EDOARDO PONTI. I napoletani per me sono come un unica grande famiglia. Il regista ha presentato a Napoli il Corto Il turno di notte lo fanno le stelle

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1 fondato e diretto da Carmine Zaccaria Anno XX NAPOLI - MILANO - MINSK - SAN PIETROBURGO - MOSCA n 2 - Febbraio 2013 LA CITTA DEGLI UNTORELLI di Carmine Zaccaria Q uanto sta succedendo in Italia e in Europa merita una profonda riflessione. Il collega Pierluigi Battista, nell inserto del Corriere della Sera la Lettura Settimanale, titola: La fine dell illusione liberale. Battista dice che così ritorna il feticcio dello Stato. Cosa Vuole? Vuole anche lui, e con lui il giornale sul quale scrive, la svendita di quello che resta di ENI, Finmeccanica, ecc., così l opera dissennata di grandi uomini, italiani solo per cittadinanza, pagati per distruggere il Paese, potrà essere portata a compimento? Noi diciamo più Stato e meno privato, se il privato dell Orrore sono le multinazionali del Denaro. Sono loro i responsabili di quello che sta accadendo. Spacciatori di titoli tossici sulla pelle dei popoli. Delinquenti abituali che delinquono alla luce del sole, tra prebende, manifestazioni inutili (molti in prima fila), sontuosi banchetti dove alcuni si abbuffano coma maiali (ad alcuni partecipo a volte anch io, ma mangio poco). Il Corriere della Sera, fiancheggiatore di gente come Andrè Gluksmann, filosofo (di che?), dovrebbe aprire un dibattito serio dando la parola a tutti. A proposito di Filosofi Francesi, ma che ci faceva Bernard- Henri Levy al fianco di un uomo della statura (si fa per dire!) di Nicolas Sarcozy per le vie di Tripoli nella passeggiata oscena dopo i bombardamenti sulla Libia? Misteri di Francia & Alleati. Certo, se Russia e Cina avessero posto il veto oggi lo scenario sarebbe diverso. Meno morti e la Diplomazia in prima linea. La parola passò alle armi e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Eravamo rimasti al Corriere. Il Corriere della Sera, ormai, mi sembra Porta a Porta. Fa parlare sempre le stesse persone. Mi diverto quando guardo Porta a Porta che invita una coppia di ospiti permanenti: Paolo Crepet & Simonetta Matone, per fare un esempio. Certo, Porta a Porta è proprietà di Bruno Vespa, ma mi chiedo perché mai non la apre quella Porta e fa entrare un po d aria nuova, aria giovane per ravvivare il dibattito. Crepet e Matone sono competenti, ma diamo la parola a giovani che di competenza ne hanno da vendere. Quanto quella degli ospiti permanenti, se non di più. A me, personalmente, la politica dell Italia e di questa Europa non piace e ha stancato. Vengo da altre storie e dall ascolto di leader di spessore, ma ormai solo qualcuno di loro sopravvive. Avevano da insegnare, e noi molto da imparare. Ormai Segue a pag. 2 Il regista ha presentato a Napoli il Corto Il turno di notte lo fanno le stelle EDOARDO PONTI I napoletani per me sono come un unica grande famiglia di Paolo Montefusco I l cortometraggio Il turno di notte lo fanno le stelle racconta di una rinascita, di un desiderio di rinnovarsi attraverso nuovi battiti del cuore. Il film, diretto da Edoardo Ponti (secondogenito di Sofia Loren e del produttore Carlo Ponti), prende il titolo dal romanzo omonimo di Erri De Luca. Protagonisti della pellicola sono: Enrico Lo Verso, Nastassja Kinski, Julian Sands e lo stesso Erri De Luca. E la storia di un uomo solitario e una donna sposata che scalano una parete delle Dolomiti. Lui ha appena affrontato un trapianto di cuore, lei un operazione a cuore aperto. Si sono promessi quella scalata nei giorni di attesa in corsia. La loro intesa e complicità sfiora l'amore. Il film è stato proiettato nel corso di un affollatissima presentazione avvenuta, nel novembre scorso, all Istituto Grenoble di Napoli. In sala, oltre al regista, erano presenti Erri De Luca ed Enrico Lo verso. Nel racconto di Edoardo Ponti, raggiunto telefonicamente a Ginevra, ci sono ancora la soddisfazione e l emozione di un avventura piena di arricchimento umano. Edoardo, ci racconti la genesi di questo All interno Gli intrighi di Vittorio Del Tufo La scrittura nel terzo millennio L impegno di Mentoring Una mission per l integrazione Intervista a Francesco Paolantoni Gli anni 60 della Scuccimarra La stanza del gusto La donna che si fece soubrette pag. 3 pag. 5 pag. 7 pag. 9 pag. 11 pag. 13 pag. 14 pag. 15 Spedizione in abbonamento postale 45% Art. 2 Comma 20/b Legge 662/69 Direzione Commerciale Imprese Campania. Giornale per l estero: Tassa pagata, taxe percue/economy/compatto corto? Com è avvenuto il primo incontro? Il primo incontro è stato a Los Angeles con la produttrice Silvia Bizio e con Paola Porrini Bisson. Ci siamo visti e mi hanno dato una sceneggiatura di cui non sapevo niente. L ho letta il giorno dopo, in un ristorante di Santa Monica in cui mangio spesso. Ero solo al tavolo, e quella lettura mi ha commosso. Una sceneggiatura che è non solo importante perché parla del tema della donazione degli organi, ma che è soprattutto una storia di amore, di perdono e di rinnovo della vita. E questi sono temi per me commoventi. Piangevo e tutti mi guardavano, ma io me ne fregavo perché stavo leggendo una bella storia. Subito dopo il pranzo ho chiamato Silvia Bizio e le ho detto che sarei stato felice e fiero di fare questo film. Dopodichè, per tre settimane, ho lavorato alla sceneggiatura con Erri al telefono. E così che le nostre idee si sono incontrate ed è stato un incontro molto sincero, molto onesto, da entrambe le parti, e dunque molto profondo, proprio perché lavorare a una sceneggiatura senza conoscersi non è facile. Il film parte da un idea molto personale di Erri e io, all inizio, ero un po estraneo, ma lui è stato subito molto aperto alla collaborazione. E stata l unione di due creatività diverse ma alla fine complementari. Un esperienza, dunque, che ha significato arricchimento umano? Certo. E molto difficile per me lavorare con persone di cui non rispetto l umanità. Alcuni possono operare una separazione tra l essere umano e l artista, non stimare molto una persona, ma lavorarci in quanto, appunto, grande artista. Io non posso farlo. E stato molto bello trovare non solo un grande artista, ma un essere umano di cui ho stima. Il film è stato nella short list degli undici corti pre-candidati all Oscar 2013, una bella soddisfazione. Infatti, noi parliamo di miracolo. E un grande riconoscimento al lavoro fatto che ci riempie di orgoglio. Prima di questo lavoro, qual era il tutto rapporto con la montagna? Ho vissuto circa 5 anni in montagna, dai 13 ai 18. La montagna per me ha sempre rappresentato un rifugio, una vera casa. Quando mi Segue a pag. 6

2 2 sussurri & grida n 2 - Febbraio 2013 LA CITTA... Segue da pag. 1 siamo circondati da mondi autoreferenziali, dalla Casta, dalla Casta delle Caste, un cancro che ha sviluppato le sue metastasi nei gangli vitali del Paese. All interno di queste Caste si annidano, ai livelli più bassi, gli Untori. Manutengoli del sottobosco politico, e non solo, prezzolati per contrastare le azioni non omologate dalle cricche. A Napoli e in Campania, dove nasce questa pubblicazione, sono molto attivi e siedono alla Corte dei vari Don Rodrigo di turno. C è un luogo ideale per questa gente: la Città degli Untorelli. I cittadini di questa città ideale si annidano tra la gente comune in quanto procedura indispensabile per avere materiale utile a concretizzare le azioni strumentali ai loro servigi. Li riconoscete subito. Sono nelle segreterie politiche, nei pressi dei bar alla moda, nella parlata affettata, nelle feste che si danno in città. Qui i per sentito dire si sprecano. Così creano le condizioni per condizionare o distruggere l avversario di turno. Nessuna meraviglia, a volte anche nei grandi giornali bazzicano questi personaggi. Gli UNTORI. Gente sporca che si vende per trenta denari con, insieme, il gusto di compiacere il mandante. All appello mancano le figure dei monatti per il lavoro finale di pulizia. Speriamo di non arrivarci. Scusate, ho scherzato, questa è solo una favola preelettorale. Accomodatevi Signori, il Buffet è servito! Buon Appetito! E che le elezioni in corso vi vadano di traverso! ***** A proposito di Lucian Freud, scomparso nel 2011, maestro del Realismo Contemporaneo, nipote di Sigmund, una grande mostra si è chiusa il 27 maggio Sempre nell inserto Lettura Settimanale del Corriere della Sera, pubblicato il 20 gennaio 2013, con il titolo Le rughe come mappa dell anima, si dice che la Regina Elisabetta avesse chiesto al Pittore di non essere impietoso. Lucian Freud dipingeva senza indulgenze e, come scrive Marco Missiroli, la sua pietas stava in questi corpi messi a nudo senza artifici. Andateveli a guardare. Bisognerebbe imprimere sulla tela la faccia marcia e malata degli Untori e dei loro padroni protagonisti di questo articolo. Se Lucian Freud dovesse rinascere li ritrarrebbe con il volto di Dorian Gray prima del fuoco. Con gli insulti del tempo, specchio immondo del loro male e della loro cattiveria. Che Dio vi maledica fino alla settima generazione! Chi la terra ci sparse sull ossa - e riprese tranquillo il cammino - giunga anch egli stravolto alla fossa - nella nebbia del primo mattino - ritrovi ogni notte sul viso - un insulto del tempo e una scoria. Coltiviamo per tutti un rancore - che ha l odore del sangue rappreso - quel che allora chiamammo dolore - è soltanto un DISCORSO SOSPESO (Fabrizio de Andrè). LAVORO E IDENTITA DELL UOMO OGGI Il concetto secondo cui il lavoro va oltre le minime necessità in quanto dà un ruolo e una dignità alla persona è universalmente riconosciuto. La storia, però, racconta cose diverse e oggi non mancano le trappole di Giuseppe Franza C Un immagine di Karl Marx e un ritratto di Adam Smith i hanno voluto far credere che l essere umano si realizza nel lavoro, che produrre significa esserci, contare, lasciare un segno, esprimersi. Filosofi, teologi, giuristi, economisti e politici non sono mai stati tanto d accordo su nient altro. Se non fatichi non guadagni, se non guadagni non sei produttivo, se non sei produttivo sei un individuo inutile alla società, se sei inutile la tua vita non ha più senso, riconoscibilità, esplicazione. Il meccanismo è ben noto e rodato. Un teorema che nei secoli ha consolidato convenzioni o esperimenti che oggi interpretiamo quali realtà inconfutabili, come la democrazia, il liberalismo, il consumismo, l etica del fare. A un livello più profondo possiamo legare gli effetti di questa mentalità a grandi fenomeni storici dai nomi importanti e rivoluzionari come l imperialismo, l umanesimo, l etica protestante, lo stato moderno, l industrializzazione, la società di massa, il comunismo e la globalizzazione. Senza lavoro, inteso come attività produttiva e volta alla soddisfazione di bisogni individuali e collettivi, non ci sarebbero stati mai progresso o libertà, almeno non nell accezione che oggi diamo a questa coppia di concetti. Parliamo, infatti, del lavoro come dovere sociale e come diritto (anche se un ministro italiano ha recentemente detto che il lavoro non è un diritto ). Bisogna lavorare per guadagnare e, prima ancora, per essere qualcuno, avere una professione e un ruolo tra altre professioni. Eppure non è sempre stato così. In epoche più barbare o più dignitose, a seconda dell opinione, l essere umano si è tenuto alla larga da ragionamenti del genere. Nell antica Grecia l ideale era l autonomia. L uomo si realizzava nell autosufficienza e non nel lavoro. Concettualmente significa focalizzarsi su idee e sentimenti liberi, costruttivamente tesi alla chiarificazione ideale del mondo e alla propria felicità. Materialmente, invece, vuol dire avere bisogno di poco, o quantomeno fare a meno dei soldi. Famose sono le proprietà del filosofo Diogene: una botte per ripararsi da caldo, freddo e sguardi indiscreti e una tazza per bere, poi abbandonata in favore delle mani nude. Il contadino greco era molto ammirato. Viveva, infatti, senza cercare nulla nella società. Faticava, sì, e pure molto, ma era autonomo, si poneva cioè indipendentemente dal resto. Si produceva da solo tutto ciò di cui aveva bisogno. Non lavorava, dunque, per guadagnare ma solo per vivere, senza mediazioni tra ciò che faceva e ciò che possedeva. Pure i nobili trattavano poco il lavoro. Gli spartani lo lasciavano agli Iloti, delle faccende domestiche e della gestione economica, invece, si occupavano le donne. Gli spartani dovevano combattere e, in tempo di pace, divertirsi. Pensare ai soldi o lavorare era considerato volgare e immorale. Gli ateniesi diedero invece più importanza al lavoro e ai soldi, essendo naturalmente inclini al commercio. La democrazia nasce proprio da questo. Per conquistare nuove colonie i nobili estendono la cittadinanza e il voto alle nuove leve dell esercito: commercianti, bottegai, stranieri, ex schiavi. Così nascono corruzione, politica sporca, arrivismo e invidia sociale. I limiti tra le classi sembrano, almeno apparentemente, disfarsi e ha inizio una terribile corsa ad accaparrarsi il potere tramite i soldi. E come si guadagnano questi soldi? Svalutando e deprezzando il lavoro dei sottoposti (come spiega in 500 pagine Karl Marx). Ed è pure giusto. L imprenditore paga al dipendente 1000 euro ma solo se il dipendente gliene fa guadagnare almeno Lo stesso succede nell antica Roma e con l umanesimo, quando si torna a parlare di uomo come faber, artefice del proprio destino, pure economicamente. Il cristianesimo, all inizio, ci tiene a ricordare che non solo di pane vive l uomo e a ridare valore a elemosina e generosità. Ma già un paio di anni dopo la morte del Cristo arriva il monito di San Paolo: chi non vuol lavorare neppure mangi, che sarà apprezzato molto da Lutero e Calvino. Con la modernità si chiede al re o allo stato di interferire il meno possibile con il lavoro e i commerci dei ricchi. Adam Smith dice che il successo economico del singolo fa bene alla collettività: se un calzolaio fa un sacco di soldi assumerà tre lavoranti e la domenica farà il doppio della spesa dal macellaio. Ecco come le famiglie dei lavoranti e del macellaio ne traggono vantaggio. E qui la cosa sfugge di mano. Chi dà lavoro pretende la massima libertà. Qualsiasi limitazione, pure morale, diventa un fardello, una remora che uccide l economia. Ed è così che si comincia a lavorare gratis (stage), a nero, o per quattro fetenti pidocchi. Ti dicono che se non lavori e non ti accontenti sarai tagliato fuori dal mercato del lavoro. E ti pagano 350 al mese. Ti pare pochissimo ma ti garantiscono che sono tanti, che gli altri non li pagano proprio o li assumono con stage non retribuito oppure ti dicono che non assumono nessuno. La gente intanto protesta, urla in piazza con 350 euro non si campa!. Il governo mette una legge per cui il minimo di stipendio deve essere di 400, il che non risolve niente, ma è già qualcosa. Il tuo datore di lavoro si dispera, quei 50 in più lo manderanno in bancarotta, quindi decide di non registrare il tuo lavoro e di tenerti a nero per pagarti ancora 350, distruggendo le tue vane speranze di curriculum e mini previdenza sociale. Non c è molto da fare. Perché continuare a lavorare per così poco in un posto così? Senza futuro, senza speranze, senza dignità! La gente ti guarda inorridita, ti dà del lavativo: ma come, con questa crisi ti metti a fare lo schizzinoso, ringrazia Dio che il lavoro ce l hai! Non lo sai che il lavoro rende liberi? Ecco una frase intelligente che, estrapolata dal suo contesto prettamente teoretico, diventa una cretinata.

