FIGURE FEMMINILI PROTETTRICI DELLA NASCITA
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1 a cura di Antonella Caforio FIGURE FEMMINILI PROTETTRICI DELLA NASCITA la baba, la femme qui aide, la levatrice nella cultura europea Pubblicazioni dell I.S.U. Università Cattolica
2 FIGURE FEMMINILI PROTETTRICI DELLA NASCITA: la baba, la femme-qui-aide, la levatrice nella cultura europea a cura di ANTONELLA CAFORIO Milano 2002
3 Testi tradotti da Roberto Caforio 2002 I.S.U. Università Cattolica Largo Gemelli, 1 Milano ISBN
4 Sommario INTRODUZIONE... 7 di Antonella Caforio LA FEMME-QUI-AIDE E LA LAVANDAIA di Yvonne Verdier Assistere Fare i bambini Fare i morti I grandi lavaggi Colare Al lavatoio Gaisser LA SAPIENZA DI DIO SI RITROVA NELLE VECCHIE DONNE. LA LEVATRICE. I DEMONI DELLA NASCITA E I PICCOLI PANI DEI MORTI di Isabelle de Runz Quelle che sanno Vedere e identificare Il bambino-frutto Quando le babice sono numerose, il bambino deperisce I quaranta giorni Dare il nome Babe, vampiri e babice Rottura e decomposizione Vampiri
5 Sciogliere e purificare Il morto-antenato Scambio di teste Parola di vecchie LE DONNE E IL SALATOIO di Yvonne Verdier 1) Quando si hanno le mestruazioni, nel salatoio non bisogna andarci, perché il lardo così va a male, va a male tutto nel salatoio, tutto è perduto ) Il respiro, il sangue era qualcosa di sacro che un tempo aveva un senso ) Delle donne dai capelli rossi non ci si fidava, si diceva: hanno l alito pesante ) Non bisogna rifiutare nulla alle donne incinte, si teme che il bambino ne soffra ) Tutti i miei figli sono nati normali, è questo che mi fa più paura, l anormalità, la peggiore delle catastrofi ) Buon uomo, non far mai caso al grano di marzo e alla figlia di maggio ) Tutte queste cose sono dette così per dire, ma sono vere, dipendono dal movimento della luna, sono dei veri e propri fenomeni IL CORPO FEMMINILE E LE COSE NELLA POLESIA. UN SISTEMA SIMBOLICO DELLA FINE DEL XX SECOLO di Galina Kabakova Il codice relativo al vestiario Il simbolismo nuziale: gli utensili della cucina Il corpo e lo spazio domestico
6 DONNE-PIANTE E BAMBINI-FRUTTI. I FRUTTI E GLI ALBERI DA FRUTTO NELLE RAPPRESENTAZIONI POPOLARI SERBE DEL CONCEPIMENTO di Isabelle de Runz Regalare dei frutti e mettere al mondo Alberi e frutti nei riti di fecondità L innesto dei giovani sposi Concepimento e contraccezione NASCERE SOTTO I CAVOLI. UN APPROCCIO ETNOLOGICO A QUESTO MITO CULTURALE * di Jocelyne Bonnet 1) Un mito culturale ) Il cavolo, emblema della fecondità matrimoniale ) C è cavolo e cavolo ) Sapete piantare i cavoli? ) Espressioni metaforiche e gesto sessuale ) Conclusione APPENDICE LA GRAVIDANZA E IL PARTO NELLA CULTURA FOLCLORICA: PRATICHE EMPIRICHE E PROTEZIONE SIMBOLICA. IL CASO DI VENEGONO INFERIORE di Emanuela Cremona 1) Breve presentazione storico-sociale ) Le persistenze folcloriche: la testimonianza del mondo femminile ) Tracce di lettura ) I colloqui
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8 Introduzione di Antonella Caforio Vengono qui presentati alcuni saggi di notevole spessore sul ricco simbolismo riguardante la differenza sessuale e il tema del maschile e del femminile scritti da antropologhe note, in particolare da Yvonne Verdier, autrice di Façons de dire, façons de faire 1, un libro veramente stimolante e per molti versi affascinante che in Italia non è stato mai tradotto. I contributi, che si riferiscono alle rappresentazioni e agli immaginari riguardanti la nascita in Francia e nel mondo tradizionale slavo, sono tanto ricchi di contenuti che diventa impossibile un riassunto veloce ed esaustivo cosicché ognuno, leggendoli, potrà approfondire secondo i suoi interessi gli aspetti che riterrà più rilevanti. Ciò che a mio avviso rende particolarmente degna di attenzione la lettura di questi