sono scarse, si corre raramente il rischio di avere un campione più grande del necessario. Al contrario, sarà più frequente chiedersi se il campione a disposizione sia sufficiente al raggiungimento degli obiettivi del progetto. La scelta del disegno di campionamento implica la decisione del numero e della distribuzione dei campioni da rilevare al fine di per poterli poi usare per calcolare la densità di popolazione estesa a tutta la zona di interesse. A tale scopo il numero e la distribuzione dei campioni selezionati devono necessariamente essere rappresentativo dell intero territorio di studio (Sartori, 1998). Tra le tecniche di campionamento più usate si ricorda (Sartori, 1998): il campionamento casuale semplice: tra le n unità che compongono la popolazione statistica se ne estraggono a sorte m in modo che ciascuna unità abbia la stessa probabilità di venire selezionata. Ad esempio, su 100 tavolette di una mappa dell Istituto Geografico Militare se ne estraggono a sorte 10 per decidere quali territori esplorare; il campionamento sistematico: le unità di campionamento non vengono estratte a sorte ma risultano distribuite regolarmente all interno dell area. Nello stesso esempio sopra citato, le 10 tavolette da considerare sarebbero scelte tra le 100 esistenti in ragione di una ogni 10, con un ordine scelto in precedenza a tavolino; 209

213 il campionamento stratificato: prevede la suddivisione del campione in alcune sottopopolazioni omogenee in ciascuna delle quali si effettua poi un campionamento casuale. Per esempio, se tra le 100 tavolette degli esempi precedenti ve ne fossero 20 di montagna, 30 di collina e 50 di pianura, un campionamento stratificato dovrebbe prevedere di scegliere casualmente due tavolette tra le 20 di montagna, tre tra le 30 di collina e cinque tra le 50 di pianura. Ciascuno dei tipi di campionamento sopra descritti possiede proprietà differenti (analizzate nel paragrafo relativo alle metodologie) e la scelta di quello ottimale per ciascun intervento o progetto dipende non solo dalla conoscenza di tali caratteristiche, ma anche della scala a cui si intende operare e dagli obiettivi delle azioni programmate. Secondo Gregory et al. (2004), insieme alla strategia di campionamento è fondamentale la scelta della dimensione dell unità di campionamento, ovvero della più piccola porzione dell intera area di studio in cui effettuare i conteggi degli Uccelli. La scelta più adeguata (e quella più ampiamente utilizzata in tutti i monitoraggi) è una griglia quadrata (di lato variabile, a seconda delle dimensioni dell area di studio, ma regolare), i cui confini e localizzazione precisa devono essere definiti sulla base di mappe geografiche. A questo proposito, al di là dei sistemi di riferimento di coordinate che si intende utilizzare, l uso di griglie e reticoli già esistenti sulle mappe (ad esempio UTM) semplifica enormemente questa fase di lavoro preparatorio. Una volta che l area in esame è stata suddivisa in un certo numero di quadrati, un campione di questi è scelto per essere censito sulla base del disegno di campionamento previsto. In qualche caso, come ad esempio nel monitoraggio di Uccelli che vivono in frammenti forestali circondati da ambienti agricoli, l approccio per griglia non è pratico; l unità di campionamento più sensata diventa allora la singola stazione di campionamento che, contrariamente alla griglia, può avere dimensione variabile. Le metodologie Per stimare l abbondanza delle singole specie, nel caso di specie che hanno una presenza consistente sul territorio, esistono due tendenze nell utilizzo delle metodologie: da un lato si cerca di ottenere la maggiore precisione possibile, applicando ad esempio il cosiddetto metodo del mappaggio (metodo definito come assoluto, in quanto tende ad essere esaustivo per l area esaminata), dall altro si vuole arrivare ad una conoscenza ragionevolmente accurata dei rapporti tra le diverse specie, applicando tecniche campionarie (metodi relativi), poco dispendiose, in modo da estendere più possibile l area di indagine. Entrambe le metodologie sono raccolte nella definizione complessiva di metodi quantitativi, e consentono di raccogliere dati in maniera standardizzata e confrontabile in zone diverse o in momenti diversi del ciclo annuale. Con le tecniche del mappaggio, utilizzate nella sola stagione riproduttiva, si mira ad ottenere la quantificazione precisa del numero di territori di nidificazione presenti in un area di superficie nota, per alcune specie di particolare interesse o per tutte le specie rilevate (Anon., 1968; IBCC, 1969). Dal punto di vista pratico, il metodo consiste nel percorrere lentamente l area di studio osservando ed ascoltando gli Uccelli, nonché localizzando la posizione e l attività di ciascun individuo su una mappa. Successivamente, nella fase di elaborazione dei dati, tutte le osservazioni vengono trascritte su mappe riassuntive specifiche, delimitando approssimativamente i territori riproduttivi. Uno dei limiti di questa metodologia è la soggettività di questa fase di lavoro. Il metodo è applicabile nel caso di Uccelli stabilmente residenti in un determinato territorio e adatto al censimento di quelle specie (non coloniali) che mostrano atteggiamenti territoriali, come l attività canora. Il mappaggio è alla base dei primi programmi di monitoraggio avviati sugli Uccelli (Williamson, 1964, Williamson e Bannet, 1976). Nei metodi relativi vengono incluse le tecniche dei transetti lineari e dei campionamenti puntiformi o punti d ascolto; si tratta di procedure utilizzate per ricavare informazioni sulla densità relativa delle singole specie, ovvero sui cambiamenti nell abbondanza (osservata) passando da un ambiente all altro o da un momento all altro (Ferry e Frochot, 1958; 210

214 Sammalisto, 1974; Blondel et al., 1981). Nei transetti la registrazione degli Uccelli (visti o sentiti) avviene in continuo lungo itinerari predeterminati, percorsi a velocità costante, in genere non superiore ai 2 km/h (il che limita il percorso a 6-8 km, tenendo conto dei ritmi di attività dell avifauna). Ogni transetto delineato richiede una o più visite; non esiste una standardizzazione a livello internazionale, dal momento che ogni ambiente richiede una tecnica particolare. I campionamenti puntiformi sono conteggi effettuati in stazioni puntiformi, distribuite sul territorio in base a obiettivi mirati di indagine sugli effetti delle caratteristiche ambientali oppure secondo criteri statistici più generali. Il rilevatore censirà tutti gli Uccelli visti e sentiti in ogni stazione in un determinato intervallo di tempo. Anche in questo caso non è possibile una stretta standardizzazione del metodo; il numero di visite per ogni stazione, la durata del rilevamento e la distanza tra i punti possono variare a seconda dell obiettivo dello studio. Con l accorgimento di registrare gli Uccelli osservati entro precisi limiti di distanza, questi due metodi forniscono anche indicazioni sulle densità assolute. Il campionamento puntiforme è la tecnica attualmente selezionata per lo sviluppo di nuovi programmi di monitoraggio a livello nazionale nei paesi europei (es. Szép e Gibbons, 1999). La tecnica offre al rilevatore un certo numero di vantaggi rispetto al metodo dei transetti, permettendogli di stabilire una precisa corrispondenza tra punto di rilevamento e habitat e di disporre di tempo e concentrazione maggiori per identificare gli Uccelli durante i momenti di rilevamento nelle varie stazioni. I punti d ascolto possono essere scelti in base alle variabili che si intendono misurare, oppure possono essere selezionati in modo randomizzato al fine di ottenere un campione rappresentativo dell area di studio. Nei casi descritti in letteratura la durata varia da un minimo di 3 minuti, come nel caso del BBS (Breeding Bird Survey, Robbins et al., 1986) ad un massimo di 20, come nel calcolo degli IPA (Indici Puntiformi di Abbondanza; Blondel et al., 1970). Un intervallo di tempo compreso tra i 5 e i 10 minuti è quello più frequentemente utilizzato, poiché il 50% circa degli Uccelli viene registrato nei primi 5 minuti di rilevamento e oltre il 70 % in un intervallo di 10 minuti (Fuller e Langslow, 1984; Massa et al., 1987). D altra parte, punti d ascolto di durata eccessiva possono portare ad un conteggio ripetuto degli stessi individui (Verner, 1985). Si può quindi ritenere che un intervallo di dieci minuti offra un campione rappresentativo dell avifauna presente in una singola stazione. Nello stesso modo, occorre che le stazioni di rilevamento siano adeguatamente distanziate al fine di evitare doppi conteggi (200 metri è la distanza minima calcolata per ambienti boschivi). Esistono in realtà quattro varianti classiche di punti d ascolto (Blondel et al., 1970; Reynolds et al., 1980): punti d ascolto a distanza illimitata: si registrano tutti gli Uccelli che è possibile individuare senza tenere conto della distanza dell osservatore; i dati che si ottengono sono soltanto indici di abbondanza. Non si può effettuare un confronto tra le abbondanze di specie diverse che vengono misurate su scale diverse (dal momento che ogni specie ha una propria variabilità intrinseca), ma si possono confrontare per una stessa specie le abbondanze in ambienti differenti, a condizione che il metodo sia standardizzato. In questo tipo di rilevamento i dati possono essere affetti da errori dovuti al fatto che specie più evidenti e che attirano maggiormente l attenzione possono essere sovrastimate. punti d ascolto a raggio fisso: il rilevatore traccia un cerchio di raggio definito con centro nella stazione di rilevamento e registra solamente gli Uccelli che sono individuati all interno di tale raggio. L area censita in questo modo è solitamente abbastanza ristretta (Hutto et al., 1986); punti d ascolto a raggio variabile: in questo caso viene misurata la distanza di ogni individuo dall osservatore al fine di calcolarne la densità. In ambienti chiusi, l utilizzo di questa variante è abbastanza problematico, in quanto risulta difficile stimare la distanza esatta di individui in canto senza poterli vedere (Reynolds et al., 1980; De Filippo et al., 1989); punti d ascolto circolari: in questa versione del metodo vengono stabilite due o più 211

