KANT. La Critica della ragion pura

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1 KANT La Critica della ragion pura 1. Il problema generale La Critica della ragion pura è un'analisi critica dei fondamenti del sapere le cui quattro domande di base sono: Com'è possibile la matematica pura? Com'è possibile la fisica pura? Com'è possibile la metafisica in quanto disposizione naturale? Com'è possibile la metafisica come scienza? Tuttavia se nelle prime due si tratta di giustificare una situazione di fatto, nel caso della metafisica si tratta di scoprire se esistano davvero condizioni tali che possanolegittimare le sue pretese di porsi come scienza. 2. I giudizi sintetici a priori Ipotesi gnoseologica di fondo: <<benchè ogni nostra conoscenza inizi con l'esperienza, da ciò non segue che essa derivi interamente dall'esperienza. Potrebbe infatti avvenire che la nostra stessa conoscenza empirica sia un composto di ciò che riceviamo mediante le impressioni e di ciò che la nostra facoltà conoscitiva vi aggiunge da sé sola (semplicemente stimolata dalla impressioni sensibili).>> La scienza presuppone, alla propria base, alcuni principi immutabili che ne fungono da pilastri; questi principi vengono denominati da Kant <<giudizi sintetici a priori>>: giudizi poiche consistono nell'aggiungere un predicato a un soggetto; sintetici perchè il predicato dice qualcosa di nuovo e di più rispetto ad esso; a priori perchè essendo universali e necessari non possono derivare dall'esperienza. I giudizi fondamentali della scienza non sono quindi né giudizi analitici a priori né giudizi sintetici a posteriori in quanto: i giudizi analitici a priori sono: -infecondi (il predicato non dice nulla di nuovo). -universali e necessari (non hanno bisogno di convalide empiriche). I giudizi sintetici a posteriori sono: -fecondi. -particolari e non necessari (derivano dall'esperienza). Di conseguenza: scienza = esperienza + principi sintetici a priori. Ma la scienza non è formata sui giudizi sintetici a priori, essi sono solamente la base. 3. La rivoluzione copernicana Da dove derivano però i giudizi sintetici a priori? Kant per rispondere a questa domanda elabora una nuova teoria della conoscenza (=materia+forma): Materia della conoscenza molteplicità caotica e mutevole delle impressioni sensibili che provengono dall'esperienza Forma insieme delle modalità fisse attraverso cui la mente umana ordina tali impressioni (queste forme a priori sono universali e necessarie in quanto tutti le possiedono e le applicano allo stesso modo). Ma se in noi esistono determinate forme a priori universali e necessarie (spazio, tempo e le 12 categorie), attraverso cui incapsuliamo i dati della realtà, resta spiegato perchè si possano formulare dei giudizi sintetici a priori intorno ad essa senza timore di essere smentiti dall'esperienza. Conseguenze: rivoluzione copernicana : Kant ribalta i rapporti fra soggetto e oggetto, non è la mente che si modella passivamente sulla realtà, bensì la realtà che si modella sulle forme a priori attraverso cui la percepiamo. Distinzione fra fenomeno e cosa in sé: il fenomeno è la realtà quale ci appare tramite le forme a priori, è reale soltanto nel rapporto con il soggetto conoscente; la cosa in sé è la realtà considerata indipendentemente da noi, costituisce una x sconosciuta. 4. Le facoltà della conoscenza e la partizione della Critica della ragion pura La sensibilità è la facoltà con cui gli oggetti ci sono dati intuitivamente attraverso i sensi e tramite le forme a priori di spazio e tempo. L'intelletto è la facoltà attraverso cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti puri o categorie. La ragione è la facoltà attraverso cui, procedendo oltre l'esperienza, cerchiamo di spiegare globalmente la realtà mediante le tre idee: anima, mondo, Dio. Il concetto kantiano di trascendentale : <<chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupi, in generale, non tanto di oggetti quanto del nostro di conoscere gli oggetti nella misura in cui questo deve essere possibile a priori>>. Il titolo del'opera: esame critico generale della validità e dei limiti che la ragione umana possiede in virtù dei suoi elementi puri a priori. 5. Estetica trascendentale

