TRIBUNALE DI SALERNO I SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Salerno, I sezione civile, riunito in Collegio nelle persone dei signori: 1) Dott.

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1 TRIBUNALE DI SALERNO I SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Salerno, I sezione civile, riunito in Collegio nelle persone dei signori: 1) Dott. Antonio Valitutti Presidente 2) Dott. Maria Assunta Niccoli Giudice 3) Dott. Antonio Scarpa Giudice relatore FATTO visto il ricorso per reclamo al collegio proposto in data 4 settembre 2009 dal FALLIMENTO ( ) S.R.L. nei confronti di ( ) S.R.L. avverso l'ordinanza resa dal Giudice designato in data 10 agosto 2009, con cui è stata accolta la domanda di sequestro conservativo del Fallimento nei confronti di ( ) ed altri, mentre è stata rigettata quella avanzata nei confronti della ( ) S.R.L.; sentite le parti all'udienza del 15 dicembre 2009 e sciogliendo la riserva di pronuncia ivi assunta, osserva quanto segue. Il Fallimento ( ) S.R.L. dichiara di agire per la nullità o simulazione delle deliberazioni della ( ) sr.l. del 26 ottobre 2005 e della ( ) S.r.l. del 4 novembre 2005, e quindi per la condanna della ( ) s.r.l. alla restituzione al Fallimento dei beni costituiti dalla partecipazione al 50% del capitale di ( ) s.r.l., del credito per finanziamento erogato alla stessa ( ), nonché di beni immateriali, ovvero del loro controvalore in denaro, intendendosi gli stessi beni illecitamente trasferiti alla beneficiaria ( ) s.r.l., per effetto della delibera (quella del 26 ottobre 2005) di ripianamento delle perdite di esercizio 2004 e 2005 della partecipata ( ) s.r.l. e di rinunzia al diritto di opzione in sede di ricostituzione del capitale sociale; in subordine il Fallimento, nel corso del pendente giudizio di merito ed a sostegno della pretesa cautelare di sequestro, deduce l'inefficacia e la revocabilità degli atti di trasferimento indicati e della rinuncia al diritto di opzione; o ancora l'indebito arricchimento della stessa ( ) s.r.l., che aveva sottoscritto la quota di capitale della ( ) s.r.l. in seguito al mancato esercizio dell'opzione spettante a ( ) S.R.L.. Il reclamo si sofferma sulla sussistenza del periculum in mora necessario per l'ottenimento del sequestro conservativo ed invece escluso nell'ordinanza gravata, ma la natura pienamente devolutiva dello strumento ex art. 669 terdecies c.p.c. impone al Tribunale di verificare comunque preliminarmente la sussistenza del necessario fumus boni iuris del credito vantato dal Fallimento ( ) S.R.L. verso ( ) s.r.l. Dunque, il Fallimento ( ) s.r.l. agisce con una domanda di nullità delle deliberazioni assembleari della stessa ( ) s.r.l., nonché della ( ) S.r.l., di cui la ( ) s.r.l. era socia, ma anche per la nullità dei trasferimenti operati da ( ) S.r.l. a ( ) s.r.l.. Il Curatore del Fallimento ( ) s.r.l. appare certamente legittimato a proporre la domanda di nullità della deliberazione della ( ) S.r.l. In relazione a tale domanda, la posizione della ( ) s.r.l. va però regolata sulla base del disposto dell'art. 2379, comma IV, e 2377, comma VII, c.c.. Dette norme fanno espressamente salvi, in caso di nullità o annullamento della deliberazione assembleare impugnata, i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della medesima deliberazione. In tal senso sarebbe indispensabile una approfondita verifica della posizione della terza ( ) s.r.l., al fine di superare l'intangibilità dei diritti da essa acquistati medio tempore, tale da rendere comunque irreversibili le conseguenze della deliberazione impugnata. Peraltro, il riconoscimento della legittimazione del Curatore e del suo possibile interesse a che la nullità della deliberazione assembleare, a norma delle citate disposizioni, sia reso opponibile al terzo il quale abbia acquistato diritti in base ad atti esecutivi di detta deliberazione, non equivale ad affermare che il Curatore possa anche direttamente agire nei confronti del terzo per far dichiarare nulli i negozi intercorsi tra quest'ultimo e la società. Nelle società di capitali, dotate di distinta personalità giuridica e titolari di un