215 bande concentriche cui riferire le osservazioni. La forma più comune prevede due fasce circolari: una interna con un raggio determinato e una esterna con raggio che va all infinito. In tale modo è possibile ottenere stime di densità facendo uso delle correzioni necessarie a compensare le diverse rilevabilità delle differenti specie di Uccelli. La versione originale del metodo predisposta da Blondel et al. (1981), prevede l esecuzione di due ripetizioni da eseguirsi nel periodo di massima attività canora delle specie residenti o migratrici a breve distanza (aprile-maggio) e in quello di massima attività canora delle specie migratrici a lunga distanza (maggio-giugno). Qualora si optasse per una sola sessione di rilevamento, il periodo più conveniente per i rilievi è ovviamente quello intermedio. La tecnica dei punti di ascolto è stata utilizzata anche nell ambito delle indagini ornitologiche del Progetto Galateo. Per quanto riguarda il monitoraggio delle specie rare o scarse, sono generalmente consigliati, a seconda della specie per cui si effettua il monitoraggio, conteggi alle colonie (si rileverà il numero di nidi occupati o degli individui), conteggi nelle aree conosciute di probabile nidificazione, nei roost o negli habitat a maggiore vocazionalità; negli ultimi due casi il monitoraggio avverrà preferibilmente mediante il metodo del mappaggio, in particolar modo se la specie trattata presenta atteggiamenti territoriali. È opportuno seguire le nidificazioni e valutare la dimensione esatta (non campionaria) delle popolazioni. Dunque per le specie con ecologia particolare, vi sono tecniche di censimento apposite, che si possono così riassumere (Gregory et al., 2004): conteggi alle colonie: valido per le specie che nidificano in colonie, che formano aggregazioni anche molto cospicue e i cui nidi si possono trovare su scogliere, sugli alberi, sul terreno o nei buchi di pareti sabbiose. Sulla base di ciò che si vuole contare (numero totale di individui presenti, numero di coppie nidificanti, numero di nidi apparentemente attivi, numero di buchi occupati) viene scelto il metodo di campionamento. Nel caso di gruppi molto grandi è necessario suddividere le colonie in sottogruppi per il conteggio (in questo caso è opportuno utilizzare le fotografie). Vi sono comunque alcuni problemi legati a questo metodo: la nidificazione delle diverse coppie può non essere sincrona (per cui in visite successive possono essere presenti coppie differenti); nella colonia possono essere presenti individui non riproduttivi oppure alcuni individui possono rimanere assenti dalla colonia per lunghi intervalli di tempo, per cui i conteggi possono essere falsati; i nidi abbandonati possono essere scambiati per ancora attivi (in questo caso è meglio contare i nidi occupati). Per ovviare ad alcuni di questi è preferibile ripetere i conteggi in momenti diversi. conteggi dei roost e degli stormi: si tratta del conteggio di grandi raggruppamenti di individui al di fuori delle colonie riproduttive. Gruppi inferiori ai 500 individui possono essere censiti in maniera relativamente facile; per gruppi più grandi è opportuno utilizzare strumenti fotografici o metodi per la stima; come dimostrato da alcuni studi, infatti, in genere un osservatore tende a sovrastimare gruppi piccoli e a sottostimare stormi grandi. Anche questo metodo presenta alcuni problemi: se disturbati, gli stormi tendono a non tornare nel medesimo luogo (di conseguenza, l osservatore deve mantenere una certa distanza); spesso si formano stormi misti, per cui è necessario effettuare conteggi separati per ciascuna specie; alcuni gruppi, come ad esempio gli stormi che si trovano presso i roost (dormitori), si formano per periodi di tempo molto limitati e, in genere, caratterizzati da scarse condizioni di luce (in questo caso l utilizzo di strumenti fotografici è opportuno). conteggi dei lek: in alcune specie i maschi in periodo riproduttivo si raccolgono in arene (lek) per effettuare parate e per essere scelti dalle femmine per l accoppiamento. In questi momenti è dunque possibile contare più alte proporzioni di maschi rispetto ai siti di conteggio tradizionali, tanto che in genere uno o al massimo due conteggi per anno risultano sufficienti per effettuare un censimento ragionevole ed efficiente della popolazione. Anche in questo caso vi sono degli 212

216 svantaggi legati alla mobilità dei maschi tra un arena e l altra, alla grandezza dei lek (se sono piccoli sono più difficili da rintracciare), al fatto che alcuni individui (soprattutto maschi giovani) possono scegliere di non frequentare le arene e alla mancanza di informazioni sulle femmine della popolazione. conteggi dei migratori: metodo adatto in particolare a quelle specie che migrano transitando dai cosiddetti colli di bottiglia (bottlenecks), come ad esempio rapaci, cicogne, gru. Per queste specie il conteggio in questi luoghi nei periodi di migrazione (quando sono aggregati in grandi gruppi) è molto più semplice rispetto agli altri momenti dell anno in cui risultano dispersi. Nel caso dei migratori notturni il rilevatore può essere coadiuvato da supporti tecnologici (ad esempio microfoni) o dall utilizzo di tecniche quali il moonwatching (per i dettagli si rimanda a Lardelli e Liechti, 1999). conteggi mediante cattura: metodo adatto per specie poco contattabili sia alla vista sia al canto. Tra le tecniche più utilizzate vi è l uso di reti mist-net. Esistono due diversi approcci: cattura-ricattura (mediante marcatura, ad esempio inanellamento) e sforzo di cattura standard, entrambi utili per produrre degli indici di popolazione. Tra gli svantaggi del metodo vi sono il notevole impiego di tempo, l esigenza di materiale apposito e la necessità di avere a disposizione rilevatori autorizzati (principalmente per le fasi di cattura, gestione degli animali in mano e marcatura). conteggi mediante playback: anche questa metodologia risulta valida per specie difficilmente contattabili, come ad esempio quelle che vivono nel folto dei nuclei forestali o in ambienti densamente abitati oppure quelle crepuscolari o notturne. La tecnica prevede l uso di canti o richiami registrati a cui l individuo risponde; è importante utilizzare il metodo con una certa attenzione, per evitare un eccessivo disturbo sonoro alle normali attività canore degli Uccelli. conteggi sulla base di riconoscimenti vocali: si basa sul fatto che i canti e i richiami di molte specie sono riconoscibili fino a livello individuale, mediante l analisi dei sonogrammi a partire dai suoni registrati con microfoni direzionali. La distinzione tra i diagrammi sonori dei diversi individui viene fatta ad occhio e formalizzata con apposite tecniche statistiche. Un vantaggio di questo metodo è che non è invasivo ed è utilizzabile, ad esempio, nello studio di specie rare o minacciate. Gli svantaggi sono: la difficoltà di ottenere registrazioni di elevata qualità di specie che si trovano a basse densità e disperse, la necessità comunque di una conferma dell identificazione mediante, ad esempio, cattura, l impiego di personale specializzato e di una notevole quantità di tempo, il fatto di ottenere informazioni solo sui maschi della popolazione esaminata. I metodi fin qui presentati rappresentano un ventaglio di possibilità molto ampio e, spesso, molte di queste tecniche risultano troppo dispendiose o inadeguate per gli scopi che un progetto o un intervento in un Area protetta si prefiggono. Per facilitare la scelta tra i metodi possibili e/o ottimali (sulla base delle specie risultate presenti dalle indagini preliminari) si propone qui di seguito una tabella riassuntiva (Tabella ) con le metodologie di rilevamento più indicate per i diversi gruppi di specie. Le informazioni sono desunte dalle Linee guida per il monitoraggio dell avifauna italiana (Fornasari e Brambilla, 2004); in questo lavoro le circa 500 specie dell avifauna italiana sono state raccolte in gruppi omogenei su base sistematica e in parte per somiglianze negli aspetti generali dell ecologia, al fine di orientare le scelte verso programmi di monitoraggio il più possibile comuni a diverse specie e con la migliore efficienza nel rapporto tra sforzo di campionamento e informazioni raccolte. 213

