Capitolo 2 Luce, percezione, colore 1

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1 Capitolo 2 Luce, percezione, colore La luce La luce è vita. Senza la luce del Sole, nel suo alternarsi di albe e tramonti, non ci sarebbe vita sulla terra. La luce è anche energia. Tutte le attività umane sono direttamente o indirettamente influenzate da radiazioni luminose. Se, per assurdo, il Sole si spegnesse improvvisamente, tutte le più moderne tecnologie umane non sarebbero comunque in grado di consentire la sopravvivenza della nostra specie. Limitando l analisi della luce ai soli aspetti della visibilità, il campo d azione dell illuminamento naturale e artificiale si estende comunque a tutte le basi della cultura umana. La comunicazione visiva, la percezione dei colori e delle forme, sono possibili solo grazie alle informazioni che la luce trasporta verso i nostri organi sensoriali preposti alla visione. Le immagini che percepiamo sono il risultato del trasporto della luce dalle superfici degli oggetti ai nostri occhi. Quando vediamo un oggetto è sempre perché questo riflette luce proveniente da altre superfici o emette luce propria. Le stesse forme possono apparire differenti in funzione del tipo di luce che ricevono, infatti, l illuminazione può variare in termini di colore ma, anche, in base all insieme delle direzioni da cui proviene; oltre alla forma geometrica degli oggetti si può parlare anche di forma della luce, ma questa purtroppo è molto più difficile da definire e controllare tecnicamente rispetto alle forme geometriche. Se consideriamo una scultura come la Pietà di Michelangelo, caratterizzata da una superficie marmorea dall aspetto cromatico omogeneo, possiamo osservare che la percezione di una così pregevole opera d arte, caratterizzata dalle forme modellate dalla mano dell artista, è possibile grazie 1 Con contributi di Alessandro Rizzi

2 58 Capitolo 2 Figura 1 - Legge della riflessione e della rifrazione alla superficie di separazione tra due mezzi di differente densità. La materia più densa è sotto, quindi h t > h i. I due fenomeni possono anche verificarsi contemporaneamente in quanto un materiale può essere in parte riflettente e in parte trasparente. alla presenza di luci e ombre sulla sua superficie. Ipotizzando di illuminare l opera mediante una illuminazione assolutamente uniforme su tutta la sua superficie, l assenza di differenti livelli di illuminamento e di luminanza percepita dagli occhi dell osservatore non consentirebbe di individuare punti di riferimento sulla statua e quindi renderebbe difficile anche la percezione della profondità e della forma. Da parecchi secoli gli scienziati descrivono la luce mediante modelli fisici e matematici. Osservando che la luce non aggira gli ostacoli ma si propaga in linea retta, nel diciassettesimo secolo Isaac Newton 2 ipotizzò che l unica spiegazione possibile era quella già proposta dai pitagorici quasi 2000 anni prima. La luce doveva essere composta da un fascio di minute particelle che venivano lanciate dalla sorgente luminosa ad altissima velocità, queste colpendo gli oggetti, li facevano apparire illuminati. E fu quello che egli propose nel suo famoso trattato sull ottica. A quei tempi erano sperimentalmente conosciute le leggi della riflessione e della rifrazione luminosa e queste rappresentavano un buon banco di prova per dimostrare la validità delle varie teorie sulla natura della luce. La legge della rifrazione dice che quando un raggio luminoso attraversa la superficie di separazione tra due mezzi, in cui la luce si può propagare, allora il raggio incidente, il raggio trasmesso e la normale, giacciono nello stesso piano e, il seno dell'angolo di rifrazione è proporzionale al seno dell angolo di incidenza in funzione della differenza di densità dei due mezzi 3. La legge della riflessione 2 Isasc Newton nacque il giorno di Natale del 1642 a Woolsthorpe in Inghilterra e morì nel Il suo testo più famoso è "Philosphe Naturalis Principia Mathematica" pubblicato nel 1687, il suo trattato sull Ottica fu pubblicato nel Il rapporto tra la velocità della luce nel vuoto c = ,458 km/s e la velocità v nella materia è detto indice di rifrazione η = c/v tipico di un particolare materiale. Se θ t e θ i sono rispettivamente

