DIRITTO E POLITICA NELLA CULTURA DELL EUROPA DEI LUMI

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1 DIRITTO E POLITICA NELLA CULTURA DELL EUROPA DEI LUMI Capitolo I Il tribunale della ragione L Illuminismo giuridico Secondo il Filangieri l illuminismo giuridico è l insieme di due elementi, non considerati singolarmente, ma come coppia: la legislazione, cioè il diritto, e coloro che pensano, cioè le élites intellettuali del secolo XVIII. Alla domanda che cos è l illuminismo? Kant rispondeva: sapere aude. Kant intende l illuminismo come uscita dell uomo da una minorità, che non è mancanza di ragione, ma mancanza di coraggio di servirsene senza una guida superiore all uomo stesso. Con l illuminismo viene a radicarsi l idea che a coloro che pensano, cioè a un élite di filosofi, spetti il compito di guidare filantropicamente l umanità verso la liberazione, vista come libertà di pensiero. E l elitismo pedagogico che potrebbe però capovolgersi negativamente: con la pretesa di educare le masse dall alto, si potrebbe anche manipolare l opinione pubblica. E questa l ambiguità dell illuminismo: un volto umanisticamente nobile e un volto pericolosamente oscuro. Secondo un ampia ala dell illuminismo le capacità della ragione umana sono contenute entro i limiti dell esperienza, per cui tutto ciò che trascende il mondo sensibile direttamente osservabile è fuori dalle possibilità di conoscenza dell uomo. Tuttavia i poteri della ragione sono grandi nello studio sperimentale della natura e l uomo deve riappropriarsene, liberandosi, però, prima dalla soggezione acritica alle credenze e ai dogmi che hanno fondamento non nella ragione, ma nella illusoria autorità di una tradizione o di una rivelazione. Dunque: Primato della ragione sulla tradizione e sulla Rivelazione e quindi tolleranza religiosa, libertà di coscienza e di opinione. Il vero bersaglio dell illuminismo non è quindi la storia bensì la tradizione, vista come vecchio bagaglio di opinioni ricevute senza un controllo critico da parte della ragione. La cultura illuministica progetta così un nuovo mondo: potenziare le facoltà morali dell uomo considerato creatura perfettibile e rigenerarlo. Le armi decisive a questo scopo sono le opere dei phisolophes. La forza di tutto il movimento è l idea di progresso, cioè la convinzione che l umanità possa progredire verso forme più elevate di benessere e di incivilimento, dunque verso la felicità. Progresso non affidato ad una Provvidenza, bensì ad una progettazione razionale guidata dall uomo e ispirata al principio di utilità: il bene e il male coincidono con ciò che utile o nocivo alla società. A tal fine occorre uno spirito di riforma. Occorre una rifondazione dell ordinamento in cui si vive e riformare, cambiare radicalmente il vecchio assetto dalle fondamenta, anche a costo di demolirlo. Ecco dunque l idea illuministica della laicizzazione-razionalizzazione dello Stato, cioè di negazione alla persona del sovrano delle legittimazioni sacrali conferitegli dalla tradizione del vecchio assolutismo dinastico. E la nuova concezione dell assolutismo: secondo gli illuministi il potere del sovrano è ora fondato sulla delega che per contratto (il contratto sociale) i consociati hanno conferito al monarca, servitore dello Stato, affinché questi assicuri il bene dei sudditi. Ed è in questa ottica che matura l idea di una riduzione del potere ecclesiastico e della razionalizzazione della stessa religione. La religione non è più il sapere rivelato, ma un complesso di principi universali conformi alla natura, cioè una religione civile. L illuminismo, dice il Cavanna, non si identifica in un sistema filosofico, ma in un modo di ragionare. Poiché di fronte al giudizio della ragione è sempre il diritto in prima linea, circolano nei vari salotti di conversazione, nelle logge massoniche, nei circoli culturali attivi nelle città europee quelle opinioni critiche, quelle ideologie innovative, quelle teorie riformiste relative al diritto che noi chiamiamo illuminismo giuridico. Problematico ora risulta trovare una formula unitaria per indicare una serie di caratteri essenziali di quello che abbiamo denominato illuminismo giuridico. Giuristi Jonici 61

2 Mario Cattaneo individua nell illuminismo, in cui scorge le influenze del giusnaturalismo, due fondamenti costanti: il postulato razionalistico e quello volontaristico. In base al primo l illuminismo afferma il principio di un diritto naturale-razionale, costituito da un complesso di princìpi universali di giustizia (visti come diritti della persona umana). Con il secondo postulato si ha la nozione illuministica del diritto: il diritto positivo altro non è che la traduzione storica dei diritti naturali individuali, che consiste in una manifestazione della volontà, non arbitraria, ma ispirata a ragione, che è quella del legislatore statuale. La legge sarà non interpretabile, ma, in base all esigenza di certezza del diritto, sarà applicabile dal giudice solo in modo letterale. Altri studiosi, tra cui il Tarello, vedono, invece, nell illuminismo giuridico differenti politiche del diritto, variamente atteggiate a seconda delle specificità nazionali, anziché caratteri di omogeneità. Il Tarello, per esempio, distingue, all origine, almeno due illuminismi giuridici. Quello germanico dove le idee dei lumi ispirano subito un assolutismo illuminato e quello francese dove, invece, le idee illuministiche appaiono inizialmente di opposizione e non tradotte in pronti interventi pratici dalla monarchia, in breve non producono un assolutismo illuminato. Le due idee differiscono, ma sicuramente hanno un reciproco valore compensativo. Vi sono alcuni ambienti europei, come la piccola Lombardia austriaca del secondo Settecento, dove nasce una sorta di summa delle idee degli illuministi francesi. Di essa si impadronisce il potere assoluto, che la rende funzionale alla propria politica. Accolte entusiasticamente le idee riformiste dei philosophes francesi, a casa dei fratelli Verri, a Milano, nasce un salotto di conversazione, l Accademia dei pugni, e viene fondato il giornale satirico Il Caffè. Sono giovani e, considerandosi un élite pensante, pensano di essere capaci di formare un opinione pubblica intorno alle nozioni di giustizia e bene comune. Uno di essi, Cesare Beccarla, rielaborando le teorie giusnaturalistiche e utilitaristiche, con il suo libro Dei delitti e delle pene, del 1764, diviene il manifesto nel quale tutto l illuminismo europeo si rivolge. In primo luogo influenza i primi destinatari delle sue idee: i sovrani austriaci. Questi monarchi non possono