217 Tabella 7.1. Tecniche di monitoraggio indicate per i gruppi di specie dell avifauna italiana (da Fornasari e Brambilla, 2004). Gruppo di specie Procellariformi Anseriformi e gruppi affini Caratteristiche Uccelli marini coloniali Uccelli acquatici (di acqua dolce o marini) Difficoltà di censimento grande dimensione delle colonie, presenza di immaturi nelle colonie, scarsa accessibilità dei siti di nidificazione, abitudini notturne per l utilizzo dei siti molte specie nidificanti solo in numero ridotto di coppie localizzate Periodo Tecnica di censimento consigliata Validità e limitazioni riproduttivo (consigliato) non riproduttivo riproduttivo Conteggi alle colonie Studio dei movimenti migratori Conteggi degli individui Conteggi delle coppie nidificanti Colonie non accessibili: conteggio di Uccelli nei caratteristici assembramenti serali che si verificano sottocosta, nei pressi del sito di nidificazione Colonie accessibili ma nidi non visitabili: marcatura e ricattura Colonie e nidi accessibili: conteggio dei siti apparentemente occupati (Bibby et al., 2000), esaustivo o per aree campione Transetto lineare eseguito da battelli in movimento Identificazione del sesso e del numero di individui isolati e di gruppi da punti fissi Transetti con punti fissi di osservazione sottostima delle dimensioni della colonia, contattabilità influenzata dallo stadio riproduttivo cavità utilizzate anche da altre specie, necessità di materiale tecnico adatto, possibile ferimento degli Uccelli o danneggiamento delle uova molte specie non svernano nel Mediterraneo, difficile distinzione dei movimenti erratici da quelli migratori valido per Cigno reale e Volpoca valido per Fischione, Canapiglia, Alzavola, Marzaiola, Mestolone Moretta, Moriglione, Moretta tabaccata, 2 1 4

218 Gruppo di specie Caratteristiche Difficoltà di censimento Periodo Tecnica di censimento consigliata Validità e limitazioni non riproduttivo Conteggi degli individui Playback Punti d ascolto Punti fissi di osservazione Censimenti in aree campione o transetti da navi o aerei svassi nidificanti valido per Porciglione, Gallinella d acqua, Pollo sultano valido per Voltolino e Schiribilla (notturni per Re di Quaglie) valido per tutta l avifauna acquatica svernante in acque interne o costiere valido per le specie svernanti in ambiente marino 2 1 5

219 Tabella 7.1. Continua. Gruppo di specie Pellicaniformi, Ciconiformi e Fenicotteriformi Accipitriformi e Falconiformi Caratteristiche Uccelli acquatici e terrestri per lo più coloniali Uccelli per lo più fortemente territoriali in periodo riproduttivo e gregarie in quello non riproduttivo Difficoltà di censimento grande dimensione delle colonie, presenza di immaturi nelle colonie rarità di alcune specie, grandi numeri in periodo non riproduttivo Periodo Tecnica di censimento consigliata Validità e limitazioni riproduttivo non riproduttivo riproduttivo Conteggi alle colonie o ai dormitori Conteggi degli individui in canto Conteggio dei nidi Conteggio degli individui Conteggio e osservazione degli individui Colonie costiere: metodi simili agli Uccelli marini; colonie terrestri: metodi simili agli Ardeidi coloniali Conteggio dei siti apparentemente occupati Punti d ascolto Nidi poco evidenti: Individuazione dei siti riproduttivi seguendo gli individui in volo Nidi evidenti: conteggio dei siti apparentemente occupati metodi analoghi agli Anseriformi e gruppi affini punti d ascolto o conteggi totali Conteggio dei territori o dei siti di nidificazione apparentemente occupati Conteggio dei siti riproduttivi potenziali Conteggi alle colonie o ai dormitori Censimento dei nidi occupati Conteggio degli individui valido per Cormorano valido per Marangone dal ciuffo, Ardeidi coloniali, Fenicottero valido per Tarabuso, Tarabusino valido per Cicogna nera valido per Cicogna bianca valido per gli Ardeidi valido per strettamente legate al territorio (ad esempio Aquila reale, Pellegrino, Lanario) valido per specie con nidi poco rilevabili (ad esempio Falco di palude) valido per specie gregarie (Falco della regina) valido per specie 2 1 6

220 Gruppo di specie Caratteristiche Difficoltà di censimento Periodo Tecnica di censimento consigliata Validità e limitazioni migrazione non riproduttivo Conteggi degli individui Conteggio degli individui nei punti di aggregazione non riproduttivi (dormitori, carnai ecc.) Conteggi nei colli di bottiglia in primavera e autunno Punti d ascolto o conteggi campionari gregarie (Grillaio, Nibbio bruno, avvoltoi) valido per specie migratrici; variabilità annua per condizioni atmosferiche e soggettiva abilità dei rilevatori nel riconoscimento e nel conteggio valido per specie svernanti o a maggiore diffusione invernale 2 1 7

221 Tabella 7.1. Continua. Gruppo di specie Galliformi Altri Gruiformi Caratteristiche Uccelli per lo più sedentari e nidificanti, molte di interesse venatorio e con status sfavorevole di conservazione Uccelli ad alto livello di minaccia, con status di conservazione particolarmente sfavorevole Difficoltà di censimento forti differenze nella biologia tra le specie, nessuna metodologia comune problemi legati alla rarità e alla particolare biologia, mancanza di conoscenze di base sulla distribuzione in Italia Periodo Tecnica di censimento consigliata Validità e limitazioni riproduttivo postriproduttivo (tarda estate) riproduttivo non riproduttivo Conteggio degli individui Conteggio e osservazione degli individui Conteggio delle coppie Conteggio degli individui Conteggio dei maschi in parata o in canto Conteggio dei gruppi Censimento dei maschi in arena (lek) Censimento in battuta di femmine e giovani Transetti lineari (ricerca di tracce) Mappaggi o censimenti campionari nelle aree vocate (di maschi, al canto spontaneo o playback) Punti d ascolto Censimento delle femmine mediante cani da ferma Transetti in aree riproduttive, con elevato numero di ripetizioni Transetti valido per Gallo cedrone, Gallo forcello valido per Gallo cedrone; metodo estremamente invasivo valido per specie fortemente territoriali (Pernice bianca, Francolino di monte, Fasianidi) valido per Fagiano comune e Quaglia valido per Gallo forcello; metodo fortemente invasivo, da evitare valido per Gallina prataiola 2 1 8

222 Tabella 7.1. Continua. Gruppo di specie Limicoli Laridi e Sternidi Caratteristiche Uccelli legati alle zone umide, presenti in grandi contingenti soprattutto in periodo non riproduttivo, molti di interesse per la conservazione Uccelli strettamente coloniali, legate più o meno strettamente ad habitat umidi Difficoltà di censimento densità generalmente basse, habitat vocazionali rarefatti, pochi tratti comuni nella biologia riproduttiva e nella distribuzione estrema variabilità nella dimensione e nella densità delle colonie, spesso polispecifiche, le coppie si insediano nelle colonie in tempi Periodo Tecnica di censimento consigliata Validità e limitazioni riproduttivo non riproduttivo riproduttivo Conteggio alle colonie Conteggio delle coppie riproduttive Conteggio degli individui Conteggio degli individui Conteggi alle colonie Conteggi degli adulti in cova o dei nidi apparentemente occupati Conteggi degli individui Conteggi delle coppie riproduttive (colonie miste) Censimento dei nidi Mappaggio o altri censimenti randomizzati o conteggi in colonie miste con Laridi e Sternidi Conteggi dei maschi in parata al crepuscolo Playback al crepuscolo in transetti Punti d ascolto Censimento dei gruppi nei punti di aggregazione Nidi visibili da punti di osservazione esterni: osservazione e censimento dei nidi apparentemente occupati Nidi visibili da punti di osservazione esterni: Nidi non visibili da punti di osservazione esterni valido per Avocetta e Cavaliere d Italia, Beccaccia di mare, Piviere tortolino valido per Pernice di mare valido per Fratino valido per Pettegola valido per Corriere piccolo e Piro piro piccolo valido per Beccaccia valido per Occhione valido per specie comuni e facilmente censibili (ad esempio Beccaccia, Pavoncella) valido genericamente per le specie gregarie valido per Laridi valido per Sternidi valido per Laridi e Sternidi 2 1 9

223 Gruppo di specie Caratteristiche Difficoltà di censimento diversi, scarsa accessibilità dei nidi Periodo Tecnica di censimento consigliata Validità e limitazioni non riproduttivo Conteggio degli individui ma accessibili a piedi: conteggio nidi attivi (con uova o pulcini) Altri casi: conteggio individui dopo involo mediante disturbo Metodi affini ai censimenti di Anseriformi e affini valido per Laridi e Sternidi; metodo sconsigliato in quanto molto invasivo valido per Laridi e Sternidi 2 2 0

224 Tabella 7.1. Continua. Gruppo di specie Strigiformi e Caprimulgiformi Passeriformi e gruppi affini Caratteristiche Uccelli prevalentemente notturni o crepuscolari gruppo di specie più numeroso, ricco e diversificato per dimensioni, biologia, habitat e diffusione Difficoltà di censimento abitudini notturne o crepuscolari di questi Uccelli, della bassa densità con cui sono spesso presenti e della variazione di uso degli habitat a seconda delle stagioni; fattori che possono influenzare i censimenti: l'esperienza dell'osservatore, le condizioni climatiche, il ciclo lunare e il disturbo acustico forti differenze nella biologia tra le specie Periodo Tecnica di censimento consigliata Validità e limitazioni riproduttivo non riproduttivo tutto l anno riproduttivo Conteggio dei territori o dei nidi occupati Conteggio delle coppie nidificanti Conteggio degli individui Metodi indiretti di verifica della presenza Conteggio delle coppie nidificanti Playback Conteggio dei nidi Transetti o punti di ascolto al canto spontaneo Conteggio invernale ai posatoi diurni Monitoraggio invernale dei dormitori Ricerca delle tracce (borre, escrementi, resti di prede, penne) Mappaggio Transetti lineari Punti d ascolto A seconda delle caratteristiche della specie: conteggi alle colonie (numero di nidi occupati), conteggi nelle aree conosciute di probabile nidificazione o conteggi negli habitat a maggiore vocazionalità valido per specie sensibili alla stimolazione acustica (Allocco, Civetta, Civetta nana, Civetta capogrosso, Assiolo, Gufo reale) valido per Barbagianni e Gufo comune valido per Allocco e Succiacapre valido per Barbagianni e Gufo comune valido per Gufo di palude, specie particolarmente elusiva valido per gli Strigiformi validi per specie ad ampia diffusione e facilmente contattabili al canto validi per specie particolarmente rare e localizzate sul territorio Conteggio degli Cattura con reti in punti valido per specie ad 2 2 1

