REGIA ACCADEMIA NAVALE ROMA

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1 REGIA ACCADEMIA NAVALE AL MINISTERO DELLA MARINA = Gabinetto di S. E. il Ministro ROMA N. 32 RR di protocollo Risposta al dispaccio B. 447 Allegati N 6 MINISTERO DELLA MARINA Ufficio del Capo Gabinetto Protocollo riservatissimo Data di arrivo N. B 769 Livorno lì 13 Aprile 1921 RISERVATISSIMO Oggetto - Relazione d inchiesta militare sui fatti di Empoli Al ministero della marina Gabinetto di S. E. il Ministro ROMA Il 24 Marzo erano accentrati a Livorno tutti i superstiti militari di marina che avevano assistito ai luttuosi avvenimenti occorsi in Empoli, ad eccezione di due fuochisti, ancora ricoverati nell ospedale di quella città. Con tale data iniziavo pertanto i vari interrogatori e contemporaneamente provvedevo a richiedere all autorità dell esercito anche la presenza dei militari di truppa che erano stati compagni a quelli di marina, preavvisando detta autorità che l indagine, della quale ero incaricato, si riferiva solo al contegno del personale di marina, ma che, per esprimere su tale contegno completo e fondato giudizio, stimavo necessario appurare sempre meglio le circostanze di dettaglio, riferendomi per informazioni a tutti coloro che avevano presenziato ai fatti avvenuti. Furono in totale interrogate dal 24 marzo al 5 aprile n 47 persone, così suddivise: Personale di marina: Ufficiali N 2 Sott Ufficiali N 2 Sotto capi meccanici N 15 Fuochisti N 11 Allievi fuochisti N 10 Personale dell esercito: Carabinieri N 5 Sergente d artiglieria conducente automobilista. N 1 Soldato d artiglieria conducente automobilista N 1 Le numerose deposizioni udite, ed i vari confronti avvenuti mi permettono di ricostruire nella loro interezza ed in modo particolare i fatti svolti, e poiché solo una visione completa di essi può indurre in quello stato d animo indispensabile affinchè il giudizio sorga improntato alla vera realtà, così ritengo dover anzitutto esporre gli avvenimenti così come mi furono raffigurati e delineati dalla viva voce di coloro che vissero le ore tristissime, e poscia completare tale esposizione rispondendo ai quesiti che l E.V. ha voluto fissarmi: * * *

2 La mattina del 1 marzo alle ore 8 circa giungeva a Livorno lo R. D. 20 che sbarcava all Accademia il Capitano Macchinista Ambrogi e 46 fra meccanici e fuochisti, i quali tutti indossavano l abito civile e dovevano, secondo gli ordini del Comando in Capo di Spezia (telegramma 2263 del 28 febbraio) proseguire per Firenze, qualora non fosse stato possibile servirsi della ferrovia, a mezzo di autoveicoli, da richiedersi al comando della locale divisione militare. È già noto all E.V. che il susseguente ordine ministeriale di trattenere invece il personale di cui sopra a disposizione dell ispettorato ferrovie di Livorno, ordine trasmesso con telegramma 10279, pervenne al comando dell Accademia alle ore 14 ½, quando già il personale in parola, con la scorta di 14 carabinieri al comando del tenente BACHILLI, aveva lasciato Livorno da circa tre ore. Il personale, sbarcato al distaccamento dell Accademia, fece colazione e poi ebbe ordine di trasferirsi alla caserma del R. Esercito dove si stavano preparando i tre autoveicoli che dovevano compiere il viaggio verso Firenze. Il tragitto dall Accademia alla caserma doveva, per guadagno di tempo, eseguirsi a mezzo delle vetture tranviarie cittadine; che, con un trasbordo da effettuarsi in piazza Vittorio Emanuele, potevano con ogni sollecitudine portare il personale stesso a destinazione. L autocarro dell Accademia, essendo in avaria, non poteva essere usato per tale trasporto, ed appunto nell intento di sollecitare la partenza del gruppo, il comando della divisione militare aveva richiesto che il personale da trasportare, si recasse in caserma, non potendo come era stato richiesto dal Sig. AMBROGI mandare all Accademia gli automezzi, perchè non erano ancora pronti. Il gruppo, giunto in piazza V. Emanuele, scese dalla vettura tranviaria per eseguire il trasbordo, ma si trovò subito circondato da un centinaio di scioperanti che sostavano in quella località centrale fra il municipio e la prefettura, e che, incuriositi per la foggia alquanto dimessa dall abito indossato dai marinai (giacca su maglia e berretto da viaggio a visiera) e per il loro numero ragguardevole, cominciarono a rivolgere ai marinai stessi varie domande sull essere loro. Qualcheduno deve certamente aver dato le richieste informazioni; perchè, mentre i marinai stavano prendendo posto nella seconda vettura tranviaria, e questa già manovrava per iniziare il nuovo tratto del percorso, partirono dalla folla varie grida: Sono crumiri ; sono marinai che vanno a fare i ferrovieri,! mentre i più eccitati, saliti sulla vettura, imponevano al conducente di abbandonare il manubrio del commutatore, ed abbassavano al tempo stesso anche l asta di presa di corrente. Il Sig. AMBROGI diede allora ordine ai marinai di saltare a terra, e riconosciuto che non era possibile insistere per la prosecuzione del tragitto in tram, tenuta in rispetto col suo contegno la folla alquanto minacciosa, riuscì ad aprirsi il passo ed a dirigere il gruppo verso la caserma, che fu raggiunta alle ore 11 circa. Colà fu necessario aspettare l approntamento dei tre autocarri e la sistemazione della scorta, per oltre un ora; cosicché solo alle ore potè aver luogo la partenza: in quel mentre sopraggiungeva il 1 Tenente di Vascello che, presentatosi al capitano di servizio della caserma e fattosi riconoscere, domandava ed otteneva l autorizzazione di prendere posto su di un autocarro, dovendo recarsi a Firenze in breve licenza per contrarre matrimonio. Pochi chilometri oltre Livorno, nei pressi di Stagno, il primo autocarro fece avaria; e, mentre il convoglio era così fermo, l allievo fuochista PETTORINO Gennaro della R.N. PISA nel maneggiare la pistola Berretta per verificare se davvero si trovava nella posizione di sicurezza e premunirsi contro l effetto delle scosse dell autoveicolo, ne faceva partire inavvertitamente un colpo, che feriva al braccio sinistro il fuochista NAPPA Salvatore della R.N. PISA seduto a lui di fronte. A tale riguardo debbo far notare che, ad eccezione dei 3 graduati e dei 17 sottocapi, gli altri 26 fuochisti ed allievi fuochisti non conoscevano l uso della pistola, e molti (quasi tutti quelli delle RR.NN. R a Elena e Varese) non avevano ancora sparato un colpo di fucile e non sapevano in qual modo servirsi dell arma che era stata data e della quale molto sommariamente ed al solo atto della consegna in caserma a Spezia, era stato loro indicato il caricamento. Il ferito, scortato da 4 carabinieri, fu subito inviato all infermeria presidiaria di Livorno e quivi ricoverato alle ore 13.10; e, quando l autocarro che lo aveva trasportato fu di ritorno con la scorta, venne ripresa la marcia, avendo nel frattempo il Tenente dei Carabinieri reso meglio edotti tutti i marinai del modo col quale la pistola doveva essere tenuta carica in posizione di sicurezza. Dopo poco il primo autoveicolo rinnovava l avaria, e, riconosciuto che il proseguire con esso avrebbe reso il viaggio troppo lungo, dato che il motore non poteva in alcun modo sostenere la velocità per gli altri normale; il Sig. AMBROGI decise di rimandarlo a Livorno a piccolo moto e di suddividere la gente fra gli altri due autocarri. Tale divisione fu fatta quantitativamente senza badare a scindere in due gruppi eguali i graduati, che non erano d altra parte distinti da alcun segno esteriore e nessuno dei quali era dal Sig AMBROGI personalmente conosciuto. Nel complesso i 65 militari presenti (3 Ufficiali 45 persone di marina 17 persone dell esercito) risultavano così suddivise:

