Caratterizzazione di una camera multi-gap per la misura del flusso del fascio in adroterapia

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1 Università degli Studi di Torino Dipartimento di Fisica Tesi di Laurea Magistrale in Fisica Caratterizzazione di una camera multi-gap per la misura del flusso del fascio in adroterapia Candidato: Eleonora Talpacci Relatore: Prof.Roberto Sacchi Anno Accademico 2013/2014

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3 Indice Introduzione 2 1 Adroterapia Proprietà fisiche Interazione di fotoni, elettroni e ioni con la materia Spread Out Bragg Peak - SOBP Proprietà biofisiche Dose Stopping power e LET Proprietà biologiche Alterazioni del DNA RBE (Relative Biological Effectiveness) OER (Oxygen Enhancement Ratio) Modello biofisico LEM (Local Effect Model) Acceleratori per terapia con ioni e protoni Fisica degli acceleratori Tecnologia degli acceleratori Tipi di acceleratori Rivelatori a gas Caratteristiche generali dei rivelatori a gas Risoluzione in energia e fattore di Fano Efficienza Tempo morto Processo di ionizzazione nei gas Meccanismi di ionizzazione Numero medio di coppie di ioni create Trasporto di elettroni e ioni Moltiplicazione a valanga Regimi di funzionamento per rivelatori a ionizzazione Camere a ionizzazione ii

4 2.3.1 Geometria piana Corrente di ionizzazione Tipi di gas Modalità di funzionamento Ricombinazione ionica Ricombinazione iniziale e generale Ricombinazione generale per fasci continui Ricombinazione generale per fasci impulsati Ricombinazione iniziale: teoria di Jaffè Camera a multi-gap Generalità sulla camera a multi-gap Calcolo dell efficienza di raccolta per fasci protonici Gaussiani ad alta intensità Metodo usato per la stima dell efficienza media con fascio Gaussiano Risultati ottenuti Efficienza di raccolta Determinazione dell efficienza di raccolta con la camera doppio gap e relativa incertezza Test della camera multi-gap Architettura del chip TERA Il sistema di acquisizione dati Test all ospedale Mauriziano Configurazione sperimentale Misure di efficienza Test sull uniformità Test al CNAO (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica) Configurazione sperimentale Test efficienza Conclusioni 97 Bibliografia 98 iii

5 Introduzione La radioterapia è una terapia medica che consiste nell utilizzo di radiazioni ionizzanti. Il suo principale obiettivo è il controllo locale del tumore, somministrando una dose sufficientemente elevata per distruggere le cellule tumorali e cercando di trasferire la minor quantità di dose possibile alle cellule sane circostanti [9]. La radioterapia con adroni elettricamente carichi, in particolare protoni e ioni carbonio, ha come vantaggio rispetto alla radioterapia con fasci convenzionali che essendo particelle pesanti presentano un picco di dose stretto alla fine del loro percorso. Questo picco di dose è chiamato Picco di Bragg che ha come vantaggio di poter rilasciare la maggiore quantità di dose nella zona in cui è localizzato il tumore, risparmiando gli organi a rischio circostanti. Ad oggi l adroterapia non è una terapia molto diffusa principalmente a causa degli alti costi necessari per la costruzione di strutture in grado di ospitare macchine acceleratrici di grandi dimensioni. Basti pensare che per ottenere fasci di protoni da MeV occorrono ciclotroni di diametro circa uguale a 4-5 m o sincrotroni di diametro pari a 6-9 m e per avere ioni carbonio da 400 MeV/u si utilizzano sincrotroni da m di diametro, come nel caso del CNAO (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica). A tal proposito negli ultimi anni si stanno facendo degli studi volti alla realizzazione di nuovi acceleratori più compatti che producono fasci pulsati di flusso 100 volte maggiori rispetto ai fasci clinici prodotti dagli attuali sincrotroni e ciclotroni. Per misurare il flusso dei fasci erogati da questa nuova generazione di acceleratori, l INFN in collaborazione con l Università di Torino ha realizzato il prototipo della camera monitor a multi-gap. Questo dispositivo è costituito da tre camere a ionizzazione a facce piane e parallele in serie, ognuna con propri anodo e catodo separati da un gap riempito con azoto (N 2 ). I gap relativi ad ogni camera sono stati progettati di differente ampiezza, in modo tale da avere la possibilità di studiare al meglio l effetto della ricombinazione ionica generato all interno del gas al passaggio della radiazione ionizzante ad alta intensità. Il contributo di questo lavoro di tesi consiste principalmente in: calcolo dell efficienza di raccolta per fasci protonici gaussiani ad al- 1

6 ta intensità tramite una simulazione volta a determinare la migliore configurazione della camera, in termini di tensioni di polarizzazione applicate ad ogni differente gap; test della camera multi-gap per verificarne il corretto funzionamento e la corrispondenza tra l efficienza di raccolta misurata e quella prevista dalle teorie di Boag, tramite fasci di fotoni all ospedale Mauriziano e fasci di ioni carbonio al CNAO. La struttura del seguente elaborato si articola in due primi capitoli compilativi sull adroterapia e sui rivelatori a gas e in due capitoli sperimentali riguardanti il lavoro di tesi svolto. Nel primo capitolo si espongono le fondamentali proprietà che sono alla base dell adroterapia e i principali tipi di acceleratori attualmente utilizzati, o in fase di studio, per generare fasci terapeutici. Nel secondo capitolo si approfondiscono le caratteristiche generali dei rivelatori a gas e in particolare delle camere a ionizzazione. Si tratta inoltre del fenomeno della ricombinazione che è alla base dello studio sull efficienza di raccolta esposto nel terzo e nel quarto capitolo. In particolare nel terzo capitolo si riporta la struttura nello specifico della camera multi-gap e il metodo utilizzato per la stima dell efficienza di raccolta volto a determinare le migliori condizioni di lavoro della camera. Nel quarto capitolo si riportano le modalità con cui sono stati eseguiti i test con la camera multi-gap sia all ospedale Mauriziano sia al CNAO. Con tali test si è voluto verificare il corretto funzionamento della camera analizzando i valori di efficienza di raccolta che si sono ottenuti. 2

7 Capitolo 1 Adroterapia Gli adroni sono particelle costituite da quark ed antiquark legati a coppie o tripletti dalla forza nucleare forte. Gli adroni che vengono utilizzati in radioterapia sono: neutroni, protoni e ioni leggeri (Elio, Carbonio, Ossigeno, Neon). Gli adroni elettricamente carichi e in particolare fasci di protoni e di ioni carbonio consentono un trattamento più conforme al bersaglio tumorale che si vuole raggiungere, risparmiando così i tessuti sani meglio di quanto non sia possibile ottenere con le radiazioni convenzionali attualmente usate in radioterapia. Protoni e ioni, essendo particelle pesanti ed elettricamente cariche, penetrando nella materia rallentano ma non deviano molto dalla direzione iniziale e presentano un picco di dose stretto e alto alla fine del loro percorso (a 25 cm di profondità in acqua per protoni da 200 MeV o ioni carbonio da 375 MeV/u). In particolare protoni e ioni carbonio sono indicati per i tumori che siano vicini ad organi critici che devono essere preservati dalle radiazioni. 1.1 Proprietà fisiche Interazione di fotoni, elettroni e ioni con la materia Quando fotoni di breve lunghezza d onda (raggi X o raggi γ) interagiscono con la materia condensata, gli atomi colpiti rilasciano elettroni dando luogo al fenomeno della ionizzazione. I processi tramite i quali i fotoni rilasciano energia agli atomi della materia sono eventi di natura stocastica: scattering Compton, effetto fotoelettrico e produzione di coppie. La curva di dose rilasciata da un fascio di fotoni, presenta una prima regione di build up seguita da una regione di decadimento esponenziale della dose (Figura 1.1(c)). 3

8 Figura 1.1: Visione schematica della distribuzione dose di fotoni e ioni. (a)fascio di fotoni, (b)fascio di ioni, (c) curve dose-profondità di (a) e (b) lungo l asse centrale del fascio. Lo SOBP (spread-out Bragg peak) è il risultato della somma di diversi picchi di Bragg con fasci di energie differenti Nell esempio riportato in Figura 1.1 si vede che utilizzando fasci di ioni invece di fasci di fotoni, si possono irradiare tumori a qualsiasi profondità rilasciando la minima dose ai tessuti sani. Se la profondità di penetrazione del fascio di ioni coincide con la regione in cui è localizzato il tumore, è possibile conformare la dose con precisione al volume da trattare. I fasci utilizzati sono costituiti da particelle cariche capaci di ionizzare la materia tramite ionizzazione primaria, per questo si tratta di radiazioni direttamente ionizzanti. In meccanica classica, il trasferimento di energia cinetica dalla particella all atomo della materia è inversamente proporzionale alla radice quadrata della velocità v (de/dx 1/v 2 ). A causa della massa piccola, gli elettroni accelerati raggiungono rapidamente velocità tanto elevate da avvicinarsi alla velocità della luce c. Approssimando la velocità degli elettroni v alla velocità della luce c, l energia persa per unità di lunghezza diventa indipendente dall energia (de/dx 1/c 2 ): gli elettroni relativistici depositano una quantità costante di energia per unità di lunghezza (in acqua è circa 2 MeV/cm. La massa piccola rende gli elettroni soggetti a processi di scattering laterale. I fotoni di Bremsstrahlung che sono prodotti dal processo di frenatura degli elettroni da parte del campo generato dai nuclei, provocano una coda di bassa dose alla fine della curva dose-profondità (Figura1.2). 4

9 Figura 1.2: Curve dose-profondità per vari tipi di radiazioni in acqua Per i protoni e gli ioni pesanti, il profilo di dose presenta un valore iniziale rispetto alla dose nel punto di massima penetrazione (Figura 1.1(c) 1.2). Il range è definito come Ein 1 R = de/dx 0 in cui E in è l energia della particella incidente: il range varia con l energia della particella incidente (Figura 1.5). Le particelle di rilevante energia cinetica ( MeV/u) accelerate interagiscono con la materia principalmente tramite forze di Coulomb, provocando eccitazione e ionizzazione di atomi lungo la traccia della particella incidente. Quantitativamente, l energia persa per unitá di percorso per ionizzazione, anche chiamata stopping power, è descritta dalla formula di Bethe-Bloch de dx = Kn 0(Z eff ) 2 /β 2 [ln((2m e c 2 β 2 /I(1 β 2 )) β 2 ] in cui K è una costante, n 0 é la densità elettronica del materiale attraversato, Z eff é la carica effettiva degli ioni incidenti, β é la velocità del proiettile in unitá di velocità della luce (β = v/c), I è l energia media di ionizzazione degli atomi del bersaglio, e m e la massa a riposo dell elettrone. Nel caso di particelle a bassa velocità (v c, e β 1), la formula di Bethe-Bloch può 5

10 essere approssimata come segue de dx Kn 0(Z eff ) 2 /v 2 [ln(2m e v 2 /I)] Sotto tali condizioni, lo stopping power varia principalmente con (Z eff ) 2 /v 2 : diminuendo la velocità dovrebbe aumentare lo stopping power, in realtà non è così perché la particella interagendo con gli atomi della materia perde carica effettiva Z eff. Quando l energia cinetica E = 3Mc 2 (M è la massa della particella), l energia persa è minima. Per velocità ancora più basse, de/dx cresce logaritmicamente. L insieme di tali effetti produce il picco di Bragg nelle curve dose-profondità. Ioni appartenenti allo stesso fascio monoenergetico non vanno incontro allo stesso numero di collisioni: fenomeno di straggling longitudinale. Nel tessuto, il range dei protoni si discosta del 1% rispetto alla media. Per ioni più pesanti, lo straggling varia approssimativamente come l inverso della radice quadrata della massa della particella. Ció significa che ioni di Elio mostrano soltanto il 50% della dispersione dei protoni e ioni di neon il 22%(Figura 1.3). Figura 1.3: Curva di straggling in funzione della lunghezza del percorso per tre tipi di fasci Il protone ( 1 H + ) è volte la massa dell elettrone, per cui una collisione con l elettrone devia a malapena la traiettoria del proiettile. Tuttavia, più deflessioni comportano diffusione laterale o dispersione e quindi divergenza del fascio. Nel caso di fasci di grande sezione l effetto di dispersione è di breve entità, poiché il numero di particelle nel centro del fascio disperse 6

11 fuori vengono compensate con particelle disperse verso l interno. Per quanto riguarda, invece, fasci di sezione piccola la dose centrale decresce con la profondità, in quanto le particelle che si disperdono fuori non vengono ricompensate da altre in ingresso. La dispersione trasversa, dovuta a scattering multipli, decresce con l incremento della carica e della massa. In Figura 1.4 è rappresentata questa correlazione per diversi tipi di ioni. Figura 1.4: Deflessione laterale del fascio in funzione del range Per ioni di elio, l effetto è approssimativamente di un fattore due, per il Carbonio di un fattore 3.5, e per il Silicio un fattore 5 più piccolo dei protoni [1] Spread Out Bragg Peak - SOBP La profondità a cui si trova il picco di Bragg è legata all energia iniziale dei protoni e la sua ampiezza dipende dalla dispersione energetica del fascio. Variando l energia durante l irradiazione in modo ben controllato è possibile sovrapporre molti picchi di Bragg e ottenere una distribuzione di dose uniforme in profondità, chiamata SOBP come viene rappresentato nella Figura 1.7. Dalle curve percorso-energia in acqua equivalente dei protoni e dei vari ioni, riportate nella Figura 1.5, è possibile osservare che, per raggiungere profondità superiori a 25 cm (necessarie per il trattamento di tumori localizzati in profondità) i fasci di protoni devono possedere un ener- 7

12 gia iniziale non inferiore a 200 MeV e i fasci di carbonio devono avere una energia iniziale non inferiore a 400 MeV/u. Per i fasci di protoni, tutte le necessità cliniche possono essere soddisfatte con energie comprese tra i MeV e MeV; questo intervallo energetico corrisponde a percorsi nei tessuti compresi tra i 3 g/cm 2 e i 27 g/cm 2. Figura 1.5: Curve percorso-energie per protoni e ioni di vario tipo [2] Per allargare il picco di Bragg, come avviene in Figura 1.7, ci sono due modalità: Interponendo lungo il percorso del fascio uno spessore variabile (modulatore) di un materiale assorbente, come viene illustrato nella Figura 1.6 (metodo passivo); Modulando l energia del fascio durante l irradiazione (metodo attivo). 8

13 Figura 1.6: Rappresentazione schematica del metodo passivo di espansione del picco di Bragg. Come si osserva chiaramente in Figura 1.6 il sistema passivo consiste in un susseguirsi di filtri: il range modulator allarga il picco di Bragg fino ad ampiezza desiderata, il range shifter sposta il range del fascio alla profondità in cui si trova la lesione tumorale, il collimatore conforma trasversalmente il fascio e il compensatore conforma longitudinalmente il fascio. Tale sistema presenta un notevole svantaggio in quanto non si ha una buona conformazione della dose del fascio nelle zone prossimali, in quanto lo SOBP ha un ampiezza fissa e non può essere modificata durante l irraggiamento. Per questo motivo il metodo attivo risulta essere piú efficace, al prezzo tuttavia di una tecnologia più avanzata. 9

14 Figura 1.7: Grafico della sovrapposizione dei picchi di Bragg (SOBP) In Figura 1.7 vengono mostrate le curve di deposito di dose in profondità che vengono ottenute con una modulazione controllata dell energia del fascio di protoni e di ioni durante l irraggiamento (metodo attivo). Tali curve sono caratterizzate dal plateau e dal picco di Bragg allargato. La coda per gli ioni leggeri, al di là del picco di Bragg, è dovuta alla frammentazione dei nuclei incidenti. I frammenti più leggeri presentano, nella materia, un range maggiore rispetto a quelli degli ioni progenitori a parità di energia e danno quindi luogo ad una coda di dose assorbita oltre il picco. L incremento percentuale della dose in tale regione è legato alla massa dello ione. Per tale ragione non è giustificato l uso di ioni più pesanti dell ossigeno per una terapia completamente conformazionale. La distribuzione della dose in profondità di protoni e ioni, suggerisce un buon utilizzo di tali particelle per la realizzazione di terapie conformi accurate. 1.2 Proprietà biofisiche Dose La dose assorbita è definita come l energia assorbita per unità di massa del bersaglio D = de dm 1Gy = 1 J Kg 10