studi è in primo luogo il lento delinearsi di una figura femminile, quella della levatrice, che tutti pensiamo di conoscere e che in realtà scopriamo pian piano nelle sue inedite caratteristiche simboliche con meraviglia crescente quando, dai saggi, e ancor più dalla lettura del libro già citato e da altri testi come quello preziosissimo di Evelyne Sorlin 2, anch esso mai tradotto in italiano scorgiamo i tanti riferimenti simbolici a realtà che rimangono, nonostante tutti i tentativi di distruzione operati nei secoli (basti solo pensare alle cacce alle streghe), ancor oggi profondamente radicate nella nostra società. In questo personaggio, infatti, possiamo in qualche modo rivedere attualmente ciò che Gimbutas chiama il periodo della Grande Dea. Com è noto, la studiosa lituana sostiene che il culto della Grande Dea ha dominato l Europa del Neolitico Antico, tra il 7000 e il Cfr. Y. Verdier, Façons de dire, façons de faire La laveuse, la couturière, la cuisinière, Gallimard, Paris, Cfr. E. Sorlin, CRIS DE VIE, CRIS DE MORT Les fées du destin dans les pays celtiques, FF COMMUNICATIONS n. 248, Academia Scientiarum Fennica, Helsinki,
9 a.c. Ciò che caratterizza questo periodo della storia è l importanza data ai concetti di rigenerazione e rinnovamento, in analogia con ciò che avviene nella Natura, ed una visione del mondo accentrata sulla Terra e però profondamente rispettosa dell esistenza di qualunque forma vivente, riverente della vita, ma di ogni vita. In questo lungo brano, Gimbutas così ci descrive quel breve tratto della storia umana La Dea era, in tutte le sue manifestazioni, il simbolo dell unità di tutte le forme di vita esistenti nella Natura. Il suo potere era nell acqua e nella pietra, nella tomba e nella caverna, negli animali e negli uccelli, nei serpenti e nei pesci, nelle colline, negli alberi e nei fiori. Di qui la percezione olistica e mitopoietica della santità e del mistero di tutto quanto è sulla Terra. Quella cultura si deliziò dei prodigi naturali di questo mondo. Il suo popolo non produsse armi letali né costruì fortificazioni in luoghi inaccessibili, come avrebbero fatto i successori, anche quando conobbe la metallurgia. Invece, costruì magnifiche tombesantuari e templi, comode abitazioni in villaggi di modeste dimensioni, e creò ceramiche e sculture superbe. Fu, quello, un lungo periodo di notevole creatività e stabilità, un epoca priva di conflitti. La cultura di quel popolo fu una cultura dell arte 3. La Dea è Creatrice di Vita e nello stesso tempo Reggitrice di Morte senza che vi sia alcuna divisione tra le due figure poiché, così come avviene nel cosmo, la Dea della Morte non punisce gli esseri viventi, ma semplicemente compie il suo dovere di controllo della durata del ciclo vitale. Riprendere la vita significa quindi non esclusivamente morte, ma immediato rigenerarsi nel corpo della Dea la Terra giacché l energia vitale è in continuo movimento. Di questo simbolismo così arcaico, ma profondamente radicato, si può dire di vederne dei frammenti appunto in questa figura creata dalla società che, come la wandy homan irlandese, presiede al parto e insieme alla sepoltura 4. 3 M. Gimbutas, Il linguaggio della Dea Mito e culto della Dea madre nell Europa neolitica, Neri Pozza, Vicenza, 1997, p Cfr. E. Sorlin, op. cit., pp. 121 sgg. 8