225 Gruppo di specie Caratteristiche Difficoltà di censimento Periodo Tecnica di censimento consigliata Validità e limitazioni migrazione svernamento individui (indici di popolazione) Conteggio degli individui Conteggio degli individui fissi di anno in anno Cattura a marcatura Conteggi a vista Punti d ascolto Conteggio del numero massimo di individui nell unità di campionamento ampia diffusione valido per specie che compiono movimenti migratori valido per le specie svernanti a distribuzione generalmente dispersa valido per le specie svernanti a distribuzione generalmente aggregata 2 2 2

226 I criteri di scelta Scegliere un metodo di censimento appropriato è più semplice se il progetto ha scopi chiari e prefissati (Bibby et al., 2000). Prima di pianificare un metodo è opportuno vagliare la varietà di diversi scenari che possono scaturire dalla scelta. Le domande da porsi possono essere le seguenti (Bibby et al., 2000): i risultati del progetto saranno applicati ad un area geograficamente più ampia o ad un singolo sito? Saranno coinvolte più specie o soltanto una? Saranno necessari conteggi accurati o semplicemente dati di presenza/assenza? Sebbene nel paragrafo precedente la costruzione dello disegno progettuale sia stata presentata come un processo lineare, in realtà ci deve essere una forte relazione nei due sensi tra la scelta dello schema di campionamento e quella della metodologia di raccolta dei dati sul campo. A loro volta queste sono influenzate e influenzano gli obiettivi di progetto (Errore. L'origine riferimento non è stata trovata.). Ad esempio, se è richiesto un metodo di censimento intensivo per una particolare specie, necessariamente si potranno coprire un minor numero di unità di campionamento; ugualmente, se la strategia di campionamento determina uno sforzo diffuso (ad esempio tra diversi habitat potenziali di una specie rara), questo porterà a ridefinire e semplificare gli obiettivi di progetto. Figura 7.1. Relazioni all interno del disegno progettuale tra gli obiettivi del progetto, la strategia di campionamento e i metodi di raccolta dei dati sul campo (da Gregory et al., 2004, modificato). Le risorse disponibili per il conteggio sono solitamente limitate e sufficienti solo per studi su un unica specie o un unico sito. I conteggi assoluti sono difficili da eseguire e in molti casi non sono neppure necessari. La chiave per un buon disegno progettuale consiste nello stabilire quale tipo di dati è richiesto e quali siano le debolezze della metodologia scelta. Come sottolineano Bibby et al. (2000) non esiste il metodo perfetto per il censimento degli Uccelli, ma ciò non impedisce di poter ricavare dati utili da uno studio ben programmato. La scelta della metodologia e del campionamento ottimali sono dunque fondamentali e devono essere basati sulle informazioni di base a disposizione per l area in esame (siano esse derivate da fonti bibliografiche o da monitoraggio pre-progetto), sulla scala a cui verranno effettuati gli interventi o si svolgerà il progetto e sugli scopi che questi hanno, cercando in ogni caso di ottimizzare le risorse disponibili in termini di tempo e/o personale. Il panorama dei metodi finora presentati è ovviamente diversificato ed evidenzia caratteristiche e peculiarità note agli addetti ai lavori. In linea generale per le popolazioni animali, per ridurre i margini di errore di stima legati alla mobilità, campionamenti di tipo estensivo sono da preferire a quelli di tipo intensivo. Alcuni requisiti dovrebbero comunque essere sempre presenti o ricercati, dal momento che caratterizzano il metodo ottimale, ovvero quello che assicura un elevato rapporto costi/benefici. Questo deve essere (Serra et al., 2006; Sartori, 1998): 223

227 veloce: le misurazioni dovrebbero richiedere poco tempo e ridotti spostamenti; fedele: deve essere in grado di replicare i risultati quando ci si trovi in condizioni identiche; accurato: le stime ottenute dovrebbero essere precise, avvicinarsi al valore reale evitando sovrastime o sottostime; sensibile: deve avere un buon potere di risoluzione, ossia la più piccola differenza di valori misurabile; nel caso dei censimenti, la scala non è continua (come quando, per esempio, si pesa un oggetto), ma discreta e la più piccola differenza possibile corrisponde a un individuo in più o in meno. Questa massima discriminazione è evidentemente tanto più facile quanto più piccolo è il numero di individui da contare; preciso: si attiene all intervallo entro il quale si ha una determinata probabilità (in genere del 95%) di trovare il valore esatto della misura che si effettua. Il concetto di precisione comprende quelli di fedeltà, accuratezza e sensibilità. La mancanza di precisione di una misura può derivare da una mancanza di sensibilità dello strumento di misura oppure da una sua mancanza di accuratezza o fedeltà; non distruttivo: per la massima tutela dell ecosistema e per poter ripetere le misurazioni nel tempo senza inficiarne i risultati; inclusivo: il metodo dovrebbe poter fornire risposte diverse senza dover ripetere i campionamenti; a ridotta richiesta di personale: le rilevazioni dovrebbero essere condotte da un numero minimo di soggetti; a ridotta necessità di equipaggiamento e strumentazione: l equipaggiamento e la strumentazione dovrebbe essere limitati e facilmente trasportabili; analizzabile statisticamente: i dati dovrebbero ovviamente essere sempre elaborabili. È importante sottolineare che le prestazioni finali dell intero sistema di misura sono determinate dalle prestazioni della proprietà più scadente. Per esempio, sappiamo che è inutile fornire un binocolo di altissima qualità a una persona che non è in grado di riconoscere le diverse specie di Uccelli e per contro sappiamo che anche il migliore conoscitore di questi non potrà effettuare un conteggio soddisfacente se non dispone di un buon binocolo ovvero se non dispone di riflessi pronti (Sartori, 1998). Dal punto di vista della resa le caratteristiche dei vari metodi di censimento ornitologico e delle possibili variazioni sono state sottoposte a numerosi vagli e confronti (ad esempio Svensson, 1980; Robbins, 1981; Dawson, 1985). Entrambi i metodi relativi (transetti lineari e punti d ascolto) risentono del diverso grado di rilevabilità che le condizioni meteorologiche determinano durante le uscite. In ogni caso, si considera il mappaggio (più dispendioso in termini di tempo) maggiormente indicato quando sono richieste informazioni precise su aree di studio di limitata estensione; i transetti vengono utilizzati di preferenza per la raccolta di dati su scala più estesa, in condizioni di elevata densità di individui e in ambienti omogenei, mentre i campionamenti puntiformi sono più adatti ad alte densità e ad ambienti eterogenei (Bibby et al., 2000). Ad ogni modo, tutte e tre le metodologie sono attualmente impiegate in programmi di monitoraggio a differenti scale. Archivio ed utilizzo dei dati I rapidi processi che interessano continuamente l ambiente, anche in un Area protetta, richiedono a chi gestisce il territorio di utilizzare strumenti di indagine idonei alla valutazione oggettiva delle cause che contribuiscono a tali trasformazioni, siano esse di origine naturale o antropica. 224