15 L energia assorbita dal materiale del bersaglio può essere minore dell energia persa dalla radiazione a causa di due principali motivi: Gli elettroni secondari prodotti escono dal materiale, quindi non ionizzano completamente. Gli elettroni secondari con grande range depositano l energia lontano dalla traccia, quindi non ionizzano completamente Stopping power e LET Il LET (Linear Energy Transfer) è una misura dell energia depositata da una particella ionizzante che attraversa la materia. Tale grandezza è strettamente legata allo stopping power. Mentre lo stopping power può essere visto come una proprietà del materiale, dipendente dalla densità elettronica, che descrive l energia persa dal proiettile, il LET descrive l energia assorbita dalla materia. Se venissero considerate tutte le energie degli elettroni secondari, il LET sarebbe numericamente equivalente allo stopping power. Il LET, generalmente espresso in unità di KeV/µm, è stato considerato a lungo come il parametro più rilevante per definire quantitativamente gli effetti biologici di differenti tipi di radiazioni[3]. Tuttavia non è un parametro costante: come la carica e l energia di uno ione proiettile cambiano lungo il percorso, anche il LET varia. La sua dipendenza dalla profondità genera il caratteristico massimo di Bragg. Il massimo valore di LET per i raggi gamma di Cobalto è circa 10 KeV/µm, per i protoni è circa 100 KeV/µm e per gli ioni pesanti è circa 1000 KeV/µm. Anche se il LET non è un buon parametro per descrivere lo spettro completo degli effetti biologici della radiazione, è ancora ampiamente usato per quantificare i danni da radiazione. Le limitazioni del LET risultano essere notevoli quando si confrontano gli effetti biologici in differenti tipi di cellule: per valori di LET maggiori di 100 KeV/µm, si hanno effetti biologici differenti corrispondenti allo stesso valore di LET. Ciò è spiegato dal fatto che l energia degli ioni accelerati viene depositata in singoli pacchetti di dose con densità variabile lungo il percorso di ogni singola particella piuttosto che in modo uniforme in tutto il volume irradiato. Quindi, la densità di dose all interno della traccia di ogni singolo ione del fascio, ovvero il numero di elettroni secondari prodotti, non deve essere necessariamente uguale nonostante gli ioni incidenti producono tracce di elettroni secondari della stessa energia cinetica. La dose depositata cresce al diminuire della velocità (LET 1/v 2 ) e con la radice della carica effettiva (LET Zeff 2 )[1]. Il LET è correlato alla Dose tramite la seguente equazione: Dose(Gy) = LET φ ρ in cui φ è la fluenza (part/cm 2 ), ρ é la densità (g/cm 3 ). Dato che le proprietà fisiche e biologiche dei fasci protonici differiscono notevolmente da quelle 11

16 degli ioni pesanti, l adroterapia può essere suddivisa in terapia con i protoni caratterizzata da basso LET e terapia con ioni pesanti caratterizzata da alto LET. 1.3 Proprietà biologiche Alterazioni del DNA Durante l irraggiamento, le particelle cariche del fascio interagendo con le cellule del tessuto interessato ne alterano il funzionamento tramite processi di ionizzazione. La sopravvivenza alla radiazione di ogni singola cellula colpita, dipende dalla fase del ciclo cellulare in cui si trova: nella fase della mitosi essa risulta essere più radiosensibile (Figura 1.8). Le cellule cancerose risultano essere maggiormente sensibili alla radiazione rispetto alle cellule sane, in quanto si riproducono rapidamente e quindi sono in fase di mitosi. Figura 1.8: Curve di sopravvivenza di ogni singola cellula in funzione delle fasi del ciclo cellulare.[1] In Figura 1.8 le fasi del ciclo cellulare sono riportate in alto rispetto al grafico: con M si indica la mitosi, con G 1 la fase postmitosi, con S la sintesi del DNA, con G 2 la fase premitosi. La dipendenza dalle fasi del ciclo cellulare sembra svanire per fasci di ioni pesanti con valori di LET circa uguali a 200 kev/µm. Le molecole ionizzate sono altamente reattive e sottoposte ad una cascata di mutazioni chimiche che possono portare alla rottura dei legami chimici. Quanto detto può provocare la distruzione di macromolecole come il DNA. Data l importanza del DNA nel funzionamento cellulare, una conseguenza del suo danneggiamento può essere letale per la cellula stessa. Tuttavia, le singole cellule hanno sviluppato sistemi di difesa per proteggere 12

17 il DNA da agenti esterni (raggi UV) e da attacchi interni (ossidazione). Tali sistemi includono anche meccanismi di riparazione del DNA a differenti tipi di danneggiamento: il BER (base excision repair) per riparare danni alle basi, lo SSBR (single-strand break repair) per riparare la rottura di uno dei due filamenti, HR (homologous recombination) per riparare almeno in parte la rottura di entrambe i filamenti (Figura1.9) [7]. Figura 1.9: Rappresentazione schematica dei due possibili danneggiamenti ai filamenti del DNA Dal punto di vista biologico una cellula è in apoptosi se perde la capacità di riprodursi. Questo è un punto fondamentale per pianificare trattamenti radioterapici o adroterapici. Generalmente la sopravvivenza delle cellule è stimata da misure delle curve di sopravvivenza eseguite in vitro con colture cellulari irraggiate, dove la sopravvivenza rappresenta la porzione di cellule che mantiene la capacità di riprodursi dopo l irraggiamento.(figura 1.10). Figura 1.10: Curve di sopravvivenza come funzione della dose somministrata per radiazione a basso LET (raggi X) e radiazioni ad alto LET 13

18 1.3.2 RBE (Relative Biological Effectiveness) Prima dell uso clinico degli ioni accelerati sono stati studiati i loro effetti biologici. Nel 1950 il ciclotrone di Uppsala è stato usato per molti esperimenti riguardanti questo tipo di studi. Larsson e i suoi colleghi fornirono un gran numero di dati radiobiologici di protoni[4]. Studi simili sono stati eseguiti anche in Russia e negli Stati Uniti. Il principale obiettivo di tali esperimenti è stato il confronto dell effetto biologico (biological effectiveness) degli ioni accelerati con l effetto ottenuto dalla stessa dose fisica di una radiazione di riferimento (Raggi X a 250 kv o Raggi gamma di 60 Co): il Relative Biological Effectiveness (Figura 1.11). Il RBE è definito come segue RBE = D x D in cui D x è la dose assorbita di una radiazione di riferimento (raggi X) e D la dose assorbita di qualsiasi altra radiazione. Figura 1.11: RBE (Relative Biological Effectiveness) di un fascio di ioni in funzione del LET. Le frecce tratteggiate indicano un range di LET approssimato per fotoni e diversi ioni. Studi recenti [5] hanno trovato per i protoni un valore di RBE circa uno che sta a significare che per avere un determinato effetto biologico con i protoni occorre avere una certa quantità di dose, confrontabile con quella di riferimento dei fotoni per ottenere lo stesso effetto. Successivamente studi più raffinati hanno ridefinito il valore del RBE per i protoni a basse energie (<1MeV) e ad alte energie (>1GeV) portandolo ad un valore uguale a 2. Un elevato RBE nel Picco di Bragg è stato riscontrato per ioni più pesanti dell elio. Ciò è dovuto all aumento dello stopping power degli ioni accelerati verso la fine delle loro tracce, portando maggiori danni biologici e quindi 14

19 un aumento del RBE nella zona del picco di Bragg. Come mostrato in Figura 1.11, il RBE cresce al crescere del LET fino a valori di KeV/µm e decresce a valori di LET più alti. Tale comportamento viene interpretato come un effetto di overkill, ovvero la somministrazione di dose alla cellula maggiore di quanto necessario per la sua morte OER (Oxygen Enhancement Ratio) L ossigeno agisce come sensibilizzante, rendendo le cellule più suscettibili ai danni da radiazione [6]. Quando le cellule vengono irradiate con fotoni o ioni a basso LET, presentano differenti comportamenti in base alla presenza o all assenza dell ossigeno (Figura 1.12). Figura 1.12: Curve di sopravvivenza delle cellule in seguito all irraggiamento con ioni o raggi X in aria o in azoto L OER della radiazione è il rapporto tra la dose D richiesta per produrre un determinato effetto biologico E in assenza di ossigeno (condizioni anossiche) e la dose richiesta per produrre lo stesso effetto in presenza di ossigeno (condizioni ossiche). OER = D anoxic(e) D oxic (E) 15

20 Studi indipendenti hanno stabilito che il valore dell OER inizia a decrescere a valori di LET 100KeV/µm. Per molti sistemi biologici la dipendenza dall ossigeno della risposta alla radiazione, aumenta fino a valori di pressione parziale di ossigeno pari a 20mmHg. I tessuti normali ben vascolarizzati hanno un pressione 40mmHg. Quindi, dovrebbero essere pienamente radiosensibili nella condizione in cui si considera l effetto dell ossigeno. Nel caso di tumori umani si riscontra l esistenza di cellule ipossiche, ovvero cellule prive di ossigeno a causa della insufficiente vascolarizzazione del tumore. Si dibatte ancora sul significato clinico di tumori ipossici, tuttavia vi sono indicazione che il 12 C possa avere maggiore efficacia in questo tipo di tumori. 1.4 Modello biofisico LEM (Local Effect Model) Il Local Effect Model [13] è un modello biologico, proposto da Scholz e Kraft, fondato sull assunzione che l effetto biologico dell irraggiamento con ioni debba essere determinato localmente, sotto la condizione che si conosca l energia depositata in ogni punto del bersaglio. Tale assunzione può essere fatta in quanto la principale differenza tra irraggiamento con ioni e irraggiamento con fotoni, sta nella diversa modalità con cui l energia ceduta viene distribuita spazialmente: nel caso dei raggi X essa viene depositata uniformemente, mentre nel caso degli ioni presenta un andamento discontinuo. Per calcolare il danno localmente, nel modello si introduce il concetto di dose locale d( r), che è definita come il valore di aspettazione dell energia specifica depositata in un volumetto infinitesimo d r centrato in r. L energia depositata, principalmente responsabile di danni biologici, risulta essere la stessa che ionizza gli atomi del bersaglio. Dato che sia nell irraggiamento con raggi X che nell irraggiamento con ioni, le ionizzazioni avvengono prevalentemente ad opera degli elettroni secondari emessi, é ragionevole ritenere che l effetto biologico provocato da una certa dose locale non dipenda dalla modalità di irraggiamento. Quanto appena detto costituisce la seconda assunzione fondamentale del modello LEM che permette a Scholz e Kraft di utilizzare la curva di sopravvivenza dei raggi X nel determinare l effetto biologico di una deposizione locale di dose, anche se questa è stata rilasciata dal passaggio di ioni e non di fotoni. Il bersaglio biologicamente rilevante è il nucleo cellulare, modellizzato per semplicità come un cilindro di area A nucl ed altezza h nucl, avente l asse parallelo alla traiettoria degli ioni. Si assume che h nucl sia sufficientemente piccolo da poter considerare il LET degli ioni costante durante l attraversamento del nucleo. Si presuppone inoltre che il volume nucleare sia uniformemente sensibile alla radiazione, ossia che non siano presenti siti subnucleari maggiormente sensibili all irraggiamento. Noto l andamento della d( r) associato ad una traccia amorfa (struttura di deposizione energetica in cui si trascura la deposizione discreta), diventa possibile calcolare in ogni punto del bersaglio la dose locale corrispondente 16

21 ad una data configurazione di ioni incidenti, sommando i contributi delle singole tracce (Figura 1.13) Figura 1.13: Schematizzazione del processo di irraggiamento secondo la modellizzazione LEM Il modello deve quindi indicare quale effetto biologico locale corrisponda ad una certa dose locale fornita, avvalendosi della conoscenza della curva di sopravvivenza per i raggi X. Affinché il modello possa essere utilizzato per fornire delle previsioni di sopravvivenza cellulare, occorre specificare quattro tipi di input: L andamento radiale della dose locale associato ad una traccia. Misure sperimentali, simulazioni Monte Carlo e stime teoriche suggeriscono una diminuzione della dose locale depositata proporzionale a 1/r 2 in corrispondenza di un allontanamento pari a r dal centro della traccia. Questo é ritenuto essere valido al di sopra di un raggio minimo r min ed al di sotto di un raggio massimo r max. Per cui: SρL πrmin 2 L(1 + 2 ln(r se r max ij < r min )) r min d(r) = SρL πrij 2 L(1 + 2 ln(r se r max min < r ij < r max )) r min 0 se r ij > r max Le equazioni sopra riportate descrivono l andamento radiale della dose locale riportato in Figura

22 Le caratteristiche degli ioni incidenti. Per generare in modo statisticamente corretto le configurazioni spaziali degli ioni è necessario conoscere l abbondanza delle diverse specie e per ciascuna di esse disporre dello spettro energetico e della relazione che intercorre fra energia cinetica e LET (usualmente fornita dalla formula di Bethe-Bloch). In questo modo, fissata una dose macroscopica D risulta possibile calcolare la fluenza corrispondente: F = ρd LET dove ρ è la densità del nucleo e LET è il LET mediato sulla distribuzione degli ioni. Le dimensioni del nucleo cellulare. Nel fornire una stima della sezione d urto efficace A nucl occorre tener conto del fatto che questa può variare significativamente dal valor medio della sezione geometrica. Infatti la probabilità media P per una cellula di non essere colpita è data da P = n h(σ i )e F σ i i=n dove h(σ i ) è la percentuale di nuclei aventi sezione geometrica σ i e e F σ i rappresenta la probabilità poissoniana di non interazione (F é la fluenza). A causa dell esponenziale, alle sezioni più piccole è attribuito un peso maggiore e quindi la sezione d urto efficace A nucl é data da A nucl = ln( P ) F è sistematicamente inferiore al valor medio delle sezioni. Risulta però una dipendenza di A nucl dalla fluenza, che Scholz e Kraft non considerano dal momento che adottano dimensioni nucleari costanti. La curva della sopravvivenza ai raggi X caratteristica della linea cellulare in esame. Perché possa essere utilizzata dal modello, occorre fornirne una descrizione parametrica. Scholz e Kraft adottano la seguente: { exp( α x D β x D 2 ) se D D t S x (D) = S t exp( s(d D t )) se D > D t Questa espressione segue un andamento lineare-quadratico a basse dosi, raccordato con una dipendenza lineare a dosi maggiori di una dose D t, detta dose di soglia (D t = Gy). S t e s sono definite come S t = S x (D t ) = exp( α x D t β x D 2 t ) s = α x + 2β x D t 18

