6. I FATTORI DI IMPATTO AMBIENTALE. 6.1 Le diverse forme di impatto ambientale

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1 6. I FATTORI DI IMPATTO AMBIENTALE 6.1 Le diverse forme di impatto ambientale L impatto ambientale degli impianti di incenerimento dei rifiuti, dipende in massima parte dallo smaltimento dei flussi in emissione, cosi elencabili: emissione di fumi in atmosfera; smaltimento dei residui solidi in discarica controllata (ceneri volanti raccolte nei depolveratori; scorie della combustione raccolte allo scarico dei forni); smaltimento delle acque di rifiuto (acque reflue dalla linea di lavaggio dei fumi) destinate in fognature pubbliche o in corpi idrici superficiali (dopo adeguata depurazione). In aggiunta sono anche da considerare gli impatti seguenti: possibili emissioni maleodoranti (fase di trasporto, scarico e stoccaggio di rifiuti e residui) emissioni sonore correlate al trasporto rifiuti, nonche all esercizio dell impianto ove i punti piu critici sono rappresentati dalle aree esterne contigue alla turbina (comunque alloggiata di prassi in locali ben insonorizzati), al sistema di condensazione ad aria (posto all esterno) e dai ventilatori di aspirazione dei fumi (ubicati all interno o all esterno). Impatto estetico-paesaggistico (connesso agli ingombri architettonici del complesso impiantistico, allo sviluppo dei camini e all eventuale formazione di pennacchi di vapore acqueo in emissione dai camini). Impatto determinato dall incremento del trasporto viabilistico e dall attraversamento eventuale di nuclei abitati. Ciascuno di questi fattori può rappresentare a vari livelli un fattore di rischio per l'ambiente e per le condizioni di vita dell uomo. Ma, quello nettamente piu rilevante, e che ha coinvolto, e coinvolge tuttora, l'attenzione dei ricercatori, ed 1

2 anche larghi strati dell'opinione pubblica, riguarda le emissioni inquinanti nell'atmosfera, al quale sono dedicati i paragrafi che seguono. 6.2 Le emissioni inquinanti in atmosfera Classificazione generale degli inquinanti I criteri più attuali di valutazione delle emissioni da processi di incenerimento di rifiuti vari tendono a distinguere due famiglie di inquinanti: Macroinquinanti : ovvero, inquinanti che si ritrovano nei fumi in concentrazioni misurabili nell ordine di mg/nm 3. Trattasi di prodotti residuati dalle reazioni di ossidazione termica delle componenti del rifiuto che si ritrovano nei gas di combustione come Polveri, HCl, SO 2, NOx, HF, con l aggiunta di tipici prodotti di reazioni ossidative incomplete quali CO e Carbonio organico totale (TOC). Microinquinanti : ovvero, inquinanti presenti in modeste concentrazioni, dell ordine dei µg/nm 3 (microgrammi/nm 3 ) o addirittura ng/nm 3 (nanogrammi/nm 3 ). Trattasi di sostanze che in gran parte comportano maggiori rischi ambientali a causa della loro elevata tossicita e capacita di accumulo in sistemi naturali e nella stessa catena alimentare. Si citano in particolare i microinquinanti organici alogenati, tra cui le Diossine (PCDD- PoliCloroDibenzoDiossine e PCDF-PoliCloroDibenzoFurani), PCB (PoliCloroBifenili), IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) e, tra i microinquinanti inorganici, i metalli pesanti (tra cui in primo luogo Hg, Cd, e Pb). Per quanto i vari inquinanti citati siano identificati in molte combustioni di rifiuti, il complesso della loro presenza e tipica delle emissioni di inceneritori di RSU e derivati (RDF), relativamente alle quali si dispone di un buon livello di 2

3 informazioni scientifiche. Pertanto, nelle specifico riferimento ai rifiuti solidi urbani. trattazioni che seguono, si fara Emissioni di macroinquinanti dall incenerimento RSU Le polveri La presenza di materiale particolato nei fumi di combustione eccede di gran lunga, qualunque siano il tipo di rifiuto alimentato, il tipo di forno e le modalità di combustione, gli standards normalmente vigenti, per cui se ne rende sempre necessario il controllo. Infatti, le concentrazioni misurate sono dell ordine di mg/nm 3 (uscita dalle camere di combustione) contro i limiti attuali di legge di soli 1 mg/nm 3. Il materiale particolato è costituito essenzialmente dalle ceneri e, in misura dipendente dalla bontà della combustione, da eventuali residui carboniosi non completamente ossidati. Quando la velocità dell'aria che alimenta la combustione supera la velocità terminale delle particelle di ceneri avviene il trascinamento, per cui l'emissione di polveri risulta strettamente connessa al contenuto di ceneri del rifiuto ed alle portate di aria primaria di sottogriglia. L'analisi sistematica dell'effetto dell'aria di sottogriglia ha consentito di descrivere approssimativamente la sua influenza sul fattore di emissione del particolato con la formula: E = 4 35 v,, 543 (1) dove E è l'emissione di polvere espressa in Kg/ton di rifiuto v è la velocità dell'aria di sottogriglia in mc/sec m 2 di griglia (intervallo di v analizzato.1.5 mc/sec m 2 ) L'impiego della (1) richiede evidentemente particolari cautele per il ruolo che altri importanti parametri, non considerati nella relazione, possono avere sul 3

