Legge e apparenza morale

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1 Ines Crispini Legge e apparenza morale La ricerca etica kantiana ARACNE

2 Copyright MMVIII ARACNE editrice S.r.l. via Raffaele Garofalo, 133 A/B Roma (06) ISBN I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell Editore. I edizione: aprile 2008

3 Introduzione La legge morale e la apparenza morale costituiscono i due concetti fondamentali della riflessione etica kantiana. Tenute a lungo separate queste due nozioni, che definiscono rispettivamente il profilo formale e razionale della vita morale come dovrebbe essere e ciò che di questo principio rimane nella vita concreta, devono, invece, essere poste in relazione l una con l altra. Solo così si comprende, infatti, che l imperativo categorico non è un principio vuoto che non si può applicare, ma il fondamento di un mondo morale immaginario e ideale che funge da esempio, da paradigma liminare per la coscienza confusa e disorientata dell uomo attuale. Il riflesso della legge morale proietta nelle relazioni intersoggettive reali solo il riverbero, l apparenza, il fantasma della esigenza di ciò che dovrebbe essere e, tuttavia, questo riflesso opaco ed incerto può orientare l agire effettivo degli uomini e spingerlo, più o meno consapevolmente, certamente non verso il bene ma senz altro verso il meglio. Ipotizzare e dimostrare un passaggio dalla legge morale alla apparenza morale permessa può forse correggere la critica hegeliana all etica di Kant, concentrata in quella obiezione divenuta nel tempo un vero e proprio schema storiografico. L obiezione hegeliana, celebre e quasi intramontabile, stabilisce sostanzialmente che Kant non sia riuscito a spiegare come da un principio formale della ragione pura si possa passare a giudizi etici su azioni concrete. Questa argomentazione, ovviamente riportata qui in forma soltanto sintetica ma più analiticamente ricostruita all interno del volume, ripete decisamente sul versante della indagine pratica, lo schema della critica herderiana relativa all impianto kantiano della sfera teoretica: Kant, individuando e fissando le condizioni della conoscenza nella struttura formale e 7

4 8 Legge e apparenza morale spontanea del soggetto, attribuirebbe una precedenza innegabile all ordine logico rispetto all orizzonte psicologico, una funzione disincarnata e distinta dalla percezione, dal corpo, dalla cultura, dalla storia all intelletto e alla ragione. Cercherò di dimostrare che proprio la nozione di apparenza morale, centrale nella antropologia kantiana, consente questo passaggio. È necessario precisare che questo passaggio non istituisce un nesso dialettico di implicazione reciproca tra fatti e valori, come invece accadrebbe nel trapasso hegeliano dalla moralità alla eticità, giocata contro il preteso intellettualismo della morale kantiana. Il passaggio dalla legge alla sua apparenza esclude consapevolmente la possibilità stessa di questa reciprocità e suggerisce invece la prospettiva alternativa e realistica che, nel comportamento effettivo e concreto degli uomini, nelle loro storie individuali e relazioni interpersonali, possa entrare in gioco soltanto il segno, l indizio, il rimando alla esigenza morale, all ideale etico, alla autonomia che consente di scegliere, deliberare, riconoscere e riconoscerci come persone libere. Alla legge morale, dunque, alludono le forme visibili delle buone maniere, della educazione, delle virtù sociali, degli usi e dei costumi, le valide e necessarie finzioni insomma che costruiscono l edificio della società come artificio, mondo artificiale, seconda natura posta da Kant in alternativa e non in armonia con la natura umana primaria, sensibile, egoistica ed insocievole. Forse proprio in questa allusione, in questo rimando racchiuso in forma chiaroscurale nella coscienza di ognuno può essere rintracciato l autentico significato della parziale appartenenza dell uomo al mondo noumenico, laddove questa appartenenza non è condizione di possibilità dell etica in generale ma, soltanto, di quella parte dell etica che ne rappresenta il profilo ideale e razionale, cioè la morale. Le ragioni del giudizio di inattualità del modello etico kantiano, si fondano a mio avviso sul mancato riconoscimento o sulla mancata considerazione della giusta relazione tra legge e apparenza morale che invece nell impianto della riflessione kantiana gioca un ruolo, a mio giudizio, importante. La relazione tra questi due concetti consente