3 n 2 - Febbraio 2013 sussurri & grida 3 INTRIGHI E SEGRETI NELLA CITTA DEL RITO Verrà cantando il sangue, di Vittorio Del Tufo, è un thriller a sfondo storico che si muove su due orizzonti temporali molto distanti l uno dall altro, tra fantasy e rigore scientifico di Anna Montefusco L unedì 21 gennaio, è stato presentato alla Feltrinelli di Napoli il libro del giornalista Vittorio Del Tufo, Verrà cantando il sangue. Pubblico numeroso e attento grazie anche alla capacità dei relatori di divertire discorrendo di cultura. Come ha fatto il professore Massimo Lo Iacono, docente di lettere, ma anche il giornalista Pietro Treccagnoli, mordace mediatore, e il critico musicale Paolo Isotta. Senza tralasciare le intense letture dell attrice Fabiana Sera. Pubblico attento, dicevamo, per la grande comunicativa dei relatori ma soprattutto perchè si presentava un libro davvero interessante e misterioso. Abbiamo chiesto all autore di sapere qualcosa di più su questi misteri. Vittorio, per cominciare, diamo una definizione al tuo libro. Giallo storico va bene? Credo che la definizione più corretta sia quella di fantathriller-storico. Fanta-thriller perché ci sono degli elementi di fantasia che vanno a innestarsi in un impianto storico reale e storicamente documentato. Oltretutto si racconta di uno sfondo storico di riferimento molto importante. Non hai mai avuto il timore di dissacrare un baluardo della tradizione religiosa di Napoli? No, perchè ho sempre avuto il massimo rispetto per il culto del miracolo di San Gennaro legato alla liquefazione del sangue. Mi ha confortato, nella ricerca storica che ho fatto, che in un recente passato autorevoli studiosi e scienziati abbiano cercato di riprodurre in laboratorio il fenomeno della liquefazione. Probabilmente anche loro si saranno posti questo problema, ma l approfondimento è compito primario della scienza. E sempre con il massimo rispetto per questa tradizione, io mi sono proposto di dare una forma romanzata, e dunque con uno sviluppo narrativo di fantasia, da intrecciare con eventi storici reali. Sul piano tecnico-scientifico, poi, mi sono sforzato di dare una forma romanzata ad alcuni esperimenti che invece avevano, e hanno, un rigore altamente scientifico. La stampa riportò notizia di questi esperimenti? Certo, di questi esperimenti ha parlato a suo tempo anche la stampa, non ho inventato nulla. Sicuramente, da questo punto di vista, il libro tocca un tema scabroso per la Chiesa Cattolica e per la Curia napoletana. Se non altro per il fatto che la Chiesa si è sempre rifiutata di mettere a disposizione della comunità scientifica le ampolle contenenti il sangue. Ma va anche detto che lo ha fatto per motivi assolutamente legittimi, dal suo punto di vista, sostenendo che introdurre qualcosa nelle ampolle significherebbe correre il rischio di danneggiarne il contenuto. Dunque, e aggiungo meno male per me che ci ho potuto scrivere un libro, il mistero del sangue di San Gennaro resta aperto. Cosa ti ha spinto a metterti sulle tracce di questa storia? Diciamo che per motivi di lavoro mi ero occupato in passato di tissotropia. Ma in realtà tutto nasce da un immagine che mi frullava in testa. L immagine, l idea, di un segreto che fosse custodito in un luogo della città. Ho immaginato una chiesa della città che custodisca questo segreto all insaputa di tutti, o perlomeno noto a pochi. Un segreto tuttora custodito in una tomba di questa chiesa e che si tramanda da centinaia di anni. Ecco, attorno a questa immagine, a questa idea, ho costruito il romanzo, sviluppando sia la parte moderna che quella antica. Facendo poi scorrere le due parti parallelamente. La quarta di copertina è firmata da Maurizio De Giovanni, noto giallista di personaggi seriali. Scelta non casuale, dunque? Di Maurizio conoscevo i libri naturalmente. La casualità, semmai, sta nel fatto che l editor del mio libro, Massimo Smith, sia stato il suo primo editor. Da qui è partito il rapporto con Maurizio. Gli ho inviato il libro, gli è piaciuto e ha scritto una quarta di copertina davvero molto bella. E molto disponibile e generoso e lo è stato anche con me. A proposito di personaggi seriali, leggeremo di altre inchieste del tuo giovane giornalista? Ci avevo pensato, ma non so se lo farò. Perché il protagonista, Andrea Moussanet, che io vedo sempre in coppia con l amico e collega Vincenzino, è molto ironico e autoironico. Insieme, i due personaggi, danno un tono leggero alla parte moderna del libro. Sono stati funzionali alla mia volontà di sdrammatizzarne la parte più cupa, quella ambientata nel Per cui, se dovessi costruire un altra storia intorno a loro due, dovrei mantenere lo stesso tono leggero. C è qualcosa del giovane Vittorio Del Tufo nel giovane giornalista Andrea Moussanet? Il mio non è assolutamente un libro autobiografico. Potrebbe sembrarlo in alcuni passaggi perché utilizzo la forma dell io narrante. Se avessi usato la terza persona e il passato remoto, non ci sarebbe stato quel processo di associazione che magari si può venire a creare. E chiaro che sono andato ad attingere a ricordi, atmosfere, volti e tic che ho incrociato nel mio lavoro. A proposito di tic, uno dei tuoi personaggi ne ha uno molto singolare. Ti ha ispirato qualcuno o lo hai inventato di sana pianta? E completamente inventato. Semmai, in alcuni casi, ci sono somme di personaggi, però comunque impastati tra loro. Non c è nessun riferimento reale. Quello che invece mi divertiva inserire, di tanto in tanto, era qualche personaggio reale. Come, per esempio, David Zard, manager del mondo della musica tuttora attivo e che Vittorio Del Tufo il libro negli anni ottanta era al massimo del suo splendore professionale. Era lui che portava in Italia i maggiori musicisti stranieri. Mi divertiva l idea del contrasto tra questa persona così importante, solida, e un giornalista alle prime armi, timido e impacciato. A proposito di giornalismo: hai scritto sulla triste vicenda del clochard morto di recente a Napoli. Ma, al di là delle oggettive responsabilità, perché certa stampa continua a mistificare la realtà? Non saprei. Ricordo che con il direttore, quel giorno, ci ponemmo il problema di scrivere un pezzo che facesse piazza pulita di tutti i luoghi comuni e le mistificazioni su Napoli. Ma purtroppo basta l immagine, che poi non significa niente, di due persone che continuano a sorseggiare un caffè davanti al clochard, per far arretrare una città e il suo popolo. Che invece hanno dato ben altre prove di solidarietà. Tornando al tuo fanta-thriller, sembra che da un po di anni, a cominciare da Dan Brown e fino agli autori di casa nostra, ci sia stata una riscoperta di questo VERRA CANTANDO IL SANGUE - Vittorio Del Tufo - Rogiosi Editore di Anna Montefusco Segue a pag. 4 A Napoli il sangue per eccellenza è quello che si scioglie due volte l anno nella Chiesa del Duomo. Fenomeno prodigioso che da secoli è intessuto alla storia delle tradizioni di questa città. Vittorio del Tufo parte dalle origini, dal primo miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro avvenuto nel Ci costruisce un appassionato thriller per svelare, o quasi, un segreto custodito seicento anni. I due piani di narrazione contenuti nel libro sono sfalsati di centinaia di anni ma sono l inizio e la fine di una stessa storia. La quale storia, che comprende l inizio del 1389 e l anno 1986, si apre con due morti violente. Due morti distanti solo temporalmente, ma in effetti legate da un unico sottile filo rosso. Una scia misteriosa intorno alla quale si muovono inquietanti figure antiche e più rassicuranti figure moderne. Si muove il giornalista Andrea Moussanet, giovane e impacciato, che con il collega Vincenzino Chiacchio viene spostato da Napoli a Milano per uno stage in una nota redazione giornalistica. Alla cupezza dell ambientazione medievale del 1389 si contrappone, in un alternarsi regolare, quella vivace e moderna della Milano da bere degli anni 80, dove i due colleghi, tra una festa e l altra, si trovano a seguire le tracce della misteriosa scia di sangue che lega le due morti. La Storia che fa da sfondo al primo assassinio è quella epocale dello scisma d Occidente, in una Napoli falcidiata dalla peste e dal bisogno di ingraziarsi i santi. E qui che un monaco alchimista viene massacrato fino alla morte dopo avere consegnato un ampolla e una formula ad alcuni emissari. L altro assassinio riguarda un noto chimico milanese trovato morto nei giardini del Policlinico di Napoli. Andrea Moussanet è solo un apprendista giornalista, anche un tantino imbranato, ma possiede il dono della curiosità e dell attenzione, requisiti che lo porteranno dritto verso una storia lunga sei secoli e che lo porteranno a scavare sotto casa, sotto le fondamenta sacre della sua città per ridare luce all origine di ogni cosa. E a desacralizzare il miracolo del sangue. Vittorio del Tufo, come un buon chimico, mescola sapientemente e meticolosamente gli ingredienti base per un thriller avvincente. Rincarando la dose con gocce rosso sangue, in omaggio all elemento principe del giallo e alla città che da sempre lo rappresenta meglio. Il risultato è quello di un romanzo giallo particolarmente intrigante e di grande interesse storico.

4 4 sussurri & grida n 2 - Febbraio 2013 OSSERVATORIO ETICO - Spunti di geografia umana INTRIGHI E SEGRETI... Segue da pag. 3 di Vanina Zaccaria O All indomani del voto, potere e azione di una comunità competente sservare vuol dire assistere partecipando criticamente, osservare in maniera etica vuol dire focalizzarsi sull uomo, sulle azioni e sulle idee, dove ethos sta per comportamento, carattere, costume. Abbiamo seguito le elezioni politiche italiane aderendo, ancora una volta, a una prospettiva di osservazione etica, attenta, dunque, alle dinamiche della società. Quando si parla di politica si tende a stabilire una relazione verticale, senza considerare che la gestione del potere viene dall alto, ma la legittimazione di esso proviene dal basso. Senza popoli non ci sarebbero Stati-nazione. Nell evolversi dello psicodramma politico nazionale, dove meschini sono apparsi, da più parti, i tentativi di convincere le masse, dove i conflitti tra i vari esponenti sono stati gestiti in maniera indignitosa e spesso volgare, dove la tornata elettorale è sembrata una corsa all oro, è utile riflettere sul reale potere che chi vota detiene, prima di cedere, in maniera forse giustificata, alla volontà di non aderire, di non partecipare. Nell ottica weberiana lo Stato moderno dovrebbe essere caratterizzato da una forma di potere legale-razionale che poggia su una legittimità definita anch essa legale-razionale, quindi sul La Camera dei Deputati diritto di comando di coloro che il popolo ha chiamato a governare. Il diritto di comando non si stabilisce in maniera definitiva, è, piuttosto, un processo dinamico, da questo ne deriva che il popolo che ha chiamato a governare non esaurisce il suo ruolo nella chiamata alle urne. Qualunque sia la nostra scelta, il momento elettorale non è che l inizio del processo democratico, occorre sviluppare la profonda consapevolezza che il potere è del popolo e che il popolo riconosce il diritto di comando e può, qualora la situazione lo richieda, disconoscerlo. Credere che sia utopico o di stampo socialista ritenere il popolo il reale detentore del potere, vuol dire avere investito circa due secoli nella costruzione di questa utopia, averla costruita e poi millantata. Se nessun cittadino votasse ci troveremmo nell impossibilità di formare un governo, se nessun cittadino andasse a lavorare l economia mondiale si arresterebbe, questo ci dice che non siamo voti e non siamo merce e nemmeno agenti di produzione, siamo la materia prima necessaria per costituirci in società, per poter pensare al concetto di società; prendere coscienza del proprio potenziale d azione significa partecipare in maniera acritica, rettificare il concetto stesso di esistenza. Per usufruire dei nostri diritti e poteri, invece, dovremmo costituirci come una comunità competente; necessitiamo di studiare, di formarci, di conoscere, per poter monitorare coloro ai quali abbiamo riconosciuto il diritto a governare. Majakovskij, nella Russia post-rivoluzionaria, portò avanti il coraggioso esperimento di insegnare nelle fabbriche materie come la letteratura e l arte, sostenendo la necessità di non semplificare o rendere più fruibili le materie insegnate ma impegnandosi nel trasmettere un sapere complesso, ritenendo all altezza di tale sapere qualunque uomo. L accesso alla formazione e all informazione diveniva propedeutico all accesso alla coscienza storica e sociale e creava il presupposto indispensabile per esercitare pienamente il diritto di legittimare e delegittimare il potere. Majakovskij fu osteggiato dal governo, le ragioni sono ovvie da comprendere. In chiave moderna, una comunità competente è una comunità che non si lascia strumentalizzare e imbarbarire, che si costituisce in movimenti civili internazionali, che ha contezza delle dinamiche storiche che si trova a vivere. Un esempio triste di una comunità incompetente è una comunità che assiste alla crisi greca come se fosse una crisi umanitaria e non una degenerazione di scelte politiche ben precise, se l Italia non riuscirà nel suo tentativo di ripresa rappresenteremo un ulteriore crisi umanitaria, da trattare senza indagare le ragioni della degenerazione; i processi storici attuali sono caratterizzati da negazioni dialettiche, in un sapiente gioco di costruzioni fasulle. Una proposta dialettica interessante è invece quella di Hegel, nella disamina attenta del rapporto servo-padrone. La condizione di servitù implica il possesso di una inaspettata quota di potere; il servo hegeliano diviene fondamentale per il padrone, poiché dal suo lavoro dipende il mantenimento in vita dello stesso, il servo, lavorando, fornisce al padrone ciò di cui ha bisogno, il padrone hegeliano non può più fare a meno del servo, la subordinazione ne risulta rovesciata. Risultano evidenti le possibili connessioni della dialettica servo-padrone con lo scenario attuale e con il discorso circa la legittimazione del potere; se la società civile assume consapevolezza circa la quota di potere che detiene, smette di essere usufruita dalla politica e inizierà a usufruirne, com è giusto che sia in un sistema democratico. Torna allora urgente la necessità di soffermarci sulle nostre dinamiche, le dinamiche umane e sociali che hanno accompagnato questa campagna elettorale, da qui la volontà di non osservare i partiti politici che si sono affastellati. Noi siamo i protagonisti dello Stato, della Nazione, della Collettività. Rifiutare la politica significherebbe rifiutare ogni idea di vita collettiva e accettare passivamente il furto che è stato commesso a nostro discapito, la politica è uno strumento che ci appartiene come diritto acquisito ma inalienabile, governare è un diritto concesso, attribuito, temporaneo. Lo strumento politico ci appartiene come diritto acquisito nel momento in cui ci siamo costituiti in società e abbiamo sostituito il potere religioso e il potere tradizionale con il potere legale-razionale. E doveroso aggiungere che, nonostante sembrino in declino le grandi narrazioni del novecento, disconoscerne il valore filosofico, umano e morale è pericoloso, siamo anzi forse chiamati, adesso più che mai, a tutelare i valori fondanti l idea originale di società, di Stato e di Stato Sociale. Un periodo rivoluzionario nella storia del mondo è il momento più opportuno per fare cambiamenti radicali invece di semplici rattoppi. (William Beveridge 1942) William Beveridge genere o comunque del giallo. Che ne pensi? In realtà il giallo è sempre andato molto forte. Un genere di nicchia ma, in verità, molto difficile da sviluppare perché richiede la conoscenza di meccanismi tecnici legati alla narrazione. Quello che sicuramente è stato sdoganato da Dan Brawn è il giallo storico, in genere associato a letture molto noiose. Lui ha avuto il merito di scrivere un libro molto difficile ma che non lo sembrava grazie a uno stile molto fluido, veloce. Credo che il successo de Il Codice Da Vinci e di Angeli e Demoni, stia proprio nella semplicità, a volte anche ostentata, di questo stile. Altre persone, prima di lui, toccando gli stessi argomenti, non hanno avuto successo proprio per l incapacità di rendere scorrevole la lettura. Personalmente amo molto il giallo storico perché ti permette di studiare, di approfondire la storia. Di fare, insomma, il topo da biblioteca. Perché hai puntato su un alternanza così veloce tra i due periodi temporali del libro? Mentre scrivevo il libro, c è stato un momento in cui la parte storica si imponeva con tale forza che ho deciso di intervallare i capitoli. Molto preziosi, in tale direzione, sono risultati anche i suggerimenti dell editor. Così ho iniziato a intervallare con regolarità i capitoli, ma non è stato semplice mantenere questo ritmo che doveva restare inalterato e veloce fino alla fine del libro. Credo che sia un esperimento abbastanza inedito e mi auguro sia riuscito. Per concludere: quali sono stati i libri nei quali ti sei perso? Prima, mi sono perso nei romanzi di Dostoevskij, per esempio L idiota e Delitto e castigo. Dopo, nei romanzi degli autori americani degli anni 80: David Leavitt, Bret Easton Ellis e Mc Inerney, per esempio. Tutta quella generazione di scrittori americani che poi facevano capo a Carver, che ho adorato. Credo sia stato un percorso molto formativo. Tra l altro, la loro cosiddetta scrittura minimalista è molto in sintonia con la scrittura giornalistica che deve essere necessariamente fluida e veloce.