4 trascinamento. Dall'ordine di grandezza della velocità dei flussi d'aria in camera di combustione dipende la distribuzione granulometrica del particolato trascinato nei fumi, la quale e in genere ben descritta da una distribuzione di tipo lognormale con medie geometriche comprese nell'intervallo 2 8 µm e deviazioni geometriche standard di 4 16 µm (AGHTM 1985) Gli acidi alogenidrici Nelle emissioni degli impianti di termodistruzione dei RSU sono presenti anche gli acidi alogenidrici, principalmente HCl e, in quantità molto più modeste, HF. Essi derivano dalla presenza di Cloro e Fluoro nei rifiuti sotto forma di composti inorganici (cloruri e fluoruri di metalli alcalini e alcalino-terrosi) ed organici (sostanze plastiche clorurate, quali polivinilcloruro PVC, polivilidencloruro e plastiche fluorurate tipo il teflon). In una campagna di campionamenti condotta negli anni 8 su 13 inceneritori RSU operanti in varie località italiane, si sono osservate concentrazioni di HCl nell'intervallo mg/nm 3 e concentrazioni di HF fino a 3.6 mg/nm 3. Sul piano teorico la formazione degli acidi alogenidrici è possibile sia dagli alogenuri inorganici per idrolisi, sia dai composti organo-alogenati (in particolare PVC e Teflon) per pirolisi. Il PVC emette HCl per decomposizione termica nell'intervallo di temperatura 18 6 C. Il contenuto di PVC nei RSU di vari paesi europei e misurato nell intervallo.5 1.5% (% in peso sul rifiuto grezzo). La formazione di HCl dalla combustione di PVC è quantitativa e risulta che il 4% del suo peso si trasforma in HCl. La stechiometria della reazione in realta indica che il 58% in peso del Polivinilcloruro si trasforma in acido cloridrico, ma nella pratica occorre considerare che il PVC commerciale contiene oltre al polimero anche plastificanti, pigmenti, stabilizzanti e riempitivi. 4

5 In aggiunta, si consideri che nei gas di combustione dei forni se ne rileva meno del totale prodotto perché una parte di HCl può viene fissata dalle componenti basiche delle ceneri e delle scorie. Questi dati dimostrano il ruolo del PVC nell emissione di HCl. Pur tuttavia non si tratta di un ruolo determinante giacche e dimostrato che anche in assenza di PVC si hanno altrettanto significative emissioni di HCl. Cio a dimostrazione del ruolo importante del cloro inorganico (Cl - ) presente nel RSU. In una ricerca (Robertson 1974) e stata individuata un'emissione di 21 mg/nm 3 di HCl nella termodistruzione di rifiuti esenti da PVC. Per inciso, la presenza di cloro inorganico (in pratica NaCl) nel RSU e misurata dello stesso ordine di grandezza, se non lievemente superiore a quello del cloro organico (circa.3% come Cl sul RSU grezzo). Il cloro organico non e dunque l'unica fonte di HCl e la medesima ricerca ne dà ulteriore conferma rilevando apprezzabili incrementi dell'emissione in seguito ad aggiunta di NaCl ai rifiuti. Il meccanismo di formazione di HCl è quello dell'idrolisi del sale: 2 Na Cl + H 2 O 2HCl + Na 2 O (2) il cui equilibrio però non è sufficiente a spiegare le elevate concentrazioni di HCl rilevate nei gas di combustione. È stato sperimentalmente dimostrato che intervengono reazioni coniugate in grado di spostare l'equilibrio della (2) verso destra con il coinvolgimento di reagenti gassosi, quali SO 2 : 2 NaCl +SO O 2 + H 2 O Na 2 SO 4 + HCl (3) e di reagenti solidi presenti nella combustione, quali SiO 2 (e analogamente Al 2 O 3 e caolino): 5

6 2 NaCl +SiO 2 + H 2O 2 HCl + Na2SiO3 (4) Anidride solforosa e Ossidi di azoto Anidride solforosa La generazione di SO x (SO 2 + SO 3 ) e strettamente correlata al contenuto di S nel rifiuto. In caso di RSU il contenuto e piuttosto modesto (circa.15 % in peso sul rifiuto grezzo), cosi che la produzione di SO x non e particolarmente significativa. Nell incenerimento RSU, si misurano di norma concentrazioni di SO x nei fumi comprese nel range 5 15 mg/nm 3. Ossidi di azoto La formazione di NO x (NO + NO 2 ) e connessa principalmente alla ossidazione dell azoto atmosferico associato all aria di combustione e in misura minore dell azoto contenuto nei composti organici del rifiuto (nei RSU, circa.5% in peso sul rifiuto grezzo). Il grado di conversione in NO x dipende dalla temperatura e dall eccesso di ossigeno. La Fig. 33 mostra questa correlazione. Fig.33 6