228 Come ben espresso da Ballestra et al. (1996), la percezione del territorio come insieme di risorse limitate spinge verso un uso più attento dello stesso e porta ad una più accurata ridefinizione degli obiettivi del processo di pianificazione e ad individuare gli strumenti più idonei al loro conseguimento. Ciò comporta la necessità di una diversa qualità dell organizzazione delle informazioni, di revisione e coordinamento delle fonti esistenti, di miglioramento delle capacità di elaborazione dell informazione stessa. Anche il monitoraggio ornitologico, nelle modalità e per gli scopi fin qui descritti, necessita l impiego di strumenti che consentano l archiviazione dei dati e la loro elaborazione, non solo a differenti scale ma anche in relazione all uso del suolo e alla gestione delle risorse. Da qui deriva la necessità di ricorrere a tecnologie dell informazione adeguate a questi compiti: le banche dati (database) per l archiviazione dei dati e i Sistemi Informativi Territoriali (SIT) per la loro analisi. I Sistemi Informativi Territoriali (SIT) o Geographic Information System (GIS) sono sistemi integrati di hardware e software (e utenti), per l analisi e la visualizzazione di dati spazialmente distribuiti (Johnston, 1998). In particolare, un SIT è in grado di assolvere alle funzioni di inserimento, archiviazione, recupero, trasformazione, unione, creazione di sottoinsiemi e visualizzazione di dati spaziali. In pratica un Sistema Informativo Territoriale è uno strumento di misura specificamente progettato per l'analisi di dati nello spazio. Per poter svolgere queste funzioni, come già sottolineato, i dati devono includere informazioni sulla loro localizzazione geografica, oltre che i loro attributi. La georeferenziazione può essere definita l attività di posizionare oggetti geografici rispetto ad un sistema di riferimento. I dati geografici presentano due caratteristiche fondamentali: sono ricondotti ad una classe (ad esempio uso del suolo o tipi di vegetazione) o ad una dimensione fisica (ad esempio larghezza di una strada) e sono localizzati spazialmente. Un SIT è comunque ben differente da una semplice mappa geografica del territorio. Una mappa è una rappresentazione analogica della superficie terrestre, mentre un SIT di fatto registra caratteristiche spazialmente distribuite in forma numerica. Una mappa raffigura simultaneamente una varietà di proprietà del territorio (ad esempio, topografia, copertura vegetazionale, rete stradale), mentre un SIT archivia queste caratteristiche separatamente. Una mappa è statica e di non facilmente aggiornabile, mentre lo strato informativo di un GIS può essere rivisto facilmente. Ancora, una mappa è di per se stessa un prodotto finito, mentre il prodotto finale dell analisi con un SIT consiste in una mappa o in dati (Johnston, 1998). Dunque, sebbene le mappe possano essere una forma di inserimento o di restituzione di dati in un SIT, questo incrementa notevolmente la versatilità di dati georeferenziati in funzione dell ampio spettro di tecniche di manipolazione e analisi quantitativa dei dati (Johnston, 1998). Fattore da sottolineare, il SIT è in grado di effettuare le analisi alla scala desiderata, dal livello microscopico a quello globale. Per i dettagli sulle componenti e sul funzionamento di un SIT si rimanda ai numerosi manuali ormai disponibili o ai testi finora citati (Johnston, 1998; Ballestra et al., 1996). Un SIT dovrebbe consentire di eseguire le seguenti funzioni di base: inserire i dati; si tratta di una fase importante, in quanto è proprio in questo stadio che vengono decisi la scala, la risoluzione, e il tipo di dati. Un vantaggio dei SIT è la possibilità di assimilare dati da una ampia varietà di sorgenti; potenziali dati sono infatti tutte le informazioni geografiche; gestire i dati; una volta che le informazioni sono state inserite, devono essere archiviate in un formato in cui possano essere facilmente ritrovate; ciascuna variabile (ad esempio uno strato informativo) è archiviato in forma digitale come un livello georeferenziato in un database. Quando messi in relazione tra loro, sugli n strati della banca dati possono essere interrogati spazialmente; effettuare interrogazioni (query) basate su attributi, localizzazione o una loro combinazione; tra le diverse tipologie di analisi effettuabili mediante il SIT risultano fondamentali l analisi spaziale e quella statistica. La prima include operazioni quali sovrapposizione (ovvero l integrazione di due o più strati per crearne uno nuovo, un 225

229 metodo utile per identificare coincidenze spaziali e/o temporali), analisi di prossimità, misurazione, uso di filtri e riclassificazione dei dati; l analisi statistica include la generazione di istogrammi, frequenze, regressioni e correlazioni come anche la capacità di interfacciarsi a specifici pacchetti di applicazioni statistiche; restituire i dati e generare prodotti; una restituzione di dati chiara ed efficace è importante nella comunicazione dei risultati derivanti dalle analisi effettuate mediante SIT; questa avviene generalmente mediante la produzione di mappe, grafici e informazioni tabulari. Alcune di queste capacità sono condivise da altri tipi di applicazioni, ma è la possibilità di fornire risposte a interrogazioni di tipo geografico a distinguere un Sistema Informativo Territoriale. Connaturata a questi sistemi è la capacità di monitorare e organizzare gli attributi dei dati, associati alla localizzazione spaziale e al tempo (Shaw e Atkinson, 1990). Ciascun insieme di dati, che costituisce gli attributi, è definito come strato informativo (layer) o tema (theme); quando questi strati sono allineati dal punto di vista spaziale, all interno del SIT possono essere simultaneamente comparati e messi in relazione ( Figura ). Figura 7.2. Raffigurazione del concetto di strati informativi in un Sistema Informativo Territoriale (da Shaw e Atkinson, modificato). I campi di applicazione dei SIT sono ormai infiniti: vengono infatti normalmente impiegati in agricoltura (uso del suolo), economia (analisi di mercato), difesa (logistica, pianificazione), ecologia e conservazione, protezione civile, catasto, gestione forestale, salute pubblica (epidemiologia), istruzione, geologia, oceanografia, gestione dei beni immobiliari, osservazione della terra, telecomunicazioni, gestione di dati amministrativi, gestione di reti e infrastrutture, redazione di mappe e banche dati, industria estrattiva e mineraria, gestione delle risorse naturali, rilevo e topografia, trasporti e logistica, urbanistica, archeologia, marketing e ricerca. Non c è da stupirsi pertanto se siano ormai largamente utilizzati anche negli studi ornitologici, con applicazioni che vanno dalla ricerca pura (ad esempio sulla biologia delle specie) allo studio a fini gestionali, come può essere, ad esempio, la descrizione e la caratterizzazione degli habitat potenziali per specie di Uccelli a rischio per la conservazione. Mediante l utilizzo di un SIT grandi quantità di dati possono essere manipolate, elaborate e ritrovate velocemente; si presta dunque molto bene all utilizzo nella gestione e nell analisi dei dati di un monitoraggio, nel corso del quale vengono raccolte grandi quantità di dati opportunamente georeferenziati. In primo luogo i dati devono essere archiviati in una banca dati o database, costruita in maniera ragionata; in questo modo diventa più semplice non solo il recupero dei dati (e di conseguenza la loro elaborazione), ma anche il loro confronto con altre fonti di informazione disponibili per l area. L organizzazione di una banca dati deve necessariamente prevedere l uso di sorgenti informative e specifiche funzioni di gestione (Ballestra et al., 1996). Le sorgenti informative, di carattere cartografico e/o di tipo censuario o di rilevo puntuale, devono essere in primo luogo oggettive, nonché fruibili e accessibili. Le funzioni di gestione di una banca dati sono rappresentate dall acquisizione, dall aggiornamento e dalla trasferibilità delle informazioni; 226

230 in questo caso rivestono particolare importanza possibili collegamenti e interfacce con altre banche dati già esistenti e operanti sul territorio (di cui è opportuno tenere debito conto in fase di pianificazione). Trasparenza, fruibilità ed accessibilità alla banca dati costituiscono i requisiti essenziali per dotare le strutture operanti sul territorio di basi informative aggiornabili e confrontabili a diversi livelli di governo e per avviare possibili procedure di elaborazione di differente complessità (Ballestra et al., 1996). Bibliografia (estratto) Anon., Common Bird Census Instructions. British Trust for Ornithology. Ballestra G., Bertozzi R., Buscaroli A., Gherardi M e Vinello G., Applicazione dei sistemi informativi geografici nella valutazione delle modificazioni ambientali e territoriali. FrancoAngeli, Monza. Bibby C.J., Burgess N.D., Hill D.A. e Mustoe S., Bird Census Techniques Second Edition. Academic Press, London. Blondel J., Ferry C. e Frochot B., La méthode des indices ponctuels d abondance (I.P.A.) ou des relèves d avifaune par "station d écoute". Alauda, 38: Blondel J., Ferry C. e Frochot B., Point Counts with Unlimited distance. In: Estimating Numbers of terrestrial birds, Studies in Avian Ecology, 6: Bogliani G., Il valore faunistico del territorio. Un modello di utilizzazione dei dati sulla fauna locale per la realizzazione del Piano paesistico della Provincia di Pavia. In: La pianificazione paesistica in Lombardia, suppl. di Urbanistica Informazioni, 105: Bogliani G., Bontardelli L., Giordano V., Lazzarini M. e Rubolini D. (eds.), Biodiversità animale degli ambienti terrestri nei Parchi del Ticino. Consorzio del Parco Lombardo della Valle del Ticino. Dawson D.G., A review of methods for estimating bird numbers. In: Bird Census and Atlas Studies, pp British trust for Ornithology. De Filippo G., Fusco L., Carrabbia P. e Milone M., Densità di Uccelli col metodo Variable Circular Plots (VCP) in aree con vegetazione a mosaico. In: Atti II Seminario Italiano Censimenti faunistici dei Vertebrati. Fasola M. (ed.). Suppl. Ric. Biol. Selvaggina, Vol. XVI. Ferry C. e Frochot B., Une méthode pour dénombrer les oiseaux nicheurs. Terre et Vie, 12: Fox A.D., Desholm M., Kahlert J., Christensen T.K. e Petersen I.K., Information needs to support environmental impact assessment of the effects of European marine offshore wind farms on birds. Ibis, 148, Fuller R.J. e Langslow D.R., Estimating numbers of birds by point counts: how long should counts last? Bird Study 31: Graber J.W. e Graber R.R., Environmental evaluation using birds and their habitats. Illinois Natural History Survey, Biological Notes 97. Graves B.M. e Dittberner P.L., Variables for monitoring aquatic and terrestrial environments. National Ecology Center, Division of Wildlife and Contaminant Research, Fish and Wildlife Service, U.S. Department of the Interior. Biological Report n. 5. Gregory R.D., Gibbons D.W. e Donald P.F., Bird census and survey techniques. In: Sutherland W.J., Newton I. et Green R. E. (eds.): Bird Ecology and Conservation; a Handbook of Techniques. Oxford University Press, Oxford, pp Haila J., Birds as a tool in reserve planning. Ornis fennica, 62: Hellawell J.M., Development of a rationale for monitoring. In: Goldsmith F.B. (ed.), Monitoring for Conservation and Ecology. London. Hüppop O., Exo K.-M. e Garthe S Empfehlungen für projektbezogene Untersuchungen möglicher bau- und betriebsbedingter Auswirkungen von Offshore-Windenergieanlagen auf Vögel. Ber. Vogelschutz, 39: Hutto R.L., Pletschet S.M. e Hendricks P., A fixed-radius point count method for nonbreeding and breeding season use. Auk, 103: IBCC, Recommendations for an international standard for mapping method in bird census work. Bird Study, 16: Johnston C.A., Geographic Information System in Ecology. Blackwell Science, Oxford. 227