3 Luce, percezione, colore 59 Figura 2 - Il fenomeno della dispersione è dovuto al fatto che l indice di rifrazione h è una funzione della lunghezza d onda. Quindi anche l angolo di rifrazione dipende dalla lunghezza d onda. La luce bianca contiene tutte le lunghezze d onda che vengono così rifratte con angoli differenti separandosi. afferma che il raggio incidente, il raggio riflesso e la normale ad una superficie nel punto di riflessione giacciono sullo stesso piano e inoltre l angolo di riflessione è uguale 4 all angolo di incidenza. Utilizzando le leggi della meccanica corpuscolare Newton riuscì a descrivere il fenomeno della riflessione luminosa. Infatti secondo tale modello i corpuscoli luminosi si comportano come sfere lanciate contro una superficie rigida ben levigata. È possibile infatti verificare che se una sfera arriva ad una superficie rigida con un certo angolo di incidenza rimbalza con un angolo uguale all angolo da cui proviene. I diversi colori della luce venivano spiegati dalla diversa velocità dei corpuscoli che arrivano all'occhio: ad esempio i corpuscoli più veloci avrebbero dato l'effetto del violetto e i corpuscoli più lenti del rosso. Con il modello corpuscolare Newton tentò anche di spiegare il fenomeno della rifrazione della luce ma secondo tale modello la velocità della luce doveva essere maggiore nei mezzi più rifrangenti. Lo stesso Newton affermò che se qualche esperimento avesse dimostrato il contrario, la sua teoria corpuscolare doveva essere abbandonata; comunque, considerata l importanza che a quel tempo aveva Newton come scienziato e uomo politico, la sua teoria dominò per tutto il secolo che seguì il suo lavoro. Un contemporaneo di Newton, Christian Huygens 5 formulò l ipotesi della teoria ondulatoria 6 della luce, affermando che questa doveva essere composta gli angoli di rifrazione e incidenza, mentre η t e η i gli indici di rifrazione dei due mezzi allora la legge della rifrazione può essere espressa: senθ i η = t senθ t ηi 4 Si parla in questo caso di riflessione speculare: l angolo di riflessione è uguale a quello di incidenza θ r = θ i. 5 Christian Huygens ( ), fisico e astronomo olandese si dedicò inoltre tramite un telescopio che si era autocostruito alla osservazione degli anelli di Saturno e alla osservazione di Marte di cui realizzò una prima mappa.

4 60 Capitolo 2 Figura 3 - L'esperimento di Thomas Young che mostrò il fenomeno della diffrazione e della interferenza luminosa. da un insieme di piccolissime vibrazioni e che le differenti colorazioni della luce dovessero attribuirsi a differenti lunghezze d onda. Questa teoria spiegava bene sia il fenomeno della riflessione sia quello della rifrazione e anche la dispersione cromatica. Tuttavia poneva almeno due interrogativi: se la luce è un onda, perché si formano le ombre? Ovvero perché si propaga solo in linea retta 7? Ma, per Huygens, il problema più grosso era rappresentato dal fatto che la luce passa anche attraverso il vuoto e quindi si poneva la domanda di quale fosse il mezzo attraverso il quale si propagava l onda luminosa. Per dare una risposta a questo interrogativo, che era di primaria importanza per la teoria ondulatoria, fu ripreso un dogma degli antichi greci, l esistenza di una sostanza invisibile e impalpabile che permea tutto il creato: l etere. Secondo Huygens, la luce sarebbe stata un onda che si propaga in questa fantomatica sostanza. Ma allora quale delle due ipotesi era corretta? La teoria corpuscolare sembrava bene interpretare il fenomeno della formazione delle ombre mentre la teoria ondulatoria riusciva a spiegare in modo elegante la maggioranza dei fenomeni ottici. Soltanto verso la metà del 1800 Armand Fizeau 8, misurando la velocità della luce nell acqua, verificò che essa diminuiva nei mezzi più densi, 6 Il principio di Huygens non è soltanto un cardine dell ottica ma vale per tutti i tipi di moto ondulatorio. Questo afferma che se un certo numero di punti della materia è raggiunto dal fronte di un onda, questi punti possono essere visti come nuove sorgenti puntiformi che generano onde sferiche dette onde secondarie. Il fronte dell onda è dato dall'inviluppo di tutte queste onde sferiche secondarie. 7 Infatti nel diciassettesimo secolo erano già note molte leggi dell acustica, in particolare si sapeva che le onde sonore possono propagarsi anche con un fronte d onda sferico come avviene alle onde causate da uno sasso gettato in uno stagno d acqua. 8 Armand Fizeau ( ), fisico francese, fu il primo a misurare la velocità della luce nell aria e nell acqua nel Assieme a Focault fu anche il primo a realizzare una fotografia nitida della superficie del sole.

