Progetto PATTO PER L INNOVAZIONE NELL ECONOMIA SOCIALE IT G2 ABR Azione 4.3. Modellizzazione di un sistema di supporto alla creazione d impresa

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1 Progetto PATTO PER L INNOVAZIONE NELL ECONOMIA SOCIALE IT G2 ABR Azione 4.3. Modellizzazione di un sistema di supporto alla creazione d impresa Documento a cura di: Dr.ssa Emanuela d Arielli Dr. Armando Di Luca Dr. Giovanni Tremante Marzo 2006

2 INDICE INTRODUZIONE L ESIGENZA DI UN MODELLO PER LA CREAZIONE D IMPRESA NEL SOCIALE LA STRUTTURA DEL MODELLO PER LA CREAZIONE D IMPRESA LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE DI UN BUSINESS PLAN PER L AVVIO DI UN IMPRESA SOCIALE IL TURORING IN FASE DI START-UP LA COOPERATIVA SOCIALE COME FORMA GIURIDICA RICORRENTE NEL TERZO SETTORE LE COOPERATIVE A MUTUALITÀ PREVALENTE LE AGEVOLAZIONI E LE NOVITÀ IN TEMA DI TASSAZIONE DELLE SOCIETA COOPERATIVE LE COOPERATIVE SOCIALI LA DESTINAZIONE DEL 5 PER MILLE DELL IRPEF A FAVORE DELLE ATTIVITÀ SOCIALI GLI ADEMPIMENTI PER LA COSTITUZIONE DELLE COOPERATIVE NUOVE OPPORTUNITÀ DI INSERIMENTO DEI SOGGETTI SVANTAGGIATI NELLE COOPERATIVE SOCIALI I COSTI DI AVVIO E DI GESTIONE DELLE SOCIETÀ COOPERATIVE RISPETTO ALLE DIVERSE FORME GIURIDICHE REPORT SULLE ESTERNALIZZAZIONI DELLE IMPRESE NEL SANGRO - AVENTINO LA RETE DEGLI SPORTELLI SOCIALI Allegato 1 Modello di Atto Costitutivo e Statuto Cooperative Allegato 2 Modello di Apertura della Partita I.V.A Allegato 3 Modello di iscrizione al Registro delle Imprese Allegato 4 - Modello richiesta di iscrizione presso il registro prefettizio

3 INTRODUZIONE A partire dagli anni ottanta hanno iniziato a diffondersi numerose iniziative private con finalità solidaristiche, sia nei tradizionali ambiti di politica sociale (assistenza, sanità, istruzione, occupazione), sia in altri settori (tutela ambientale, protezione civile, difesa dei diritti umani). Questo fenomeno ha dato origine al terzo settore, chiamato anche privato sociale o settore non profit. Il suo sviluppo è stato favorito anche dalla crisi del welfare state, ossia della capacità dello stato di assicurare assistenza sociale minima ai propri cittadini, e dalla crisi che ha colpito organizzazioni sociali intermedie che promuovevano solidarietà o valori etico/morali (es. sindacati, partiti politici). Per indicare questo nuovo fenomeno sono stati coniati diversi termini: terzo settore, privato sociale e settore non profit. Esso è una realtà di operatori in grado di coniugare, nelle loro attività, i principi di solidarietà e d intraprendenza. Le istituzioni non profit sono definite come enti giuridici o sociali creati per lo scopo di produrre beni o servizi il cui status non permette loro di essere fonte di reddito, profitto o altro guadagno di tipo finanziario per chi o coloro che le costituiscono, controllano o finanziano. In base a tale definizione non si esclude né che dall attività delle non profit si generi il reddito necessario a remunerare il lavoro di chi vi opera, né che l attività di produzione sia accompagnata dalla vendita dei beni e dei servizi prodotti, né che da tale attività si generino redditi, profitti o altri guadagni finanziari 1. L unico vincolo riguarda la non distribuzione degli utili (non distribution constraint) che debbono essere reinvestiti per il perseguimento primario dell organizzazione. In particolare, le cooperative sociali sono nate alla fine degli anni 70 come soggetto in grado di interpretare e rispondere ai bisogni emergenti della popolazione con lo scopo di avvicinare le risposte ai bisogni e di prevenire le situazioni di disagio intervenendo nel territorio. Successivamente, esse sono state riconosciute e regolamentate con la legge 381/1991, che ne ha definito le caratteristiche peculiari, riconoscendone la funzione sociale e definendone gli ambiti operativi, distinguendole tra quelle che si occupano di gestire servizi socio-sanitari, assistenziali ed educativi (cooperative sociali di tipo A) e quelle che hanno lo scopo di inserire socialmente e professionalmente persone svantaggiate, riconoscendone la possibile presenza del volontariato nella base sociale (cooperative sociali di tipo B). Le imprese con finalità non profit sono una particolare tipologia di imprese ma sono pur sempre delle imprese che devono essere gestite in modo ottimale per arrivare al raggiungimento degli obiettivi prefissati. 1 La società cooperativa Mosconi R. Il Sole 24 Ore, 3