3 Nel 1 autoveicolo - Capitano Macchinista AMBROGI ) Tenente RR.CC. BACHILLI ) 2 Sott ufficiale meccanico 1 Sottocapi meccanici 14 Fuochisti 5 Sott ufficiale conducente 1 Soldato aiuto (conducente) 1 Carabinieri 8 Totale N 32 Nel 2 autocarro - 1 Tenente di Vascello VICEDOMINI Sott ufficiali meccanici 2 Sottocapi meccanici 2 Fuochisti 20 Soldato conducente 1 Carabinieri 6 Totale N 33 Il viaggio proseguì senza incidenti; i varii paesi erano piuttosto affollati perché lo sciopero rendeva più numerosi gli sfaccendati, e furono spesso attraversati agglomerati di persone adunate in comizio e facenti sfoggio di grandi bandiere rosse. A Pontedera ed a Fucecchio furono rivolte contro il gruppo grida non benevole, ed urla di Abbasso i fascisti alle quali i marinai rispondevano Non siamo fascisti. Non fu però compiuto loro alcun atto ostile, solo a Fucecchio (ore 15 ½) furono date ai conducenti indicazioni false circa il cammino da prendere, il che produsse un certo ritardo, obbligando gli autoveicoli a ritornare per tre volte sulla via già percorsa. Gli incontri fatti lungo la strada furono due, e precisamente, una motocicletta che alle 14 h nei pressi di Pisa si fermò a fianco degli autocarri in avaria fornendo anche ai militari conducenti un pezzetto di tubo per costituire un raccordo, ed un automobile colorato (pare in rosso ciliegia) che, nelle vicinanze di Fucecchio, dapprima incrociò il gruppo con rotte opposte e poi invertito il cammino, precedette gli autocarri, togliendosi ben presto di vista per la sua maggiore velocità. Nella motocicletta, che aveva invece raggiunto il convoglio provenendo da Livorno, erano tre persone le quali scambiarono qualche parola o coi marinai o coi soldati, e poi ripresero il loro cammino nello stesso senso, precedendo il convoglio, ma passando per strada di campagna. Non è stato possibile rintracciare quali militari abbiano dato alle persone della motocicletta le informazioni relative alla destinazione del convoglio, certo che tali informazioni furono date e fra gli individui che si trovavano nella motocicletta fu riconosciuto un tale MALTAGLIATI socialista di Empoli e noto agitatore. Verso le 17½ gli autoveicoli, che si seguivano a vista l uno dell altro alla distanza di circa 70 metri, e nei quali i carabinieri, armati di fucile e pistola erano seduti sul battente poppiero, imboccavano la via principale di Empoli, e poiché da allora le vicende furono per i due autocarri assolutamente distinte, così dirò di esse in modo separato, anche per maggior chiarezza di esposizione e riferendomi, per le particolarità topografiche, allo schizzo fatto a memoria dal Sig. AMBROGI (allegato n. 1) 1 AUTOCARRO Contrariamente alle borgate precedenti, Empoli si presentava deserta; le finestre e le porte delle case prospicienti alla via principale (Via del Giglio o via Vincenzo Chiarugi) erano tutte chiuse. L autocarro aveva percorso all incirca 100 metri di strada quando fu fatto bersaglio di nutriti colpi d arma da fuoco, e lancio di tegole e suppellettili. Il Sig. Ambrogi ed il Sig. BACHILLI ordinarono al conducente di mettere a tutta velocità, mentre carabinieri e marinai rispondevano al tiro con qualche colpo inefficace diretto in aria, poiché gli aggressori erano invisibili. Sotto fuoco continuo fu così traversata la Piazza Garibaldi; una bomba e dei petardi furono gettati dalla casa del Popolo, dalla quale partì anche un colpo che raggiunse il soldato TURLI Carlo Alberto aiutante conducente seduto sul predellino. Mentre il disgraziato cadeva a terra morto, altre due persone

4 s abbattevano ferite nell interno dell autocarro che, a tutta forza proseguendo la sua tragica corsa, usciva dal paese e quindi dalla zona di fuoco e raggiungeva le prime case nella prossima borgata di Naiana. Quivi si fermò; era necessario prestar soccorso ai feriti e sincerarsi delle loro condizioni. Essi erano i sottocapi meccanici SERGIANNI Antonio e GALLIANO Amedeo; il primo, colpito al fianco, ed il secondo alle gambe. Ambedue ebbero pietoso ricovero presso una famiglia, ed il SERGIANNI, appena disteso sul letto, morì proferendo solo inarticolati lamenti. Il crepitio dei colpi di fuoco non si udiva più e, poiché nelle vicinanze non apparivano aggressori, il pericolo immediato poteva dirsi cessato: urgeva quindi tenere la gente raccolta e ricercare notizie dell altro autocarro, sia per ricomporre il gruppo prima di proseguire, sia per correre in soccorso dei compagni rimasti indietro e che dovevano certo bisognare di aiuto sia infine per provocare opera d intervento dell autorità militare locale. All esecuzione di questi compiti provvide il sig. AMBROGI. Ordinò ai marinai di rimanere riuniti per far fronte a qualsiasi ulteriore offesa approfittando di un prossimo avallamento di terreno che ben si prestava a scopo difensivo; ed, unitamente al Tenente BACHILLI ed a 4 carabinieri di scorta, ritornò verso Empoli per rendersi conto della situazione e prendere contatto con la caserma dei carabinieri. In tale ritorno non fu percorsa la strada di prima, bensì una via laterale ad essa simile, senza che fosse esercitata molestia alcuna. Il Sig. AMBROGI, nel passare davanti alla sede di un opera di pubblica assistenza, subito dispose per l invio di una barella alla borgata Naiana per raccogliere il ferito, e poi, proseguendo, giunse di fronte al telegrafo, ove alcuni carabinieri distaccati a proteggere quell ufficio (situato all estremità della via che conduce alla stazione ferroviaria) seppe dell ubicazione della caserma. Ripreso il cammino ed essendo stato informato da alcuni passanti che nel vicino ospedale civile era stato trasportato un ferito, il sig. AMBROGI vi si recò e vi trovò invece un morto, nel quale riconobbe la prima vittima, e cioè il soldato caduto mentre l autocarro era in fuga. Dopo pochi passi rinvenne nella caserma dei carabinieri, ove già si trovava il commissario di pubblica sicurezza Sig. ROSSELLI, a cui riferì i fatti richiedendo di riunire le forze armate disponibili e di muovere alla ricerca dei militari del secondo autocarro, dei quali intanto faceva domandare al municipio notizie telefoniche. Mentre si stava così discutendo sul da farsi, ed il Sig. ROSSELLI (cui spettava la direzione) affermava non essere opportuno distogliere per altro ufficio i carabinieri già distaccati a protezione del telegrafo e della ferrovia, risuonarono al di fuori nuovi colpi di fucile, ed il sig. VICEDOMINI, seguito da due marinai, si presentò in caserma, fornendo subito informazioni sulle vicende toccate a lui ed altri uomini del secondo autocarro. Lo stato di violenza all esterno perdurava e si svolgeva subito un vero attacco di rivoltosi alla caserma, attacco che rese inutile un primo generoso tentativo di sortita fatto dai carabinieri presenti. Intanto il sig. AMBROGI, a mezzo del capitano dei mitraglieri BETTINI Elio Ufficiale in aspettativa, mandava ai suoi uomini, rimasti a Naiana, l ordine di venirlo a raggiungere. Nel frattempo i militari del primo autocarro, dopo il trasporto nell interno di una casa dei feriti, si erano riuniti in piccoli gruppi, ai quali venne subito a mancare un unica direzione. Quando, verso le ore 18, arrivò la barella della Croce verde i conducenti di essa ritennero più opportuno trasportare il ferito sotto capo GALLIANO, salvo a ritornare una seconda volta a rimuovere la salma del SERGIANNI; ma poiché la barella tardava a ritornare, la famiglia che custodiva la salma espresse il desiderio di non averla più in casa, a scanso di pericoli e per paura di rappresaglie, ed allora i compagni del morto lo trasportarono, mentre già era calata la sera, nell autocarro, che nel frattempo era stato messo a ridosso sotto una specie di atrio nel cortile interno. In questi successivi diversi pietosi incarichi i marinai si sbandarono maggiormente; alcuni rimasero nella strada, altri per le scale, altri nelle abitazioni; per cui quando sopraggiunse il sig. BETTINI gli ordini di cui era latore, sia per i carabinieri, che per i marinai non poterono essere comunicati a tutti gli interessati. Secondo tali ordini, i carabinieri dovevano recarsi in gruppo in caserma ed i marinai, che per il loro abito civile avrebbero potuto di nuovo essere scambiati per fascisti (solo i 4 del Ferruccio avevano nel frattempo indossata la divisa che avevano portato seco) per non incorrere in altri pericoli, dovevano invece spostarsi alla spicciolata per la campagna e concentrarsi alla vicina stazione ferroviaria, che era presidiata da un nucleo di 7 carabinieri locali ai quali avrebbero potuto appoggiarsi per ogni ulteriore evenienza. Così il gruppo che, dopo la caduta dei 3 colpiti ed il distacco dei 2 Ufficiali e dei 4 carabinieri che li scortavano, era rimasto su 23 militari, si suddivise nei cinque seguenti reparti della forza rispettiva di persone: ed 1. 1) I sottocapi Capitano, Nardi, Elia, Fusco, Bisson, Crispo, Perfetto, Lenti, Mattera, il fuochista Lembo ed 1 carabiniere (l ordinanza del Sig. BACHILLI) seguendo le informazioni del Sig. BETTINI raggiunsero il binario, ferroviario verso le ore 18½, e, sentendo colpi di arma da fuoco verso la città, decisero di passare la notte in uno scompartimento di 3 a classe e di attendervi l alba. Alle prime luci dell indomani uscirono all aperto; alcuni (Capitano, Nardi, Elia, Fusco, Lembo ed il carabiniere) passando per la