7 In ordinata e rappresentata in doppia scala la produzione di NO x in rapporto al calore sviluppato dalla combustione e al consumo stechiometrico di ossigeno per la combustione. Nei fumi degli impianti di incenerimento RSU si riscontrano generalmente valori di NO x compresi nel range 4 6 mg/nm Emissioni di microinquinanti inorganici dall incenerimento RSU L'analisi elementare delle polveri e della frazione condensata dei gas di combustione mette in evidenza apprezzabili presenze di metalli pesanti di particolare interesse ambientale: Cd, Hg, Pb, Zn, Cu, Cr, Ni. Le fonti sono da identificarsi in alcune componenti dei RSU quali (Fig. 34): -materiali zincati, cromati, nichelati (Zn, Cr, Ni); -rifiuti della spazzatura stradale (Pb) -batterie esauste (Zn, Hg, Cd, Mn, Ni) -pigmenti su carta e bande metalliche stampate (Cd, Cr, Pb, Se) -materiali stabilizzanti delle plastiche (Cd, Zn) -termometri (Hg) -materiali elettronici (Cu, Cr, Ni, Sn, Hg). 7

8 Fig.34 I vari metalli pesanti contenuti nei rifiuti si distribuiscono in modo non uniforme nei tre tipi di residui della combustione: scorie, ceneri volanti captate dai sistemi di depolverazione, e gas di combustione emessi dal camino. La maggior parte dei metalli si ritrova associata alle scorie e alle polveri sotto forma di ossido e di sali vari (Fig.35). Fig.35 8

9 Pero, alcuni metalli a basso punto di ebollizione (in particolare mercurio e relativi composti, e in secondo luogo cadmio e relativi composti) passano in combustione allo stato di vapore (Tabella 1). Particolarmente volatili risultano i cloruri dei metalli. Si constata inoltre come vari composti di mercurio sublimano a temperature nettamente inferiori a quelle di incenerimento. I metalli allo stato di vapore subiscono poi processi di condensazione sulle polveri più piccole ad elevata superficie specifica, a seguito del raffreddamento progressivo dei fumi lungo la linea di depurazione. Per la loro ridottissima dimensione tali particelle sono catturate solo in parte dai sistemi di depolverazione. Il ruolo della volatilità del metallo nel processo di arricchimento di scorie, ceneri volanti e dei fumi è ben evidenziato nella Fig. 36 che riporta il coefficiente di ripartizione del metallo nei tre residui (K=1 se il metallo si localizza totalmente nel residuo considerato; K= se risulta del tutto assente), in funzione della temperatura di ebollizione del metallo o suoi composti. Fig.36 Pertanto, mentre l efficienza di rimozione della maggior parte dei metalli e comparabile con l'efficienza di rimozione del particolato nei sistemi di depolverazione (elettrofiltri o filtri a maniche), non altrettanto puo dirsi per i 9

10 metalli non volatili (Zn, ma soprattutto Hg e Cd) la cui efficienza di rimozione e significativamente inferiore. Di particolare interesse è il comportamento del mercurio e dei suoi composti che, per la loro elevata volatilità, sono trasformati durante la combustione in metallo elementare allo stato di vapore (sfuggendo cosi alla cattura dei sistemi di depolverazione); ma è anche provato come in fase di raffreddamento dei gas di combustione il mercurio metallico possa in parte reagire per dare ossidi e alogenuri. Di particolare interesse è il comportamento del mercurio e dei suoi composti che, per la loro elevata volatilità, sono trasformati durante la combustione in metallo elementare allo stato di vapore (sfuggendo cosi alla cattura dei sistemi di depolverazione); ma è anche provato come in fase di raffreddamento dei gas di combustione il mercurio metallico possa in parte reagire per dare ossidi e alogenuri. Queste complesse trasformazioni, per molti versi non ancora chiarite e presumibilmente regolate da tempi di permanenza, dalla temperatura e dalla composizione dei gas di combustione, rendono possibile la distribuzione del mercurio in parte (minore) nella fase solida, e in parte (preponderante) nella fase gassosa delle emissioni, sia allo stato metallico che di composti ossidati (forme quest'ultime più pericolose a causa della loro maggiore solubilità e mobilita ambientale). A parte l importanza di un elevata efficienza della depolverazione per la cattura dei metalli pesanti associati al materiale particolato, risulta di particolare interesse nei sistemi di abbattimento che la frazione emessa in fase di vapore possa condensare sul particolato e quindi che i gas di combustione permangano per tempi adeguati a temperature sufficientemente basse. 1

11 Tabella 1- Punti di fusione e di ebollizione ( C) di alcuni metalli e loro composti presenti nei RSU Metalli/composti punto di fusione Punto di ebollizione Cd CdCl 2 CdS CdO Co CoCl 2 CoS CoO Cu CuCl CuCl 2 Cu 2 S Cu 2 O CuO Hg HgCl 2 HgS HgO Ni NiCl 2 NiS NiO Pb PbCl 2 PbS PbO Sn SnCl 4 SnS SnO 2 Zn ZnCl 2 ZnS ZnO s s 45 s s 1975 s = sublimati; d = decomposti; = non disponibili d 18 d s 11

