Premessi cenni sulla disciplina della successione di norme penali, si soffermi

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1 Premessi cenni sulla disciplina della successione di norme penali, si soffermi il candidato sull applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative previste dalle leggi di depenalizzazione ai fatti commessi durante la vigenza della norma incriminatrice, affrontando anche il tema della compatibilità di tale applicazione retroattiva con il principio enunciato dall art. 25 comma 2 Cost. La questione relativa all applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative, previste dalle leggi di depenalizzazione, ai fatti commessi durante la vigenza della norma incriminatrice e la problematica in merito alla compatibilità di tale applicazione retroattiva con il principio enunciato dall art. 25 Cost. derivano dallo scontro di diverse ed opposte concezioni dei rapporti e della natura dei due sistemi sanzionatori, penale ed amministrativo, propri del nostro ordinamento. Inoltre, i contrasti sul punto si acuiscono in considerazione dell impatto che sul nostro sistema giuridico spiegano le norme degli ordinamenti europei, in particolare della CEDU, cui risulta estranea la divisione dei due binari sanzionatori.

2 Infine, il dibattito è ancor più inasprito e complicato dall intersezione con i due sistemi sanzionatori de quibusdi quello ulteriore delle misure di sicurezza. Più in dettaglio, la disciplina della successione delle norme penali nel tempo, in virtù delle conseguenze particolarmente pregiudizievoli che la loro applicazione produce nella sfera giuridica dei consociati, è improntata alla massima garanzia del favor libertatis, in attuazione dei principi di inviolabilità della libertà personale e di salvaguardia dell integrità patrimoniale degli individui (artt. 13 e 42 Cost.). Tale disciplina consta di due sommi principi: quello di irretroattività della norma penale sfavorevole e quello di retroattività della norma penale favorevole, da cui deriva il principio di non ultrattività della norma penale sfavorevole. Il primo principio è accolto dall art. 25 co. 2 Cost. e dall art. 2 c.p. e costituisce corollario del principio di legalità, volto, nello specifico, a tutelare i consociati avverso i possibili arbitrii del legislatore. Infatti, esso consente la punizione esclusivamente in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto e, pertanto, fonda anche il principio di colpevolezza (art. 27 Cost.), poiché impone la previa conoscibilità della norma incriminatrice da parte dei consociati, di modo che essa possa produrre la propria efficacia deterrente ed orientativa ed i soggetti destinatari possano autodeterminarsi secondo quella, con la conseguenza della loro rimproverabilità in caso di trasgressione. Per quanto esposto, il principio de quoè considerato assoluto ed inderogabile nell ambito del nostro ordinamento penale, controlimite rispetto alle norme euronunitarie, come sancito dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale nella risoluzione del cd. caso Taricco. Invero esso costituisce principio fondamentale anche per gli ordinamenti europei, ove trova l unica eccezione costituita dalla cd. regola diradbruchper i crimina iuris gentium(artt. 7 CEDU e 49 CDFUE). D altra parte, il principio di retroattività della norma penale favorevole, la quale al pari di quella sfavorevole, secondo l orientamento consolidato, deve intendersi in relazione alla sua applicazione concreta e combinata con le altre disposizioni normative, non trova un fondamento costituzionale esplicito, bensì un espresso

3 riconoscimento all art. 2 c.p. Cionondimeno, la Corte Costituzionale (sentenze 393 e 394/2006) insieme con la giurisprudenza e la dottrina ormai concordi radicano il suddetto principio in quello di proporzionalità, eguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), nonché in quello di offensività. Infatti, si osserva che, a seguito dell entrata in vigore di una norma più favorevole rispetto alla precedente, risulterebbe irragionevole una diversificazione del trattamento sanzionatorio che si fondasse esclusivamente sul momento di commissione del fatto, precedente o successivo all entrata in vigore della lex mitior. Inoltre, si evidenzia che ciò contrasterebbe anche col carattere oggettivo del nostro ordinamento, improntato per i più al principio di offensività, poiché si seguiterebbe ad applicare un trattamento sanzionatorio, modulato in base ad un precedente giudizio di disvalore, nei confronti di un fatto che successivamente, in punto di disvalore, è considerato meno grave dal legislatore oppure non più penalmente rilevante, rispettivamente nei casi di abrogatio sine abolitionee di abolitio criminis. Tuttavia, a differenza del principio di irretroattività della norma penale sfavorevole, quello di retroattività della lex mitior, accolto anche in ambito europeo, implicitamente dall art. 7 CEDU, come ritenuto dalla Corte EDU sin dalla risoluzione del cd. caso Scoppola, ed esplicitamente dall art. 49 CDFUE, nell ambito dell ordinamento interno è considerato derogabile all esito di un bilanciamento con altri principi fondamentali del sistema. Ciò è quanto emerge dalla disciplina dell art. 2 c.p., per il caso di intervento di un giudicato di condanna prima di un abrogatioe non anche, invece, di un abolitio. In quest ultima ipotesi, infatti, a differenza della prima, che investe la mera modifica del trattamento sanzionatorio, il divario tra le conseguenze giuridiche del fatto, prima punito come reato e poi depenalizzato, si ritiene tale da giustificare anche uno scardinamento del giudicato. Orbene, i suesposti principi, che dominano la successione di norme penali nel tempo, non si applicano, quantomeno non nei termini descritti, ai diversi sistemi delle misure di sicurezza e delle sanzioni amministrative, in virtù delle differenti rationesche animano le disposizioni relative ad esse.