5 stazione, che era a 500 metri, andarono alla caserma dei carabinieri, ove si presentarono verso le 7 h, altri (Bisson, Crispo, Perfetto, Lenti, Mattera) lasciato lo scompartimento, ritornarono a Naiana, vi ritrovarono il camion senza la salma del SERGIANNI, che era già stata durante la notte rimossa dalla pubblica assistenza, e, per la via della città, raggiunsero verso le 8 h la caserma dei carabinieri. 2) I sottocapi Conti, Dirozzi, i fuochisti Izza, Senesi, Di Salvatore ed il Sergente conducente dell autocarro raggiunsero il binario ferroviario verso le ore 19 e si recarono alla stazione rifugiandosi anch essi in un vagone. Il Dirozzi ed il Senesi (quest ultimo essendo uno di quelli che avevano indossato la divisa) raggiunsero subito la caserma seguendo le indicazioni di alcuni passanti (uno anzi li abbracciò per la strada) e, dietro le loro indicazioni, una pattuglia di carabinieri andò alla stazione, rintracciò gli altri quattro militari e li condusse in caserma poco prima di ½ notte. 3) Il secondo capo TEDESCHI ed il sotto capo BIGI, raggiunto il binario verso le 20 h ed udendo dei colpi di fucile in città, stimarono più prudente non avvicinare la stazione, ma prescegliere una direzione opposta lungo il binario stesso verso Firenze, ove giunsero incolumi all alba del 2 marzo. Presentatisi al comando militare della stazione furono nel pomeriggio avviati a Spezia con treno ordinario essendosi nel frattempo lo sciopero composto. 4) Tre carabinieri raggiunsero la caserma dopo essersi riuniti con i loro quattro colleghi che, avendo compiuta la scorta ai due Ufficiali, erano poi ritornati verso Naiana per prendere i compagni guidati dal carabiniere anziano SABA Giovanni. 5) Il fuochista RISINO, rimase a custodire la salma SERGIANNI fino a che verso le ore 2 h non sopraggiunsero a prenderla i militi della pubblica assistenza. Egli si ritirò allora all interno della casa ed assistè ai tentativi fatti da un gruppo di rivoltosi, che prima cercarono di incendiare l autocarro senza riuscirvi perché la benzina era stata nascosta dal conducente, e poi tentarono trasportare altrove il veicolo con una coppia di buoi, desistendo però ben presto, non si sa per qual motivo anche da tale progetto. Alle 7 h una pattuglia di carabinieri, che passava per la strada, accolse il RISINO e lo condusse in caserma, essendo durante il percorso fatto segno dalle case adiacenti ad alcuni colpi di rivoltella, che fortunatamente non raggiunsero alcuno. Così, nel complesso, delle 32 persone che si trovavano nel primo autocarro, 29 rimasero incolumi, tre furono colpite mentre l autocarro percorreva l ultima parte della strada; di tali 3 persone 2 morirono. 2 AUTOCARRO Il fuoco partito dalle prime case di Empoli fu diretto contemporaneamente su due autocarri, il secondo dei quali si trovò subito in una posizione assai critica, perché ebbe immediatamente due carabinieri feriti e perché subito dopo cominciarono ad arrivare nelle sue vicinanze anche i colpi dei carabinieri del primo autocarro, che tiravano sulle finestre basse delle case in pronta risposta all offesa micidiale così improvvisamente scatenatasi. Non vi era per il secondo autocarro speranza di imitare con successo la fuga del primo, stante le non buone condizioni del suo motore (inferiorità constatata durante tutto il precedente tragitto in cui il contatto non aveva mai potuto mantenersi) ed anche perché in caso di disgrazia all unico conducente, l autocarro sarebbe rimasto immobilizzato senza guida alcuna. La ristrettezza della strada non permetteva d altra parte di eseguire un immediata retrocessione di marcia, manovra che, implicando la permanenza del veicolo in una certa zona fissa, lo avrebbe ancora maggiormente esposto al bersaglio degli invisibili tiratori. Desideroso anche di portare pronto soccorso ai due feriti, tali PANNONI Mario e TURNO Francesco, non appena l autocarro raggiunse il primo vicolo, il sig. VICEDOMINI diede l ordine di fermare ed ordinò al personale tutto di riparare in una casa vicina trasportando i due carabinieri feriti su per le scale ed introducendoli nel primo appartamento privato che si trovò, e la cui porta si aprì solo dopo una certa insistenza. Per qualche minuto ancora si udì al di fuori il crepitio lontano delle fucilate dirette contro il primo autocarro; ma, dopo poco, il fuoco cessò ed alcuni rari passanti cominciarono a farsi vedere lungo la strada. Le richieste del sig. VICEDOMINI perché qualcheduno si presentasse a dar avviso alla pubblica assistenza di venire a ritirare i due feriti furono vane; ed anche un auto-ambulanza di Prato diretta a Pontedera non potè fermarsi, dicendo dover compiere un servizio urgente di privato soccorso. Intanto il gruppo dei militari, entrato nella casa, mentre si prodigavano le prime cure ai feriti, cominciavano a sbandarsi: in genere tutti erano dalpiù meno storditi per quanto era accaduto, non sapendo trovar la causa di una così vigliacca aggressione, ed i fuochisti, riunitisi in gran parte presso il Capo Meccanico PASINO, lo richiedevano di voler dar loro qualche più dettagliata istruzione sul maneggio dell arma della quale pochissimi avevano fatto uso, perché i più non sapevano come servirsene. Dopo, una certa sosta, e quando sembrava che la calma esterna fosse ristabilita, il sig. VICEDOMINI, ritenendo poco sicura la posizione dei suoi uomini isolati ad una estremità del paese e pensando che atti ostili avrebbero potuto più facilmente essere contro di loro rinnovati col favore della notte, decise l uscita, nell intento di raggiungere una caserma od un qualsiasi punto meglio adatto a difesa, e di ricercare altresì