12 6.2.4 Emissioni di microinquinanti organici dall incenerimento RSU Microinquinanti organici diversi dalle diossine L'analisi dettagliata del carbonio organico raccolto nella fase gassosa e nella fase condensata dei gas di combustione degli inceneritori rivela, oltre alle diossine, una vasta gamma di sostanze di particolare interesse per l'ambiente, quali clorobenzeni, clorofenoli, policlorobifenili (PCB), ftalati, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) alogenati e non alogenati. Tali composti sono in parte presenti nei RSU e in parte si formano dalla combustione di di particolari componenti organiche (soprattutto i materiali plastici). Possono avere una qualche rilevanza per l'ambiente gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), i clorobenzeni, clorofenoli e gli ftalati. Gli IPA includono composti del tipo benzantracene, benzopirene, dibenzopirene, benzofluorantene, indenopirene. Si formano in tutti i processi di combustione, soprattutto in carenza di controllo o in fase di accensione allorché le concentrazioni emesse possono aumentare anche di 1 volte rispetto al normale esercizio. I clorobenzeni e clorofenoli sono largamente impiegati in commercio e come tali possono essere gia presenti nei rifiuti, oltre che sintetizzarsi in fase di combustione. Possono essere misurate concentrazioni nei fumi dell ordine di 1 17 µg/nm 3. Gli ftalati sono esteri dell'acido ftalico e sono largamente impiegati come plasticizzanti del PVC. Si riscontrano nei fumi in concentrazioni dell ordine di 25 1 µg/nm 3. Non essendo chimicamente legati al PVC, sono rilasciati durante la combustione ed emessi in apprezzabile quantità nelle fasi di accensione a freddo dei forni. La normativa italiana fissa un limite di 1 µg/nm 3 per gli IPA, mentre non prevede alcun limite per clorobenzeni, clorofenoli e ftalati. Comunque, nei forni di moderna concezione ove si realizza una combustione ben controllata per quanto attiene ai parametri temperatura fumi/tempo di contatto/eccesso di 2 si consegue un adeguato controllo di questi composti. Conseguentemente, il loro livello di emissione, da forni ben funzionanti, non sembra rappresentare, allo stato attuale delle conoscenze, un rischio potenzialmente elevato. 12

13 Le diossine A) Chimica ambientale delle diossine Con il termine generico di diossine si intendono le poli-cloro-dibenzo-diossine (PCDD) e poli-cloro-dibenzo-furani (PCDF) Si tratta di composti aromatici eterociclici di struttura quasi planare, che mostrano proprietà chimiche, fisiche e biologiche simili e che hanno le seguenti strutture molecolari: Il numero di atomi di cloro di questi composti può variare da 1 a 8 per formare fino a 75 isomeri di posizione di PCDD e 135 di PCDF. Studi su animali e prove in vitro indicano notevoli differenze di tossicità tra i vari isomeri (la tossicità può variare di un fattore anche per isomeri strettamente correlati). Gli isomeri con più elevata attività e tossicità sono quelli che hanno 4 6 atomi di cloro nelle posizioni laterali (2, 3, 7 e 8) e sono riportati nella Tabella 2. Tabella 2- Elenco gerarchico degli isomeri più tossici delle PCDD e dei PCDF PCDD 2,3,7,8-tetra-CDD 1,2,3,7,8-penta-CDD 1,2,3,6,7,8-esa-CDD 1,2,3,7,8,9-esa-CDD 1,2,3,4,7,8-esa-CDD PCDF 2,3,7,8-tetra-CDF 1,2,3,7,8-penta-CDF 2,3,4,7,8-penta-CDF 1,2,3,6,7,8-esa-CDF 1,2,3,7,8,9-esa-CDF 1,2,3,4,7,8-esa-CDF 2,3,4,6,7,8-esa-CDF 13