4 Gli imprenditori sociali sono quindi una specie particolare di imprenditori che si prefiggono una missione sociale esplicita e centrale che influenza il modo in cui essi percepiscono e valutano le opportunità. La ricchezza è un significato e non il fine degli imprenditori sociali. 1. L ESIGENZA DI UN MODELLO PER LA CREAZIONE D IMPRESA NEL SOCIALE Il modello di creazione d impresa assurge a strumento fondamentale sia per testare la validità di un qualsiasi progetto imprenditoriale rispetto all idea di business ed alla coerenza di tutte le sue componenti, sia per indirizzare in maniera corretta ed efficiente le procedure di avvio d impresa.. In particolare, il modello per la creazione d impresa nel sociale poggia le sua basi e crea, allo stesso tempo, delle sinergie fra quanto emerso nell analisi dei fabbisogni sul territorio Sangro- Aventino e quanto dettato dal modello standard di creazione d impresa. Dall indagine condotta sul territorio sono emersi i seguenti nuovi bacini di consumo strategici, i quali giustificano ed avvalorano la creazione di uno specifico modello per l impresa sociale: I servizi per la vita quotidiana I Servizi a domicilio La Custodia dei bambini La Comunicazione L Assistenza ai giovani in difficoltà e loro inserimento I servizi per il miglioramento delle condizioni di vita Il miglioramento delle abitazioni; la Sicurezza I Trasporti collettivi locali Il Risanamento degli spazi pubblici urbani Il Commercio di prossimità Il Controllo dell energia Lo Sviluppo culturale locale Lo Sport I servizi per l ambiente La Gestione dei rifiuti La Gestione dell acqua La Protezione e conservazione delle zone naturali La Regolamentazione, il controllo dell inquinamento degli impianti I servizi culturali e per il tempo libero Turismo L Audiovisivo La Valorizzazione del Patrimonio culturale 4

5 Considerando, inoltre, che la fase di start-up è quella più difficile ed incerta per l impresa e che le cause di cessazione dell attività durante tale periodo sono imputabili prevalentemente ad un insufficiente o errata attività di tutoraggio e pianificazione, si comprende come standardizzare il processo di creazione d impresa, anticipando la valutazione dei rischi ed i conseguenti meccanismi di aggiustamento possa traslare la curva delle probabilità di sopravvivenza verso l alto, in modo tale che tale probabilità sia fin dall inizio maggiore di zero. 2. LA STRUTTURA DEL MODELLO PER LA CREAZIONE D IMPRESA Un primo indicatore delle potenzialità di successo dell impresa consiste nella c.d. attitudine all imprenditorialità del o dei promotori dell iniziativa, per cui il modello prende avvio proprio dal testing delle capacità imprenditoriali dei soggetti coinvolti nel progetto d impresa. Tale fase consiste in un colloquio fra gli stessi promotori dell idea imprenditoriale e professionisti esperti in creazione d impresa, con o senza l ausilio di un software che utilizzi la c.d. metodologia Delphi. La valutazione finale del grado di attitudine all imprenditorialità si baserà sui seguenti argomenti: 1. Motivazioni alla creazione d impresa; 2. Esperienza tecnica nel settore di riferimento; 3. Conoscenze sulla legislazione specifica del settore di riferimento; 4. Percorso di studi e delle conoscenze in campo manageriale ed amministrativo Una volta valutata la coerenza fra motivazioni, esperienza professionale, capacità manageriali e progetto d impresa dovrà essere effettuata una prima valutazione di massima sul grado di definizione del progetto imprenditoriale, ovvero sulla conoscenza che i promotori hanno in merito a: Gamma dei prodotti/servizi da offrire; Forma Giuridica dell impresa; Investimenti e dimensionamento della struttura produttiva; Localizzazione e logistica; Approvvigionamenti; Fabbisogno finanziario e fonti di copertura. 5