4 In particolare, già al riguardo delle misure di sicurezza l art. 25 co. 3 Cost. non prevede e l art. 200 c.p. esclude l operatività del principio di irretroattività della norma sfavorevole, ordinando l applicazione della disposizione vigente al momento dell applicazione o dell esecuzione della misura. Nell ambito dell ordinamento tale disciplina è stata giustificata in considerazione della funzione non punitiva ma esclusivamente preventiva delle misure di sicurezza, eminentemente volte a scongiurare l avveramento di un pericolo ed estranee alla logica della rimproverabilità e della colpevolezza. Diversamente, invece, è previsto in materia di sanzioni amministrative, ove operano la regola generale dell art. 11 disp. prel. per l efficacia nel tempo della legge ordinaria ed il più specifico art. 1 l. 689/1981, che contempla il principio di irretroattività della sanzione, proprio in forza del carattere punitivo della misura da applicare. La questione odierna si pone in relazione alla legittimità della deroga a tale principio, prevista e prevedibile in materia amministrativa, con specifico riferimento alle normative di depenalizzazione, le quali intervengono a sostituire la previsione di sanzioni penali per determinati fatti, con la previsione di sanzioni meramente amministrative, determinando una trasformazione della natura dell illecito da penale ad amministrativo. Più in dettaglio, le discipline di depenalizzazione (l. 689/1981; l. 561/1993; d.lgs. 507/199; l. 62/2005; d.lgs. 8/2016) costituiscono attuazione dei principi di extrema ratioe sussidiarietà del diritto penale e, più a monte, del principio di proporzionalità (art. 3 Cost.). Attraverso tali riforme normative, il legislatore adegua il calibro e la natura della risposta sanzionatoria al disvalore riconosciuto a determinati fatti, secondo i mutamenti della concezione sociale ed in considerazione che la previsione di una pena può giustificarsi esclusivamente se necessaria, dunque se rappresenta l unico strumento deterrente possibile per scongiurare il verificarsi di illeciti. Secondo l impostazione tradizionale, al minor disvalore riconosciuto agli illeciti amministrativi, rispetto a quelli penali, corrisponde un attenuazione del trattamento sanzionatorio, meno incisivo della libertà dei consociati, ed un abbassamento del livello delle garanzie legislative. È questa l opzione ermeneutica che seguita a sposare la tradizionale concezione

5 dualista e separata, non unitaria, dei due sistemi sanzionatori, penale ed amministrativo, e che esclude le sanzioni amministrative dall alveo applicativo dell art. 25 co. 2 Cost., con la conseguenza che l irretroattività delle stesse resta imposta dalla sola legge ordinaria (artt. 11 disp. prel. e 1 l. 689/1981), pertanto derogabile da una successiva norma dello stesso rango. Infatti, tutte le normative di depenalizzazione recano in sé una disciplina finale e transitoria con cui si dispone l applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative neointrodotte ai fatti commessi nel periodo di vigenza delle norme incriminatrici abrogate (art. 40 l. 689/1981; art. 4 l. 561/1993; art. 100 d.lgs. 507/199; art. 9 co. 6 l. 62/2005; art. 8 d.lgs. 8/2016). In altri termini, il presunto carattere più mite della sanzione amministrativa, rispetto a quella criminale, consentirebbe la deroga al principio di irretroattività nei casi in cui si imponga il suo bilanciamento col principio di ragionevolezza, come avviene nelle ipotesi di depenalizzazione. In tali evenienze, infatti, da un lato il principio di non ultrattività della norma penale sfavorevole escluderebbe l applicazione di questa ai fatti commessi durante il suo periodo di vigenza poi depenalizzati; dall altro lato il principio di irretroattività della sanzione amministrativa vi escluderebbe l applicazione anche di questa. Ne discenderebbe, dunque, la paradossale conseguenza dell impunità degli illeciti in parola, che le disposizioni transitorie e finali citate mirano ad evitare, consentendo la deroga al principio di irretroattività della sanzione amministrativa e la sua applicazione retroattiva, generalmente col limite dell intervento medio temporedi un giudicato di condanna. In realtà la legittimità di tali disposizioni è posta in dubbio da chi evidenzia la medesimezza della ratio, sanzionatoria, che fonda la previsione di norme incriminatrici e di norme punitive di illeciti amministrativi. Per tale via ermeneutica i due sistemi sanzionatori dovrebbero considerarsi unitariamente sotto questo aspetto, come non escluso ed anzi imposto, secondo l esegesi in parola, dall art. 25 co. 2 Cost. La norma, infatti, si osserva subordinare la punizione in generale, ed in assenza di specificazioni, alla sussistenza di una previa legge sanzionatoria; pertanto si imporrebbe il principio di irretroattività della norma punitiva al legislatore ordinario anche nella previsione di sanzioni amministrative, poiché nell ambito

