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1 Brevi note sul possibile impiego del trust al fondo comune nel contratto di rete Lungo, articolato e ancora incompiuto è stato il percorso legislativo 1 che ha portato al riconoscimento del contratto di rete 2. Lo strumento vuole incentivare, anche con agevolazioni fiscali, la collaborazione produttiva fra imprese che si prefiggono il medesimo obiettivo, pur mantenendo una propria autonomia imprenditoriale 3, ed il fine perseguito dal legislatore può ricondursi a due parole; competitività e sviluppo. Con l ultimo intervento legislativo 4 si è data alle imprese partecipanti al contratto di rete l opzione facoltativa di istituire un fondo comune e un organo comune, specificando che il contratto di rete, anche qualora preveda l organo comune e il fondo patrimoniale: non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater ultima parte 5. Ne risulta uno scenario che profila due soluzioni per gli imprenditori che vogliano dar vita ad una rete: istituire una rete cd. soggetto, ossia dotata di soggettività giuridica e come tale autonomo centro di imputazione rispetto alle imprese partecipanti, oppure optare per la diversa rete cd. contratto che non acquisisce soggettività giuridica. Tuttavia la decisione dipende in larga parte anche dal diverso trattamento tributario previsto, posto che le agevolazioni fiscali sono per la rete-contratto, come ha recentemente chiarito l amministrazione finanziaria 6. La scelta del legislatore di rendere facoltativa la istituzione di un fondo ed organo comune appare comprensibile, non avendo voluto gravare le piccole imprese, che potrebbero ricorrere alla rete solo per dar corso a modeste collaborazioni o scambio di informazioni, di questo onere, lasciando invece ai loro rapporti contrattuali le decisioni in ordine alla gestione delle risorse impiegate. Quando invece il fondo comune diviene scelta condivisa fra le imprese partecipanti, sarà necessario regolamentare e disciplinare una serie di aspetti molto delicati fra i quali: i criteri di valutazione dei beni inizialmente conferiti dai singoli partecipanti alla rete, atteso che possono essere di qualsiasi natura e quindi non solo liquidi ma anche immobili, impianti, macchinari, financo a beni immateriali quali brevetti o marchi; i contributi successivi, prevedendo sia quelli ordinari, sia quelli eventualmente straordinari al ricorre di determinati eventi; le modalità e regole di gestione del fondo. Il punto nevralgico del problema è tuttavia a monte della struttura del fondo e dipende dalla natura stessa del contratto di rete al quale il fondo accede, che è appunto caratterizzata dalla mancanza di soggettività giuridica. 1 La disciplina avente ad oggetto il contratto di rete ha subito una significativa evoluzione legislativa che pare tuttavia non essere giunta al capolinea posto che ancora oggi vengono richieste, segnatamente da Confindustria, ulteriori modifiche. In ogni caso il contratto di rete è stato introdotto con l art. 3, comma 4 ter e ss. del D.L.10 febbraio 2009 n.5 convertito nella L. 9 aprile 2009 n. 33, modificata ed integrata con la L. 23 luglio 2009 n. 99 e con la L. 30 luglio 2010 n. 122, che ha convertito il D.L. n. 78/2010, nonché modificata in forza di L. n. 134/2012 (che ha convertito con modifiche il D.L. n. 83/2012) e il D.L. n. 179/2012 convertito con modifiche dalla Legge 17 dicembre 2012 n. 221, in vigore dal 19 dicembre Per una disamina compiuta si rinvia a P. Zanelli, Reti e contratto di rete, 2012, Padova. 3 Recita il 1 cpv del comma 4-ter dell art. 3 (supra nota 1): Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere individualmente e collettivamente la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica, o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune con una o più attività rientranti nell oggetto della propria impresa. 4 Ci riferiamo al cd. decreto crescita (o decreto sviluppo) bis di cui al D.L. n. 179/2012 convertito con modifiche dalla Legge 17 dicembre 2012 n. 221, in vigore dal 19 dicembre 2012 che ha per altro previsto la possibilità di istituire reti cd- soggetto ossia dotate di soggettività giuridica 5 Si tratta dell art. 36 del decreto legge n. 179 del 2012 che è intervenuto apportando ulteriori modifiche all art. 3 del decreto legge n. 5 del Sul trattamento fiscale del contratto di rete si rinvia da ultimo alla Circolare dell Agenzia delle Entrate n. 20\E del 18 giugno 2013 che fornisce espliciti chiarimenti sul Articolo 3 del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, e successive modificazioni 1