6 Inoltre, dovrà essere verificata la compatibilità fra motivazioni, esperienze ed obiettivi dei potenziali soci, nell ottica di minimizzare le probabilità di insuccesso riferibili alle diversità caratteriali, strategiche e di propensione al rischio dei soggetti coinvolti nel progetto. Il colloquio di valutazione dell attitudine all imprenditorialità può produrre i seguenti esiti: POSITIVO: il progetto ha una valutazione positiva di pre-fattibilità, per cui si può passare alla fase successiva di approfondimento; NEGATIVO MA CON POSSIBILITÀ DI ADATTAMENTO a contesti geografici e/o settori di riferimento diversi, apportando delle modifiche al progetto originario. In questo caso occorre procedere ad una definizione ex novo delle caratteristiche del progetto; NEGATIVO SENZA POSSIBILITÀ DI ADATTAMENTO per cui l unica soluzione è l abbandono del progetto d impresa. In caso di ESITO POSITIVO del primo colloquio, il modello segue la seguente procedura: PRIMA FASE: APPROFONDIMENTO DELL IDEA IMPRENDITORIALE. Tale fase si sostanzia in un secondo colloquio dove le controparti coinvolte sono, oltre all esperto in creazione d impresa, tutti i soggetti che entreranno a far parte dell impresa. Infatti, mentre nel primo colloquio l intervento può essere limitato ad uno o pochi referenti, in questo caso occorre l ausilio di tutti i partecipanti all impresa, in quanto devono essere conferiti all esperto tutti i dati necessari per la successiva predisposizione del Business Plan. SECONDA FASE: REDAZIONE DEL PIANO D IMPRESA In questa fase sarà valutata la fattibilità del progetto d impresa in relazione sia ai dati emersi nel corso del secondo colloquio, sia all analisi del mercato, sia in riferimento alla congruenza finanziaria ed alla profittabilità dell iniziativa. Il piano d impresa può evidenziare i seguenti risultati: ESITO POSITIVO: il progetto è valido sotto il profilo sia economico che finanziario, per cui consente il passaggio alla terza fase ed alla eventuale Formazione correlata alla creazione d impresa ; ESITO NEGATIVO: il progetto risulta debole sotto il profilo economico e/o finanziario, per cui occorre apporre delle correzioni ai presupposti iniziali oppure abbandonare l iniziativa. 6

7 TERZA FASE: TUTORAGGIO ALLO START-UP Se il piano d impresa evidenzia una profittabilità coerente con le aspettative dei proponenti, l impresa può essere effettivamente avviata. In questa fase l impresa dovrà essere assistita in una serie di attività da consulenti ed esperti in diversi settori. Tali attività sono riassumibili in: 1. FORMAZIONE professionale 2. CONSULENZA di marketing finalizzata allo start-up 3. CONSULENZA GESTIONALE finalizzata allo start-up 4. ASSISTENZA nella ricerca di finanziamenti 5. ASSISTENZA per l accesso a INCUBATORI di imprese 6. ASSISTENZA PER L INSERIMENTO IN DATA BASE ON-LINE QUARTA FASE: ASSISTENZA ALLO SVILUPPO DELL IMPRESA. Superata la fase di start-up, l impresa dovrà essere guidata nel processo di sviluppo. FIG. 1 7