10 Come sostengono le autrici dei saggi, questo personaggio così importante deve la sua unicità soprattutto alle particolarità biologiche del corpo femminile. Infatti, per prima cosa si deve riflettere sul nome: femme-qui-aide è denominata la levatrice, quindi donna che aiuta, che assiste, o ancora baba o babica nella forma del diminutivo, cioè nonna, quindi donna anziana, esperta, che sa come vanno le cose del parto. Come ricorda Verdier, in Grecia la levatrice era denominata maia, nonna, e madre viene chiamata la femme-quiaide a Minot, il paesino francese nel quale si è svolta questa inchiesta etnografica veramente ricca di risultati. Gli elementi che in questi studi sembrano emergere per contraddistinguere la femme-qui-aide sono in sostanza due: l abilità e l ubiquità, anche se non possiamo dimenticarne un terzo, l innocuità o capacità di affrontare l ignoto senza conseguenze pericolose. In realtà l abilità di cui parlano gli intervistati è qualcosa da intendersi in maniera diversa dal solito: essa non è da interpretare tanto come destrezza, bravura tecnica quanto come capacità e disponibilità massima a lasciar fare alla natura. La bravura tecnica, senza dubbio, è presente nell operato della femmequi-aide, ma non è questo l elemento che deve caratterizzare la sua presenza. Come è noto, nelle società occidentali, a partire dal XVIII secolo, si è avviato il processo di medicalizzazione della nascita con il relativo trasferimento del parto in ospedale e sappiamo anche che esso aveva come obiettivo dichiarato in primo luogo il bisogno di salvaguardare le vite del bambino e della madre e la loro salute 5. La femme-qui-aide è, invece, colei che segue con la più profonda attenzione tutte le fasi della natura senza interferire ed è colei che, all interno di un gruppo, si assume il compito di accompagnare e seguire il cammino di questo essere che potremmo definire liminale, alla maniera di Turner: gli esseri liminali non sono né da una parte né dall altra; stanno in uno spazio intermedio... tra le posizioni assegnate e distribuite dalla legge, dal costume, dalle convenzioni e dal cerimoniale 6. Essi sono fuori da ogni classificazione, come sostiene sempre lo studioso inglese. 5 Cfr. J. Schlumbohm, Comment l obstétrique est devenue une science, ACTES de la recherche en sciences sociales, juin 2002, V. Turner, Il processo rituale Struttura e anti-struttura, Morcelliana, Brescia, 1972, p
11 La femme-qui-aide, quindi, attraverso una serie di riti con momenti dentro e fuori del tempo e dentro e fuori della struttura sociale, inserisce e classifica nel tempo e nello spazio quotidiani esseri che sono strutturalmente invisibili, che hanno, cioè, una realtà fisica, ma non una realtà sociale 7. Nello studio di Isabelle de Runz, in effetti, la babica era definita anche la primalja, quella che riceve. Il suo primo gesto consisteva nel raccogliere il bambino prendendolo direttamente o facendolo cadere al suolo come un frutto maturo. Nei saggi, infatti, si sottolinea come le femmes-qui-aident o le babice tocchino poco il corpo della madre, mentre si preoccupano molto del neonato e in questo caso i loro gesti sono sempre accurati, precisi, determinati ed attenti, insomma ben fatti. Ecco qui l abilità che noi più facilmente riconosciamo. Lo ricorda la Verdier quando sostiene che la vecchia femme-qui-aide è tanto discreta, anzi quasi restia ad evocare il suo aiuto alla madre, limitandosi a questo vago e ostinato lasciavamo fare alla natura, quanto espansiva quando si tratta del bambino, facendo trapelare la meticolosa preoccupazione di un intervento ben fatto, con una successione di gesti: afferrare, lavare, vestire. E continua in questa opera di direzione e aiuto nei confronti del neonato anche nei giorni successivi: il giorno dopo lei fa una visita con uno scopo ben preciso: vengo per allattare il bambino, ero là per far vedere alla madre. Torna i giorni seguenti per fargli il bagno e per fasciarlo, fintanto che il cordone ombelicale non è caduto... il suo controllo può procedere fin quando la ferita ombelicale non si è rimarginata... spetta a lei battezzarlo o addirittura imporgli il nome. E anche quando oramai il medico si occuperà del parto, il suo ruolo continuerà ad essere quello di accudire al bambino: il dottore