6 applicativo dell art. 25 co. 2 Cost. dovrebbero considerarsi ricomprese anche queste ultime. È questa l opzione esegetica sposata dalla Corte Costituzionale, che in diverse pronunce nel 2014 e nel 2016 ha esteso l operatività della norma de quaanche agli illeciti amministrativi. Invero tali acquisizioni sono rafforzate dall impatto prodotto nel nostro ordinamento da parte di quelli europei, in particolare dalla CEDU, cui sono estranee le nozioni di sanzione ed illecito amministrativi e che dunque imporrebbero una considerazione unitaria del sistema punitivo, almeno nei casi in cui le misure qualificate come amministrative nell ordinamento interno siano provviste dei requisiti idonei configurarle come penali nell ordinamento CEDU. In relazione a tali sanzioni si imporrebbe l applicazione delle garanzie dell art. 7 CEDU, in primis, e dunque l applicazione della corrispondente disciplina della successione di leggi, pena l illegittimità costituzionale della norma interna contrastante con l art. 117 Cost., in riferimento all art. 7 CEDU. In particolare, i criteri alla luce dei quali vagliare il carattere sostanzialmente penale delle sanzioni formalmente amministrative interne, così come anche delle misure di sicurezza, sono costituiti dai cd. parametri Engel, enucleati dalla Corte EDU proprio per scongiurare il fenomeno della cd. frode delle etichette, rappresentato dalla pratica legislativa di qualificazione delle sanzioni in termini non penali al fine di sfuggire all applicazione delle dovute garanzie delle libertà dei consociati. Tali criteri sono costituiti dal nomen iurisdella sanzione e dell illecito nell ordinamento interno, dalla natura, id estdalla funzione, della misura (sanzionatoria, preventiva, riparatoria, disciplinare), nonché dalla sua afflittività. L applicazione dello statuto CEDU alle sanzioni amministrative, ma sostanzialmente penali, alla ricorrenza dei presupposti enunciati, imporrebbe di applicare alla depenalizzazione la disciplina della successione di norme penali nel tempo, Inoltre si osserva che dall applicazione degli artt. 25 co. 2 Cost. e 7 CEDU alle sanzioni amministrative non discenderebbe automaticamente l illegittimità delle disposizioni finali e transitorie delle leggi di depenalizzazione che ne ordinano la

7 retroattività, ma a tal fine sarebbe necessaria un indagine ulteriore. Infatti, secondo la tradizionale impostazione, che in ogni caso ed aprioristicamente riconosce alla sanzione amministrativa un carattere più favorevole rispetto alla sanzione penale, le disposizioni finali e transitorie delle leggi di depenalizzazione risulterebbero conformi ai principi costituzionali e convenzionali, poiché determinerebbero l applicabilità retroattiva di una lex mitiore non di una norma sfavorevole. D altro canto, per un impostazione più recente, formatasi alla luce delle nuove forme e dei nuovi contenuti assunti dalle sanzioni amministrative a seguito degli interventi legislativi, non potrebbe in qualunque ipotesi ed astrattamente considerarsi più mite il trattamento sanzionatorio amministrativo rispetto a quello penale e dovrebbe, invece, procedersi ad una verifica casistica, dunque concreta, e complessiva della norma più favorevole o più sfavorevole. La questione si è posta, seppur in termini parzialmente diversi, in relazione alla depenalizzazione operata dalla l. 62/2005 per gli illeciti previsti dal d.lgs. 58/1998 (TUF). In particolare, la problematica ha riguardato non l applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative ivi previste, bensì l applicazione retroattiva della conseguente confisca per equivalente, disposta dall art. 187sexiesTUF. La Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità della normativa in parola, l ha dichiarata inammissibile ed ha sposato l ultima delle ricostruzioni esposte, evidenziando l omissione del giudice a quodella verifica concreta e complessiva del carattere più o meno favorevole dello statuto sanzionatorio applic

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