8 3. LA STRUTTURA ED IL PROCESSO DI REDAZIONE DEL BUSINESS PLAN Una fase preliminare a quella di redazione del Business Plan riguarda l acquisizione, con l ausilio dei proponenti, dei dettagli del progetto. I dati da approfondire concernono, in particolare: la gamma dei prodotti/servizi offerti; la combinazione dei fattori produttivi, il loro costo per unità di misura e l incidenza percentuale sul prodotto finito di ciascuno di essi; i canali di approvvigionamento ed i costi di trasporto correlati; il processo produttivo e le eventuali fasi concesse in outsourcing; la forma giuridica ed i soci coinvolti; i preventivi di spesa per tipologia di investimento; la localizzazione della sede legale e dell unità produttiva; l ammontare di mezzi propri a disposizione per il progetto; l eventuale possibilità di accesso a capitale di credito ed a garanzie reali o personali. Dopo aver definito puntualmente l idea imprenditoriale l attività di elaborazione del Business Plan si struttura nelle seguenti fasi: 1) Analisi di mercato e redazione del piano marketing. L attività è suddivisa principalmente in due fasi, la prima consistente nell espletamento della ricerca di mercato e nella redazione della relativa relazione di ricerca; la seconda diretta alla definizione del piano di marketing, sulla base delle conclusioni emergenti nella relazione di ricerca. In particolare: a) RICERCA DI MERCATO La ricerca di mercato sarà preceduta dall analisi degli obiettivi di ricerca e dall individuazione delle metodologie di ricerca, normalmente effettuata sulla base di analisi statistiche esistenti, nonché di relazioni, rapporti e osservatori economici redatti da istituti specializzati. L analisi sarà, poi, condotta per macro-aree, studiando le dinamiche rispettivamente: 1. MACROECONOMICHE, ovvero della congiuntura nazionale e, se l oggetto dello studio lo richiede, anche internazionale, a livello economico, politico e sociale, con le relative prospettive di sviluppo. 2. DEL SETTORE E DEL MERCATO DI RIFERIMENTO attraverso l analisi della struttura del mercato e della sua profittabilità. 8

9 3. DELLA CONCORRENZA, attraverso l analisi del numero di imprese concorrenti (sia diretti che indiretti) presenti sul mercato, del grado di concentrazione dell offerta, dei fattori critici di successo ed il benchmarking con le strategie adottate dalle aziende leaders di mercato; 4. DELLA DOMANDA, attraverso l analisi del segmento e del target di riferimento in quanto a numerosità, fattori e abitudini di acquisto, reddito, aspettative, età, istruzione ecc. Sempre nell ambito della ricerca di mercato, in funzione di connessione fra i risultati della ricerca stessa e la successiva fase di stesura del piano di marketing, si andrà ad effettuare l analisi dell impresa e successivamente l analisi S.W.O.T., cioè lo studio incrociato dei punti di forza e di debolezza dell impresa con le opportunità e le minacce emergenti dall analisi del mercato, dove l analisi dei punti di forza e di debolezza comporta l analisi dell impresa sotto il punto di vista organizzativo, gestionale, finanziario, della responsabilità sociale, del livello tecnologico e della competitività. b) PIANO DI MARKETING Sulla base delle conclusioni emerse dalla ricerca di mercato si redige il Piano di Marketing, ovvero quel documento nel quale: vengono riepilogati gli obiettivi aziendali sulla base ed in riferimento ai quali vengono elaborate le opportune strategie; viene definita la politica di marketing mix (politiche di prodotto, prezzo, comunicazione e distribuzione); vengono individuate le risorse da impiegare ed i relativi costi; vengono fissati i punti di controllo dell attività di marketing. 2) Definizione della struttura organizzativa. Sempre in relazione all analisi dell impresa, si andranno ad evidenziare le maggiori criticità strutturali del settore di riferimento ed i riflessi che le stesse hanno sulla struttura organizzativa dell impresa, con la rilevazione delle conseguenti caratteristiche e specifiche tecniche da adottare per il buon funzionamento dell azienda. Tali caratteristiche potranno riguardare, ad esempio: la flessibilità dell apparato tecnico-produttivo, in caso di elevata instabilità e variabilità della domanda; la dotazione di macchinari tecnologicamente avanzati capaci di ottenere lo stesso standard di qualità del prodotto attraverso diverse combinazioni dei fattori produttivi o in modo da generare economie sui costi o sulla produttività; 9

