GAS, VAPORI E POLVERI A RISCHIO DI ESPLOSIONE E INCENDIO

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1 Norberto Piccinini * Paolo Cardillo * * *Politecnico di Torino **Stazione sperimentale dei combustibili, Milano GAS, VAPORI E POLVERI A RISCHIO DI ESPLOSIONE E INCENDIO Politecnico di Torino

2 INDICE Introduzione 1. Esplosioni di tipo fisico, termico e chimico 1.1 Definizioni 1.2 Generalità sulle reazioni di combustione 1.3 Meccanismo 1.4 Velocità laminare di combustione e velocità del fronte di fiamma 1.5 Fenomeni di deflagrazione e detonazione 2. Infiammabilità di gas e polveri 2.1 Limiti di infiammabilità 2.2 Regola di Le Chatelier 2.3 Limiti di infiammabilità in funzione di temperatura e pressione Temperatura Pressione 3. Infiammabilità di liquidi 3.1 Limiti di infiammabilità e tensione di vapore 3.2 Punto di infiammabilità e punto di combustione 3.3 Punto di infiammabilità di miscele 3.4 Pericoli derivanti dai combustibili liquidi 3.5 Esplodibilità di nebbie 4. Processi di inertizzazione 4.1 La penisola di infiammabilità 4.2 Concentrazione minima di ossigeno 5. Cause d'innesco 5.1 Introduzione 5.2 Energia minima di innesco 5.3 Temperatura di autoaccensione 6 Infiammabilità e sorgenti d'innesco 6.1 Fiamme 6.2 Materiali incandescenti 6.3 Saldatura e taglio 6.4 Attrito e urto 6.5 Superfici calde 6.6 Compressione adiabatica 6.7 Sostanze piroforiche 6.8 Elettricità statica 6.9 Lavorazioni con liquidi infiammabili

3 6.10 Esempi pratici - Trasporto di liquidi mediante tubazioni o tubi flessibili - Riempimento e svuotamento di fusti per gravità - Trasferimento da fusti di liquidi infiammabili mediante pompe - Carico di reattori con liquidi infiammabili - Operazioni eseguite sul passo d'uomo aperto di un reattore - Manipolazione di polveri in presenza di vapori infiammabili - Caricamento di polveri quando non si può mantenere un'atmosfera inerte 7 Violenza delle esplosioni 7.1 Generalità sugli incendi in spazi confinati o semiconfinati 7.2 Incendio di GPL e tossicità del monossido di carbonio Stima del CO emesso Tossicità dell'ossido di carbonio Valutazione delle conseguenze

4 Introduzione Gran parte degli incidenti che si verificano nel corso di lavorazioni industriali sono da imputare alla presenza ed al maneggio di miscele infiammabili o esplodibili. Miscele pericolose sono per esempio presenti nei processi industriali che consentono la preparazione di composti ossigenati (es. Acetaldeide, Ossido di etilene, Anidride ftalica, ecc.), mediante ossidazione diretta con aria o con ossigeno di idrocarburi o di altri composti organici semplici; anche in numerose altre operazioni quali immagazzinamento o trasferimento di altri prodotti combustibili, essiccamento di materiali per allontanare solventi infiammabili, nel corso della manutenzione degli impianti, ecc. Anche molti materiali solidi combustibili, finemente suddivisi e dispersi in aria sotto forma di nube, possono provocare una esplosione. La pericolosità delle miscele polvere-aria è meno conosciuta di quella dei gas. Per lungo tempo è stato infatti difficile accettare che una esplosione potesse avvenire a causa della sola polvere e che non fosse necessaria la presenza di un gas infiammabile per sostenere l'esplosione. Per la valutazione dei pericoli e per poter sviluppare le opportune misure di prevenzione, è quindi molto importante conoscere il comportamento - per quanto riguarda l'esplodibilità - dei diversi sistemi combustibile/comburente nelle condizioni di pratica utilizzazione. 1

5 1.Esplosioni di tipo fisico, termico e chimico 1.1 Definizioni Esplosione = accensione di una miscela di un materiale infiammabile in aria con conseguente rapida espansione del volume o aumento della pressione, a seconda che l'azione avvenga o no in uno spazio confinato. In questo senso quindi il termine è usato per distinguere la rapida e praticamente istantanea combustione dalle più lente reazioni di ossidazione; comprende pertanto la combustione di gas infiammabili come pure quella di polveri sospese in aria. Combustione = reazione chimica di una sostanza con l'ossigeno, con svolgimento di calore, solitamente accompagnata da una fiamma visibile. Ogni sostanza che brucia è definita combustibile, mentre una sostanza è definita infiammabile quando può essere accesa facilmente e può bruciare con insolita rapidità. 1.2 Generalità sulle reazioni di combustione Le caratteristiche più importanti delle reazioni di combustione sono: Elevata esotermicità (il processo sviluppa una grande quantità di calore); Elevato sviluppo di gas ad alta temperatura. Le reazioni di combustione si possono svolgere soltanto in presenza di condizioni ben definite: un combustibile, un ossidante o un comburente (di solito l'ossigeno dell'aria) e infine una sorgente di energia. Il combustibile e l'ossidante (comburente) sono quindi i reagenti che partecipano alla reazione; la sorgente di energia (innesco), serve a far partire la reazione, fornisce cioè l'energia di attivazione. Esempio: Consideriamo alcune reazioni di combustione molto semplici, benché assai importanti dal punto di vista pratico: 2

