I rapporti tra diritto penale e fonti sovranazionali

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1 I rapporti tra diritto penale e fonti sovranazionali I rapporti tra diritto penale e fonti sovranazionali. Esamini in particolare il candidato la questione se una persona fisica, titolare di una di una ditta individuale, possa essere sottoposto a processo penale e condannato per il delitto di cui all art.10 ter dlgs 74/2000 allorché sia stato sanzionato con un provvedimento definitivo dell Amministrazione Tributaria in relazione ai medesimi importi i.v.a. evasi per l illecito amministrativo di cui all art.13 dlgs 471/97 di Bianca Pisciotta[*] Il diritto penale attualmente vive in una dimensione dinamica, presentandosi come etero integrato: sono, infatti, sempre più forti le influenze sia del diritto comunitario che del diritto europeo. Tuttavia, queste due fonti sovranazionali dispiegano effetti differenti nell ordinamento interno, come è stato chiaramente sottolineato da due sentenze gemelle della Corte Costituzionale del 2007, la N 348 e la 349, secondo cui il diritto comunitario trova riconoscimento costituzionale nell art. 11, laddove è previsto che lo Stato acconsente a limitazioni della propria sovranità. Vige, pertanto, il principio di supremazia del diritto comunitario nelle sfere che sono di sua competenza. Ne consegue che, qualora una norma interna sia contrastante con il diritto comunitario, il giudice nazionale può, in forza di un controllo diffuso, disapplicarla e dare applicazione diretta e immediata alla norma dell Unione Europea. L influenza del diritto comunitario incontra, però, il limite del rispetto dei principi fondamentali dell ordinamento interno tra cui vi rientra anche il principio della riserva di legge, corollario del principio di legalità. In base a tale principio è il

2 Parlamento a detenere il monopolio della criminalizzazione e il diritto comunitario non può, quindi, introdurre nuove fattispecie di reato. La giurisprudenza ha, tuttavia, riconosciuto al diritto comunitario la possibilità, attraverso le sue norme, di dispiegare nell ordinamento interno effetti espansivi o limitativi nel diritto penale interno. I primi, ai sensi dell art. 83 TFUE, si verificano ogniqualvolta il diritto comunitario richiede agli stati aderenti di elevare la tutela di un certo bene giuridico, prevedendo nuove fattispecie di reato. Esempi dell effetto espansivo del diritto comunitario sono da ricercare negli art. 322 bis e 640 bis cp. Qualora lo stato non adempia agli obblighi di criminalizzazione sarà sanzionato mediante la procedura di infrazione, ma ciò non comporta alcun effetto pregiudizievole diretto per gli individui. Vi è, invece, effetto limitativo quando la norma comunitaria attribuisce agli individui nuovi diritti o nuove posizioni giuridiche di vantaggio che non permettono l applicazione agli stessi della norma di reato. Esempi di ciò sono da rintracciare nell art. 348 cp. e nell art. 14 comma 5 ter TU immigrazione. Da quanto detto emerge che il diritto comunitario dispiega effetti solo indiretti o riflessi sul diritto penale interno. Diverso è il tenore del diritto europeo. Anche a seguito del trattato di Lisbona del 2007 la giurisprudenza (in particolare la Corte Costituzionale n 80/2011) ha ritenuto che la CEDU non fosse ancora stata comunitarizzata in quanto il trattato contiene solo una dichiarazione di intenti in tal senso. Resta, allora, ferma la distinzione tra diritto comunitario ed europeo. La Corte Costituzionale, nelle già citate sentenze gemelle del 2007, ha ricondotto la CEDU nell alveo dell art. 117 Cost., ovvero tra gli obblighi internazionali pattizi. Per la Consulta la Convenzione rappresenta una fonte interposta, una fonte