10 la possibilità di trarre dei vantaggi attraverso una corretta politica delle scorte e della gestione del magazzino. La struttura organizzativa sarà analizzata, oltre che dal punto di vista strettamente produttivo, anche sotto il profilo: della suddivisione del lavoro per centri di attività e per modelli organizzativi più congeniali al settore produttivo di riferimento; dell opportunità di outsourcing; della differenziazione verticale dei ruoli e della definizione dei livelli gerarchici; della corretta localizzazione dell unità produttiva. 3) Pianificazione economico finanziaria. La sezione numerica del Business Plan si baserà su previsioni economico-finanziarie proiettate in un arco temporale dai tre ai cinque anni e sarà composta da cinque piani operativi settoriali e da quattro documenti consolidati. Fanno parte dei c.d. Piani Operativi : 1. il piano delle vendite, nel quale viene stimato il fatturato per ciascun esercizio previsionale; 2. il piano della produzione, nel quale viene stimato il costo di produzione dei beni in termini di materie prime (o di acquisto delle merci) per ciascun esercizio previsionale; 3. il piano dei costi generali di produzione, amministrativi e commerciali; 4. il piano del personale, nel quale sono riassunte tutti i costi connessi alle risorse umane impiegate nell azienda; 5. il piano degli investimenti riassuntivo delle spese per immobilizzazioni. A tale piano operativo è connesso il piano degli ammortamenti. I dati provenienti dai singoli piani operativi sono, infine, consolidati e riepilogati in quattro prospetti aventi ciascuno una diversa funzione informativa, ovvero: 1. il Conto Economico previsionale, dal quale emerge la stima dei profitti o le perdite conseguibili; 2. lo Stato Patrimoniale previsionale, che evidenzia le poste di natura sia patrimoniale che finanziaria dell impresa e che può essere successivamente riclassificato in base alla durata delle fonti e degli impieghi per agevolare l analisi dell equilibrio finanziario e della correlazione fra le scadenze relative alle poste dell attivo e del passivo patrimoniale. 3. il Budget di cassa, dal quale si evince la ripartizione temporale delle entrate e delle uscite monetarie, utile al fine della previsione di eventuali tensioni di liquidità; 10

11 4. il Piano di Finanziamento, necessario al fine di prevedere il fabbisogno finanziario complessivo per l avvio del progetto d investimento e per la sua copertura con capitale proprio e di credito. Attraverso tale prospetto si valuta la fattibilità finanziaria del progetto e la congruità con le risorse disponibili. La sezione economica è anche corredata dalla valutazione della redditività del progetto condotta attraverso indici di bilancio e dall analisi dei rischi correlati alla fase sia di implementazione che di gestione dell impresa. FIG. 2 IL PROCESSO DI REDAZIONE DEL BUSINESS PLAN ANALISI DEL MERCATO DI RIFERIMENTO DEFINIZIONE DELLE STRATEGIE E DEGLI STRUMENTI OPERATIVI DI MARKETING DEFINIZIONE DELLA STRUTTURA ORGANIZZATIVA PIANIFICAZIONE ECONOMICO FINANZIARIA PIANO DELLE VENDITE PIANO DELLA PRODUZIONE PIANO DEI COSTI GENERALI PIANO DEL PERSONALE PIANO DEGLI INVESTIMENTI PIANO DI FINANZIAMENTO BUDGET DI CASSA CONTO ECONOMICO PREVISIONALE STATO PATRIMONIALE PREVISIONALE 11

12 4. LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE DI UN BUSINESS PLAN PER L AVVIO DI UN IMPRESA SOCIALE La caratteristica distintiva di un piano d impresa nel c.d. terzo settore consiste, fondamentalmente, nella predominanza del capitale umano rispetto al capitale fisico ed, al tempo stesso alla necessità di qualifiche professionali altamente specializzate, nonché di spiccate doti caratteriali di altruismo, pazienza, dedizione alle persone in difficoltà. La tipologia d impresa sociale più ricorrente è quella di servizi socio-sanitari ed educativi verso i minori, anziani e disabili, prevalentemente con erogazione di assistenza sanitaria domiciliare (Fonte: Progetto O.L.T.RE. Equal Sangro Aventino Azione 3). Al riguardo, si elencano i target più significativi: Servizi per l infanzia distinti, in genere, in due sub-categorie in funzione della condizione o meno di disagio dei destinatari: 1. interventi socio-psico educativi a favore di minori in stato di bisogno e di disagio familiare; 2. servizi per l infanzia a minori non in stato di bisogno. Il target è, inoltre, ulteriormente suddivisibile in tre fasce d età (da 0 a 5 anni, da 6 a 13 anni e da 14 a 17 anni), in virtù delle diverse esigenze ed anche del diverso stadio del ciclo di vita della famiglia associabile ad ognuna di esse. Servizi per gli anziani (generalmente dai 65 anni in sù) distinti nelle seguenti sub-categorie: 1. anziani autosufficienti; 2. anziani parzialmente non autosufficienti o a rischio di emarginazione; 3. anziani non autosufficienti e bisognosi di cure sanitarie. Assistenza ai disabili. In tutti i casi in cui intervenga la necessità di cure sanitarie e di assistenza domiciliare qualificata, occorre che il soggetto imprenditoriale possegga competenze specifiche e/o disponga di personale altamente specializzato ed in possesso della qualifica di Assistente Domiciliare Integrata conseguita attraverso la frequenza di un idoneo corso di formazione e di relativo tirocinio. Crea valore aggiunto al progetto il conseguimento, da parte dei proponenti, di 12