2 Ciò non di meno l opzione di istituire il fondo comune fa sorgere un patrimonio destinato allo scopo della rete e tale fondo diviene logicamente centro di imputazione di diversificati e contrapposti interessi. Se infatti il primo interesse delle imprese partecipanti è quello di garantire al patrimonio del fondo quella sufficiente autonomia tale da far sì che lo stesso risulti affidabile per il ceto creditorio (un criterio dunque con rilevanza esterna in quanto si rivolge ai terzi che entrano in contatto con le imprese partecipanti: gli istituti di credito, i fornitori e i terzi in genere) il secondo interesse, di rilevanza invece strettamente interna, è quello della singola impresa che desidera limitare il proprio rischio a quella fetta di patrimonio che ha destinato al progetto della rete, lasciando indenni i restanti suoi beni. In questo contesto vi è un ultimo tassello, di valenza sostanziale: l opponibilità ai terzi dell esistenza del fondo, inteso quale patrimonio destinato alla complessiva operazione economica oggetto del programma di rete che, in assenza di soggettività giuridica, diviene effettiva solo quando risulta validamente conoscibile. Soccorre in parte il meccanismo della pubblicità essendo prevista, come a tutti noto, solo per determinate categorie di beni (immobili o partecipazioni) lasciando al di fuori, su tutte, il danaro. Consapevole di questo, il legislatore pare offrire due soluzioni: una, parrebbe pratica, l altra di rinvio analogico. La soluzione pratica è data dallo strumento previsto dall art bis, 1 co lett. a cc, che dà vita ad un patrimonio destinato ad uno specifico affare e che gode, in quanto tale, della separazione patrimoniale e opponibilità ai terzi 7. Questa opzione permette senza dubbio di perseguire efficacemente i due obiettivi sopra enunciati: fa acquisire al fondo comune piena affidabilità rispetto ai creditori della rete, divenendo certi che i beni del fondo sono esclusivamente destinati a garantire i loro crediti, per contro assicura alla singola impresa partecipante che il suo restante patrimonio rimane estraneo alle sorti dell affare oggetto del contratto di rete e dunque, se andasse male, non sarebbe chiamata a rispondere con i suoi beni ulteriori. Peccato però che possono avvalersi della disciplina di cui all art bis solo la società per azioni sicchè il problema rimarrebbe irrisolto per le imprese che abbiano altra forma giuridica. Ma non è tutto, se si considera lo scarso successo che ha avuto l art bis nella pratica, in ragione probabilmente di obiettive criticità della sua disciplina specifica. Non è dunque errato dire che l art bis cc sia ad oggi una soluzione rivelatasi poco appetibile sicchè potrebbe essere che anche le società per azioni partecipanti alla rete, pur potendo, scelgano diversamente. La seconda soluzione fornita dal legislatore si rivolge quindi alle imprese partecipanti che non possano (perché non sono spa) o non vogliano (perché ritengono la norma troppo complessa) dar vita al patrimonio destinato di cui all art bis cc e consta nell applicazione analogica al fondo comune degli artt e 2615 che riguardano i consorzi con attività esterna. Ma non è tutto perché il legislatore aggiunge due parole finali: tali norme sono applicate se, ed in quanto, risultino compatibili. Cosa vorrà dire nella pratica compatibili, è questione tutta da vedere e decidere. In prima battuta si potrebbe ritenere che gli artt e 2615 cc saranno applicati se, ed in quanto, il programma enunciato dal contratto di rete (e quindi l operazione commerciale vera e propria che le imprese partecipanti hanno in mente di realizzare) verrà ritenuto compatibile con le attività che possono essere oggetto di un consorzio con attività esterna. L indagine sarà quanto mai delicata e non potrà avere un unica soluzione, obliterabile per qualsiasi contratto di rete, necessitando al contrario di un analisi caso per caso. 7 Per l applicabilità al fondo comune della fattispecie di cui all art bis cc si rinvia allo studio del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, Linee Guida per i Contratti di Rete, marzo 2012, in 2