2 La teoria dello spazio e del tempo La sensibilità non è soltanto recettiva ma anche attiva, in quanto organizza il materiale delle sensazioni tramite lo spazio e il tempo che costituiscono le forme a priori. Lo spazio è la forma del senso esterno. Il tempo è la forma del senso interno. Siccome è attraverso il senso interno che ci giungono i dati dal senso esterno, il tempo si configura indirettamente anche come la forma del senso esterno. Spazio e tempo non possono derivare dall'esperienza ma sono dei quadri mentali a priori entro cui connettiamo i dati fenomenici; hanno una natura intuitiva. La fondazione kantiana della matematica La matematica e la geometria sono delle scienze sintetiche a priori. Sintetiche in quanto apliano le nostre conoscenze, e a priori in quanto i teoremi geometrici ed aritmetici valgono indipendentemente dall'esperienza. Per quale ragione la matematica pur essendo una costruzione della nostra mente vale anche per la natura? Se la forma a priori di spazio con cui ordiniamo la realtà è di tipo euclideo, risulta evidente che i teoremi della geometria di Euclide varranno anche per l'intero mondo fenomenico. 6. L'analitica trascendentale Le categorie La Logica trascendentale ha come speicifico oggetto d'indagine l'origine l'estensione e la validità oggettiva delle conoscenze a priori che sono proprie dell'intelletto (Analitica trascendentale) e della ragione (Dialettica trascendentale) Sensibilità e intelletto: <<senza sensibilità, nessun oggetto ci verrebbe dato e senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato. I pensieri senza contenuto [senza intuizioni] sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche.>> Le intuizioni sono qualcosa di passivo (affezioni); i concetti sono qualcosa di attivo (funzioni) che consistono nell'ordinare o nell'unificare diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune. I concetti possono essere: empirici: costituiti con materiali ricavati dall'esperienza puri: contenuti a priori nell'intelletto I concetti pure si identificano con le categorie (concetti basilari della mente che rappresentano le supreme funzioni unificatrici dell'intelletto); le categorie kantiane hanno una portata esclusivamente gnoseologico-trascendentale rappresentano dei modi di funzionamento dell'intelletto che non valgono per la cosa in sé, ma solo per il fenomeno. [tavola delle categorie a pagina 671] La deduzione trascendentale deduzione : dimostrazione della legittimita di diritto di una pretesa di fatto. Il problema: che cosa ci garantisce, di diritto, che la natura obbedirà alle categorie, manifestandosi, nell'esperienza, secondo le nostre maniere di pensarla? La soluzione: a) poiché tutti i pensieri presuppongono l'<<io penso>> e b) poiché l'<<io penso>> pensa tramite le categorie, ne segue c) che tutti gli oggetti pensati presuppongono le categorie. L'<<io penso>> si configura come il principio supremo della conoscenza umana, rende possibilie l'universalità e la necessità del sapere (è presente in tutti), ha un carattere formare e finito (si limita a ordinare una realtà preesistente). Gli schemi trascendentali Problema: com'è possibile, in concreto, che l'intelletto condizioni le intuizioni e quindi gli oggetti sensibili? Soluzione: l'intelletto non può agire direttamente sugli oggetti, quindi agisce su essi tramite il tempo che è ciò attraverso cui gli oggetti vengono percepiti; di conseguenza se il tempo condiziona gli oggetti, l'intelletto, condizionando il tempo, condizionerà gli oggetti. Concetto di schema in generale: rappresentazione intuitiva di un concetto Concetto di schema trascendentale: sono la prefigurazione intuitiva (=temporale) delle categorie, ovvero le regole attraverso cui l'intelletto condiziona il tempo in conformità dei propri concetti a priori. I principi dell'intelletto puro e l'io <<legislatore della natura>> Principi dell'intelletto puro: le regole di fondo tramite cui viene l'applicazione delle categorie agli oggetti: 1. Gli assiomi dell'intuizione affermano a priori che tutti i fenomeni intuiti costituiscono delle <<quantità estensive>>, ossia qualcosa che può essere conosciuto solo mediante la sintesi successiva delle sue parti. [cat. Quantità]