13 studi in psicologia ed esperienze lavorative presso presidi ospedalieri, case di cura ed altre strutture sanitarie. Inoltre, il seguente prospetto riepiloga le tipologie di servizi più frequenti per ciascun target: TIPOLOGIA UTENTI TIPOLOGIA DI SERVIZI Minori. o baby sitting; o baby sitting pre e post scuola; o ripetizioni e doposcuola; o organizzazione di feste ed eventi; o assistenza domiciliare integrata rivolta a minori. Terza età: o cura ed igiene della persona; o aiuto nel governo e la pulizia della casa; o lavaggio e sistemazione biancheria; o accompagnamento ed espletamento disbrigo pratiche; o preparazione dei pasti o consegna pasti a domicilio; o organizzazione di eventi culturali; o accompagnamento negli spostamenti e in città per necessità mediche e personali; o assistenza diurna e notturna per ricoveri ospedalieri; o assistenza domiciliare integrata rivolta ad anziani. Diversamente abili: o servizi, assistenza integrata mediante progetti individuali. 13

14 5. IL TURORING IN FASE DI START-UP La fase di tutoraggio segue, a livello temporale, quella di business planning, in quanto prevedendo una serie di attività complesse relative all effettivo avvio dell impresa, necessitano della preventiva validazione del progetto stesso attraverso il piano d impresa, volto proprio a testarne la fattibilità da un punto di vista sia finanziario che economico. Il tutoraggio si sostanzia nel processo di affiancamento dei promotori dell iniziativa nelle procedure necessarie al corretto inizio dell attività d impresa riassumibili in: FORMAZIONE MANAGERIALE per l amministrazione e la gestione d impresa. Tale formazione è generalmente diretta ai soci ed alle risorse umane che all interno dell impresa assumeranno funzioni di tipo amministrativo-contabile e/o ai responsabili dell area commerciale e verterà, prevalentemente, su materie quali: elementi di diritto commerciale, contabilità, finanza, organizzazione aziendale, marketing, budgeting e controllo di gestione. FORMAZIONE TECNICA specifica per tipologia di settore economico di riferimento dell impresa. Tale formazione è volta a trasferire o ad approfondire le competenze e le conoscenze specifiche del ciclo produttivo e sarà, dunque, destinata a coloro i quali saranno direttamente impegnati nella produzione dei beni e/o nell erogazione dei servizi. CONSULENZA DI MARKETING e COMUNICAZIONE volta, principalmente, ad affiancare l impresa nella elaborazione di una efficace campagna di comunicazione d ingresso sul mercato. Tale consulenza deve essere coerente con le strategie di prezzo, prodotto e distribuzione definite antecedentemente nel piano di marketing e nello stesso Business Plan e deve essere progettata in sinergia fra i soci o i responsabili delle pubbliche relazioni all interno dell impresa e gli esperti in comunicazione. Generalmente, infine, la fase di introduzione sul mercato necessita di investimenti in consulenze di marketing più ampi rispetto alla successiva fase di consolidamento e riguarda almeno le seguenti voci di spesa: o Analisi delle possibilità di differenziazione del prodotto/servizio; o Progettazione del logo, dei cataloghi e dei pieghevoli; o Stampa del materiale pubblicitario; o Progettazione e gestione della campagna di comunicazione. 14

