Ufficio del Giudice di pace di Napoli REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

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1 Giudice di pace di Napoli 18 gennaio 2006 Ufficio del Giudice di pace di Napoli REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO II Giudice di Pace di Napoli 1 Sez. Civ., in persona del giudice Dott. Pietro Esposito Faraone, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al N /2005 del Ruolo Generale Affari Civili Contenziosi, riservata per la decisione all'udienza del 9 gennaio 2006, vertente tra P. Avv. A., con studio in Napoli alla, quale procuratore di sé stesso, attore e Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p. t. ex lege domiciliato in Napoli. presso l'avvocatura Distrettuale dello Stato dalla quale è rappresentato e difeso, convenuto sulle seguenti conclusioni: l'attore conclude per l'accoglimento della domanda con vittoria di spese di lite. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, l'avv. A. P., in qualità di attributario delle spese liquidate nel procedimento civile R. G. n /04svoltosi innanzi all'ufficio del Giudice di Pace di Napoli e definito con sentenza depositata in Cancelleria in data , lamentando il malfunzionamento dell'ufficio-cancelleria "copie/sentenze" dell'ufficio del Giudice di Pace di Napoli e, più in particolare denunziando che il tempo necessario per ottenere il rilascio di copia delle sentenze si aggira intorno ai12 mesi (ovvero ai 6 mesi laddove si corrispondano i diritti di urgenza), ha convenuto in giudizio dinanzi al giudice di pace di Napoli il Ministero della Giustizia chiedendo che: a) previo accertamento del suo diritto ad ottenere un tempestivo rilascio delle copie delle sentenze, ai sensi degli artt. 744 e 745 sia ordinato al responsabile dell'ufficio Copie l'immediato rilascio nei termini di legge della sentenza relativa all'indicato procedimento; b) la condanna del convenuto Ministero al risarcimento dei danni esistenziali conseguenti allo stress causato dai lamentati disservizi dell'ufficio. Tempestivamente costituitesi in Cancelleria, il Ministero, rilevando che l'avv. P. aveva proposto trentatre cause di identico contenuto, ne chiedeva la riunione ex art. 274 c.p.c.; in via preliminare, inoltre, eccepiva il difetto di contraddittorio in quanto il cliente dell'avvocato non

2 risulta essere parte del presente procedimento in violazione dell'art. 102 c. p. c.; nel merito,comunque, eccepiva la nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza dell'oggetto, carenza di esposizione ed assenza di richieste istruttorie; eccepiva, infine il difetto di giurisdizione del giudice adito per non rientrare la controversia tra quelle indicate all'art. 7 c.p.c. e l'inammissibilità della domanda siccome fondata su un mero interesse legittimo ed in quanto tale non tutelabile innanzi alla Magistratura Ordinaria. Il convenuto, pertanto,concludeva per la declaratoria di inammissibilità ed infondatezza della domanda chiedendo la condanna dell'attore ai risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. All'udienza di comparizione il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione visto ed applicato l'art. 321 c.p.c., sulle conclusioni di cui in epigrafe si riservava la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Motivi di ordine logico sistematico, inducono a procedere all'esame delle eccezioni proposte dall'avvocatura dello Stato prima di valutare la fondatezza della domanda attorea. Esse, valutate prima nel loro complesso e poi singolarmente non possono trovare ingresso. Premesso, in via preliminare che non può procedersi alla chiesta riunione dei procedimenti in quanto nessun elemento è stato fornito utile alla loro identificazione e che non si ravvisa l'opportunità di disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti del cliente dell'avv. P. sia in quanto non vi sono elementi idonei alla sua identificazione e, sia in quanto si tratta di cause scindibili, deve osservarsi, che, contrariamente a quanto eccepito dalla P.A. la presente controversia rientra ratione valoris tra quelle di cui al 1 comma dell'art. 7 c.p.c., ad avviso del giudicante non si ravvisano nell'atto di citazione le dedotte carenze espositive che possano far ipotizzare una violazione dell'art. 318 c.p.c. E' ben vero, che nell'esposizione dei fatti l'avv. P. non si limita alla descrizione di circostanze attinenti al presente giudizio ma compie un generale excursus su tutte le problematiche che affliggono gli utenti dell'ufficio del Giudice di Pace di Napoli giungendo, persino ad affrontare il problema dei parcheggi. Ciò, tuttavia, non impedisce la chiara comprensione del petitum e la stessa Avvocatura ha potuto compiutamente contraddire alla domanda. Per disposizione generale, dettata dall'ari. 386 c.p.c., la decisione sulla giurisdizione è determinata dall'oggetto della domanda, vale a dire,secondo l'ormai costante interpretazione della norma (cfr., fra le numerose altre conformi, Cass. 10 marzo 1998, n. 2643; Id., 18 dicembre 1997, n ; Id., 25 settembre 1997, n. 9429; Id., 14 febbraio 1997, n. 1398), non già in base al criterio della cosiddetta prospettazione (ossia in base alla qualificazione giuridica soggettiva che l'istante da all'interesse di cui postulala tutela), bensì secondo il "petitum sostanziale", nel senso che, ai fini suddetti, non è sufficiente e decisivo avere riguardo alle deduzioni ed alle istanze formalmente avanzate dalle parti, ma occorre tenere conto della vera natura della controversia, con riferimento alle concrete posizioni soggettive delle parti in relazione alla disciplina legale della materia. Nel vigente sistema civile, fondato