6 notizie del personale del primo automezzo. Ordinò quindi a PASINO di riunire la gente, ma questa riunione non potè effettuarsi in modo completo, perchè alcuni si erano nell attesa sparpagliati per la casa, trovando ricovero presso alcuni inquilini, né il PASINO credè di farsi aprire le varie porte per rintracciarli. Per tale motivo dalla casa stessa non uscirono in un primo tempo che 19 delle 31 persone valide che vi erano entrate; e precisamente: 1 Ufficiale 2 Sott ufficiali 2 Sottocapi meccanici 11 Fuochisti 2 Carabinieri ed 1 soldato conducente, il quale ultimo guidava l autocarro vuoto che a lento moto apriva la marcia; tutti gli altri seguivano al passo, in fila indiana. Il conducente BARTALESI Mario si rivolse ad alcune persone che erano ferme nella piazza domandando loro se poteva passare con sicurezza, ed avutane risposta affermativa, dirigendosi verso il gruppo di marinai gridò loro Venite pure avanti. Non era certo insensato prevedere che si potesse fronteggiare la situazione sol che si riuscisse a dissipare l equivoco che aveva già avuto così fatali conseguenze ed a far capire che gli autocarri non avevano portato fascisti con intenzioni aggressive, ma bensì marinai che dovevano recarsi a compiere un servizio comandato. Perciò fu disposto che i marinai non estraessero le pistole, che i carabinieri tenessero l arma imbracciata, che il gruppo non procedesse compatto ed il sig. VICEDOMINI alla testa di tutti, disarmato, e col solo ombrello in mano avanzò gridando ad alta voce Non sparate non siamo fascisti. Potè così essere percorsa la parte della strada che conduce alla piazza; ma verso la fine di tale strada, qualche colpo cominciò a partire dalle case e poco dopo un fuoco concentrato, proveniente da varii punti della piazza, si addensò allo sbocco della via a scariche compatte, quasi come se fossero eseguite a comando. Il gruppo cercò allora riparo in un vicolo laterale di sinistra che sboccava sulla piazza con una specie di arco. Al fuoco subentrò ben presto una sosta, durante la quale si avanzò verso i marinai un certo numero di borghesi, aventi alla testa il sindaco, che, mentre avvicinava il sig. VICEDOMINI, aderendo alla replicata insistente richiesta di questi confermò colla mano alzata e diretta successivamente in vari punti della piazza, l ordine di cessare il fuoco. Il sindaco richiese allora ad alta voce se avevano a che fare con fascisti ed il sig. VICEDOMINI dopo aver risposto che ciò non era, si fece a spiegargli la vera situazione, mentre marinai e carabinieri si riunivano a lui intorno ed andava anche ingrossando dall altra parte il gruppo dei popolani: l autocarro rimasto isolato e seguito dal solo 2 Capo ROTTIN procedeva lentamente verso l estremità della piazza, avvicinando la camera del lavoro, ma doveva ben presto fermarsi perché la strada ingombra gli impedì il transito. Mentre il sig. VICEDOMINI declinava il proprio essere e profferiva a dimostrazione della sua identità i suoi documenti personali al sindaco, questi gli richiese, a titolo conferma della dichiarata mancanza di idee aggressive, di far disarmare i carabinieri, gli unici che apparivano armati; ma a ciò il sig. VICEDOMINI non volle aderire limitandosi ad ordinare ai militari di tenere i fucili verticali e ad esortare i marinai a star calmi, non fare resistenza, ed a mostrare anch essi i loro documenti (avevano il porto d arme) come stava facendo lui stesso. Fu allora che si fece strada fra i dimostranti un gruppo di maggiormente scalmanati guidato da un certo ROSSI, detto il fiorentino, il quale, rivoltosi bruscamente al sindaco, gli disse Lei qui non c entra per nulla, il comando adesso spetta a noi, e siamo noi che dobbiamo vedere chi sono costoro. A queste parole, dalla folla, che ammontava a circa 300 persone, partì un grido replicato Perquisizione! ed un gruppo numeroso serrò i marinai per mettere in esecuzione la minaccia. Il sig. VICEDOMINI ebbe appena il tempo di gridare Perquisizione, no! che l assalto si sferrò violento, le rivoltelle si puntarono sui petti ed avvenne una colluttazione generale della quale l esito non poteva essere incerto. Fu quello senza dubbio il vero momento critico; gli animi nell attesa anziché calmarsi, erano andati eccitandosi, la folla, non più contenta, ma anzi inasprita dall indugio ed ostinata a vedere davanti a sé dei presunti nemici, sentì che poteva dare finalmente sfogo ai suoi istinti brutali; il sindaco era sparito. I marinai ed i carabinieri furono afferrati da cento mani, furono trovate le pistole, il che accrebbe l ira popolare, e mentre sparivano anche i portafogli, gli orologi, il danaro, ed i documenti, numerosi colpi erano sparati a bruciapelo e mani armate con pugnali e coltelli e falci si tendevano da bieco furore verso i poveretti inermi. Mentre si iniziava tale mischia, il secondo capo ROTTIN che, sperando forse di sfuggire isolato alla folla, non si era ridossato nel vicolo ma aveva proseguito nella piazza precedendo l autocarro quando questo aveva dovuto fermarsi, veniva colpito da una scarica di fucileria proveniente dalla camera del lavoro, e cadeva a terra fulminato. Il soldato conducente l autocarro abbandonato, il veicolo, ridotto ormai a bersaglio

7 immobile fuggì per una via laterale ed ebbe ricovero in una casa ospitale, ove rimase tutta la notte. La mattina seguente trovò l autocarro nello stesso posto in cui aveva dovuto lasciarlo, ma depredato, inutilizzato ed a metà bruciato. Nel vicolo si svolsero episodi di lotta personale che condussero allo sbandamento, alla fuga ed all inseguimento. Il carabiniere MASU Salvatore ferito al petto, fu steso a terra, e subito finito con un altro colpo a bruciapelo. Il sig. VICEDOMINI potè a stento parare con rapido gesto della mano sinistra l insidia mortale (già preparata contro di lui, come confermano vari testimoni che udirono le parole in antecedenza scambiate da quelli che si proponevano aggredirlo) e sfuggì poi anche alla minaccia di un arma da taglio che gli lacerò il solo pastrano. Unitamente al carabiniere superstite e a due marinai cercò allora scampo nella fuga; ma detto carabiniere, tale CINUS Francesco, cadeva quasi subito, ed in attimo raggiunto, era barbaramente trucidato, terza vittima innocente del gruppo, che era così subito ridotto a soli 15 marinai. Questi perseguiti scissi, malmenati andarono con alterna vicenda suddividendosi e separandosi, e se raccolsero alfine in tre reparti disuguali, rispettivamente di 3 10 e 2 persone, reparti che ebbero sorte diversa. 1 ) Il sig. VICEDOMINI ed i due fuochisti Testa e De Rosa (primo reparto) sfuggendo agli inseguitori, ed ai loro colpi accaniti tirati in parte con le stesse pistole dei marinai, riuscirono a percorrere il vicolo tortuoso e rinvenuta alfine una persona di aspetto umano, ne ricevevano le opportune indicazioni per recarsi alla vicina caserma dei carabinieri, ove si trovavano con il sig. AMBROGI ed il tenente BACHILLI che, erano da poco colà convenuti. 2 ) Il secondo reparto, più numeroso, fu quello costituito dalle nove persone che si raccolsero intorno al capo meccanico PASINO, e cioè i sotto capi meccanici Lattanza e Buffa, ed i fuochisti Giordano, Porpora, Pettorino, Vianello, Pappalardo, Davide e Petralia. Contro tutti la folla smaniava furibonda. Alle percosse ed alle minacce si univano gli insulti; si gridava siete carne venduta a 20 lire al giorno fu anche lanciata la proposta che lasciava purtroppo prevedere le peggiori atrocità, portiamoli nelle officine. Il gruppo procedeva così a stento fra le urla e le imprecazioni, malmenato, vilipeso ed oltraggiato; quando, in vicinanza della camera del lavoro, sbucò un giovane, vestito di chiaro, certo Busone (Jaurès Busoni ndr) a cui il fiorentino richiese Chi sei tu? Comunista! Quegli rispose e dopo un concitato battibecco ottenne la consegna di coloro, che ben potevano dirsi prigionieri inermi. Si pose alla loro testa ed avanzò gridando Nessuno spari, lasciate fare a me, li porto in comune ed effettivamente sotto un lancio quasi continuo di masserizie e suppellettili, ma senza offesa micidiale, gli 11 malcapitati proseguirono a calci e pugni ed a bastonate, ed ebbero infine requie solo quando la porta del municipio si chiuse violentemente dietro di loro. Colà attendevano il sindaco ed alcuni consiglieri, che sottoposero i marinai ad interrogatorio, richiedendo loro le generalità, a quale classe appartenessero, e su quale nave fossero imbarcati. Una violenta chiamata al telefono fece interrompere le indagini; con essa il commissario di pubblica sicurezza della caserma dei carabinieri richiedeva al sindaco notizie dei marinai domandando di parlare personalmente con uno di questi. Con il PASINO, subito postosi all apparecchio, erano scambiate le frasi seguenti: - Come siete trattati? - Finora, senza violenza. - Vuole che veniamo a prenderli? - Faccia come meglio crede. Poco dopo il sindaco, che si era allontanato per recarsi lui stesso in caserma, ritornò dicendo che doveva fuggire perchè minacciato di arresto, ma, prima di lasciare il municipio, fece condurre i marinai al secondo piano ove furono ricevuti da un impiegato, tale MAESTRELLI, che si diede a tranquillizzarli. Per suo ordine fu portato dapprima un braciere e poscia delle coperte e dei viveri, e così i marinai poterono trascorrere in calma tutta la notte. Al mattino una pattuglia di carabinieri venne a prenderli e li condusse in caserma. 3 ) Il terzo reparto fu costituito dai due fuochisti Porcelli e Iacuoni che sfuggirono alla furia assalitrice scavalcando un muro; il primo era ferito ad una mano. Essi si trovarono così in un giardino isolato che apriva loro la via della campagna ma nel quale, per riposarsi, sostarono alquanto. A notte fatta avanzarono alla ventura, bussarono per ricovero alla porta di un cascinale; ma bruscamente respinti, si allontanarono per sdraiarsi sfiniti in un fosso. Al mattino ripresero la via dei campi, incerti sulla direzione da seguire e capitarono così verso le ore 10 a Santa Croce, dove furono ben presto attorniati da una folla, sempre crescente, e mal disposta. - Da dove venite? - Da Empoli - Dove andate? - Non lo sappiamo.