14 Studi recenti mostrano la presenza di molti isomeri nelle emissioni di inceneritori, con una struttura isomerica però abbastanza caratteristica del tipo di fonte tale da costituire una specie di "impronta digitale" dell'emissione. L'isomero più tossico, anch'esso presente nelle emissioni dell'incenerimento RSU, è la 2,3,7,8-Tetra-Cloro-Dibenzo-Diossina (2,3,7,8-TCDD) la quale viene utilizzata come riferimento per valutare la tossicità degli altri isomeri. Nella Tabella 3 si riportano le principali caratteristiche chimico-fisiche della 2,3,7,8-TCDD, utili per studiare il destino ambientale di questa sostanza. Nel complesso le diossine sono composti abbastanza inerti alle trasformazioni naturali, sia biologiche che abiotiche. Il meccanismo di demolizione naturale più attivo è la fotodegradazione, mentre praticamente inattive sono l'idrolisi e l'ossidazione chimica. Per quanto riguarda gli spostamenti nell'ambiente, i bassissimi valori di solubilità in acqua e volatilità e la bassa capacità di essere adsorbiti dal terreno rendono tali composti poco mobili e quindi si ritrovano sempre associati al materiale particolato. Nella stima del rischio sanitario connesso alle emissioni di diossine si fa riferimento al parametro TCDD eq. il quale tiene conto del contributo dato da ogni isomero sia in termini di concentrazione, sia in termini di tossicita. Tabella 3. Proprietà chimico-fisiche della 2,3,7,8-TCDD Peso molecolare 321,974 Tensione di vapore (mm di Hg): 25 C 7, C 3, ,6 C 1, C 1,2 1-6 Punto di fusione 35 C Solubilità (25 C): acqua 19,3 ng/l benzene 57 mg/l metanolo 1 mg/l acetone 11 mg/l Coefficiente di ripartizione (ottanolo/acqua) 1, , 1 8 Diffusività molecolare: in aria (calcolata) in acqua (calcolata) 4,7 1 2 cm 2 /sec 5,1 1-6 cm 2 /sec 14

15 Resa alla fotolisi (313 mm): acqua-acetonitrile (9:1) esano (*) frazione di quanti che incidono sulla fotolisi,22 (*),49 (*) Viene stimato considerando pari ad 1 il fattore inerente la forma piu tossica, la 2,3,7,8 TCDD e valori diversi, inferiori ad 1, per gli altri isomeri. Con questo parametro la tossicita complessiva determinata dall intera famiglia delle diossine viene in pratica tradotta in un parametro equivalente. Il concetto di TCDD eq. viene ormai utilizzato anche come parametro standard di riferimento per la fissazione dei limiti all emissione per l intera famiglia delle diossine. Nella Tabella 4 sono riportati i fattori di tossicita attribuiti ai singoli isomeri, in base ai quali viene effettuato il calcolo della TCDD equivalente. Nelle tre colonne sono riportati i valori assegnati da tre metodiche differenti di calcolo: quella proposta dall Unione Europea ed adottata dalla normativa italiana, quella proposta dall Environmental Protection Agency, USA e il noto metodo Eadon. Tabella 4. Fattori di tossicita f i attribuiti ai singoli isomeri delle PCDD e PCDF, per il calcolo della TCDD equivalente, secondo le metodiche proposte da U.E., EADON e E.P.A. La metodica dell Unione Europea e stata recepita dalla normativa italiana (D.M. 19/11/1997 n. 53) TCDDeq. = 2,3,7,8 TCDD eq. = C i f i Isomeri U.E. EADON E.P.A. 2,3,7,8 TCDD altre TCDD.1 1,2,3,7,8 PeCDD altre PeCDD.5 1,2,3,4,7,8 HxCDD ,2,3,6,7,8 HxCDD ,2,3,7,8,9 HxCDD altre HxCDD.4 totale HpCDD.1 (*).1 totale OCDD.1 2,3,7,8 TCDF

16 altre TCDF.1 1,2,3,7,8 PeCDF ,3,4,7,8 PeCDF altre PeCDF.1 1,2,3,4,7,8 HxCDF ,2,3,7,8,9 HxCDF ,3,4,6,7,8 HxCDF altre HxCDF.1.1 totale HpCDF.2 (**).1 totale OCDF.1 (*) valore relativo alla 1,2,3,4,6,7,8 HpCDD (**).1 per 1,2,3,4,6,7,8 HpCDF +.1 per 1,2,3,4,7,8,9 HpCDF B) Le fonti di diossine Fino a qualche anno fa l'incenerimento dei rifiuti era considerato come fonte pressoché unica di diossine nell'ambiente. I risultati di svariate indagini ambientali hanno pero messo in evidenza il carattere ubiquitario di tali composti, difficilmente spiegabile con la sola attività di incenerimento. Presenze di diossine si riscontrano infatti in diversi comparti ambientali, e in diversi punti della catena alimentare, anche in aree non interessate da emissioni accidentali (incidenti industriali) o da emissioni di inceneritori. Si parla pertanto di presenze naturali che interessano terreni e sedimenti, come pure aria, acque superficiali, colture agrarie, foraggi, carne bovina, latte e pesce. Per quanto riguarda la presenza nell'uomo, la rilevazione della presenza di PCDD e PCDF è stata oggetto di un gran numero di indagini condotte in molti Paesi del mondo e, soprattutto, in quelle zone in cui si sono verificati incidenti o condizioni particolari tali da determinare l'esposizione della popolazione a questi composti. Una volta entrate nell'organismo, PCDD e PCDF sono in grado di muoversi e trasferirsi, associate ai lipidi (Jensen, 1986) ed è proprio questo il motivo per cui le concentrazioni più elevate si ritrovano a livello del tessuto adiposo, oltre che nel latte materno e, in misura minore, nel tessuto sanguigno. Mediamente, nei Paesi industrializzati, si sono rilevate concentrazioni di 2,3,7,8-TCDD e di TCDD eq. a livello del latte materno inferiori a 2 pg/g (picogrammi/grammo), mentre a seguito di incidente tale valore diviene fino a 1 volte più elevato. 16