5 Luce, percezione, colore 61 quindi il modello corpuscolare per la descrizione della rifrazione non poteva essere considerato valido. All inizio del 1800 altri esperimenti mostrarono una netta supremazia della teoria ondulatoria su quella corpuscolare. Questi esperimenti furono opera dello scienziato inglese Thomas Young 9 e del fisico francese Augustin Fresnel 10. Nella sua esperienza Young inviò un fascio di luce monocromatica verso due piccole fenditure a breve distanza. La luce che usciva dai fori non procedeva in linea retta ma si allargava per formare due coni. La luce raccolta su uno schermo formava una regione dove i due fasci luminosi risultavano sovrapposti e non due singole zone illuminate come ci si potrebbe aspettare dalla teoria corpuscolare. Inoltre, nella regione in cui i fasci si sovrapponevano l illuminazione non appariva più intensa ma si osservavano zone molto luminose e zone di oscurità. Con questa esperienza Young osservò due fenomeni che si rivelarono fondamentali nella comprensione della natura della luce. Il primo, cioè l allargamento dei fasci luminosi, si chiama diffrazione della luce ed è una diretta conseguenza del principio di Huygens. Un onda passando attraverso l apertura assume un aspetto circolare propagandosi in direzioni oblique rispetto a quella di arrivo. Si potrebbe quindi pensare che la luce sia un fenomeno ondulatorio come le onde del mare. Non solo, tale ipotesi è rafforzata dall'osservazione del comportamento dell incontro di due onde in cui si possono vedere picchi d onda molto alti e altri più bassi. Bisogna poi notare che un apertura della fenditura molto più grande della lunghezza d onda non produce un effetto significativo. Young nella sua esperienza usò fenditure molto piccole ma con fenditure più grandi apparivano sullo schermo solo due macchie luminose. La conclusione che se ne trae è che la luce è un fenomeno ondulatorio con lunghezza d onda molto piccola. Se la luce produce ombre dai contorni ben definiti è dovuto al fatto che gli oggetti che ci circondano hanno dimensioni molto più grandi della lunghezza d onda della luce. Fu allora ripescato il modello ondulatorio, ma affinché fosse accettabile, il metodo scientifico imponeva la dimostrazione dell esistenza dell etere. Così verso la fine del 1800 due scienziati americani, Albert Michelson 11 ed Edward Morley 12, proposero un esperimento per dimostrare l'esistenza dell'etere. La 9 Thomas Young ( ) fisico, medico ed egittologo inglese. Si occupò anche di studi dell occhio e della descrizione dell astigmatismo. Partecipò inoltre alla decifrazione della Stele di Rosetta. 10 Augustin Fresnel ( ) fisico e ingegnere francese. 11 Albert Abraham Michelson fisico americano nato nel 1852 in Prussia e morto nel Nel 1892 misurò la lunghezza del metro standard conservato a Parigi in termini della lunghezza d onda rossa dello spettro di emissione del cadmio. Nel 1907 ricevette il premio Nobel per la fisica. 12 Edward Williams Morley ( ) scienziato americano. Fu professore di chimica e si occupò anche di determinare il contenuto di ossigeno dell atmosfera.

6 62 Capitolo 2 loro idea si basava sul fatto che poiché la Terra viaggia nello spazio deve essere sottoposta ad un vento apparente dell etere e se fossimo capaci di misurare la velocità di questo vento allora sapremmo la velocità assoluta della Terra attraverso lo spazio. Purtroppo noi non siamo in grado di percepire il vento apparente dell'etere cosa che invece riesce a fare la luce che dall'etere è trasportata. Infatti, se un raggio luminoso è diretto nello stesso senso del vento dell etere, allora dovrebbe viaggiare più velocemente di uno che procede perpendicolarmente rispetto all etere. Nel primo caso la velocità della luce si somma a quella dell etere ma non nel secondo caso. Si trattava quindi di misurare la differenza tra le velocità della luce col vento di etere a favore oppure di traverso. L esperimento, ripetuto un gran numero di volte nelle più varie condizioni di misura e con strumenti sempre più precisi, fallì continuamente tanto che Michelson e Morley si arresero all'evidenza e nel 1887 affermarono che la velocità della luce rispetto alla Terra è uguale in tutte le direzioni. Lo scienziato austriaco Ernst Mach 13, quando seppe dei risultati di Michelson e Morley giunse alla fondamentale conclusione che la velocità della luce è uguale in tutte le direzioni perché non c è vento di etere e quindi l etere non esiste. Ma se innumerevoli esperimenti e teorie avevano confermato che i fenomeni luminosi avevano carattere ondoso allora di che tipo di onde era fatta la luce? Già da tempo i fisici che si occupavano di elettricità e magnetismo Figura 4 - In una radiazione elettromagnetica, il campo elettrico E e il campo magnetico H sono perpendicolari tra loro e rispetto alla direzione di propagazione dell'onda. 13 Ernst Mach ( ), fisico e filosofo austriaco. Fu uno dei leader del positivismo moderno predicando affinché la scienza si liberasse delle assunzioni religiose e metafisiche che per secoli l avevano oppressa.