3 2. Le anticipazioni della percezione affermano a priori che ogni fenomeno percepito ha una <<quantità intensiva>>, ossia un certo grado di intensità che può essere indefinitamente suddiviso (calore o luce). [cat qualità] 3. Le analogie dell'esperienza affermano a priori che l'esperienza costituisce una trama necessaria di rapporti basata sui principi: - della permanenza della sostanza. - della causalità. - dell'azione reciproca, [cat relazione]. 4. I postulati del pensiero empirico generale [cat modalità], stabiliscono che: - <<ciò che è in accordo con le condizioni formali dell'esperienza è possibile>>. - <<ciò che è connesso con le condizioni materiali dell'esperienza (della sensazione) è reale>>. - <<ciò la cui connessione col reale è determinata in base alle condizioni universali dell'esperienza è (esiste) necessariamente>>. Questa dottrina dei principi coincide con quella teoria dell'io come <<legislatore della natura>>, (natura= ordine necessario e universale che sta alla base di tutti i fenomeni), risulta evidente che tale ordine non deriva dall'esperienza, bensì dall'io penso e dalle sue forme a priori. Gli ambiti d'uso delle categorie e il concetto di noumeno Le categorie valgono solo per il fenomeno e il conoscere non può estendersi al di là dell'esperienza; di conseguenza le categorie hanno come unico possibile uso quello empirico. L'ambito della conoscenza umana è limitato al fenomeno, poiché la cosa in sé (noumeno) non può divenire oggetto di un'esperienza sensibile. In senso positivo, il noumeno è <<l'oggetto di un'intuizione non sensibile>>, ipoteticamente propria di un intelletto divino. In senso negativo, il noumeno è il concetto di una cosa in sé che non può mai entrare in rapporto conoscitivo con noi, e quindi rappresenta un concetto-limite che serve ad arginare le nostre pretese conoscitive. 7.La dialettica trascendentale La genesi della metafisica e delle sue tre idee Nella dialettica viene affrontato il problema se la metafisica possa anch'essa costituirsi come scienza. La genesi della metafisica: la metafisica è un parto della ragione, questa in partenza è l'intelletto stesso, il quale è naturalmente portato a voler pensare, anche senza dati da unificare. La ragione è attratta verso il mondo dell'assoluto e quindi verso una spiegazione globale di ciò che esiste; spiegazione che fa leva sulle tre idee trascendentali: anima: idea della totalità assoluta dei fenomeni interni mondo: idea della totalità assoluta dei fenomeni esterni dio: totalità di tutte le totalità e fondamento di tutto ciò che esiste I fallimenti della metafisica sono dovuti dal pensiero che vuole procedere oltre gli orizzonti dell'esperienza possibile. Per dimostrare l'infondatezza della metafisica, Kant fa leva sulle tre pretese scienze che la compongono: la psicologia razionale, la cosmologia razionale, la teologia razionale. Psicologia razionale: ha la pretesa di dare tutta una serie di valori positivi a quell.a x funzionale e ignota che è l'io penso. Cosmologia razionale: è destinata a fallire in quanto noi non possiamo fare un'esperienza completa del mondo. Infatti poiché la totalità dell'esperienza non è mai un'esperienza, in quanto noi possiamo sperimentare questo o quel fenomeno, ma non la serie completa di fenomeni, l'idea di mondo cade, per definizione, al di fuori di ogni esperienza possibile. Critiche della prova dell'esistenza di Dio: Prova ontologica: Dio esiste in quanto l'esistenza è un attributo necessario della perfezione. La critica è che non è possibile saltare dal piano della possibilità logica a quello della realtà ontologica. L'esistenza la si può constatare soltanto per via empirica. Prova cosmologica: <<se qualcosa esiste, deve esistere anche un essere assolutamente necessario; poiche io stesso, almeno, esisto, deve quindi esistere un essere assolutamente necessario>>. Critica; - uso illegittimo del principio di causa: partendo dal contingente vuole innalzarsi al necessario. - si ricade nella prova ontologica. Prova fisico-teologica: se c'è un orologio deve esserci per forza un orologiaio. Critica: presenti troppe forzature logiche e si può ricodurre alla prova ontologica. La funzione regolativa delle idee: esse valgono come condizioni che impegnano l'uomo nella ricerca naturale. La Critica della ragion pratica 1. La ragion pura pratica e i compiti della nuova Critica ragion pura pratica: opera indipendentemente dalla sensibilità e dall'esperienza ragion empirica pratica: opera sulla base dell'esperienza e della sensibilità La dimensione della moralità si identifica con la dimensione della ragion pura pratica. La critica della ragion pratica in