3 sovraordinata rispetto alla legge ordinaria e sotto ordinata rispetto alla Costituzione che, pertanto, funge da parametro di legittimità nei confronti delle leggi primarie. Qualora il giudice nazionale riscontri un contrasto tra la norma interna e la norma della CEDU è, in primo luogo, tenuto a cercare di dare alla prima un interpretazione convenzionalmente orientata e, solo qualora ciò non sia possibile, deve sollevare questione di legittimità costituzionale innanzi alla Corte Costituzionale. Anche le norme della Convenzione devono rispettare il limite costituito dai principi fondamentali dello Stato aderente. E, tuttavia, possibile che la CEDU e l ordinamento interno attribuiscano valenza diversa o diverso ambito applicativo ad un medesimo principio ed è proprio in questi casi che si coglie tutta l influenza che il diritto europeo dispiega nel diritto penale interno. Sia l ordinamento interno che la CEDU riconoscono come fondamentale il rispetto del principio di legalità, seppur con accezioni parzialmente differenti. Tale principio, che è posto a garanzia della libertà personale e che permette al singolo di calcolare anticipatamente le conseguenze delle proprie condotte, è sancito nell art. 25 co. 2 della Costituzione, secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. La necessaria previsione legislativa riguarda sia il fatto di reato che la pena, nonché le misure di sicurezza, come specificato dal comma 3 del medesimo articolo. Lo stesso principio è contenuto anche nell art 7 della CEDU sebbene la sua latitudine applicativa sia più ampia. Ciò si spiega perché alla CEDU hanno aderito sia paesi di common law che di civil law e, di conseguenza, è considerato diritto sia quello di produzione legislativa che quello di produzione giurisprudenziale. L interpretazione che l art 7 CEDU attribuisce al principio nullum crimen sine lege ha dispiegato effetti anche nel diritto penale interno, permettendo il superamento della tradizionale dicotomia tra legalità in senso formale (maggiormente garantista per il cittadino) e legalità in senso sostanziale (sicuramente più efficace perché previene le possibili fratture

4 tra criminalità legale e criminalità reale) a favore dell accoglimento di un principio di legalità cd materiale. Infatti, a partire dalla sentenza resa a Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione del 21 gennaio 2010 n la giurisprudenza interna ha riconosciuto l esistenza di una relazione concorrenziale tra legge e opera interpretativa del giudice nel definire ciò che è reato. Il diritto vive dell interpretazione che nel tempo ne dà la giurisprudenza, senza l opera del giudice la legge è un guscio vuoto secondo la Cassazione. I giudici di legittimità precisano, poi, che ad aver rilievo è solo l interpretazione consolidata, ovvero quella accolta da una pronuncia a Sezioni Unite. E, allora, esaltato il ruolo della giurisprudenza grazie all influenza del diritto europeo. La CEDU attribuisce un significato diverso e più ampio anche alla nozione di pena, con evidenti risvolti sul piano nazionale. La Corte di Strasburgo ha, infatti, in varie sentenze riconosciuto la natura di pena anche a misure che non sono ritenute come tali nell ordinamento interno in forza della concezione autonomista. La natura di pena comporta, come conseguenza, il rispetto del principio di legalità e del suo corollario più importante, ovvero quello di irretroattività della norma sfavorevole. La Corte EDU ha individuato una serie di parametri in base ai quali ritenere come penale una sanzione: la qualificazione interna è un mero indizio cui deve seguire l accertamento del legame tra sanzione e reato oppure la verifica circa la gravità della misura irrogata, l autorità competente a irrogarla nonché l indagine circa la reale finalità che quella sanzione mira a ottemperare. Seguendo in maniera non cumulativa, ma anche solo alternativa, questi criteri la Corte EDU ha, in più occasioni, sancito la natura penale di quelle che nell ordinamento interno erano considerate come misure di sicurezza o sanzioni amministrative. Tali pronunce della Corte Europea hanno comportato il necessario adeguamento dell ordinamento interno chiamato a rispettare anche per queste misure,

5 sostanzialmente penali, il principio di legalità e di irretroattività della legge penale sfavorevole ai sensi dell art. 2 cp. Terreno privilegiato dello scontro tra giurisprudenza nazionale e Corte di Strasburgo circa la nozione di pena è stata la confisca. Come specificato anche dalla Corte Costituzionale, nella sentenza 196 del 2010, la confisca rappresenta un istituto ibrido e proteiforme che nelle varie leggi che la prevedono può assumere, di volta in volta, natura di pena, misura di sicurezza, misura di prevenzione o sanzione amministrativa. Il contrasto si è sviluppato, in particolare, in relazione alla confisca urbanistica ex art. 44 TU edilizia. L interprete nazionale l ha sempre ritenuta una sanzione amministrativa mentre per la Corte EDU costituisce una vera e propria pena con ciò comportando l adeguamento della giurisprudenza interna in forza dell art. 117 Cost. La Corte Costituzionale 49 del 2015 è intervenuta proprio su questa questione rimettendo in discussione quanto precedentemente aveva affermato nel 2007 con le sentenze 348 e 349. Seppur confermando la natura di fonte interposta della CEDU e il necessario rispetto che di questa devono avere le leggi ordinarie, la Consulta ha, per la prima volta, ritenuto che l orientamento espresso della Corte EDU vada seguito anche dalla giurisprudenza interna solo purché sia consolidato. In tal modo i giudici costituzionali hanno voluto creare un freno all incidenza sempre maggiore che il diritto europeo dispiegava sul diritto interno. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che non fosse ancora consolidato l orientamento europeo secondo cui la confisca urbanistica fosse una pena e, di conseguenza, non ha ritenuto necessario rispettare per questa i principi cardine del diritto penale. Attualmente la questione circa la reale natura di una misura imposta al privato si è riproposta in relazione all art. 13 dlgs n 471 del 97, in materia tributaria. La norma prevede una sanzione amministrativa per coloro i quali non effettuano, entro le scadenze prestabilite, i versamenti dell IVA.