6 Così scritte le equazioni di reazione presentano soltanto un quadro dei rapporti stechiometrici tra i reagenti e i prodotti (espressi in moli) e riportano la variazione dell'entalpia del sistema reagente, cioè la quantità di calore sviluppata in condizioni di riferimento opportunamente scelte. Quest'ultima quantità (calore di combustione del combustibile) si riferisce alla combustione così come è scritta nella equazione stechiometrica, cioè alla combustione completa. 1.3 Meccanismo Le teorie più moderne considerano che tali reazioni avvengano attraverso un meccanismo a catena: se un processo qualsiasi dà origine ad una specie attiva, la quale, tramite un intermedio, fornisce oltre ad un prodotto una seconda specie attiva, il processo si automantiene (a meno che tali specie attive non vengano distrutte o catturate). Si distingue una prima reazione, detta di innesco, che porta alla formazione di una specie chimica molto reattiva (radicale libero), detta portatore di catena. Le reazioni di inizio di catena hanno origine termica il numero di radicali liberi che si formano a causa dell'energia fornita è piuttosto limitato dato che si tratta di reazioni fortemente endotermiche. Il portatore entra in reazione in un primo stadio, originando un secondo portatore; questo in uno stadio successivo reagisce originando un altro portatore ancora, e così via, finché un certo stadio non ripristina il primitivo portatore di catena. A partire da questo momento il ciclo di reazioni si ripete, fin quando non intervengono reazioni di rottura della catena che, in una forma o nell'altra, siano causa della eliminazione del portatore di catena in un qualsivoglia stadio. La terminazione della catena può essere dovuta all'interazione con altre specie chimiche, a ricombinazioni dei radicali con formazione di molecole stabili, oppure per effetto della parete del contenitore. Se ogni stadio della reazione produce un solo portatore si ha una catena semplice o stazionaria e la concentrazione delle specie attive, dopo qualche tempo, può essere considerata costante, cioè la velocità di formazione del generico radicale R, presente in piccolissime concentrazioni a causa della sua reattività, risulta praticamente trascurabile nei confronti delle velocità di formazione delle specie stabili. 3

7 Se invece il processo produce più di una specie attiva si ha una catena ramificata. In questo caso i portatori possono moltiplicarsi a volte con velocità vertiginosa, cosicché può capitare che la reazione, se non intervengono adeguate rotture di catena, raggiunga un decorso esplosivo. Queste due situazioni sono schematizzate nella Figura 1, che si riferisce alla reazione H Oltre alle esplosioni a catena ramificata esistono anche le esplosioni termiche, dovute al fatto che il calore prodotto dalla reazione e quello che viene ceduto all'esterno per convezione, conduzione, irraggiamento, non si bilanciano. Se la quantità di calore prodotta è superiore a quella che il sistema può smaltire si genera una situazione di autoaccelerazione: cioè si ha un aumento di temperatura con conseguente aumento della velocità di reazione che porta a sua volta ad un ulteriore aumento della quantità di calore prodotta. Concettualmente la distinzione tra i due tipi di esplosione è molto importante; in pratica però in molti sistemi esplosivi non è possibile distinguere a quale dei due tipi di fenomeno 4

8 sia da imputare l'esplosione, poiché sia la concentrazione delle specie attive, sia la temperatura, subiscono un rapidissimo aumento. 1.4 Velocità laminare di combustione e velocità del fronte di fiamma La velocità con la quale il fronte di fiamma (la sottile zona di reazione evidenziata in Fig.2) si propaga attraverso la miscela gassosa, misurata rispetto ad un osservatore fisso, è detta velocità dei fronte di fiamma (S f ). Essa è legata alla velocità laminare di combustione (S 0 ), ossia la velocità del fronte di fiamma relativa alla miscela incombusta immediatamente adiacente, in condizioni di regime laminare. 5

9 La velocità laminare di combustione dipende dalla natura del gas combustibile, dalla sua concentrazione, dalla temperatura e dalla pressione. In pratica la velocità del fronte di fiamma non sempre coincide con la velocità di combustione in quanto, nel corso della reazione, il fronte di fiamma avanza anche in seguito all'espansione dei gas combusti. Nei casi più semplici, quali un fronte di fiamma piano che si propaga verso l'estremità aperta di un tubo a sezione costante, chiuso all'altra estremità, oppure un fronte di fiamma sferico o emisferico che si propaga liberamente, assumendo che la miscela gassosa sia inizialmente ferma, che il regime di flusso sia laminare e che i gas combusti rimangano sempre alle spalle del fronte di fiamma, la relazione tra velocità del fronte di fiamma e velocità di combustione diventa la seguente: S f = S o E dove E = fattore di espansione, relativo all'aumento di volume provocato dalla reazione, esprimibile come e dove E = (T f / T i ) (N f / N i )k s T f = temperatura raggiunta dai gas durante la combustione ( temperatura di fiamma); T i = temperatura iniziale della miscela; N f = numero di moli dei prodotti di reazione (trascuriamo eventuali dissociazioni termiche); N i = numero di moli dei reagenti; k s = fattore correttivo. Il fattore correttivo è giustificato dal fatto che il volume generato nell'unità di tempo dai gas combusti è dato dal prodotto della velocità di combustione per l'area della superficie di contatto tra fiamma e gas incombusti. In Figura 3 è illustrato come, a parità di 6

10 condizioni, un fronte di fiamma sferico si propaghi, in una tubazione a sezione circolare, con velocità doppia rispetto ad un fronte di fiamma piano. 1.5 Fenomeni di deflagrazione e detonazione Consideriamo un condotto indefinito (es. a sezione costante), contenente una miscela infiammabile; ad una estremità viene effettuata l'accensione; in questo modo si fa partire la reazione chimica che sviluppa calore. Il calore viene ceduto agli strati di miscela adiacente, che quindi si riscaldano e possono reagire con velocità sufficientemente elevata. Si forma così un fronte di reazione (o di fiamma) che si muove nella miscela combustibile propagando così l'accensione. La direzione di movimento del fronte di fiamma è quella che va dai gas combusti alla miscela fresca. 7

11 Il fronte di fiamma è la zona all'interno della quale avvengono le reazioni chimiche; da una parte avremo quindi gas combusti caratterizzati da elevata temperatura e da scarsa attività chimica e dall'altra la miscela combustibile che deve ancora reagire, caratterizzata da alta temperatura. La velocità di propagazione è quella con cui il fronte di fiamma si muove verso la miscela combustibile ed è governata dalla velocità di conduzione di calore. Se il fronte di fiamma si mantiene piano o ha comunque un conformazione netta e definita e la velocità di propagazione è dell'ordine dei m/s (inferiore a quella del suono) si ha una "deflagrazione". Se invece il fronte di fiamma non ha conformazione regolare ma molto frastagliata a causa della turbolenza, delle perturbazioni, degli attriti, ecc. si può avere una fase di autoaccelerazione della fiamma che si propagherà con una velocità superiore a quella del suono (dell'ordine delle migliaia di m/s). In questo caso si ha una "detonazione"; si creano onde di compressione che si propagano nella miscela combustibile come un'onda d'urto che precede il fronte della reazione. Non è ancora stato ben accertato se da un'esplosione da polveri possa o no derivare una detonazione in un impianto industriale. Esplosioni aventi velocità simili a quelle delle detonazioni sono per esempio state osservate nelle gallerie delle miniere di carbone ma, in questi casi, le esplosioni sono state iniziate da sorgenti molto potenti (esplosivi solidi), capaci essi stessi di generare un'onda d'urto. 8