5 n 2 - Febbraio 2013 sussurri & grida 5 LA SCRITTURA NEL TERZO MILLENNIO Paradossalmente, lo sviluppo sempre più veloce delle tecnologie, più che risolvere il problema delle memorie scritte, può finire per aggravarlo mettendone a rischio la conservazione di Salvatore Casaburi I momenti più alti della storia dell umanità, nel suo lungo percorso, sono riconducibili a due grandi categorie. Alla prima possono essere ascritte le grandi scoperte materiali, quelle, cioè, che consentono l estensione e il miglioramento delle funzioni del corpo. Il fuoco, la ruota, la pietra levigata, fino alla macchina a vapore e alle astronavi, consentono agli esseri umani di dominare il tempo (sul piano del prolungamento dell attesa di vita) e lo spazio (per quanto riguarda gli spostamenti e i collegamenti). Il sogno di Prometeo muove la storia stessa e da esso derivano, inoltre, anche le guerre, che di tale sogno, trasformato in incubo, diventano spesso il tragico strumento operativo. Ci sono, poi, le scoperte immateriali, quelle che pongono agli esseri umani la possibilità di dare soluzione alle complesse domande sul loro essere nel mondo. Più di quelle riguardanti il corpo, le scoperte riconducibili alla seconda categoria, quella della mente pensante, sono le vere motrici del progresso, per la divisione/contrapposizione che Pier Paolo Pasolini, in età contemporanea stabiliva tra sviluppo (economico/tecnologico) e progresso (profondamente umano ). Anche se i due stereotipi protostorici che la scuola imprime nella mente degli studenti sono la ruota e il fuoco, il grande passaggio tra il prima e il dopo del genere umano, che solo l affabulazione hollywoodiana può definire dalla preistoria alla storia, è dato da un momento particolare, di difficile collocazione temporale, ma sicuramente fondamentale rispetto a ciò che oggi noi siamo. di Eugenio Medaglia I n nessun altro campo, come nella finanza, vale la filosofia pitagorica secondo cui il numero è la misura di tutte le cose. Soprattutto i politici nostrani, quando ci vogliono dimostrare qualcosa, sono bravissimi a sciorinare numeri, dati, tabelle e percentuali. Questo perché il numero non mente mai e sta lì, davanti a noi, a ricordarci che esiste un mondo reale che non tiene conto dei nostri pensieri e desideri. Ma non dobbiamo dimenticare che attraverso i numeri si può mentire o selezionando i numeri che non servono o presentando un numero al posto di un altro, oppure, più spudoratamente, presentando numeri falsi che non stanno da nessuna parte se non nell immaginazione di chi li tira fuori. Questo è l ingenuo e drammatico caso della Grecia. Inoltre, i numeri bisogna saperli leggere, perché da soli non parlano. Io non ho mai sentito un numero parlare, siamo noi a farli parlare, anzi parliamo per mezzo di essi. Ancora, i numeri sono relativi. Un numero può rappresentare una tragedia per uno, ma è una sana risata per un altro. Prendiamo il caso del Giappone. Questo stato ha un rapporto debito / PIL del 236%. È una cifra mostruosa se si pensa che in Italia ci si straccia le vesti perché lo stesso rapporto è del 120%. Nel paese del Sol Levante il rapporto deficit / PIL ruota attorno al 10% e da noi stiamo con i fucili puntati perché non dobbiamo assolutamente superare il 3%. Eppure stiamo parlando della terza economia del mondo che esibisce un tasso di disoccupazione pari al 4,5% mentre in Europa siamo all 11%. Ma la cosa strabiliante non è questa. Il Giappone si permette il lusso di fare carry trade col debito Tale tappa non è neppure quella in cui entra in uso la scrittura nelle sue varie forme, ma è precedente, ed è quell attimo imperscrutabile collocato sulla linea del tempo che segna il big bang della nascita della civiltà. Il nucleo primigenio è nella sensazione, nel desiderio, poi nell intuizione e, infine, nel bisogno di dare forma percepibile dai sensi al proprio pensiero, estensibile nel tempo e nello spazio, del proprio essere nel mondo. È quella primitiva filosofia dei nostri lontani progenitori a determinare le diverse forme di rappresentazione concettuale, tra le quali rientrano anche la scrittura e le visualizzazioni parietali, non viceversa. Di ciò saranno ben consapevoli gli uomini del potere che, per millenni, delegheranno il compito di custodi della scrittura a caste privilegiate, Un ritratto di Johann Gutemberg spesso identificate con la divinità del capo supremo, come per i faraoni, o, più semplicemente, con la divinità tout court. Per secoli, ma anche ai giorni nostri, ovviamente nelle sue forme più evolute, il controllo della scrittura è stata, ed è, la preoccupazione principale del potere, senza eccezione di collocazione geografica. Questo controllo ha avuto (e ha) due strumenti che si evidenziano tra gli altri: la scuola e l informazione, dagli antichi scriptoria medievali fino al contemporaneo sistema globalizzato e tecnologizzato dell informazione e della comunicazione. La scrittura, intesa come veicolo formalizzato delle idee, cessa ben presto, sin dai suoi albori, di essere puro significante, per trasformarsi in significato, in rappresentazione del mondo e, come ebbe a scrivere nel Steve Jobs I NUMERI DELL ELDORADO GIAPPONESE Osservare la situazione dell economia giapponese, diversa dalla nostra per storia e natura, deve far riflettere, ma senza che sia abbandonata la prudenza nella lettura dei dati americano. Non si preoccupi il lettore, adesso traduco in termini casalinghi. Il governo giapponese chiede soldi ai propri cittadini pagando un interesse dell 1% e con questo denaro compra il debito americano ricavandone il 2%. In più, sempre il Giappone ha chiesto all Europa di poter comprare i titoli del Fondo Salva Stati. Ossia, se l euro vuole essere salvato, lo yen lo salverà George Orwell col suo romanzo-palindromo 1984, chi controlla la rappresentazione del mondo e la sua narrazione, controlla il mondo stesso o, perlomeno, una sua parte. Non a caso, la lotta per la democrazia ha sempre collocato al primo posto l obiettivo di processi di alfabetizzazione diffusi e autonomi dal potere, a prescindere dalle sue buone intenzioni. Anche da questo punto di vista, l introduzione delle nuove tecnologie di diffusione e conservazione della scrittura pone non pochi problemi che, non a caso, coincidono con la tendenza diffusa di ridurre il tempo storico a un eterno presente che sembra escludere la riflessione sul passato e la progettazione sensata del futuro. Di fronte alla crescente compressione del tempo e alla sua riduzione a dimensione unica e piatta, la difesa della scrittura e dei suoi supporti diventa un compito non derogabile della cultura. E questo per vari motivi. La velocizzazione esponenziale della dissipazione temporale tende a un vero e proprio azzeramento delle fasi storiche. Se la cosiddetta era preistorica durò decine, forse centinaia di migliaia di anni, l evo antico è riconducibile a un periodo che si aggira intorno ai tremila-quattromila anni. L età medievale durò soltanto mille anni e quella moderna è racchiudibile in soli tre secoli. Con la fine della seconda guerra mondiale si concludono anche i due secoli scarsi del periodo contemporaneo. Il postmoderno, poi, si frammenta in una moltitudine di microfasi, ognuna delle quali ridotta ai minimi termini rispetto alle precedenti, in una corsa che sembra fagocitare il consolidamento della riflessione e, di conseguenza, della memoria individuale e collettiva. La questione della scrittura e della sua conservazione, quindi, torna a essere di drammatica attualità, per ragioni che seguono di pari passo la riduzione delle scansioni temporali prima indicate. La tecnologia, paradossalmente, più che risolvere il problema delle memorie scritte, lo aggrava spaventosamente, sia sul Segue a pag. 16 Come è possibile che si verifichi questo Eldorado? Due sono le cartucce a disposizione del Giappone. Una consiste nel fatto che la Banca Centrale giapponese può stampare moneta, cosa che in Europa è fumo negli occhi, soprattutto in quelli dei tedeschi. La Germania teme che, stampando moneta, l inflazione possa andare fuori controllo e loro sono ancora impressionati dall inflazione mostruosa della Repubblica di Weimar negli anni venti. Eppure, in Giappone l inflazione è praticamente a zero, anzi i prezzi sono scesi dello 0,08%. Inoltre, il debito pubblico giapponese è detenuto, nella quasi totalità, dai giapponesi stessi e quindi non risente della speculazione dei paesi stranieri. Cioè, i giapponesi non hanno il problema di dover abbassare lo spread di qualche punto, loro semplicemente questo numero non ce l hanno. Ma in economia, si sa, non esistono soluzioni definitive. Tutto si deve mantenere su un qualche equilibrio. Il fatto che il debito giapponese sia tutto fatto e consumato in casa non è esente da rischi. Intanto, per questo debito c è un mercato esclusivamente locale e quindi troppo ristretto e poco liquido. Significa che se il risparmiatore rivuole indietro i soldi prestati non sempre li ottiene subito. Inoltre incombe la spada di Damocle della demografia. Quando gli ultrasessantenni giapponesi che detengono buona parte dei titoli pubblici vorranno liquidare o fare liquidare i titoli a figli e nipoti, il Giappone si dovrà aprire al mercato straniero e, con i numeri di sopra sul debito pubblico, il conto potrebbe essere molto salato. Da noi, anche se i numeri della ripresa sono ancora lontani (abbiamo ancora un PIL negativo allo -0,02% rispetto al trimestre precedente), i mercati finanziari anticipano buone speranze. Il più grande fondo obbligazionario al mondo, PIMCO, una vera autorità in questo campo sia per competenza e sia per risultati raggiunti, a novembre del 2012 ha annunciato che venderà i titoli francesi e tedeschi che detiene in portafoglio per comprare quelli italiani e spagnoli. Insomma, se la politica non si mette di traverso, la strada tracciata potrebbe essere quella giusta. eugeniomedaglia@gmail.com

6 6 sussurri & grida n 2 - Febbraio 2013 EDUARDO PONTI Segue da pag. 1 di Vanina Zaccaria I sento insicuro, quando ho bisogno di ritrovare la forza interiore, penso subito alla montagna. La luce blu del mattino, i colori, l aria, tutto quello che rappresenta è sempre stato in me. C è un aneddoto legato al fatto che avete girato riprese aeree senza elicottero. Ce lo racconti? E vero. Vedi, la cosa bella di non avere tanti soldi è che uno può sostituirli con le idee. C erano due o tre riprese che io volevo sul tipo di quelle aeree, allora ci siamo messi sul tetto di una telecabina che era proprio vicino a una delle pareti dove giravamo e siamo saliti. La cosa curiosa è che, mezz ora dopo aver finito le riprese, la telecabina è stata colpita da un fulmine. Lo avete preso come un segno buono o brutto? Nè come buon segno né come brutto segno. Abbiamo avuto fortuna e basta. Cosa ha significato presentare il cortometraggio a Napoli, la citta di tua madre? Ciò che è bello del ritornare in Italia, particolarmente a Napoli, è che c è un tale affetto, un tale amore, una tale ammirazione per la mia famiglia, in particolare per mia madre, che sento che tutti i napoletani fanno parte della mia famiglia. Loro conoscono mia madre quasi come la conosco io. In un certo senso siamo tutti cugini, ed è una cosa che mi tocca immensamente. Sei nato e cresciuto a Ginevra, sei spesso negli USA. C è un posto nel quale ti senti di più a casa tua? Devo dire che io sono un europeo. Quando sono in America mi sento ospite. Gradito, ma ospite. Anche Ginevra è importante: qui sono cresciuto e qui ho vissuto la mia adolescenza, le prime esperienze di giovane uomo. Ginevra vuol dire molto per me. Però non c è dubbio che quando sono in Italia ho la conferma più profonda che, più che altro, sono italiano. Perché gli sguardi, i toni di voce, la maniera di parlare, di camminare, mi fanno sentire che siamo tutti fatti dello stesso tessuto. Com è visto oggi il cinema italiano negli USA? Negli USA il cinema italiano è visto quando escono i film, è solo qui il problema. Se un film italiano trova la distribuzione in America è visto bene, trova la sua audience, il problema è, appunto, che deve uscire. Il cinema europeo è ancora difficilmente distribuito là. Non so quanti film si facciano in Italia, ma è sicuramente molto bassa la percentuale di quelli che arrivano negli USA. Come spettatore, quali film ti piacciono di più? Non c è un genere che preferisco agli altri. Come uno chef che ama i cibi, io amo il cinema, che sia Fellini o Tarkosvkij o Muccino. Mi piace vedere come gente diversa, di cultura e di vita diversa, sceglie di raccontare un storia. Perché alla fine è quello che facciamo: raccontiamo storie utilizzando la macchina da presa. Ed è sempre interessante vedere come questi grandi artisti utilizzino quello strumento. Ci sono dei registi ai quali ti ispiri, che consideri dei maestri? In questo momento, sto guardando i film di David Lean, un grande che mi piace molto perchè, diciamo così, non si mette in mezzo. E un maestro perché si mette al servizio del suo film ed è questa la regia che mi piace di più, quella che si rende invisibile. Quasi quasi vorrei che neanche si sapesse se è un film mio o di un altro, ma solo se è un film realizzato bene. Alla fine, fare un film è un regalo, non a noi stessi ma agli altri. Hai citato Tarkovskij. Qual è il tuo legame con la cultura russa? Da sinistra: Enrico Lo Verso, Erri De Luca ed Edoardo Ponti. A lato, Edoardo Ponti con la madre Sofia Loren e il fratello Carlo jr (a destra) in occasione di una serata dedicata al padre Carlo Ponti GUSTO E CULTURA SI INCONTRANO A TEATRO Proseguono, al Teatro Mercadante di Napoli, gli incontri di Libri e caffè, spazio dedicato alla degustazione di libri e cibo ideato da Edgar Colonnese e Luca Pisanti l foyer del teatro Mercadante si è rivestito di cartone riciclato per dare un tocco di ecosostenibilità alla cultura. E nato Libri & caffè, un po bistrot un po caffè letterario, per spargere libri e aromi in un luogo deputato all intrattenimento legato agli spettacoli teatrali. Ma perché limitarsi a questo, avranno pensato gli intraprendenti ideatori, Edgar Colonnese e Luca Pisanti, rivestendo il foyer di vecchio cartone e di nuove idee. E, dunque, perché non offrire a tutti l opportunità di incontrarsi in un posto già di per sè suggestivo, scegliendo di comprare un libro, anche raro, o di bere un caffè dalla miscela particolare? Ma anche di degustare cibi serviti in maniera originale, come quelli che prepara deliziosamente lo chef Pietro Parisi servendoli nei particolari boccaccielli. O di partecipare a presentazioni di libri con autori tra i più amati. Questo il progetto dei due illustri librai. Progetto avviato e testato con successo grazie, soprattutto, alle prime presentazioni che hanno visto protagonisti gli scrittori Diego De Silva e Maurizio De Giovanni, molto amati e seguiti. A Edgar Colonnese abbiamo chiesto di soddisfare alcune curiosità su tutte, lieti di un iniziativa che merita attenzione e partecipazione. Dato il generale momento di difficoltà, la vostra sfida è più un atto di coraggio o di incoscienza? Non credo esista coraggio senza una piccola dose di incoscienza. Certo è significativo che mentre le librerie chiudono noi decidiamo di aprirne una nuova. Ovviamente, considerando prioritaria la ricerca di una nuova fruizione della libreria. Proponendola come luogo dove non acquistare solo libri, ma degustare le eccellenze enogastronomiche della nostra regione, sostare in uno spazio caratterizzato dall uso di materiali a bassissimo impatto ambientale, ritrovarsi per momenti conviviali o incontri di lavoro, per il rito dell aperitivo o del brunch, per acquistare prodotti enogastronomici di eccellenza come vini biologici, birra artigianale, caffè tostato a legna e gli ormai notissimi boccaccielli di Pietro Parisi. Certo, in una città individualista come la nostra il fatto che due librai di seconda generazione, con specificità così diverse, decidano di unirsi facendo leva sulle diverse competenze e ricavando valore aggiunto nella progettazione e gestione di Libri & Caffè è una sfida. Ma una sfida già vinta. La direzione di Libri & Caffè è affidata a Ester Mancini. Siete soddisfatti della risposta della gente in occasione dei primi Egdar Colonnese, Ester Mancini e Luca Pisanti Tarkovskij è un maestro e il suo libro sul cinema, Scolpire il tempo, è una bibbia per ogni regista. Poi, riparlando dei corti, mi piace citare Cechov perchè lo considero colui che ha inventato la storia corta. Per me è uno scrittore importantissimo perchè aiuta a capire il ritmo del corto e come la storia deve concludersi. La fine di un corto è l inizio di un nuovo capitolo che si svolge nella mente del lettore. Concludiamo con una nota leggera. Abbiamo letto che senza barba ti senti più nudo. Quanto conta per te il look? Niente, non me ne frega niente. Però è vero che mi rado poco e quando lo faccio mi sento più nudo perchè la mia pelle non è abituata a stare senza un po di barba. Un fatto fisiologico, non di vanità. Preferisco sviluppare ed esprimere quello che ho dentro. Quello che ho fuori non lo posso cambiare. due reading letterari? Abbiamo registrato complessivamente, nei due incontri, la presenza di circa trecento persone e ci riteniamo senz altro soddisfatti. Ovviamente, anche nei mesi successivi la programmazione prevede gli incontri con l autore a cura di Angelo Petrella, a cui si affiancherà un altro evento settimanale L aperitivo con l autore dove sarà possibile degustare i tre momenti del caffè letterario, libri, cibo, drink. A breve partirà anche il calendario degli incontri con registi e attori ospiti della programmazione del Teatro Mercadante. E, a inizio marzo, il corso di scrittura creativa curato da Angelo Petrella. Ma ci saranno ancora delle sorprese. Anche l originale esperimento gastronomico ha superato la prova? La forza di Libri & Caffè risiede anche nella scelta qualitativa che stiamo cercando di fare. In questo ambito il proporre finger food di altissima qualità, grazie alla collaborazione con Pietro Parisi, ci sta dando moltissime soddisfazioni. La risposta dei clienti è piena di entusiasmo, nonostante lo scetticismo iniziale. A riprova che in questa città la ricerca della qualità paga. I boccaccielli di Pietro Parisi