6 Gli interpreti sono divisi circa la reale essenza di tale misura da cui dipende anche la possibilità per il soggetto colpito da questa sanzione di essere sottoposto a processo penale per il delitto di cui all art. 10 ter del dlgs n 74 del Infatti, nel nostro ordinamento, all art. 649 cpp., come in quello sovranazionale, all art. 4 Protocollo 7 CEDU e all art. 50 CDFUE, vige il principio del ne bis in idem, secondo cui uno stesso soggetto non può essere processato e condannato due volte per lo stesso fatto. Secondo un primo orientamento, diffusosi ante 2014, non verrebbe violato il principio del ne bis in idem, perché l art. 649 cpp non ammette che vi siano due procedimenti di natura penale sullo stesso fatto; in tal caso si tratterebbe della concorrenza tra processo penale e procedimento amministrativo che non è impedita da alcuna disposizione. Pertanto, le due norme, e cioè l art. 13 dlgs 471 del 97 e l art. 10 ter dlgs 74 del 2000, sono perfettamente compatibili in quanto alla prima corrisponde l applicazione di una sanzione amministrativa, mentre alla seconda l applicazione di una sanzione penale di natura personale. Sono, seconda questa prima impostazione, due misure cumulabili tra loro, che hanno natura diversa e che sono adottate da autorità diverse. Sul fronte opposto si colloca chi ritiene che, facendo applicazione dei parametri dettati dalla Corte EDU, debba riconoscersi natura penale alla sanzione prevista dall art.13 dlgs 41 del 97. In primo luogo tale sanzione è collegata alla commissione del reato che ne costituisce il suo presupposto; inoltre la sanzione è particolarmente grave (è pari al 30% di ogni importo non versato) e questo ne denota il carattere, al tempo stesso, afflittivo-sanzionatorio e deterrente. Riconoscendo natura di pena a questa misura ne consegue che lo stesso soggetto, nel caso di specie persona fisica titolare di una ditta individuale, non possa, dopo il provvedimento definitivo dell autorità amministrativa tributaria, essere sottoposto anche a processo penale perché verrebbe violato il principio del ne bis in idem. Altrimenti ragionando la stessa persona fisica verrebbe giudicata, ed

7 eventualmente condannata, due volte, seppur da autorità differenti, per la medesima condotta. Questa soluzione, che appare essere quella preferibile, ricalca i principi già enunciati da due pronunce recenti della Corte di Strasburgo del 2014 su casi simili, la Grande Stevens contro Italia (4 marzo 2014 Ricorso n /10) e la Nykanen (20 maggio 2014, Nykanen c. Finlandia). Anche in queste fattispecie lo stesso soggetto veniva condannato sia in via amministrativa che penale e in entrambi i casi la Corte di Strasburgo ha riconosciuto alla sanzione amministrativa natura essenzialmente penale cosi ritenendo violato il principio del ne bis in idem considerato come un principio di civiltà giudica. Applicando anche al caso di specie le coordinate enunciate dalle predette sentenze due sono le possibili strade che l interprete può percorrere. La prima, seguita dal Tribunale di Bologna nel 2015 (ord. 21 aprile 2015), prevede di sollevare questione di legittimità costituzionale dell art. 649 cpp per contrasto con l art. 117 co. 1 Cost. in riferimento all art. 4 Protocollo 7 CEDU nella parte in cui non prevede l applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui all imputato sia già stata inflitta, per il medesimo fatto nell ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi delle giurisprudenza della Corte EDU. La seconda, seguita dal Tribunale di Bergamo Trib. Bergamo, ord. 16 settembre 2015, che, con ordinanza del settembre 2015 ha sollevato una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, consiste nel dare all art. 50 CDFUE diretta applicazione. Tale norma rientra tra le fonti del diritto unionale e come tale, essendo chiara, precisa e a carattere negativo, deve ricevere immediata applicazione da parte del giudice nazionale. Va precisato che ciò è possibile in quanto l art. 50 verrebbe applicato in una delle materie di competenza dell UE ai sensi dell art. 51 CDFUE.

8 [*] ll presente elaborato è stato redatto al corso di preparazione per il concorso in magistratura, coordinato dal Cons. Maurizio Santise, ed è stato integrato e adattato alle esigenze editoriali.

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