4 generale ha l'obbligo di contestare alla ragione condizionata empiricamente la pretesa di costituire essa sola il motivo determinante della volontà. 2. Realtà e assolutezza della legge morale Per Kant esiste una legge morale assoluta e incondizionata, presuppondendo una ragion pratica pura, cioè capace di svincolarsi dalle inclinazioni sensibili e di guidare la condotta in modo stabile. L'assolutezza/incondizionatezza della morale implica due concetti di fondo: la libertà dell'agire e la validità universale e necessaria della legge. Quindi moralità=incondizionatezza=libertà=universalità e necessità servono per cogliere gli attributi essenziali che il filosofo riferisce alla legge morale: categoricità, formalità, disinteresse, autonomia. Se l'uomo fosse sono sensibilità la morale non esisterebbe, se fosse solo ragione la morale perderebbe di senso perchè l'uomo si troverebbe in uno stato di santità etica ; di conseguenza l'agire morale prende la forma del dovere che si concretizza in una lotta permanente fra ragione e istinto. L'articolazione della critica della ragion pratica p Categoricità dell'imperativo morale La massima è una prescrizione di valore puramente soggettivo. L'imperativo è una prescrizione di valore oggettivo. Gli imperativi si dividono a loro volta in : imperativi ipotetici: se...devi (-regole dell'abilità, -consigli della prudenza) imperativi categorici: devi Solo l'imperativo categorico che ha la forma del devi assoluto ha in sé stesso i contrassegni della moralità: <<Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale>> <<Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo.>> <<La volontà non è semplicemente sottoposta alla legge, ma lo è in modo da dover essere considerata autolegislatrice, e solo a questo patto sottostà alla legge>> 4. La formalità della legge e il dovere Formalità= la legge non ci dice che cosa dobbiamo fare, ma come dobbiamo fare ciò che facciamo. Il cuore della morale kantiana risiede nel dovere-per-il-dovere, ossia nello sforzo di attuare la legge della ragione solo per ossequio ad essa (carattere anti-utilitaristico). Kant esclude dall'etica emozioni e sentimenti (rigorismo). Non basta il rispetto della legalità ma è necessaria la moralità perchè prevede una partecipazione interiore. Kant sostiene che non è morale ciò che si fa, ma l'intenzione con cui lo si fa (=volontà buona). Il dovere e la volontà buona innalzano l'uomo oltre il mondo fenomenico e lo fanno portare al mondo noumenic, dove vige la libertà. In altre parole, la vita morale è la costituzione di una natura soprasensibile nella quale la legislazione morale prende il sopravvento sulla legislazione naturale. La noumenicità dell'uomo esiste solo in relazione alla sua fenomicità, in quanto il mondo soprasensibile, per lui, esiste solo come forma del mondo sensibile. 5. L'autonomia della legge e la rivoluzione copernicana morale Il senso profondo dell'etica kantiana consiste nell'aver posto nell'uomo e nella sua ragione il fondamento dell'etica, al fine di salvaguardare la piena libertà e purezza. Libertà = autonomia; Kant critica quindi tutte le morali eteronome, sia soggettive che oggettive (tab. pag. 720) perchè vanno contro quegli attributi di libertà e universalità che costituiscono strutturalmente il mondo morale. Criticismo di kant contro razionalismo ed empirismo: razionalismo: la morale non dipende da precedenti conoscenze metafisiche ma si basa solo sull'uomo empirismo: il sentimento risulta qualcosa di troppo fragile e soggettivo per costruirci sopra un robusto edificio etico. Il tema dell'autonomia morale, escludendo qualsiasi causa determinante esterna alla condotta, scioglie anche quell'apparente paradosso della ragion pratica, secondo cui non sono i concetti di bene e male a fondare la legge etica bensì, al contrario, la legge etica a fondare e a dare un senso alle nozioni di bene e di male. La rivoluzione copernicana morale di Kant, che fa dell'uomo l'unico legislatore del suo comportamento, trova in tal modo il suo ultimo e più significativo compimento. 