3 Certo è che la iniziale funzione del consorzio con attività esterna fu essenzialmente aggregativa fra imprese che desideravano limitare gli effetti della concorrenza, dando luogo a contratti di cartello fra gli imprenditori partecipanti. Nel tempo la funzione si è evoluta in consorzi di cooperazione interaziendale volontari il cui scopo condiviso fra i consorziati è stato l'acquisizione di un beneficio mutualistico, e dunque un risparmio di costo, come conseguenza della fruizione del servizio svolto dal consorzio (esempio per l'acquisto della materia prima, la logistica, la distribuzione, la pubblicità, la ricerca, l accesso al credito o quant altro) 8. La realizzazione di questo risparmio per le singole consorziate, presuppone che l'attività economica svolta dal consorzio non miri al conseguimento di un profitto in capo al patrimonio consortile, ma alla fornitura di servizi tendenzialmente al prezzo di costo, tanto che il consorzio con attività esterna è stato spesso analogicamente collegato a figure mutualistiche quali le cooperative 9. Se questo è già sufficiente per comprendere quali saranno le difficoltà del confronto da porre in essere, per altro verso, nel caso in cui il confronto sortisca effetto positivo (e quindi lo specifico contratto di rete verrà ritenuto compatibile al consorzio con attività esterna) ciò comporterà il prodursi sul fondo comune degli effetti previsti dagli artt e 2615 che sono: 1. delle obbligazioni contratte dal singolo partecipante alla rete risponde quest ultimo, con il suo patrimonio, in solido con il patrimonio dell ente; 2. delle obbligazioni contratte dall organo comune, risponde solo il patrimonio dell ente. Va da sé allora che se fondo deve esserci, probabilmente sarà parimenti strategico prevedere anche l organo comune (che si rammenta essere ugualmente organo facoltativo) posto che solo in tale modo, la singola impresa si assicurerà l intangibilità del suo personale patrimonio tutte le volte in cui l obbligazione risulti contratta dall organo comune, anche se nella sostanza è stata contratta nel suo interesse. Ma gli artt e 2615 cc non eliminano comunque il problema della rivalsa interna fra le imprese partecipanti che rimane la spada di damocle. L insufficienza di questa struttura ha portato alcuni studiosi ed operatori pratici a formulare ipotesi alternative, certamente più competitive. Il Comitato Interregionale del Consiglio Notarile delle Tre Venezie 10 ha fornito due soluzioni: 1. ricorrere a conti correnti recanti una intestazione che faccia desumere la destinazione delle risorse in essi depositati al fondo comune, secondo la tecnica comunemente adottata per i titoli di credito facenti parte del fondo patrimoniale fra coniugi di cui all art. 167 cc, oppure, afferma sempre il Consiglio Notarile del nord est: seguendo la procedura prevista per le somme di danaro che sono in trust ; 2. ricorrere alla costituzione di un vincolo di destinazione ex art ter cc, per tutti i beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri. La soluzione è in parte, ma solo in parte, satisfattiva. Il problema più delicato è dato infatti dall art ter cc sulla cui esatta natura si dibatte sin dalla entrata in vigore della norma Marasà, Consorzi e società consortili, Torino, 1990, 80; Volpe, Putzolu, I consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, in Tratt. Galgano, IV, Padova, 1981, COTTINO, Diritto commerciale, I, 2, Padova, Linee Guida ai contratti di rete cit. 11 La norma, in vigore dal marzo 2006 in quanto introdotta con l. n. 51 del 23 febbraio 2006, di conversione del d.l. 30 dicembre 2005 n. 273, recita: 2645-ter (Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche). Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell art. 1322, co. 2, c.c. possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall art. 2915, co. 1, c.c., solo per debiti contratti per tale scopo 3