12 2. Infiammabilità di gas e polveri 2.1 I limiti di infiammabilità Se si aggiunge ad una data quantità di aria un combustibile, la concentrazione di questo nella miscela risultante aumenta continuamente fino a raggiungere un valore noto come "limite inferiore di infiammabilità" Li. Miscele in cui la concentrazione del combustibile è al di sotto del limite inferiore non sono infiammabili. Continuando ulteriormente l'aggiunta di combustibile, si raggiunge un secondo valore della concentrazione del combustibile nella miscela, definito "limite superiore di infiammabilità" Ls. Miscele in cui la concentrazione dei combustibile è al di sopra del limite superiore non sono infiammabili. Tutte le miscele in cui la concentrazione del combustibile è compresa tra i due limiti sono infiammabili (cioè la fiamma si propaga attraverso l'intera miscela). Per definizione, questi due limiti rappresentano la minima e la massima concentrazione di combustibile che può sostenere la propagazione della fiamma. I limiti di infiammabilità o di esplodibilità dei gas e dei vapori sono solitamente espressi come percentuale in volume del combustibile nella miscela aria - combustibile. Nel caso delle polveri, invece, i valori sono espressi in termini di peso di polvere per unità di volume di aria (mg/i). Nell'appendice A sono riportati i limiti di infiammabilità di alcuni gas e vapori mentre nell'appendice B quelli di alcune polveri. Molti composti hanno un intervallo di infiammabilità abbastanza ristretto; è allora relativamente facile evitare di manipolarli in condizioni pericolose. Molti composti, invece, hanno un intervallo tanto esteso che soltanto loro miscele molto ricche o molto povere di combustibile si trovano al di fuori dai limiti pericolosi. In casi particolari uno dei due limiti può addirittura non esistere; ciò avviene con gas o vapori fortemente endotermici, che assorbono calore durante la loro formazione e che sono capaci di subire (liberando la stessa quantità di calore), in determinate condizioni di temperatura e pressione, una decomposizione esplosiva. 9

13 Per esempio, l'idrazina e l'ossido di etilene non presentano il limite superiore di infiammabilità; cioè i loro vapori possono esplodere senza bisogno dell'aria comburente. Per poter confrontare la diversa estensione della zona di infiammabilità dei vari sistemi dobbiamo esprimere anche i limiti di infiammabilità dei gas e dei vapori in mg/i, anziché come percentuale in volume. Per il limite inferiore si può usare l'espressione seguente: dove P R, è il peso molecolare, e analogamente per il limite superiore. La determinazione sperimentale del limite superiore di infiammabilità di una polvere presenta notevoli difficoltà, in quanto bisogna essere certi che la polvere sia uniformemente dispersa nella nube e che non si formino zone di basse concentrazioni a causa del movimento di particelle del materiale. Poiché è estremamente raro che negli impianti industriali nubi di polvere possano essere mantenute in concentrazione sopra il limite superiore di infiammabilità, l'interesse per tale limite è piuttosto scarso. Per questo motivo, ben pochi valori sono stati determinati sperimentalmente e le concentrazioni trovate cadono tra 2 e 6 g/i. Dal confronto tra i dati delle appendici A e B risulta immediatamente che le polveri presentano una zona di infiammabilità più estesa rispetto ai gas e ai vapori. Per esempio il limite inferiore di infiammabilità dei combustibili gassosi (con l'eccezione dell'idrogeno e dell'acetilene) cade tra 35 e 50 mg/i, mentre quello delle polveri è tra 15 e 30 mg/i. Un'altra particolarità delle polveri è che l'infiammabilità o esplodibilità di un dato materiale può variare moltissimo a seconda del grado di suddivisione (granulometria), dell'invecchiamento, del contenuto di umidità, della formulazione chimica. Per questo motivo è sempre necessario ricorrere a prove sperimentali per ottenere informazioni sull'infiammabilità di una data polvere. I valori tabulati si riferiscono esclusivamente ad una particolare polvere, le cui caratteristiche possono però essere molto diverse da quelle di una altra polvere con lo stesso nome chimico. 10

14 Dalla Tabella 1 che si riferisce ai primi dieci idrocarburi paraffinici, è possibile notare che esiste una certa costanza nei rapporti tra il limite inferiore Li e la concentrazione stechiometrica Cst e nei prodotti tra Li e il potere calorifico H. Tab 1 Combustibile C st % vol Potere calorifico H, kcal/mole L i % voi L i C st L i 100 ' H metano 9,48 191,76 5,00 0,53 9,6 etano 5,65 341,26 propano 4,02 486,53 2,95 0,53 10, 1 2, 12 0,52 10,4 butano 3,12 635,05 1, 68 0,58 10,7 pentano 2,55 782,04 1,41 0,55 11,0 esano 2, ,93 1,23 0,56 11,4 eptano 1, ,85 1,08 0,56 11,6 ottano 1, ,77 0,95 0,58 11,6 nonano 1, ,70 0,84 0,58 11,5 decano 1, ,63 0,77 0,56 11,6 2.2 Regola di Le Ctlatelier Quando il combustibile non è un composto singolo ma una miscela di più componenti e quindi non si trovano dati sperimentali sui limiti di infiammabilità, si può ricorrere a calcoli che si basano su criteri di additività, partendo dai limiti dei singoli composti. Una regola molto usata è quella di Le Chatelier, nota come "legge dalla miscela". Sostanzialmente la regola ammette che una miscela omogenea di "miscele limite" sia essa stessa una miscela limite. L'equazione è la seguente: 11

15 dove L = limite inferiore di infiammabilità della miscela in aria P 1, P2,... pn = percentuale in volume di ciascun combustibile presente nella miscela, senza aria né gas inerti, cosicché (p 1 + P2 +p n ) = 100% I 1, 1 2,... I n = limiti inferiori di infiammabilità dei componenti individuali. Applicando, per esempio, questa regola ad un gas naturale della seguente composizione: Il limite inferiore della miscela risulta: Con calcoli analoghi si ricava il limite superiore. Ovviamente, dato che il processo di combustione può svolgersi con meccanismi differenti in presenza di più componenti combustibili, i quali reagiscono in modo diverso e si possono influenzare tra loro, il criterio dell'additività deve essere considerato con estrema prudenza, soprattutto quando si tratti di miscele di composti aventi strutture chimiche differenti. 2.3 Limiti di infiammabilità in funzione di temperatura e pressione Temperatura Gas e vapori La temperatura influenza notevolmente le caratteristiche di infiammabilità, in quanto agisce sulla tensione di vapore, sulle velocità di reazione, sui limiti di infiammabilità, sulle velocità di propagazione di fiamma, sulla tendenza all'autoaccensione. 12