5 Introduzione 9 infatti di conferire alla nozione di autonomia il suo peso specifico e profondamente attuale. La autonomia della coscienza morale non è, infatti, del tutto intangibile nel mondo fenomenico o, meglio, lo è soltanto nella sua inaccessibilità teoretico conoscitiva. La costante allusione rintracciabile nel mondo delle azioni concrete a questo regno della libertà può conferire significato e senso di responsabilità e di scelta alle nostre azioni altrimenti disorientate ed incoerenti ma non esclude il riconoscimento che i condizionamenti esistono e vanno compresi e ricostruiti secondo uno schema di giudizio al condizionale se allora, secondo la celebre formula dell imperativo ipotetico che prescrive una azione come necessaria in quanto mezzo per la realizzazione di uno scopo e lo scopo come condizione imprescindibile dell azione stessa. La relazione ipotetica disegna realisticamente la struttura regolativa di un agire fortemente condizionato dalla realtà particolare del soggetto agente, esplicitata proprio nella relazione teleologica che la regola ipotetica istituisce tra necessità della azione e scopi personali di chi agisce dentro contesti e circostanze specifiche e contingenti. La stessa seconda formulazione dell imperativo categorico, del resto, agisci in modo da trattare l umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo (il corsivo dei due termini è mio), calibra la caratura apodittica della struttura imperativa proprio attraverso l allusione delle attenuazioni non semplicemente ma anche al principio di realtà che esclude decisamente la possibilità di declinare in forma assoluta le indicazioni dell imperativo. Il principio di realtà è dunque posto in controluce anche nel contesto della fondazione razionale del ragionamento morale. La convinzione kantiana però è che il principio di realtà non sia di per sé bastevole ed, anzi, dal punto di vista del ragionamento morale addirittura dannoso e fuorviante, e che sia necessario quindi introdurre nella nostra ragione pratica così come nel comportamento effettivo obiettivi ab soluti, ossia, in senso non retorico, slegati da una dipendenza diretta e meccanica dai contesti e

6 10 Legge e apparenza morale dalle circostanze, come ad esempio, il perseguimento, malgrado ogni ostacolo, dei diritti e della dignità di ogni essere umano. Accanto dunque ad una logica etica del condizionale e soprattutto al momento dell agire occorre praticare o almeno ispirarsi ad una etica dell incondizionale in modo che il singolo possa immettere nel mondo, accanto alle leggi necessitanti che eterotopicamente ci situano in una dimensione di calcolabilità, il novum incalcolabile ma universalizzabile del suo autonomo agire così da poter dare risposte ai contesti di partenza che non sono già immediatamente contenute nei contesti stessi. Dobbiamo e, dunque, possiamo immaginare una legge sui generis dell agire in grado di assorbire il senso dei condizionamenti, alimentare l universalità delle norme di condotta, rafforzare e propagare quei diritti, tanto più preziosi quanto più fragili ed insidiati, che debbono essere escogitati, voluti, perseguiti per ridurre le sofferenze e i disagi degli uomini, per sottrarli all angoscia e alla miseria materiale e spirituale, per consentire loro di godere della esistenza nella sua brevità e incertezza. Il senso ultimo del ragionamento kantiano, ripensato nei termini di una possibile attualità, consiste proprio nel fatto che questo modello pone come necessaria l esigenza di un orientamento e di una direzione della vita personale e collettiva e suggerisce una modalità di relazione tra la necessità del mondo reale e la libertà dell agire pratico, tra calcolabilità degli eventi ed incalcolabilità delle scelte, che non consiste certo nella ricerca di una possibile identità tra i due piani, ma piuttosto nel mettere a confronto il tribunale della coscienza con il tribunale del mondo, senza che la spietata durezza di quest ultimo debba condurre alla rinuncia delle fondate speranze del primo ed il riconoscimento del principio realtà debba implicare l impermeabilità del reale agli sforzi della ragione per comprenderlo e per orientarlo.