2 proprio autonomo patrimonio, l'interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica dell'ente è infatti tutelabile esclusivamente con strumenti interni, ivi compresa la possibilità d'insorgere contro le deliberazioni invalide (oltre che di far valere l'eventuale responsabilità degli organi sociali), ma non implica la legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni, ed in particolare ad impugnare i negozi giuridici stipulati dalla società, la cui validità, anche qualora ne venga sostenuta la radicale nullità, resta contestabile solo dalla società stessa (Cass. 25 febbraio 2009, n. 4579; Cass. 15 novembre 1999, n ; Cass. 13 aprile 1989, n. 1788). Tali argomenti minano l'attuale fondatezza della pretesa creditoria diretta del Fallimento ( ) s.r.l. verso la ( ) s.r.l.. Lo stesso Fallimento reclamante prospetta poi un'azione revocatoria delle delibere con cui la assemblea di ( ) s.r.l. prima decise di ripianare le perdite della partecipata ( ) S.r.l. mediante utilizzazione dei finanziamenti in conto aumento capitale e poi rinunziò al diritto di opzione in sede di ricapitalizzazione della stessa ( ) S.r.l. Questo duplice contenuto dell'intera complessa operazione economica, che ad avviso della Curatela fallimentare avrebbe l'unico "illecito fine di determinare il trasferimento, senza corrispettivo, delle risorse di ( ) s.r.l., così confluite, sotto diverse forme in ( ) S.r.l." e quindi in favore di ( ) s.r.l., va in realtà ulteriormente investigato, non essendo allo stato provvisto di sufficiente consistenza neppure la prospettiva della sua revocabilità in danno della società che si indica come beneficiaria finale. Nella specie la revoca avrebbe ad oggetto il diritto di opzione relativo all'aumento del capitale sociale della s.r.l. ( ), risultante dalla ricostituzione dello stesso dopo il ripianamento delle perdite di esercizio 2004 e Ora, tra i presupposti che condizionano l'esperimento dell'azione revocatoria vi è quello relativo alla natura ed al contenuto dell'atto di cui si chiede l'inefficacia, nel senso che sono soggetti all'azione stessa soltanto quegli atti i quali importano una modificazione giuridico - economica della situazione patrimoniale del debitore. Tale requisito è configurabile in riferimento non solo agli atti di alienazione che importino una diminuzione attuale del patrimonio del debitore, ma altresì a quelli che possono comprometterne eventualmente la consistenza in futuro, come gli atti di rinunzia, le assunzioni di debito e la concessione di garanzie personali o reali. Tuttavia, per gli atti abdicativi è necessaria una distinzione occorrendo accertare se essi si ricollegano ad una posizione giuridica già potenzialmente acquisita, nei suoi elementi costitutivi, al patrimonio del rinunziante o se, invece, si concretano nella rinunzia ad una facoltà, per effetto della quale non resta, comunque, modificato, né attivamente né passivamente il compendio patrimoniale quo ante del debitore. Nel primo caso (rinunzia all'eredità, rinunzia alla prescrizione) l'azione revocatoria è senza dubbio ammissibile, mentre nel secondo caso (rinunzia ad un compromesso d'acquisto) il comportamento del debitore non consente l'esercizio dell'azione revocatoria, perché il futuro incremento del suo patrimonio non si pone come conseguenza immediata della omessa rinunzia, ma è collegato all'ulteriore adempimento dell'obbligo, da parte del compratore, di corrispondere il relativo prezzo. Ond'è che, di fronte ad una situazione giuridica ancora in fieri, il mancato acquisto del bene non può mai assumere il valore e la portata di un atto dispositivo, ma può giustificare tutt'al più il tempestivo esercizio dell'azione surrogatoria (Cass , n. 1979). Andrà quindi accertato, se del caso anche a mezzo CTU nel corso del giudizio di merito, se tale diritto di opzione avesse un valore economico in sè, già attuale ed indipendente dall'eventuale sottoscrizione dell'aumento di capitale cui esso si riferisce. Il valore di tale diritto andrebbe commisurato al patrimonio della società e potrebbe essere monetizzato attraverso l'alienazione del diritto di opzione in sé, che ha un suo autonomo valore di mercato.