16 Solitamente un aumento di temperatura produce un allargamento della zona di infiammabilità, cioè il limite inferiore si abbassa mentre quello superiore si alza. Nella Tabella 2 sono riportati i limiti di infiammabilità dell'etilene in aria, a diverse temperature e a pressione atmosferica; Tab 2 Temperatura, C Li, % vol. Ls,% vol. 25 2, , ,2 58 i risultati sono rappresentati graficamente nella Figura 4. 13

17 Dalla figura si nota che i limiti variano linearmente con la temperatura e che l'effetto si fa sentire soprattutto sul limite superiore. Allargandosi il campo di infiammabilità all'aumentare della temperatura, aumenta anche la quantità di inerte da aggiungere per rendere la miscela non infiammabile. Questo è evidente nella Figura 5, che mostra la penisola di infiammabilità del sistema C2H N 2 a diverse temperature e pressione atmosferica. In questo caso l'azoto diluente passa dal 53,6% a 25 C al 60,8% a 100 C e al 63,5% a 250 C. Da queste penisole di infiammabilità si ricavano le concentrazioni minime di ossigeno alle quali può ancora ottenersi la propagazione della fiamma. Al di sotto di queste concentrazioni di ossigeno (8,3% a 25 C, 7,3% a100 C, 6,5% a 250 C) nessuna miscela etilene - ossigeno - azoto è risultata infiammabile. Polveri La temperatura è un parametro molto importante ai fini dell'infiammabilità di una miscela polvere - aria. La propagazione della fiamma diventa più vigorosa all'aumentare della temperatura e ciò può verificarsi facilmente in un impianto industriale munito ad esempio di forni essiccatori. Le ragioni della più rapida propagazione della fiamma sono: 14

18 La velocità della reazione chimica aumenta con la temperatura; L'effetto di raffreddamento dovuto all'umidità della polvere viene ridotto a più alte temperature; La disperdibilità della polvere viene migliorata al diminuire del contenuto di umidità. La temperatura influisce sulle due fasi della miscela: su quella solida e su quella gassosa. Per quanto riguarda l'effetto sul solido, specialmente se il tempo di riscaldamento è prolungato, vengono notevolmente alterate le caratteristiche di infiammabilità della polvere: può prendere inizio una combustione lenta di materie volatili o un'ossidazione superficiale delle particelle di polvere. In ogni caso la reattività della polvere viene esaltata, in quanto diminuisce la differenza tra la temperatura iniziale e quella di autoinfiammabilità. Sulla fase gassosa la temperatura agisce in duplice modo, preriscaldando il comburente e, a causa della conseguente dilatazione, alterando la composizione della miscela. In altre parole le concentrazioni limite di una sostanza solida in un mezzo gassoso sono date a condizioni ambiente e quindi la concentrazione del solido alla temperatura del fluido non è quella effettiva: per esempio se 50 g di particelle di polvere, il cui limite inferiore di infiammabilità è pari a 60 g/nm 3 sono sospesi in 1 m 3 di aria a 273 C e pressione atmosferica, detta quantità risulta già pericolosa, in quanto rientra nei limiti di esplosività; infatti ricondotte le condizioni del fluido a quelle normali, la concentrazione del solido per unità di volume diventa doppia. La combustione della polvere è più rapida se le particelie vengono preriscaldate e, di conseguenza, la velocità di aumento di pressione può essere più grande che per una miscela fredda; di tutto ciò occorre tener conto nel calcolo della sistemazione dei dispositivi di sfogo dell'esplosione nell'impianto Pressione Gas e vapori Anche la pressione influenza la velocità di una reazione chimica, la velocità di propagazione della fiamma e i limiti di infiammabilità. 15

19 Una diminuzione della pressione risulta in un abbassamento del punto di infiammabilità, anche se i limiti non sono apprezzabilmente influenzati da piccole cambiamenti di pressione. Di conseguenza, liquidi con punto di infiammabilità sopra la temperatura ambiente alla pressione di 1 atmosfera, possono formare miscele infiammabili a pressione inferiore. Pressioni più alte tendono ad allargare il campo di infiammabilità, pressioni più basse a restringerlo. Abbassando la pressione i limiti di infiammabilità si avvicinano fra loro: a livelli di pressione molto bassi la propagazione della fiamma può risultare talmente ostacolata che la miscela diventa non esplosiva. Aumentando la pressione invece, il campo di infiammabilità si estende, soprattutto come conseguenza dell'innalzamento del limite superiore. In pratica tuttavia l'effetto della pressione sui limiti di infiammabilità non è semplice, esso infatti non si esercita sempre nello stesso senso ma è alquanto specifico di ciascuna miscela. Nella Tabella 3 sono riportati i limiti di infiammabilità dell'etilene in aria, a diverse pressioni e a temperatura ambiente; i risultati sono rappresentati graficamente nella Fig.6. 16

20 Tab 6 Pressione, ata L i, % vol. L s, % vol. 5 2, , , ,3 69 Anche in questo caso il campo di infiammabilità si allarga, innalzandosi fortemente il limite superiore; il limite inferiore viene invece scarsamente influenzato. La Fig. 7 mostra le penisole di infiammabilità del sistema C 2 H N 2, determinate a temperatura ambiente e a pressioni di 1, 5, 10, 15, 30, ata. La zona di infiammabilità si restringe a mano a mano che l'atmosfera comburente viene impoverita di ossigeno; i limiti praticamente coincidono quando l'azoto diluente raggiunge concentrazioni pari a 54% in volume, indifferentemente dalla pressione. 17