7 n 2 - Febbraio L IMPEGNO DI MENTORING: DALLA PARTE DEI BAMBINI Positiva chiusura, a Napoli, della XXIII edizione del WorldForum. Quattro giorni di lavori dedicati al futuro delle giovani generazioni organizzati da Mentoring USA Italia ONLUS e L albero della vita. Matilda Raffa Cuomo: aiutare le persone a realizzarsi M atilda Raffa Cuomo è stata per tredici anni first lady dello Stato di New York al fianco del marito Mario Cuomo. Insieme rappresentano uno degli esempi fulgidi dell immigrazione italiana negli Stati Uniti d America. Sulla base delle sue esperienze di vita, come madre e insegnante, Mrs Cuomo è l ideatrice del mentoring, un sistema educativo che oggi vanta un successo internazionale e che sta nell affiancare a ogni ragazzo un volontario amico che lo segua nella sua formazione. Negli States ciò è stato reso possibile dall interessamento di numerose realtà e personalità, tra le quali Andrew Cuomo e Rudolph Giuliani che hanno collaborato al Programma Mentoring coinvolgendo i Poliziotti del NYPD - New York Police Department. Il Presidente Onorario di Mentoring USA, con la sua passione inesauribile per l Italia e le sue tradizioni, Matilda Raffa Cuomo, ha lavorato con le più alte cariche politiche e i leader della comunità americana e italoamericana per realizzare programmi che aiutino a prevenire gli abusi sui minori, il cancro al seno per le donne, le violenze in famiglia e, soprattutto, l abbandono scolastico da parte dei ragazzi. Per questo, nel 1987, ha incoraggiato la nascita del New York State Mentoring Program che, nel 1995, è stato convertito in Mentoring Usa. Nel 1998 nasce Mentoring USA/Italia Onlus della quale Mrs Cuomo è Presidente Onorario. Presidente è Sergio Cuomo, infaticabile promotore di tutte le Matilda Raffa Cuomo con Michelle Obama Matilda Raffa Cuomo con il Presidente di Mentoring Usa/Italia Sergio Cuomo iniziative in Italia e alla testa di un gruppo di dirigenti di altissimo valore. Di questo contesto fa parte il WorldForum sul benessere dei bambini, promosso dall organizzazione internazionale non governativa IFCW (International Forum for Child Welfare) la cui ventitreesima edizione si è svolta a Napoli dal 26 al 29 novembre 2012, organizzata con Mentoring Usa Italia e la Fondazione L Albero della vita. Sono stati quattro giorni intensi di incontri, dibattiti, discussioni e workshop con un unico protagonista: il bambino. Tutte le organizzazioni che hanno partecipato sono state concordi nel rivolgersi soprattutto ai governi, alle istituzioni e alle forze politiche per dare seguito alle dichiarazioni di cooperazione e allo sviluppo di un mondo a misura di bambino. Si è cercato di analizzare i rapidi cambiamenti, anche strutturali, del mondo, il cui risultato è la difficoltà per gli individui e le comunità di sincronizzarsi PERCHE L ITALIA? L ITALIA E CASA MIA A margine del WorldForum il nostro Direttore Carmine Zaccaria ha rivolto alcune domande al Presidente Onorario di Mentoring USA/Italia Matilda Raffa Cuomo con i cambiamenti economici, politici, sociali e culturali. Tali trasformazioni possono essere affrontate con strumenti chiave quali l educazione e l istruzione che permetteranno di preparare le nuove generazioni alla costruzione del proprio destino, di una società equa e inclusiva, rispettosa della diversità con una particolare attenzione ai più vulnerabili. Gestire la diversità richiede impegno, coraggio, pazienza, ma regala la gioia della scoperta, il rischio del confronto e l audacia del mettersi in discussione. Il primo passo da fare è quello di cominciare a considerare la diversità non come un elemento da tollerare, ma come un bene da tutelare. Particolare attenzione è stata rivolta alla migrazione, da sempre motivo di emarginazione e di intolleranza. Il Forum si è aperto con dei numeri: sono 33 milioni i ragazzi e i bambini in tutto il mondo che, con o senza la loro famiglia, hanno lasciato il loro paese. Un numero di persone alla ricerca della sopravvivenza e di migliori condizioni di vita che oggi supera i 210 milioni e che è destinato a crescere (IOM, 2010). Matilda Raffa Cuomo ha però sottolineato che la crescita è figlia dell emigrazione. I miei suoceri hanno portato negli Stati Uniti la cultura italiana promuovendo la nascita di una nuova generazione che ingloba culture diverse. Mio padre era solito dire tutto il mondo è Paese. Quindi - ha detto - bisogna accogliere le persone tutelando e garantendo condizioni di vita dignitose che possano consentire agli individui di realizzarsi, innanzitutto, come persone. Non bisogna dimenticare che essi potranno determinare dei cambiamenti notevoli di sviluppo. Per Sergio Cuomo i bambini e i ragazzi devono essere al centro dei pensieri di ogni Governo, i primi perchè rappresentano la parte più vulnerabile e i secondi perché fungono da cerniera tra gli adulti di oggi e gli adulti del domani. Da oltre quattordici anni Mentoring USA/Italia Onlus cerca di prevenire e contrastare la dispersione scolastica impegnandosi nella realizzazione di progetti che rappresenti no un opportunità per i ragazzi, soprattutto nelle dinamiche dei processi di sviluppo ed evoluzione della persona. Il metodo one - to - one offre un intervento di aiuto a tutti coloro che, pur avendo le capacità per riuscire, si trovano in difficoltà scolastiche per motivi diversi: timidezza, difficoltà relazionali, scarsa motivazione allo studio, mancanza di un metodo di studio adeguato, poca autostima. Questo modello organizzativo ha permesso, in questi anni, di evitare che circa 9000 ragazzi abbandonassero la scuola. Il WorldForum è stato anche un occasione per ascoltare, direttamente dalla sua voce, le riflessioni di Matilda Raffa Cuomo. Le parole della Signora Cuomo, intervistata direttamente dal nostro Direttore, sono un ulteriore conferma della passione che lei e la sua famiglia hanno messo nel progetto Mentoring e del forte legame che tutti i Cuomo hanno con il nostro Paese. Un legame che viene da lontano e che appartiene ai popoli di Stati Uniti e Italia. Signora Cuomo, il Mentore dell attuale Governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, è stato il Presidente Bill Clinton? Sì è stato il Presidente Clinton. E il Governatore è stato anche Ministro delle Aree Urbane durante l amministrazione Clinton? Sì. E anche Hillary Clinton è stata mia amica. Quando ho pubblicato il mio primo libro, quello che stiamo presentando ora è il terzo, hanno affiancato la loro immagine alla mia, sul mio libro, e si sono detti molto contenti del mio lavoro in quanto questo libro vuole far capire che anche le persone che poi sono diventate famose, celebri, hanno cominciato con una persona che è stata loro vicino, un buon Mentore che ha fatto loro da guida, ha dato loro aiuto. È una cosa molto bella. Quando c è stato l incontro a Roma, alla presenza del Governatore Mario Cuomo, tutti i mentori hanno dichiarato che loro stessi sono tornati a scuola. Qualcuno ha detto: ho aiutato un ragazzo e poi ho ricominciato l Università. Signora Cuomo, questa iniziativa avvicina ancora di più Italia e Usa? Siamo una famiglia. Siamo la stessa famiglia. Mario ha fatto di due case un unica tradizione, quando era governatore. Voleva rafforzare i legami tra i Paesi e ha cominciato con l Italia. I giornalisti ci chiedevano perché avessimo cominciato con l Italia. Perché è la mia Patria! Abbiamo risposto. I nostri cuori italo-americani non dimenticano mai l Italia. Il ritorno di un Cuomo alla guida dello Stato di New York che conta 30 milioni di abitanti, porterà avanti la tradizione di Mario Cuomo e dell amministrazione precedente guardando verso il futuro? Io credo nel destino. Se Dio vuole sarà così. Io credo che, se ci mettiamo tutte le nostre energie, se lavoriamo molto, possiamo realizzare quello che serve. Sono tempi di crisi in tutto il mondo. Soprattutto i giovani, sono loro quelli che, se non ci sono persone che li proteggono, che li tutelano, soffrono di più. In questo momento c è recessione, ci sono problemi economici in tutti i paesi, e i ragazzi sono quelli che soffrono maggiormente. Noi dobbiamo aiutarli, è d obbligo. La signora Cuomo con il Direttore di Sussurri e Grida Carmine Zaccaria

8 8 L ARTE CHE SI AFFACCIA SUL MONDO di Vanina Zaccaria I Una mostra a Lugano esamina il ruolo della finestra, come strumento e come soggetto, nello sviluppo dell arte occidentale tra tematiche artistiche e filosofiche diverse di Gerardo Pedicini Arte come finestra sul mondo. Ipotesi suggestiva, non priva di fascino e di riferimenti filosofici. Dal Rinascimento e fino ai nostri giorni, la finestra è il tema frequente nella rappresentazione pittorica: è la cornice entro cui ordinare la realtà, il diaframma tra mondo interno ed esterno, la soglia su cui si affacciano emblematiche figure, la proiezione del mondo interiore, l apertura su un universo immaginario e onirico e, infine, la simbolica sublimazione virtuale. Ognuna di queste tematiche è stata affrontata dai curatori della mostra Una finestra sul mondo, Giovanni Iovane, Marco Franciolli, Sylvie Wuhrmann e Francesca Bernasconi, sviluppata dai contributi critici di Angelika Affentranger, Brenda Danilowitz, Daniela Ferrari, Nicholas Fox Weber, Elio Grazioli, Angelica Jawlensky, Rosalind Krauss, Alberto Pezzotta, Bruno Reichlin e Victor Stoichita. Il percorso espositivo, dislocato tra il Museo d Arte e il Museo Cantonale d Arte di Lugano, inizia con la definizione di Leon Battista Alberti: Una aperta finestra dalla quale si abbia a veder l istoria che rimanda alle norme della buona proporzione e ai procedimenti dell ordo geometrico con cui l artista è in grado di accogliere in sé il mondo esterno nella razionalità delle sue fughe prospettiche. Subito dopo troviamo la sezione (La finestra sul mondo: da Dürer e oltre), che si apre con l incisione su rame del Ritratto di Filippo Melantone (1526) di Dürer e la Donna con i gelsomini ( ) di Lorenzo di Credi in cui si assiste alla esemplificazione delle leggi prospettiche albertiane: squadrature di spazi, profondità di visione, raccordi tra le singole parti delineano il rapporto razionale, quantificabile e verificabile tra soggetto e oggetto della rappresentazione. Segue la Dama seduta vicino alla finestra con bambina sulla soglia (1680) di Pieter de Hooch, dove l ombrosa quiete dell interno sembra custodire in sé la raccolta pace domestica in opposizione alla luminosità del paesaggio esterno che appare come uno scenario distante e lontano. Nei lavori di Piet Mondrian profondità e prospettiva si riducono a una griglia geometrica come tante finestre contigue, frutto di una costante astrazione a unità linguistica di linee-colore, come accade nella Composizione n. VI9 (1914) dove il muro esterno della casa davanti alla sua finestra diventa una tessitura di segni verticali e orizzontali che, nei disegni di Giulio Paolini, si traducono in tracciati lineari mescolati a forme geometriche e nelle foto di Thomas Struth a icona collocata davanti allo spettatore fotografato di spalle. Nella seconda sezione (Natura LA MAGICA AFRICA DI KAREN Moriva nel settembre del 1962 la grande scrittrice danese la cui fama è legata al celebre romanzo La mia Africa, un diario intimo dedicato alla terra che l aveva conquistata l parco e la casa dove ha vissuto gli ultimi giorni, che oggi sono un museo, sono meta di pellegrinaggi letterari. Siamo sullo stretto di mare dell Oresund che separa la Danimarca dalla Svezia e che un ponte e un lungo tunnel sotterraneo superano in pochi minuti. Karen Blixen (vero nome Karen Christence Dinesen) nacque qui nel 1885, in una tipica casa del 500, ex-locanda, risistemata dopo il rientro dall Africa. Ci sono il grammofono, i dipinti a olio, l orologio a pendolo andato e tornato dal Kenya, la vecchia macchina da scrivere, tende e fiori dappertutto. A Copenaghen ci sono altri luoghi che la ricordano: l Accademia Reale di Belle Arti, dove Karen seguì corsi di disegno, e la storica sede della Gyldendal, la più antica casa editrice danese, che pubblicò La mia Africa. Karen Blixen era figlia di un proprietario terriero dedito alla politica (poi morto suicida), visse per lungo tempo nella residenza di campagna che il padre prima acquistò e in seguito restaurò a sue spese. Oltre alla placida routine della campagna danese, Karen conobbe, almeno per la prima parte della sua vita, gli agi e i pettegolezzi degli ambienti moderni di Copenaghen. Nel 1913 si fidanzò con il cugino svedese, il barone Bror von Blixen-Finecke, e insieme decisero di partire per l Africa con l idea di acquistarvi una fattoria. L epilogo rosa è costituito dal matrimonio celebrato a Mombasa nel Una volta uniti e in regola con la legge, di comune accordo si trasferirono in una grande piantagione nei pressi di Nairobi. L attrazione per l Africa e gli africani fu immediata e sensuale. Entrarono nella mia esistenza - scrisse alla fine della sua vita - come una risposta a una interrogazione profonda della mia natura, forse ai miei sogni d infanzia, alla poesia che avevo letto e adorato a lungo allora, o alle emozioni e agli istinti che giacevano nel più profondo della mia anima. Sentiva di condividere con loro una specie di patto. Da parte sua, l aristocrazia locale inglese ci mise un bel po ad accettare questi nuovi arrivati. Le lettere che inviava in Danimarca ( Lettere dall Africa ) fremono di rabbia per la meschinità dei coloni bianchi e degli inglesi in particolare. I loro pregiudizi razziali le dispiacevano più di tutto. La superiorità morale dei Bianchi era per lei un illusione e in ciò che riguardava punti importanti, l onore o il senso dell umorismo, per esempio, gli Africani le apparivano molto più civilizzati. Prima il crollo del mercato del caffè, poi la scoperta della sifilide, malattia quasi endemica tra i Masai e che le fu trasmessa dal marito, la costrinsero a chiudere l attività della piantagione, dopo alcuni anni di stentata sopravvivenza. Tornò in Danimarca minata dall inesorabile malattia e trascorse lunghi periodi in ospedale, talvolta impossibilitata addirittura a scrivere o ad assumere la posizione seduta. Per dare corpo alla sua creatività si affidava alla segretaria, depositaria fedele e trascrittirce attenta delle sue flebili dettature. La lontananza dal Kenya divenne un vero e proprio mal d Africa che sfociò, appunto, nella sua opera celeberrima La mia Africa, un diario intimo nel quale la Blixen, complessivamente, lascia intendere che l Africa sia superiore all Europa in quanto più pura e più vicina al mondo che Dio aveva preparato per gli uomini. La mia Africa è un racconto che rappresenta la bellezza della natura stessa con i suoi pregi e difetti. In Africa aveva fatto la conoscenza di Denys Finch Hatton, da lei definito principesco, col quale visse alcuni anni, fino alla morte di quest ultimo in un incidente aereo. La fine arriva il 7 settembre 1962 quando Karen Blixen ha da poco superato i settantasette anni. Una particolarità di questa autrice è che lungo tutta la sua carriera ha amato celarsi dietro numerosi pseudonimi n 2 - Febbraio 2013 morta e finestra) gli oggetti dei dipinti di Ambrosius Bosschaert ( Vaso di fiori, 1615), Paolo Antonio Barbieri ( La spezieria, 1637 ), Villenwillem Heda ( Colazione con prosciutto, 1638), Harmen Steenwijck ( Vanitas, 1665), Johann Rudolf Bjs (Natura morta con paesaggio marino, 1723) e Amedee Ozenfant ( Tazze bicchieri e bottiglie davanti alla finestra, 1922) sono il prolungamento del mondo esterno. La luce che entra dalle finestre si raccoglie intorno a fiori, frutta e suppellettili per sottolineare, pur nella assenza della presenza umana, la loro dimensione domestica. Nelle nature morte di August Macke ( ) e Gabriele Münter ( ), invece, la forza luminosa dei colori è come una finestra aperta sui misteri del proprio mondo interiore che Joseph Cornell ( ) Due opere col tema della finestra. Qui sopra, Matisse. A destra, De Chirico Segue a pag. 14 come Isak Dinesen o Tania Blixen Questo strano, e per certi versi incomprensibile, atteggiamento attirò su di lei un gran numero di pettegolezzi, anche relativamente all originalità dei suoi scritti. Resta il fatto che Hemingway, al momento della consegna del premio Nobel, insinuò che il suddetto premio avrebbe dovuto essere anche assegnato alla gran signora venuta dal Nord. Tra le altre sue opere, divenute col tempo dei veri classici, ricordiamo Sette storie gotiche (1934) e Il pranzo di Babette (1952). Molte le trasposizioni cinematografiche dei suoi scritti tra cui proprio Il pranzo di Babette e, ovviamente, La mia Africa, film del 1985 di Sydney Pollak con Meryl Streep e Robert Redford che si aggiudicò ben sette premi Oscar. Karen Blixen