3 Il diritto di opzione è disciplinato nell'ambito della società per azioni dall'art c.c. e, per quanto concerne la società a responsabilità limitata, dall'art bis c.c. nella disciplina successiva alla riforma societaria di cui al D.Lgs. n. 6 del L'art bis, comma 1, nell'affermare che spetta ai soci il diritto di sottoscrivere l'aumento del capitale sociale in proporzione delle partecipazioni da essi possedute, eccezion fatta per le diverse previsioni dell'atto costitutivo, consente ai soci di mantenere invariata la loro partecipazione nonostante l'aumento del capitale sociale della società. Nel caso in cui il socio non possa esercitare il suo diritto, egli potrebbe limitare il danno derivante dalla conseguente riduzione o esclusione della partecipazione, alienando il diritto di opzione a favore di chi fosse in grado di esercitare tale diritto in sua vece. Di qui l'indiscussa conclusione che il diritto di opzione nelle società di capitali assume un valore economico in sé, potendo essere oggetto di disposizione a favore di terzi. La cessione del diritto di opzione non può peraltro incontrare limiti maggiori di quelli previsti per il trasferimento delle azioni o delle quote. La libera trasferibilità delle quote per atto tra vivi, sancita dall'art. 2469, comma 1, c.c., comporta, in difetto di diversa disciplina statutaria, la piena possibilità per il socio che non intendesse esercitare il diritto di opzione di cederlo. Tuttavia la più marcata impronta personalistica della disciplina della società a responsabilità limitata rispetto a quella della società per azioni, implica che siano pienamente valide ed efficaci, in virtù della stessa disciplina dettata dall'art c.c., le clausole che vietano il trasferimento delle quote per atto inter vivos o che limitavano tale possibilità di trasferimento in favore dei soli soci, clausole di frequente adozione nella pratica statutaria. Tali vincoli incidono ovviamente anche sul diritto di opzione, perché la cessione del diritto di opzione ed il suo successivo esercizio da parte del cessionario produce gli stessi effetti del trasferimento della quota, vale a dire modifica il novero dei soci ed incide sulla quota di partecipazione di ciascuno al capitale sociale. Ne deriva che il diritto di opzione non è consentito quando sia prevista statutariamente l'intrasferibilità delle quote, e che nei casi in cui lo statuto ammetta il trasferimento soltanto a favore dei soci ovvero preveda un diritto di prelazione a favore di questi ultimi, la cessione del diritto di opzione può avvenire soltanto nel rispetto dei limiti alla libera circolazione delle quote. Si è pertanto affermato in dottrina che nella società a responsabilità limitata il valore del diritto di opzione, ove sussistano limitazioni alla circolazione delle quote, si riduce e sovente si annulla, non rimanendo al socio altra pratica alternativa che la sottoscrizione dell'aumento o la perdita del diritto di opzione. Vi è dunque una netta differenza tra la disciplina del diritto di opzione nella società per azioni e nella società a responsabilità limitata. Mentre nel primo tipo di società alla libera circolazione delle azioni segue la possibilità, in caso di mancato esercizio dell'opzione da parte dei soci, di provvedere all'alienazione del diritto stesso sul mercato, essendo consentita ai terzi la sottoscrizione dell'aumento di capitale, nella società a responsabilità limitata in cui l'elemento personale connesso alla qualità del socio che partecipa alla società assume connotati di gran lunga più rilevanti, l'esistenza stessa (in questo caso pacifica in causa) ed il contenuto del diritto di opzione sono legati alla disciplina in concreto dettata dallo statuto sociale. Pertanto, a differenza di quanto avviene per la società per azioni, per la società a responsabilità limitata il diritto di opzione non ha automaticamente un valore patrimoniale autonomo, perché tale valore discende dalla disciplina in concreto adottata in ordine alla circolazione delle quote nell'ambito dello statuto sociale, statuto che, come si è detto, può sia vietare la circolazione della quota per atto inter vivos sia sottoporla a vincoli più o meno rigorosi, vincoli che incidono sulla trasferibilità ai soci o ai terzi del diritto di opzione. Ne deriva che l'assoggettamento a revocatoria dell'atto di rinuncia o del mancato esercizio di tale diritto, essendo diretto alla declaratoria d'inefficacia dell'atto abdicativo ed all'assoggettamento del diritto