21 Nella Tabella 7 sono riportate le concentrazioni di ossigeno al di sotto delle quali non si ha più propagazione della fiamma, ricavate dalle penisole precedenti. Tab 7 Concentrazioni minime di ossigeno al di sotto delle quali non si ha più propa gazione della fiamma, a diverse pressioni P, ata , % voi ,55 6,30 Fino alla pressione di 10 ata la concentrazione minima di ossigeno capace di propagare la fiamma è uguale a 8% in volume: mentre al di sotto di questo valore nessuna miscela risulta infiammabile, al di sopra si entra nella zona pericolosa. A pressioni superiori il valore dell'ossigeno minimo, a causa della particolare estensione delle penisole, si ricava in corrispondenza del limite superiore. Polveri La pressione influenza i limiti di esplodibilità di una polvere in quanto agisce sulla fase gassosa: poiché le variazioni di. pressione modificano il volume della miscela, si producono alterazioni della concentrazione della polvere per unità di volume di gas, con spostamento da una zona di concentrazione di sicurezza ad una pericolosa. Se per esempio 50 g di polvere sono dispersi in '/2 m 3 di aria a 10 kg/cm 2 supposto il limite di infiammabilità della polvere pari a 60 g/nm 3, la miscela non rientra nella zona di pericolo, in quanto in condizioni normali la concentrazione reale sarebbe pari a 10 g/nm 3. Analogamente se 25 g di polvere sono dispersi in %2 m 3 di aria ad una pressione di 450 mm Hg (0,59 kg/cm 2 ), la miscela che ne deriva risulta infiammabile, essendo la sua concentrazione effettiva pari a 83 g/nm 3. L'aumento della pressione porta a effetti di entità più rilevante in quanto, pur rimanendo immutata l'azione esplosiva della miscela, caratteristica della quantità di polvere dispersa, il valore assoluto della pressione finale risulta più elevato, giacché esso è costituito dalla somma della pressione iniziale e dell'aumento prodotto durante l'esplosione. 18

22 Per la polvere gli effetti della pressione sui limiti di infiammabilità rapportati alle condizioni normali sono molto meno marcati che per i gas. Il limite inferiore, in special modo, risente ancora di meno di quello superiore le variazioni di pressione. Alcune considerazioni si possono ancora fare tenendo conto dell'energia di accensione e della velocità di reazione. In particolare, l'energia di accensione diventa sempre più grande quanto più bassa è la pressione iniziale della miscela polvere - aria. Per la velocità di reazione si può dire che cresce con l'aumentare della pressione. 19

23 3. Infiammabilità di liquidi 3.1 Limiti di infiammabilità e tensione di vapore Nel caso dei vapori di combustibili liquidi i limiti possono essere espressi oltre che in percentuale in volume, anche in termini di temperatura. La relazione tra limiti di temperatura e limiti di concentrazione è illustrata nell'esempio seguente per l'alcool etilico, i cui limiti di infiammabilità in aria sono 3,3-19% in volume. Alla pressione di 760 mm Hg, il limite inferiore corrisponde ad una tensione di vapore di (760 * 3,3)/100 = 25,08 mm Hg e il limite superiore corrisponde ad una tensione di vapore di (760 * 19)/100 = 144,40 mm Hg. Dalla Figura 8, che riporta la curva della tensione di vapore di alcuni combustibili liquidi in funzione della temperatura, si vede che, per l'alcool etilico, questi due valori della tensione di vapore corrispondono alla temperatura di 12,7 C e 43,3 C, che sono i limiti di infiammabilità espressi in termini di temperatura. In altre parole, se l'alcool etilico liquido entra in contatto con l'aria sotto i 12, i suoi vapori non formano miscele infiammabili (la quantità di combustibile è insufficiente, siamo al di sotto del limite inferiore); analogamente i suoi vapori non formano miscele infiammabili a 20

24 temperature superiori a 44 C (c'è troppo combustibile, siamo al di sopra del limite superiore) supponendo che l'aria sia satura del vapore. Se l'aria non è satura dei vapori di alcool etilico, la miscela può contenere meno del 19% in volume di vapori di alcool ed essere infiammabile. Rispetto alle miscele di combustibili gassosi la valutazione dell'infiammabilità dei vapori in presenza del liquido è più complessa, in quanto le proporzioni relative dei singoli costituenti in equilibrio con il liquido ad una data temperatura, generalmente non sono le stesse della fase liquida. La composizione dei vapori è una funzione della tensione di vapore dei singoli componenti e della loro frazione molare nella fase liquida. Se si assume l'equilibrio liquido - vapore, è possibile stimare la composizione vapore - aria sopra una miscela liquida combinando le leggi di Dalton e Raoult, e quindi valutarne l'infiammabilità mediante la legge di Le Chatelier. L'equazione per una miscela binaria è la seguente: 1/Li = (x1*p1/i1 + x2*p2/12)/(x1*p1+x2*p2) dove x1, x2 = frazione molare dei componenti 1 e 2. Dato che in presenza di più combustibili può esserci un effetto sinergico (il limite della miscela risulta più basso di quello previsto dalla legge di Le Chatelier), il criterio dell'additività deve essere considerato con prudenza, soprattutto quando uno dei costituenti è un vapore tipo etere o acetone capace di dar luogo al fenomeno delle fiamme fredde, oppure quando si tratti di miscele di composti aventi strutture chimiche differenti. 3.2 Punto di infiammabilità e punto di combustione I limiti di infiammabilità dei liquidi sono collegati a due proprietà determinabili sperimentalmente secondo metodi normalizzati. Punto di infiammabilità (flash point) = temperatura più bassa alla quale il vapore sviluppato dal liquido forma con l'aria una miscela che si infiamma sotto l'azione di una sorgente di accensione. 21

25 Punto di combustione (fire point) = temperatura più bassa alla quale il combustibile, scaldato in recipiente aperto, brucia con continuità per almeno 5 secondi in seguito ad accensione. I valori sperimentali del punto di infiammabilità e del punto di combustione dipendono in misura talvolta notevole dall'apparecchiatura utilizzata e dalle modalità seguite nella loro determinazione. Si utilizzano numerosi metodi di analisi, sia perché i punti di infiammabilità delle sostanze liquide variano in un campo molto ampio, sia perché i procedimenti di analisi sono stati codificati in maniera differente in vari paesi. Queste grandezze sono ovviamente importanti dal punto di vista della sicurezza, in quanto consentono di valutare il pericolo di incendio e di esplosione connesso con le operazioni di immagazzinamento, maneggio e trasporto dei liquidi infiammabili. Punto di infiammabilità < 40 C => richieste particolari precauzioni Punto di infiammabilità > C = si perde significato per la sicurezza Il punto di infiammabilità viene utilizzato da produttori e commercianti di prodotti petroliferi per rivelare contaminazioni. Infatti quantità anche minime di sostanze più volatili e infiammabili sono sufficienti ad abbassare notevolmente il punto di infiammabilità di un liquido. Di conseguenza, un basso punto di infiammabilità ad es. di un combustibile per motori Diesel, può indicare contaminazione ad opera di combustibili aventi un punto di ebollizione inferiore, come la benzina. Alla temperatura del punto di infiammabilità la concentrazione dei vapori infiammabili in aria corrisponde approssimativamente al limite inferiore. Riconsideriamo la Figura 8 e scegliamo come esempio il N-decano. il punto di infiammabilità dei N-decano è 46 C e ii limite inferiore di infiammabilità è 0,75% in volume. Alla temperatura di 46 C corrisponde una tensione di vapore di 5,7 mm Hg. Da questo valore si ricava il limite inferiore di infiammabilità del N - decano a pressione atmosferica (760 mm Hg) nel modo seguente: in maniera inversa, conoscendo il limite inferiore di infiammabilità (0,75%) dalla Figura 8 è possibile ricavare il punto di infiammabilità del N-decano (46 C). 22