17 Per quanto riguarda invece il tessuto adiposo, dai dati di letteratura disponibili, si evidenziano concentrazioni di 2,3,7,8-TCDD mediamente comprese nell intervallo 5 1 pg/g. Legato alla presenza di PCDD e PCDF nell'uomo risulta essere anche il livello di contaminazione degli alimenti (in particolare pesce, carne e latticini; in misura minore gli alimenti vegetali). Dai dati disponibili si può quindi concludere che i PCDD e i PCDF sono presenti, anche se a bassi livelli, sia nell'uomo che in tutti i comparti dell ambiente. Presenze cosi diffuse che richiamano necessariamente i contributi da altre fonti che sono state individuate in pressoche tutti i processi di combustione. In particolare nelle combustioni convenzionali di carbone, legna e torba si hanno riscontri molto bassi in termini di concentrazioni nei fumi, ma possono rappresentare in certe aree un contributo non trascurabile per l'ambiente, a causa delle imponenti attività di combustione. Le emissioni da combustibili nobili sono state confermate da diversi Autori. Ballschmiter et al. (1986) identificano una serie di diossine, con strutture isomeriche simili a quelle degli inceneritori, nell'olio usato nei motori per automobili. Anche nei gas di scarico di autoveicoli sono state riscontrate emissioni di TCDD eq. nell intervallo,8 3, ng/24,8 Km percorsi, relativamente a mezzi alimentati con benzina tradizionale, con piombo (Marklund et al., 1986) mentre invece non si e riscontrata presenza di diossine nelle emissioni di auto alimentate con benzine senza piombo. Queste risultanze indicano nell'additivo alogenato (dicloroetano), introdotto nella benzina per rimuovere il piombo antidetonante, la fonte di cloro per la sintesi di diossine. Le automobili quindi possono essere state in passato, quando il dicloroetano era presente in maggiore concentrazione nelle benzine, una fonte di notevole rilevanza, destinata ad attenuarsi con la diffusione di benzina senza piombo. Accertamenti su altre fonti puntuali hanno messo in evidenza emissioni, sempre dell'ordine di quelle degli inceneritori, in processi industriali, quali forni di seconda fusione di rame e acciaio (possono svolgere un ruolo importante le impurezze di PVC o paraffine policlorurate), e combustioni di effluenti dell'industria cartaria. Importanti fonti diffuse sono poi da considerarsi una serie di prodotti chimici immessi nell'ambiente, che possono contenere le diossine come impurezze. Si va dagli erbicidi a base di fenossiacidi (principalmente 2,4,5-T e silvex) ai PCB, dai clorofenoli impiegati come antimicrobici, all'esaclorofene utilizzato come fungicida e battericida. 17

18 C) Le emissioni dall'incenerimento dei rifiuti Il ruolo dei precursori Come si è detto, le prime osservazioni hanno riguardato le emissioni di forni per rifiuti solidi urbani, ma ben presto riscontri analoghi si sono avuti nell'incenerimento di combustibili derivati da rifiuti (RDF), di fango da depuratori civili e di rifiuti industriali. Le ipotesi di base che tentano di spiegare le presenze di diossine e di altri microinquinanti organici quali clorobenzene, clorofenoli, policlorobifenili (PCB), policloroterfenili (PCT), policloronaftaleni (PCN) ecc. sono essenzialmente tre: 1) i composti sono già presenti nei rifiuti e la combustione non li elimina, o li elimina solo parzialmente; 2) si formano, durante la combustione, da precursori, composti cioè con struttura chimica correlata già presenti nei rifiuti, quali clorobenzeni, clorofenoli, PCB, ecc.; 3) la combustione sintetizza i composti ex novo da sostanze non direttamente correlate, per esempio da composti con anelli benzenici anche di origine naturale (es. rifiuti vegetali) e da fonti di cloro inorganico (es. sale da cucina) ed organico (es. PVC). La prima ipotesi, per quanto sostenuta da tracce di diossine effettivamente riscontrate in alcuni campioni di rifiuti e di fango, non trova largo credito, almeno come principale sorgente, perché non è in grado di giustificare la sistematica presenza in tutte le emissioni delle attività di incenerimento. La seconda ipotesi si fonda principalmente su osservazioni di laboratorio che mostrano la formazione di diossine per combustione e pirolisi di sostanze cloroaromatiche la cui presenza è possibile nei rifiuti. Peraltro, il complesso isomerico osservato in questi prodotti di pirolisi e combustione di laboratorio è abbastanza confrontabile con quello delle emissioni dall'incenerimento di rifiuti urbani. Una qualche relazione tra concentrazioni di PCB nei rifiuti e formazione di diossine nei fumi è stata osservata anche in una serie di prove su inceneritori in scala reale. La possibilità quindi che un certo contributo alle emissioni possa venire da precursori di tipo cloroaromatico appare concreta. La terza ipotesi di formazione considera la possibilita che sostanze chimicamente non correlate possano dar luogo a reazioni tra componenti carboniose, ossigeno e HCl in condizioni adeguate di temperatura, e attraverso la formazione di tetraclorometano possono dare composti aromatici clorurati. Prove di laboratorio hanno evidenziato la possibilità di 18