7 Luce, percezione, colore 63 Figura 5 - Lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche visibili comprende tutte le radiazioni monocromatiche luminose, dalle lunghezze d onda più corte del violetto a quelle più lunghe del rosso. Non sono presenti le varie tonalità del magenta, infatti questo colore è il risultato percettivo della somma di tonalità rosse e blu. avevano ipotizzato che luce ed elettromagnetismo fossero strettamente legati. Infatti le forze elettriche e magnetiche al pari della luce potevano esercitarsi a distanza senza il bisogno di una qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa. Per spiegare questo era necessario ricorrere ad un nuovo e fondamentale concetto, quello di campo di azione di una forza che può essere gravitazionale, elettrica o magnetica. Fu Michael Faraday 14 che per primo pose in evidenza il legame tra le oscillazioni del campo elettrico e del campo magnetico e che, verso la metà del secolo, ipotizzò che la luce fosse connessa con la propagazione nello spazio di questi campi. Nel 1864 James Maxwell 15 riuscì a dare una base teorica alle esperienze di Faraday formulando un insieme di equazioni capaci di descrivere in tutti i suoi aspetti il fenomeno della propagazione delle onde elettromagnetiche. Si tratta appunto delle equazioni di Maxwell, che sono diventate le autentiche fondamenta dell'elettromagnetismo e dell'ottica moderna. Secondo la teoria dell elettromagnetismo la luce è una radiazione elettromagnetica di lunghezza d onda compresa tra 380 e 780 nanometri 16 dove i colori puri dell arcobaleno corrispondono a radiazioni monocromatiche di differenti lunghezze d onda. Dopo Faraday e Maxwell sembrava che le teorie sulla natura della luce fossero complete tanto da far dire agli scienziati dell epoca che in fisica non c era più nulla che non fosse conosciuto. Invece alla fine dell ottocento il dibattito si riaprì. Furono in particolare due esperimenti che misero in crisi la fisica classica: l emissione del corpo nero e l'effetto fotoelettrico. 14 Michael Faraday ( ), chimico e fisico inglese, Realizzò la prima dinamo e scoprì il benzene. 15 James Clerk Maxwell ( ), matematico e fisico scozzese. Fu professore di fisica sperimentale a Cambridge e nel 1873 pubblicò il famoso trattato sull'elettricità ed Elettromagnetismo. Fu anche famoso per i suoi studi sul colore. 16 Un nanometro equivale a 10-9 metri, ovvero 1 nm = 0, metri.

8 64 Capitolo 2 Figura 6 - Spettri di potenza relativa emessi dal corpo nero per temperatura variabile da 2000 a gradi Kelvin. Il corpo nero ideale è un oggetto capace di assorbire interamente luce di tutte le possibili frequenze, trasformando l energia luminosa in calore. Intorno al 1850 il fisico Robert Kirchhoff 17 scoprì che una sostanza capace di assorbire certe frequenze luminose, emette le stesse frequenze se adeguatamente riscaldata e quindi, seguendo le leggi fisiche di quei tempi, se un corpo nero viene portato ad alta temperatura, dovrebbe emettere energia luminosa ugualmente divisa tra tutte le frequenze. Qualche anno dopo il fisico inglese Lord Rayleigh 18 propose che l intensità cresceva gradualmente con la frequenza. Nella realtà, invece, le previsioni di Kirchhoff e di Lord Rayleigh si rilevarono errate. Infatti un altro fisico tedesco, Wilhelm Wien 19 analizzando l emissione spettrale di un corpo nero portato a diverse temperature, trovò che vi era emissione di tutte le frequenze ma non con intensità costante Gustav Robert Kirchhoff ( ), fisico tedesco. Formulò anche la nota legge che porta il suo nome per lo studio dei circuiti elettrici. 18 John William StruttRayleigh ( ), barone e fisico inglese. Nel 1904 vinse il premio Nobel nella fisica per la sua scoperta dell Argon. Fu famoso anche per i suoi studi nel campo dell acustica. 19 Wilhelm Wien ( ), fisico tedesco. Nel 1911 vinse il premio Nobel per la fisica per i suoi studi sulle radiazioni del corpo nero. 20 In particolare nella progettazione illuminotecnica si è soliti individuare il colore delle sorgenti di luce mediante la temperatura di colore espressa in gradi Kelvin. Quando, ad esempio, si afferma che una sorgente ha una temperatura di colore di 3200 K significa che emette uno spettro simile a