non essere d accordo sulla necessità di sottomettere l intero corpo sociale ad un unica giurisdizione, ad un unica legge. Ciò eliminerà per sempre le prerogative del ceto togato, l autorità della Chiesa nelle aree del diritto canonico, i privilegi di foro degli ecclesiastici, i privilegi della nobiltà feudale sulle masse contadine. Idee però, è bene precisarlo, accolte con valenza statualistica, nel senso che, quando le riforme sono effettivamente varate, esse appaiono concepite secondo uno schema pianificato esclusivamente dal sovrano, che determina lui contenuti e limiti della libertà dei sudditi. Del resto il Codice Giuseppino era un capolavoro di tale politica del diritto. Leggiamo: Ogni suddito aspetta dal Sovrano protezione e sicurezza. E il Sovrano che deve determinare chiaramente li Diritti dei sudditi, e dare alle loro azioni la direzione più conforme al bene pubblico, e privato. Il monarca assoluto quindi non aveva bisogno dei philosophes. Così Cesare Beccarla si vide recapitare il severissimo codice penale Giuseppino a lavoro finito, già confezionato e tradotto in lingua italiana affinché lo leggesse e dicesse se per caso abbisognasse di qualche eventuale ritocco di dettaglio. Era questo l assolutismo illuminato. E l etica del servizio : se il popolo delega al sovrano il compito di assicurare i diritti di ciascuno ed il bene comune, al sovrano spetta un potere incondizionato per l adempimento di tale compito. Un potere controbilanciato da un obbligo altrettanto ferreo: emanare leggi certe intorno ai diritti dei singoli e al bene della società, che una volta emanate devono essere rispettate non solo dal giudice, ma dal sovrano stesso. Il despota illuminato ha dunque tutti i diritti e tutti i doveri. E lui l interprete della Ragione: pretende di rendere felici i suoi sudditi, ma allo stesso tempo dice loro come devono essere felici. Si può concludere dicendo che i despoti illuminati pensano con le parole dei philosophes, ma senza conferire loro lo stesso significato. Giuristi Jonici 62

3 Capitolo II Antropologia e diritto nell illuminismo Vediamo ora attraverso quali percorsi mentali gli illuministi si sono accostati al fenomeno diritto. Il punto di partenza va identificato nell idea fondamentale della cultura dei lumi: la centralità della politica e delle ideologie politiche nella vita delle società. La politica è il laboratorio principale in cui si realizzano i valori, tra i quali il primo è quello della giustizia, che coincide anche con la maggiore felicità pubblica ed individuale possibile. Il bene comune è il fine etico che la politica deve realizzare attraverso il diritto, che è il modo di organizzazione razionale dell esistenza associata: non può esserci, tra gli uomini, giustizia senza diritto. Diceva Beccarla che ogni buona legislazione è l arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo di infelicità possibile. La politica è potere, ma deve essere l opinione pubblica ad attribuirgli questo potere, questo monopolio del diritto. E l opinione ciò che procura al legislatore il consenso ad agire da parte del supremo legittimatore delle scelte politiche: il popolo, o se si vuole, la società civile. Sono gli intellettuali i costruttori dell opinione pubblica. Sono essi gli elaboratori delle ideologie di sostegno al potere e, allo stesso tempo, i programmatori della gestione del diritto. Ricordiamo a tal proposito la frase del Filangieri: La legislazione è oggi questo oggetto comune di coloro che pensano. Secondo gli illuministi esiste una stretta minoranza pensante che ha una duplice funzione: indicare al sovrano gli obiettivi benefici e i mezzi giuridici per raggiungerli; educare il popolo a capire l essenza della felicità perseguita dalla legge. Una minoranza colta che esercita il pensiero ed il controllo dei processi educativi: questo è ciò che viene definito elitismo pedagogico. Questo presuppone l infantilizzazione delle masse: esse sono ritenute incapaci di compiere da sole scelte razionali, per cui devono essere abituate alla libertà da coloro che pensano (luogo comune dell idea illuministica, soprattutto francese). Alla fine - dice Votaire - gli uomini pensanti governano gli altri. Quello francese aggiunge sarà sempre un popolo ignorante e debole, che ha bisogno di essere guidato dagli uomini illuminati. Non vede, bisogna precisarlo però, grandi miglioramenti. P. Verri vede nel comportamento del popolo quello del bambino. Per lui l imperativo è scoglionire la moltitudine. Educare il popolo presuppone la perfettibilità del genere umano e la sua capacità di progressiva elevazione morale, una volta fatto oggetto di opportuno trattamento pedagogico. Non è ottimismo verso la natura umana bensì verso l educazione. Un uomo così modificabile può apparire un essere passivo e manipolabile, privo della libertà come qualità innata. Gli illuministi risolvono così in termine riduttivo il problema della libertà dell uomo. Essi reinterpretano le dottrine del giusnaturalismo, secondo le quali di innato, nella natura dell uomo, non c è la libertà, ma se mai una predisposizione ad essere educato alla felicità: educato dallo Stato,creatore di giustizia. L illuminismo tedesco, invece, accoglie l idea del contratto sociale al quale necessariamente deve essere collegata l idea della libertà degli individui. Stesso discorso farà, come vedremo, Rousseau: l uomo non è essere passivo, ma attivo ed intelligente. Voltaire, invece, molto meno ottimista di Rousseau, risolve in modo diverso il problema dell immortalità dell anima: Dio ha solo creato l universo. Ha creato gli animali e l uomo, ma si è poi disinteressato delle loro scelte morali, abbandonandoli al loro destino (è la concezione del deismo). Voltaire, in tutti i modi, ritiene una follia privare le masse del timore del sacro, reputandolo indispensabile per l ordine sociale. Le masse, infatti, credendo in un anima immortale, in un Dio vendicatore dei deboli, si reputano libere. Bisogna soltanto, aggiunge, impedire ai preti di abusare di questa dottrina. E chiaro che, secondo Voltaire, la libertà è una chimera assurda. Più in là si spingono, sul filo di un risoluto materialismo ateo, altri famosi illuministi francesi, come Diderot, D Holbach o Helvétius. Giuristi Jonici 63