19 formazione di diossine dalla combustione di normali prodotti vegetali componenti i rifiuti solidi urbani, da prodotti di pirolisi della lignina con acido cloridrico e dalla pirolisi di cloroalifatici tipo PVC, Saran e esacloroetano. E stata ipotizzata la possibilità che il PVC, normale componente dei rifiuti in percentuale dello.5 1%, abbia, come fonte di cloro, un ruolo importante nella formazione di diossine, tanto da farne proporre l eliminazione dai RSU a monte della termodistruzione. In realtà i dati che si sono ottenuti anche con prove condotte su inceneritori in scala reale non assegnano al PVC alcun ruolo determinante nella formazione di diossine (ovvero, anche in assenza totale del PVC si ha riscontro della formazione di diossine). Esistono quindi concrete possibilità di formazione di diossine sia da precursori cloroaromatici che da sostanze non correlate, ma i percorsi di reazione fondamentali ed i componenti dei rifiuti coinvolti non sono ancora ben noti con certezza. Attualmente, quindi, non si prospettano concrete e sicure possibilità d'intervento a livello di rimozione di alcune componenti dei rifiuti per risolvere, o attenuare sensibilmente le emissioni di diossine, se non una comunque auspicabile riduzione dell'immissione nell'ambiente e quindi nei rifiuti di precursori di per se stessi già tossici, quali PCB, clorobenzeni e clorofenoli. Il ruolo dei parametri della combustione La notevole differenza dei livelli di emissione fra inceneritori che bruciano RSU, anche molto simili in qualita, sta ad indicare un importante coinvolgimento delle condizioni termodinamiche di combustione nel fenomeno di formazione e distruzione dei vari microinquinanti organici. Il ruolo della temperatura in camera di combustione è risultato abbastanza chiaro fin dalle prime sperimentazioni, nel senso che temperature eccezionalmente basse (fasi di accensioni, anomalie di gestione ecc.) possono determinare incrementi di diossine e di microinquinanti organici in genere, mentre temperature al di sopra di un certo livello (oltre 1 C) non sembrano avere effetti apprezzabili (salvo operare a temperature particolarmente alte, sopra i 12 C che ne determinano la totale distruzione). Studiando l emissione di diossine in un intervallo di temperatura da 7 C ad oltre 11 C (intervallo che interessa la combustione dei RSU) la presenza di un minimo di emissione attorno a C (Fig. 37), a cui corrisponde anche l'emissione minima di monossido di carbonio, classico tracciante della bontà della combustione. L'incremento di CO con la 19

20 temperatura si giustifica con la corrispondente diminuzione di ossigeno, cioè di eccesso d'aria, che ogni aumento di temperatura comporta. Fig.37 La conclusione ricorrente di tutti i ricercatori che hanno indagato sul ruolo dei parametri della combustione nella formazione ed emissione di diossine è che le emissioni di diossine e di altri inquinanti organici e che tali emissioni possono essere minimizzate attraverso l ottimizzazione dei classici parametri di processo: temperatura, eccesso d'aria, tempo di permanenza e buona miscelazione. Il legame accertato tra bontà della combustione ed emissione di diossine suggerisce, secondo qualche Autore, l'impiego del CO come tracciante delle emissioni stesse (Hasselriis, 1987; Environmental Canada, 1985). Il ruolo della post-combustione Dal punto di vista concettuale la post-combustione dei fumi rappresenta un'ulteriore possibilità di riduzione di tutte le presenze organiche residue nei fumi e delle diossine in particolare. In essa infatti si realizzano condizioni di combustione molto ben controllabili ai fini della completa termodistruzione dei microinquinanti che si sono liberati o prodotti nella camera di combustione primaria e viaggiano con i fumi allo stato di vapore o adsorbiti sul particolato. Ipotizzando il caso più semplice, che la reazione di termodistruzione avvenga in 2

21 fase gassosa ed attraverso reazioni monomolecolari, la cinetica del processo può essere descritta da un equazione del tipo: dc/dt = - k C (3) dove C è la concentrazione di diossine k è la costante della velocità di reazione data da: k = A exp (-E/RT) (4) Nella (4) R è la costante universale dei gas e vale cal / (mole K) A ed E rappresentano il fattore pre-esponenziale e l'energia di attivazione i cui valori stimati per le diossine clorosostituite sono rispettivamente ±.5 s -1 e 8. cal/mole Inserendo i suddetti valori nella (4), si valutano con la (3) i tempi occorrenti alle varie temperature per ottenere la distruzione del 99.99% di diossina, che sono riportati nella Tabella 5. Anche le reazioni bimolecolari che coinvolgono atomi di idrogeno, di ossigeno e radicali OH portano a risultati confrontabili con quelli riportati in tabella. Sul piano teorico, quindi, condizioni facilmente verificabili non solo in camera di postcombustione, ma anche nella combustione primaria (permanenza di 1 secondo a temperature nell intorno di 1 C) possono determinare la distruzione del 99.99% di diossina. Tabella 5. Tempo di decomposizione della diossina in funzione del tempo di contatto e della temperatura. Reazione in fase gassosa K u = e -8/RT K u = e -8/RT τ = C K τ = 2 miliardi di anni 6 anni 46,5 minuti 1 secondo 1/2 secondo 4 millisecondi 5 microsecondi milioni di anni,6 anni 4,65 minuti 1/1 secondo 5/1 secondo 4 microsecondi 1/2 microsecondo 21