9 n 2 - Febbraio UNA MISSION PER L INTEGRAZIONE Istituto Lermontov e Città del Sapere firmano un protocollo d intesa pensato per favorire l inserimento in Italia degli studenti provenienti dai Paesi della disciolta Unione Sovietica Favorire l integrazione culturale dei cittadini provienienti dalla disciolta Unione Sovietica, con uno sguardo particolare agli studenti universitari, è la mission intorno alla quale nasce la collaborazione tra l Istituto di Cultura Russa M. Lermontov e Città del Sapere Polo Didattico dell Università Unitelma/Sapienza di Napoli, messa nero su bianco con la firma di un protocollo d intesa avvenuta presso la sede di Città del Sapere il 18 febbraio scorso. L accordo, sottoscritto da Carmine Zaccaria, Presidente dell Istituto di Cultura Russa M. Lermontov e Bruno Pinti, Presidente di Città del Sapere, si regge su alcuni punti cardine: avviamento dell iter necessario al riconoscimento dei titoli accademici conseguiti all estero; attività di ricerca didattica e svolgimento di stages per il conseguimento di crediti formativi; organizzazione di seminari e conferenze destinate al pubblico universitario; organizzazione di eventi culturali. Un intesa che è il risultato delle rispettive esperienze e competenze delle due realtà che l hanno firmata. Infatti, l Istituto di Cultura Russa M. Lermontov ha, tra le sue finalità statutarie, la ricerca nel campo culturale, il miglioramento e la qualificazione professionale in generale e, in particolare, della Federazione Russa e dei Paesi della disciolta Unione Sovietica. Dal canto suo, Città del Sapere è il Polo Didattico dell Università Telematica Unitelma Sapienza (braccio telematico della prestigiosa Università La Sapienza di Roma), università pubblica non statale riconosciuta dal Ministero dell Università e della Ricerca dal Il progetto di collaborazione è stato illustrato presso la sede di Città del Sapere dove si è riunita una squadra di lavoro. Erano presenti, oltre a Carmine Zaccaria e Bruno Pinti, il dott. Vincenzo Scatola, responsabile di marketing e pubblicità della CCIR - Camera di Commercio Italo-Russa Desk Campania; Egidio Carbone, regista cinematografico e promotore del progetto L attore costitutivo ; l Architetto Barbara Mancusi Barone, Presidente di Herculaneum Opportunities; il Professor Luigi Arionte, Dirigente Scolastico IPSAR di Pozzuoli; Il Dottor Tullio Campana, dell Università di Bolzano; il Professsor Nicola Lupoli, dell Università di Bolzano; la Dottoressa Daniela Lovato, dell Università di Bolzano; il Dott. Renato Mazzarelli, Responsabile area legale di Città del Sapere ; il Professor Luigi Ferrandini, avvocato penalista; la fashion designer Patrizia Lieto. Carmine Zaccaria è Addetto Consolare e Segretario Generale del Consolato On. della Repubblica di Belarus in Napoli, Responsabile della Camera di Commercio Italo-Russa - Desk Campania, Consigliere della WARP - Associazione Mondiale della Stampa Russa, Presidente di RBN Italia - Russian Broadcasting Network. Carmine Zaccaria e Bruno Pinti firmano l intesa Per lo sviluppo della Città di Sapere si impegneranno anche diverse organizzazioni presiedute da Carmine Zaccaria: l Istituto di Cultura Bielorussa M. Chagall, l Istituto di Cultura Ucraina T. Shevchenko, la Fondazione Lermontov. Bruno Pinti, Presidente di Città del Sapere, Polo Didattico dell Università Unitelma/Sapienza di Napoli, ha spiegato che tra i primi passi ci sarà quello di raggiungere un accordo con le Università russe e dei paesi della disciolta Unione Sovietica, oltre all istituzione di una commissione universitaria italiana che dovrà esaminare i percorsi formativi degli istituti superiori e delle università di questi paesi per il riconoscimento in Europa dei titoli conseguiti. Inoltre - ha detto Pinti - stiamo organizzando corsi formativi per il rilancio del Made in Italy: enogastronomia, fashion design, turismo. Tali corsi potranno essere seguiti on line o presso le aule del Campus, soluzione ottimale in quanto consente confronto con i docenti ed esperienza in laboratorio. Ci stiamo organizzando con la nostra piattaforma per le lezioni in lingua inglese. Per tutti, italiani e non, per l inserimento nel mondo del lavoro è fondamentale un ottima conoscenza dell inglese. Nel suo intervento, Carmine Zaccaria ha detto che saranno diverse le strutture che affiancheranno le iniziative previste dal Protocollo. Con questa iniziativa - ha spiegato - ci rivolgiamo a tutti i russofoni del mondo. Sono diversi i risultati dell ultimno anno di lavoro - ha spiegato. A settembre abbiamo organizzato due business meeting. Al primo hanno preso parte il Vice Presidente della Knesset e un alto esponente della squadra del Presidente Putin. Inoltre, abbiamo organizzato il XIV Congresso della Stampa Mondiale Russa che si è svolto tra Napoli, Capri e Procida. Per il nostro lavoro possiamo contare sul Network RBN e sul Portale dell Est, attraverso il quale trasmettiamo un telegiornale settimanale in lingua russa con sottotitoli in italiano interamente realizzato da noi. Ringraziamo S.E. Shestakov E.A., l Ambasciatore della Repubblica di Belarus in Italia che ci ha comunicato la possibilita di utilizzo di un palazzo al centro di Minsk per iniziative culturali ed economiche di livello internazionale. Barbara Mancusi Barone ha illustrato l attività e i progetti della Herculaneum Opportunities lanciando l idea di una promozione presso i giovani di percorsi di formazione in ambito archeologico, della navigazione, dell accoglienza. Luigi Ferrandini ha parlato dell esigenza di preparare i docenti perchè possano seguire da vicino i ragazzi. Sulla necessità di seguire i giovani da vicino si dice d accordo Luigi Arionte, il quale afferma che: bisogna insegnare ai ragazzi l accoglienza e far fare loro esperienza sul campo. In più, Arionte pone l attenzione sul fatto che i siti campani sono trascurati e, spesso, sconosciuti all estero. Ho fatto da guida - spiega - in occasione della visita dell allora Cardinale di Boston Bernard Francis Law il quale si disse molto sorpreso di quanto aveva visto. Negli USA non si ha notizia del nostro enorme patrimonio. Nei soli Campi Flegrei c è il 53-54% del patrimonio culturale campano. Da sinistra: Nicola Lupoli, Daniela Lovato, Carmine Zaccaria, Bruno Pinti, Tullio Campana a cura di Calais Borea Archeologia della letteratura I brani qui pubblicati sono tratti dal volume Napoli russa edito da SANDRO TETI EDITORE nel 2005 Pavel P. Muratov - Visita a Napoli (1910) Il napoletano vive solo nel momento in cui prova piacere. Egli sa godere della propria andatura pigra e leggera, del colore squillante della sua cravatta, del cielo splendente sulla sua testa, della sensazione della brezza marina sul viso, del rumore delle ruote, dello schiocco della frusta, delle sgargianti toilette delle signore che incontra e del profumo delle pietanze che si espande dalle porte spalancate del ristorante. A Toledo trova tutto quello che ama di più al mondo. E nessun altro essere umano ama il mondo di un amore così forte, tenace, animalesco. Nadezda A. Luchmanova - Nel paese incantato delle canzoni e della povertà (1898) Sono arrivata a Napoli in dicembre. L inverno si faceva sentire solo per la freschezza dei mattini e delle sere; di pomeriggio il sole era così caldo che si poteva stare con il solo vestito. L animazione che mi è capitato di vedere il 24 dicembre, alla vigilia del Natale di qui, non l avevo mai incontrata; le vie erano letteralmente stracolme di una folla allegra, festosa; grida sonore e scoppi di risa provenivano un po da tutte le direzioni; le carrozze avanzavano a fatica tanto era fitta la folla; le ondate di gente si susseguivano fermandosi ovunque ci fosse qualcosa di interessante; ogni bottega e perfino ogni bancarella di frutta e verdura, ogni chiosco cercava di superare il vicino nello sfarzo dell allestimento... In un punto la folla applaudiva davanti all opera di un salumaio che era riuscito a formare, con strutto e salsicce, la sagoma di un uomo, e quasi a grandezza naturale. In via Santa Brigida sembrava che il mare avesse voluto esibire tutte le ricchezze del suo regno: aragoste, polipi, anguille, merlani, lamprede; perfino galli e galline vivi legati per le zampe a gruppi di dieci o dodici coppie e lì in fianco padelle e cucine con piatti pronti, con pentoloni di salsa di pomodoro calda in cui i poveracci, per mezzo copeco, potevano intingere il pane. A Natale e a Pasqua non c è famiglia, neppure tra le più povere, che vivono nei bassi o nelle grotte, che non possa almeno per quel giorno mangiare bene. La cosiddetta Confraternita Corsini ha introdotto qui una consuetudine originale e nello stesso tempo benefica per la gente del popolo: ogni settimana i poveri portano al capo del loro quartiere una somma variabile tra i cinquanta centesimi, circa diciassette copechi nella nostra moneta, e una lira o anche due, e così fanno approssimativamente dal l0 marzo al 24 dicembre. Per la somma che ciascuno di loro ha accantonato gli vengono acquistate tante di quelle provviste (naturalmente a un prezzo conveniente, data la mole dell ordine) che la sua famiglia non si alza letteralmente da tavola almeno per una settimana e può festeggiare quella ricorrenza in modo davvero allegro e gioioso. Quest abitudine danneggia ovviamente ristoranti e trattorie, poichè nessuno lascia 1a sua tavola quando è cosi allegra e ben fornita, e avvantaggia le farmacie, che a Pasqua e a Natale registrano il massimo delle vendite di olio di ricino e di altri rimedi altrettanto ingenui, ma efficaci. Le strade sono illuminate da migliaia di luci; ogni venditore ha le sue lampade e il suo sistema di illuminazione. Ma ecco che arriva l ora dell Ave Maria e tutta Napoli sfavilla di luci. C è un rumore, in questo momento, che sveglierebbe anche un sordo. I razzi scoppiano in cielo con un fracasso tremendo; 1e candele romane sono disseminate qua e 1à come stelle; nelle mani di quelli che stanno sui balconi compaiono enormi fiaccole di resina da cui cade sulla strada una pioggia di spruzzi infuocati. Dovunque risuona il rumore degli spari.

10 10 n 2 - Febbraio 2013 CHLEBNIKOV, GRANDE POETA RAMINGO Novant anni fa moriva uno dei più grandi poeti del XX secolo, capace di rivoluzionare la semantica della lingua poetica. Con la sua arte ha illuminato l universo di Aleksandre Urussov A i tempi della scuola, una volta, un mio compagno di classe che era venuto a sapere che scribacchiavo qualcosa in segreto e che mi interessavo in qualche modo all avanguardia russa - gli artisti e i poeti dell inizio del XX secolo - mi recitò a memoria, dei versi che non ho mai più dimenticato: «Crepuscolo grigio, crepuscolo grigio/ l icona, regalo del nonno./ Il moccolo della candela sgocciolato sulla tovaglia grigia./ Qualcuno è crollato come un sacco sul letto,/ stanco morto, smisuratamente/, i capelli bianchi, selvaggiamente scompigliati,/sul cuscino si vede una grande testa grigia (...)/ L aria è triste, spaventosa./ Qualcuno è in agguato,/ qualcuno attende la preda...» (traduzione di G. Gigante). Non sapevo di chi fossero quei versi, ma ricordo bene che, nell ascoltarli, fui percorso da un brivido, il brivido che si prova quando si ascoltano parole che ci toccano nel profondo. Allora il compagno mi mostrò un libretto consunto rilegato in tessuto le cui pagine avevano assunto una tinta giallastra, quasi marroncina. Era una raccolta di versi di Velimir Chlebnikov, pubblicata probabilmente alla fine degli anni Venti. Avevo già sentito nominare Chlebnikov, ma in un contesto un po strano, come di un poeta mezzo matto, forse simbolista, forse futurista, che si era autoproclamato «Presidente del Globo Terrestre». Ma di chi fosse veramente, come poeta e come uomo, non avevo alcuna idea. L epoca dell avanguardia russa che mi interessava veniva chiamata, sui nostri manuali scolastici, Età d Argento, ma di questa Età ci era dato di conoscere solo Majakovskij e Blok, il primo solo nel suo periodo postrivoluzionario filosovietico e il secondo soltanto come autore del poema I dodici. A quel tempo, verso la metà degli anni Sessanta, il nome di Velimir Chlebnikov (Velimir è uno pseudonimo poetico, il suo vero nome era Viktor Vladimirovic) era noto a pochi. Solo a chi si interessava della storia del futurismo russo e voleva veramente sapere che cosa era accaduto nella letteratura e nell arte di quel periodo tempestoso, un epoca di cambiamenti colossali che furono il prologo di tragedie dalla portata quasi apocalittica. Per molti anni Chlebnikov rimase un letterato semidimenticato in Urss in quanto totalmente estraneo ai canoni del Realismo socialista. Almeno per quanto riguarda la forma perché in numerosi articoli e poesie si era espresso, sia pure a modo suo, in maniera positiva sulla rivoluzione e il potere dei bolscevichi (per esempio, nella poesia La notte prima dei Soviet, citata sopra). In ogni caso, il poeta non si espresse mai contro ed è forse per questo che la figura di Chlebnikov, pur essendo dimenticata dalla critica letteraria sovietica, non è stata cancellata dalla storia ufficiale della letteratura, come è accaduto a Gumilev, che era stato fucilato, o agli scrittori emigrati come Severjanin, Bal mont, Chodasevic, Vjac, Ivanov, Cvetaeva. Dopo la morte di Chlebnikov, nel 1922, all età di soli 37 anni, gli amici riuscirono addirittura a pubblicare per un certo tempo, con piccole tirature, alcuni suoi libri. Fu persino pubblicata una raccolta incompleta delle opere di Chlebnikov in 5 volumi ( ). La prima grande raccolta di versi, opere teatrali e articoli del poeta, è uscita solo dopo un lungo intervallo di tempo, durante la perestrojka. Ora il nome di Chlebnikov è ben noto a tutti gli appassionati di poesia in Russia, e non solo ai filologi e slavisti occidentali, grazie agli studi di Roman Jakobson e Vladimir Markov. Benché sia universalmente riconosciuto che questo genio, una leggenda nella storia della poesia del XX secolo, è unico, vi sono molti punti che sono rimasti ancora oscuri. La vita e l opera del poeta che anticipò di un decennio il cammino della poesia russa rimangono sotto molti aspetti misteriose anche per i filologi. Chlebnikov attira, ma spesso respinge anche. Respinge per la sua enigmaticità che si cela non solo nei Velimir Chlebnikov suoi testi poetici che sono naturalmente complessi ma non più di molti testi di futuristi russi come il celebre dyr bul scyl di Krucenych o gli esperimenti linguistici di altri adepti dello zaum. Allo studio dello zaum è stata dedicata un enorme quantità di opere in cui le opinioni degli studiosi spesso divergono totalmente. Non si è giunti, quindi, a una qualche conclusione comune in merito al reale significato di questo concetto. La lingua zaum è stata, per esempio, definita dal filologo americano Gerald Janecek come una lingua caratterizzata dall indeterminatezza dei significati. Secondo altri, si tratta di una comunicazione poetica, del tutto priva di senso (Kazimir Malevic). In italiano zaum è stato tradotto con lingua transmentale, cioè come un espressione verbale che viene compresa solo dal subconscio. In inglese, senza troppi sforzi, hanno deciso di limitarsi a traslitterare il termine. Fonti scientifiche altamente rispettabili (non solo Wikipedia) considerano Chlebnikov uno degli inventori dello «zaum», anche se, in realtà, i testi zaum rappresentano solo una minima parte della sua produzione. Come osserva Michail Gasparov nell interessante articolo dedicato alla pièce Gli dei di Chlebnikov: «Opere di Chlebnikov scritte interamente in zaum, dall inizio alla fine, quasi non ce ne sono. La lingua zaum entra nelle sue opere come una componente o un aggiunta, sempre come un orientamento alla comprensione contestualizzata: nel contesto dell opera in cui si manifesta, ma anche nel più ampio contesto dell esperienza linguistica dei lettori». A differenza di Krucenych, che utilizza solo la componente puramente fonetica della lingua inventata, Chlebnikov va oltre. Dopo i primi esperimenti in cui anch egli si serve di un zaum fonetico («Bobeoli cantavano le labbra...»), successivamente, nella sua opera a svolgere un ruolo fondamentale è una lingua zaum morfologica, che spesso si accompagna a fenomeni linguistici meno radicali. Ne scaturiscono versi fondati su una successione di parole inventate trasformando e deformando termini esistenti, che procedono per assonanze, rimandi ed evocazioni e che spesso risultano assolutamente intraducibili in una lingua diversa dal russo o, con una certa approssimazione, slava. Le sue incommensurabili conoscenze appaiono incomprensibili se si pensa all istruzione irregolare e casuale e al tipo di vita che conduceva, quella di un vagabondo che non aveva fissa dimora, né una propria biblioteca, ma portava con sé i propri manoscritti in giro per il mondo in una federa-sacco che, all occorrenza, gli serviva anche da cuscino. Inspiegabilmente, riusciva a intuire e capire molti fenomeni di natura tecnica e scientifica che trovano spazio nei suoi scritti in versi, in prosa o in trattati su linguistica, matematica, fisica. I suoi testi sono ricchi di associazioni storiche e culturali, egli cita «The Song of Hiawatha», i dialoghi di Luciano, «La tentazione di Sant Antonio» di Flaubert, ricorre a un intero pantheon di nomi noti e meno noti della cultura mondiale e dei diversi culti religiosi: dal dio slavo Perun al greco Eros, da Shang Di della mitologia cinese al dio Tzitzimime dalla mitologia azteca, dall indiano Indra al siriaco Astarte, un intera galleria di personaggi interviene nelle sue opere. Il poeta imita le glossolalie sciamaniche e si rifà alle incisioni del giapponese Hokusai, ai quadri di Correggio e Murillo. Sarebbe troppo lungo citare qui le geniali traduzioni fonetiche di Chlebnikov in lingua zaum dei discorsi degli dei nella già citata pièce Gli dei (riportati da Gasparov). In questo caso, la logica è semplice: gli dei non possono parlare la lingua degli uomini. Tutta l opera di Chlebnikov è pervasa da un senso soprannaturale della lingua, delle sue radici e delle sue infinite possibilità. Il poeta ha ampliato all infinito i suoi contorni, rivoluzionando il concetto della regolarità semantica della lingua poetica. In tutte le circostanze egli cercava sempre di trovare l equivalente russo (in senso lato, slavo) delle parole straniere già entrate nella lingua russa senza per questo essere un fanatico e non disdegnando di usare lui stesso prestiti stranieri. Ma, per esempio, era contrario all uso del termine futurista e lo aveva sostituito con il neologismo budetljanin, sottolineando in tal modo l originalità del futurismo russo. E sorprendente constatare quanto Chlebnikov fosse privo di qualsiasi attaccamento a un luogo, assolutamente alieno all idea di stanzialità. E anche la sua creazione poetica non conosce confini. Come ha giustamente osservato la studiosa italiana di Chlebnikov Carla Solivetti: L idea del movimento, la sete di vagabondaggi, il rifiuto volontario di mettere radici in un qualche luogo, la convinzione che i cammini fossero infiniti e la scelta di vie non battute erano il fulcro stesso dell identità di Chlebnikov, uomo e poeta, linguista e pensatore. La studiosa riscontra inoltre un affinità tra le caratteristiche della vita e dell opera di Chlebnikov: «I versi sono come un viaggio, bisogna andare laddove nessuno è mai stato». E evidente che la frase di Majakovskij che definisce la poesia come «una spedizione verso l ignoto», può essere a giusto titolo attribuita a Chlebnikov. Majakovskij provava un rispetto pieno di venerazione per Chlebnikov: lo considerava «un maestro unico di sonorità, che non rientra nei confini di alcuna scienza della lingua». Roman Jakobson considerava Chlebnikov il più grande poeta del XX secolo. Lo stesso Chlebnikov ebbe a dire di sé e dei suoi seguaci budetljane : «Siamo una nuova stirpe di uomini-raggi. Siamo venuti a illuminare l universo. Siamo invincibili».