che si occupa dei parti dagli anni cinquanta ci dice: A me non piace vestire il marmocchio, né fargli il bagno, lo dò a Margherita, ogni villaggio ha la sua femme-qui-aide, è qua per questo. Questa diversità di atteggiamenti nei confronti dei due protagonisti, la madre e il bambino, non è casuale: la madre è un contenitore di qualcosa che è ancora al di là dell umanità e quindi va trattata con cura, ma anche con molta cautela. Le forze soprannaturali possono sempre essere pericolose p Cfr. V. Turner, La foresta dei simboli Aspetti del rituale Ndembu, Morcelliana, Brescia, 1976, 10
12 anche per un personaggio autorizzato a manipolare realtà fuori del tempo e dello spazio, come appunto la babica o la femme-qui-aide. Solo subito dopo il parto, la femme si preoccupa della donna poiché da questo momento ella ritorna ad essere membro della comunità, anche se avrà bisogno di un lungo periodo di purificazione per non essere più pericolosa per se stessa e per gli altri. Ora, essere fuori dello spazio significa anche essere nel tempo primordiale che non conosce eventi relativi al mondo effimero, alla maia di cui parlano gli orientali. In sostanza, la babica ha una funzione prettamente sociale e il suo compito è quello di umanizzare, rendere oggetto di parola, di discorso e cioè riconoscibile, come sostiene Augé, ciò che è naturale e quindi non soggetto alle ragioni e alle leggi degli esseri umani. Per questo motivo, un altra delle qualità necessarie alla femme-qui-aide è l innocuità, non solo del corpo, ma anche e soprattutto dello spirito: in quanto essere di frontiera, ella deve essere neutrale, impermeabile ai sentimenti che caratterizzano, invece, l umanità così da non poter ricevere né comunicare alcuna energia soprattutto negativa durante queste operazioni così pericolose. Nei momenti in cui si cerca di realizzare senza danni un delicatissimo contatto tra due mondi molto diversi, le particolarità biologiche della donna vengono in aiuto rimarcando nuovamente attraverso il linguaggio simbolico la differenza tra i sessi, come rileva molto bene Isabelle de Runz quando evidenzia l idoneità delle donne anziane nel ruolo di babiche: la perdita delle funzioni procreatrici, della capacità di concepire, va di pari passo con la cessazione dell attività sessuale ed è precisamente questa chiusura del corpo a tutti i movimenti o i fenomeni periodici e alternativi che si pone alla base quale condizione necessaria per il riconoscimento della loro abilità. Le donne anziane si inseriscono, pertanto, in un altro tempo, di là dalle oscillazioni del ciclo mestruale e delle gestazioni, un tempo regolare senza altri fondamenti se non quelli della morte e della nascita. Il saggio di Galina Kabakova risulta essere estremamente utile giacché cerca di chiarire proprio il funzionamento del sistema simbolico al centro del quale vi è la donna e che riguarda quelli che l autrice chiama sottosistemi tematici o codici comprendenti, per esempio, l abbigliamento, e il mondo vegetale o animale. L analisi di questi simbolismi permette di comprendere rituali, 11
13 credenze o costumi altrimenti incomprensibili o definiti strani. Comprendiamo, per esempio, il legame indissolubile tra feto e grembiule, che diventa l emblema della levatrice, la necessità del lavaggio del neonato e allo stesso modo il bisogno di rivestire il bambino appena nato. Altri codici, però, si accavallano ed assumono rilevanza: il corpo femminile è sempre collegato, per esempio, allo spazio domestico più intimo, al focolare e alla cucina come pratica legata alla trasformazione in sociale del prodotto naturale. Infine, un altro campo semantico che ci permette di comprendere meglio le rappresentazioni ideologiche relative alla donna è senza dubbio quello concernente l agricoltura, la coltivazione