15 CONSULENZA GESTIONALE, sostanzialmente riassumibile nell insieme delle consulenze esterne necessarie per la costituzione e l organizzazione dell impresa, per la gestione del personale e per gli adempimenti civilistici e fiscali. L impresa dovrà, dunque, poter fare riferimento almeno alle seguenti figure professionali: o Un notaio; o Un commercialista; o Un consulente del lavoro. Consulenze che arricchiscono la fase di tutoraggio sono, infine, quelle relative: Alla predisposizione della documentazione necessaria per la richiesta di fidi bancari o di finanziamenti a valere su fondi pubblici (bandi per il sostegno dell imprenditorialità); Alla predispostone della documentazione necessaria per accedere ad incubatori di imprese, ovvero a strutture demandate ad accogliere neo-aziende meritevoli per sostenerle nel raggiungimento dell obiettivo della minimizzazione dei costi fissi (locazione degli uffici, utenze, servizi di sergreteria ecc.) durante tutta la fase di start-up (variabile dai 24 ai 36 mesi). FIG. 3 15

16 6. LA COOPERATIVA SOCIALE COME FORMA GIURIDICA RICORRENTE NEL TERZO SETTORE La forma giuridica più adatta e ricorrente nel terzo settore è quella della Cooperativa sociale. Le cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico e si distinguono in cooperative riconosciute, dette a mutualità prevalente e cooperative diverse che, pur non essendo riconosciute rientrano nella fattispecie della cooperazione. La denominazione sociale deve contenere l indicazione di società cooperativa e la costituzione deve avvenire per atto pubblico. L Atto Costitutivo stabilisce le regole per lo svolgimento dell attività mutualistica e può prevedere che la società svolga la sua attività anche con i terzi. Per la costituzione delle cooperative è previsto un numero minimo di nove soci. Tuttavia, può essere costituita una cooperativa da almeno tre soci (c.d. piccola cooperativa ) quando i medesimi siano esclusivamente persone fisiche e la società adotti le norme della società a responsabilità limitata, anziché quelle previste, in quanto compatibili, dalla disciplina delle Società per Azioni. Il capitale sociale non è determinato in un ammontare prestabilito e l ammissione di nuovi soci non comporta la modificazione dell atto costitutivo. Tale ammissione avviene mediante deliberazione degli amministratori e conseguente annotazione, a cura di questi ultimi, nel libro soci, su domanda dell interessato. Non possono divenire soci della cooperativa i soggetti che esercitano in proprio un attività d impresa in concorrenza con quella della cooperativa. Il valore nominale di ciascuna azione o quota non può essere inferiore a venticinque Euro né superiore, per le azioni, a cinquecento Euro. Inoltre, nessun socio può avere una quota superiore a centomila Euro né tante azioni il cui valore nominale superi tale importo. Ai sensi dell'art quater c.c., qualunque sia l ammontare del fondo di riserva legale, deve essere ad esso destinato almeno il 30% degli utili netti annuali (tale percentuale si riduce al 20% solo per quelle cooperative che non accedano ai benefici fiscali). 16

17 Una quota degli utili netti annuali (attualmente il 3%) deve, inoltre, essere corrisposta ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. La destinazione degli utili non assegnati viene determinata dall assemblea. In particolare, le possibili soluzioni per tale destinazione sono: Assegnazione ad altre riserve o fondi indivisibili per scelta statutaria; Rivalutazione gratuita delle quote possedute dai soci (al tasso di inflazione ISTAT) Dividendi, nella misura e nei limiti dettati dalle leggi speciali; Ristorni. I ristorni corrispondono all equivalente monetario del vantaggio mutualistico che: o Nelle cooperative di consumo si sostanziano nel rimborso del maggior prezzo pagato dal socio rispetto al costo del bene/servizio e che si evidenzia dalla differenza fra il prezzo di vendita ed il costo effettivo di produzione/erogazione; o Nelle cooperative di lavoro si sostanziano nelle somme corrisposte ai soci ad integrazione del minor salario percepito rispetto agli introiti netti della cooperativa. La differenza sostanziale fra gli utili ed i ristorni consiste nel fatto che mentre questi ultimi sono espressione del vantaggio mutualistico, i primi rappresentano la remunerazione del capitale conferito nella società da ciascun socio. Gli organi sociali della cooperativa sono i seguenti: 1. Assemblea (artt c.c.), nella quale hanno diritto di voto coloro che sono iscritti da almeno 90 giorni nel libro dei soci. Ciascun socio cooperatore ha diritto ad un voto, qualunque sia il valore della quota o il numero di azioni possedute. Sono previste assemblee speciali per i possessori di strumenti finanziari. Devono, inoltre, essere previste assemblee separate qualora la cooperativa abbia più di tremila soci e svolga la propria attività in più province oppure quando la stessa abbia più di cinquecento soci e realizzi più gestioni mutualistiche. 2. Consiglio di Amministrazione (art c.c.). La nomina degli amministratori spetta all assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori nominati nell atto costitutivo. La maggioranza degli amministratori deve essere scelta fra i soci cooperatori. 17