11 n 2 - Febbraio FRANCESCO PAOLANTONI Mi piace avere i mezzi per essere attore in modi diversi di Paolo Montefusco I l primo pensiero di Francesco Paolantoni è per Mariangela Melato. E lui a darci la notizia della scomparsa dell attrice appena lo incontriamo. La tristezza è tanta - dice - ma mi piace pensare a lei con un sorriso perché era veramente straordinaria, come artista e come donna: bella, forte, simpatica. Dal ricordo della Melato alla discussione sulle difficoltà del fare teatro oggi, in Italia, il passo è breve e Paolantoni, artista poliedrico tra cinema, televisione e, appunto, teatro e per tanto tempo volto popolare, non si sottrae. Nell immaginario collettivo ci sono ancora i personaggi, divertenti e spesso surreali, che portava in una trasmissione di successo come Mai dire gol e dalla sua parte c è la capacità di appropriarsi dei mezzi attoriali che sono necessari in ogni diverso contesto. Francesco, hai cominciato molto giovane. Dopo tanti anni conservi lo stesso entusiasmo o sei più disincantato? Più disincantato. A parte il tempo che passa, l entusiasmo giovanile che non c è più. Oggi sono disincantato perché se è vero che il mestiere dell attore è sempre stato difficile da fare, è vero pure che si fa bene solo se si arriva a certi livelli, altrimenti può diventare altamente frustrante perché è inevitabile che tutti quelli che lo scelgono aspirino alla popolarità e al guadagno, ma solo un 10% ci riesce. Aggiungiamo che oggi è molto difficile fare teatro, non ci sono soldi e la gente spesso sceglie di andare a vedere solo il fenomeno televisivo. Non funziona neanche più tanto il passaparola e così il merito, oggi, è mortificato e domina solo il mercato. Anche la tv non è più quella che facevi tu? Un certo tipo di televisione è finito, non esiste più. Io ho gli ultimi anni d oro della migliore televisione, quelli di Mai dire gol o Quelli che il calcio. Oggi ci sono solo le passarelle dei comici, ma sono trasmissioni realizzate senza un pensiero dietro, senza una costruzione. Ci restano solo i tormentoni? Ma anche questo è relativo. Per esempio, il tormentone che andava di moda un anno fa non lo ricordo più, non lo sento usare. Mentre sento ancora la gente in strada che dice Ho vinto qualche cosa? e ormai sono passati un bel po di anni da quando lo usavo. Non resta più niente, c è stato un abbassamento di livello, sociale e politico, forse voluto per non permettere più alla gente di pensare. Hanno fatto in modo che cambiasse il gusto. Anch io, ormai, guardo solo Sky. Come nascevano i personaggi di Mai dire gol? Alcuni, come De Lollis e Robertino, li avevo già a teatro, altri li studiavo insieme ai ragazzi della Gialappa s appositamente per la trasmissione. Sono quelli come il Nonno multimediale e Ciaro Boccia. A vederlo adesso, il Nonno multimediale era anche un anticipazione dell idea che si ha oggi del computer e di internet, che ancora non era quella attuale. Come nacque la scelta di fare televisione? Venivo da tredici anni di teatro classico e già avvertivo una certa insoddisfazione, pur essendo il protagonista. Scelsi di andare incontro alla popolarità attraverso la televisione con personaggi comici che, in ogni caso, erano nelle mie corde. Il tuo compagno di viaggio è stato molto spesso Stefano Sarcinelli. Cos è che ha reso duraturo il vostro sodalizio artistico? Soprattutto la complicità scenica. Stefano Sarcinelli era uno con cui mi trovavo in scena, era uno capace di seguirmi, qualunque cosa io facessi o dicessi. I tempi che io usavo, lui li assecondava. Una spalla straordinaria. L ho conosciuto a teatro. Durante e dopo lo spettacolo io mi inventavo situazioni e personaggi. All epoca ero fidanzato con Paola Cannatello, che è stata la mia coautrice per molti anni, e lei ci propose di fare di tutto ciò uno spettacolo. Così, io e Stefano debuttammo insieme, allo Zelig, con grande successo. All epoca vincemmo due o tre festival del cabaret e fu per questo che mi vide Arbore e che mi volle per fare Cupido a Quelli della notte Dopo, hai realizzato Telemeno e Sportacus, trasmissione, quest ultima, che ha anche il merito di essere stata la prima a fare una certa satira sul calcio. Le feci quando conobbi Giobbe e Iacchetti. E vero, i primi siamo stati noi, circa cinque anni prima di Mai dire gol. Sportacus è rimasta nella memoria, anche se non prodotta da grandi televisioni, perché adottava una formula nuova. Prima di Sportacus c era Telemeno dove, insieme a Covatta e Sarcinelli facevo la tribuna politica. Anche lì anticipammo i tempi, se pensiamo alla Lega Nord. La frase tipica che dicevo io era Non siamo noi a essere razzisti sono loro che sono napoletani. Quindi, ti senti un precursore? Francesco Paolantoni Certo, sono contento perché molti ragazzi della generazione successiva mi trattano come un capostipite di una certa comicità, come un modello. Ed è una grande soddisfazione. Mi dispiace, ripeto, non poter fare più certe cose, proprio per il discorso che facevo all inizio. Io smetterei tranquillamente, se potessi. Però tu la popolarità nazionale l hai avuta. Ho avuto un momento di enorme popolarità. In più, grazie a Dio, non mi sono mai macchiato perché ho fatto un tipo di televisione precedente a quella di oggi e la gente mi vede ancora in quel modo e questo mi dà soddisfazione, significa che sono rimasto nel loro immaginario. Quella televisione che non c è più mi manca anche come utente. E il teatro non si può fare più. Pensa che ho dovuto smontare una commedia che stava andando bene l estate scorsa, Hotel Desdemona. Era una commedia che avevo scritto e diretto e l ho dovuta smontare perché ci sono difficoltà a fare teatro, perché i teatri non pagano, i Consorzi non pagano e la gente, se va a teatro, sceglie un solo spettacolo, ogni tanto. Si può dire che Hotel Desdemona riprenda un po i temi di Uomo e galantuomo di De Filippo che pure hai recitato? Sì, direi che si può dire, anche perché io mi rifaccio al teatro della tradizione. La storia di Hotel Desdemona è quella di una compagnia filodrammatica che vuole mettere in scena Otello. La cosa divertente è che io l avevo pensata così: nel primo atto c erano la riunione degli attori che non riescono a fare le prove perché ognuno parla dei suoi problemi, come accade veramente nelle compagnie amatoriali. Nell ultimo pezzettino del primo atto cominciavano le prove e il secondo atto si sviluppava con un palcoscenico diviso a metà: da una parte i camerini, sempre con le disussioni tra gli attori, e dall altra parte lo spettacolo in corso col problema che non c era il protagonista e io, da regista, avrei dovuto recitare Otello con l aiuto di un suggeritore, anche questo un rimando a Uomo e Galantuomo. A me, poi, piace andare oltre: avevo inserito, dopo lo spettacolo, le scene tagliate, i trailer. Una sorta di contenuti speciali. Cosa stai portando in scena adesso? Sto portando Che fine ha fatto il mio io dove recito solo con un altro attore. E uno spettacolo che hanno visto alcuni psicologi ed erano certi che fossi laureato e avessi fatto lo psicologo. In realtà, dico cose molto vere e che dicono anche loro. Tratto la crisi esistenziale sia dal punto di vista dell età sia per la difficoltà di vivere in questo momento di grande confusione per tutti. Per cui parlo dei rapporti sociali, dell amore, dei bambini e cerco di affrontare questa malattia con uno psicoterapeuta (Arduino Speranza) che mi fa adottare di volta in volta varie terapie: cromoterapia, musicoterapia ecc. E anche una sorta di presa in giro di queste mode? Certo. Infatti, all inizio dello spettacolo dico: sono andato dallo psicologo ma poi mi sono detto: perché andare a parlare da uno che devo pagare quando posso parlare con tante persone che pagano me. Per me il teatro è davvero una terapia. Hai avuto un rapporto più diffficile col cinema? Col cinema ho fatto una fesseria, facendo scelte che si sono rivelate sbagliate. Aspettavo di fare un film in maniera onesta, aspettavo l ispirazione. Stupidamente, perché la Medusa mi ha atteso per tre anni e io, non avendo un idea che mi convincesse davvero, ho perso tempo. Un errore, perché avrei dovuto fare comunque qualcosa per collocarmi in campo cinematografico. Però ho potuto recitare nel cinema che mi piace, quello di Martone, Virzì, Cristina Comencini. Essendo pigro, rimandavo sempre il mio film e poi è passato il momento. Sei stato doppiatore in Totò sapore. Che esperienza è stata? Molto divertente. Ho doppiato anche il pappagallo nella Carica dei 102. E una cosa che mi riesce facile e mi diverte. Amo tanto questo mestiere che riesco quasi subito ad appropriarmi dei mezzi. Penso che il teatro vada fatto in un modo, la televisione in un altro e il cinema in un altro ancora. I mezzi sono diversi e mi piace poter avere nel mio bagaglio queste differenze. Certo, bisogna esserci anche un po portati. Sei anche spettatore di teatro? Non mi piace molto. Il teatro preferisco farlo, quando ci vado da spettatore spesso resto deluso e mi annoio. Mi piace di più il cinema. Quale cinema preferisci? Come spettatore di cinema sono di ampie scelte, mi piace anche il cinema d autore ma non quello compiaciuto, quello di chi fa l autore. Mi piacciono le commedie inglesi e francesi e poi adoro il cinema americano perché quello è spettacolo puro e solo loro lo sanno fare. Vedo di tutto: Mission Impossible, Avatar, Avengers. E ovvio che certe cose non sono possibili, ma quelli non sono documentari, sono film. Sono il sogno. Ti trovi a tuo agio con la serialità di Un posto al sole? Mi sto divertendo molto. E poi il mio non è un personaggio fisso, non c è un martellamento quotidiano e il personaggio è divertente. Un posto al sole è stata una fortuna per tanti, ha dato lavoro a tanti. In passato mi avevano proposto Caro maestro, fatto poi dal mio amico Emilio Solfrizzi. Per gli artisti come te Napoli è fonte di ispirazione, ma sappiamo che realtà difficile è. Che rapporto hai con la tua città? Il solito rapporto di odio/amore, perché odi quello che accade, la gente rassegnata, indolente, autolesionista, che non fa nulla per far valere le proprie potenzialità e, anzi, le mortifica e spesso si sente più furba degli altri. Poi la ami per la sua bellezza, la sua storia, i suoi luoghi e per alcune caratteristiche del popolo stesso: l umanità. la socialità, la generosità. E una città che vive di due facce. Cosa faresti come Sindaco di Napoli, inizieresti anche tu dal lungomare? Per metà del lungomare è stata fatta una bella cosa, per un altro tratto andava evitato l intervento, secondo me. E impossibile pensarsi come Sindaco di questa città, io non saprei proprio come muovermi. C è tutto da fare qui: dai grossi problemi alle fesserie. Ci vuole una persona capace di essere dura per governare questa città. Come tifoso di calcio sei più passionale o razionale? Razionale, assolutamente. Se la gente usasse l energia che usa quando gioca il Napoli avremmo una città fantastica. Che messaggio lanceresti ai giovani? Chiederi loro di essere meno superficali. Li vedo in giro per bar e baretti, li vedo sbandati, non li vedo approfonditi su nulla che sia sociale o politico. Ormai c è molto web. Anch io uso Internet, ma ho con esso un rapporto tranquillo, prendo notizie, conoscenze e comunico, ma non passo delle ore. Vedo una socialità peggiorata. Ci sono più amici su Facebook di quanti siano realmente vicini.

12 12 n 2 - Febbraio 2013 SORELLE D ARTE, DI PASSIONE E DI GRINTA Le valchirie napoletane Clelia, Francesca e Amalia Rondinella, educate sin da piccole alla scena, hanno raccolto il testimone di una storica e grande famiglia di artisti di Giovanna Castellano Amour amer è il titolo di uno spettacolo stupendo che Amelia e Francesca Rondinella hanno presentato incantando, nell ordine, il pubblico del Chiostro di Sant Eligio nel luglio scorso, il pubblico del Teatro Orazio a gennaio, il pubblico del Trianon a marzo. La produzione artistica dello spettacolo, come i precedenti, è affidata a Clelia Rondinella. Clelia, Francesca e Amelia Rondinella, figlie di Luciano e di Maria Rosaria, come è scritto sul loro sito,...hanno raccolto il testimone per dare nuova e giovane linfa alla memoria vitale d una famiglia d arte, intrecciata a un altra dinastia di artisti, gli Sportelli, la cui storia risale alla metà dell Ottocento e continua a rinnovarsi di generazione in generazione. E, a parte gli Sportelli, c è da aggiungere che il fratello del nonno materno, Peppino Fiorelli, è l autore della canzone Simme e Napule paisà, musicata da Nicola Valente. L arte quindi fa parte, a pieno titolo, del loro dna. Infatti, parlando dei genitori, per i quali esprimono profondo affetto e grande ammirazione, raccontano che già da bambine erano condotte a teatro per essere educate al teatro. Francesca sottolinea che aveva circa dieci anni e già aveva imparato a vedere gli spettacoli di Carmelo Bene. Le Rondinella sono soprannominate le valchirie napoletane in quanto hanno dimostrato di essere testarde e volitive. Qualità, queste, confermate dal fatto che dietro ogni loro interpretazione c è lavoro e studio e tanta forza di volontà per affermarsi nonostante il loro cognome. Già, perché per anni hanno dovuto affrontare inevitabili termini di paragone. Clelia segue la strada del cinema e del teatro. Al cinema ha lavorato con Monicelli, Comencini, Nanni Loy, Massimo Troisi e ancora Bolognini, Simona Izzo, Brusati, Luchetti e Tornatore ne L uomo delle stelle che ha avuto ottime critiche anche negli Stati Uniti. Per il teatro ha lavorato con Tato Russo in Cafè chantant, La commedia degli equivoci e L opera da tre soldi, con la regia di Livio Galassi ha interpretato il ruolo di Erozia ne I menecmi e Il brodo primordiale per la regia di Riccardo Pazzaglia. Amelia, che a breve diventerà mamma di una bambina, racconta di aver cominciato a studiare pianoforte all età di nove anni, di amare ogni tipo di musica, dalla più raffinata alla più popolare e mi sorprende quando mi dice, sorridendo, di aver suonato la batteria in un gruppo rock. Tra le cose del suo passato artistico che ama ricordare c è lo spettacolo Napoli zompa e vola, andato in scena al Teatro San Carlo e prodotto dallo stesso lirico napoletano in collaborazione con Simona Marchini. Amelia si sente soprattutto una cantattrice e in tale veste si esibisce nei concerti con la sorella Francesca la quale, a sua volta, si definisce un attrice cantante che ama il cantar recitando. È qualcosa in più di una sottile differenza e per scoprirlo il modo migliore è assistere a uno dei loro concerti, quelli dove si esibiscono con quattro o sei elementi d orchestra e riempiono la scena con la loro potente e particolare vocalità e le loro figure prepotenti e sfrontate. Francesca debutta col papà all età di nove anni durante un esibizione al Circolo degli Artisti interpretando due poesie: Addio a Maria di Libero Bovio e A livella di Totò. Con Luciano fonda il locale Girulà, ristorante con musica live nel quale, grazie a serate monotematiche, ha l occasione Amelia, Francesca e Clelia Rondinella GLI IDILLI NEGATI DI UGO PISCOPO Lo scrittore napoletano racconta, attraverso piccole vicende quotidiane, quelle che sono le pigrizie civili e culturali della sua città. La prefazione del volume è di Aldo Masullo di esibirsi con Mariano Rigillo, Riccardo Pazzaglia, Nello Mascia, Elio Pandolfi e tanti, tanti altri. L impressione che ne ho avuto ascoltandole, l una con l irruenza, l altra con la razionalità, l altra ancora con la pacatezza, è che le varie esperienze hanno portato le Rondinella a rendersi conto che l arte è soprattutto un continuo documentarsi e innovare, unendo tradizione e novità, integrando le loro peculiarità con la notevole vocalità che sono in grado di esprimere. Amour amer, il cui titolo è tratto da un brano del cantautore Alan Wurzburger, che le Rondinella hanno inserito nel loro repertorio, non è semplicemente uno spettacolo, è una raffinata operazione artistico-culturale, un percorso musicale teso a esplorare nuovi territori espressivi. Mi incuriosisce la loro capacità di gestirsi come sorelle e come artiste, la necessità di riconoscere a Clelia l autorevolezza che le viene dall essere produttore artistico, il rispetto dovuto ad Amelia e Francesca che sono quelle impegnate sul palcoscenico. Francesca mi dice che si sentono libere, perché quella di lavorare insieme è stata una scelta fatta con consapevolezza, e poi aggiunge abbiamo una grande stima l una dell altra e questo è fondamentale, per cui mi auguro che il sodalizio a tre duri nel tempo e arricchisca il nostro percorso. A proposito di emozione, quale siano le emozioni più forti che provano durante un concerto. Dalle rispettive risposte mi rendo conto che non c è una sola emozione da raccontare, ma piuttosto un insieme di sensazioni che, alla fine mettono in risalto alcuni momenti in particolare, ed è comprensibile perchè la loro enorme sensibilità fa sì che le corde delle emozioni siano pronte a vibrare in più occasioni. Francesca e Amelia Rondinella in concerto. Alle loro spalle, al centro, Alan Wurzburger pubbliche dimenticanze, l autore continua la sua battaglia, continua, cioè, a tessere con garbata e lucida ironia lo scenario della vita composita della nostra città su cui si affacciano tanti ignoti personaggi e tante piccole storie di vita quotidiana. E lo fa con il sereno sorriso di chi, consapevole della propria storia e della storia della città, non può dimenticare i segni del passato che sono alla base della propria fermezza di giudizio, seppure soffusa di amarezza. di Gerardo Pedicini I l titolo non deve trarre in inganno. Gli Idilli napoletani di Ugo Piscopo (Guida editore, Napoli 2012) non rimandano alla concezione classica dell idillio e nemmeno alla visione poetica leopardiana. Sono tante minute investigazioni che l acuto osservatore rileva nelle sue quotidiane peregrinazioni cittadine. Piccole e grandi incongruenze che riguardano molteplici aspetti della vita napoletana: dalle intitolazioni sbagliate di alcune vie alle disfunzioni dei servizi pubblici, basilari in una società civile. In apparenza, potrebbero apparire microscopiche dimenticanze, non degne di essere sottolineate, ma, di fatto, costituiscono il ventaglio dietro cui si cela l animo napoletano, sempre pronto a giustificare le proprie e altrui mancanze con il sornione sorriso che è il segno evidente del menefreghismo, della superficialità, del lasciar correre, del tirare a campare. In una parola: dell assoluta assenza di ogni dimensione civile. A riguardo nessuno sfugge a tali colpevoli distrazioni, dal bottegaio al piccolo impiegato, dall intellettuale all amministratore pubblico. Gli esempi sono tanti, forse troppi. C è insomma, radicato nell animo napoletano, o il rifugiarsi verso una astorica visione del passato o il rinchiudersi in una radicata individualità o, ancora, il nascondersi dietro la proterva superiorità che lo allontana sempre più dal proprio dovere di cittadino e dal democratico rispetto delle opinioni altrui. Ciò si è tradotto, e continua a tradursi, nel persistente degrado, nella perdita della identità, nella non partecipazione attiva ai mutamenti che la nostra città sta vivendo e soffrendo alle soglie del terzo millennio. E, come giustamente rileva Aldo Masullo nella prefazione, a Napoli il possibile diventa impossibile, anche nelle piccole cose. E, pertanto, la risoluzione dei problemi, non certo i cahiers de doléance di settecentesca memoria, è rimandata a data da destinarsi o lasciata ammuffire dentro un cassetto, sintomatico segno che non esiste nessun canale di ascolto tra informazione e pubblica amministrazione. Nonostante queste Ugo Piscopo