e il frutto. Come è facilmente comprensibile, in tutte le culture è possibile trovare una serie di associazioni tra la fecondità vegetale e quella umana. Isabella de Runz ci ricorda come il regno vegetale giochi un ruolo privilegiato in materia di concezione tanto che la donna, in generale, può essere equiparata ad una pianta e il bambino ad un frutto: il concepimento sembra essere soggetto all azione diretta o indiretta di un principio contenuto nei vegetali fruttiferi e la cui efficacia si basa su di un concepimento analogico della germinazione e della gestazione. Del resto, la Creatrice e la Rigeneratrice di Vita, il Fato o i Tre Fati, altri modi di chiamare la Grande Dea aveva tante funzioni che riguardano la fertilità, la moltiplicazione e il rinnovamento. Si riteneva [nel periodo della Dea preistorica] che il processo del risveglio stagionale, la crescita, l ingrassamento e la morte apparentassero esseri umani, animali e piante: la gestazione di una donna, l ingrassamento di una scrofa, la maturazione dei frutti e dei raccolti erano correlati e si influenzavano reciprocamente. Di nuovo si può notare che il potenziale di nascita e crescita della terra è in tutte le cose viventi. La gestazione o l ingrassamento di una donna o di un animale erano sacri quanto la gestazione della terra prima della fioritura primaverile. Ogni protuberanza presente nella natura, sia monte o collina, su un menhir o su un corpo femminile ventre, glutei, seni, ginocchia era sacra 8. Proprio questa concezione ci fa comprendere meglio l importanza data al cavolo in quanto frutto simbolicamente molto rilevante, come leggiamo nell ultimo bell articolo di Jocelyne Bonnet. 8 M. Gimbutas, op. cit., p
14 Infine, in appendice, l ottimo saggio-ricerca sul campo di Emanuela Cremona nel quale appare la levatrice-ostetrica, ultima trasformazione, oramai al termine del suo lungo viaggio, di quella formidabile Dea il cui culto era stato così forte durante il Paleolitico e il Neolitico. Alla fine del XVIII secolo, infatti, il rapporto con la morte, e quindi anche con la vita, cambia. In un saggio molto denso, Franca Ongaro Basaglia in questo modo descrive questo momento di cambiamento profondo della storia: non più intesa come un destino cui l uomo non può sottrarsi, la morte viene gradualmente riconosciuta come il risultato di processi patologici per la maggior parte ancora sconosciuti che possono cadere sotto il controllo e il dominio dell uomo... Il rapporto dell uomo con la morte si traduce, di fatto, nel rapporto con una malattia che, diventando oggetto di conoscenza alla stessa stregua degli oggetti naturali, diventa anche proprietà del medico, sì che il malato espropriato del suo incontro immediato e rituale con la propria fine si trova in balia di una malattia che solo il medico e la medicina possono domare e controllare 9. Così nasce l ospedale come luogo terapeutico e la donna, con lo sviluppo della scienza medica, perde ogni potere su eventi quali la vita e la morte. Il cerchio si chiude. E allora mi piace terminare con le parole di Marija Gimbutas La Dea gradualmente si ritirò nel profondo delle foreste o sulle vette delle montagne, e lì sopravvisse sino ai nostri giorni nelle credenze e nelle fiabe. Seguì l alienazione dell uomo dalle radici vitali della vita terrena, e i risultati sono ben evidenti nella società contemporanea. Ma i cicli storici non si fermano mai, ed ora vediamo riemergere la Dea dalle foreste e dalle montagne, recandoci speranza per il futuro, e riportandoci alle nostre più antiche radici umane F. Ongaro Basaglia e G. Bignami, Medicina/medicalizzazione, in Enciclopedia, Einaudi, Torino, 1979, vol. VIII, p M. Gimbutas, op. cit., p