231 Koskimies P. e Väisänen R.A., Monitoring Bird Populations, 1: Lardelli R. e Liechti F., Il moonwatch. Lo studio della migrazione notturna osservando la luna piena. In: Brichetti P. e Gariboldi A. Manuale pratico di ornitologia, Vol. 2. Edagricole, Bologna, pp Marchant J.H., Hudson R., Carter S.P. e Whittington P., Population trends in British breeding birds. B.T.O., Tring, U.K. Massa R. e Fornasari L., Piani paesistici: il punto di vista della zoologo. In: La pianificazione paesistica in Lombardia, suppl. di Urbanistica Informazioni, 105: Massa R., Fedrigo A., Fornasari L., Carabella M. e Schubert M., Forest bird communities in the Po valley. Acta Oecol., 8: Perrins C.M., Lebreton J-D. e Hirons G.J.M. (eds.), Bird Population Studies: Relevance to Conservation and Management. Oxford University, Oxford. Reynolds R.T., Scott J.M. e Nussbaum R.A., A variable circular-plot method for estimating bird numbers. The Condor, 82 (3): Robbins C.S., Reappraisal of the Winter Bird Population Study Technique. In: Estimating Numbers of Terrestrial Birds. Studies in Avian Biology, 6: Robbins C.S., Bystrak D. e Giessler P.H., The breeding bird survey: its first fifteen years, United States Department of the Interior, Fish and Wildlife Service, Resource Publication 157. Washington, D.C. Sammalisto L., The status of the Finnish Winter Bird Census. Ornis Fennica, 51: Sartori F., Indicatori biologici, biovalutazione e biomonitoraggio: un introduzione. In: Sartori F. (ed.), Bioindicatori ambientali. Ricerche e risultati, Fondazione Lombardia per l Ambiente, pp Serra B., Bari A., Capocefalo S., Casotti M., Commodari D., De Marco P., Mammoliti Mochet A., Morra di Cella U., Raineri V., Sardella G., Scalzo G., Tolve E. e Trèves C. (eds.), Metodi di raccolta dati in campo per l elaborazione di indicatori di biodiversità. Agenzia per la Protezione dell Ambiente e per i servizi tecnici. Shaw D.M. e Atkinson S.F., An Introduction to the Use of Geographic Information Systems for Ornithological Research. The Condor, 92 (3): Svensson S., Land use planning and bird census work with particular reference to the application of the point sampling method. Polish Ecological Studies, 3: Svensson S., Comparison of recent bird census methods. In: Bird census work and nature conservation, pp Gottingen. Szép T. e Gibbons D.W., Monitoring of common breeding birds (MMM) in Hungary using a randomised sampling design, EBCC pilot project. Bird Census News, 12 (2): Verner J., Assessment of counting techniques. In: Johnston R.F. (ed.). Current Ornithology volume 2. Plenum Press, New York and London, pp Williamson K., Bird Census work in woodland. Bird Study, 11: Williamson K., Batten L.A., Passerine population indices of the Common Bird Census. Ibis, 118:

232 Fluvial Ecosystem Assessment FONTE: NARDINI A., SANSONI G., MISURARE L OBIETTIVO CENTRALE DELLA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE. IN NARDINI A., SANSONI G. (EDS.), LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE IN ITALIA. CENTRO ITALIANO PER LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE. MAZZANTI EDITORI. La motivazione alla base del lavoro che ha prodotto il Fluvial Ecosystem Assessment (FLEA) è stata quella di cercare di rispondere al seguente quesito: come stabilire ed esprimere in modo sintetico ma efficace, se/quanto un tratto di un corso d acqua sta bene o male guardandolo con una visione integrata? E come giudicare quale tratto di un corso d acqua vale di più e merita più protezione per evitare il degrado, o più interventi migliorativi? FLEA è una rielaborazione integrata di concetti già presenti in altri approcci ed esperienze, in grado di rispondere alla domanda quanto vale? un tratto di un corso d acqua, misurandone la sua salute e il suo valore natura. Scopo finale del FLEA è la costruzione di un metodo utilizzabile in ambito decisionale/amministrativo che permetta di misurare la distanza dallo stato di riferimento (e il valore natura) sulla base di ogni singolo attributo, compresi tutti (ma non solo) quelli esplicitamente o implicitamente definiti dalla Direttiva 2000/60. Per meglio comprendere le differenze e le specificità tra il metodo FLEA e l indice di valutazione dei corsi d acqua di tipo integrato più affermato in Italia, cioè l IFF, allo scopo di evidenziarne i rispettivi punti di forza e di debolezza e di individuarne i rispettivi ambiti di applicazione ottimale, si riporta la seguente tabella: 229

233 Il valore di un fiume dipende da numerosi fattori e quindi bisogna chiarire cosa si intende per importanza di un fiume. Possiamo elencare i seguenti valori: esistenza e filantropico: ci si preoccupa dell ecosistema e del paesaggio mirando a preservare e conservare i corsi d acqua. uso indiretto: mantenere, recuperare, valorizzare o creare i servizi che gli ecosistemi svolgono a favore di altri obbiettivi (il controllo delle piene, abbattimento inquinanti, ecc.). uso diretto: dalla produzione dell energia idroelettrica alla navigazione, l irrigazione, il turismo. ecc. Inoltre, tra le caratteristiche ideali che un fiume dovrebbero possedere troviamo: l integrità ecologica: cioè essere vicino ad una condizione ideale di natura incontaminata. L importanza naturalistica: ovvero le sue peculiarità bio-geomorfologiche, cioè le caratteristiche che lo rendono speciale dal punto di vista della natura. il valore paesaggistico: ovvero il fatto di essere inserito in un particolare contesto paesaggistico. Considerare il paesaggio per attribuire valori di importanza al fiume comporta non pochi problemi, come la sua difficile caratterizzazione in assenza di metodiche consolidate e l impegnativa indagine da effettuare per valutare i beni storico-architettonico-archeologici presenti. Potrebbe essere pertanto sufficiente misurare lo stato del corso d acqua da un punto di vista fisico-naturale, in quanto questa componente include in modo implicito, consistente ed essenziale anche la componente paesaggio. Per giudicare il valore di un fiume bisogna considerare. Se il fiume è vicino alla sua integrità ecologica (salute). Se è speciale da un punto di vista naturale. Se appartiene a un patrocinio paesaggistico particolare. L albero dei valori è rappresentato dalla figura seguente: Gli attributi FLEA inerenti l integrità ecologica, prescindendo da sfumature terminologiche, comprendono tutti gli elementi di qualità previsti nella Direttiva europea sulle acque. A differenza invece la direttiva europea non valuta la presenza di peculiarità del corso d acqua, valutandone solo il suo stato di salute, dimenticando la parte naturalistica. Nella valutazione dell integrità ecologica si effettua un confronto con le condizioni naturali del corso d acqua, il cosiddetto stato di riferimento. Si definisce salute del fiume, la vicinanza dello stato attuale allo stato di riferimento, il quale con caratteristiche fisiche e biologiche uniche, rappresenta lo stato naturale del corso d acqua, anche se a nostro giudizio poco gradevoli o pregiate. Misurare la rilevanza naturalistica richiede la definizione di una scala capace di includere e ordinare in senso preferenziale i vari casi presentati in relazione a: peculiarità geologiche e morfologiche fluviali presenti nel territorio di studio; peculiarità biologiche. 230

234 Inoltre bisogna attribuire un giudizio di importanza relativa tra salute e rilevanza naturalistica. Lo schema concettuale del FLEA può costituire una base per l applicazione della direttiva europea sulle acque. La figura seguente fornisce una visione d insieme chiarendo quali sono gli elementi previsti nella direttiva e quali le integrazioni proposte. Lo sviluppo di FLEA si è fermato al livello di schema concettuale senza spingersi fino alla definizione di un metodo operativo, in modo tale da poter mantenere un metodo aperto alla ricerca di nuovi contributi da parte della comunità scientifica. 231