23 Tale parametrizzazione prevede un andamento puramente esponenziale ad alte dosi. Il numero medio di eventi letali totale si ottiene facendo il seguente integrale dn let = 1 lns x (d( r)) A nucl A nucl A nucl A causa della complessità di risoluzione di questo integrale, l applicazione del modello LEM non risulta così semplice. 1.5 Acceleratori per terapia con ioni e protoni Fisica degli acceleratori Potenzialmente tutta la fisica coinvolta nell acceleratore e nella progettazione del sistema di trasporto del fascio è incorporata nella legge che esprime la forza di Lorentz: F = q E + q v B in cui F è il vettore forza, q la carica della particella, E il campo elettrico e B il campo magnetico. Nel caso di un campo elettrico, la forza è in direzione del campo e la particella viene accelerata nella direzione del moto incrementando la propria energia. Nel caso di un campo magnetico, la forza è perpendicolare sia alla direzione del campo magnetico sia a quella della velocità v. Nel caso appena illustrato siccome la forza è perpendicolare al campo, essa non accelera la particella nella direzione del moto ma in direzione trasversale rispetto al moto iniziale o curva la traiettoria della particella senza cambiare l energia della particella stessa. La tecnologia per guidare delle particelle cariche al paziente coinvolge un sistema di accelerazione di tali particelle e un sistema di curvatura del fascio per colpire in maniera precisa il bersaglio. La dimensione degli acceleratori di particelle dipende dalla legge della forza di Lorentz. Infatti, se risulta necessario cambiare la direzione di una particella, occorre curvare la sua traiettoria. Il raggio di curvatura ρ segue la legge di Lorentz che può essere semplificata come segue B(Kgauss)ρ(m) = P (GeV/c) dove si considera una particella di carica 1C e momento P, la cui traiettoria subisce una curvatura di raggio ρ per opera del campo magnetico B. Particelle di energie terapeutiche devono avere un range massimo di circa 30 cm in acqua. Per i protoni l energia massima necessaria a scopi terapeutici è 200 MeV, mentre per gli ioni è di circa 440 MeV per nucleone. 19

24 Figura 1.14: (a) Grafico della velocità per protoni (curva più in alto) e per ioni Carbonio (curva più in basso)in funzione dell energia cinetica per nucleone. (b)grafico del momento dei protoni (curva più in basso) e degli ioni carbonio (curva più in alto) in funzione dell energia cinetica per nucleone In Figura 1.14 (a), si può notare che si hanno valori di energie per scopi terapeutici a velocità quasi relativistiche [8] Tecnologia degli acceleratori Gli acceleratori sono dispositivi che producono un campo elettrico per accelerare particelle cariche. Il suddetto campo elettrico può essere generato in modi differenti: E db/dt - Le equazioni di Maxwell indicano che un campo magnetico può produrre un campo elettrico. Quanto detto è utilizzato nel betatrone, ma per limitazioni fisiche questa tecnologia è usata solo per particelle di bassa energia. E tensione applicata - La tensione applicata può essere sia in DC che in AC. Tuttavia, per energie cliniche servono tensioni di centinaia di milioni di Volt che sono ottenute impiegando dispositivi di alta complessità ingegneristica. Si può sfruttare il campo elettrico presente all interno di ogni atomo. Quando si accelerano le particelle si possono scegliere due tipi di percorso: si fanno passare le particelle attraverso l acceleratore una sola volta o più volte. Il linac (acceleratore lineare) genera un campo elettrico tale da accelerare le particelle in un percorso lineare e la sua lunghezza è proporzionale all intensità del campo elettrico e all energia guadagnata che si desidera avere. Tuttavia, gli acceleratori lineari non producono campi elettrici talmente elevati da poter avere dei dispositivi compatti. Un modo per ridurre le dimensioni della macchina acceleratrice e ottenere la potenza desiderata, è il riutilizzo del campo elettrico. Per sfruttare il metodo appena descritto si utilizzano macchine circolari come ciclotroni e sincrotroni. Tuttavia, anche 20

25 nel caso di acceleratori circolari le dimensioni devono essere elevate per avere fasci di energia necessaria per scopi terapeutici (250 MeV per protoni e 440 MeV/u per ioni carbonio). Per cercare di ridurre costi e dimensioni, si tende ad usare combinazioni di differenti tipi di macchine acceleratrici. Un esempio di combinazione tra linac e ciclotrone è il cyclinac Tipi di acceleratori Ciclotrone Il percorso che compie una particella carica nel ciclotrone è rappresentato in Figura Figura 1.15: Rappresentazione schematica del fascio e del campo elettrico in un ciclotrone Il ciclotrone è costituito da due elettrodi semicircolari cavi posti all interno di una camera a vuoto cava. La camera è posta tra le espansione polari di un potente dipolo magnetico in modo tale che il campo attraversi il piano su cui giacciono gli elettrodi. Polarizzando gli elettrodi, nello spazio tra i due gusci, si genera un campo elettrico. Il fascio viene iniettato al centro del ciclotrone e accelerato dal campo elettrico. Quando il fascio lascia la regione di campo elettrico, entra nella zona magnetica dove viene curvato di 180 o per poi rientrare nella regione di campo elettrico dove viene accelerato in direzione opposta. La dimensione del ciclotrone si determina in base all intensità del campo magnetico. La frequenza del campo elettrico, necessaria per sincronizzare il tempo di cui ha bisogno la particella per seguire il proprio percorso con la fase del campo elettrico, è data da: ω = qb/m dove ω è la frequenza angolare del campo elettrico, q è la carica della particella, m è la massa della particella e B il campo magnetico. Tale relazione 21

26 indica che, se la massa e la carica sono costanti, allora la frequenza e il campo magnetico sono costanti e indipendenti dall energia della particella. Quando l energia acquisita è massima, il fascio raggiunge il raggio d uscita, per poi essere estratto e inviato alla sala di trattamento. Tuttavia, se l energia cresce abbondantemente, la massa effettiva della particella aumenta a causa degli effetti relativistici, e il campo magnetico o la frequenza non possono più rimanere costanti e la particella rimane all interno del ciclotrone. In questo caso, il ciclotrone può essere costruito con appropriati modelli di campo magnetico per essere isocrono (indipendente dal tempo), o si può modulare la frequenza in corrispondenza dell aumento dell energia. In questo secondo caso le macchine acceleratrici prendono il nome di sincrociclotroni [8]. Sincrotrone Il percorso delle particelle cariche del fascio nel sincrotrone è rappresentato in Figura Figura 1.16: Rappresentazione schematica di un sincrotrone Il sincrotrone è un anello di magneti. Il fascio viene iniettato dall esterno del sincrotrone, per poi percorrere l anello ripetutamente. Per poter mantenere il fascio all interno della struttura accelerante, il campo magnetico deve essere incrementato in intensità all aumentare dell energia della particella; nel sincrotrone, a differenza del ciclotrone, variano sia il campo magnetico che la frequenza del campo elettrico. A causa delle cavità a radiofrequenza usate per accelerare, il sincrotrone genera fasci pulsati. Quando il fascio raggiunge l energia desiderata, viene estratto e inviato alla sala di trattamento tramite opportuni sistemi di trasporto. Il tempo che impiega il fascio a compiere un giro completo dipende dalla velocità delle particelle e dalla loro energia: fasci terapeutici impiegano 1 µs. Per scopi clinici, è vantaggioso avere un fascio ad intensità modulata di lunghezza temporale dell ordine delle centinaia di millisecondi. 22

27 Cyclinac Nel 1993, in parallelo con i lavori del CNAO, TERA propose e sviluppò un nuovo tipo di acceleratore: il cyclinac [9]. Questo tipo di acceleratore ibrido (composizione tra un linac e un ciclotrone) produce fasci di adroni carichi più versatili rispetto a quelli prodotti dai sincrotroni o dai ciclotroni. La prima proposta includeva un ciclotrone da 30 MeV e un linac per protoni con frequenza di 3 GHz (Figura 1.17). Figura 1.17: Rappresentazione schematica del primo prototipo di cyclinac Questo nuovo sistema implica alti gradienti e quindi acceleratori più piccoli. La tecnologia dei cyclinacs consiste in: un sistema di controllo; un ciclotrone; un sistema di trasporto del fascio che porta le particelle estratte dal ciclotrone al linac; un linac che accelera il fascio del ciclotrone fino ad energia richiesta; un sistema di distribuzione del fascio ad alta energia nella sala di trattamento. Il cyclinac produce impulsi lunghi µs separati da 5 ms (Figura 1.18). 23

28 Figura 1.18: Struttura del fascio terapeutico prodotto da un cyclinac Tale sistema ha come vantaggio di poter utilizzare il sistema elettronico del linac per controllare l energia del fascio, rendendolo più flessibile rispetto al fascio di energia fissa ottenuto da un solo ciclotrone. Acceleratore lineare ad alto gradiente Il motivo per cui gli acceleratori lineari non sono mai stati utilizzati fino ad ora in ambiente medico, è la dimensione e la complessità del sistema RF. Tuttavia, un concetto attualmente in esame è quello dell acceleratore ad alto gradiente:dielctric wall accelerator (DWA). I DWA dovrebbero accelerare protoni in un tubo non conduttore alimentato da un sistema di alimentazione ad impulsi, producendo fasci costituiti da brevi impulsi dell energia utile in campo medico con sistemi di controllo, impulso per impulso, dell energia, della dimensione e dell intensità del fascio. I gradienti che si cerca di raggiungere sono di circa 100 MeV/m. Il DWA potrebbe essere montato su un braccio robotico, come il sistema rappresentato in Figura Figura 1.19: Possibile implementazione del DWA Acceleratori laser Alcuni esperimenti dimostrano che é possibile creare un elevatissimo campo elettrico utilizzando un impulso laser ad alta intensità ( W/cm 2 ) e 24

29 brevissima durata ( 100f s). Il laser colpisce un bersaglio sottile surriscaldandolo, con conseguente emissione di elettroni. Quanto descritto genera un campo elettrostatico ( TV/m) che spinge gli ioni e i protoni fuori dal target accelerandoli (Figura 1.20). Figura 1.20: Meccanismo di accelerazione dei protoni tramite sistema laser Da un bersaglio di spessore dell ordine del µm si può ottenere un fascio dell energia necessaria a scopi terapeutici. Uno dei modelli più realistici è rappresentato in Figura Figura 1.21: Modello di un sistema laser Il sistema rappresentato in Figura 1.21 inizia con un laser, il cui fascio luminoso viene deflesso su un gantry ruotante. Su questo gantry è posizionato il target di protoni e un sistema magnetico di analisi in grado di selezionare solo l energia necessaria al trattamento. Tuttavia, i protoni più energetici osservati finora sono di circa 20 MeV, ottenuti con una potenza del laser di W/cm 2 e una lunghezza dell impulso di 320 fs. 25

30 Capitolo 2 Rivelatori a gas 2.1 Caratteristiche generali dei rivelatori a gas La storia della fisica delle particelle elementari e nucleari ha visto lo sviluppo di molti tipi differenti di rivelatori, tutti con la stessa caratteristica in comune: il trasferimento al rivelatore di una parte o di tutta l energia appartenete alla radiazione. Nel caso specifico dei rivelatori a gas, le particelle del fascio cedono energia alle molecole del gas generando fenomeni di ionizzazione. Questo tipo di rivelatori sono costruiti in modo tale che le cariche generate per ionizzazione vengano raccolte sotto forma di corrente Risoluzione in energia e fattore di Fano Per i rivelatori che sono stati progettati per misurare l energia della radiazione incidente, un fattore molto importante è la risoluzione in energia. In generale, la risoluzione energetica può essere misurata inviando al rivelatore un fascio monoenergetico e osservando lo spettro del segnale di risposta. Idealmente ci si aspetta di vedere un picco di δ di Dirac, in realtà invece si osserva un picco con larghezza ben definita, solitamente una Gaussiana. Per questo la risoluzione in energia è espressa in termini della full width at half maximum del picco. Se si indica con E la FWHM, la risoluzione è data dal rapporto E E La risoluzione migliora con energie più alte a causa della natura Poissoniana degli eventi di ionizzazione. Infatti, l energia media richiesta per produrre una ionizzazione è un numero fisso w che dipende solo dal materiale. Per un energia E, quindi, si hanno in media J = E w eventi di ionizzazione: all aumentare dell energia della particella incidente aumentano anche gli eventi di ionizzazione con conseguente minore fluttuazione intorno al valor medio. Per calcolare le fluttuazioni è necessario considerare due casi differenti: il caso in cui l energia viene parzialmente assorbita dal rivelatore e il caso in 26

31 cui viene totalmente assorbita. Per il primo caso la varianza è data dalla distribuzione di Poisson e quindi la risoluzione σ 2 j = J = E ω R = E w E = 2.35 E in cui il fattore 2.35 si riferisce alla deviazione standard della Gaussiana rispetto alla sua FWHM. Nel caso in cui tutta l energia della particella incidente viene assorbita dal rivelatore, non si può assumere valida la statistica di Poisson poiché l energia depositata risulta sempre essere un numero fisso, a differenza del caso precedente in cui poteva subire fluttuazioni. Fano fu il primo a calcolare la varianza sotto questa condizione σ 2 = F J dove F è il fattore di Fano. Quest ultimo è funzione di tutti i processi legati al trasferimento di energia in un rivelatore. La risoluzione di energia risulta essere quindi F w R = 2.35 E Se F=1, la varianza diventa la stessa che avevamo ottenuto nel caso precedente dove era valida la statistica di Poisson. Nei gas si osserva che il fattore di Fano è minore di 1 così che gli eventi di fluttuazione risultano essere minori rispetto alla statistica Poissoniana Efficienza Quando si parla di rivelazione delle radiazioni, si possono distinguere due tipi di efficienze: efficienza geometrica ed efficienza intrinseca. L efficienza di rivelazione è il rapporto tra gli eventi registrati dal rivelatore e gli eventi emessi dalla sorgente. E = eventi registrati eventi emessi Questa è funzione della geometria del rivelatore e della probabilità di interazione delle particelle incidenti con la materia. L efficienza assoluta può essere divisa in due parti: efficienza intrinseca E int ed efficienza geometrica E geom. Quindi l efficienza assoluta può essere scritta come E = E int E geom Singolarmente l efficienza intrinseca é data dal rapporto tra gli eventi registrati e gli eventi che interagiscono con il rivelatore. E int = eventi registrati eventi reali 27

32 L efficienza intrinseca dipende dalla sezione d urto d interazione tra il fascio incidente e il mezzo del rivelatore, dal tipo di radiazione, dalla sua energia e dal materiale di cui è costituito il rivelatore. Per quanto riguarda particelle cariche, l efficienza intrinseca è generalmente elevata, poiché è raro che le particelle cariche non producono alcun evento di ionizzazione. Per ioni di atomi pesanti (bromo, iodio etc), invece, l effetto di quenching (assorbimento di energia da parte di molecole (quenchers) con elevato grado di libertà vibrazionale) può bloccare qualsiasi fenomeno di ionizzazione, quindi l efficienza è meno buona. Riguardo all efficienza geometrica si può dire che talvolta è difficile stimarla, per cui si ricorre a simulazione numeriche Monte Carlo [10] Tempo morto In tutti i rivelatori c è un tempo minimo che intercorre tra un evento e l istante in cui il rivelatore è pronto per registrare l evento successivo. Questo intervallo si chiama tempo morto. Molte volte può succedere che un evento può andare perduto poiché troppo vicino all evento successivo. Queste perdite influenzano i conteggi osservati e falsano la distribuzione tra due eventi consecutivi. Si possono prendere in considerazione due diversi modelli per poter stimare l effetto del tempo morto sui conteggi: paralyzable e unparalyzable. Il comportamento dei due modelli è rappresentato in Figura 2.1 Figura 2.1: Schema dei due modelli relativi al comportamento del tempo morto In entrambi i modelli si considera τ un valore fisso di tempo morto. Nel modello paralyzable, l arrivo del secondo evento durante il periodo τ provoca un prolungamento del tempo morto di un altro periodo τ, perdendo tutti gli eventi che cadono in questo lasso di tempo. Per quanto riguarda il modello unparalyzable, gli eventi che capitano nel periodo di tempo τ non vengono 28