4 Secondo Diderot la parola libertà non ha senso, mentre per D Holbach l uomo non è mai libero, ma guidato nei suoi passi da tutto ciò che egli ritiene per sé vantaggioso. Helvetius, infine, vede l uomo guidato dalle sue passioni e dall amore di sé. L uomo è come l animale, ha solo il tatto e la parola in più. Il legislatore, pertanto, per formare gli uomini, deve conoscere i fili che muovono gli esseri umani e saper sfruttare gli interessi personali a beneficio dell interesse pubblico. Come si vede dunque, l uomo è un essere passivo che può essere sfruttato e lo si può educare facendogli credere di essere libero, inducendolo a comportarsi socialmente come se fosse naturalmente virtuoso. Dottrine antropologiche meno riduttive, troviamo, oltre che in Rousseau e negli ambienti dell illuminismo tedesco ed austriaco di cui abbiamo già accennato, anche nell illuminismo lombardo. Alessandro Verri si scaglia contro l ateismo troppo manifesto negli illuministi francesi, mentre il fratello Pietro vede l uomo che, se pur non nasce libero, può appropriarsi di quella libertà in cui risiede la sua dignità e la facoltà di essere padrone di sé stesso. E il diritto positivo, applicato da un saggio legislatore, che determina i comportamenti degli uomini. Essi saranno buoni o malvagi a misura della sapiente creazione delle leggi. Secondo Pietro, inoltre, il deismo anticristiano degli illuministi francesi minaccia la società, per cui la religione è sempre uno strumento indispensabile per garantire la morale in una società. Beccaria afferma che non vi è libertà quando le leggi permettono che in alcuni eventi l uomo cessi di essere persona e diventi cosa. Come si nota, per i tre lombardi vale la formula felicità uguale giustizia. Giustizia vista come legalità del diritto e del processo penale. Se è pur vero che l antropologia dei nostri illuministi ha conferito una nobile identità all ambiente lombardo, è pur vero che la concezione dell elitismo pedagogico resta dominante anche per loro. Ma, dice il Cavanna, bisogna ammettere che la pedagogia giuridica della felicità, la perfezione delle virtù umane attraverso la legge, l ingegneria sociale praticata da un élite privilegiata di moralisti, hanno rappresentato sì un mito, ma anche la più grande illusione dell illuminismo. L illuminismo non si è mai arreso di fronte a queste velleità pedagogiche. Lo vedremo, infatti, con i vari grandi illuministi alla corte dei vari sovrani europei. Cadranno in disgrazia presso di loro e solo allora, mortificati, si renderanno conto delle loro velleitarie idee. I sovrani corteggiano gli illuministi in nome della Ragione, ma con la riserva mentale di pilotarli. Kant ricorda una risposta di Federico II a Helvetius: ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete, ma ubbidite. Fin qui i percorsi mentali, coi quali gli illuministi si sono accostati al fenomeno diritto. Nel pensiero dell illuminismo, dunque, la legge può funzionare come strumento infallibile di rigenerazione sociale, ma può avvenire solo a condizione che il legislatore conosca i bisogni essenziali e la natura dell uomo, rapportandovi le proprie norme per perfezionarlo o addirittura trasformarlo in vista del bene comune. E dunque l antropologia presupposta dal legislatore il punto decisivo. Ma qual è la natura dell uomo? Secondo i materialisti (Diderot, D Holbach, Helvétius) l uomo non è libero, ma agisce sotto le sue pulsioni. Il legislatore deve saper far funzionare queste pulsioni egoistiche come socialmente utili. Così, l uomo sarà manipolato e contribuirà, a sua insaputa, al bene comune. Per gli illuministi lombardi l uomo non nasce libero, ma è capace di libertà grazie alla virtù innata della perfettibilità. Sarà il saggio legislatore ad elevarlo. La prerogativa dell uomo è dunque la vocazione alla libertà. Secondo la corrente Wolffiana, a cui appartengono gli illuministi d area germanica, la natura dell uomo è il fondamento di un razionale sistema di libertà e di obblighi innati che corrispondono a inderogabile leggi naturali. Tutti i diritti dell uomo derivano dalla natura; non Giuristi Jonici 64

5 c è contraddizione tra legge naturale e Rivelazione cristiana; in virtù di un contratto sociale il sovrano guiderà i suoi sudditi verso la felicità. I fisiocratici si avvicinano alla concezione wolffiana. Le leggi, devono obbedire ad un razionale ordine naturale. La legislazione positiva, se vuole produrre benessere e felicità, deve rispettare e ricalcare una necessitante razionalità giuridica naturale. Per i fisiocratici l uomo dello stato di natura è l individuo che possiede beni per il proprio vantaggio. Entrando nella società civile, o stato di giustizia, come loro chiamano, il possesso individuale dell uomo diventa libero esercizio di un diritto di proprietà legalmente tutelato. Oltre Manica (filone anglo-scozzese, da ricordare Bernard de Mandeville ed il filosofo economista Adam Smith) l uomo è considerato una figura essenzialmente egocentrica, che si muove sotto passioni, che il saggio legislatore può bilanciare con l interesse pubblico. Pur nel suo egoismo, però, l uomo partecipa alle passioni, alle gioie e d alle sofferenze altrui, immaginandole come proprie e sa di potersi attendere queste reazioni da parte di ognuno. Si creano così delle relazioni, rapporti fra soggetti attori e soggetti spettatori, con un alterno scambio di ruoli, dove, per esigenza d identità, sono favorite le passioni socialmente approvabili e scoraggiate quelle riprovevoli. Il risultato è che l intera società viene ad essere munita di un spontaneo, benefico potere di auto-equilibrio e autodisciplina. Contro il diritto di proprietà, allo stesso modo, si schiera il filosofo Morelly. Egli intende far ritornare l uomo alla sua naturale felicità originaria sopprimendo l artificiale istituzione della proprietà ed istituendo un organizzazione della società civile, del lavoro, dell educazione e dell assistenza pubblica radicalmente egualitaria. Per Voltaire gli uomini nascono liberi e sanno distinguere il bene dal male, il giusto dall ingiusto. Lo stato di natura, commenta, è formato dalla libertà e dalla proprietà. Condannando il diritto positivo come un caos di leggi contraddittorie e illiberali, sente la necessità di un saggio legislatore (un monarca illuminato amico della libertà) che promulghi un diritto semplice, chiaro e ragionevole, come appunto il diritto naturale. Rousseau, invece, come vedremo, sarà contrario alla concezione dell illuminismo illuminato. L uomo, dice, ha bisogno del Contratto sociale, poiché allo stato di natura era un bruto isolato e libero ed ha bisogno di cambiare per esistere. Chi deve essere preposto all organizzazione normativa deve conoscere la natura originale dell uomo per poterla cambiare. Il legislatore trasforma l uomo da libero selvaggio a libero cittadino. Il pensiero di Condorcet, matematico, filosofo, uomo politico, in senso ideologico e cronologico l