9 Luce, percezione, colore 65 L esperimento di Wien aveva quindi smentito ogni possibile previsione di emissione del corpo nero ottenuta con le ipotesi teoriche di quei tempi. La spiegazione di questo fenomeno è dovuta a Max Planck 21. Egli ipotizzò che, contrariamente a quanto si pensava, la probabilità di emissione di un corpo incandescente non fosse uguale per tutte le frequenze, ma diminuisse all'aumentare della frequenza. Le teorie di Plank si basavano sull ipotesi che l energia luminosa non fluisse con valori continui, ma si addensasse in quanti o pacchetti di luce 22. Alla fine del secolo scorso si ebbe notizia di un altro esperimento che non poteva essere spiegato con la teoria ondulatoria della luce. Un fisico tedesco, Philip Lenard 23, aveva scoperto che un metallo colpito da un fascio di luce monocromatica emette elettroni: questo fenomeno è detto effetto fotoelettrico. Nell esperimento si notò che non si ha emissione di elettroni quando la radiazione incidente ha una frequenza inferiore ad un certo valore di soglia anche per intensità molto alte della luce. Inoltre aumentando l'intensità del fascio luminoso, il numero degli elettroni emessi cresce ma la velocità con cui gli elettroni escono dal metallo risulta sempre la stessa. Per far crescere la velocità degli elettroni è necessario far variare la frequenza della luce verso la regione violetta o ultravioletta. La teoria ondulatoria della luce non riesce a spiegare i risultati di questo esperimento. Infatti per la teoria ondulatoria gli elettroni possono essere emessi qualunque sia la frequenza della luce, purché di intensità sufficiente. Inoltre, contrariamente all esperienza, la teoria ondulatoria prevede un aumento della velocità degli elettroni emessi al crescere dell intensità luminosa. Ad interpretare questo fenomeno fu Albert Einstein 24 che nel 1905 riprese e ampliò le ipotesi fatte cinque anni prima da Max Planck sull emissione del corpo nero. Secondo Einstein, non soltanto gli scambi di energia tra radiazione e materia avvengono in maniera quantizzata ma la stessa energia radiante si propaga nello spazio raggruppata in tanti grani chiamati quanti di luce o fotoni. quello del corpo nero scaldato alla temperatura di 3200 gradi Kelvin. Quindi la temperatura di colore non ha nessuna relazione con la temperatura reale della sorgente. 21 Max Plance ( ), fisico tedesco. Dai suoi studi partì la rivoluzione della fisica moderna. Nel 1918 ricevette il premio Nobel per la fisica per i suoi studi sulla radiazione del corpo nero. 22 I quanti di luce contengono tanta più energia E quanto maggiore è la frequenza f della radiazione luminosa, secondo la relazione di E = hf dove h è la costante di Plank. Questa formula segna il limite tra la fisica classica e quella moderna o quantistica. 23 Philipp Eduard Anton Lenard ( ), fisico tedesco. Famoso per i suoi studi sui raggi catodici che gli fruttarono il premio Nobel per la fisica nel Albert Einstein, fisico teorico americano nato in Germania nel 1879 e morto nel Padre della teoria della Relatività che fu a lungo avversata, tanto che nel 1921 vinse invece il premio Nobel per la fisica per i suoi studi sull effetto fotoelettrico.

10 66 Capitolo 2 L effetto fotoelettrico può così essere interpretato come un urto tra fotoni della radiazione ed elettroni della materia; in tale urto un elettrone, colpito da un fotone, ne può assorbire l energia. Affinché avvenga l effetto fotoelettrico è necessario che tale energia, trasportata dal fotone e assorbita dall elettrone, sia almeno uguale al lavoro necessario ad estrarre l elettrone dall atomo. Al crescere dell intensità della radiazione luminosa, se la frequenza è tenuta fissa, cresce il numero di fotoni incidenti e quindi il numero di elettroni emessi, ma non la loro energia. L ipotesi dei quanti di luce costituisce quindi un modello soddisfacente per l'interpretazione dell'effetto fotoelettrico I lavori di Planck e di Einstein hanno avuto il merito di mettere in chiaro la natura della luce: essa presenta aspetti sia ondulatori che corpuscolari. Esistono fenomeni che possono essere spiegati con entrambe le teorie come la propagazione rettilinea della luce, mentre i fenomeni di interazione della luce con se stessa come l'interferenza e la diffrazione sono interpretati con la teoria ondulatoria. La teoria corpuscolare è invece più adatta a spiegare le interazioni tra luce e materia. L apparentemente inconciliabile contraddizione tra teoria corpuscolare e ondulatoria della luce è stato chiarito, e formalizzato, dai fisici Werner Heisemberg 25 ed Erwin Schroedinger 26 negli anni venti. Nacque così la fisica quantistica, essenziale per il trattamento dei processi atomici. Con essa si possono anche studiare fenomeni su larga scala anche se i risultati a cui siamo ricondotti differiscono di poco rispetto alla fisica classica o newtoniana. Ecco che con queste ipotesi torna in gioco la vecchia idea di Newton dei corpuscoli luminosi, sebbene ora si faccia riferimento più ad agglomerati di energia che a veri e propri proiettili materiali. E quindi sulla luce si conosce ormai tutto? Non c è da esserne sicuri. Infatti proprio in tempi recentissimi è stato sperimentato che in particolari condizioni è possibile far viaggiare la luce più veloce della velocità massima fino ad oggi conosciuta e considerata da Einsten come un limite massimo non superabile. Ma questo potrebbe aprire un altro capitolo delle ricerche fisiche che verrà scritto nel corso del ventunesimo secolo. Per tutto ciò che riguarda l utilizzo della luce nella progettazione illuminotecnica ci si limita a considerare la luce come una radiazione elettromagnetica e il suo studio rientra quindi nell ambito della radiometria. Questa semplificazione rispetto alla teoria dei quanti non 25 Werner Heisenberg ( ), fisico tedesco. È stato uno dei fondatori della teoria dei quanti ed è anche noto per il principio di indeterminazione. Nel 1932 ricevette il premio Nobel per la Fisica. 26 Ervin W. Schrödinger ( ), fisico teorico austriaco. Ha formulato l'equazione che porta il suo nome e che è uno degli strumenti di lavoro della moderna fisica dei quanti. Nel 1933 ricevette il premio Nobel per la Fisica.