33 contati, ma ciò non influenza il comportamento del rivelatore come nel caso precedente. Considerando inizialmente il caso del modello paralyzable, si può definire m il numero dei conteggi reali per unità di tempo e con k il numero dei conteggi registrati dal rivelatore in un tempo T. Durante il periodo morto τ si perde una quantità di conteggi pari a mkτ. Quindi, l equazione che regola il numero dei conteggi è mt = k + mkτ Risolvendo, si ottiene che il numero reale di conteggi è dato da m = k/t 1 (k/t )τ se τ 0, m = k Per quanto riguarda il modello unparalyzable bisogna T considerare che solo alcuni degli eventi che arrivano fuori dal tempo morto vengono registrati. Sapendo che la distribuzione degli intervalli di tempo è data da P (t) = 1 m exp( mt) la probabilità che t > τ è P (t > τ) = 1 m mτ exp( mt)dt = exp( mτ) Quindi, il numero dei conteggi osservati in un tempo T è dato da k = mt exp( mτ) (2.1) Per trovare il valore reale di m, l equazione 2.1 deve essere risolta numericamente. In Figura 2.2 è raffigurato il comportamento dell equazione 2.1, in cui si può vedere che la funzione raggiunge un massimo a m = 1/τ per poi decrescere ancora. Ciò significa che per un dato valore di conteggi osservati k/t, ci sono due corrispondenti soluzioni di m. Occorre, quindi, prestare attenzione per distinguere le due [11]. 29

34 Figura 2.2: Comportamento dei conteggi osservati rispetto al numero reale degli eventi 2.2 Processo di ionizzazione nei gas Il funzionamento dei rivelatori a ionizzazione, è basato sulla raccolta diretta di ioni generati per ionizzazione. Quando una particella carica attraversa un mezzo gassoso, interagisce con le molecole di gas causando ionizzazione primaria ed eccitazione delle molecole che si trovano lungo la traccia della particella. Se l energia rilasciata dalla particella è maggiore del potenziale di ionizzazione del gas attraversato, si forma una coppia di cariche che iniziano a muoversi in direzione opposta per effetto del campo elettrico presente nel rivelatore. Ciò che viene prodotto dal dispositivo è un segnale elettrico che può essere letto da un apposito sistema di misura. Attualmente, questo tipo di dispositivi sono usati raramente in esperimenti nucleari, ma vengono utilizzati per esempio per monitorare fasci terapeutici. Ci sono diverse varianti di rivelatori a ionizzazione a gas che si sono sviluppati negli anni: camera a ionizzazione, MWPC (Multi-Wire Proportional Chamber), drift chamber, TPC (Time Projection Chamber ) Meccanismi di ionizzazione Il rilascio di energia della particella carica alle molecole di gas è dovuto principalmente a due tipi di reazione: eccitazione e ionizzazione. L eccitazione di un atomo X è data dalla reazione X + p X + p dove p è una particella carica. Si può, quindi, definire l eccitazione come un tipo di reazione risonante che richiede una specifica quantità di energia. La 30

35 sezione d urto di questo processo è dell ordine di σ = cm 2. Le molecole eccitate possono partecipare ad altri tipi di reazione come la ionizzazione. La reazione che regola il processo di ionizzazione è X + p X + + p + e Questo tipo di reazione non richiede una precisa quantità di energia, infatti la sezione d urto è maggiore rispetto al caso precedente σ = cm 2. Tuttavia il processo di ionizzazione ha una soglia di energia piuttosto alta e poiché eventi di bassa energia sono più probabili, il processo di eccitazione è in genere dominante. Gli elettroni e gli ioni creati in primo luogo al passaggio della radiazione sono chiamati ionizzazione primaria. Una parte dell energia viene trasferita agli elettroni (raggi δ) che andranno poi a generare fenomeni di ionizzazione secondaria anche a grande distanza dalla traccia Numero medio di coppie di ioni create Il numero delle coppie di ioni generate per ionizzazione da due particelle distinte ma identiche non è mai uguale a causa della natura aleatoria degli eventi. Bisogna considerare, inoltre, che per una data energia persa non ci si può ricondurre al numero di coppie formate semplicemente dividendo la suddetta energia per l energia di ionizzazione, poiché occorre tenere in considerazione i processi di eccitazione. Per i gas la media delle coppie formate risulta essere dell ordine di 1 ione-elettrone ogni 30 ev di energia persa, cioè una media di 100 coppie per particelle da 3 KeV. E importante sottolineare che tale valore non varia sensibilmente né rispetto al tipo delle particelle né al tipo di gas. Nella tabella seguente sono riportate le caratteristiche di vari gas. Potenziale di eccitazione Potenziale di ionizzazione Energia media per la creazione (ev) (ev) della coppia ione-elettrone(ev) H He N O Ne Ar Kr Xe CO CH C 4 H Trasporto di elettroni e ioni Per i rivelatori a ionizzazione è molto importante studiare il moto degli elettroni e degli ioni nel gas, poiché può influenzare le caratteristiche di funzionamento. Nella maggior parte dei casi, questi moti seguono la teoria della 31

36 cinetica classica dei gas, ove sono descritti due fenomeni di fondamentale importanza: il moto di diffusione e il moto di deriva. Diffusione In assenza di campo elettrico, gli elettroni e gli ioni liberati al passaggio della radiazione, diffondono uniformemente partendo dal loro punto di creazione verso l esterno. Durante tale processo ioni ed elettroni subiscono molteplici collisioni con le molecole di gas, perdendo parte della propria energia. Inoltre, collisioni tra ioni positivi e negativi può dare luogo ad eventi di ricombinazione: l elettrone viene catturato dallo ione positivo, ritornando allo stato neutrale di carica. Alternativamente, lo ione positivo collide con lo ione negativo, la cui carica negativa in eccesso va a neutralizzare lo ione positivo e viceversa. In entrambi i casi la coppia di ionizzazione va perduta e non contribuisce al segnale registrato dal rivelatore[11]. All equilibrio termico, la velocità delle particelle è descritta dalla distribuzione di Maxwell che fornisce la velocità media 8kT v = πm in cui k è la costante di Boltzmann, T è la temperatura e m la massa della particella. Ovviamente, la velocità media degli elettroni è maggiore rispetto a quella degli ioni, data la loro massa inferiore. A temperatura ambiente, la velocità media degli elettroni é di circa 10 6 cm/s mentre quella degli ioni è circa uguale a 10 4 cm/s. Dalla teoria cinetica, la distribuzione lineare delle cariche generate in un punto dopo un tempo di diffusione t è approssimata ad una distribuzione Gaussiana dn dx = N ) 0 exp ( x2 4πDt 4Dt dove N 0 è il numero totale di cariche, x la distanza dal punto di creazione della coppia e D il coefficiente di diffusione. La deviazione standard è data da σ(x) = 2Dt Il coefficiente di diffusione D è un parametro che può essere calcolato tramite la teoria cinetica dei gas, da cui risulta D = 1 3 vλ in cui λ é il libero cammino medio degli elettroni o degli ioni all interno del gas. Per un gas perfetto λ = 1 KT 2 σ 0 p 32

37 dove σ 0 è la sezione d urto totale di un interazione con una molecola di gas e p la pressione del gas. Sostituendo le espressioni di v e di λ si ottiene D = (KT ) 3 π pσ 0 m Moto di deriva e mobilità ionica In presenza di un campo elettrico, gli elettroni e gli ioni liberati dalla radiazione vengono accelerati lungo le linee di campo elettrico rispettivamente verso l anodo e il catodo. Questa accelerazione è interrotta dalla collisione con le molecole di gas che limita la massima velocità. La velocità media che raggiungono ioni ed elettroni chiamata velocità di deriva, risulta proporzionale al campo elettrico u = µe dove µ è la mobilità ionica ed E il campo elettrico. Per gli ioni positivi la velocità di deriva dipende linearmente da E/p, fino a campi elettrici elevati. A pressione costante la mobilità µ si considera costante. Per gas ideali, in cui le cariche in movimento restano in condizione di equilibrio termico, la mobilità può essere espressa in relazione alla costante di diffusione D µ = kt e (2.2) L equazione 2.2 è conosciuta come l equazione di Einstein. Per quanto riguarda invece gli elettroni, la mobilità è maggiore rispetto agli ioni positivi ed è funzione di E. A valori di velocità circa uguali a 10 6 cm/s, corrispondenti ad un campo elettrico dell ordine di 1 kv/cm, si raggiunge la saturazione. La figura Figura 2.3 mostra l andamento della velocità di deriva degli elettroni in funzione del campo elettrico applicato in differenti miscele gassose. 33

38 Figura 2.3: Andamento della velocità di deriva degli elettroni in funzione del campo elettrico applicato in due differenti miscele gassose Moltiplicazione a valanga La moltiplicazione, nei rivelatori a gas, avviene quando gli elettroni generati per ionizzazione primaria accelerano e acquistano abbastanza energia da poter ionizzare a loro volta le molecole del gas. Gli elettroni secondari producono a loro volta elettroni per ionizzazione e così via. Questo fenomeno è detto moltiplicazione a valanga. A causa della maggiore mobilità degli elettroni rispetto agli ioni, la valanga assume la forma di una goccia di liquido in cui gli elettroni sono raggruppati sulla parte più ampia, mentre gli ioni più lenti rimangono indietro sulla parte più stretta (Figura 2.4). 34

39 Figura 2.4: Moltiplicazione a valanga Se α è il libero cammino medio degli elettroni fino ad una collisione secondaria, allora 1/α é la probabilità di ionizzazione per unitá di lunghezza di percorso. Questo coefficiente è meglio conosciuto come primo coefficiente di Townsend. Nella Figura 2.5 vengono riportati alcuni valori del coefficiente di Townsend, normalizzati per la pressione, in funzione del campo elettrico per diversi gas. Figura 2.5: Primo coefficiente di Townsend Considerando n elettroni e un percorso dx, si può trovare il numero dei nuovi elettroni creati dn = nαdx 35

40 Integrando si ottiene n = n 0 exp(αx) dove n 0 è il numero degli elettroni generati nella ionizzazione primaria. Il fattore di moltiplicazione è quindi una funzione esponenziale del percorso x M = n n 0 = exp(αx) Nel caso di campo elettrico non uniforme, α è una funzione di x, quindi [ r2 ] M = exp α(x)dx Fisicamente il coefficiente di moltiplicazione è limitato a M < 10 8 o αx < 20. Questo limite è il limite di Raether. Il coefficiente di moltiplicazione è di fondamentale importanza per lo sviluppo dei contatori proporzionali. Per questo motivo sono stati sviluppati molti modelli per il calcolo di α in differenti gas [10] Regimi di funzionamento per rivelatori a ionizzazione Il segnale registrato agli elettrodi in seguito alla creazione di coppie di ioni nel gas al passaggio della radiazione, dipende dall intensità del campo elettrico. r 1 Figura 2.6: Regioni di lavoro per rivelatori a ionizzazione In Figura 2.6 è illustrato l andamento di due curve differenti, ognuna corrispondente ad un energia (E 1 o E 2 ) rilasciata dalla radiazione incidente. 36

41 Quando la tensione applicata è zero non si ha segnale agli elettrodi poiché le cariche prodotte al passaggio della radiazione si ricombinano per formare molecole neutre. Aumentando la tensione inizia ad apparire un segnale sugli elettrodi, la ricombinazione tende a diminuire e il segnale a salire poiché una maggiore quantità di coppie ione-elettrone arrivano agli elettrodi. Quanto detto caratterizza la zona di ricombinazione. Nella seconda regione, chiamata delle camere a ionizzazione poiché si raccoglie direttamente la ionizzazione prodotta, tutte le cariche generate vengono raccolte e qualsiasi incremento della tensione applicata non produce aumento del segnale. Il segnale prodotto da rivelatori che lavorano nella regione appena descritta è in generale basso, non essendo presente alcun fenomeno di moltiplicazione e deve essere misurato con un elettrometro di elevata sensibilità. Aumentando la tensione applicata oltre la regione delle camere a ionizzazione, si trova che il segnale cresce proporzionalmente alla tensione a causa del fenomeno della moltiplicazione descritto in precedenza. Il campo elettrico è abbastanza intenso da accelerare gli elettroni liberi fino ad un energia tale che possono ionizzare le molecole del gas circostanti. Gli elettroni liberati in questa seconda ionizzazione saranno poi accelerati di nuovo per produrre nuove ionizzazioni e così via: moltiplicazione a valanga. Tuttavia la moltiplicazione a valanga avviene molto velocemente e il numero delle coppie ione-elettrone risulta essere ancora proporzionale agli elettroni primari. Per quanto detto la terza regione si chiama regione di proporzionalità. Aumentando ancora la tensione, la quantità totale di ionizzazioni generate per moltiplicazione diventano sufficientemente grandi da creare distorsioni del campo elettrico. A questo punto si inizia a perdere la proporzionalità : per questo tale regione si chiama della proporzionalità limitata. Superando quest ultima regione si raggiungono campi molto intensi e valori di energia tanto alti da generare delle scariche all interno del gas. Ciò che accade fisicamente è che da una singola moltiplicazione a valanga se ne generano altre in diversi punti del gas, ovvero una reazione a catena. Queste seconde moltiplicazioni a valanga sono dovute ai fotoni emessi dalla diseccitazione delle molecole che viaggiano nel gas per andare a generare fenomeni secondari di ionizzazione. La corrente che si registra è saturata e per poter fermare le scariche occorre un gas di raffreddamento per assorbire i fotoni ed esaurire la loro energia. Tale regione è detta di Geiger-Mueller. L ultima zona che si incontra aumentando ancora la tensione è quella di scarica continua, in cui si hanno continuamente delle scariche anche in assenza della radiazione. Tali intensità di campo elettrico ovviamente si evitano per non incorrere in danneggiamenti nel rivelatore. 2.3 Camere a ionizzazione La camera a ionizzazione è il tipo di rivelatore a gas più semplice e diffuso soprattutto come dosimetro in radioterapia. Il suo funzionamento si basa 37

42 sulla raccolta delle cariche generate per ionizzazione diretta all interno del gas, dovuta all applicazione di un campo elettrico esterno. Come gli altri rivelatori, la camera a ionizzazione può lavorare in modalità integrale o in modalità differenziale. Nella prima modalità si misura la corrente che circola come effetto della raccolta degli ioni sugli elettrodi, mentre nella seconda si misura il numero delle cariche raccolte agli elettrodi in intervalli di tempo definiti. La geometria delle camere a ionizzazione può essere planare o cilindrica: le due si differenziano principalmente per i diversi andamenti dei campi elettrici al loro interno. Per una struttura planare in cui la differenza di potenziale fra piano-catodo e piano-anodo è V 0, l andamento delle linee di campo è quello dato in Figura 2.7, ed il modulo vale: dove d è la distanza fra i due piani. E = V 0 d Figura 2.7: a) Geometria piana; b) Geometria cilindrica La configurazione cilindrica è costituita da un cilindro cavo, che funge da catodo, sul cui asse è disposto un filo conduttore, mantenuto ad un potenziale +V 0 rispetto al cilindro. Il campo elettrico radiale, che si viene a formare all interno del rivelatore, il cui andamento è mostrato in Figura 2.7, ha un modulo pari a: E = 1 V 0 r ln(b/a) 38

43 dove r è la distanza radiale dal filo conduttore, b è il raggio interno del cilindro ed a il raggio del filo conduttore Geometria piana In Figura 2.8 è rappresentata una camera a ionizzazione a facce piane parallele con elettrodi posti a distanza d, capacità C e campo elettrico costante E generato da una differenza di potenziale V 0 agli elettrodi. Figura 2.8: Schema di una camera a geometria piana Supponendo che all interno della camera sia liberata una carica Q distante x dall anodo, sotto l effetto del campo elettrico la carica deriva con velocità costante w, acquistando energia a spese del condensatore C, inducendo una carica q su ciascun elettrodo della camera. Se il moto è lungo un tratto infinitesimo la carica indotta vale dq = QdV V 0 = Qdx d = Q dwdt Il tempo di deriva è uguale a T = x w Ovviamente si hanno due velocità di deriva w + e w rispettivamente per ioni ed elettroni e molto differenti tra loro. La carica indotta agli elettrodi al tempo t è data da q(t) = Qw t + Qw+ t d d con t che raggiunge un valore massimo dato da T = 39 x w