26 2.3 Punto di infiammabilità di miscele Spesso l'interesse pratico è focalizzato sul punto di infiammabilità di miscele multicomponenti dei seguenti tipi: miscele in cui tutti i componenti sono infiammabili e miscele in cui alcuni componenti non sono infiammabili. Il punto di infiammabilità di una miscela di liquidi non corrisponde necessariamente a quello dei suo costituente a più basso flash point. Se a un liquido di dato punto di infiammabilità ne aggiungiamo un altro con punto di infiammabilità più alto, dovremmo aspettarci, in generale, che il punto di infiammabilità della miscela sia compreso tra quelli dei due liquidi presi separatamente. Frequentemente, invece, la miscela presenta un punto di infiammabilità più basso di quello dei due combustibili. Ciò è dovuto alla formazione di una miscela azeotropica con una tensione di vapore più alta di quella dei suoi costituenti. In tali condizioni si raggiunge una concentrazione di vapori sufficiente per l'accensione ad una temperatura più bassa rispetto ai punti di infiammabilità dei singoli combustibili. Un altro caso importante sui ha con miscele di liquidi classificate come non infiammabili ma che lo possono diventare dopo un certo tempo. Per esempio, è possibile aggiungere sufficiente tetracloruro di carbonio al benzene in modo che la miscela non sia più infiammabile. Tuttavia, ristagnando la miscela in un recipiente aperto, il residuo mostrerà prima un alto punto di infiammabilità, che si abbasserà progressivamente fino ad avvicinarsi a quello del benzene. I componenti non infiammabili solitamente hanno un effetto inibente, nel senso che l'intervallo di infiammabilità della miscela risulterà più ristretto o addirittura annullato. Questa inibizione in fase vapore può avvenire sia con un meccanismo fisico per cui il componente si comporta come un gas inerte (diluizione termica) che chimico. L'effetto inibitore esercitato sulla miscela di vapori in equilibrio con la miscela liquida dipende dalla tensione di vapore del componente non infiammabile rispetto a quella del componente infiammabile. Miscele del secondo tipo si incontrano comunemente nell'industria come pure nel campo della protezione antincendio. 23

27 3.4 Pericoli derivanti dai combustibili liquidi Per valutare i pericoli di un combustibile liquido devono essere conosciute tutte le sue pertinenti proprietà: tensione di vapore, volatilità, densità di vapore, densità di vapore, intervallo di infiammabilità, punto di infiammabilità e punto di combustione. II semplice esempio seguente, mostra gli effetti di alcune di queste proprietà sull'infiammabilità di specifiche miscele vapori - aria. Consideriamo tre bicchieri contenenti cherosene, benzina e JP-4 (un combustibile per aviogetti) in aria a temperatura ambiente (Figura 9). A temperatura ambiente (25 C), una miscela vapore di cherosene - aria, immediatamente al di sopra della superficie liquida contenuta in un bicchiere, non viene accesa avvicinando una fiamma o una scintilla, perché la concentrazione dei vapori è al di sotto del limite inferiore di infiammabilità (il punto di infiammabilità del cherosene è > 45 C, i limiti di infiammabilità 0,7-4,8 % in volume). Alla stessa temperatura, la miscela vapori di benzina - aria, immediatamente sopra la superficie, non può essere accesa da una scintilla, poiché la concentrazione dei vapori è

28 al di sopra del limite superiore di infiammabilità (il punto di infiammabilità della benzina è < -40 C, i limiti di infiammabilità 1,7-7,6 % in volume).una miscela di vapori di JP-4, immediatamente sopra la superficie, è facilmente accesa (il punto di infiammabilità del JP-4 è -13 C, i limiti 1,0-7,0% in volume). Sollevando la sorgente di accensione in prossimità della bocca del bicchiere, la miscela vapori di cherosene - aria non viene accesa, mentre vengono accese quelle della benzina e del JP-4. In altre parole, la tensione di vapore del cherosene è così bassa che miscele infiammabili vapori - aria non sono formate al di sopra del liquido alle ordinarie temperature ambiente; La tensione di vapore della benzina è così alta che miscele infiammabili non sono formate immediatamente sopra il liquido, ma si formano in prossimità della bocca del bicchiere aperto, poiché i vapori vengono diluiti facilmente con l'aria. La tensione di vapore del JP-4 è tale da permettere la formazione di miscele infiammabili sia nel bicchiere che in prossimità dell'apertura. 3.5 Esplodibilità di nebbie L'utilizzazione di liquidi infiammabili è in genere, considerata sicura quando si opera all'aperto, a una temperatura inferiore al punto di infiammabilità. Tuttavia, non a tutti è noto che una nebbia di un solvente liquido in aria può essere infiammabile anche se il solvente è così poco volatile da non essere presente in quantità apprezzabile nella fase vapore. E' pertanto evidente che in presenza di nebbie il punto di infiammabilità non ha significato per quanto riguarda la sicurezza. Dispersioni di gocce in aria possono formarsi nei processi di nebulizzazione di liquidi o nei processi di condensazione dei vapori. Le dimensioni delle gocce nelle nebbie variano da 0,5 a 10 µm. Quando il diametro delle gocce è molto piccolo, il limite inferiore di infiammabilità della nebbia coincide praticamente con quello del vapore, in quanto le gocce vaporizzano completamente prima di essere interessate alla combustione. Molto meno si sa sul limite superiore, in quanto le nebbie "concentrate", non sono uniformi ed è possibile che la fiamma si propaghi soltanto nelle zone di minore concentrazione. 25