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16 La femme-qui-aide e la lavandaia di Yvonne Verdier In un villaggio francese, oggi come oggi, vi sono poche cerimonie, poche credenze ben radicate, pochi di quei rituali sostanziosi che danno una gran quantità di lavoro all etnologo, ma, al contrario, esistono numerosi gesti che si fanno perché si fanno normalmente o perché si sono sempre fatti si tratta di riti? Una lingua, il dialetto o più spesso un francese dialettizzato, i modi di dire che rispecchiano le abitudini, gli aneddoti, le storie senza fine che raccontano che cosa è successo quella volta sono forse dei miti? Infine i personaggi, vere figure di paesani, persone che vanno verso gli altri o verso le quali si va, e che mettono in risalto con il loro ragionamento diverse generazioni, perché se ne parla, si fanno riferimenti, si raccontano le loro vicende anche molto tempo dopo la morte sono degli eroi culturali? Questo insieme di materiale grezzo ci è sembrato la materia prima di cui dar conto del ruolo ricoperto da una donna a Minot 1, la femme-qui-aide 2. Questo ruolo molto presto si è ritrovato in una dimensione ben più ampia a causa del fatto che le persone che l avevano svolto gli avevano conferito tutta una serie di tratti caratteristici, di qualità e difetti. Che siano dei tratti personali o delle caratteristiche culturali? Si tratta di determinazioni accidentali o di peculiarità di un sistema? 1 Minot (Costa d Oro) è un villaggio che si trova nello Chatillonnais, a nord della Borgogna, sull altopiano di Langres, sul quale è stato svolto uno studio d équipe con Tina Jolas, Marie-Claude Pingaud e Françoise Zonabend. La popolazione, oggi di 360 abitanti, è quasi rimasta invariata dagli inizi del secolo. L Homme, apr.-sett. 1976, (2-3). 2 L espressione può essere tradotta con quella equivalente in italiano a donna che assiste, che aiuta, ma è sembrato preferibile mantenerla nella lingua originale per i suoi numerosi significati simbolici inespressi (N.d.T.) 15
17 Assistere Madre Daniel era la donna che assiste, la chiamavano dappertutto, andava dalle donne che partorivano, andava dai morti... Adesso è sua figlia, Margherita, che assiste, l unica del villaggio, quando non ci sarà più lei ci chiediamo che cosa faremo. Un doppio compito è affidato a colei che viene definita la femme-qui-aide: fare i bambini, fare i morti. Fare i bambini Sì, ero io che assistevo, molto spesso bisognava andare lontano a cercare il dottore o l ostetrica, e il bambino era già là prima del loro arrivo, allora bisognava pur assistere. È così che Margherita definisce innanzitutto il suo ruolo di levatrice, di madre di tutti i bambini, in una veste modesta quasi fosse un difetto. La cronaca orale del ruolo a Minot risale agli inizi del secolo, e si apre con un dramma: il tragico parto d una giovane donna che doveva mettere al mondo dei gemelli. Era il primo parto per questa donna, aveva dei gemelli, il primo è nato, ma il secondo tardava ad uscire, tribolava. Mamma Daniel, la femme-qui-aide all epoca, assiste impotente al parto: Avrei voluto fare qualcosa. Ma non osa intervenire, e testimonia: L ostetrica non le ha fatto assolutamente nulla, assolutamente nulla, nulla.... Il medico chiamato arriva troppo tardi; ormai era tutto finito, la giovane donna era morta col secondo gemello.... Il parto, prosegue Margherita, era avvenuto nel mese di agosto; poco tempo dopo, quella ostetrica ha avuto come un colpo al cervello, e dopo nel mese di gennaio è morta folle. Questo racconto mette bene in risalto i principali personaggi che sono coinvolti nella nascita il medico, l ostetrica, la levatrice (in questo caso la femme-qui-aide), e soprattutto mette ben in evidenza la loro partecipazione: un medico che arriva troppo tardi, una ostetrica che non fa nulla, e la donna che assiste che non osa fare nulla..., una giovane donna e un bambino che muoiono. 16