44 T + (d x) = w + In un tempo maggiore del più grande tra T + e T, tutte le cariche hanno raggiunto gli elettrodi e la carica totale indotta è Q T OT = Qw T d + Qw+ T + d = Qx d + Q(d x) d = Q Se la resistenza di carico sulla camera è molto grande, alla carica indotta corrisponde un segnale in tensione V (t) = q+ (t) C + q (t) C Figura 2.9: Segnale in tensione di una camera a ionizzazione Dalla Figura 2.9 si può osservare che per avere il segnale totale occorre integrare sul tempo T +. Ciò rende lo strumento lento in quanto T + è dell ordine dei millisecondi Corrente di ionizzazione In presenza di un campo elettrico, il moto di deriva degli ioni e degli elettroni costituisce una corrente elettrica. Nel caso in cui il volume di gas sia costantemente irraggiato e il fenomeno di ricombinazione sia trascurabile, la corrente stazionaria prodotta è la misura esatta delle coppie ione-elettrone generate all interno del gas per ionizzazione. La misura di questa corrente è il principio fondamentale delle camere a ionizzazione. In Figura 2.10 è illustrata una rudimentale camera a ionizzazione. Il volume del gas è racchiuso in una regione dove si può generare un campo elettrico, applicando una tensione agli elettrodi. In condizione di equilibrio la corrente che fluisce in un 40

45 circuito esterno è uguale alla corrente di ionizzazione raccolta agli elettrodi che viene misurata da un amperometro posto sul circuito esterno. Figura 2.10: Componenti fondamentali di una camera a ionizzazione La curva caratteristica corrente-tensione della camera è rappresentata in Figura 2.11 Figura 2.11: ionizzazione Curva caratteristica corrente-tensione di una camera a Come si vede dalle curve (Figura 2.11), in assenza di campo elettrico non dovrebbe esserci alcuna corrente di ionizzazione: gli ioni e gli elettroni che sono stati creati per ultimo scompaiono dal volume del gas per ricombinazione o per diffusione. All aumentare della tensione applicata, il campo elettrico inizia a separare sempre più rapidamente le coppie di ioni e la ricombinazione iniziale diminuisce. Quindi, la corrente di ionizzazione cresce all aumentare della tensione applicata, fino a che tutte le cariche sono state raccolte e si raggiunge la condizione chiamata saturazione. Solitamente le camere a ionizzazione lavorano in tale regione di saturazione. Sotto tale condizione, la corrente registrata dall amperometro risulta essere una corretta misura del numero di coppie di ioni che si sono formate all interno del volume di gas nell unità di tempo. 41

46 2.3.3 Tipi di gas Per la scelta del gas di riempimento delle camere a ionizzazione è necessario tener conto dell elettronegatività. In un gas elettronegativo come per esempio O 2 e aria, gli elettroni liberi prodotti in un evento di ionizzazione possono interagire con molecole neutre e generare ioni negativi con mobilità molto inferiore degli elettroni. Per evitare questo comportamento bisognerebbe scegliere gas non elettronegativi senza alcuna contaminazione, ma ciò in natura risulta essere molto difficoltoso. Tuttavia, prendendo gas in forma pura come N 2, CO 2, H 2, Ar, He, metano, butano non si ha comportamento elettronegativo. In generale utilizzando gas non elettronegativi é piú facile raggiungere il regime di saturazione della camera. Ciò si verifica perché la velocità di deriva degli elettroni liberi in condizioni normali, è 10 3 cm/s per V/cm, mentre quella dello ione negativo è solo di 1cm/s per V/cm. Per questo gli elettroni possono uscire più velocemente dalla camera, avendo così meno probabilità di ricombinazione anche con tensioni applicate V/cm.[12] Modalità di funzionamento Modalità integrale: DC mode Attraverso questo tipo di funzionamento si misura la corrente istantanea e quindi l intensità istantanea della radiazione. Si parla di intensità istantanea poiché si misura la radiazione che ha interagito con il gas nell unità di tempo. Figura 2.12: Circuito elettronico del sistema di funzionamento in DC Dato che la corrente misurata in una camera a ionizzazione è molto bassa, per leggerla bisogna ricorrere all uso di un elettrometro. Modalità differenziale: pulse mode Tramite tale modalità si misura l energia della radiazione incidente. Tale funzionamento è descritto dal circuito riportato in Figura

47 Figura 2.13: Circuito elettronico del sistema di funzionamento pulse mode La particella ionizzante interagisce con il gas della camera, generando coppie di ioni che derivano verso gli elettrodi. Si crea una carica indotta sugli elettrodi e di conseguenza una differenza di tensione V ai capi della resistenza R. V risulta essere massima quando tutta la carica viene raccolta agli elettrodi. Per ritornare alle condizioni di equilibrio in cui si ha una tensione V 0 occorre aspettare un tempo costante τ = RC. 2.4 Ricombinazione ionica In una camera a ionizzazione con gas alla medesima pressione e temperatura dell ambiente esterno, attraversata da particelle cariche, si creano ioni positivi e negativi per ionizzazione del gas. La carica Q sat che si genera nel gap della camera ad una certa tensione di alimentazione V, in condizione di massima efficienza dovrebbe essere la stessa che si raccoglie agli elettrodi Q(V). In condizioni reali, invece, la carica raccolta Q(V) risulta essere minore rispetto alla carica prodotta Q sat : ciò si verifica per il fenomeno di ricombinazione che avviene all interno del gap tra gli ioni generati al passaggio del fascio. Il rapporto tra la carica raccolta e la carica prodotta per un dato valore di tensione di alimentazione rappresenta l efficienza di raccolta f(v) f(v ) = Q(V ) Q sat Applicando una differenza di tensione crescente agli elettrodi della camera a ionizzazione si osserva un aumento della carica raccolta: inizialmente quasi lineare con la tensione, poi sempre meno lineare, fino a tendere asintoticamente alla carica di saturazione Q sat (Figura 2.14). 43

48 Figura 2.14: Curva di saturazione Come si vede in Figura 2.14, a basse tensioni di alimentazione vengono raccolte poche cariche agli elettrodi, poiché gli ioni prodotti nel gas si ricombinano con altri di segno opposto prima di essere raccolti. Questo fenomeno può essere ridotto incrementando il campo elettrico, ovvero sia riducendo la distanza tra gli elettrodi sia aumentando la tensione di alimentazione sia entrambe le cose. Il massimo valore di campo che si può raggiungere è quello oltre al quale, come discusso nel paragrafo 2.2.5, si instaurano nel gas fenomeni di moltiplicazione a valanga della carica Ricombinazione iniziale e generale Il fenomeno della ricombinazione è suddiviso in ricombinazione iniziale e ricombinazione generale. La ricombinazione iniziale si ha quando gli ioni positivi e negativi che si formano lungo la stessa traccia si ricombinano. Questo tipo di ricombinazione generalmente risulta essere poco rilevante, tranne nei casi in cui la densità di ionizzazione nella traccia è abbastanza alta, come per le particelle α in gas a pressione atmosferica o per gli elettroni in gas ad alta pressione. La ricombinazione generale è invece quella che avviene quando gli ioni positivi e negativi, generati in tracce diverse si ricombinano. Questo tipo di ricombinazione cresce all aumentare del rateo di fluenza del fascio, a differenza della ricombinazione iniziale che dipende soltanto dalla densità degli ioni in ogni singola traccia. Sperimentalmente é possibile distinguere i due diversi processi, studiando grafici del reciproco della carica raccolta rispetto al reciproco del campo elettrico: per la ricombinazione iniziale si ha una dipendenza lineare tra 1/Q e 1/V, mentre per la ricombinazione generale si ha una dipendenza lineare tra 1/Q e 1/V 2 [16]. Nel seguito sarà riportata la teoria di Boag sulla ricombinazione generale e la teoria di Jaffè sulla ricombinazione iniziale. 44

49 2.4.2 Ricombinazione generale per fasci continui In questo paragrafo si considera un fascio continuo, ovvero un fascio costante in intensità durante un dato intervallo di tempo. L efficienza di raccolta f in una camera a ionizzazione è data dal rapporto tra la corrente raccolta agli elettrodi e la corrente prodotta all interno della camera al passaggio del fascio continuo. La carica prodotta nel gas viene trasportata interamente da ioni positivi e negativi con le rispettive mobilitá K 1 e K 2 (cm 2 /s V ). L effetto del campo dovuto alla distribuzione degli ioni nel volume della camera può essere trascurato rispetto al campo elettrico V/d, quando la camera lavora in regime di quasi saturazione. In quest ultimo stato di lavoro si può assumere piccolo l effetto di ricombinazione e la distribuzione ionica nello spazio compreso tra gli elettrodi assume una forma triangolare [17]. Figura 2.15: Diagramma della distribuzione ideale della densità di carica in assenza di ricombinazione all interno del gas; q = densità di ionizzazione (esu cm 3 s 1 ) Partendo da questa distribuzione triangolare ideale, si calcola il piccolo contributo di ricombinazione che si ha in regime di quasi saturazione. Se e è la carica attribuita ad ogni ione, la ricombinazione totale tra gli elettrodi è data da d ( α ) ( α ) R = ρ 1 ρ 2 dx = d 1 q 2 d 4 e e 6 K 1 K 2 V 2 0 in cui ρ 1 e ρ 2 sono rispettivamente la densità di carica degli ioni positivi e negativi, q è la densità di ionizzazione (esu cm 3 s 1 ) e α è il coefficiente di ricombinazione (cm 3 /s). A questo punto la carica totale liberata al secondo è data da qd (esu cm 2 ). Quindi, l efficienza di raccolta f è data da f = 1 R qd = 1 1 α qd 4 6 ek 1 K 2 V 2 = ξ2 (2.3) 45

50 in cui ( α d 2 ) ( q d 2 ) q ξ = = m ek 1 K 2 V V con m costante e caratteristica del gas ad una data temperatura e pressione. Il tipo di assunzione appena fatto, sovrastima la ricombinazione in quanto la distribuzione reale di carica è meno densa rispetto alla distribuzione ideale: per questo la corrente raccolta agli elettrodi non è data da qd ma da fqd. A questo punto si può provare a migliorare la soluzione riportata nell equazione 2.3, apportando come modifica l ultima assunzione fatta secondo cui ottenendo quindi R qd = 1 6 f 2 ξ 2 f = f 2 ξ 2 Quest ultima soluzione, però, sottostima il contributo della ricombinazione in quanto la distribuzione reale della densità di carica non ha forma triangolare ma è deformata. La deformazione è dovuta all effetto sul campo elettrico del fenomeno di carica spaziale secondo cui si ha un accumulo di cariche elettriche in uno spazio definito, considerato come un continuo di carica piuttosto che come un insieme di singole cariche puntiformi. Grazie all analisi accurata di Mie si è potuta fare una stima del contributo della ricombinazione come media geometrica delle due approssimazioni fatte [15]. Si ha quindi R qd = 1 6 fξ2 e di conseguenza, ricavando f 1 f = ( (2.4) 6ξ2) L equazione 2.4 rappresenta la curva di saturazione per camere a ionizzazione con facce piane e parallele, valida per un intervallo di efficienza di raccolta f > Ricombinazione generale per fasci impulsati L efficienza di raccolta per una camera a ionizzazione, riempita con gas elettronegativo e irradiata da un fascio impulsato con impulsi di breve durata rispetto al tempo di raccolta della carica, non segue più la teoria descritta precedentemente. Tra un impulso e il successivo, gli ioni migrano verso gli elettrodi creando tre zone distinte all interno della cavità: la regione di ioni positivi posta vicino al catodo N, la regione di ioni negativi posta vicino all anodo P e la regione di ricombinazione dove sono presenti sia ioni positivi che negativi (Figura 2.16). 46

51 Figura 2.16: Distribuzione degli ioni nella cavità dopo un impulso istantaneo L unica zona in cui si verifica il processo di ricombinazione, è la regione centrale di sovrapposizione delle cariche positive e negative. All interno di questa regione la densità delle cariche positive e della cariche negative rimane sempre la stessa ρ = ρ 1 = ρ 2, poiché si ipotizza che tutte le cariche di ogni segno derivino con la stessa velocità. L andamento nel tempo della densità ρ all interno di questa regione segue l equazione la cui soluzione è dρ ( α ) dt = ρ 2 e ρ = 1 + r ( α ) rt e in cui r è la densità di carica prodotta istantaneamente ad ogni impulso ed α il coefficiente di ricombinazione (cm 3 /s). L ampiezza della regione di ricombinazione può essere espressa con la seguente equazione ω = d ( V t d ) (K 1 + K 2 ) dove d rappresenta la distanza tra gli elettrodi, K 1 e K 2 sono rispettivamente la mobilità degli ioni positivi e negativi. Al tempo t=0 l ampiezza della regione di sovrapposizione corrisponde con lo spazio tra gli elettrodi d, mentre al tempo d 2 T = (K 1 + K 2 )V l ampiezza di tale regione risulta essere nulla: la ricombinazione non è più possibile. Durante questo intervallo di tempo, la ricombinazione totale è data da r ( α ) R = ρ 2 ωdt e 0 47

52 per cui R = rd [1 1u ] ln(1 + u) dove u = α rd 2 (K 1 + K 2 )e V = µrd2 V A questo punto si può definire la nuova formula per l efficienza di raccolta f = 1 R rd = 1 ln(1 + u) (2.5) u L equazione 2.5 è valida solo per impulsi brevi rispetto al tempo di migrazione degli ioni agli elettrodi e per intervalli tra gli impulsi più lunghi di tale tempo di transizione Ricombinazione iniziale: teoria di Jaffè La ricombinazione iniziale non costituisce un problema per le camere a ionizzazione che lavorano a pressione atmosferica o comunque a basse pressioni, a meno che le particelle incidenti siano lente o abbiano alta densità di ionizzazione: elettroni lenti, protoni, deutoni, particelle α. A differenza della ricombinazione generale, questo tipo di ricombinazione non dipende dall intensità del fascio, poiché è indipendente dal numero delle tracce nel gas. Una camera a ionizzazione che opera in condizioni standard, solo affetta da ricombinazione iniziale, fornisce ancora una buona lettura del dose rate se opportunamente calibrata. Il comportamento della ricombinazione iniziale è descritto dalla teoria di Jaffè che permette l estrapolazione della corrente misurata. La teoria è basata su tre assunzioni fondamentali: Densità lineare di ionizzazione N 0 (ion pairs/cm) della particella ionizzante uniforme lungo la traccia; Distribuzione radiale di N 0 Gaussiana; Angolo fisso φ tra gli assi della traccia e il campo elettrico E (V/cm). Secondo la teoria, la misura dell efficienza di raccolta è data da f = i I = gf(x) in cui i è la corrente misurata, I è la corrente che si avrebbe in assenza di ricombinazione, g = αn 0 8πD ( ) bk 2 x = 2D X sin φ 48

53 f(x) = exp(x) iπ 2 H(1) 0 (ix) dove α è il coefficiente di ricombinazione, b è la deviazione standard della distribuzione radiale gaussiana (b = F W HM ), D il coefficiente di diffusione, k la mobilità ionica media, H (1) 0 (ix) la funzione di Hankel. Dato che α, K, D e b sono considerate delle costanti, l efficienza di raccolta dipende soltanto da g e da x. In realtà sperimentalmente sono stati trovati anche i valori da attribuire a g. 49