235 L analisi della qualità fisico-chimica è considerata l unico vero approccio tecnico in tutti i paesi per valutare la qualità di un corso d acqua. Per la sua caratterizzazione se ne esaminano: condizioni generali inquinanti sintetici specifici inquinanti non sintetici specifici. La qualità biologica dell ambiente fluviale si riferisce allo stato delle comunità biologiche viventi nel corso d acqua, ma anche quelle presenti nelle fasce di territorio circostante: macroinvertebrati fauna ittica macrofite e fitobenthos vegetazione terrestre (distinguendo la vegetazione riparia da quella del corridoio fluviale). La qualità idromorfologica rappresenta la principale novità introdotta dalla direttiva quadro e le idee in concreto elaborate possono essere: regime idrologico continuità fluviale (continuità longitudinale, verticale e laterale) condizioni morfologiche (mobilità laterale, equilibrio geomorfologico e morfologia dell alveo). 232

236 ALTRE MISURE DI GESTIONE Rischio idrogeologico FONTE: ANDREOTTI S., ZAMPETTI G. (EDS.), LE BUONE PRATICHE PER GESTIRE IL TERRITORIO E RIDURRE IL RISCHIO IDROGEOLOGICO. LEGAMBIENTE - PROTEZIONE CIVILE NAZIONALE. Interventi strutturali, risagomatura degli alvei, briglie, difese spondali, piuttosto che muri per la messa in sicurezza del territorio sono ancora frequentemente utilizzati come strumenti per la difesa del suolo. Spesso, oltretutto, si tratta di interventi puntuali non supportati da adeguati studi che ne dimostrino la reale efficacia e ne considerino le conseguenze sulla dinamica fluviale, portando più danni che benefici. Per ridurre il numero degli interventi strutturali di difesa, messa in sicurezza e artificializzazione dell habitat fluviale, riducendo quindi anche i costi e favorendo lo sviluppo sostenibile del territorio, è sufficiente prendere atto che la sicurezza, fruibilità e bellezza di un bacino idrografico dipendono prima di tutto dagli usi cui si destina. L efficacia, l importanza, la preponderanza delle opere di ingegneria sono state alla base di un modo di governare il territorio soprattutto per mezzo di opere di ingegneria idraulica piuttosto che applicare interventi di incentivazione o di interdizione a un certo uso del suolo. Si è andati quindi ad occupare aree che erano destinate all espansione naturale del fiume. Non si può nemmeno perseguire l illusorio obiettivo di poter mettere in sicurezza tutto il territorio. Questo comporta allora due linee d azione diverse: da una parte la capacità di convivere con il rischio e quindi saper gestire le emergenze e dall altra una corretta gestione del territorio. È perciò necessaria un inversione di tendenza rispetto all approccio classico di sistemazione idraulica dei corsi d acqua e all urbanizzazione selvaggia. Negli ultimi anni, a causa di queste conseguenze estremamente negative di un approccio tutto interventistico, e grazie al miglioramento e all approfondimento delle scienze del territorio, sta prendendo piede un diverso modo di governare i bacini idrografici che si basa meno sulle infrastrutture rigide ed è più rispettoso e attento alla dinamica e all habitat fluviale. L obiettivo principale di questa pubblicazione è proprio quello di descrivere e promuovere le esperienze positive in tal senso e dimostrare come questa trasformazione nella gestione del rischio idrogeologico sia possibile. Si riportano alcuni esempi di buone pratiche, suddivise per linee d azione (ovvero tipologie di azione). 3.1 Delocalizzare beni esposti a rischio. Tra le possibili strategie per ridurre il rischio idraulico,una delle soluzioni apparentemente più difficili da percorrere, ma, in molti casi, più convenienti (anche dal punto di vista economico) e sostenibili a lungo termine, è quella di spostare beni esposti in aree non soggette a possibili inondazioni. Oggi tale pratica è scarsamente applicata: anche in casi di edifici o opere costruiti palesemente in posti sbagliati e quindi periodicamente soggetti ad interventi per la loro manutenzione o per la ricostruzione delle opere che li difendono, si preferisce continuare con la strategia di mantenerli dove sono e proteggerli strenuamente. Si noti che molto spesso questo richiede l investimento di denaro pubblico per difendere beni privati di valore spesso inferiore all investimento sostenuto, con le aggravanti di danneggiare, artificializzandolo, il corso d acqua (il cui valore ecologico e fruitivo è a sua volta patrimonio comune) e di esportare il rischio a valle. Il trasferimento delle attività dello stabilimento GPL Liquigas, ubicato in prossimità del fiume Tevere e dell abitato di Ponte Valleceppi, in area soggetta a rischio idraulico potenziale, costituisce un esempio concreto e significativo di come sia possibile eliminare il rischio consentendo, inoltre, il recupero naturalistico di un area. Interessante osservare che tale azione è stata attuata attraverso una collaborazione fra un amministrazione comunale e una società privata; questo accordo ha permesso di attivare tutti gli strumenti normativi, 233

237 pianificatori e finanziari (i fondi utilizzati sono stati a totale carico dei privati) utili a favorire il raggiungimento dell obiettivo di delocalizzazione dell impianto. Gli interventi sui torrenti Parmignola e Gottero (entrambi nel territorio di competenza dell Autorità di bacino del fiume Magra), pur essendo piuttosto modesti in termini di lunghezza del tratto interessato e forse anche di effettivi benefici ecologici al corso d acqua, sono invece significativi e innovativi in termini di approccio seguito. e di soluzione tecnica adottata per risolvere problemi di rischio idrogeologico (alluvione ed erosione). In entrambi i casi, infatti, si è valutato conveniente spostare tratti di strada posti a ridosso dei corsi d acqua piuttosto che irrigidire ulteriormente l alveo o realizzare nuove opere per la loro difesa. 3.2 Riequilibrare il ciclo sedimentario. Un fiume instabile dal punto di vista geomorfologico è in grado di provocare enormi problemi di dissesto idrogeologico e danni ancor più gravi degli eventi alluvionali. La risposta dell uomo a questo tipo di problematiche si è quasi sempre basata sulla logica di disinfettare le ferite più superficiali senza provare a stroncare davvero la malattia ; ecco quindi il fiorire di interventi tampone, quali difese spondali, briglie, soglie, ecc. ed ecco puntualmente il problema ripetersi all evento successivo, magari qualche decina di metri più a valle. Per sfuggire a questa logica si inizia oggi a ragionare in termini completamente diversi: perchè non affrontare direttamente le cause di tale instabilità, provando a riportare il fiume verso un nuovo stato di equilibrio dinamico (un fiume cioè attivo, ma con dinamiche non disastrose e più controllabili)? L approccio geomorfologico alla riqualificazione dei corsi d acqua permette molto spesso di individuare le soluzioni più idonee per riequilibrare il fiume in termini di equilibrio sedimentologico: individuare e riattivare delle fonti di sedimenti immobilizzate nei versanti, rimuovere opere, immettere materiale in alveo prelevato da punti di eccessivo accumulo, ecc. Nel caso del Fiume Ain (Lione, Francia), storicamente presentava una dinamica geomorfologia articolarmente attiva con diffusi fenomeni di divagazione laterale; il frequente rinnovamento del substrato determinato da questi processi permetteva il mantenimento di specie pioniere tipiche dei substrati alluvionali e favoriva la creazione di un mosaico di habitat in grado di supportare una comunità animale e vegetale estremamente ricca e variegata. Tale diversità morfologica e di habitat (dovuta in particolare alla presenza di bracci fluviali morti) è però oggi minacciata dalla perdita di mobilità dovuta alla progressiva incisione dell alveo, causata dalla riduzione dell apporto dei sedimenti, intrappolati da alcuni sbarramenti posti a monte. I sedimenti più fini sono cioè progressivamente asportati dalle piene più importanti, ma non sono rimpiazzati dall apporto di monte; rimangono così in loco solo i sedimenti più grossolani, di difficile movimentazione. Per colmare il deficit sedimentologico, sono stati identificati differenti scenari di reintroduzione di sedimenti, cercando di limitare il disturbo all alveo e il passaggio dei mezzi pesanti; il sistema più facile per ridurre gli inconvenienti dovuti al trasporto dei carichi con i camion è risultato quello di mobilizzare i sedimenti direttamente dall attuale piana inondabile. Lo scavo di sedimenti dalla piana e la loro reintroduzione nel canale ne innalzerebbero il fondo: ciò, in azione sinergica con l abbassamento topografico della piana, permetterebbe di ristabilire gli scambi idrici tra il canale principale e le zone umide adiacenti Valutare quanto può convenire l alternativa di ridare spazio al fiume. Sempre più spesso, a livello pianificatorio, ci si pone il quesito se sia sempre conveniente e sostenibile difendere (o continuare a difendere) un area a rischio di inondazione o di erosione, o se questa possa non essere necessariamente la scelta migliore. Per poter affrontare correttamente la questione è utile, in questi casi, riuscire a quantificare in modo oggettivo tutti i costi e tutti i benefici che le due alternative difendere o non difendere (o altre intermedie tra esse) possono comportare; questo tipo di analisi dovrebbe essere condotta molto più spesso di quanto non si faccia oggi e, se così fosse, è realistico pensare che i risultati sarebbero tutt altro che scontati: non sempre, come oggi si assume, prevarrebbe l idea della difesa a tutti i costi. Nello studio propedeutico al piano partecipato di gestione e di intervento sostenibile per la zona fluviale del Torrente Gesso tra Borgo San Dalmazzo, Boves e Cuneo (Piemonte), si è splorata una metodologia che permette di capire, in termini di costi e di effettivi benefici, quale sia la più conveniente fra diverse alternative progettuali: di fronte ai danni provocati 234