18 A partire dal 1905 non ci saranno più ostetriche residenti nel villaggio e, il più delle volte, la femme-qui-aide si troverà da sola nel momento del parto, poiché il tempo di preparare la carrozza per cercare l ostetrica e il bambino era già là, tanto più che, si dice, i parti avvengono rapidamente: Mia cognata ha avuto i suoi cinque bambini qui, e l ostetrica non è mai arrivata in tempo. Essi vengono considerati facili, completamente sdrammatizzati ed inseriti nell ambito del ritmo delle attività della vita quotidiana: Fino alla fine, per le quattro, ho custodito le vacche, era facile, non ho durato fatica, passavano come una lettera nella buca, alle cinque ho munto le vacche, alle otto erano là. L impiegata delle poste: Sono stata al telefono fino all ultimo minuto. E di queste attività essi sono a volte come l amplificazione di una semplice eco: Non mi sentivo bene, ho fatto per prima cosa il pane, ho scaldato il forno, ho infornato, e poi sono andata a coricarmi; mezz ora dopo il bambino era già là. Per mezzo secolo il ruolo della femme-qui-aide sarà dunque preminente: Mi chiamano già alle prime doglie. Arrivo con la bacinella, ha fatto il giro del paese. Madre Daniel e madre Carre hanno messo al mondo quasi tutti i bambini del villaggio. Margherita, che ha seguito le orme della madre verso il 1930, ha fatto 43 bambini, i tre quarti dei quali senza la presenza di un ostetrica o di un medico. Sua nipote, Marcella, che ha ripreso il ruolo dagli anni cinquanta al 1968, ha fatto 23 bambini, ma, al contrario dei precedenti, il medico era sempre là, tranne una volta. Hanno l abitudine di chiamarlo e arriva in tempo: è motorizzato. Ma per quel che riguarda il parto vero e proprio, è una supplente, poiché quando l ostetrica o, in seguito, il medico è là, lei l assiste; conosce perfino dei trucchi per far ritardare il parto: Davo un bicchierino d acquavite. E il suo ruolo è definito essenzialmente rispetto al bambino. Si partoriva nel letto matrimoniale, coricate, con la testa appoggiata su grandi guanciali, e con le ginocchia sollevate. Il primo compito della femmequi-aide è il letto: Ci voleva tutta una preparazione, si metteva l asse del mollettone sotto, e sopra un bello strato di carta da giornale, e poi un panno ben pulito. Successivamente si prendevano dei panni usati da piegare in quattro, abbastanza larghi da poter ricoprire, e se ne mettevano due, uno sull altro, ben sistemati e appiattiti per evitare rigonfiamenti; si rincalzavano 17
19 tutti e due i lati. Non appena si era concluso il parto, si toglieva il primo panno, il giorno dopo si faceva lo stesso col secondo, e se ne rimetteva un altro. Così si ricavava un lavoro ben fatto. A quel tempo, si gridava, e come si gridava! Non so il perché, ma le donne non gridano più adesso. Io mi ricordo di aver gridato parecchio... La levatrice di Beneuvre diceva: Oh, io capisco dalle grida quando sta per arrivare...! Oh, ma io non mi disturbo prima di sentirvi...! Fintanto che una donna non dice che sta per morire, non arriva! Le vecchie dicevano: Bisognava gridare abbastanza forte da farsi sentire da tutto il villaggio.... Se è la femme-qui-aide ad occuparsi del parto, utilizza più o meno le stesse tecniche della levatrice: sostiene la donna i letti erano fatti di solo legno, non avevano alcuna presa, i letti con le traverse sono arrivati più tardi, là ci si poteva aggrappare, fa dei massaggi alla pancia, la incita a gridare, afferra la testa del nascituro nel momento in cui passa, taglia e annoda il cordone ombelicale. Interviene solo esternamente, non tocca troppo il corpo della madre, teme di andare oltre: Se gli annessi fetali c erano, c erano, se non c erano, si aspettava l arrivo del medico; lui doveva guardarli per vedere se c erano tutti. Il principio in