11 Luce, percezione, colore 67 Figura 7 - Esempio di rappresentazione dello spettro di un raggio di luce. La curva bianca indica il contributo delle componenti monocromatiche alle varie lunghezze d onda comprese nello spettro visibile comporta in pratica nessuna perdita di precisione per una serie di motivi che possiamo così riassumere: Nelle applicazioni quotidiane gli oggetti stanno fermi o si muovono a velocità di vari ordini di grandezza inferiori a quella della luce. Le dimensioni degli oggetti sono molto maggiori della lunghezza d onda della luce. La massa degli oggetti è molto inferiore rispetto a quella del Sole o dei buchi neri in gradi di deviare la luce dal suo percorso rettilineo. Ai fini della gestione dell illuminamento l effetto fotoelettrico prodotto sugli oggetti non desta alcun interesse. Il comportamento fisico del corpo nero ideale ha un interesse limitato solo alla produzione della luce artificiale tramite riscaldamento del Tungsteno. Anche nella ipotesi semplificatoria di considerare la luce come una radiazione elettromagnetica, la gestione dei calcoli matematici per descriverne il suo comportamento è comunque estremamente complessa. Infatti, sebbene le equazioni differenziali di Maxwell siano in grado di descrivere il comportamento del campo elettromagnetico, queste sono di difficile, se non impossibile, soluzione pratica per le applicazioni che si discostano dai casi ideali della fisica. Ci sono in particolare due aspetti che complicano la descrizione e simulazione del comportamento della luce anche nel caso in cui venga utilizzato il computer per la soluzione dei calcoli:

12 68 Capitolo 2 Figura 8 - Nel calcolo della interazione tra luce è materia non è possibile una descrizione geometrica esatta delle reali microrugosità superficiali che contribuiscono a determinare l'aspetto visivo degli oggetti. 1) La luce viene descritta come un insieme di onde elettromagnetiche di lunghezze d onda comprese tra 380 e 780 nm. E quindi ogni singolo raggio di luce dovrebbe essere descritto tramite una funzione spettrale. 2) Nella interazione della luce con gli oggetti è opportuno descrivere questi ultimi matematicamente sia per gli aspetti geometrici e micro-geometrici che per quelli fisico-chimici. Informazioni queste di difficile gestione e reperimento nelle applicazioni pratiche. Per questi e anche altri motivi si fanno una serie di ulteriori ipotesi semplificatorie sulla natura dei materiali e della luce, che se da un lato consentono di risolvere i problemi pratici, dall altro introducono un considerevole margine di errore nei risultati ottenibili, tanto da non poterli considerare validi in senso assoluto ma solo per l analisi di alcuni aspetti descrittivi dello studio della illuminazione. Vale in generale una regola intuitiva che possiamo così enunciare: quanto più un calcolo inerente la descrizione della luce è semplificato, tanto maggiore è l errore che si commette nei risultati. In questo senso l utilizzo del computer al posto delle metodologie di calcolo manuale descritte nelle norme CIE alla fine degli anni 70, rappresenta già un notevole passo avanti nella valutazione degli aspetti quantitativi della illuminazione. Per ciò che riguarda invece gli aspetti estetici e qualitativi il computer, sebbene indispensabile, consente di ottenere discreti risultati che non hanno una validità assoluta ma che devono essere interpretati; questo a causa di una serie di fenomeni legati alla percezione visiva umana che andremo ora ad approfondire.