54 Capitolo 3 Camera a multi-gap Per garantire un alto livello di precisione nell erogazione della dose al paziente, occorre monitorare in ogni istante del trattamento la posizione del paziente, la posizione del target (massa tumorale) all interno del paziente, il flusso (part/s) del fascio, l energia del fascio e la conformazione del fascio. Al fine di conoscere i parametri appena elencati, è stato sviluppato un sistema che in adroterapia è solitamente costituito da due dispositivi monitor differenti. Le camere a ionizzazione sono i rivelatori più adatti a questo scopo, quindi i dispositivi monitor sono costituiti da array di camere a facce piane e parallele. La configurazione dei dispositivi monitor appena descritti necessita di particolare attenzione nel caso in cui gli acceleratori producano fasci ad alta intensità. Infatti, negli ultimi anni stanno nascendo nuove soluzioni di acceleratori più compatti, descritti nel paragrafo 1.5.3, che producono fasci pulsati di flusso 100 volte maggiore rispetto ai fasci clinici prodotti dagli attuali sincrotroni e ciclotroni. Per avere una misura precisa della dose erogata occorre stimare il fenomeno della ricombinazione dipendente dal flusso del fascio. A tale scopo dalla collaborazione dell Università di Torino e dell INFN è nato il prototipo della camera multi-gap. Il prototipo è stato progettato in modo tale da avere un pacchetto di camere a ionizzazione con gap di diversa ampiezza, al fine di ottenere differenti valori di ricombinazione in ognuna. Nel prossimo paragrafo sarà spiegata nel dettaglio la struttura del dispositivo. 3.1 Generalità sulla camera a multi-gap La camera a multi-gap è una camera integrale, ovvero un misuratore della corrente che circola come effetto della scarica degli ioni sugli elettrodi. Il suo scopo oltre a monitorare fasci ad alta intensità è quello di determinare contemporaneamente l efficienza di raccolta. Il dispositivo è composto da tre camere a ionizzazione integrali in serie, ognuna con un proprio gap di separazione tra gli elettrodi che viene riempito di Azoto(N 2 )o di aria. Le 50

55 tre camere sono indipendenti l una dall altra e dispongono di anodo e catodo alimentati separatamente. L anodo è costituito da un sottile strato di alluminio depositato su uno strato di Kapton, mentre il catodo da un foglio di mylar alluminizzato (Figura 3.1). Entrambi sono fissati e mantenuti in tensione tramite un frame di vetronite spesso 5mm. Figura 3.1: Anodo(b) e Catodo(a) della camera multi-gap Le tre camere sono state realizzate con gap differenti e disposte con un ordine preciso. L ordine con cui sono disposte le camere all interno dell involucro metallico, è rappresentato nella Figura 3.2. a) b) 51

56 Figura 3.2: Struttura del dispositivo: a)disposizione delle singole camere. La freccia indica il verso del campo elettrico di ogni camera; b)immagine reale del dispositivo La disposizione dei diversi elementi e i relativi spessori sono rappresentati in Figura

57 Figura 3.3: Struttura della camera 3.2 Calcolo dell efficienza di raccolta per fasci protonici Gaussiani ad alta intensità La teoria della ricombinazione generale, descritta nei paragrafi e 2.4.3, assume una densità di ionizzazione n 0 uniforme in tutto il gas. Ciò risulta essere un limite nel caso in cui si abbia un fascio sottile che irradia una camera a ionizzazione di dimensioni molto più grandi rispetto alle proprie dimensioni: caso della camera a multi-gap. In tale circostanza la densità di ionizzazione (n 0 ) non è più uniforme in tutto il volume del gas e occorre studiarne la distribuzione. Per determinare i valori di n 0 in ogni punto del gas irradiato, si utilizza un metodo che tiene conto della forma e della distribuzione trasversale di dose del fascio incidente, che sarà descritto nel paragrafo

58 3.2.1 Metodo usato per la stima dell efficienza media con fascio Gaussiano Al fine di determinare l efficienza di raccolta di ciascuna delle camere, è necessario determinare innanzitutto la distribuzione di densità di ionizzazione quando un volume di gas è attraversato da un fascio sottile. Si assume nel seguito che la distribuzione trasversa del fascio sia gaussiana e che la dose rilasciata da ciascuna particella nel gas abbia una distribuzione radiale con un andamento come 1. Per la scelta della FWHM della distribuzione gaussiana è stato fatto riferimento al fascio estratto dal sincrotrone di CNAO, r 2 in cui la Full Width at Half Maximum può assumere valori da 4mm a 10mm [20]. Nello studio fatto si è scelto un valore della FWHM=1cm. Nei risultati riportati nel seguito si fa riferimento ad un fascio gaussiano di protoni con le caratteristiche riportate nella seguente tabella. Caratteristiche del fascio Particelle Protoni Energia(MeV) 150 Stopping Power(MeVmm 2 /g) Flusso(prot/s) Raggio del fascio σ(mm) 4.25 Per quanto riguarda il gas di riempimento delle camere a ionizzazione, si considera l azoto. Caratteristiche del gas Gas N 2 Densità(g/mm 3 ) 1.17E+6 Energia di ionizzazione(ev/pairs) 34.8 Coefficiente di ricombinazione α(cm 3 /s) 2E-6 Come primo passo si si è suddiviso il piano trasverso al fascio in una griglia di voxel (x i, y j ) con un passo di 0.1 mm lungo entrambi gli assi in modo tale da coprire l intervallo da -3σ a +3σ. In ogni voxel il numero n Tij di tracce risulta pari a n Tij = N T OT exp( x2 i 2πσ x 2σx 2 )exp( y2 i 2σy 2 ) x y (3.1) in cui N T OT è il numero di particelle incidenti ed è dato da 12 part N T OT = I beam t 10 10µsec 10 7 s in cui t è la durata dell impulso, x = y = 0.1mm e σ x = σ y = F W HM = 4.25mm

59 considerando la F W HM = 10mm, x e y le coordinate trasverse del fascio. Al fine di determinare la densità di ionizzazione in ogni voxel occorre considerare che, poiché la dose è distribuita trasversalmente in maniera finita intorno alla traccia, ogni voxel riceve contributi anche di tracce passate nei voxel adiacenti. Per semplicità, data la simmetria circolare della distribuzione n Tij, si è calcolata la dose solo sui voxel di coordinata r i che giacciono sulla retta y j = 0 tenendo conto del contributo di tutti i voxel del piano. Figura 3.4: Distanza tra i punti della griglia e la coordinata radiale del fascio Con riferimento al grafico in Figura 3.4 i valori di r ij sono dati dalla formula della distanza tra due punti: r ij = (x i r i ) 2 + yj 2 (3.2) Il modello di traccia considerato è dato dal modello LEM(Local Effect Model), secondo cui una particella carica di energia E deposita una dose intorno alla traccia proporzionale a 1, dove r rappresenta la distanza radiale dalla traccia. Quanto detto è ritenuto essere valido al di sopra di un raggio r2 minimo r min ed al di sotto di un raggio massimo r max,per tanto si avrà: SρL πrmin 2 L(1 + 2 ln(r se r max ij < r min )) r min d ij (r) = SρL πrij 2 L(1 + 2 ln(r se r max min < r ij < r max )) r min 0 se r ij > r max dove S è lo stopping power, ρ è la densità dell azoto e W è il potenziale di ionizzazione. I contributi di dose che si trovano sono riferiti ad ogni singola traccia. Per avere, quindi, contributi di tutte le tracce si moltiplica ogni equazione per il numero delle tracce (n Tij ). La Figura 3.5 mostra l andamento della dose locale con la distanza r, relativo ad una singola traccia. Si può osservare che per distanze inferiori a r min la dose locale è costante per evitare la 55

60 Figura 3.5: Distribuzione radiale della dose divergenza della distribuzione a r=0. Il valore di r min adottato in tutte le simulazioni è 0.01µm, mentre il valore di r max è associato alla massima distanza percorribile dagli elettroni più energetici e si calcola con la formula empirica [19] r max [µm] = 0.062µm(E) 1.7 dove E [MeV/u] è l energia cinetica per nucleone della particella incidente. Affinché questa formula possa essere utilizzata, occorre che l energia cinetica del proiettile sia maggiore di 0.4MeV/µm, altrimenti r max < r min. Poiché i valori di r max e r min riportati sopra sono validi in acqua è stato necessario normalizzarli per la densità dell Azoto ρ (N2 ), ovvero: r min ρ (H2 O) ρ (N2 ) = 0.008mm r max = [0.062(E) 1.7 ] ρ (H 2 O) ρ (N2 ) = mm dove nell esempio si è utilizzato E=150MeV, ρ (H2 O) = 1000 Kg. Per distanze m3 maggiori di r max non c è deposizione di energia e la dose locale è nulla. Dalla parametrizzazione radiale della dose si ricava infine la densità iniziale di carica, dovuta alle tracce passate nel voxel ij. n Tij Sρ 1 W πrmin 2 (1 + 2 ln(r se r max ij < r min )) r min n 0ij = n Tij Sρ 1 W πrij 2 (1 + 2 ln(r se r max min < r ij < r max )) r min = 0 se r ij > r max 56

61 I contributi di n 0 relativi ad ogni voxel vengono sommati per ogni valore di r i. Infine si ricavano i valori dell efficienza di raccolta in ogni punto del fascio, utilizzando la formula per fasci pulsati f = 1 ln(1 + u) (3.3) u in cui u è un parametro adimensionale descritto nel paragrafo u = α d 2 n 0 (K + + K ) V (3.4) 6 cm3 α è il coefficiente di ricombinazione ( 2 10 s )[18], d è il gap della camera, k + e k sono rispettivamente le mobilità degli ioni positivi e negativi in azoto(k + = 1.27 cm2 V s, k = 1.84 cm2 ), V è la tensione di alimentazione V s della camera. Ottenuti i valori dell efficienza di raccolta f per tutti i punti lungo la direzione radiale del fascio, si calcola la media pesata sulle aree delle corone circolari, in cui è suddiviso il fascio, di ampiezza 2πr i r i : f media = f n0 π r i r i n0 π r i r i (3.5) Il metodo viene ripetuto per ogni camera a diversi valori di tensione e per diversi flussi nell intervallo prot/s Risultati ottenuti Densità di ionizzazione Il metodo descritto nel paragrafo precedente, è stato ripetuto per diversi valori di flusso del fascio, polarizzando le camere con differenti tensioni. I contributi di n 0 ottenuti dalla convoluzione tra la distribuzione gaussiana delle particelle del fascio e la distribuzione radiale di dose, sono riportati in Figura

62 Figura 3.6: Distribuzione radiale della densità iniziale di carica n 0 Per analizzare al meglio la distribuzione di n 0, si riporta in Figura 3.7 solo la curva corrispondente ad un intensità I beam = prot poiché più s vicina alle condizioni sperimentali. Figura 3.7: Distribuzione radiale della densità iniziale di carica n 0 Dal grafico (Figura 3.7) si può notare che la F W HM 10mm, cioè la stessa della distribuzione delle particelle del fascio. Per questo si può affermare che l effetto dei raggi δ modifica in modo trascurabile la distribuzione trasversa di dose del fascio. 58

63 3.2.3 Efficienza di raccolta Trovati i valori della densità di ionizzazione, tramite l equazione 3.5 si è calcolata l efficienza di raccolta media per ogni camera a diverse intensità. In un primo studio dell efficienza sono state considerate le tre camere polarizzate a 600V. Figura 3.8: Efficienza di raccolta media per le tre camere, alimentate alla stessa tensione(600v),a diversi valori di intensitá del fascio In Figura 3.8, < f 1 >, < f 2 >, < f 3 > sono rispettivamente le efficienze di raccolta medie per la camera 1 (gap=0.5 cm), la camera 2 (gap=1cm), la camera 3 (gap=1.5cm). Dal grafico si osserva che in ogni camera, all aumentare del flusso del fascio si ha una diminuzione dell efficienza di raccolta media. Ciò è quanto ci si aspetta, poiché aumentando il flusso del fascio il numero delle particelle che attraversano la camera aumentano e di conseguenza si verifica un maggior numero di fenomeni di ionizzazione rendendo più probabili gli eventi di ricombinazione. Si osserva inoltre che la camera con il gap più piccolo (camera 1) ha una maggiore efficienza di raccolta per qualsiasi intensità del fascio incidente. Quanto detto accade per due motivi: Le cariche devono percorrere un tragitto inferiore nella camera 1 prima di essere raccolte sugli elettrodi, dando luogo ad una minore probabilità di ricombinazione. A parità di tensione di polarizzazione tra le tre camere, il campo elettrico risulta essere più intenso per la camera 1. I valori di efficienza media ottenuti corrispondono ad uno specifico valore di n 0 che a sua volta è relativo ad un valore di r (Figura 3.7) r < σ, tranne che 59

64 per il caso I beam = prot in cui il valore r risulta essere σ < r < 2σ. In s realtà quello che ci si aspetta statisticamente è di avere un valore di r che sia minore di σ, poiché la σ rappresenta già il 30% del range della componente radiale Determinazione dell efficienza di raccolta con la camera doppio gap e relativa incertezza In condizioni sperimentali la carica Q raccolta in ogni elettrodo della camera è legata alla carica prodotta per ionizzazione da Q = f Q in cui Q è la carica prodotta nel gas al passaggio della radiazione Q = e de dx d t ρ N 2 I beam W e dove W è il potenziale di ionizzazione, t il tempo di irraggiamento, ρ N2 la densità dell Azoto e de lo stopping power. Dal rapporto tra le cariche dx raccolte in due camere differenti si ricavano i valori delle efficienze della camera 2 e della camera 3 relativi all efficienza della camera 1 (3.6, 3.7) attraverso la relazione f 2 = Q 2 d 1 f 1 Q (3.6) 1 d 2 f 3 = Q 3 d 1 f 1 Q (3.7) 1 d 3 dove d 1, d 2, d 3 sono rispettivamente i gap delle tre camere. I valori di efficienza relativa che si ottengono sono riportati in Figura 3.9 in funzione del flusso del fascio. 60

65 Figura 3.9: Efficienza relativa per la configurazione camera1-camera2 (in alto) e per la configurazione camera1-camera3 (in basso) L efficienza relativa è di fondamentale importanza in quanto sperimentalmente è una grandezza che può essere misurata, conoscendo soltanto il rapporto tra le cariche. Dai valori del rapporto tra le efficienze di due differenti camere (f rel ) si possono determinare univocamente i valori di efficienza di ogni camera. 61

66 Figura 3.10: Curva di correlazione nel caso in cui le tre camere siano polarizzate con la stessa tensione Un esempio è riportato in (Figura 3.10) dove è possibile ricavare univocamente f 1 dalla misura del rapporto f 2 f 1 o f 3 f 1. Si osserva che nel caso in cui si consideri la configurazione camera 1-camera 3 (quadratini arancioni nel grafico), la curva di efficienza tende ad andare a zero più lentamente rispetto alla curva relativa alla configurazione camera 1- camera 2 (rombi azzurri nel grafico): ciò si verifica poiché la camera 3 avendo un gap di ampiezza maggiore rispetto alla camera 2, a parità di f 1 il rapporto f 2 f 1 risulta essere minore del rapporto f 3 f 1. Nel caso considerato nel seguito si considera invece la camera 1 polarizzata a 600V e le altre due camere a 300V. La scelta di differenti tensioni di polarizzazione per ciascuna camera deriva dalla considerazione che la tensione della prima camera debba essere abbastanza alta da dar luogo ad una buona efficienza di raccolta e da non avere amplificazione di carica, mentre la tensione della seconda deve essere molto più bassa (la metà) per avere un efficienza di raccolta molto bassa e quindi per poter meglio correggere la ricombinazione sulla prima camera. Per entrambe le configurazioni (camera1-camera2, camera1-camera3), attraverso il metodo descritto nel paragrafo precedente, si ricavano i valori dell efficienza media per ogni camera rappresentati in (Figura 3.11). 62

67 Figura 3.11: Efficienza di raccolta media per le tre camere, alimentate a diverse tensioni (camera1 a 600V, camera2 a 300V, camera3 a 300V), a diversi valori di intensità del fascio Dalla Figura 3.11 si osserva che l andamento dell efficienza media per ciascuna camera è lo stesso che si riscontra per camere polarizzate alla stessa tensione (Figura 3.8), ma con valori minori per la camera2 e la camera3 a parità di intensità del fascio. Ciò è quanto ci si aspetta, in quanto a tensioni minori di alimentazione delle camere si ha un campo elettrico minore e di conseguenza una maggiore probabilità di ricombinazione ionica. A questo punto, come nel caso trattato in precedenza,(equazioni 3.6,3.7), si calcolano i valori dell efficienza relativa (Figura 3.12). 63