22 D'altra parte le reazioni di sintesi delle diossine, una volta che si è raggiunta la temperatura di distruzione, sono sfavorite sia perché a quelle temperature anche i più diretti precursori delle diossine, quali i clorofenoli, vengono distrutti, sia perché la sintesi in fase gassosa implica un minimo di reazioni bimolecolari, caratterizzate da cinetiche più lente di quelle monomolecolari della distruzione. La post-combustione risulta quindi un presidio di sicurezza ambientale particolarmente interessante per combustioni primarie non adeguatamente controllate, mentre il suo ruolo si attenua nel caso che le condizioni ottimali per la termodistruzione dei microinquinanti organici siano verificate comunque in una combustione primaria ben controllata. In questo senso non sorprende di poter riscontrare in regolari condizioni operative di forni con una buona combustione primaria, scarse rese aggiuntive da parte della postcombustione. In altri casi però, l'eventuale inefficacia di una post-combustione puo derivare dal fatto che i valori dei tipici parametri di gestione (numero di Reynolds, temperatura e tempo di permanenza), sia pure adeguati come valori medi, rivelino varianze tali che parti anche consistenti di gas sfuggano alle condizioni ottimali della termodistruzione. Un dimensionamento corretto del sistema di post-combustione dovrebbe tener conto, quindi, della statistica dei parametri non solo in termini di valori medi, ma anche di dispersione e deve accertarsi che la massima parte dei gas di combustione usufruisca delle condizioni definite dai valori medi. La possibilità di riformazione delle diossine nelle ceneri volanti a valle della combustione Per la prima volta nel 1985 si è osservata la possibilità di riformazione delle diossine nelle ceneri volanti delle diossine, nelle zone relativamente fredde della linea dei fumi, cioè a valle delle caldaie e negli apparati di depolverazione. Tale possibilità, che aggiunge un elemento completamente nuovo a tutto quello che si è ipotizzato in sede di combustione e di post-combustione, è stata confermata con ulteriori prove in laboratorio da diversi Autori (Hagenmaier et al., 1987) ed anche con valutazioni condotte su impianti in scala reale (Loffler, 1986). I risultati che attualmente si possono ritenere acquisiti con una certa sicurezza sull'argomento sono i seguenti: 22

23 1) la formazione di diossine nelle ceneri volanti si sviluppa preferibilmente alla temperatura attorno a 3 C, con tempi piuttosto lunghi però (qualche ora) e comunque tali da interessare di fatto solo le ceneri che si depositino stabilmente sulle superfici; 2) hanno un ruolo importante nella formazione la presenza di ossigeno (eccesso d'aria) e di vapor d'acqua nei fumi, nel senso che un loro incremento determina un aumento globale di diossine; 3) ipotesi di meccanismi di formazione assegnano un ruolo al carbone elementare delle ceneri, come adsorbente dei precursori, ed al CuCl 2 specialmente in associazione a cloruri di metalli alcalino-terrosi, come catalizzatore della clorazione; 4) rimane comunque determinante il ruolo di precursori presenti nelle ceneri quali composti aromatici, aromatici clorurati, o addirittura, come è stato osservato in recenti indagini, carbone elementare. Comunque, indipendentemente da queste conoscenze, si osserva che la post-combustione svolge un ruolo fortemente limitante della possibilita di riformazione, giacche essa determina una riduzione spinta di tutti i possibili precursori, compreso il carbonio elementare. I fattori di emissione La massa, ormai imponente, di dati di letteratura sulle emissioni, offre un quadro estremamente differenziato per la variabilità dei rifiuti inceneriti, il tipo di combustione, le prestazioni dei sistemi di depurazione e, non ultima per importanza, le tecniche di campionamento ed analisi impiegate nei rilevamenti. Le emissioni di diossine si associano in varia misura a tutti i residui della combustione: gas e materiale particolato in uscita dal camino, scorie, ceneri volanti, prodotti secchi ed umidi del lavaggio dei fumi. Nei fumi possono essere stimate a monte dei sistemi di depurazione concentrazioni complessive di diossine nel range orientativo di 5 5 ng/nm 3 (abbastanza equamente suddivise tra PCDD e PCDF), di cui una quota di circa il 1 2% e costituita dalle forme piu tossiche TCDD+TCDF. Tali valori si riducono a pochi ng/nm 3 dopo un efficiente sistema di depolverazione a conferma della consistente associazione delle diossine alle polveri trascinate dai fumi. 23

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