8 Mormorii dapprima incerti; poi, grida più forti, quindi urla e clamori, ed insulti, e percosse. I due, sempre malmenati e spinti col bastone, sono ben presto divisi. Il Porcelli è buttato in un fosso e sviene mentre una grandine di pietre comincia a piovere su di lui. Il Iacuoni, dopo varie cadute ed immersioni in una buca ripiena d acqua, è trascinato in un vicino vecchio camposanto e gettato in una fossa profonda, che gli arriva al petto, e che è subito riempita di terra: sviene, mentre gli è posta sulle spalle una corona metallica strappata ad una tomba vicina e comincia il lancio di pietre contro il suo viso pallido reclinato, immobile. Il pronto arrivo di una pattuglia di carabinieri, colà richiamata dalle urla feroci delle belve mai sazie, pose in fuga gli assalitori, che erano disarmati. Il Iacuoni fu sollevato, e portato in caserma, ove rimase in cura per 9 giorni, dopo i quali fu trasportato ad Empoli. Il Porcelli, di cui i carabinieri non si erano accorti, ritornò più tardi in sé, si liberò con l aiuto di due ragazzi dalle pietre che lo coprivano, e desideroso di allontanarsi da quel luogo d infamia, si fece condurre sino al vicino paese di Castelfranco di Sotto dove fu accolto dalla caserma dei carabinieri, curato delle sue ferite, e dopo una settimana circa trasportato a Empoli. Queste, le vicende del gruppo dei 19 militari che seguirono il sig. VICEDOMINI. Ma nella stessa casa che non presentava altre uscite oltre quella che dava nel vicolo, erano ancora rimaste dodici persone, fra le quali vi era un solo graduato, il sotto capo meccanico Santaniello. Il primo ad accorgersi della partenza dei compagni fu l allievo fuochista Salustri, che, subito, cercò di uscire per raggiungere il gruppo che vedeva avviato verso la piazza. Ma intanto nel vicolo si era riunita una vera folla armata e violenta dalla quale partivano grida feroci che esprimevano minaccia di incendio se i fascisti non si fossero decisi ad uscire. I dieci fuochisti ed i due carabinieri, chiamandosi l un l altro, si riunirono, incerti sul da fare. Alcune donne e bambini, radunati per le scale, li scongiurarono di allontanarsi per evitare il pericolo del fuoco che sarebbe certamente stato appiccato, ed allora uno di essi gridò rivolto verso il basso: - Non siamo fascisti, ma marinai, e possiamo provarlo con i documenti - Se davvero siete marinai, uscite senz altro con le braccia alzate, e sarete liberi di ritornare a Livorno. Ma la promessa era traditrice perchè, man mano che i marinai giunsero sulla soglia, furono afferrati perquisiti e percossi. Come già era successo nell altro vicolo la presenza delle armi, subito rinvenute, irritò ancor più la folla. Partirono dapprima alcuni colpi isolati ma, subito, le scariche contro il gruppo si fecero più fitte; poi, a misura che il gruppo si sciolse cercando ognuno scampo con la fuga, incominciò la caccia all uomo. Il Salustri, fuggendo, entrò in un andito, specie di magazzino, ove si nascose e di dove assistè allo scempio dei compagni. Vide cadere a terra i fuochisti suoi colleghi d imbarco Ciollino e Vallelunga; derubati e vilipesi dalla folla furono essi lasciati sul lastrico (a notte fatta vennero poi riportati all Ospedale, ove sono tutt ora ricoverati). Poco più tardi il Salustri uscì dal suo nascondiglio e fuggì verso la piazza; ma d un tratto udì alle sue spalle un fischio acuto e subito fu attorniato circondato, arrestato. Si fermò e fece fronte agli assalitori con gesto disperato, urlando: - Sono un marinaio, non sono armato, eccomi qui; ammazzatemi subito, se volete E quel grido valse a risparmiarlo, fu portato in municipio, ove si unì verso le 22 h al gruppo Pasino, essendo così l unico dei ritardatari rimasto miracolosamente incolume. I fuochisti Carollo e Incarbone con il sotto capo Santaniello poterono raggiungere la strada principale ed insieme diressero per uscire di città. Inseguiti da pochi feroci, dopo alcuni passi, il Carollo cadde svenuto colpito alla testa da arma da taglio e con la mascella spezzata da un pugno che gli fece cadere in gola 4 denti ed a lui vicini caddero pure colpiti da arma da fuoco i due compagni suoi. Assai più tardi, nel silenzio della notte, il Carollo rinvenne, a fatica si trascinò verso i colleghi feriti chiamandoli con insistenza; ma solo il Santaniello gli rispose con un gemito fievole; Incarbone era già morto. Cercò allora di confortare il superstite, lo assicurò che avrebbe pensato a farlo ritirare e, sollevandosi a stento, e stordito, riuscì dopo mezzanotte a raggiungere la caserma dei carabinieri di dove fu inviato all ospedale. Una barella, subito mandata sul posto da lui indicato, ritornava purtroppo con due cadaveri perchè anche Santaniello era morto nella penosa e tragica attesa. I fuochisti Falanga e Lo Pinto, raggiunta anch essi la via principale, fuggirono verso la piazza, inseguiti da rivoltosi urlanti, e da colpi di rivoltella. Il Lo Pinto cadde quasi subito a terra morto, il Falanga, doppiamente ferito al capo, aveva alle calcagna un vecchio contadino armato di falce che a grandi grida esprimeva il suo rammarico per non poterlo raggiungere e finire. Più in là fu fermato da altri, percosso e bastonato in tutti i modi; ma riuscì con insperata audacia a liberarsi una seconda volta, ritrovando, a notte, l ospedale. I fuochisti Manocci e Gerace ambedue della R a Elena uscirono insieme, e, vista la mala parata, fecero per risalire la scala; ma, violentemente acciuffati, furono spinti nel vicolo, ed afferrati ognuno da più persone. Svincolatisi a fatica si slanciarono verso la campagna mentre erano loro diretti molti colpi di rivoltella. Il

9 Mannocci, per quanto ferito alla coscia, continuò a correre, finchè cadde svenuto in un campo: a notte alta rinvenne ed a stento si trascinò verso la città, raccolto da una pattuglia di carabinieri fu portato prima in caserma e poi all ospedale. Il Gerace, che confessa candidamente di non essere uscito col primo gruppo perchè aveva troppa paura, fu colpito sette volte alla testa, si svincolò e fu ripreso, nuovamente perquisito trovato in possesso di un caricatore, fu gettato a terra, e colpito con calci nel ventre; riuscì ancora a liberarsi, ed a dirigere per la campagna ma, ripreso fu trascinato verso un canale, ove gli aggressori volevano affogarlo. Con un ultimo sforzo riuscì a fuggire un altra volta ed a far perdere le sue tracce; più tardi diresse in città, ritrovò la caserma dei carabinieri e con la barella fu portato all ospedale. I due carabinieri Pinna e Pintus furono fatti segno a speciali violenze e colpiti coi loro stessi fucili e sferzati con le loro stesse bandoliere. Il Pintus, ferito alla testa, fu più tardi raccolto da una pattuglia e portato allo ospedale; il Pinna invece, inseguito e raggiunto sulle rive dell Arno da feroci assassini, fu gettato nel fiume, finito a colpi di rivoltella e travolto, misero corpo martoriato, dalla corrente, che doveva restituirne le forme gonfie e decomposte, solo dopo parecchi giorni. E qui ha fine la triste odissea. Del primo gruppo di 19 persone, vi furono 3 morti, 2 feriti, 14 incolumi (fra questi però molti contusi); del secondo gruppo di 12 persone, vi furono 4 morti, 7 feriti, 1 incolume; in totale, tenendo conto dei due carabinieri feriti all inizio, il secondo autocarro ha dato: 7 morti, 11 feriti, 15 scampati. In complesso, nel vigliacco agguato teso a 65 persone, vi furono 9 morti e 12 feriti, di cui alcuni gravi. Alle 18 h circa, tutti gli Ufficiali con un esiguo numero di marinai e di carabinieri erano dunque riuniti nella caserma, che veniva accerchiata dai rivoltosi e fatta bersaglio di nutrito fuoco di fucileria. Il generoso ma infruttuoso tentativo di uscire fatto dal maresciallo valse a confermare come decisamente opportuno fosse l ordine del Commissario ROSSELLI di non muovere per il momento in soccorso dei feriti e dei dispersi, perchè si sarebbero certo avute nuove vittime. Il sindaco dal palazzo comunale aveva per telefono risposto che un nucleo di marinai era colà al sicuro e che le barelle della pubblica assistenza erano in giro per la città, per opera di alcuni pietosi. Più tardi lo stesso sindaco si presentò in caserma, dicendo che stava compiendo opera di pacificazione; ma la sua visita fece ancora più indignare i marinai e carabinieri superstiti, dalla furia dei quali il sindaco fu a stento salvato per l energica intromissione degli ufficiali. Condotto fuori della caserma, si dette alla fuga e non fu più rintracciato. A sera inoltrata un pattugliane compatto, poteva uscire dalla caserma, e, guidato da tutti gli ufficiali, percorrere le vie della città che apparivano deserte. Erano anche iniziate perquisizioni ed arresti, che continuarono per due giorni; le valigie degli ufficiali, sottratte dai due autocarri, furono poi rinvenute alla camera del lavoro, ma danneggiate e saccheggiate. Durante la notte stessa numerose pattuglie, irradiate per ogni rione, raccoglievano feriti e dispersi, e l ospedale adunava fra le sue mura giovani corpi orrendamente mutilati e seviziati e miseri feriti dolenti. tutti. Il giorno 2 di marzo Empoli era occupata militarmente ed incominciava l opera della Giustizia. * * * La narrazione condotta su affermate e vagliate testimonianze ha posto in chiara luce il contegno di Il capitano macchinista sig. AMBROGI ha preso tutte le necessarie disposizioni con decisione e fermezza. Egli ha bene giudicato nel volere l autocarro mantenuto ad alta velocità, anche dopo la caduta del soldato aiuto conducente, per quanto dovesse dolergli di non poter raccogliere lo sventurato, ed ha ben agito nel farlo poi fermare a Naiana e nel ritornare lui stesso in città per la ricerca del reparto che lo seguiva. Ha dato costante prova di coraggio e di avvedutezza e nelle critiche circostanze in cui si è trovato ha bene assolto il suo compito di capo del gruppo, compito non facile, perchè dei suoi dipendenti, per forza di cose raccogliticci, egli non aveva la benchè minima personale conoscenza: li ha sempre rincuorati con la voce e con l esempio, ed ha prestato poi loro, anche nelle giornate seguenti, ogni possibile ed amorevole assistenza. Il sig. VICEDOMINI si è trovato in circostanze ancora più turbate e tragiche e si è comportato come volevano le critiche esigenze che ha dovuto fronteggiare. Nel giudicare il suo operato credo anzitutto dover porre in rilievo che egli non eseguiva affatto un servizio di pubblica sicurezza; la sua presenza sul luogo essendo occasionale e fortuita, e gli uomini che lo circondavano non rappresentando un reparto militare nel vero senso della parola, ma un gruppo avente