68 Figura 3.12: Efficienza relativa per la configurazione camera1(600v)- camera2(300v) (in alto) e per la configurazione camera1(600v)- camera3(300v) (in basso) Da entrambi i grafici si osserva che i valori dell efficienza relativa sono minori rispetto ai valori di efficienza relativa ottenuti nel caso in cui tutte e tre le camere sono alimentate a 600V (Figura 3.8). Ciò è dovuto al fatto che a tensioni più basse l efficienza della camera 2 e della camera 3 diminuisce. Un altro aspetto importante da notare è la differenza tra l efficienza della camera1 e l efficienza della camera2 (o della camera3)che risulta essere maggiore rispetto al caso precedente (Figura 3.8), favorendo cosí la correzione dell efficienza della camera 1. Come nel caso precedente è possibile ottenere le curve di correlazione(figura 3.13). 64

69 Figura 3.13: Curve di correlazione nel caso in cui le tre camere sono alimentate in maniera differente Rispetto al caso precedente (Figura 3.10), a parità di efficienza della camera 1 si ottengono valori minori di efficienza relativa in entrambe le configurazioni (camera1-camera2, camera1-camera3). Quanto detto rispecchia le aspettative in quanto abbassando la tensione si ha una minore efficienza e di conseguenza una minore efficienza relativa. Un punto interessante è la determinazione dell incertezza sulla stima dell efficienza di raccolta. La carica raccolta viene misurata come un multiplo del quanto di carica (Q c ). Per questo motivo il quanto di carica rappresenta la sensibilità di misura e quindi l unica fonte rilevante di incertezza. In riferimento al valore usato nelle camere monitor a CNAO, si attribuisce a Q c un valore di 200 fc. Le due configurazioni da considerare sono le stesse del paragrafo precedente: camera1-camera2; camera1-camera3. Per semplicità nel seguito verranno riportate soltanto le formule relative alla prima configurazione(camera1-camera2). Come primo passo si linearizzano geometricamente le curve f 2 (Figura 3.9,3.12), f 1 ottenendo così un coefficiente angolare m per ogni valore di I beam : ( ) f2 f 1 m = (I beam ) 65

70 Utilizzando il coefficiente angolare m, si ricava l incertezza sull intensità del fascio (3.8) che servirà poi per stimare l errore sull efficienza di raccolta. ( ) f2 σ f 1 σ(i beam ) = (3.8) m ( ) f2 in cui σ si ricava attraverso la propagazione dell errore di f 1 ottenendo quindi ( ) f2 σ = d 1 f 1 d 2 ( Q 2 Q 1 Q 2 f 2 = Q 2 d 1 f 1 Q 1 d 2 ) σ(q 2 ) 2 + ( Q 2 Q 1 Q 1 ) σ(q 1 ) 2 in cui σ(f 1 ) = σ(f 2 ) = 200fC sono i quanti di carica. Dalla linearizzazione geometrica della curva f 1 (Figura 3.9,3.12) si ricava il coefficiente angolare m(f 1 ). m(f 1 ) = (f 1) (I beam ) A questo punto si calcola l incertezza sull efficienza di raccolta σ(f 1 ): σ(f 1 ) = σ(i beam ) m(f 1 ) in cui σ(i beam ) è quello ricavato dalla formula 3.8. Le formule riportate sono state utilizzate nel seguito per le due configurazioni (camera1-camera2, camera1-camera3) a diverse tensioni di polarizzazione: camera1-camera2 polarizzate a 600V; camera1-camera3 polarizzate a 600V; camera1 polarizzata a 600V - camera2 polarizzata a 300V; camera1 polarizzata a 600V - camera3 polarizzata a 300V; L andamento di σ(f 1 ) rispetto a I beam, per il caso in cui le tre camere sono alimentate alla stessa tensione, è rappresentato nei seguenti grafici di Figura 3.14 per le due diverse configurazioni (camera1-camera2, camera1- camera3). 66

71 Figura 3.14: Incertezza dell efficienza di raccolta per la camera 1, come funzione di I beam Dal primo grafico della Figura 3.14, si osserva che si ha una buona risoluzione, con un errore < 1%, per intensità del fascio di circa I beam > 5E + 11prot/s. Ai valori di flusso del fascio corrispondono valori di f 1 e f 2 che per I beam > 1E + 13 prot/s risultano essere troppo bassi per poter applicare la teoria di Boag; mentre per valori di flusso 5E + 11prot/s < I beam < 1E + 13prot/s la teoria risulta applicabile in quanto si hanno valori di efficienza f > 0.7 per la camera 1. Inoltre f 1 e f 2 sono sufficientemente differenti da poter fare correzioni sull efficienza della camera 1. Per valori di 67

72 ( f2 I beam < 5E + 11part/s, il metodo utilizzato per la stima dell errore perde di precisione, poiché si ha un incremento dell incertezza in una regione dove l efficienza é circa del 100%. Lo stesso si può affermare per la combinazione camera1-camera3 con l unica differenza che si hanno valori di efficienza minori per la camera 3 rispetto alla camera 2 nel caso precedente. Anche in questo caso, però, la regione di validità del modello applicato si ha per valori 5E + 11part/s < I beam < 5E + 13part/s. L andamento di σ(f 1 ) in funzione del flusso del fascio (Figura 3.14) non risulta seguire quello atteso, poiché per valori di flusso del fascio circa maggiori di 5E+12 prot/s ci si aspetta una risalita dovuta all appiattimento della curva di efficienza in tale intervallo (Figura 3.8). Quanto detto non si verifica poiché l effetto di risalita viene bilanciato dalla diminuzione di σ ( ) f 1 f3 σ ) all aumentare del flusso del fascio come mostrato in Figura f 1 ) (o 68

73 Figura 3.15: Incertezza dell efficienza relativa rispetto all intensità del fascio, a diverse tensioni di alimentazione Infine, si considera il caso in cui le camere 2 e 3 sono polarizzate ad una tensione di 300V. L andamento di σ(f 1 ) rispetto a I beam è rappresentato nei seguenti grafici per le due diverse configurazioni (camera1-camera2, camera1-camera3). 69

74 Figura 3.16: Incertezza dell efficienza di raccolta per la camera 1, come funzione di I beam Dal primo grafico della Figura 3.16 si vede che per valori di I beam > 1E + 11part/s si ha un incertezza minore dell 1%. In tale regione, soltanto fino a I beam 5E + 12part/s corrispondono valori di efficienza ragionevoli per la camera 1 e per la camera 2, sufficientemente differenti da poter correggere l efficienza della camera 1. Per valori di I beam < 1E + 11part/s si ha un incertezza σ(f 1 ) troppo grande per un efficienza di circa il 100%, per questo non risulta più conveniente utilizzare il metodo per la stima dell errore descritto precedentemente. Per quanto riguarda la configurazione camera1- camera3 (seconda immagine della Figura 3.16), si può dire lo stesso del caso precedente ma con la differenza che per valori di I beam < 5E + 11part/s si ha un incertezza maggiore. Per entrambe le combinazioni si può quindi, definire una regione di lavoro per valori di I beam compresi tra 5E + 11part/s e 5E + 12part/s. 70

75 Capitolo 4 Test della camera multi-gap La camera descritta nel capitolo precedente è stata caratterizzata attraverso due sedute di misura, la prima presso l ospedale Mauriziano con fascio di fotoni pulsato prodotto da un linac medicale da 6 MV, la seconda presso CNAO con fascio di ioni carbonio di intensità costante. L obiettivo delle misure è duplice, sia di verificare il funzionamento della camera sia di verificare la corrispondenza tra l efficienza di raccolta misurata e quella prevista dalle teorie descritte nel capitolo 2. Per poter determinare la carica raccolta agli elettrodi la camera multi-gap è stata collegata ad un circuito elettronico basato sul chip TERA 08, che permette una lettura digitalizzata della corrente raccolta all anodo di ogni singola camera. In questo capitolo, dopo una breve descrizione dell elettronica di lettura e del sistema di acquisizione, saranno presentate le condizioni sperimentali delle due sedute di misura e i risultati ottenuti. 4.1 Architettura del chip TERA 08 L elettronica di lettura della carica raccolta agli anodi di ogni singola camera del detector, è basata su di un ASIC (application-specific integrated-circuit ) sviluppato dall Università di Torino ed INFN, denominato TERA 08 [21]. Il chip, realizzato in tecnologia CMOS 0.35µm, è il circuito integrato progettato per leggere in parallelo il segnale di 64 canali. Il chip opera come un convertitore di corrente in frequenza, in modo tale da poter misurare la carica contando, tramite un contatore digitale a 32 bit, il numero degli impulsi generati dal circuito di conteggio in un determinato tempo. La frequenza di conteggi è data da ν = I in Q c in cui ν è la frequenza dei conteggi, I in la corrente in ingresso e Q c il quanto di carica. La frequenza di acquisizione del chip massima è di 20 MHz. L architettura del circuito è schematizzata in Figura

76 Figura 4.1: Schema del circuito del TERA 08 TERA 08 può misurare con correnti in ingresso di entrambe le polarità. La corrente in ingresso passa attraverso un amplificatore operazionale OTA (Operational Transconductance Amplifier) in configurazione di integratore con una capacità di feedback C int di 600fF. La tensione in uscita V OUT viene confrontata con due soglie fisse generate da due comparatori (CMP 1, CMP 2 ). Le tensioni di soglia sono fissate esternamente: V th high è il valore di soglia del CMP 1 per le correnti in ingresso negative, mentre V th low si riferisce a CMP 2 per le correnti positive. Quando la tensione in uscita dall integratore V OUT supera il valore di soglia di uno dei due comparatori, lo stato del suddetto comparatore passa dal livello logico basso a quello alto, inducendo il generatore di impulso ad emettere in uscita un impulso positivo della durata di 20 ns. Tale impulso è ricevuto sia dal contatore, che incrementa di un unità il proprio conteggio, sia dal condensatore C sub, appartenente al circuito di sottrazione del quanto di carica dalla capacità C int dell integratore. La massima ampiezza del segnale V pulse da inviare al condensatore di sottrazione C sub é definita dalla differenza tra le due tensioni di riferimento V pulse + e V pulse che sono assegnate esternamente in un intervallo compreso tra 0.5 V a 3.3 V. E possibile selezionare una o più delle tre capacità in parallelo (50,100 e 200 ff) per determinare C sub che può assumere valori compresi tra 50 e 350 ff. La risposta di C sub all impulso sono due segnali di corrente di segno opposto δ+ e δ, associati 72

77 rispettivamente ad un valore positivo e negativo di carica Q + = V pulse C sub Q = ( V pulse ) C sub Il tempo con cui vengono inviati i segnali δ+ e δ sono stabiliti dall impulso inviato al C sub (Figura 4.2) Figura 4.2: Forma d onda della carica sottratta per una corrente d ingresso negativa Dalla figura si vede che il segnale δ+ è inviato in corrispondenza del leading edge dell impulso, mentre δ è inviato in corrispondenza del trailing edge. Il quanto di carica generato viene inviato all ingresso dell OTA e può essere sommato o sottratto in base al segno della corrente di ingresso. Infatti, dal momento che ogni singolo canale deve essere in grado di leggere sia correnti positive che negative, per invertire il quanto di carica il Pulse Generator oltre a generare l impulso deve regolare l apertura degli interruttori sw1 e sw2 che vanno dalla capacità di sottrazione all OTA o all OT A ref. La decisione per cui la carica viene inviata all OTA dipende dall uscita dei comparatori, al fine di poter rimuovere una quantità di carica da C int. Se dopo aver eseguito la suddetta operazione, la tensione all ingresso del comparatore é ancora maggiore (o minore) della soglia, il Pulse Generator continua ad emettere impulsi fino a che la tensione non torna ad essere minore (o maggiore) della tensione di soglia. Volendo leggere sia correnti positive che negative, il PG è collegato ad un contatore Up/Down, il quale effettuerà una somma algebrica degli impulsi in ingresso. Riassumendo si può dire che il principio di misura della carica del TERA 73

78 08 è basato sul conteggio del numero di volte che una capacità di ingresso C int, caricata dalla corrente proveniente dal rivelatore e scaricata dal circuito stesso, raggiunge un valore di soglia fissato. Dato un numero N di conteggi, la carica sarà quindi Q = NQ c Figura 4.3: Schema generale del circuito del TERA 08 I valori che può assumere il quanto di carica Q c dipendono dalla capacità di sottrazione C sub e sono regolati dalla seguente relazione: Q c = C sub V pulse in cui V pulse è la differenza tra le tensioni di riferimento V pulse + e V pulse. Come descritto brevemente all inizio di questo paragrafo, la capacità di sottrazione assume valori compresi tra 50 e 350 ff in base a quali dei tre condensatori (50, 100, 200 ff) posti in parallelo in ingresso del dispositivo di sottrazione vengono selezionati. Per la determinazione del quanto di carica Q c si è fissato il valore di V pulse a 1V e si è ottenuto un range di Q c che va da 50fC a 350fC. Utilizzando Q c =200 fc e considerando la massima frequenza di acquisizione ν max =20 MHz si può calcolare la corrente di saturazione di ogni singolo canale tramite la seguente equazione I sat = Q c ν max = ±4µA. La corrente di saturazione per ogni singolo canale risulta essere piccola, per questo è stato pensato di mettere in parallelo i canali in modo tale da poter leggere in unico chip la corrente ottenuta dalla somma dei conteggi di ogni canale. 74

79 Per sincronizzare la lettura di tutti i contatori relativi ad ogni singolo canale si utilizza il segnale di latch e i dati vengono memorizzati in un registro da 32-bit (MUX). Il MUX, quindi, ha la funzione di convogliare tutti i 64 canali e di predisporre alla lettura quello desiderato. I contatori possono essere azzerati tramite un reset D digitale, mentre il condensatore C int può essere essere scaricato tramite un reset A digitale (Figura 4.3). 4.2 Il sistema di acquisizione dati Il sistema di acquisizione dati usato per il test della camera multi-gap si basa su una piattaforma PXI della National Instruments e su di un programma sviluppato tramite il software LabVIEW: in Figura 4.4 è riportato uno schema del sistema di acquisizione dati. Figura 4.4: Schematizzazione del sistema d acquisizione Come è possibile vedere in Figura 4.5 la piattaforma PXI è costituita da un crate NI PXIe-1070, da un controller e da un modulo FlexRIO FPGA che può essere riconfigurato utilizzando il software LabVIEW FPGA Module. Figura 4.5: Fotografia del crate NI PXIe-1070 della National Instruments 75

80 Il segnale raccolto da ogni camera integrale viene letto tramite l elettronica dei tre chip TERA 08 che in Figura 4.4 sono riportati in verde. Da ogni singolo chip, attraverso due SCSII II 68 pin buses (uno per la scheda che contiene due chip e uno per la scheda che contiene un chip), i valori dei contatori di tutti i 64 canali vengono trasferiti serialmente alla scheda di acquisizione FlexRIO FPGA che procede alla loro somma. I dati acquisiti tramite il software LabVIEW, possono essere osservati sullo schermo in due diverse modalità: la modalità integrale, in cui viene presentata la somma dei valori di ciascun contatore; la modalità differenziale che presenta i dati come la differenza tra la somma dei valori dei contatori e la medesima quantità relativa alla lettura precedente. In entrambe le modalità i dati vengono memorizzati e salvati in formato binario, per poi essere letti con il programma di analisi in LabVIEW. 4.3 Test all ospedale Mauriziano La camera multi-gap è stata testata all ospedale Mauriziano con un fascio di fotoni estratto dall acceleratore lineare Elekta synergy da 6 MV, Figura