ultimo degli illuministi, costituisce la summa dei moduli mentali dei diversi filoni del razionalismo illuministico. Egli vede nel patto sociale l elemento che ha posto fine allo stato di natura ed ha creato lo stato civile. Gli uomini, cioè, si sono associati per conservare i loro diritti naturali: sicurezza della loro persona e della famiglia, la libertà e la proprietà. Anche per lui la conoscenza della natura umana è condizione fondamentale di una benefica legislazione. Ora possiamo trarre qualche deduzione conclusiva. A partire dalla metà del secolo XVIII si fa attiva un élite di intellettuali, rappresentata un po in tutta Europa, soprattutto addensata nei dintorni di Parigi. Questi filosofi hanno l ambizione di illuminare il potere politico e nello stesso tempo di creare il pubblico consenso. Se alcuni predicano la dottrina del Contratto sociale, quale atto di cessazione dello stato di natura, di fondazione dello Stato e delega del potere politico a un sovrano, tutti ritengono che il fondamentale strumento costruttivo per realizzare il bene degli uomini in società (la giustizia cioè) sia il diritto. E la religione della legge e la gigantizzazione della figura del legislatore. Tutti gli illuministi si orientano secondo queste prospettive di partenza: A) occorre una riforma giuridica, economica e istituzionale della società; B) l obiettivo è quello del bene comune; C) la legge è indispensabile per raggiungere tale fine; D) la legge deve fondarsi su presupposti antropologici (conoscenza della natura umana) per realizzare il bene comune, anche se su questo abbiamo notato una divaricazione di correnti. Giuristi Jonici 65

6 I pilastri francesi dell Illuminismo giuridico Montesquieu Nato da nobilissima famiglia nel 1689, Montesquieu pubblica nel 1748, anonima, a Ginevra, la sua opera più importante e monumentale: L'esprit des lois (Lo spirito delle leggi), un lavoro tra i maggiori della storia del pensiero politico, vera e propria enciclopedia del sapere politico e giuridico del Settecento. Esprimere idee nuove non era facile in quel secolo. Montesquieu non era certo un rivoluzionano, eppure la sua critica dei pericoli dispotici della monarchia assoluta gli aveva già provocato dei nemici, tanto che la seconda grande opera, le Considerazioni sulle cause della grandezza e della decadenza dei Romani, non poté essere pubblicata in Francia. Qui la grandeur di Roma derivava dalla moderazione della Repubblica, la décadence dall'arbitrio e dal dispotismo dell'impero. Le persecuzioni contro L'esprit des lois, non mancarono, ma il successo fu grandioso. In pochi anni si ebbero in Europa, non meno di venti edizioni dell'opera, che fu tradotta in tutte le principali lingue del continente (anche in Italia, nel 1777, per opera dell'illuminista napoletano Antonio Genovesi). I sovrani del Settecento, soprattutto Caterina di Russia, si ispirarono a lui per le loro riforme «illuminate». Fu meno apprezzato fu proprio in patria (Voltaire e Condorcet lo criticarono). La novità dello Spirito delle leggi è in quella parola «esprit» del titolo, con la quale Montesquieu vuole indicare un nuovo modo di affrontare il problema. Egli parte dalla relatività delle leggi: il regime politico, i costumi, il clima, la religione, il commercio influenzano e modificano la formulazione delle leggi. Le leggi pertanto sono sempre in rapporto imprescindibile di dipendenza con questi fattori. Lo spirito delle leggi è appunto l insieme dei rapporti fra la legge stessa e queste variabili. Diverse sono le cose lecite e proibite nei diversi Paesi e nello stesso Paese in epoche diverse. Il diritto - dice Montesquieu varia da società a società, ed è un caso raro che le leggi di una nazione possano convenire ad un altra. Ben più della formulazione scritta (il «codice») conta dunque lo «spirito», ossia quel complesso di cause, radicate nel costume di un popolo, che inducono gli uomini a definire i valori e le finalità delle leggi scritte. Montesquieu cerca, così, di dimostrare come le istituzioni e le leggi dei vari popoli non costituiscono qualcosa di casuale e arbitrario, ma sono strettamente condizionate dalla natura dei popoli stessi, dai loro costumi, dalla loro religione, ecc. Le leggi -dice Montesqueiu- sono i rapporti necessari che derivano dalla natura delle cose. Le leggi sono, cioè, le regole che determinano i rapporti fra tutti gli esseri secondo una necessità naturale, una logica della natura. Come tali, essi sono quei rapporti: norme derivanti dalla conformazione biologica e psicologica dell uomo (e non di norme razionali). Il Cavanna dice che quello di Montesquieu è un giusnaturalismo di tipo empirico: naturalistico e non razionalistico. Montesquieu nel libro XIX, analizza i generi di poteri, e traccia la costituzione fondamentale di un governo, e nell'esporla tocca il suo apice, rendendo accessibili i temi fondamentali della libertà politica, e quindi i tre tipi di governo degli uomini: la repubblica, la monarchia e il dispotismo. Il governo repubblicano è quello in cui il popolo, nel suo complesso o soltanto parte di esso, detiene il potere sovrano; il monarchico quello in cui uno solo governa, ma attraverso leggi fisse e stabilite; mentre nel governo dispotico un solo individuo, senza leggi né regole, trascina tutto secondo la sua volontà o i suoi capricci. Quest'ultimo governo, non retto dalle leggi ma dalla forza e dall'arbitrio illimitato di un singolo, é considerato da Montesquieu un ordinamento contraddittorio: dovrebbe garantire la sicurezza e la pace dei sudditi a prezzo della loro libertà, ma la tranquillità e la sicurezza sono incompatibili col terrore, che è il principio su cui si fonda il suo potere. Al polo opposto del dispotismo è la repubblica, cioè la forma di governo in cui il popolo è al tempo stesso monarca e suddito. L'essenza di questo governo è che il popolo fa le leggi e elegge i magistrati, detenendo sia la sovranità legislativa che quella esecutiva. Giuristi Jonici 66