10 carattere decisamente tecnico e professionale, tanto è vero che per i suoi componenti era stato prescelto l abito civile. La sua azione direttiva ed esecutiva non può quindi considerarsi circoscritta e definita da speciali consegne, né vagliarsi alla stregua di concetti ben precisati e tassativi, quali sono quelli che reggono un compito qualsiasi affidato ad un unità organica ben costituita, perchè le varie decisioni da lui prese non potevano essergli suggerite altro che dalla esatta valutazione delle circostanze immediate, circostanze che si presentarono subito difficili, penose, allarmanti. Ho pertanto rivolto al sig. VICEDOMINI diversi quesiti, invitandolo a pronunziarsi su di essi, in modo da far risultare ben chiare le ragioni, anche di pensiero e di convincimento, che lo avevano indotto nel suo operato. Ho voluto che le risposte verbali fossero, poi consacrate in uno scritto esplicativo, e l insieme di tali risposte, alle quali integralmente mi riferisco, trovasi appunto contenuto nell allegato N 2, l attento e ponderato esame del quale porta alle seguenti contestazioni di fatto, che sono ora qui numerate nell ordine stesso dei vari quesiti trattati. 1 ) Il sig. VICEDOMINI non era a conoscenza delle speciali consegne che il comandante della scorta aveva avute, e delle istruzioni da lui date ai carabinieri dipendenti per l efficace pratica esecuzione di tali consegne. Egli non poteva nemmeno avere chiara nozione quantitativa e qualificativa del personale di marina posto agli ordini del sig. AMBROGI, che aveva presso di sé gli elenchi e i documenti relativi a ciascuno. 2 ) Il sig. VICEDOMINI fu subito convinto che l aggressione subita dagli autocarri trovava la sua essenziale ragione d essere nell equivoco fatale che, anche prima dell arrivo ad Empoli, aveva fatto scambiare i marinai per fascisti e decise quindi di fare il possibile perché tale equivoco fosse in ogni modo rimosso. 3 ) Come ho già rilevato la maggior parte dei fuochisti, e fra essi quasi tutti quelli del secondo autocarro, non aveva pratica alcuna nel maneggio della pistola Berretta, né avrebbe in alcun caso potuto affrontare una qualsiasi resistenza. 4 ) Il sig. VICEDOMINI ebbe intima la persuasione dell impossibilità di proseguire col suo autocarro a somiglianza di quanto aveva fatto il primo e ne ricavò perciò la necessità di doversi fermare per mettere a riparo il personale e soccorrere i feriti. 5 ) Adempiuto a quel compito immediato, era chiara la successiva convenienza di non sostare più a lungo in quel provvisorio poco sicuro ridosso, ma di effettuare possibilmente la riunione di tutto il gruppo; di qui le varie disposizioni già accennate e ragionevolmente prese perchè questo tentativo potesse riuscire. 6 ) Era assolutamente da scartarsi l idea di uscire dal paese, ripercorrendo il tratto di via già fatta. L attuazione di un tale progetto, presentava grandi difficoltà pratiche e non offriva certo maggiore sicurezza di quello invece attuato. 7 ) Il sig. VICEDOMINI, per gli ordini dati, era convinto di essere seguito da tutti i militari del suo gruppo. 8 ) Erano logiche e doverose le trattative svolte dal sindaco, tutto lasciando sperare che appena dissipato l equivoco, il sindaco, data anche la sua fede politica, fosse proprio l unica persona che avesse capacità di ottenere la pratica esecuzione di disposizioni intese a proteggere i riconosciuti militari. 9 ) L intervento inaspettato di un feroce agitatore mutò radicalmente la situazione che già andava risolvendosi e le frasi profferite da quell energumeno denotano l esistenza di un complotto organizzato in ogni particolare, con suddivisione di incarichi ed ispirato ad istinti sanguinari. Così come fu logico l ordine dato ai marinai di farsi riconoscere e di restar calmi, e quello dato ai carabinieri di raddrizzare le armi, fu altrettanto doverosa e dignitosa l opposizione decisa a che i carabinieri fossero disarmati, ed i marinai perquisiti. Una volta sferrata l aggressione personale inumana, gli eventi erano segnati e dovevano fatalmente sfuggire al dominio ed all indirizzo di qualsiasi volontà: imperava solo la belva, che voleva ad ogni costo vittime e sangue. Ritengo quindi in complesso che il sig. VICEDOMINI abbia non solo bene agito, ma dato prova ad un tempo di giusta tolleranza e di sagace fermezza e di provvida iniziativa, in quanto che, trovandosi in una situazione imprevista ed imprevedibile seppe fronteggiarla nel modo indiscutibilmente migliore. Mi pare poi anche inutile soffermarmi a dimostrare che il ferimento del fuochista Nappa da parte del fuochista Pettorino, fu assolutamente fortuito ed occasionale ed unicamente originato dall ignoranza nella quale era quest ultimo circa il maneggio dell arma.