13 Luce, percezione, colore La visione e l adattamento percettivo Percepire il mondo intorno a noi non è solo una semplice raccolta di dati sensoriali. Attraverso i sensi e in questo particolare contesto la visione, siamo in grado di crearci una rappresentazione mentale del mondo che ci circonda. La visione costituisce il sistema sensoriale principale dell uomo, e il nostro sistema visivo si è evoluto in modo da poter interpretare al meglio la ricchezza informativa delle immagini, sviluppando così caratteristiche di sensibilità e di adattamento interessanti da analizzare. La visione è un processo che comincia nell occhio e si completa nel cervello. Più che un sensore separato e autonomo che trasmette i dati al cervello per una successiva elaborazione, l'occhio può essere visto come un prolungamento del cervello, altamente innervato, che divide con quest ultimo il compito di adattare ed elaborare l informazione visiva. Nella corteccia cerebrale, non giunge una copia fedele dello stimolo ricevuto dal mondo esterno, ma una sua decomposizione, ancora per molti aspetti sconosciuta, dell informazione visiva originale. Ogni stadio opera su particolari caratteristiche dello stimolo, quali il colore, la forma, il movimento e la profondità e si attiva in determinate condizioni elaborando i segnali che riceve. Non esiste quindi un area precisa del cervello in cui avviene l interpretazione di ciò che vediamo, piuttosto le elaborazioni visive avvengono contemporaneamente in diverse e numerose regioni della corteccia cerebrale localizzate nella regione occipitale. È quindi più appropriato parlare di processo di percezione. Vediamo ora alcune caratteristiche di questo processo, partendo dalla struttura del suo primo componente, l occhio. Figura 9 - L'occhio umano.

14 70 Capitolo 2 Figura 10 - Campo visivo umano orizzontale (a) e verticale (b). L occhio è formato dal globo oculare, che è posto nella cavità orbitaria del cranio. Può essere considerato come una piccola macchina fotografica: la parete del globo oculare, che corrisponde all involucro della macchina fotografica, è rivestita all esterno da una robusta membrana di colore bianco, chiamata sclera; anteriormente questa membrana diventa trasparente e si incurva maggiormente, formando la cornea, che svolge la medesima funzione dell obbiettivo della macchina fotografica. Subito sotto la membrana sclerotica c è la membrana coroidea, che anteriormente presenta un apertura, la pupilla, dotata di un diaframma di ampiezza regolabile, l iride, che ha le stesse funzioni del diaframma di un obbiettivo fotografico. Posteriormente all apertura pupillare è posto il cristallino, un corpo a forma di lente biconvessa e formato da cellule perfettamente trasparenti che, esattamente come la lente interna di un obbiettivo, permette la messa a fuoco dell immagine. Problemi congeniti della forma del bulbo oculare o del cristallino danno luogo ai classici difetti visivi della miopia (bulbo eccessivamente allungato), ipermetropia (bulbo eccessivamente accorciato) e astigmatismo (cristallino asimmetrico). Anche degenerazioni dovute all età riducono la capacità del cristallino di modificare la forma per adattare la messa a fuoco, provocando la presbiopia. È interessante osservare che il campo visivo laterale sotteso dai due occhi si estende per circa 208 mentre verticalmente è di circa 120 cosi come l'angolo sotteso da entrambi gli occhi nella visione stereoscopica che consente la percezione della profondità. Lo strato più interno del bulbo oculare è la retina, in cui si trovano cellule nervose di vario tipo, tra cui i recettori sensibili alla luce, coni e bastoncelli, che svolgono il ruolo della pellicola fotografica. I coni reagiscono agli alti

15 Luce, percezione, colore 71 stimoli luminosi principalmente nella visione diurna 27 mentre i bastoncelli sono attivi nelle condizioni di scarsa illuminazione tipiche della visione notturna 28. Coni e bastoncelli, stimolati dalla luce, generano dei segnali elettrici mediante processi biochimici. Questi impulsi passano, sempre nella retina, attraverso una serie di cellule nervose specializzate: le cellule amacrine, gangliari, bipolari e orizzontali, che le convogliano poi al nervo ottico, e attraverso quest ultimo, alla corteccia cerebrale. Vi sono tre tipi di coni, sensibili a diverse lunghezze d onda. Ogni cono Figura 11 - Struttura della retina. ha una sua sensibilità spettrale al variare della lunghezza d onda, e la combinazione delle tre diverse curve garantisce la copertura di uno spettro luminoso che va da lunghezze d onda di 380 nm fino a circa 780 nm, il cosiddetto spettro visibile. Avere a disposizione tre segnali diversi a seconda della frequenza della luce ricevuta permette la percezione del colore, come vedremo in dettaglio più avanti. Al contrario i bastoncelli sono tutti di uno stesso tipo e quindi percepiscono solo i livelli di luminanza in una visione priva di colori. Un altro aspetto fondamentale di questa struttura è che gli esseri umani non sono ugualmente sensibili alle varie radiazioni dello spettro elettromagnetico. Al di fuori dell intervallo compreso tra 380 e 780 nm, che consideriamo quello della luce, non percepiamo nulla, per questo motivo non siamo in grado di vedere le radiazioni infrarosse e ultraviolette. All interno dello spettro luminoso poi, siamo più sensibili alle frequenze che producono lo stimolo del verde e giallo che non quelle del blu e rosso. Questo effetto è stato verificato e normato dalla CIE nel 1924 con la definizione della curva di efficacia luminosa fotopica dell osservatore standard, determinata sperimentalmente come valore medio su un discreto numero di soggetti umani e che definisce le basi della fotometria Detta anche visione fotopica. 28 Detta anche visione scotopica. 29 La fotometria è la scienza che si occupa di descrivere la percezione umana delle onde elettromagnetiche, ovvero solo di quella parte che viene percepita: la luce. Se il considerare la luce