7 La forma che sta in mezzo è la monarchia regolata, la monarchia costituzionale, in cui Montesquieu vede contemperate le caratteristiche positive sia del regime monarchico assoluto, che di quello repubblicano (forma di governo rappresentata dall'inghilterra). La tesi fondamentale è che può dirsi libera solo quella costituzione in cui nessun governante possa abusare del potere a lui confidato. L'unica garanzia contro tale abuso è che "il potere arresti il potere", cioè la divisione dei poteri: il legislativo, l'esecutivo e il giudiziario (i tre poteri fondamentali) debbono essere affidati a mani diverse, in modo che ciascuno di essi possa impedire all'altro di esorbitare dai suoi limiti convertendosi in abuso dispotico. La riunione di questi poteri nelle stesse mani, siano esse quelle del popolo o del despota, annullerebbe la libertà perchè annullerebbe quella "bilancia dei poteri" che costituisce l'unica salvaguardia o "garanzia" costituzionale in cui risiede la libertà effettiva. Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica". Ne deriva che i tre poteri di fare le leggi, di eseguirle e di giudicare i delitti non possono appartenere a un solo uomo o a una sola classe sociale. Essi debbono essere distinti, come avviene nel sistema inglese: al re l'esecutivo e il blocco del legislativo (veto); alle Camere (quella ereditaria dei nobili e quella elettiva del popolo) il legislativo, a una magistratura scelta dal popolo il giudiziario. Solo la separazione è garanzia di libertà. Le leggi, dice Montesquieu, devono essere chiare, concise e semplici. Le leggi penali, poi, devono essere buone : umanità delle pene e del processo penale. E il requisito necessario ai fini della libertà. I comportamenti vietati e le pene che li puniscono devono essere assolutamente anticipatamente indicati, e indicati con una legge applicabile dal giudice: è la certezza del diritto. Leggi certe e buone dunque. Le leggi inutili, quelle che comminano pene crudeli, non proporzionate, sono tiranniche. Nel processo penale Montesquieu indica alcune garanzie processuali: insufficienza di un solo testimone, maggiore acquisizione delle prove, insomma più diritti della difesa. Montesquieu auspica inoltre un controllo al potere dello Stato, in vista della libertà dei cittadini, assicurata dal diritto (bisogna dire che Montesuieu non vede lo Stato come potenziale nemico della libertà dei cittadini). Certamente Montesquieu teorizza i presupposti tecnico-politici dell idea di codificazione, ma il filosofo, in ossequio all idea della irriducibile relatività e variabilità del diritto, vede il codice come ostacolo all affermarsi di tale idea. L enciclopedia L' Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri è una vasta enciclopedia pubblicata nel XVIII secolo, in lingua francese, da un consistente gruppo di intellettuali sotto la direzione di Diderot e D'Alembert. Essa rappresenta un importante punto di arrivo di un lungo percorso teso a creare un compendio universale del sapere, nonché il primo prototipo di larga diffusione e successo delle moderne enciclopedie, al quale guarderanno e si ispireranno nella struttura quelle successive. La sua introduzione, il Discorso Preliminare, è un'importante esposizione degli ideali dell'illuminismo, nel quale viene altresì esplicitato l'intento dell'opera di incidere profondamente sul modo di pensare e sulla cultura del tempo. Viene fatto il punto degli straordinari progressi conseguiti dal pensiero umano, il punto delle nuove conoscenze tecniche, scientifiche e filosofiche, da mettere a disposizione di un pubblico mediamente colto: è in risalto cosa può fare il progresso. L Enciclopedia è un opera simbolo, lo strumento di lotta e di propaganda della Ragione illuministica, di coloro che pensano e che vi hanno contribuito coi loro scritti al fine di illuminare l umanità rimasta prigioniera dell ignoranza e della superstizione. Voltaire Voltaire, è sicuramente l'autore che meglio rappresenta i caratteri, gli ideali e i limiti dell'illuminismo francese. In lui convivono il filosofo, lo storico, il politico, il poeta e il romanziere. Giuristi Jonici 67

8 Nato a Parigi nel 1694, egli fu esponente di quell'agiata borghesia francese che si avviava ad assumere un ruolo di primo piano nella vita economica e culturale del paese. Durante la sua lunga vita non gli mancarono onori e incarichi prestigiosi. Attraverso gli uffici di madame de Pompadour, favorita di Luigi XV, fu nominato storiografo e poeta di corte. In stretti rapporti epistolari con il futuro re di Prussia, Federico II il Grande, quando i suoi rapporti con la corte francese si guastarono del tutto, si trasferì a Berlino presso il suo nuovo protettore, ormai asceso al trono. L'amicizia tra Voltaire e Federico II è emblematica dei rapporti che la prima generazione di illuministi cercò di intrattenere con il potere politico: l'idea generale era quella di riformare il tutto per avere una società più giusta, nella quale dominasse la ragione e si cercasse il bene per l'uomo; si cercò quindi di riformare partendo dall'alto, ossia cercando alleanze con i sovrani. I filosofi speravano di avere udienza presso i potenti, coinvolgerli nei programmi razionalistici e promuovere attraverso di essi, dall'alto la riforma della società: tutto ciò diede luogo alle esperienze dell'assolutismo illuminato. Ma le speranze riposte in Federico II rimasero deluse. Di derivazione inglese è il deismo di Voltaire, avversario di ogni religione rivelata (schiacciate l infame era il suo pungente motto contro la Chiesa cattolica) quanto di ogni forma di ateismo: l'esistenza di Dio, causa e ordinatore del mondo, è razionalmente dimostrabile, mentre va al di là di ogni conoscenza umana la definizione dell'essenza e degli attributi divini. Secondo Voltaire, Dio é il motore immobile, il garante dell'ordine nell'universo; ma la provvidenza di Dio si limita a garantire l'ordine e la necessità delle leggi naturali e non investe le vicende umane. Sicuramente il tratto più caratteristico dell'opera di Voltaire è la polemica religiosa, politica e sociale che contraddistingue soprattutto l'ultimo periodo della sua vita. La concezione deistica di Voltaire viene ora apertamente finalizzata alla critica del cristianesimo, inteso come fonte di intolleranza e di guerra e, quindi ostacolo allo sviluppo storico dell'umanità: una religione come quella cristiana impedisce all'uomo di servirsi della propria ragione imponendogli di compiere assurdi atti di fede. V. dice che la religione (qualunque) è socialmente utile, e la credulità delle masse è comprensibile, mentre è il fanatismo clericale, persecutorio, integralista ad essere infame. Analogamente, in ambito politico, Voltaire difende il diritto d ogni cittadino alla libertà civile e politica (in primo luogo alla libera espressione delle proprie idee), in contrapposizione a un assolutismo dal quale egli non si attendeva ormai più alcuna collaborazione. I diversi aspetti della polemica illuministica di Voltaire trovano quindi il loro centro unificatore nella difesa della tolleranza come valore imprescindibile per garantire pace, giustizia e progresso civile. Per Voltaire, libertà è riconoscere a ciascuno il