vigore era l astensionismo. Si lasciava fare alla natura, non c era un gran che da fare. La levatrice applica la stessa regola, ha solo le sue mani per assistere può inoltre fare delle iniezioni (soluzioni di bicarbonato e di permanganato) per accelerare la fuoriuscita degli annessi fetali ed esaminarli ma ha le mani legate in caso di complicazioni. Solamente il medico-chirurgo può utilizzare i ferri, e il bisturi per i parti cesarei. La legge stabilisce esattamente questa differenza: la levatrice deve limitarsi ai parti detti naturali. Ancor più della levatrice, la femme-qui-aide teme la responsabilità legale di un parto che ha cattivo esito. Ciò apparve chiaramente nel caso di un parto difficile durante l ultima guerra, allorché le due femmes-qui-aident del villaggio si tirano indietro nel momento critico: C era la guerra, il giorno in cui sono arrivati i tedeschi, ed ecco che Paulette ha il mal di pancia. Il sindaco, avvisato, manda un uomo con una vettura a cercare un dottore, ma i due, trattenuti dai tedeschi, non torneranno al villaggio se non dopo tre giorni. Nel frattempo, Paulette aveva partorito, ma il giorno dopo non aveva espulso gli annessi fetali. Il sindaco: Ero andato a cercare le due femmes-quiaident, madre Carre: Oh, ma io non posso intervenire, e Margherita: Oh, 18
20 no, no! è troppo rischioso, se dovesse capitare qualcosa sarebbe colpa nostra. Non hanno voluto, né l una, né l altra. Quello che spetta di fatto e di diritto alla femme-qui-aide, è il bambino. Come dicono a Minot, lei fa il bambino. Anche se la levatrice, o, in seguito, il medico, aiutano a partorire, una volta che il cordone ombelicale è stato sezionato e annodato, glielo si dà, le spetta. Non appena è uscito io lo bagno. Questo compito non le è contestato, è la sua prerogativa. Il dottore che si occupa dei parti dagli anni cinquanta ci dice: A me non piace vestire il marmocchio, né fargli il bagno, lo dò a Margherita, ogni villaggio ha la sua femme-qui-aide, è qua per questo. E la vecchia femme-qui-aide è tanto discreta, anzi quasi restia ad evocare il suo aiuto alla madre, limitandosi a questo vago e ostinato lasciavamo fare alla natura, quanto espansiva quando si tratta del bambino, facendo trapelare la meticolosa preoccupazione di un intervento ben fatto, con una successione di gesti: afferrare, lavare, vestire. A sentirla, sarebbe stata derubata dei primi gesti di separazione dal medico e dalla levatrice che, visto che si trovano lì, tagliano, annodano. Ma le piace ricordare quei gesti se sono realizzati in loro assenza: Tagliavo il cordone, lo piegavo, lo legavo a tre centimetri dal corpo; c è bisogno di un filo molto resistente, molto solido, un filo di lino. Lo immergevo nell alcol o nella grappa, o in quello che c era a disposizione. Il suo compito consiste soprattutto nella pulizia del nascituro: Sono sempre io che lo lavo. Facevo scaldare l acqua, la tenevo pronta, e gli facevo il bagno nella tinozza... Lo asciugavo, poi lo vestivo gli si fascia la pancia con una benda di tela per preservare gli organi e dopo li si fasciava tutti. Il bagno è il momento decisivo di questo incarico, momento in cui si manda a chiamare il padre, di solito rifugiatosi dal vicino. Ha avvisato: Mi chiamerete quando farete il bagno al bambino. Il marito veniva a vedere sgambettare il bambino, ci sono sempre abbastanza donne presenti là. In effetti, spesso la madre, la suocera, le zie sono presenti fin dall inizio, come spettatrici, ma è il padre, arrivato per il bagnetto, ad essere inviato a scavare un grosso buco per sotterrare gli annessi fetali. Solo dopo il parto lei si dà da fare accanto alla madre: prepara ed offre il caffè ben caldo, a volte corretto con la grappa; si occupa inoltre di tutte le 19
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