13 n 2 - Febbraio 2013 sussurri & grida LA SCUCCIMARRA E I 60 VISTI SENZA MITO Con Noi, le ragazze degli anni 60, l attrice abruzzese rivisita il decennio favoloso con sguardo sarcastico, smitizzandone le mode in ogni campo, ma difendendone i valori di Anna Montefusco Sabato 19 e domenica 20 gennaio, nell accogliente cornice del Teatro Orazio, si è esibita Grazia Scuccimarra con lo spettacolo Noi, le ragazze degli anni 60. Un classico del repertorio di questa geniale e sarcastica attrice. Un pungente e divertente come eravamo, o meglio, come la famiglia e la società di allora pretendevano che fossimo. Ne viene fuori una generazione femminile stoica, votata incondizionatamente all amore e talvolta al supplizio. Come quando, costretta dai dettami della moda, doveva indossare abiti da vera tortura fisica e ascoltare canzoni laceranti. Ma senza dimenticare di sottolineare che quella generazione di giovani ha fatto da sgabello a quelle future che, ahimè, non hanno saputo cogliere quei segnali. Due ore circa di ironia, a dissacrare miti musicali e miti letterari. Con la capacità di divertire un pubblico non omogeneo da un punto di vista anagrafico, a conferma dell attualità di uno spettacolo che vanta il superamento delle 2000 repliche. I complimenti a Grazia Scuccimarra li abbiamo rivolti personalmente, insieme a qualche curiosità cui ha risposto con notevole simpatia e disponibilità. Grazia, cosa alimenta questa grande energia che ancora metti nei tuoi spettacoli? Sinceramente non so da dove venga. Credo ci siano persone che hanno più energia di altre e magari per me sarà così. C è anche da dire che sono sempre stata poco confusa, poco dubbiosa. Ho quasi sempre avuto le idee chiare. Tutto questo mi dà sicurezza e mi dà la forza necessaria per continuare. Sono quella che si è sempre guardata con il terzo occhio, un occhio esterno. E sarei la prima ad andarmene, qualora dovessi cogliere dei segni di banalità. Ancora non sono a quel punto. Anche l entusiasmo è lo stesso? Una cosa che dico sempre è che il mio entusiasmo lo tiro fuori dal costante interesse e amore che ho per ciò che mi gira intorno, per quella società che per me è un istituzione. Anche qui vale la stessa regola: il giorno in cui non dovessi più nutrire questo amore non avrei più nulla da dire. Cosa rende ancora attuale uno spettacolo come Noi, le ragazze degli anni 60? Credo che il discorso su come eravamo e come siamo sia un discorso che non muore mai. E non solo a teatro o nella musica. E una sorta di fil rouge che lega la storia degli esseri umani. Quello degli anni 60 è stato il decennio più importante del dopoguerra, e dunque resiste. Ancora adesso si parla del Mito degli anni 60 e la mia funzione è quella di smitizzare questo mito. Sì, ma di questi famigerati anni 60, al di là dell ironia, salveresti qualcosa? Intanto ti dico, in tutta onestà, che molto presto farò uno spettacolo in cui ci sarà una rivalutazione di quegli anni. E, dunque, rispondendo alla tua domanda: sì, qualcosa salverei. Vedi, io ho avuto tanta fiducia negli anni successivi ai 60, poi, man mano che vai avanti, capisci dove siamo arrivati e sto maturando una delusione ancora più forte. Allora magari cominci un po a rivalutarli. Il fatto è che quei benedetti anni sono colpevoli di tante cose di oggi. Per esempio? Per esempio il modo di fare politica oggi e l indecenza della creazione dei privilegi di una certa classe. Tutto questo nasce proprio dagli anni 60. Dalla Democrazia Cristiana, per essere chiari. E non a caso termino il mio Grazia Scuccimarra. A lato, l attrice in scena spettacolo parlando di centri e centrini, mostrando anche un grande e simbolico centrino. Credo che quella sia la parte più forte dello spettacolo. Oggi, nei giovani, sembra mancare il senso di indignazione. Questo disincanto, questa sorta di appiattimento, ti provoca più rammarico o più rabbia? Sicuramente più rabbia, il rammarico è un sentimento troppo dolce. Mi verrebbe voglia di scuoterli violentemente da questo torpore. Anche se mi rendo conto che la responsabilità non è tanto loro. Prendiamo i ventenni di oggi, cosa hanno conosciuto? Il berlusconismo e basta. Hanno conosciuto la fine della sinistra. Dunque nessun parametro di riferimento che non fossero la televisione e Berlusconi. Un mondo vuoto e falso. Aggiungiamoci quella tecnologia che ha reso tutto così virtuale allontanandoli dal reale, e la frittata è fatta. Anche le donne ti hanno deluso? Soprattutto le donne. Perché ritengo abbiano una grossissima responsabilità. Non hanno saputo raccogliere ciò che di buono abbiamo seminato in quegli anni. Si sono limitate a copiare gli uomini nella loro parte peggiore, distruggendo tutto ciò che di costruttivo e creativo avevano. Ecco, in questo mi sento di rivalutare le donne della mia generazione. Ho capito che ce l hai anche con la televisione. Cosa o chi cancelleresti dal palinsesto? Trasmissioni come quelle di Maria De Filippi. Secondo me, portano degrado per la donna ma anche per l uomo. E mi riferisco ai vari tronisti in vetrina. Una cosa terribile. Una volta la televisione esisteva per insegnare qualcosa. Non dimentichiamoci che la televisione italiana ha insegnato a scrivere a milioni di italiani. Oggi è diventata uno strumento per instupidire la gente. Tutto questo è agghiacciante. E, purtroppo per le ragazze, mancano gli stimoli per una presa di coscienza. Ma certi stimoli non dovrebbero partire dalla famiglia, dalla scuola? Ecco, appunto. Il nodo è lì. Non tanto la famiglia, seppure spesso faccia danni, è la scuola che viene a mancare. La scuola dovrebbe essere l istituzione principe e invece è stata massacrata a tavolino. E anche questo è frutto, ma soprattutto volontà, di una politica becera. E risaputo che la massa la controlli meglio se la lasci nell ignoranza. Da insegnante, da attrice e da madre, hai trovato la chiave di volta per comunicare con i giovani? Ho insegnato per 30 anni diritto ed economia. A scuola come a teatro, ho parlato e parlo ancora con i giovani. Anche a Napoli, per esempio, al teatro Orazio, ce n erano alcuni in sala e mi seguivano con divertimento. Se piaci anche ai giovani, se ti fai ascoltare dai giovani, è un bel successo. Con quelli che la pensano come te sfondi una porta aperta, è troppo facile. Mi sono resa conto che questi ragazzi sono solo un po dormienti e che, se qualcuno li sveglia, loro ti rispondono in pieno. Basta che gli offri la possibilità di esprimersi. Quali sono i valori assoluti dai quali non sapresti prescindere? Onestà mentale, onestà quotidiana. Tutto sempre e comunque frutto dell onestà intellettuale L Italia è a una svolta politica: cosa dobbiamo augurarci? Che questi signori che andranno a governarci tornino a essere persone normali e guardino ai problemi reali della gente: il lavoro e la cultura. Due cose che vanno di pari passo e che sono imprescindibili l uno dall altro.

14 14 sussurri & grida n 2 - Febbraio 2013 SAPORI E COLORI DEL BUON GUSTO Una cucina esclusiva, frutto di ricerca e capace di soddisfare occhi e palato. Questo il motivo del successo di Mario Avallone e della sua Stanza del gusto nel cuore di Napoli M ario Avallone è senza dubbio un grande chef, ma non basta questo per definire la sua opera di gran maestro di cucina. Mario è soprattutto un fine ricercatore di quei prodotti eccellenti che la sua ardita fantasia trasforma poi in piccole opere d arte da portare in tavola. Un vero segugio di sapori e odori che ha allenato i suoi sensi in anni di ricerche sul territorio, anche quello più sperduto e oltre i confini della sua Campania. I suoi piatti arrivano agli occhi prima che al palato, creando nei clienti il primo stupore. Geometrie originali e assonanze di colori distribuiti sapientemente, costruite con pochi e semplici ingredienti. Tutto questo, insieme agli originali arredi degli ambienti, trasforma La stanza del gusto in un locale unico e all avanguardia. Tappa, dunque, da non perdere per gli amanti della cucina tradizionale contaminata dalla creatività di uno chef perennemente curioso e appassionato. Mario lo incontriamo nel suo regno, nel suo locale del centro storico, con i tavoli ancora vuoti, data l ora, e dove tutto parla del calore del buon cibo. Mario, la scelta di fare lo chef faceva parte già dei tuoi sogni di ragazzo? No, è stata una decisione matura. Dovevo tornare a Napoli dalla Sicilia e non avevo ancora compiuto trent anni. Fu un amico a suggerirmi di fare semplicemente quello che desideravo e fu da lì che nacque il mio impegno in cucina. Certo, era una scelta che covavo nell inconscio. Cosa ha ispirato la tua ricerca gastronomica? La mia ricerca è stata fatta secondo un mio gusto personale, con ciò che mi piaceva, allo stesso modo in cui posso scegliere un paio di scarpe o una camicia. Questo sicuramente lo facevo anche da ragazzo. E un retaggio che devo alla mia famiglia, alla mia educazione, alla mia formazione. L aver vissuto in Sicilia, terra di aromi e sapori, quanto ha influito? Certamente ha influito, perchè ha dato una mescolanza contadina a me che sono metropolitano. Nel paese dov ero, Noto, anche la famiglia più modesta aveva la casa in campagna. Ognuno di loro aveva il suo olio, un paio di loro avevano il grano, il forno. Io sono cresciuto con queste cose e ancora oggi le sento. Come hai cominciato? Prima ho lavorato in un laboratorio di pasticceria, poi in una fabbrica di liquori. Successivamente ho cominciato a cucinare a casa delle persone. Nel 1996 creai La stanza del gusto ed ero alle Rampe Brancaccio. Nel 2000 ho aperto a Chiaia e nel 2008 qui. Oggi, insieme ad alcuni piccoli artigiani che mi seguono, sto portando avanti un progetto basato su una quarantina di prodotti. Che tipo di clientela hai? Internazionale e di napoletani buoni. Sono napoletano da sette generazioni, appartenente a una famiglia napoletana autentica, ma dico che non mi piacciono certi atteggiamenti un po provinciali, di persone che alla fine ti fanno perdere tempo. Io sono aperto, è così che mi sento. Naturalmente, ripeto, quuado parlo di provincialismo mi riferisco a un atteggiamento perchè ho tanta gente che viene dalla buona provincia. Oggi la gastronomia va di moda visti i successi di programmi come La prova del cuoco e Masterchef. Secondo te perchè hanno successo queste trasmissoni? Ti è stato mai proposto di partecipare? Non ho visto questi programmi anche se leggo tante cose e mi informo. Ho visto solo su Youtube alcuni video di Bastardi chef di Maurizio Crozza e mi sono divertito molto. Il successo L interno de La stanza del gusto Mario Avallone di tante trasmissioni, oggi, deriva dal fatto che la televisione sembra essere l unico mezzo che certifichi che uno esiste. Insomma, se non ci vai, non esisti. Sono dei passaggi che servono a questo. E una cosa terribile che toglie capacità critica all individuo. Ho avuto proposte del genere, ma non ho mai ceduto, del resto sono bravo in cucina, sono anche un po timido e non amo molto apparire. Hai preferito scrivere un libro, il tuo Onnivori e opportunisti. Ho avuto anche la fortuna di avere a che fare con una grande casa editrice che però voleva qualcosa di diverso, più legato alla mia storia personale. Allora ho preferito farlo con dei giovani. Racconto solo delle cose in maniera ironica, leggera o anche profonda, senza nessuna pretesa di avere la verità a portata di mano. L editore mi ha chiesto di inserire delle ricette e l ho fatto secondo un mio personale ordine. Quindi, credo di aver scritto il libro in piena libertà. A proposito di giovani. I ragazzi li vediamo spesso alle prese con panini, kebab o pizzette. Che riflessione fai su questo? Che è giusto che mangino anche queste cose. Anzi la capacità crtitica di un individuo, anche gastronomicamente parlando, passa attraverso l esperienza. Se scegli sempre le stesse cose hai una conoscenza limitata, monocorde. Diverso è se tutto fa parte di un percorso che ti porta ad assaggiare tante cose, magari a cucinartele da solo o ad andare in qualche particolare posto per mangiare. Esiste qualcosa che non ti piace? Sicuramente non mi piacciono le cose troppo dolci o quelle troppo untuose. Sono molto curioso e aperto come gusti, ho provato tante cucine diverse. Per esempio, non mi piacciono i marrons glacè, posso farne a meno, però mi piacciono tanto le castagne. Li trovo che mi asfissiano. Però per fare una castagna che poi diventa un marron glacè c è tutto un procedimento che richiede pazienza e lavoro. Per il resto, mi piace tutto. Nel libro sveli alcune cose della tua cucina. Nella gastronomia c è la gelosia dei propri segreti? Il mondo della gastronomia è talmente grande che ognuno può trovare il suo modo di esprimersi, ma anche di nutrirsi dell altro. Certo, può starci qualche reazione emotiva, ma la gelosia, in questo senso, è un atteggiamento stupido. La conoscenza è bella se è al servizio degli altri. Poi, conta la qualità delle persone: chi ruba, ruba. Chi chiede, no. Se uno prende qualcosa e riconosce che è di un altro magari lavora anche meglio. Nella mia formazione ho imparato che ognuno impara dall altro, nessuno insegna. Siamo noi li riconosciamo quali nostri maestri. UNA FINESTRA SUL MONDO Segue da pag. 8 inscatola nella teca-finestra dove l artista racchiude gli oggetti come tanti paesaggi dell anima. Nella terza sezione (Alla finestra) il rapporto internoesterno assume una nuova dimensione: diviene tramite di una immaginazione visionaria, come accade in Figure in antico costume tedesco (1800) di Gustav Carus, in Giovani donne alla finestra di una nave e Donne sul divano (1802) di Johann Heinrich Füssli, in Baccante (1800 circa) di Felix Trutat, in Alla finestra (1877) di Hans Thoma, ne Il bacio 1895) di Edward Munch, in Casa dei sogni (1897) di Albert Welti mentre nel Nudo (1920) di Matisse si muta in un desiderio sospeso tra realtà e sogno che, nei video del finlandese Salla Tikka e nella serie delle foto Strangers del giapponese Shizuka Yokomizzo, si trasforma in tanti sguardi indiscreti nel rapporto che si stabilisce tra fotografo, gli uomini fotografati di spalle davanti alla finestra e il mondo che si intravede al di là di essa realtà. Nella quarta sezione (Interno/esterno, vedute) si assiste alla netta separazione degli spazi come accade nei lavori di Vuillard, Monet e Bonnard mentre in Matisse lo stesso rapporto si traduce in uno sfaldamento di piani e di colori. Sono l uno il prolungamento dell altro, come se gli artisti volessero assimilarli all interno della propria introspezione che, in Pierre-Albert Marquet ( Notre-Dame, temps de neige, 1914), diventa distanza straniante dalla realtà e, in Josef Albers, riduzione a un quadrato nel quadrato, geometrico simbolo, tramite di una realtà altra. Nella quinta sezione (Nuove prospettive - Le avanguardie) la finestra è lo spazio ideale per sperimentare nuovi linguaggi. Affacciato alla finestra Umberto Boccioni ( Visioni simultanee, 1911) vede scorrere davanti a sé il dinamismo della vita moderna che ritrae nella simultaneità e nella intersezione dei piani, mentre Achille Funi ( La finestra, ) rincorre la frantumazione dei piani che, dal suo studio, si aprono uno dentro l altro come tante scatole cinesi verso l esterno; frantumazione che in Robert Delaunay ( Finestra, 1912) si realizza nella scomposizione e nella percezione simultanea delle sfumature dei colori mentre in Alexej Von Jawlensky si traduce nell impossibilità di intessere un oggettivo rapporto con la realtà, come testimoniano le variazioni della serie dello stesso paesaggio ( Via rossa e alberi, 1914 e Inverno, 1915). Consapevoli di questa impossibilità, Giorgio De Chirico, prima, con Il poeta e il filosofo (1915) e René Magritte, dopo, con La clef des champs (1936) si volgono a cercare di svelare il mistero che è dietro la soglia-finestra, con accenti che li portano a nuove conquiste linguistiche. La seconda parte della mostra, ospitata dal Museo cantonale, riprende, da una parte, i temi affrontati nelle sezioni precedenti e, dall altra, ne è un prolungamento, in cui il rapporto luce-ombra e finestra-griglia è testimoniato nella sala monografica di Joseph Albers con gli Omaggi al quadrato ( ), nella Boîte en valise e Fresh window ( ) di Marcel Duchamp, nel Dipinto n.7 dark brown, grey, orange (1963) di Mark Rothko, nella Finestra con ombra (1968) di Giuseppe Uncini, nelle incisioni di Picasso, nelle foto della tenda di Manuel Alvarez Bravo, nelle opere di Robin Rhode, Schifano, Gary Hill, Sugimoto, fino ad arrivare alla scritta al neon Think of this as a window di Cerith Wyn Evans, dove la finestra diventa simbolo virtuale, gioco linguistico, paradosso filosofico. Abbiamo lasciato Lugano non con la tristezza degli anarchici dell Ottocento, ma con l animo pieno di suggestioni e desideri che ci fanno desiderare di rivedere la mostra che dal 26 gennaio sarà trasportata a Losanna.