29 4. Processi di inertizzazione 4.1 La penisola di infiammabilità La presenza di gas inerti (N 2, CO 2, ecc.) abbassa notevolmente il limite superiore di infiammabilità del combustibile, senza far variare sensibilmente quello inferiore. In tal modo il campo di infiammabilità si restringe sempre più; continuando nell'aggiunta dell'inerte fino a che i due limiti praticamente coincidono, si delimita il "diagramma di infiammabilità" entro il quale tutti i punti corrispondono a miscele la cui composizione permette la propagazione della fiamma; al di fuori tutti i punti corrispondono a miscele non infiammabili. Per comprendere il significato pratico i un diagramma di infiammabilità consideriamo la Figura 10 relativa ad un generico solvente in miscela con aria e azoto diluente. I punti lungo la linea abcd rappresentano miscele costituite solo da aria e solvente. Il punto a corrisponde alla percentuale di 02 nell'aria, i punti b e c sono rispettivamente Li e Ls. Consideriamo il punto d: questa miscela, costituita dal 6% di combustibile e dall'84% di aria, è al di sopra del limite superiore. Se si aggiunge aria alla miscela, la percentuale di combustibile diminuisce; quando si raggiunge il punto c la miscela diventa infiammabile e rimane infiammabile per ulteriori diluizioni con aria fino a 26

30 quando non si raggiunge b; a questo punto la miscela diventa nuovamente non infiammabile. Consideriamo adesso il punto e nella zona B: questa miscela è costituita dal 10% di combustibile, dal 45% di azoto diluente e dal ( ) = 45% di aria. Se si diluisce con aria questa miscela, la sua composizione cambia lungo la retta ea. La miscela diventa infiammabile quando la composizione raggiunge il punto f (7% di combustibile; 30% di azoto diluente; 63% di aria) e rimane infiammabile fino a quando non i raggiunge g, dopo di che diventa ancora non infiammabile. L'ulteriore aggiunta di aria sposta la composizione fino al punto a. Se si desidera diluire la miscela al punto e con aria e nello stesso tempo evitare la zona di infiammabilità, si deve aggiungere azoto fino a quando non si raggiunge la linea ah. A questo punto, l'aggiunta di aria a ogni miscela, la cui composizione giace al di sotto della linea ah, non la rende infiammabile, poiché la composizione non passa attraverso la zona di infiammabilità. 4.2 Concentrazione minima di ossigeno Dalla penisola di infiammabilità è possibile determinare, con semplici considerazioni geometriche, la percentuale minima di ossigeno che consente ancora la propagazione della fiamma (Figura 11). Fig 11 Tutte le miscele che giacciono sulle rette parallele al alto CN del triangolo (ossidante zero) hanno un contenuto costante di ossigeno ( in quanto è costante la somma inerte 27

31 + combustibile); la retta tangente al diagramma di infiammabilità è quella che dà la concentrazione minima di ossigeno. In alcuni casi, quando il diagramma è particolarmente esteso (idrogeno, solfuro di carbonio), l'ossigeno minimo si può avere in corrispondenza del limite superiore. Al di sotto di questo valore critico, nessuna miscela combustibile - aria - diluente, risulta infiammabile. Analogamente a quanto avviene per i gas e i vapori è possibile tracciare diagrammi di infiammabilità anche per le polveri. Nella Figura 12 sono riportate le penisole di infiammabilità del Polipropilene di diversa granulometria e i risultati sono mostrati nella Tabella 8. Tab 8 concentrazione di polvere, mg/l ossigeno minimo, % vol. polipropilene < 25 µ < 44µ <74 µ , 2 16, ,4 14, ,2 11,5 14, , , ,5 14, ,0 11,7 14, ,5 12,2 15, ,0 12,8 15,9 Penisole di infiammabilità del polipropilene: a) < 25 µ; b) < 44 µ; c) <74µ Fig 12 28

32 L'ossigeno minimo necessario per la propagazione della fiamma assume valori diversi a seconda della concentrazione della polvere; percentuali di ossigeno inferiori a quelle sottolineate corrispondono ad atmosfere di tutta sicurezza, nelle quali nubi del materiale a qualsiasi concentrazione di polvere non si infiammano. 29

33 5.Cause d'innesco 5.1 Introduzione Statistiche complete e significative sulle cause delle esplosioni nelle industrie, relativamente alle sorgenti di innesco, non sono facilmente disponibili. I risultati pubblicati da organizzazioni di differenti paesi spesso non concordano perché i dati vengono elaborati su basi differenti. Solo alcuni incidenti vengono esaminati nei dettagli, talvolta anche fino all'identificazione della sorgente di innesco. Gli incidenti minori, che però in altre circostanze avrebbero potuto trasformarsi in rilevanti, raramente entrano nelle statistiche in quanto molto spesso - nell'interesse di un rapido ritorno alla produzione - non vengono effettuati studi dettagliati sull'origine dell'innesco. Molte altre volte non si arriva neanche all'identificazione certa della sorgente: se ne ipotizzano alcune con diverso grado di probabilità e l'incidente viene attribuito a "fonte sconosciuta". Pertanto, l'esame delle statistiche si rivela utile soprattutto per evidenziare il gran numero di possibili sorgenti di accensione. In presenza di una miscela combustibile - aria, compresa entro i limiti di infiammabilità, l'accensione si verifica solo se un volume critico di miscela viene riscaldato sufficientemente per iniziare la reazione a catena di combustione che provoca la propagazione della fiamma. Perché questo si verifichi la sorgente di innesco deve possedere una data temperatura o liberare una data quantità di energia. 5.2 Energia minima di innesco Per accendere una miscela combustibile - aria, compresa entro i limiti di infiammabilità, è necessaria la presenza di un innesco (scarica elettrica, filamento caldo, fiamma, esplosivi solido, ecc.). Tali sorgenti d'accensione differiscono grandemente per quanto riguarda l'energia fornita, l'intervallo di tempo in cui la forniscono e il livello di temperatura raggiunto. L'energia fornita dall'innesco deve essere sufficiente per portare una porzione di miscela alla sua temperatura di autoaccensione e varia con la composizione della miscela come si può vedere nella Fig. 13 che si riferisce all'idrogeno 30