diritto di professare le proprie convinzioni religiose. Un contributo estremamente rilevante al pensiero illuministico è dato da Voltaire anche sul terreno della riflessione storica. Per il filosofo la storia consiste in un graduale processo d incivilimento, di civilisation, dell'umanità, a partire dalla condizione selvaggia fino alle quattro grandi espressioni della civiltà umana: l'atene di Pericle, la Roma di Cesare e Augusto, la Firenze dei Medici e la Francia di Luigi XIV. Il progresso non è quindi qualcosa di ininterrotto, ma conosce pause e involuzioni, come dimostra il periodo del Medioevo. Bisogna anche dire che se esiste una tradizione storiografica che associa alla battaglia condotta da Voltaire per la libertà religiosa un suo corrispondente impegno civile a favore dell eguaglianza, per il Cavanna, invece, ciò rappresenta uno dei tanti miti costruiti intorno alla figura del filosofo. Secondo il Cavanna, Voltaire si preoccupò di argomentare perlomeno quattro idee perfettamente antiegualitarie: quella della insopprimibile disparità della condizione economica degli individui; quella della naturale diversità genetica e intellettiva delle razze umane; quella dell inferiorità del popolo ebreo; quella, infine, dell immaturità delle masse popolari in genere. A) Per Voltaire esisteranno sempre poveri e ricchi: chi nasce povero andrà sempre più abbruttendosi per il suo lavoro, senza rendersene conto. Quando se ne accorgerà ci saranno le guerre, ma queste guerre finiranno sempre con l asservimento del popolo, perché i potenti hanno il denaro. L eguaglianza è pertanto naturale nel diritto, ma chimerico in fatto. B) Il secondo punto rappresenta un rospo da inghiottire per chi fa dell illuminismo un momento di battaglia universalistica per l emancipazione dell umanità. La razza nera è considerata inferiore. Giuristi Jonici 68

9 C) Notevole in Voltaire l antisemitismo. Per Voltaire il giudizio sugli ebrei è questo: un popolo ignorante, barbaro, avaro ed intollerante verso tutti gli altri popoli. D) Questo quarto punto rispecchia il pensiero illuminista sulle masse: il popolo deve essere guidato, non istruito, perché esso non è degno di questo. Solo un piccolo gruppo di uomini sono illuminati. I paysan sono zotici che vivono in capanne coi loro animali e le loro femmine. Vediamo ora Voltaire nel campo del diritto ed in quello della giustizia. Intanto, egli parte dal presupposto che esiste una giustizia naturale, razionale e universale, che si contrappone, come una morale congenita valida per tutti gli uomini, alle leggi positive. Dappertutto il furto, la violenza, l omicidio, la cospirazione contro la patria, sono delitti evidenti, puniti sempre, anche se in modo diverso. Le leggi umane, insieme alle tante consuetudini, abbondanti, confuse, mal fatte e contraddittorie, spesso si allontanano da questa intuizione del giusto e dell ingiusto. Ci sono 144 coutumes in Francia che hanno forza di legge, e queste leggi sono quasi tutte diverse. Sono dunque la frammentazione del diritto e la diversità delle giurisprudenze che colpiscono Voltaire, il quale auspica una soluzione simultaneamente distruttiva e costruttiva: fare tabula rasa del vecchio regime giuridico e sostituirlo in blocco con un diritto nuovo. Un diritto nuovo dove ogni legge deve essere chiara, coerente e precisa un modello di certezza del diritto=libertà con diversi punti essenziali: a) supremazia della legge su consuetudine, dottrina e giurisprudenza; b) necessaria chiarezza; c) tassativo divieto di interpretazione extra-letterale. Voltaire parlò di codice soprattutto a proposito della parte dell ordinamento positivo che a suo giudizio più abbisognava di essere rifatta: il diritto penale e processuale penale. Secondo Voltaire il nuovo diritto non può essere promulgato che dal sovrano illuminato: è la dottrina dell assolutismo illuminato. La legge del sovrano filosofo non può che essere giusta e certa e, nel suo agire, il sovrano, guidato dall élite pensante, rende felici e liberi i suoi sudditi. Voltaire ritiene che sia più utile alla società contemplare una pena mite e proporzionata ad un delitto e che il processo penale sia fondato sulle basi del principio di legalità. Come si può notare Voltaire aderisce quasi totalmente alle tesi di Montesquieu e di Beccaria. Nella repressione penale, inoltre, il filosofo considera i delitti contro la religione peccati e non reati, da lasciare alla giustizia divina e, pertanto, da depenalizzare. Per ciò che concerne la procedura penale, Voltaire afferma che il regime probatorio della vigente Ordonnance criminelle, promulgata da Luigi XIV, sia da abolire in quanto può mandare sul patibolo una persona anche solo in base a congetture o a mezze prove. E contrario alla tortura in generale, ammessa solo in casi eccezionali, per delitti efferati, per estorcere il nome dei complici (Beccaria, invece, è contrario in ogni caso).sulla questione della pena di morte, infine, Voltaire ne auspica una massiccia riduzione, da sostituire con i lavori forzati. J. Jacques Rousseau Se Voltaire è il rappresentante della formula politica dell assolutismo illuminato, J. J. Rousseau, invece, personifica il più radicale ripudio di quella formula, e se è facile escludere l immagine dell antidemocratico Voltaire, cortigiano dei re, quale ispiratore della Rivoluzione, più problematico è valutare l uso che la Rivoluzione fece delle pagine del Rousseau. Robespierre per primo si riconobbe in Rousseau, di cui fece l elogio nella famosa orazione sul culto dell Ente supremo del 7 maggio Sicuramente ritroviamo nella Rivoluzione alcune idee di fondo di Rousseau, come il generico egualitarismo, il primato della legge, il concetto della sovranità popolare, la definizione stessa di legge quale espressione della volontà generale, e soprattutto la vocazione alla rigenerazione dell individuo e alla ricostruzione da capo della società, così come parimenti possiamo affermare che il Contratto sociale è il libro della legge della Rivoluzione stessa. Bisogna dire, però, che Rousseau non aveva previsto né la Rivoluzione, né il terrore, né possiamo dichiararlo attivatore della Rivoluzione per il suo innato orrore per la violenza. Possiamo dunque affermare che la parola di Rousseau non ha determinato la Rivoluzione, ma ha suscitato il sentimento che conferiva all avvenimento il suo senso maestoso. Giuristi Jonici 69