15 n 2 - Febbraio 2013 sussurri & grida 15 LA DONNA CHE SI FECE SOUBRETTE Anna Fougez è stata la stella più luminosa dei palcoscenici italiani di inizio 900, avvolta da un aura di mistero che ne faceva una femme fatale. Fu amatissima a Napoli di Eduardo Paola Signori, vi si presenta già per danzar, per cantar, Anna Fougez! Al suono di queste parole, al ritmo di una marcetta, appariva in tutto il suo splendore, bella, inarrivabile, inaccessibile, coperta di gioielli, perle e piume di struzzo, la più grande soubrette che l Italia abbia mai conosciuto nel periodo tra gli anni 20 e 30. Anna Pappacena, in arte Anna Fougez, nata il 9 luglio del 1894 a Taranto, è stata la stella più luminosa dei palcoscenici italiani, la più ammirata, la più imitata, la più pagata. All apice del suo successo, riusciva a guadagnare anche lire a sera. Con la sua bellezza, i suoi occhi cerulei, le sue movenze sensuali, scandite da una voce che riusciva a turbare uomini e donne, Anna Fougez è stata il simbolo della voluttà, del fascino, oggi diremmo del glamour. Debuttò all età di 8 anni incoraggiata dagli zii i quali se ne erano presi cura dopo la prematura morte dei genitori. Già a 15 anni si esibì in coppia col grande Ettore Petrolini con il quale pare ci sia stato anche un flirt. Si racconta che a 16 anni la Fougez si cucisse sui rammendi delle proprie calze delle paillettes e che a inizio carriera fosse solita avvolgersi intorno al collo due pellicce di lepre, acquistate con pochi soldi, spacciandole per pregiate volpi. Nel periodo in cui la Fougez iniziò il suo percorso artistico, furoreggiavano in Italia Elvira Donnarumma, Armando Gill e Pasquariello. La giovane Anna, grande ammiratrice della famosa chanteuse Eugine Fougere, scelse di chiamarsi Fougez proprio in omaggio alla celebre artista parigina. Oltre a essere una grandissima artista, la Fougez era anche una donna molto intelligente. L estroso Filippo Tommaso Marinetti la proclamò perfino stella futurista. Grande innovatrice e rinnovatrice, si inventò la figura di soubrette che soppianterà per sempre quella classica di chanteuse, ormai superata. In alcuni numeri era solita vestirsi con attillatissimi abiti maschili, come per esempio per le esecuzioni di numerose canzoni napoletane di giacca che aveva in repertorio, rivelandosi squisita interprete di questo genere. E certamente un contributo alla conoscenza e al recupero delle opere d arte sparse nel centro storico di Napoli, la mostra fotografica di Enzo Barbieri intitolata Napoli tra storia e realtà, inaugurata mercoledì 13 febbraio presso la storica saletta rossa della Libreria Guida a Port Alba. Una serata coordinata da Maresa Galli che ha visto la partecipazione di un pubblico numeroso e l intervento di giornalisti come Piero Antonio Toma, Peppe Iannicelli e Sandra Di Stefano. Per presentare la mostra è stato anche proiettato un video accompagnato dalla musica, dal vivo, del cantautore Lino Blandizzi. La mostra raccoglie immagini di opere presenti in diverse zone e quartieri della città e che va dal periodo cinquecentesco al periodo ottocentesco. Opere realizzate da artisti sia napoletani che provenienti da tutta Italia. Cento fotografie corredate di didascalia con cenni storici sull opera rappresentata, sugli artisti esecutori, nonché sull itinerario dei luoghi visitati dall autore delle immagini. Promuovere l arte e ogni forma espressiva affinché siano elementi portanti della cultura e, come tali, occasione di crescita individuale e collettiva. Queste le motivazioni che, da oltre trent anni, spingono Enzo Barbieri a fotografare i monumenti della sua città. Una passione senza sosta che ha trovato forma sin dalle prime collaborazioni con il settimanale Napoli Oggi per il quale il noto fotografo scattava fotografie che entravano nel circuito delle visite organizzate dall Ente Provinciale del Tursimo. Una ricerca fotografica, quella di Barbieri, iniziata con il bianco e nero che ha immortalato centinaia di opere d arte che da secoli giacciono in luoghi che sfuggono all occhio dei visitatori. Un occhio particolare per le fontane di Napoli emerge dalla mostra. Da quelle storiche, più conosciute, come La Fontana del Nettuno che ha subito diversi spostamenti nell arco dei secoli, a quelle ugualmente importanti ma meno note perché più nascoste come la fontana Negli allestimenti dei suoi spettacoli si occupava delle musiche, delle coreografie, dei costumi, delle scenografie. E stata la prima a usare la classica e lunga scalinata al centro del palco, divenuta poi simbolo del varietà, che le permetteva di scendere in proscenio in modo regale, cantando i suoi più grandi successi. La sua personalità, la sua provocante eleganza, la sua signorilità e la sua fama esplosero nel 1925 con la canzone scritta appositamente per lei da Ennio Neri, Il fox-trot delle piume. Ma forse il suo più grande successo resta Vipera, Anna Fougez LA NAPOLI RITROVATA DI ENZO BARBIERI Inaugurata, da Guida a Port Alba, la mostra del noto fotografo intitolata Napoli tra storia e realtà. Un itinerario suggestivo tra monumenti noti e altri più nascosti della città La fontana della Spinacorona. A destra, il confronto tra l area dell antico Largo di Castello e quella di oggi con il cantiere dei lavori di Piazza Municipio. scritta per lei da E. A. Mario. Di questo pezzo esiste l incisione originale della Fougez realizzata nel Ancora oggi se ne possono apprezzare le grandi doti vocali e soprattutto espressive. Il pezzo di E. A. Mario è fortemente legato alla figura della Fougez; una canzone che le ha regalato per sempre quell aura di mistero, di femme fatale che l ha resa unica. Tra i palcoscenici italiani più importanti che la videro protagonista, sono sicuramente da ricordare la Sala Umberto I di Napoli, l Ambra Jovinelli di Roma e il Gambrinus di Milano. Ma il suo nome resta legato indissolubilmente a Napoli, grazie ai grandi trionfi che le tributò il pubblico partenopeo. Uno dei luoghi culto del varieté in cui si esibiva è il Salone Margherita, l elegantissimo cafè chantant di Napoli, simbolo della Belle Epoque italiana, inaugurato il 15 novembre del 1890 alla presenza di principesse, uomini politici e giornalisti come Matilde Serao. Anna Fougez è addirittura considerata napoletana d adozione anche per le numerose canzoni napoletane incise per l antica etichetta discografica Phonotype Record, come la famosa A tazza e cafè, che lanciò e portò al successo. Ma la sua fama presto valicò i confini nazionali per brillare in tutta Europa, soprattutto a Parigi, quando arrivò a esibirsi nel tempio del cafè chantant, le Folies Bergère. Nella ville lumiere conquistò tutti con la sua bellezza e con la sua voce, ma anche con i suoi elegantissimi e bellissimi abiti e i costosissimi gioielli che le regalavano facoltosi ammiratori. Anna Fougez dimostrò grande intelligenza anche nel momento in cui abbandonò per sempre le luci della ribalta. Nel 1940, all età di 36 anni decise di mettere fine alla propria carriera. Aveva capito che di lì a poco sarebbe potuta essere messa da parte da una giovane nuova soubrette e quindi lasciò le scene prima che questo accadesse. Così facendo è riuscita a tenere vivo nel ricordo dei suoi ammiratori il mito, la leggenda. Lasciato il palcoscenico si ritirò a vita privata con suo marito, il ballerino Renè Thano, a Santa Marinella, un paesino in provincia di Roma, in una villa piena di ricordi e cimeli. Nel corso degli anni, tanti impresari importanti, come per esempio Remigio Paone, cercarono di riportarla sulle scene, ma lei non cedette mai. Gelosa e felice della tranquillità della sua nuova vita non installò in casa nemmeno l apparecchio telefonico. Ha lasciato i suoi ricordi di donna e di artista nelle pagine di un autobiografia dal titolo Il mondo parla e io passo, che subito dopo la pubblicazione ordinò di ritirare dal mercato, così da rendere rarissimi e costosissimi i pochi esemplari oggi in circolazione. Si spense nel 1966, all età di 72 anni. della Spinacorona, situata in un vicoletto del Rettifilo (Corso Umberto I). Inoltre, la fontana dell Immacolatella in via Partenope, anch essa spostata diverse volte, la fontana della Sirena di Piazza Sannazzaro e il bellissimo monumento di Piazzetta Nilo. Altro capitolo quello dedicato ai castelli, con al centro le nuove scoperte archeologiche emerse dagli scavi effettuati per la realizzazione della nuova linea della metropolitana. Proprio a Largo di Castello (Piazza Municipio) è emerso dagli scavi un grosso edificio con un basamento simile a una torre che presentava a terra un cordolo uguale a quello delle torri del Maschio Angioino. Il confronto fatto da Enzo Barbieri tra l immagine attuale del Castello e un antica stampa che raffigura lo stesso luogo nel periodo angioino, rivela che si tratta delle fortificazioni che contornavano il Castello prima dei lavori di isolamento eseguiti a fine 800. Come abbiamo accennato prima, fa parte delle immagini della mostra, la fotografia della fontana della Spinacorona, soprannominata dal popolo semplicemente come la fontana de zizze perché l acqua sgorga dalle mammelle della statua. Realizzata nella prima metà del cinquecento, commissionata dal Vicerè Don Pedro de Toledo all architetto Giovanni da Nola, la bellissima opera scultoria con lo stemma di Carlo V indica l epoca di appartenenza in un momento in cui lo stile medievale va cedendo il passo al rinascimento. La sirena che domina la vasca rettangolare sgorga acqua, come detto, dalle mammelle per spegnere il fuoco del Vesuvio sotto i suoi piedi.

16 16 sussurri & grida n 2 - Febbraio 2013 LA SCRITTURA... Segue da pag. 5 piano degli individui che su quello collettivo e globale. E non parlo, qui, del ruolo che il computer, gli sms o gli emoticon hanno sulla scrittura. Tale approccio aprirebbe un altro ramo di riflessione. Perciò mi limito ad alcuni esempi. Le memorie individuali materiali erano trasmissibili per generazioni: diari, foto, documenti, se non distrutti da calamità di vario genere o trafugati, giungevano in possesso dei posteri che ne facevano l uso ritenuto più idoneo. Tali memorie, oggi, rischiano di perdersi nell universo virtuale del cyberspazio, a causa di una banalissima password perduta o dell obsolescenza dei supporti elettronici sui quali erano conservati. Chi leggerà i vecchi floppy in assenza degli opportuni lettori? Chi potrà accedere alle vecchie memorie quando esse non troveranno più i sistemi operativi adeguati per utilizzarle? Si verificherà ciò che già avviene per i microfilm o il vinile? Il nostro si trasformerà, forse, nel tempo del grande oblio e della continua cancellazione? I papiri dell antico Egitto sono giunti fino a noi. Le antiche cinquecentine e i primi volumi a stampa sono ancora nelle nostre biblioteche. Temono solo la voracità di topi e ladri. Potranno questi supporti cartacei sopravvivere alla spietata selezione operata dalle esigenze del libro elettronico? Avranno ancora, i nostri posteri, il piacere di consultare filologicamente i manoscritti (ormai inesistenti perché desueti) degli scrittori contemporanei come avviene per quelli del passato, con grande beneficio dei ricercatori? Chi deciderà di cosa consentire il transito dalle attuali alle future tecnologie? Saranno queste ultime, infine, ancora digitali? Sono solo alcune domande che, non per vocazione conservatrice ma, al contrario, per fiducia e rispetto verso i nostri discendenti, farebbero bene a porsi anche i teorici delle magnifiche sorti e progressive di un futuro prossimo tecnologico senza passato, le cui sorti non sono nella mente di Giove, ma nella disponibilità di limitate e sempre più onnipotenti oligarchie. L OFFERTA VINCENTE DI TORNATORE Grazie anche a un ottimo cast, su tutti Geoffrey Rush, La migliore offerta è un film appassionante e godibile, un giallo psicologico che tiene inchiodati gli spettatori fino alla fine di Vales V irgil Oldman è un sessantenne, ricco, antiquario e un battitore d aste di grande professionalità. Conduce una vita da misogino. Non ha mai avuto una donna al suo fianco, dedicando tempo e passione solamente all arte. Fino a quando riceve un incarico telefonico da Claire, giovane erede di una ricca famiglia. La ragazza vuole venga fatta una valutazione degli oggetti preziosi che arredano la sua villa e di cui vuole liberarsi, ma non si presenta mai agli appuntamenti concordati. Virgil si sente, suo malgrado, attratto da questa committente nascosta della quale, all inizio, conosce soltanto la voce, e che gli racconterà poi quei segreti del suo passato che sono all origine delle sue ossessioni. Intanto, nel corso dei sopralluoghi, l uomo rinverrà parti di un meccanismo che si rivelerà essere di produzione molto antica. Potrebbe appartenere a un opera di Jacques de Vaucanson, il primo artista a cui viene riconosciuta la realizzazione di un automa meccanico perfettamente funzionante. Questi pezzi, apparentemente disseminati a caso, consentiranno alla fine la costruzione completa dell automa, il cui lento assemblaggio è parte integrante dello sviluppo della storia. Così come verranno a galla i pezzi mancanti della vita di Virgil e di Claire, quei vuoti esistenziali che solo l amore potrebbe miracolosamente compensare e restituire. Virgil aggiungerà alla sua rara collezione di volti di donne, accumulata in anni di battute d asta pilotate, il reale e doloroso profilo di Claire che lo costringerà a cambiare il suo statico ed estatico punto di osservazione sull universo femminile. La migliore offerta è un film la cui trama si mantiene perennemente in bilico tra verità e finzione, tra ciò che appare e ciò che realmente è. Tornatore si è divertito a disseminare tracce che confondessero lo spettatore fino alla fine. La stessa perfezione stilistica di cui si è servito per l accurata regia, è talmente eccessiva da risultare il primo falso d autore. D altro canto, lo stesso regista ha da subito giocato a carte scoperte facendo dire a un suo personaggio: in ogni falso c è un po di verità... ma resta sempre un falso. Ma parliamo comunque di un film appassionante e godibile, di un giallo psicologico che tiene inchiodati gli spettatori fino alla fine. Con un cast di tutto rispetto a partire dal bravissimo attore australiano Geoffrey Rush nel ruolo di un protagonista perfettamente autoritario e pedante. Sullo sfondo una città mitteleuropea, che potrebbe essere Vienna o Praga, a regalare un respiro internazionale a un regista così fortemente legato a radici di tutt altre latitudini. Giuseppe Tornatore SUSSURRI & GRIDA Editore: Servire Napoli - Redazione e amministrazione: Napoli - Piazza Municipio, 84 Tel Fax e - mail dall Italia: sussurriegrida94@yahoo.it e - mail dall estero: sussurriegrida@virgilio.it e - mail dall estero: sussurriegrida@mail.ru ***** DIRETTORE: CARMINE ZACCARIA Dir. Responsabile: Federico Sisimbro Vicedirettore: Paolo Montefusco Capo Redattore: Anna Montefusco Redattore:Anna Tumanova Progetto grafico: Salvatore Pescatore Registrazione Trib. di Napoli n del 11/11/94 Febbraio Arti Grafiche LAM - NAPOLI - EDIZIONE IN RUSSO Apre il numero di febbraio l intervista a Edoardo Ponti, secondogenito di Sofia Loren e Carlo Ponti. Il regista ha presentato a Napoli, a fine 2012, un cortometraggio tratto da un romanzo di Erri De Luca. Dalla sua casa a Ginevra, Eduardo Ponti, raggiunto telefonicamente, ci ha raccontato tutto ciò che ha preceduto la realizzazione del corto e le emozioni vissute insieme ai suoi compagni di viaggio. Parlando di cinema, Ponti ha detto di avere come punto di riferimento l opera di Andrei Tarkovskij e di considerare Cechov il vero maestro del racconto breve. Si è conclusa a Napoli, con risultati molto positivi la XXIII edizione del WorldForum sul benessere dei bambini, promossa dall organizzazione internazionale non governativa IFCW (International Forum for Child Welfare) e organizzata con Mentoring Usa Italia e la Fondazione L Albero della vita. Sono stati quattro giorni intensi di incontri, dibattiti, discussioni e workshop con un unico protagonista: il bambino, per sollecitare governi e istituzioni a costruire un mondo sempre più a misura delle giovani generazioni. A margine del Forum, abbiamo sentito Matilda Raffa Cuomo, Presidente Onorario di Mentoring USA, la quale ha ribadito l affetto che lega lei personalmente e tutta la sua famiglia all Italia. Un originale mostra allestita a Lugano mette al centro del percorso proposto ai visitatori la finestra come oggetto che si affaccia sul mondo così come l hanno vista alcuni tra i più grandi pittori di sempre. Ce ne parla Gerardo Pedicini nel suo consueto viaggio nell arte. Moriva cent anni fa Karen Blixen, la scrittrice danese famosissima per il romanzo La mia Africa, un diario intimo nel quale la Blixen, complessivamente, lascia intendere che l Africa sia superiore all Europa in quanto più pura e più vicina al mondo che Dio aveva preparato per gli uomini. Istituto Lermontov e Città del sapere hanno firmato un importante protocollo d intesa che ha lo scopo di favorire, attraverso diverse iniziative come l avviamento della procedura di riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all estero, l inserimento in Italia degli studenti provenienti dai Paesi della disciolta Unione Sovietica. La firma del protocollo e la presentazione del progetto sono avvenuti presso la sede di Città del Sapere dove si è riunita una squadra di lavoro che opererà alle iniziative proposte. Salvatore Casaburi ci propone un interessante riflessione su quello che sarà il futuro della scrittura nel terzo millennio. Dall analisi di Casaburi viene fuori che, paradossalmente, l enorme sviluppo tecnologico di questi anni possa non favorire la conservazione delle nostre memorie scritte ma, addirittura, renderla complicata. Richiedete SHEPOT&KRIK via e- all indirizzo sussurriegrida94@yahoo.it sussurriegrida@mail.ru oppure scrivendoci a: Napoli Piazza Municipio Edizione tradotta a cura di Alexandre Urussov

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