4 L esegesi della norma è quanto mai ardua e senza dubbio può condividersi la prima impressione che ne ebbe autorevole dottrina sin dal suo avvento quando la definì evidente sintomo del progressivo decadimento della tecnica legislativa 12 : Collocata sistematicamente fra le norme strettamente riguardanti la trascrizione 13, presenta tuttavia elementi di diritto squisitamente sostanziali di specifico contenute precettivo, quali ad esempio la durata del vincolo, la previsione di beneficiari in favore dei quali la destinazione opera, la legittimazione in senso sostanziale all azione di inadempimento. A ciò deve aggiungersi l impossibilità di determinare con assoluta certezza i soggetti ai quali il legislatore abbia inteso rivolgersi posto che se nella prima parte della frase individua persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni prosegue poi allargando lo spettro anche ad altri enti o persone fisiche, ricomprendendo forse chiunque. Viene ad esistenza per il tramite dell apposizione del vincolo su di un bene, una sorta di funzionalizzazione del bene stesso che costituisce il mezzo, attraverso il quale, viene perseguito uno scopo a vantaggio del beneficiario. Ciò implica limitazioni nei diritti di godimento e disposizione del bene in quanto proprio la destinazione delimita i netti confini entro i quali tali diritti possono esplicarsi, offrendo però in contropartita la sottrazione dei beni vincolati, al principio della responsabilità patrimoniale generica ex art c.c., rendendoli aggredibili solo per i debiti contratti nel perseguimento dello scopo stesso. Sin qui la struttura statica della norma (che indubbiamente ricorda struttura ed effetti del fondo patrimoniale e del trust) alla quale si accompagna un profilo latamente e moderatamente dinamico dato dalla possibilità riconosciuta non solo ai beneficiari, ma a qualsiasi interessato, di poter agire per la realizzazione dello scopo. Del tutto carente è invece una regolamentazione propriamente dinamica del rapporto, con particolare riguardo alla natura delle obbligazioni di cui che risulta gravato colui che ha la responsabilità di attuare la destinazione e l impiego dei frutti che possono derivarne. La forma dell atto costitutivo del vincolo è quella dell atto pubblico al quale consegue la trascrizione nei pubblici registri immobiliari che rende pertanto opponibile l effetto più significativo prodotto dalla fattispecie, rappresentato dalla deroga al principio di cui all art cc. Significativa la causa dell atto di destinazione che il legislatore vuole sia portatrice di interessi meritevoli di tutela, indicando espressamente l art cc. La questione sostanziale verte sulla contrapposta interpretazione della norma che, come sempre, non è mai scevra da concreti effetti dal lato pratico. Parte della dottrina ravvisa nell art ter cc un contenuto precettivo e sostanziale tale da aver determinato la nascita di un nuovo atto giuridico, l atto di destinazione 14 mentre altri autrevoli studiosi del diritto civile ritengono che la norma abbia natura esclusivamente accessoria, in quanto norma sugli effetti che vengono a prodursi rispetto al negozio traslativo al quale deve accedere 15. Laddove si accedesse alla tesi che ravvisa nell art ter cc la fonte del nuovo atto di destinazione, automaticamente viene ammessa la destinazione unilaterale del bene e quindi il bene è - e rimane - di proprietà del costituente il vincolo, il quale si limita a dichiarare avanti ad un notaio che da quel momento in poi, la destinazione di quel bene, non potrà che essere diretta al perseguimento dello scopo enunciato in favore di quel beneficiario. 12 G. PETRELLI, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. dir. civ., 2006, II, La norma è collocata nel Libro VI (della Tutela dei Diritti) Titolo I (della trascrizione) Capo I (della trascrizione degli atti relativi ai beni immobili) e quindi nella parte del codice esclusivamente dedicata alla pubblicità immobiliare 14 M. BIANCA, Il nuovo art ter. Notazioni a margine di un provvedimento del Giudice tavolare di Trieste, in Giust. civ., 2006, II, 190; R. FRANCO, Il nuovo art ter c.c., in Not., 2006, 315 e ss.; F. GAZZONI, Osservazioni sull art ter, in Giust. civ., 2006, II,165; G. PETRELLI, La trascrizione degli atti di destinazione, cit M. LUPOI, Gli atti di destinazione nel nuovo art ter c.c. quale frammento di trust, in Riv.not., 2006, 467 e ss; A. PICCIOTTO, Brevi note sull art ter cc: il trust e l araba fenice, in Contr. Impr, 2006, 1314 e ss; G. FANTICINI, i trust nell ordinamento giuridico italiano, certezze e prospettive, in AA. VV., I patrimoni di destinazione, Rimini, 2007; P MANES, La norma sulla trascrizione degli atti di destinazione è dunque una norma sugli effetti, in Contr. e impr, 2006,