3 non su azioni tipiche, bensì su diritti soggettivi, la pronuncia sulla qualificazione giuridica, sul "nomen juris" del rapporto controverso o sulla legge applicabile, spetta, pertanto al giudice, nel legittimo esercizio dei suoi poteri, procedere alla esatta qualificazione della domanda. Orbene, appare evidente. attraverso le deduzioni e le richieste dell'attore che questi ha proposto una doppia domanda: a) la condanna della P. A. al pronto rilascio in suo favore delle copie della sentenza relativa al procedimento per cui è causa; b) la condanna del convenuto al risarcimento del danno conseguente allo stress derivante dai denunziati disservizi. Alla luce di quanto esposto, non può pertanto, dubitarsi della competenza dell A.G.O. a conoscere in subjecta materia, sia pure con i distinguo di cui si farà cenno innanzi. Se da un lato. infatti, nessun dubbio, può sussistere in ordine alla competenza dell'a.g.o. in tema di applicazione dell'art. 745 c.p.c. non merita accoglimento l'eccezione proposta dall'avvocatura dello Stato secondo la quale la posizione giuridica latta valere "non è né di diritto né di interesse legittimo ma, viceversa e una posizione per cui l'ordinamento non riconosce alcuno strumento di tutela giurisdizionale. Insegna la giurisprudenza che l'attività della Pubblica Amministrazione deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dalla norma primaria del neminem laedere; perciò, è consentito al giudice ordinario accertare, se,da parte della stessa Amministrazione, vi sia stato un comportamento colposo tale che, in violazione di detta norma primaria, abbia determinato la lesione di un diritto soggettivo, in quanto, dati i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, la stessa Pubblica Amministrazione è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall'art c.c., atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale (Cass., Sez. Un.,10 febbraio 1996, n. 1030). Nel caso in esame, l'attore ha agito davanti al giudice ordinario per ottenere(fra l'altro) la condanna del Ministero al risarcimento dei danni causati dallo stress. Egli, quindi, ha fatto valere il diritto al risarcimento del danno derivategli dall'art c.c. Come hanno affermato le Sezioni Unite, con le sentenze n. 500 e 501 del 22 luglio 1999, il diritto al risarcimento del danno è una posizione soggettiva distinta da quella di cui si lamenta la lesione come fonte del danno ingiusto. Quindi anche quando si deduce la lesione di un interesse legittimo per chiedere il risarcimento del danno derivato da detta lesione, si fa valere un diritto soggettivo, e la relativa azione appartiene sempre alla giurisdizione del giudice ordinario. Venendo, dunque, all'esame del merito della domanda, in via preliminare,deve dichiararsi l'inammissibilità del capo relativo alla richiesta di emissione del provvedimento di cui all'art. 745 c. p. c. in quanto trattandosi di atto di volontaria giurisdizione, che è adottato in esito ad un procedimento camerale e sulla sola base dell'audizione di detto cancelliere, e che non pronuncia sul diritto a quella copia, andava proposto con ricorso al Coordinatore dell'ufficio del Giudice di Pace e non in sede contenziosa (cfr. Cass. civ.,sez. I, 13 ottobre 1993, n ).