6. La teoria dei postulati pratici e la fede morale Sommo bene = virtù + felicità. Ma la felicità non può mai ergersi a motivo del dovere perchè in tal caso metterebbe in condizione l'incodizionatezza della legge etica, e la virtù non è ancora quel sommo bene cui tende la nostra natura. Virtù e felicità costituiscono l'antinomia etica per eccellenza (che forma l'oggetto specifico della DialetticaI). Unico modo per uscire da tale antinomia postulare un aldilà dove virtù=felicità. Postulati etici (esigenze interne della morale che vengono ammesse per rendere possibile la realtà della morale

5 stessa): L'immortalità dell'anima: poiché solo la santità rende degni del sommo bene e poiché non è mai realizzabile nel nostro mondo, si deve per forza ammettere che l'uomo, oltre il tempo finito dell'esistenza, possa disporre, in un'altra zona del reale, di un tempo infinito grazie a cui progredire all'infinito verso la santità. L'esistenza di Dio: fa corrispondere la felicità al merito (felicità=virtù). La libertà: è la condizione stessa dell'etica che nel momento in cui prescrive il dovere presuppone anche che si possa agire in conformità di esso. 7. Il primato della ragion pratica La teoria dei postulati mette a capo ciò che Kant definisce <<primato della ragion pratica>>, consistente nella prevalenza dell'interesse pratico su quello teoretico, nonostante ciò i postulati kantiani non possono valere come conoscenza. <<il primato della ragion pratica rispetto a quella teoretica non significa che essa ci può dare ciò che questa ci nega, ma che le sue condizioni di validità comportano la ragionevole speranza dell'esistenza di Dio e dell'immortalità dell'anima: ma se questa ragionevole speranza fosse intesa come certezza razionale, non solo il mondo morale non ne uscirebbe rafforzato ma totalmente distrutto, come Kant dichiara fermamente nella conclusione della Dialettica, in quanto Dio e l'eternità, nella loro maestà tremenda, ci starebbero costantemente dinnanzi agli occhi >>. [L uso teoretico della ragione si occupava di oggetti della mera facoltà di conoscere: e una critica della ragione, in relazione a quest uso, riguardava propriamente solo la pura facoltà di conoscere, ed era mossa dalla preoccupazione, fondata sulla constatazione, che essa facilmente si vada a smarrire oltre i suoi limiti, tra oggetti irraggiungibili o tra concetti contraddittori. Ben diversamente stanno le cose con l uso pratico della ragione; nel quale la ragione si occupa di fondamenti determinanti della volontà, cioè di una facoltà di produrre oggetti corrispondenti alle rappresentazioni oppure di determinare se stessa, ossia la sua causalità, alla loro effettuazione (sia o non sia bastante a ciò il potere fisico). Poiché la ragione può almeno qui riuscire alla determinazione della volontà, e in tanto ha sempre realtà oggettiva, in quanto ha riguardo soltanto dal volere. Sorge cosí la prima questione: se la ragion pura basti per sé sola alla determinazione della volontà, o se essa ne possa essere un fondamento determinante solo come empiricamente condizionata. Or qui interviene un concetto della causalità giustificato dalla critica della ragion pura ma non capace di alcuna esposizione empirica, cioè quello della libertà: e se noi a questo punto possiamo presentare prove adeguate per dimostrare, che questa proprietà appartiene di fatto alla volontà umana (e cos pure alla volontà di ogni essere razionale), con ciò non solo viene assodato che la ragion pura può esser pratica, ma altresí che essa sola, e non quella empiricamente limitata, è incondizionatamente pratica.]

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