5 Proprio in questo scenario giocano un ruolo dirimente i cd. interessi meritevoli di tutela per un ragionamento logico-giuridico facilmente intuibile. Nel diverso caso in cui il costituente ponga in essere un negozio traslativo quale ad esempio una vendita, una donazione, un trust o un negozio fiduciario, entrambi privi di causa tipica 16, l interesse si ravvisa nel programma enunciato (e quindi ogni atto ha la sua causa concreta) che, se ritenuto meritevole di tutela, dispensa dal verificare la meritevolezza degli effetti accessori di natura segregativa che produce. Calando nell ambito dei contratti di rete questa contrapposizione dottrinale, si hanno risultati totalmente diversi per l imprenditore. Nel caso in cui si ritenga che sia sorto un nuovo atto di destinazione puro, l imprenditore partecipante alla rete, potrà semplicemente recarsi avanti un notaio e dichiarare per atto pubblico che l immobile è destinato al perseguimento dello scopo della rete e quindi diviene parte del fondo comune. Il vincolo di destinazione che sorge per effetto di tale dichiarazione è trascritto dal notaio nei PPRRII, e nulla cambia nella pratica per colui che ha apposto il vincolo sul suo immobile. Nel diverso caso in cui si acceda alla seconda tesi, che per inciso è quella ad oggi assolutamente premiata dalla giurisprudenza 17, il vincolo di destinazione ex art ter cc può essere apposto, e assurge al ruolo di mero effetto, solo a latere di un contratto che produca effetti reali (vendita, permuta, donazione, trust etc). Non vi è chi non veda come la soluzione sia del tutto diversa per l imprenditore. L imprenditore dunque, se vuole apporre un vincolo di destinazione sul bene che intende conferire nel fondo (per evitare che i restanti suoi beni siano coinvolti in caso di debiti e per assicurare ai creditori del fondo l efficacia della garanzia) parrebbe debba spogliarsi di questo bene ed in favore di chi, per quanto attiene alla fattispecie del contratti di rete, è questione tutta da vedere. In questa caotica situazione è indubbio che il trust porterebbe ordine, soddisfacendo le diverse esigenze e ponendo rimedio alla criticità prospettate. In primo luogo è ammesso il trust autodichiarato 18, sicchè l imprenditore potrebbe nominarsi trustee del bene immobile, destinandolo al fondo comune, senza doverne trasferire la proprietà ad un terzo. 16 Per il trust si veda su tutti Cass. 16 maggio 2014 n in e per il negozio fiduciario::: 17 Trib. Trieste 22 aprile 2015 decr.n in Trust & Attività Fiduciarie, 2015, 365; Trib. Trieste 22 aprile 2015 decr. n in T&AF, ; Trib. Bari 23 maggio 2014 in Trib. Reggio Emilia 12 maggio Trib. Reggio Emilia 27 gennaio 2014 in ilcaso.it; Trib. Trieste 19 dicembre 2013 in T&AF, 2014, 290 ;Trib. Reggio Emilia 18 dicembre 2013 in ilcaso.it; Trib. Roma 18 maggio 2013 in T&AF, 2014, 181; Trib. Reggio Emilia 22 giugno 2012in T&AF, 2013,57; Trib. Trieste 7 aprile 2006 in T&AF, 2006, In giurisprudenza viene pacificamente ammesso il Trust autodichiarato: Tr. Milano decreto 8 ottobre 2002 in T&AF, 2003, pg. 270; Tr Udine, 4 novembre 2013, in T&AF, 2014, pag. 437; Corte di Appello di Venezia, 10 Luglio 2014, in T&AF, 2015, pag Alcuni oggi potrebbero tuttavia pensare, si ritiene, errando, che sulla scorte di alcune recenti ordinanze della Corte di Cassazione in ambito tributario (Cass. 24 febbraio 2915 n. 3735; 25 febbraio 2915 n in in non sia ammesso per il nostro ordinamento il trust autodichiarato nel quale, com è noto, il disponente si nomina il trustee. Sostiene in proposito il citato giudice di legittimità che il trust autodichiarato: benchè sia denominato trust non ne ha la fisionomia; ne manca difatti uno dei tratti tipicamente caratteristici, ossia il trasferimento a terzi da parte del settlor dei beni costituiti in trust al fine di conseguimento dell effetto, con carattere reale, di destinazione del bene alla soddisfazione dell interesse programmato citando poi a supporto dell art. 2 della Convenzione che, si rammenta, recita: si intendono i rapporto giuridici istituiti qualora dei beni sia posti sotto il controllo del trustee. Proprio in questo stesso passaggio è facile individuare l errore in cui è incorsa la Corte. L obbligo del trasferimento dei beni