4 Di converso, fondata e meritevole di accoglimento, appare la domanda intesa ad ottenere il ristoro dei danni esistenziali conseguenti allo stress causato dal lamentato disservizio il quale, contrariamente a quanto dedotto dal resistente Ministero non necessita di prova siccome ha valenza di "fatto notorio". E' ben vero che il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio),comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fomite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati ne controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile; non si possono di conseguenza reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza,intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, ne quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione di analoghe controversie, (Cass. civ.,sez. Il, 8 agosto 2002, n ), ma in proposito, appare incontestabile che le circostanze dedotte dall'avv. P., siccome ben conosciute da tutti gli utenti (avvocati, personale dipendente, giudici e cittadini che frequentano l'ufficio del Giudice di Pace di Napoli) non richiedono ulteriore prova. Ad avviso di questo Giudice, dunque, negare il diritto dell'attore all'ottenimento del risarcimento del danno da stress vanificherebbe, parzialmente, gli sforzi del legislatore che, con la L. n. 89/2001 ha inteso garantire il diritto dei cittadini alla ragionevole durata dei processi. L'art. 2 della c. d. legge Pinto prevede la riparazione del danno patrimoniale e non patrimoniale. In ordine al danno patrimoniale esso potrà venire in rilievo sotto il profilo del danno emergente e del lucro cessante. Il ricorrente dovrà fornire idonea prova del pregiudizio patrimoniale a causa della prolungata durata del processo che l'ha riguardato, con la precisazione che con riferimento al lucro cessante ai sensi del richiamato art c.c. esso è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso. Per quanto concerne il danno non patrimoniale oltre al danno alla salute può rilevare il danno morale rappresentato dalla sofferenza, l'angoscia, l'ansia e il turbamento derivanti dall'irragionevole lungaggine del procedimento che, come visto, possono giustificare una posta risarcitoria più significativa in rapporto all'entità degli interessi in gioco. Stesso discorso può farsi per il danno esistenziale, quale ulteriore e distinta voce di danno risarcibile,rappresentato a sua volta dalla diminuzione della qualità della vita in tutti quegli aspetti attraverso i quali si caratterizza la dimensione esistenziale maturata, dovuta all'irragionevole durata del procedimento, all'incertezza dell'esito di questo e al relativo stress e turbamento. Tale norma, tuttavia,siccome espressamente riferentesi alla durata del processo (essa intesa fino al

5 deposito della sentenza), nulla prevede in relazione ai disagi connessi a problematiche particolari quali quelle lamentate dall'attore i quali, per motivi equitativi vanno analogicamente riconosciuti e risarciti. Tale capo della domanda andrà, pertanto, accolto ed in favore dell'avv. A.P. andranno liquidati i danni esistenziali conseguenti allo stress derivante dai disagi subiti; danni che nel loro ammontare si stima equo liquidare in. 500,00. Le spese del giudizio, compensate in ragione del 50% in ragione del parziale accoglimento della domanda si pongono a carico del Ministero soccombente e non appare d'uopo disporre l'attribuzione così come richiesta stante l identificazione nella stessa persona della parte e del procuratore. PER QUESTI MOTIVI II Giudice di Pace, definitivamente pronunziando sulla domanda come proposta, così provvede: a) dichiara inammissibile la domanda di emissione dei provvedimenti di cui all'art. 745 c.p.c.; b) accoglie la domanda di risarcimento dei danni esistenziali; c) condanna, per l'effetto il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p. t, al pagamento in favore dell'attore, del risarcimento danni nella misura di. 500,00 oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo; d) condanna il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p. t, al pagamento delle spese processuali che, compensate in ragione del 50%, si liquidano in tale residua misura in ragione di. 270,00 di cui. 70,00 per spese,. 125,00 per diritti ed. 75,00 per onorari di giudizio oltre IVA, C. p. A. e 12,50% a titolo di rimborso spese generali.

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