11 Riguardo poi al contegno dei nostri marinai, graduati e comuni, non ravviso motivo a critica od a biasimo. L atroce sorpresa, a loro rivelatasi con furia devastatrice, doveva in un primo momento stordirli tanto più che essi erano ammassati in quantità eccessiva su pochi metri quadrati di tavole, già stanchi ed assonnati. Subito dopo i primi feriti cadendo resero più difficile la reazione all oltraggio micidiale, in quanto che incepparono la libertà di movimento a parecchi, ma tutti quelli che lo poterono o seppero farlo diedero risposta al fuoco traditore e vigliacco. Aggiungo, a maggiore delucidazione, copia del rapporto già presentato dal sig. VICEDOMINI al Comando in Capo di Spezia (allegato 3); copia di quello presentato dalla legione territoriale dei RR.CC. di Firenze allo stesso Comando in Capo e da tale autorità avuto in gentile comunicazione (allegato 4); il rapporto, dietro mio ordine, redatto dal capitano macchinista sig. AMBROGI (allegato 5); ed un elenco riassuntivo dei militari che furono ad Empoli con la specificazione della sorte di ognuno (allegato 6). * * * Ora che la morte ha per nove volte ripetuto il suo rauco grido di tragico trionfo, ora che il sangue è stato sparso per mano fratricida, ora che tutto sentiamo l orrore per le deprecate vicende funeste, siamo indotti a ricercare con quell analisi che proviene dalla conoscenza dei fatti avvenuti, se essi non avrebbero potuto svolgersi in altro modo, se il nuovo lutto poteva esserci risparmiato, se una più accurata predisposizione avrebbe potuto non rendere reale la sciagura e l onta. Ma questa naturale tendenza istintiva che si basa sul più puro sentimento di pietà e di giustizia, è, all atto pratico, raffrenata da quella interna voce dolorosa che alla nostra mente inorridita va mormorando; ma era dunque possibile prevedere tanto scempio sanguinario e tanta fredda ferocia? La nostra stessa dignità di uomini ci induce a dare risposta negativa a tale domanda; e, per quanto la fatalità del destino non possa mai portarsi come argomento di facile convinzione, pure io credo che vi fu mai evento tristissimo, già fissato da forza cieca e crudele, esso fu proprio quello di Empoli. Il telegramma ministeriale, che ordina di trattenere il personale a Livorno, non giunge in tempo e locali difficoltà impediscono, dapprima l applicazione della logica misura che vorrebbe iniziato senz altro da Livorno il servizio ferroviario, e poi anche quella che avrebbe dovuto imporre il concentramento tempestivo all Accademia dei mezzi di trasporto per Firenze. La necessità impellente di far partire al più presto il gruppo fa sorgere all ultimo momento la domanda che il personale si rechi alla caserma ove ha sede l autoreparto, e perchè tale trasporto sia sempre più sollecito, essendo in avaria l autocarro dell Accademia, si vuole fare uso delle vetture tranviarie cittadine; dando così origine al primo disgraziatissimo incidente di Piazza Vittorio Emanuele dal quale indubbiamente deve essere derivato l avviso iniziale ai sicarii ed il concepimento del vasto piano delittuoso. Queste furono le circostanze in cui avvenne la partenza da Livorno, circostanze sulle quali l E. V. mi ha ordinato di riferire in particolar modo. Nell accennarle ritengo in coscienza dover esprimere il dubbio se la logica doverosa previsione dei fatti dovesse in quel momento esercitarsi entro limiti così inattesi, da indurre a rifuggire da mezzi e da occorrenze che si delineavano non come forzati espedienti, ma come assolute normalità di svolgimento della vita quotidiana, per quanto in quel giorno tale vita non fosse proprio normale. Le condizioni di Livorno erano le condizioni medesime di tutta la Toscana, eppure nessuno poteva logicamente pensare che fosse necessario disporre una serie di avvisi preventivi, che man mano preannunziassero alle diverse autorità scaglionate lungo il tragitto il passaggio degli autocarri. Si può certo ammettere che una tale misura se non frustrata da circostanze di tempo avrebbe forse impedito l attuazione di un piano, la cui complessa organizzazione deve aver richiesto accordi studiati e predisposizioni minute, che avrebbero forse potuto così sventarsi e disturbarsi; ma allora si deve anche vagliare se, alla stregua degli indizi reali, fosse possibile in quel giorno concepire che nostre ridenti e pacifiche contrade potessero divenir teatro di una diabolica atroce astuzia di guerra. Solo l E.V. può giudicare del giusto margine da concedersi a quella che deve intendersi come normale facoltà di previdenza; a me ora solo rimane il rispondere all ultimo quesito postomi, facendo notare che, data la presumibile velocità normale oraria degli autocarri (25 Km), la distanza fra Livorno e Firenze sarebbe stata coperta in meno di 5 ore; e che perciò gli autocarri stessi, che si dicevano pronti a partire da Livorno alle 11h, sarebbero giunti a Firenze al più tardi verso le 16h, circa due ore prima del tramonto, e cioè avrebbero potuto compiere tutto il tragitto durante ore diurne, pur mettendo a calcolo un largo periodo di tempo per impreviste avarie e ritardi. * * * * In tutti i tempi, in tutte le età, ogni religione ha avuto i suoi martiri; e spesso martiri nuovi vuole e comanda proprio la religione, che più ci è cara, quella del dovere, che ha ora scritto nel suo elenco immortale i nomi dei trucidati di Empoli. E si rende conto ancora più completa giustizia ai vivi, rivolgendo speciale onoranza alla sacra memoria dei morti, molti dei quali ebbero lunga, atroce, disperata agonia.

12 L angoscia ed il lutto non è solo in quelle poche case lontane che non vedranno mai più il ritorno dei figli; ma in tutto il Paese, che fu invaso da quella stessa onda di viva e potente commozione che ha circondato le nostre navi, orbate pur esse degli stessi figli migliori. Vi fu laggiù orrore di morte, dolore di ferite, lagrime e sangue, e sono quindi sicuro che l E. V. vorrà permettermi, nel chiudere la presente relazione su fatti tanto dolorosi, di compiere quello che ritengo sia per me precipuo ed imprescindibile dovere, rivolgendo un pietoso pensiero di mesto e devoto omaggio alle vittime nuove che, santificate dall estremo sacrificio compiuto, furono per esso sublimate in eterno, ed assunte ad altissimo simbolo di fede, incitatrice invitta e feconda. IL CONTRAMMIRAGLIO COMANDANTE P. Lobetti Bodoni (Allegato n 1 - Piantina apertura del fuoco)

13 (ALLEGATO N 2) AL COMANDO IN CAPO DEL DIPARTIMENTO MARITTIMO - Tramite Comando R. Accademia navale OGGETTO: Rapporto sull aggressione subita da fuochisti della R. Marina da parte della popolazione di Empoli il 1 marzo u. s. di S P E Z I A Mi pregio riferire all E.V. quanto segue in merito ai fatti avvenuti in Empoli e che hanno avuto dolorose conseguenze per il nucleo fuochisti e meccanici agli ordini del Capitano macchinista Ambrogi Nello, transitante per Empoli e diretto a Firenze nelle ore pomeridiane del 1 marzo u. s. fatti ai quali ho casualmente partecipato e di cui quindi riferisco alla E. V.: Dovendo recarmi per urgenti ragioni familiari a Firenze ed essendo interrotte le comunicazioni ferroviarie alle ore 12 h del 1 marzo, chiesi autorizzazione al Capitano di fanteria di Servizio nella caserma della Torretta di Livorno di prendere passaggio in uno dei camion di immediata partenza per Firenze per trasportarvi un nucleo di 48 fuochisti e meccanici destinati a prestare servizio sulle ferrovie; essendo in data 1 marzo in regolare licenza concessami dal Comando della R. Accademia navale. La spedizione prese posto in 3 camion che appena usciti da Livorno si sono ridotti in due in seguito al ferimento del fuochista Nappa Salvatore (R.N. PISA) per errato maneggio della rivoltella da parte dello altro fuochista Pettorino Luigi (R.N. PISA). Il 3 camion è stato rimandato a Livorno per trasportarvi il ferito con un braccio spezzato. Ripartito il personale fra i due camion rimanenti la distribuzione è risultata la seguente: 1) Capitano macchinista Ambrogi Nello, Tenente RR.CC Bacchilli Comandante la scorta di 14 carabinieri N 8 carabinieri N 20 fuochisti e meccanici 2) Maresciallo meccanico Pasino, N. 6 carabinieri, N. 26 fuochisti. Sul 2 camion ha preso posto anche il sottoscritto. Partiti dopo il mezzogiorno, il viaggio si compì senza incidenti fino alle 17,30 circa, ora nella quale i due camion giunsero a Empoli seguendosi a distanza di circa 70 metri imboccandone la via principale. Questa appariva assolutamente deserta con porte e finestre sbarrate: ma non appena il camion che mi precedeva fu entrato in detta strada fu fatto segno a getto di mobili, bombe e fitte scariche di fucileria dalle finestre e dai tetti. Egual sorte toccò al 2 camion: ma mentre il primo accelerava a tutta forza proseguendo per la strada stessa lunga in paese circa un Km. e mezzo, dopo circa un centinaio di metri dall ingresso del paese, avendo già due carabinieri ferita da arma da fuoco alle gambe, ed in vista del fatto che il mio camion dopo il passaggio del precedente si sarebbe trovato in condizioni ancora più difficili dato l intenso scambio di fucilate avvenuto fra quello, e la popolazione, feci fermare il camion e riparare il personale in un vicolo che si presentava alla mia sinistra, provvedendo al trasporto dei feriti. Di invertire la rotta, non era assolutamente il caso perché data la ristrettezza della strada, il camion non avrebbe potuto girare e avrebbe dovuto lentamente retrocedere. Insistendo replicatamente, sono riuscito a fare accogliere i feriti in una abitazione e far loro mettere a nudo le ferite. Intanto per la via crepitavano le fucilate contro il 1 camion. Affacciatomi alla strada dal vicolo ho invano fatto appello ai rarissimi passanti perché chiamassero l Assistenza Pubblica per il soccorso dei due feriti, ed ho fermato un ambulanza di Prato diretta a Pontedera chiedendo che prendessero i feriti, ma invano. Nel frattempo il camion che mi precedeva aveva percorso tutta la strada ed il fuoco di fucileria sembrava cessato. La situazione del mio personale in un vicolo aperto da tre lati quasi alle offese, distaccato dall altro camion e con due feriti era precaria. Per cui, nell intento di procurare ai feriti cure mediche e specialmente di non farmi cogliere dalla notte in quella situazione, ho deciso di lasciare i due feriti alle cure degli ospiti e di proseguire verso il centro del paese a passo seguito dal camion a velocità d uomo, per riprendere contatto coll altro camion, o almeno con