10 L' uomo é nato libero e ovunque é in catene: con questa amara considerazione inizia il Contratto Sociale. Il problema era piuttosto quello di trovare una forma di contratto sociale, mediante la quale gli uomini, pur entrando necessariamente e giustamente nella società civile e godendo della sicurezza che essa offre, conservassero l'eguaglianza che caratterizza lo stato naturale e non entrassero in uno stato caratterizzato dalla disuguaglianza e dai soprusi. Importante è dunque la formula del contratto sociale, che Rousseau definisce nei seguenti termini. Nel patto sociale ciascun individuo deve cedere tutto sé stesso e tutti i suoi diritti, ma il destinatario di questa alienazione non è un singolo individuo (un " terzo"), bensì il corpo politico nella sua interezza: ciascuno cede tutti i suoi diritti individuali per poi riprenderli come collettività. Il contratto in Rousseau è il momento in cui gli individui, consapevoli e liberi, costruiscono la società attraverso un patto di associazione e non di sottomissione, perché ognuno nel cedere alla comunità la propria sovranità diviene automaticamente sovrano di sé stesso. Un atto costitutivo della comunità che avviene sul piano di un assoluta uguaglianza. Volontà sovrana e unitaria: nella formula di Rousseau sovrano e sudditi, governati e governanti non risultano più contrapposti per la semplice ragione che si identificano. I sudditi diventano cittadini, i cittadini formano quell insieme indivisibile che è il popolo, il popolo è il nuovo sovrano. La libertà è dunque lo scopo del contratto, così come l eguaglianza né è il presupposto. Si tratta della libertà civile, naturalmente, che l associato riceve in cambio della propria (non più garantita) libertà naturale. La libertà civile ha il vantaggio di essere giuridicamente tutelata dal contratto. E il bene comune il fine dello Stato nato dal contratto e insieme l obiettivo unico della volontà generale, nel cui esercizio consiste tipicamente la sovranità. A sua volta la volontà generale si esprime attraverso la legge. Quest idea della legge come espressione della volontà generale rappresenta la democratizzazione rousseauniana della concezione volontaristica della legge stessa. La legge è diretta e si applica a tutti, senza distinzioni. Il popolo è soggetto, ma allo stesso tempo è autore delle leggi. La legge è sempre giusta ed è garanzia di libertà e di eguaglianza. Il Cavanna, a questo punto, ci parla dell ostilità nei confronti della nozione di rappresentanza da parte di Rousseau. Il filosofo, non fidandosi ciecamente del popolo, che definisce moltitudine cieca, per l iniziativa legislativa ricorre alla figura del sapiente, del Grande legislatore. Una volta che il legislatore ha fatto le leggi, esse devono essere sottoposte ai liberi voti del popolo: è una forma di democrazia referendaria, secondo cui la sovranità, inalienabile e indivisibile, non può essere rappresentata. I deputati del popolo non sono dunque, né possono essere, i suoi rappresentanti, sono soltanto i suoi commissari; essi non possono concludere nulla in modo definitivo. Al concetto di rappresentanza della sovranità popolare tramite delegati (tipica dei regimi parlamentari quali l'inghilterra), egli contrappone dunque una forma di democrazia diretta, in cui i membri del corpo politico assumono le delibere di persona riunendosi in assemblea. Conseguentemente, la proposta politica di Rousseau, pur essendo indirizzata a qualsiasi forma di organizzazione politica, comporta una netta preferenza per gli Stati di piccole dimensioni (dottrina del piccolo Stato), prendendo a modello la piccola repubblica sul tipo della Sparta antica o i cantoni svizzeri, mentre resta chiaramente inapplicabile in una grande nazione moderna come la Francia. L occasione per parlare di codici e del relativo problema del rapporto fra giudice e legge viene offerta a Rousseau dal governo polacco. Nelle Considerazioni sul governo della Polonia il filosofo scrive che bisogna fare tre codici: uno politico, uno civile ed uno criminale, tutti e tre chiari, brevi e precisi il più possibile. Aggiunge, inoltre, che devono essere insegnati non solo nelle università, ma anche in tutti i collegi. Quest insegnamento, così, attribuisce alla legge codificata una decisiva influenza educativa. Rispetto alla possibilità di lasciare una certa discrezionalità ai giudici, per gli eventuali casi non contemplati dai codici (classica opinione illuministica in tema di interpretazione), Rousseau, invece, postula la più rigorosa e integrale subordinazione del giudice alla legge. Giuristi Jonici 70

11 L illuminismo italiano Capitolo I Lumi lunari Salvo alcune eccezioni, il pensiero ed i modi di ragionamento degli illuministi italiani sono molto condizionati da quello francesi. Molte idee illuministiche, però, fra cui la polemica antigiurisprudenziale o la teorizzazione di un diritto certo e non abbisognevole di interpretazione, erano già presenti nella cultura italiana del primo 700, che molti storici hanno chiamato preilluminismo. Ricordiamo G. Vico, il napoletano Pietro Giannone ed il modenese L. A. Muratori col suo celebre Dei difetti della giurisprudenza. I temi di questi preilluministi saranno ripresi più tardi secondo le formule recepite in Italia dalle lumières francesi. Per usare un espressione del Tarello, quello italiano è una variante poco significativa dell illuminismo giuridico: un illuminismo di riflesso, fatto di luci riflesse, come quelle lunari. I nostri sono lumi solari, invece, nell ambito del diritto penale, ed il libro-manifesto di Beccaria, tradotto in molte lingue, fa il giro dell Europa. Diamo ora uno sguardo agli altri illuministi italiani. La Napoli della seconda metà del 700 rappresenta un vero e proprio polo italiano di irradiazione della cultura illuministica, dove troviamo innanzitutto la figura del moderato Antonio Genovesi. Questi afferma l esistenza di un immutabile e universale diritto naturale, ma si distacca dalla classica tendenza illuministica francese ammettendo l inevitabile possibilità da parte del giudice di una interpretazione integrativa ed extra-letterale del diritto civile. Al Genovesi possiamo accostare F. Mario Pagano, politico e criminalista, che sente la necessità di una codificazione statuale come rimedio all incertezza ed alla confusione della vigente legislazione. Un altro illuminista meridionale è Giuseppe Maria Galanti che critica aspramente la situazione patologica del diritto del suo Paese e la sottocultura avvocatesca. Le consuetudini napoletane -dicesono la vergogna della ragione umana. Tutto è incerto, contraddittorio e arbitrario. Gaetano Filangieri rappresenta la figura più importante della Napoli dei lumi. Esperto nel campo penale, si sentono in lui le influenze di Montesquieu e Beccaria. Anche se morto