4 all'azione esecutiva da parte del creditore del socio, comporta la dimostrazione che il bene oggetto della rinuncia sia sottoponibile all'azione esecutiva secondo la legge di circolazione delle quote così come stabilita in concreto dallo statuto sociale. Nel caso in esame la Curatela del Fallimento ( ) s.r.l. prospetta che il diritto di opzione in relazione al capitale della ( ) S.r.l. avesse un valore in sé, di cui sarebbe stato depauperata la società fallita, ma non deduce che esso fosse alienabile sul mercato, né ha allegato, neppure nel corso del giudizio di merito, che tale valore di mercato corrispondesse alla disciplina statutaria in concreto adottata dalla ( ) S.r.l.. Deve allora al momento ribadirsi che la rinuncia o il mancato esercizio del diritto di opzione non è suscettibile di revoca ai sensi degli artt. 64 o 67 R. D. 16 marzo 1942, n. 267 o dell'art c.c., se non quando l'opzione costituisca un bene in sé, dotato di autonomo valore di mercato. Nella specie, avendosi riguardo alla disciplina della società a responsabilità limitata, la revoca rimane subordinata alla dimostrazione che il diritto di opzione sia suscettibile di alienazione secondo la legge di circolazione delle quote stabilita dallo statuto sociale (Cassazione civile, sez. I, 11 maggio 2007, n ). Quanto all'ulteriore contenuto delle delibere impugnate del 26 ottobre 2005, laddove per la ricostituzione del capitale della ( ) S.r.l. si stabiliva di utilizzare i finanziamenti in conto aumento capitale (pari per la socia ( ) s.r.l. ad euro ,95), è noto come i versamenti effettuati dai soci della società in conto di futuro aumento di capitale (o con altra analoga dizione indicati), pur non determinando un incremento del capitale sociale e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti a una specifica deliberazione assembleare di aumento del predetto capitale), hanno una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile invece a quella di capitale di rischio; con la conseguenza che essi non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione. Ciò non esclude, tuttavia, che tra la società ed i soci possa essere convenuta l'erogazione di un capitale di credito e che, quindi, i soci possano effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo. Lo stabilire, in concreto, la natura del versamento, è questione di interpretazione, che, in difetto di una chiara manifestazione di volontà, ben può essere ricavata dalla terminologia adottata nel bilancio, poiché questo è soggetto all'approvazione dei soci e le qualificazioni che i versamenti hanno ricevuto diventano determinanti per stabilire se si controverta, appunto, di un finanziamento o di un conferimento (Cass. 13 agosto 2008, n ; Cass. 31 marzo 2006, n. 7692). Ora, prima facie, nell'ambito di un'operazione di ricapitalizzazione di una società a responsabilità limitata, appare pienamente legittima la delibera di ripianamento delle perdite adottate mediante imputazione del fondo "finanziamento in conto aumento capitale sociale" risultante da apposita posta di bilancio; anzi, tali versamenti dei soci in conto di futuro aumento di capitale, non solo possono, ma debbono essere utilizzati a copertura delle perdite, in coerenza con la loro essenziale e primaria funzione di riserve, e cioè di strumenti di protezione del capitale sociale. Per tutte queste ragioni, appare da escludere l'attuale sufficiente fondatezza della pretesa creditoria azionata dal Fallimento ( ) s.r.l. nei confronti della ( ) s.r.l., al fine di essere autorizzata a sequestro conservativo in danno di quest'ultima. Il reclamo va pertanto rigettato, rimettendo per le spese del procedimento ex art. 669 terdecies la liquidazione al giudice del merito. P.Q.M. letti gli artt. 669 terdecies, 669 quater, e 700 c.p.c.,

5 il Tribunale di Salerno, I sezione civile, rigetta il reclamo proposto in data 4 settembre 2009 dal FALLIMENTO ( ) S.R.L. nei confronti di ( ) S.R.L. avverso l'ordinanza resa dal Giudice designato in data 10 agosto Manda alla cancelleria per la comunicazione. Salerno, depositato 12 gennaio 2010 Il Giudice Dott. ANTONIO SCARPA Il Presidente Dott. ANTONIO VALITUTTI (Fonte: DeJure)

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