14 qualche caserma di carabinieri o di truppa. Intuendo che eravamo capitati in una vera e propria imboscata tesa al passaggio di ipotetici gruppi di fascisti, ho ordinato che i marinai non estraessero le rivoltelle e mi sono mosso precedendo la colonna disarmato, coll ombrello alla mano gridando: non sparate, non siamo fascisti. Unica apparenza di forza era data dai moschetti dei 4 carabinieri. A chiarimento di questo mio contegno debbo dire che la popolazione vedendo i marinai in abito civile, aveva potuto effettivamente scambiare i due camion per carri carichi di fascisti e dico specialmente quella delle borgate già attraversate da cui era potuto giungere un avviso per modo che a Empoli i fascisti erano attesi. Il sistema usato si è dimostrato efficace perché ad onta di qualche raro colpo la colonna ha potuto procedere senza perdite. A circa cinquanta metri dalla piazzetta principale del paese, alle mie ripetute grida di non sparare mi si presentava un gruppo di persone precedute dal Sindaco. Gli ho subito gridato: Non faccia sparare, li fermi ed infatti il sindaco rivolgendosi ai vari appostamenti di persone armate, che egli quindi ben conosceva, fece cessare completamente i colpi, i quali man mano che si erano avvicinati alla piazzetta, per l aumentato campo di tiro erano venuti infittendo. Il Sindaco mi ha detto: Siete dei fascisti al che ho risposto: nemmeno per idea, sono un ufficiale e questi sono dei marinai le do la mia parola d onore : al che egli ha soggiunto che la parola d onore in certi casi non serviva. Mentre il dialogo si svolgeva dalle varie strade confluenti nella piazzetta, si accumulavano alcune centinaia di persone: il personale al completo era serrato a me, addossato al lato sinistro della strada. A dimostrazione della nostra identità ho presentato al Sindaco la mia tessera personale e il certificato di licenza: egli parve persuadersi della cosa: mi dichiarava garantire la nostra incolumità non solo, ma siccome sul camion, che ci precedeva di pochi passi io vedevo salire della gente, gli feci le mie rimostranze pei bagagli, sdegnosamente rintuzzate colla frase: Ad Empoli sono tutte persone per bene Ma intanto l intervento di alcuni scalmanati e specialmente di una specie di Commissario del popolo con sciarpa e fascia rossa al braccio, eccitava gli animi: seguiva un dialogo concitato fra costui e il Sindaco, il quale accennando ai carabinieri, mi disse: se siete persone animate da buone intenzioni faccia disarmare quelli lì gli risposi disarmare no e ai carabinieri aggiunsi: moschetti verticali in modo che non dessero stando a crociat-at una impressione aggressiva. Improvvisamente il fuoco di fucileria riprendeva violento dalle finestre e dai tetti, cadevano alcuni carabinieri: il Sindaco spariva: prima che potessi dare un ordine qualsiasi la folla si stringeva al mio personale, e mentre ero violentemente circondato e isolato, iniziava il disarmo dei marinai. Assalito da quattro persone in un primo tempo riuscivo ad arretrare verso il fondo del piccolo vicolo cieco dove il personale si era venuto riparando. Un individuo mi puntava la rivoltella al petto e faceva fuoco senza colpirmi, perché colla mano sinistra ho afferrato l impugnatura della rivoltella all altezza dell alzo, producendomi una doppia non grave ferita alla mano sinistra. Contemporaneamente dal lato dritto ricevevo probabilmente un colpo di trincetto che mi produceva un ampia lacerazione alla manica dritta del pastrano, di taglio e punta. Liberatomi a stento mi sono stati scaricati addosso vari colpi senza colpirmi e riuscito sulla strada dell altra parte del vicolo, che scoprii essere a tourniquet, ho tentato riavvicinarmi al mio personale da cui mi divideva la folla, e che intanto in parte si sbandava dalla parte donde eravamo venuti fatto oggetto di carica all uomo. Avuto da una persona di aspetto umano indicazioni di dove fosse la caserma dei Carabinieri e saputo che era a pochi passi non potendo riprendere contato colla mia gente vi sono giunto; e vi ho trovato il Commissario di P. S. Rosselli, il Capitano macchinista Ambrogi, che lasciato il camion al sicuro fuori paese, era venuto a chiedere notizie e aiuti pel secondo camion e il Tenente dei carabinieri Bacchilli: la caserma si stava mettendo rapidamente in instato di difesa accumulando sacchi di sabbia alla porta principale e alle finestre: colpi ripetuti giungevano dalla piazzetta antistante pochi secondi dopo il mio arrivo, cui rispondevano i pochi carabinieri presenti. Al mio disperato appello di darmi dei carabinieri per correre in aiuto alla mia gente, il Commissario che telefonava pressantemente alla autorità superiore per avere immediati rinforzi, rispondeva che non era assolutamente possibile uscire e che i pochi militi disponibili erano appena sufficienti a difendere la caserma. Il maresciallo che intanto all insaputa del Commissario, era uscito con 5 militi sulla piazzetta, aveva dovuto subito retrocedere di fronte alle scariche nutrite di fucileria da parte dei rivoltosi. Bloccati nella caserma, si telefonava al Sindaco perché facesse opera di pacificazione e provvedesse perché l assistenza ricuperasse i feriti: il sindaco rispondeva che un nucleo di marinai era al sicuro nel palazzo del comune che la Misericordia era in azione. Veniva quindi subito egli stesso in caserma ed avendo riferito che la Città si stava tranquillizzando, uscivo col Commissario, il Capitano Ambrogi, il Ten. RR. CC. e i carabinieri disponibili; si sono percorse le vie della città che appariva deserta senza incontrare alcun disperso e poscia ci si è recati all Ospedale per assumere informazioni sui militari ricoverati, che risultano 10 feriti oltre a 4 morti. Il pattuglione ha continuato a circolare fino a tardissima notte: per quanto si picchiasse alla porta del Comune per ritirare i militari ivi ricoverati, non è stato possibile ottenere che alcuno rispondesse: soltanto la mattina del 2 recatomi al Comune ho potuto ricondurre in caserma gli undici militari ricoverati fra cui il maresciallo Pasino. Questi mi ha riferito che intervenuta persona della Giunta comunale erano stati condotti in Municipio protetti dall autorità suddetta contro la popolazione e che erano stati trattati bene: mentre gli altri del gruppo che aveva preso passaggio sul secondo camion, riparatisi non nel vicolo ma in altri punti della strada, fatti segno ad una feroce caccia all uomo, non erano presenti e se ne ignorava la

15 sorte. Costituiscono questi il personale che ha dato il maggior numero di perdite. Riferendomi per i nomi e le generalità a quanto è stato telegrafato all E.V. riassumo le perdite subite dallo intero nucleo fuochisti: morti 5, feriti7, dispersi 4 Di questi ultimi pare da notizia che giunge in questo momento, che due abbiano raggiunto Firenze. Pur nella luttuosa e difficile circostanza il contegno del personale a giudizio del maggiore dei carabinieri, Comandante le forze di occupazione Abrile Cav. Paolo è stato degno di elogio. Nella giornata del 2, giunti 150 uomini dei bersaglieri e 50 carabinieri al comando della suddetta autorità, si è proceduto ad ampie perquisizioni e numerosi arresti tra la popolazione dietro indicazioni del sottoscritto e dei marinai superstiti. Qualcuno dei maggiori indiziati è già assicurato alla giustizia. Il paese va riprendendo l aspetto normale: i due camion di cui il secondo con inizio di incendio, sono stati ricuperati. Ho fatto le mie deposizioni all autorità giudiziaria e militare, lasciato libero dal Comandante le forze di occupazione, cesso dal coadiuvare il Capitano macchinista Ambrogi, Ufficiale del nucleo fuochisti e lascio Empoli, proseguendo per la licenza IL 1 TENENTE DI VASCELLO Federico Vicedomini

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