giovanissimo (36 anni) si mette in luce per aver celebrato la saggezza del ministro Tanucci (scrive e dedica a lui le sue Riflessioni politiche ), che è riuscito ad ottenere da Ferdinando IV due dispacci clamorosi e sconvolgenti: i giudici partenopei devono d ora in poi motivare le loro sentenze ed inoltre si devono attenere alle leggi del Regno e non alle loro opinioni incerte ed arbitrarie (i dispacci hanno creato la rabbiosa reazione conservatrice degli scandalizzati giudici ed avvocati, e sono abrogati nel 1791). La sua opera maggiore è La Scienza della legislazione. In cinque tomi, l opera è dedicata nei primi due alle regole generali della scienza legislativa ed alle leggi politiche ed economiche. Il terzo è occupato dalla materia penale e processuale penale, mentre il quarto si interessa della regolamentazione di educazione, costumi e istruzione pubblica. L opera, pur se incompiuta per la morte precoce dell autore (il quinto tomo non sarà concluso), ottiene un successo europeo. L opera però afferma il Cavanna- manca di una forza inventiva profonda. Ha successo perché in essa sono racchiuse le idee e la compresenza di tante fonti, da Montesquieu a Rousseau, a Beccaria. Secondo il Filangieri, se si vogliono buone leggi occorre mutare interamente l ordinamento giuridico tradizionale. E lo si può fare ora che il grido della ragione e della filosofia è giunto ai sovrani ed ogni cittadino vuole la riforma. Abbattere la tirannide feudale e delegare al Sovrano (quindi allo Stato) l amministrazione della giustizia nella sua interezza darà nuova vita al processo penale. In tale processo dovranno esserci le novità garantistiche: l istituzione di un pubblico ministero che sostenga l accusa, l introduzione di una giuria popolare, l abolizione della tortura. Sono però le sue pagine penalistiche, (si sente molto l influenza del Beccaria), quelle più importanti. Le leggi, nel punire i delitti, devono impedire che il reo rechi danni alla società e Giuristi Jonici 71

12 devono distogliere gli altri dall imitare il suo esempio. Pene, però, proporzionate e minor tormento del reo. Se il legislatore supera il confine del minimo necessario di severità è un tiranno. E puro illuminismo importato a Napoli: notiamo la teoria della prevenzione speciale (neutralizzare il delinquente), la prevenzione generale (distogliere gli altri), infine la mitezza e la proporzionalità della pena. A differenza del Beccaria, ammette la funzione del dolo e della colpa (assente nel lombardo): il delitto è la violazione della legge, accompagnata dalla volontà di violarla. Chi si macchia del delitto più grave perde il diritto più prezioso : è la giustificazione, antibeccariana, della pena di morte nei confronti dell omicida e del traditore della patria. A Milano, capitale della Lombardia austriaca, non solo nasce l opera di Beccaria, ma è organizzato da Pietro Verri un sodalizio di giovani aristocratici che propagandano le idee dei lumi, e allo stesso tempo, ribellandosi a valori autoritari delle proprie famiglie, si schierano contro la mentalità della classe forense e contro la tradizione culturale dei benpensanti in genere. Beccaria, Pietro e Alessandro Verri ed altri giovani si riuniscono la sera, a casa del Verri, a discutere di diritto, economia e politica. Creano il club Accademia dei pugni e pubblicano un giornale Il Caffè, per richiamare l attenzione di Vienna. Il leader è il più anziano, il più ambizioso, Pietro Verri, figlio di Gabriele, il più autorevole magistrato di Milano, che non condivide per nulla le idee dei figli. Nasce così l illuminismo lombardo, con i fratelli Verri che suggeriscono al Beccaria il tema da trattare e che lo consigliano ed lo incitano durante tutta la stesura dell opera. Di Pietro Verri è opportuno ricordare almeno tre suoi scritti di contenuto strettamente giuridico. a) L orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese : scritto da leggersi in chiave ironica, dove il Verri finge di parlare nelle vesti di un magistrato di convinzioni conservatrici (scorgiamo la figura del padre) che strilla contro i lumi francesi; b) Sulla interpretazione delle leggi, pubblicato sul Caffè, che rappresenta una specie di summa delle ideologie antigiurisprudenziali dell illuminismo in ordine al problema dei rapporti fra giudice e legge: 1) il principio di partenza è quello della separazione della figura e del compito del legislatore da quelli del giudice; 2) compito esclusivo del sovrano è quello della legislazione; mentre quello del giudice è quello di far eseguire la legge; in altre parole, il legislatore comanda, il giudice fa eseguire il comando; 3) assoluto divieto di interpretazione; il magistrato nelle cause penali non può in nessun caso interpretare, cioè nessuno può essere punito per un reato non previsto dalla legge (nullum crimen, nulla poena sine lege); nelle cause civili potrà integrare un eventuale lacuna creando una regola per il singolo, che deve essere subito tolta colla promulgazione di una legge generale, che in avvenire comprenda casi simili; c) Le osservazioni sulla tortura, scritto col quale il Verri si scaglia contro il truce uso giudiziario finalizzato all estorsione della confessione dell imputato. Verri intende dimostrare che la tortura non è né utile, né giusta, ma allo stesso tempo si mostra un po indulgente verso i giudici, che giustifica per la purità del fine (vediamo un Verri alquanto prudente, certamente con la stoffa del combattente, ma non con quella del martire, dice il Capanna). Alessandro Verri, invece, è la mente più giuridica del gruppo, colui il quale pesa le parole. Egli dichiara di non guardare con assoluta venerazione le leggi giustinianee ed il diritto romano in generale, perché li vede pieni di contraddizioni ed assurdità (accusa anche glossatori e commentatori), ma allo stesso tempo riconosce nelle Istituzioni un testo bene ordinato, mentre nelle Pandette dice che possono trovarsi molte cognizioni per la formazione di un nuovo volume di leggi, cioè un codice, che deve essere redatto in ogni caso. Alessandro giunge alla conclusione che per un codice perfetto si può far tesoro di qualche razionale soluzione reperibile nei testi di diritto romano, non in quello comune, che deve essere sostituito. Per realizzare la riforma, dice, occorre un filosofo giureconsulto, perchè non bastano né solo il giureconsulto, né solo il filosofo. Dovrà applicare il codice il giudice, rigorosamente subordinato alla lettera del precetto legislativo e tenuto a motivare le proprie sentenze. Giuristi Jonici 72

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