al trustee con effetti reali, perché di obbligo si tratta, discende dal diritto dei trust stesso e si ritrova nelle specifiche leggi regolatrici che, per altro, ammettono anche il trust autodichiarato (in questo senso la cit. C. Appello Venezia 10 luglio 2014) Col che si vuole dire, forse anche provocatoriamente, che se non fosse ammesso l autodichiarato perché non è nella Convenzione, allora non si dovrebbe dovremmo ammettere nessun trust sorto per effetto di trasferimenti con efficacia reale dei beni al trustee, in quanto nemmeno questo è ammesso dalla Convenzione che al citato articolo 2 parla di beni posti sotto il controllo del trustee. Infatti, spingendo il ragionamento sino al paradosso, se dovessimo ammettere il solo trust che abbia i requisiti di cui all articolo 2 della Convenzione, potremmo ammettere i soli trust nei quali i beni passano sotto il controllo del trustee, rimanendo però di proprietà del disponente: nessun trust interno italiano sarebbe dunque valido. E evidente invece che in forza degli artt. 6 e 8 della Convenzione, che rinviano alla 5

6 Essendo il trust un negozio che pacificamente produce effetti reali soggetti alla trascrizione nei PPRRII, il problema dell art ter cc sarebbe risolto. Analogamente, e pensando ad un progetto più in grande, lo stesso fondo comune potrebbe essere gestito per il tramite di un trust, dove convoglierebbero tutti i beni apportati dagli imprenditori partecipanti alla rete (danaro, altri liquidità, beni immobili, mobili registrati, mobili non registrati, brevetti, marchi etc.) dando vita ad un vero e proprio patrimonio destinato agli scopi della rete: patrimonio che si incrementerà nel corso della durata del contratto di rete in quanto ivi confluiranno anche i contributi in danaro e in natura che successivamente gli imprenditori fossero obbligati ad apportare. La garanzia che ne avrebbero i creditori sarebbe dunque piena, stante il meccanismo della pubblicità verso i terzi alla quale il trustee è tenuto: trascrizione nei PPRRII o iscrizione nei Registri delle Imprese, intestazione dei conti correnti a nome del trustee, cessione degli altri beni mobili con atti aventi data certa in favore sempre del trustee. E chi infine sarebbe questo trustee? Ad esempio l organo comune che, proprio in forza di questi duplicità di ruoli e poteri che gli si assegna, avrebbe piena libertà di portare a compimento l operazione economica prevista, anche rappresentando la rete verso i terzi. La conclusione è dunque semplice: il legislatore ha pensato all art bis cc che altro non è che una forma ibrida di trust. Tuttavia questa norma presenta concrete criticità: in primo luogo la possono fare solo le spa, in secondo luogo è talmente complessa a cavillosa da aver avuto scarse applicazioni pratiche Per chi non potesse o non volesse ricorrere all art bis cc, il legislatore rimette il fondo nelle mani degli artt e 2615 cc se ed in quanto incompatibili con le criticità suddette. Tertium non datur In questo contesto la soluzione del trust potrebbe invece rivelarsi competitiva. Se vi fosse organo comune questo potrebbe essere il trustee, con poteri anche di rappresentanza verso i terzi mentre, per contro, su piccola scala, potrà ricorrere al trust autodichiarato il piccolo imprenditore che, vincolando i soli beni che destina alla rete, così preserva il restante suo patrimonio. In ogni caso occorrerà curarsi con attenzione dei creditori delle imprese partecipanti alla rete secondo due profili radicalmente diversi. Per i creditori già esistenti al momento della costituzione del fondo, occorrerà assicurarsi preliminarmente che il ricorso al trust non sia altro che mero schermo per sottrarre i beni alla loro garanzia 19, per i creditori invece sopravvenuti, in quanto creditori del fondo, occorrerà conferire loro una garanzia così pregnante da rendere più facilitato anche il ricorso al credito bancario. Annapaola Tonelli legge regolatrice scelta dal disponente, la disciplina di questi aspetti, così come è valido il trust istituito dal disponente, trasferendo i beni in proprietà del trustee terzo, è parimenti valido l autodichiarato. 19 Ed oggi ancor più importante questo aspetto visto il nuovo art bis cc e sul punto si rinvia a A. TONELLI, su questa rivista, 2015, 6, 18 6

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