81 Figura 4.6: Testata dell acceleratore Eleckta Synergy e camera multi-gap posizionata sul lettino di trattamento Configurazione sperimentale La configurazione sperimentale per testare la camera multi-gap é riportata nella fotografia di Figura

82 Figura 4.7: Configurazione sperimentale utilizzata per testare la camera all ospedale Mauriziano La camera riempita di aria, è stata posta sul lettino di trattamento in modo tale che il fascio proveniente dalla testata dell acceleratore incida perpendicolarmente alla stessa. Tra il lettino e l involucro metallico contenente la camera, è stato posto un blocco di acqua solida necessario per uniformare il materiale sottostante alla camera. Un altro blocco di acqua solida è stato posto sopra al rivelatore, per far avvenire in tale spessore il build up, ovvero la quantità di dose rilasciata prima di raggiungere il massimo valore (Figura 1.2), e trovarsi nella camera nel punto più alto di dose. Le tre camere appartenenti al pacchetto della multi-gap sono alimentate indipendentemente da un generatore di alta tensione, un altro generatore di tensione è invece utilizzato per alimentare l elettronica di front-end Misure di efficienza Nel test descritto nel seguito, l acceleratore Elekta Synergy opera ad una tensione di 6MV. Il dose rate del fascio é di 300 UM/min e la dose è di 200 UM. L unità monitor (UM) è l unità di misura utilizzata tipicamente in radioterapia per quantificare la dose erogata da un acceleratore (1UM = 1cGy all isocentro) Le misure sono state prese con un fascio di campo 2 2 cm 2 all isocentro, a 78

83 distanze differenti dalla sorgente di fotoni (Figura4.8) e a diversi valori di tensione di polarizzazione delle camere nell intervallo (13-400V). Figura 4.8: Rappresentazione schematica delle differenti posizioni della camera rispetto alla sorgente Come si osserva dalla Figura 4.8, il fascio di fotoni che irraggia la camera è di forma conica. La posizione della camera a 100 cm rispetto alla sorgente, evidenziata nell immagine, rappresenta l isocentro; altre posizioni più vicine e più distanti rispetto all isocentro in cui sono stati acquisiti dati sono rappresentati in Figura 4.8. Avvicinando la camera alla sorgente, ci si aspetta un aumento della densità di ionizzazione (n 0 ). Ciò è dovuto alla legge dell inverso del quadrato [22], secondo cui la fluenza dei fotoni φ è inversamente proporzionale al quadrato della distanza dalla sorgente. Si considera una sorgente puntiforme S che emette fotoni con fluenza φ A ad una distanza dalla sorgente f a e con fluenza φ B ad una distanza dalla sorgente f b (Figura 4.9). 79

84 Figura 4.9: Fascio di fotoni divergente originato in una sorgente puntiforme. Siccome il numero totale di fotoni N T OT che attraversa l area A (dimensione del campo alla distanza f a dalla sorgente) è uguale al numero di fotoni che attraversa l area B(dimensione del campo alla distanza f b dalla sorgente), assumendo che non avvengano interazioni dei fotoni in aria tra le due posizioni, si può scrivere: N T OT = φ A A = φ B B e φ A = B φ B A = b2 a 2 = f b 2 fa 2 Nell analisi verranno riportati i risultati ottenuti per ogni condizione sperimentale. L osservazione fondamentale che è stata fatta per l analisi dei dati è che la radiazione al di fuori del campo non sia trascurabile. Per questo motivo, il numero dei conteggi integrale R i può essere rappresentato come somma di due termini (Equazione 4.1), il primo che descrive l effetto dei fotoni interni 80

85 al campo e il secondo l effetto dei fotoni al di fuori di esso. R i = fi F A F F F d 2 + fi B iso A C A F d 2 i (4.1) In questa formula f rappresenta l efficienza di raccolta e più precisamente f F i e f B i (in cui f B i = 1 poiché si presuppone di avere un flusso piccolo fuori dal campo) sono rispettivamente i valori di efficienza nel campo e nella parte restante della camera, F F e F B sono rispettivamente i valori di fluenza per unità di angolo solido nel campo e al di fuori di esso, A C e A F sono rispettivamente l area della camera e l area del campo, d i le distanze dalla sorgente e d iso la distanza fissa all isocentro pari a 100 cm. Tramite il metodo della minimizzazione del χ 2 si sono trovati i valori ottimali di F F, di F B e di f F i. I valori di F F e F B, ottenuti per un campo di 2 2 cm 2 all isocentro, sono i seguenti: F F = counts/ω F B = counts/ω Tali valori sono stati ottenuti schermando la zona della camera esterna al campo con piombo per ridurre l effetto dell attenuazione del fascio e quindi l effetto della radiazione diffusa (Figura 4.10). Dai valori ottenuti di F F e F B si può notare che la fluenza nel campo risulta essere di tre ordini superiore rispetto alla fluenza fuori dal campo. Il valore di F B risulta quindi essere piccolo in termini di dose al paziente ma non trascurabile se integrato sull area della camera che è di grande dimensione. Se venisse trascurata la fluenza al di fuori del campo si otterrebbero misure non reali di carica raccolta. Figura 4.10: Fotografia della camera schermata con Piombo Analisi dei valori di efficienza Dal fit dei dati, ottenuto tramite l equazione 4.1, eseguito simultaneamente per tutte le posizioni assunte dalla camera si sono ottenuti i valori dell efficienza fi F nel campo. I dati sono stati ottenuti con un campo 2 2 cm 2 per 81

86 cinque posizioni diverse della camera rispetto alla sorgente e con due tensioni di polarizzazione della camera multi-gap (13V e 400V). I valori di efficienza ottenuti in funzione della posizione della camera a 13V di alimentazione, sono riportati in Figura 4.11: Figura 4.11: Valori di efficienza per ogni singola camera in funzione della posizione della camera rispetto alla sorgente, ad una tensione di 13V Lo stesso grafico per una tensione di 400V, non riportato, mostra un efficienza del 100% per ogni camera in ogni posizione. Ciò che si può vedere in Figura 4.11 è l incremento dell efficienza al crescere della distanza dalla sorgente. Quanto detto è dovuto alla prevalenza alla legge dell inverso del quadrato della distanza descritta nel paragrafo precedente, in quanto avvicinandosi alla sorgente aumenta la densità di ionizzazione e di conseguenza aumenta la probabilità di ricombinazione e quindi l inefficienza. Inoltre dal grafico 4.11 si può osservare che la camera 1 ha una maggiore efficienza rispetto alle altre due come aspettato, poiché avendo il gap più piccolo e il campo elettrico maggiore, risulta essere minore la probabilità di ricombinazione. L efficienza della camera 2 assume valori minori per ogni posizione rispetto alla camera 1 e i valori di efficienza della camera 3 sono a loro volta minori in ogni posizione di quelli della camera 2. Quanto detto conferma le aspettative. Alla posizione dell isocentro (100cm) sono state eseguite delle misure per differenti valori di tensione di alimentazione della camera. Nel grafico di Figura 4.12 sono riportati i valori di efficienza in funzione della tensione di alimentazione. 82

87 Figura 4.12: Grafico dell efficienza rispetto alla tensione di alimentazione per ogni singola camera alla posizione dell isocentro Tali curve di efficienza, mostrano un andamento crescente dell efficienza rispetto alla tensione di polarizzazione. Questo comportamento rispecchia quello aspettato, in quanto aumentando la tensione di alimentazione aumenta il campo elettrico tra gli elettrodi e di conseguenza aumenta l efficienza. Anche in questo caso, prima della saturazione (130V), si nota che l efficienza della camera 1 è maggiore di quella della camera 2 e che l efficienza della camera 2 è maggiore di quella della camera 3. A questo punto, una volta trovati i valori dell efficienza in funzione della distanza (Figura 4.11), è possibile applicare la teoria di Boag per ricavare i valori della densità di ionizzazione. Utilizzando un metodo iterativo, dati i valori dell efficienza si trovano i valori del parametro adimensionale u tramite la formula f = 1 ln(1 + u) u e quindi il valore di n 0 n 0 = uv (K + + K )/(d 2 α) in cui K + e K sono le mobilità degli ioni positivi e negativi e sono uguali a 1.4 cm 2 /V s, α è il coefficiente di ricombinazione ed è uguale a cm 2 /s, d è l ampiezza del gap relativo ad ogni camera (d 1 = 5mm, d 2 = 10mm, d 3 = 15mm). I dati ottenuti di n 0 sono riportati in Figura

88 Figura 4.13: Andamento della densità di ionizzazione in funzione della distanza del rivelatore dalla sorgente, per le tre camere Nel grafico di Figura 4.13, la linea viola rappresenta l andamento teorico della densità di ionizzazione. Come si può vedere i valori di densità di ionizzazione relativi ad ognuna delle tre camere rispettano tale andamento. Il valore di n 0 relativo ad ogni posizione dovrebbe essere lo stesso per tutte e tre le camere, in quanto sono poste alla stessa distanza dalla sorgente, ma i valori della densità di ionizzazione relativi alla camera 3 risultano maggiori di un fattore due rispetto ai valori teorici. Una possibile spiegazione a questo comportamento sta nell orientamento della camera rispetto alla sorgente: la camera 3 è la prima camera ad essere irraggiata per cui il fascio non ha subito diffusioni, mentre potrebbe averne subite nei gap che la separano dalle altre due camere. Il fenomeno della diffusione causa allargamento del fascio e conseguente diminuzione della densità di ionizzazione. Per questo motivo n 0 risulta essere maggiore per la camera 3. Come ultima analisi si è verificata l attendibilità del fit ottenuto (equazione 4.1), calcolando lo scarto relativo. σ = R exp R calc R exp in cui R exp è il numero di conteggi ottenuto sperimentalmente, mentre R calc è il numero di conteggi aspettato (equazione 4.1). Il grafico dello scarto relativo è riportato in Figura

89 Figura 4.14: Grafico dello scarto relativo in funzione della posizione della camera rispetto alla sorgente, per le tre camere Dal grafico si osserva che lo scarto relativo è dell ordine del percento in ogni posizione assunta dalla camera rispetto alla sorgente, a conferma della validità del modello utilizzato per descrivere i dati Test sull uniformità La camera multi-gap, polarizzata a 400V, è stata irraggiata con un fascio 2 2 cm 2 in ognuna delle sedici aree in cui è stata suddivisa la sua superficie (Figura 4.15). Ciò è stato fatto per verificare l uniformità di risposta alla radiazione. Figura 4.15: Griglia virtuale di suddivisione della camera Per far sì che la camera fosse irraggiata in ognuna delle sedici aree, si è spostato il lettino tramite un sistema motorizzato. Nel grafico di Figura 4.16 è riportato il numero di conteggi misurato per identiche condizioni di irraggiamento nei sedici punti rappresentati in Figura I risultati mostrano apparentemente una disuniformità di risposta della camera. 85

90 Figura 4.16: regioni Grafico dei conteggi ottenuti nell irraggiamento delle sedici Il fascio incidente sulla camera è composto da due coni: il primo rappresenta il campo ed è interamente contenuto nella regione sensibile del rivelatore, il secondo contenente il fondo è di apertura maggiore e in base alla zona della camera che irraggia è incluso o meno nella regione sensibile. Dal grafico di Figura 4.16 si osserva che quando la camera è in posizione tale che il fascio punti al centro (posizione ) entrambi i coni sono contenuti all interno della camera per cui i conteggi risultano essere più alti. Spostandosi sui bordi (posizione ) il cono contenente il fondo è parzialmente racchiuso dalla camera e per questo si ha un numero di conteggi minore. Agli spigoli (posizione ) i conteggi sono ancora inferiori perché gran parte del cono di fondo è fuori dalla camera. Si può dire quindi che l apparente disuniformità di risposta è dovuta alla presenza del cono di fondo che ha un ampiezza tale da non poter essere contenuto totalmente all interno della zona sensibile del rivelatore. Inoltre questo segnale di fondo non ha un andamento uniforme su tutta la superficie della camera. 4.4 Test al CNAO (Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica) La camera multi-gap riempita di aria è stata testata al CNAO con un fascio di ioni carbonio (C 6 + ) alla minima energia, estratto dal sincrotrone rappresentato in Figura

91 Figura 4.17: Fotografia del sincrotrone di CNAO L impianto di CNAO è costituito da un sincrotrone con due sorgenti ECR, da un LINAC e da tre sistemi di trasporto del fascio verso le sale di trattamento. Le sorgenti ECR e il LINAC sono posizionate all interno dell anello del sincrotrone per rendere la macchina acceleratrice più compatta. Il sincrotrone di CNAO ha un diametro di 25 m e accelera principalmente protoni e ioni carbonio rispettivamente da 60 a 250 MeV e da 120 a 400 MeV/u. Le due sorgenti ECR lavorano continuamente e possono essere monitorate individualmente. I tipi di particelle generate, per essere accelerate, sono selezionate soltanto modificando l impostazione dei magneti del LEBT (Low Energy Beam Transfer). Alla fine del LEBT è posizionato un magnete deflettente che incurva di 75 0 il fascio indirizzandolo verso il RFQ (Radio Frequency Quadrupole) che accelera il fascio da 8 KeV/u (energia con la quale escono dalla sorgente) a 400 KeV/u. Il LINAC accelera le particelle fino a 7 MeV/u. Il LEBT è stato progettato in modo tale da poter passare automaticamente da una sorgente all altra. Successivamente le particelle attraversano la linea del MEBT (Medium Energy Beam Transfer) che trasporta il fascio verso il punto di iniezione nel sincrotrone; è proprio in questa linea di trasferimento che si effettua la selezione del tipo di particella da usare per evitare la contaminazione del fascio con particelle estratte in precedenza. Lo HEBT (High Energy Beam Transfer) trasporta il fascio estratto alle tre sale di trattamento ed è attrezzato con un sistema detto chopper che permette se necessario lo spegnimento del fascio. Il chopper è costituito da 87

92 quattro magneti identici alimentati in serie che creano un orbita d urto con la traiettoria del fascio permettendo lo spegnimento del fascio. Il fascio del CNAO è estratto dal sincrotrone con una estrazione lenta di tipo risonante, che permette di distribuire le particelle accelerate su tempi dell ordine del secondo. Tra la fine di uno spill e l inizio del successivo, i magneti vengono portati fino al campo massimo, poi al campo minimo e infine riportati al valore corrispondente all iniezione da cui inizia l accelerazione del fascio successivo. Questo porta a una struttura temporale come quella illustrata in Figura Figura 4.18: Struttura temporale del fascio estratto dal sincrotrone del CNAO. Il fascio arriva in sala di trattamento per un secondo circa e tra uno spill ed il successivo vi è un intervallo di circa 3 secondi [23]. Le caratteristiche del fascio estratto da CNAO sono riportate nella tabella Figura 4.19: Fondamentali parametri fisici di CNAO [20] Configurazione sperimentale La configurazione sperimentale per testare la camera multi-gap è riportata in Figura

93 Figura 4.20: Fotografia della configurazione sperimentale di CNAO Come si vede dalla fotografia, la multi-gap è stata posta verticalmente sul lettino di trattamento. La camera e l elettronica di front-end sono state alimentate da due differenti generatori di alta tensione. Ad una certa distanza dalla camera sul lettino di trattamento sono stati messi dei fusti pieni d acqua per assorbire la radiazione che attraversa la camera Test efficienza Le misure sono state effettuate ad intensità del fascio costante e tensioni di polarizzazione variabili in un intervallo da 13 V a 400 V. Sono stati utilizzati tre valori di intensità: la massima intensità ( part/spill), l intensità al 50% ( part/spill ) e la minima intensità al 20% ( part/spill). Per ogni valore di tensione e per ogni valore di intensità la camera è stata irraggiata con lo stesso numero di particelle. I conteggi ottenuti alla varie tensioni sono riportati nei seguenti grafici: 89

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