238 dall ennesimo evento alluvionale, è più conveniente non fare nulla oppure continuare a costruire e fare manutenzione sulle opere di difesa come sempre fatto in passato o, infine, pensare ad una soluzione diversa, come quella di rinunciare completamente o in parte a difendere alcune porzioni di territorio restituendole al fiume, ed alleggerendosi quindi dei continui costi di manutenzione? Per scegliere cosa fare di fronte a problemi così complessi è stato proposto e seguito un percorso metodologico basato su una sequenza di passi chiave: fase conoscitiva; individuazione degli interventi; definizione delle alternative; valutazione delle alternative. Nel caso specifico l alternativa Natura è risultata la più conveniente, grazie alla minimizzazione dei costi, legata all adozione delle azioni non strutturali (perequazione e cambiamento di uso del suolo) e alle mancate spese per opere, e alla riduzione del rischio (avendo ridotto il valore intrinseco del suolo). L alternativa Classica in questo caso non risulta conveniente perché costa troppo in opere rispetto alla diminuzione di rischio: infatti ha beneficio netto negativo. Ciò significa che conviene accettare un livello di rischio un po superiore per alcune zone, e/o rinunciare ad un loro sfruttamento, piuttosto che cercare di proteggerle con opere di difesa. Infatti, la presenza di un opera di difesa idraulica in genere può indurre una maggiore erosione in sponda opposta, ma soprattutto comporta costi significativi di costruzione e manutenzione e ricostruzione periodica (non c è opera che tenga veramente a lungo con un corso d acqua di tale energia!), non compensati -nel caso in esamedalla riduzione di rischio ottenibile. 3.4 Incrementare la capacità di invaso del reticolo idrografico minore. Nel dopoguerra, l aumento dell edificazione, e quindi della superficie impermeabilizzata, ha causato una generalizzata intensificazione dei picchi di piena in gran parte dei bacini idrografici. A peggiorare la situazione hanno contribuito gli interventi di artificializzazione del reticolo idrografico, anche minore, quali arginature (spesso necessarie ma a volte inutili, che impediscono la naturale esondazione della piena in aree non urbanizzate), le rettifiche (eliminazione sistematica di meandri o sinuosità), la riduzione della scabrezza ottenuta rendendo l alveo più liscio eliminando tutti gli ostacoli (maggior uniformità per riprofilature/risagomature, minor attrito per assenza di vegetazione, ecc.). Queste pratiche hanno causato una perdita progressiva dello spazio che consentiva la laminazione naturale e distribuita delle piene. In pratica, le acque che prima, durante le piogge, venivano temporaneamente immagazzinate in una rete estesissima di piccoli fossi e corsi d acqua, causando magari piccole esondazioni locali, ora scorrono rapidamente verso i corsi d acqua principali, dove si concentrano così i picchi di piena, causando rischi ben più gravi in zone densamente urbanizzate. In altri termini, in un bacino, questa combinazione di più aree impermeabilizzate e canali e fiumi più dritti e più lisci fa sì che l acqua proveniente dalle precipitazioni scorra verso valle a grande velocità, accumulandosi tutta e in fretta nello stesso punto e finendo inevitabilmente per fuoriuscire da qualche parte (di solito nella parte bassa del bacino, alla prima strettoia). Questo induce a ritenere che il problema del rischio idraulico non vada affrontato con una visione localistica (nello spazio e nel tempo), ma più ampia, cioè a scala di bacino... e in quest ottica non si può immaginare una politica di riduzione del rischio che non contempli l idea di recuperare la capacità di laminazione del reticolo idrografico minore. Nel progetto Interventi di riqualificazione ambientale dei corsi d acqua della terraferma veneziana (Consorzio di Bonifica Dese Sile), aumentare la sezione dei corsi d acqua e restituirgli una morfologia naturale contribuisce a rallentare i deflussi e ad appiattire l onda di piena (riducendone l entità del picco). Il progetto si propone la realizzazione, lungo la rete di bonifica, di interventi multiobiettivo, in parte finalizzati proprio ad aumentare la capacità d invaso ed i tempi di deflusso delle acque nelle aree di bonifica a scolo naturale. Nel suo complesso il progetto mira alla riqualificazione ambientale e idraulica dei corsi d acqua minori attraverso: - l ampliamento degli alvei nella rete secondaria di bonifica; - il ripristino della vegetazione delle rive e in alveo; - la realizzazione di sistemi di depurazione naturali (aree umide) per ridurre l apporto di nutrienti veicolati dai canali verso la laguna. Il progetto prevede principalmente interventi estesi per la rimozione delle difese, l ampliamento e il rimodellamento naturalistico della sezione dei canali, la contestuale realizzazione di particolari manufatti ed opere d arte e impianti arborei ed arbustivi lungo le 235

239 sponde. Nel dettaglio, gli interventi che riguardano i corsi d acqua sono quindi: - eliminazione dei rivestimenti in calcestruzzo; - ampliamento e diversificazione delle sezioni (diversificazione del profilo longitudinale e trasversale, creazione di buche e raschi, isole...); - incremento della sinuosità degli alvei; - riduzione della pendenza delle sponde; - impianto di specie arboree e arbusti. 3.7 Ampliare le sezioni di piena in tratti arginati. In molti contesti la strategia difensiva basata principalmente sull innalzamento degli argini sembra avere segnato il passo: infatti, nonostante gli argini siano stati alzati spesso fino all altezza massima sostenibile, si continuano a registrare alluvioni e conseguenti danni. È evidente che al corso d acqua è stato sottratto troppo spazio. Le uniche soluzioni a questo punto percorribili sono quella di realizzare ampie e localizzate aree di espansione controllata (casse di espansione), con tutti i limiti che questo comporta, oppure allargare le sezioni mediante allontanamento degli argini conseguendo, oltre ai vantaggi idraulici (incremento della capacità idraulica, grazie all ampliamento dell alveo in larghezza), anche vantaggi geomorfologici ed ecologici (grazie alla restituzione di spazi al fiume e alla creazione di habitat). Il progetto SDF (Sustainable Development of Floodplains) si propone di implementare, nell ambito di un programma di cooperazione transnazionale a scala di bacino, misure di prevenzione del rischio idraulico con un approccio integrato -ridurre il rischio ridando più spazio al fiume e garantendo un migliore stato dei corsi d acqua che contribuisca ad uno sviluppo equilibrato e sostenibile delle pianure fluviali europee. SDF prevede la realizzazione di 12 progetti pilota nel bacino del fiume Reno (parte in Germania e parte in Olanda), attraverso azioni raggruppabili nelle seguenti tipologie: rimozione/spostamento di argini, creazione/recupero di aree di laminazione (in alcuni casi inclusa la costruzione di opere di presa e sfioro), creazione di canali secondari, rimozione di opere che ostacolano il deflusso delle piene, abbassamento di golene e di tratti di pianura inondabile, gestione delle inondazioni anche a fini di miglioramento dell ecosistema, rinaturazione di aree riparie, studi di impatto ambientale, studi di fattibilità, attività di comunicazione e divulgazione. 236

240 Fascia di mobilità funzionale FONTI: RINALDI M., MORFOLOGIA E DINAMICA DELL ALVEO. IN NARDINI A., SANSONI G. (EDS.), LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE IN ITALIA. CENTRO ITALIANO PER LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE. MAZZANTI EDITORI. MALAVOI J.-R. (ED.), DETERMINATION DE L'ESPACE DE LIBERTE DES COURS D'EAU. GUIDE TECHNIQUE N 2. AGENCE DE L'EAU - RHONE MEDITERRANEE CORSE. MONACI M., NARDINI A., CASO STUDIO 2: VARARE UN NUOVO VARA. IN NARDINI A., SANSONI G. (EDS.), LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE IN ITALIA. CENTRO ITALIANO PER LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE. MAZZANTI EDITORI. Per mantenere la morfologia e l'equilibrio dinamico non solo oggi, ma anche nel prossimo futuro, un fiume deve essere libero di muoversi gradualmente nella sua piana, erodendo da un lato e depositando dall'altro, distruggendo forme e creandone di nuove, in un incessante cambiamento, ma mantenendosi simile a se stesso. Per soddisfare il requisito di mobilità, il fiume deve avere uno spazio disponibile sufficiente a garantirne gli spostamenti prevedibili nell'arco dei prossimi 100 anni. A tal fine, il contributo della geomorfologia è permettere di definire la fascia di mobilità funzionale, cioè appunto lo spazio necessario per mantenere l'equilibrio dinamico nel tempo (scala gestionale). La fascia di mobilità funzionale comprende quella fascia in cui ha divagato il fiume durante le ultime centinaia di anni e le zone di probabile riattivazione per erosione laterale nel medio periodo (prossimi anni). La procedura utilizzata per la definizione della fascia di mobilità funzionale richiede una approfondita analisi geomorfologica. Il pregio di questa procedura è quello di non essere eccessivamente complessa e, soprattutto, di basarsi su analisi ed operazioni poco soggettive. 237

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