34 Essa è minima in prossimità della concentrazione stechiometrica; inoltre l'energia di accensione aumenta drasticamente in prossimità delle concentrazioni corrispondenti ai limiti di infiammabilità: per ogni valore dell'energia esistono due composizioni che delimitano la regione delle miscele che possono essere accese con tale energia. Compilazioni con dati sull'energia minima di innesco non sono molto numerose in letteratura. La Tabella 9 riporta i dati forniti dalla fonte forse più completa, anche se ormai datata [23]. Tab 9 Combustibile Energia minima di accensione 10-4 J solfuro di carbonio 0, 15 acetilene 0,20 idrogeno 0,20 ossido di etilene 0,87 etilene 0,96 1, 3 butadiene 1,75 ossido di propilene 1,90 metanolo 2,15 propilene 2,82 etano 2,85 etere dimetilico 2,90 propano 3,00 acetaldeide 3,76 metano 4,70 pentano 4,90 benzene 5,50 31

35 5.3 Temperatura di autoaccensione La temperatura di autoaccensione è la temperatura più bassa alla quale una miscela combustibile - comburente deve essere portata perché sia accenda spontaneamente. Al di sotto di questa temperatura, per provocare l'accensione della miscela, si deve usare una sorgente esterna (fiamma, scintilla, filamento caldo, ecc.) mentre al di sopra ciò non è necessario [29]. La temperatura di autoaccensione può essere definita solo tenendo conto del sistema in cui la determinazione viene effettuata. Così, sperimentando in sistemi in flusso, in sistemi statici, in reattori di differenti materiali, ecc. si ottengono differenti temperature di autoaccensione. Per questa ragione, le temperature di accensione non possono essere considerate come valori fondamentali. Per esempio, nella Tabella 10 sono riportate le temperature di autoaccensione di alcuni solventi ottenute con dispositivi sperimentali differenti. I dati sono stati scelti proprio per enfatizzare queste discrepanze. Tab metano etano 515 propano 493 etilene 490 propilene 455 benzene 498 toluene 482 cumene 424 o-xi Iene 464 sti rene 490 ciclopropano 498 ciclopentano 361 cicloesano 246 alcool metilico 386 alcool etilico 363 ossido di etilene 457 ossido di propilene 464 Quando si introduce una miscela infiammabile in un recipiente la cui temperatura è uguale o superiore alla sua temperatura di accensione, la miscela si infiammerà dopo 32

36 un periodo più o meno breve di tempo, noto come "periodo di induzione" o "ritardo al l'accensione". Cioè l'accensione è spontanea, ma non istantanea. II ritardo all'accensione è diverso per differenti miscele e generalmente aumenta al diminuire della temperatura, raggiungendo il suo massimo alla temperatura di accensione. La conoscenza di tale ritardo all'accensione può essere molto importante per quanto riguarda la sicurezza. Così, per esempio, una miscela metano - aria con una temperatura di accensione di 580 C può essere esposta senza rischio ad un getto di gas a circa 1000 C se il tempo di contatto è sufficientemente breve. La temperatura di autoaccensione risente degli stessi fattori che influenzano la velocità delle reazioni in fase gassosa: - Volume del reattore e sua geometria (rapporto superficie/volume) Presenza di inerti (n 2, co 2, vapor d'acqua, ecc.); - Pressione; - Fiamme fredde; - Ritardo all'accensione; - Presenza di additivi (promotori, inibitori); - Effetti superficiali (catalisi); - Stato fisico del combustibile (nebbia, vapore). Così, per esempio, una miscela contenente 1,5; 3,75; 7,65% in volume di pentano in aria si infiamma rispettivamente a 548; 502; 476 C. L'effetto del volume del contenitore è mostrato dall'esempio dei solfuro di carbonio: in un pallone di 200 ml la temperatura di accensione è 120 C; in un pallone da 1 litro è 110 C, mentre in un pallone da 10 litri è 96 C. In un contenitore di quarzo il benzene si accende a 571 C; in un contenitore di zinco a 721'C. Date le notevoli differenze riscontrate dai diversi Autori è buona norma, per garantire il più alto margine di sicurezza, scegliere tra i valori riportati in letteratura, per una data sostanza, quello più basso. Le temperature di autoaccensione di alcune polveri sono riportate nell'appendice B. In generale, e soprattutto in una serie omologa, la temperatura di autoaccensione diminuisce all'aumentare del peso molecolare; questo è illustrato nella Tabella 2 per differenti serie di solventi organici. 33

37 6 Infiammabilità e sorgenti di innesco Dall'esame delle statistiche relative alle esplosioni risulta un gran numero di possibili sorgenti di accensione di diversa energia, durata, ecc.; esse possono essere grossolanamente suddivise [22] come segue. 6.1 Fiamme Le fiamme libere, oltre che quelle dei bruciatori, dei forni e delle torce costituiscono una fonte di innesco molto frequente negli impianti industriali, come dimostra il gran numero di esplosioni ad esse attribuito. Le fiamme prodotte dalla combustione di gas, liquidi o solidi sono potenti e ovvie sorgenti di accensione per cui ben poche ricerche sono state intraprese sulla loro durata e sulle dimensioni minime richieste per innescare una miscela infiammabile. Data la loro ovvia potenzialità come sorgenti di innesco, la conoscenza di tali dati sarebbe inoltre di scarso interesse pratico. Diversi fattori concorrono a rendere le fiamme inneschi efficaci: l'alta temperatura ( C),!'apprezzabile durata, l'estensione del volume che può essere riscaldato simultaneamente, ecc. Una superficie calda, al contrario, può persistere per un tempo più lungo ma la sua temperatura sarà sicuramente inferiore, mentre una scintilla elettrica potrebbe anche avere una temperatura più alta di una fiamma, ma la sua durata è sicuramente minore. Inoltre, con una superficie calda o con una scintilla elettrica, il volume di miscela riscaldato in un istante è sicuramente più limitato. 6.2 Materiali incandescenti La definizione di "scintilla" è piuttosto ambigua e richiede un certo chiarimento. Le scintille elettriche sono quelle che rappresentano una scarica di corrente attraverso l'aria o un altro dielettrico. Esse sono talvolta associate con altri tipi di scintille, per esempio, quelle costituite da frammenti di materiali solidi incandescenti in movimento attraverso l'aria. Questo tipo di sorgente di accensione deve essere considerato una particella calda piuttosto che una vera e propria scintilla. Particelle incandescenti capaci di provocare un'esplosione da polvere possono essere introdotte nelle operazioni di essiccamento se si utilizza il riscaldamento diretto anche 34

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