18 3. Organo di Controllo (art c.c.). La nomina del Collegio Sindacale è obbligatorio quando: a. il capitale sociale non è inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni; b. per due esercizi consecutivi siano stati superati due dei limiti indicati per le società a responsabilità limitata, ai sensi degli articoli 2477 e 2435-bis 1 comma c.c. (in particolare quest ultimo detta i limiti per la redazione del bilancio in forma abbreviata, che prevede, a sua volta, il possesso, per due esercizi consecutivi, di almeno due dei seguenti requisiti: 1) totale attivo dello Stato Patrimoniale Euro ,00; 2) Ricavi delle vendite e delle prestazioni Euro 6.250,000,00; 3) Dipendenti occupati in media durante l esercizio 50 unità); c. la società emette strumenti finanziari non partecipativi. La società cooperativa si scioglie: 1. per decorso del termine; 2. per il conseguimento dell oggetto sociale; 3. per l impossibilità di funzionamento; 4. per recesso dei soci ex artt quater e 2473; 5. per deliberazione dell assemblea; 6. per le altre cause previste dall atto costitutivo o dallo statuto; 7. per la perdita del capitale sociale. In caso di insolvenza della cooperativa l autorità competente ne dispone la liquidazione coatta amministrativa, precludendone la dichiarazione di fallimento. Tuttavia, le cooperative che svolgono attività commerciale sono soggette al fallimento, il quale provvedimento preclude la liquidazione coatta amministrativa. La disciplina generale in materia di cooperazione è dettata dal codice civile; tale disciplina è, poi, integrata dalle leggi speciali destinate a regolamentare ciascuna specifica categoria di cooperative. 18

19 7. LE COOPERATIVE A MUTUALITÀ PREVALENTE Come anticipato nel paragrafo precedente, le cooperative possono essere classificate in una delle seguenti due categorie: o cooperative a mutualità prevalente; o cooperative diverse (a mutualità non prevalente). La distinzione assume notevole rilevanza in considerazione del fatto che, ai sensi dell'art. 223-duodecies delle disposizioni di attuazione del C.c. e transitorie, soltanto le prime possono fruire delle agevolazioni di natura fiscale previste dalle leggi speciali. A tale proposito va, peraltro, evidenziato che, a seguito delle modifiche al regime di tassazione delle cooperative introdotto dalla Finanziaria 2005, anche a favore delle cooperative a mutualità non prevalente sono previste alcune agevolazioni, sia pure in misura più ridotta rispetto a quanto disposto per le cooperative a mutualità prevalente (l'esenzione da IRES è infatti limitata al 30% dell'utile a condizione che tale quota sia accantonata a riserva indivisibile) 2. Come disposto dall'art c.c., sono considerate cooperative a mutualità prevalente quelle che presentano le seguenti caratteristiche: svolgono l'attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni e servizi (ad esempio, cooperative di consumo); si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento dell'attività, delle prestazioni lavorative dei soci (ad esempio, cooperative di produzione e lavoro); si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento dell'attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci (ad esempio, cooperative agricole). 2 Informativa fiscale SEAC del 31/01/

20 Nel caso in cui si verifichino contestualmente più tipologie di scambi mutualistici (cooperativa "mista"), la prevalenza va verificata applicando la media ponderata dei predetti parametri. Le cooperative sociali che osservano le norme di cui alla Legge n. 381/91 sono considerate a mutualità prevalente a prescindere dal rispetto dei parametri sopra evidenziati. La condizione di prevalenza deve essere documentata, da parte degli amministratori e dei sindaci, nella Nota Integrativa, con l'evidenziazione dei predetti parametri contabili. Inoltre, lo statuto della cooperativa a mutualità prevalente deve prevedere, ai sensi dell'art C.c.: il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di 2 punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato; il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci in misura superiore a 2 punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi; 20

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Legge n 381 del 8 novembre 1991, Disciplina delle cooperative sociali Legge n 381 del 8 novembre 1991, Disciplina delle cooperative sociali Art. 1 (Definizione) 1. Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana

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