16 72 Capitolo 2 Figura 12 Le curve di efficacia luminosa spettrale fotopica K(l) e scotopica K (l) misurate dalla CIE, definiscono la sensibilità visiva diurna e notturna dell'essere umano alle radiazioni elettromagnetiche. La disposizione sulla retina delle cellule fotosensibili non è uniforme. I coni sono circa sei milioni e sono addensati nella zona centrale della retina, la fovea, che corrisponde al centro ottico dell occhio. I bastoncelli sono circa centoventi milioni e sono disposti nelle regioni periferiche. La distribuzione di coni e bastoncelli è quindi inversamente proporzionale, al centro della retina ci sono più coni e meno bastoncelli, mentre alla periferia la proporzione è invertita. Il fatto che la maggior parte dei coni risieda nella parte centrale ha come conseguenza che la visione umana è una visione attiva. Per osservare bene qualcosa, dobbiamo cercarla con Figura 13 - La distribuzione di fotorecettori rispetto all'angolo visivo centrato sulla fovea. lo sguardo. Un immagine o un filmato non sono visti passivamente, ma sono osservati come una radiazione elettromagnetica ci consente di studiarla nell ambito della radiometria, la curva di efficacia luminosa spettrale K(λ) ci dice come queste radiazioni sono percepite. Ad ogni grandezza radiometrica spettrale può essere associata l analoga funzione fotometrica spettrale, ad esempio alla radianza L e (λ) corrisponde la luminanza L v (λ) = L e (λ) K(λ) ottenuta pesando la radianza tramite la curva di efficacia.

17 Luce, percezione, colore 73 Figura 14 A sinistra e al centro: i percorsi di osservazione dell occhio si concentrano sulle zone di variazione della immagine per percepire i contrasti. La figura a destra rappresenta un disco sfumato, se si riesce a fissare con un occhio perfettamente fermo per qualche secondo il punto bianco centrale la forma circolare tende a scomparire a causa della perdita del contrasto. attivamente. Su una immagine lo sguardo percorre dei cammini che hanno lo scopo di raccogliere l'informazione visiva. I cammini seguono soprattutto le zone dei bordi e comunque le zone con un alto contenuto di informazione visiva. Questo meccanismo di scansione serve anche per "rinfrescare" il contrasto di una immagine. Ciò perché, per percepire i dettagli tramite il contrasto è necessario osservare con la fovea dove c è la maggiore densità di coni responsabili della capacità di risoluzione spaziale del nostro sistema visivo. La funzione di sensibilità al contrasto 30 riporta la sensibilità al contrasto 31 del sistema visivo al variare della frequenza spaziale osservata, cioè della dimensione lineare dei dettagli dell immagine. I valori di contrasto minimo percepibile sono riferiti ad un determinato livello di luminosità ambientale, quindi bisogna tenere presente che queste caratteristiche di sensibilità al contrasto variano al variare della luminosità generale della scena. Inoltre, vicino a zone di transizione, spesso si verifica un effetto noto come bande di Mach che, al fine di evidenziare il contrasto tra zone differenti, ci fa percepire una differenza dei livelli di luminosità maggiore di quella realmente esistente. La causa di questo effetto sta nell azione congiunta, detta di azioneinibizione, dei campi ricettivi del sistema visivo. Un campo ricettivo è la 30 CSF, Contrast Sensitivity Function. 31 In questo contesto la definizione di contrasto solitamente utilizzata è la seguente (contrasto di Michelson): (L max -L min ) / (L max + L min ) dove L max e L min sono la luminanza massima e minima della griglia osservata.

18 74 Capitolo 2 Figura 15 Bande di Mach. Nella parte alta della figura c è una normale scala di grigi di colore uniforme. Il diagramma sottostante illustra l illusione che ci fa percepire una chiarezza variabile: in prossimità del bordo sinistro ogni tassello appare più chiaro e sul bordo destro più scuro. La sensazione complessiva è che ogni tassello non sia colorato in modo uniforme, ma che degradi scurendosi da sinistra a destra. regione del campo visivo che stimola un insieme di fotorecettori tra loro interagenti. Il meccanismo di azione-inibizione, chiamato centro-periferia, si presenta in due modi: centro-eccitatorio / periferia-inibitoria o centroinibitorio / periferia-eccitatoria e ha come effetto quello di esaltare la risposta in regioni di transizione, ovvero, dove l immagine passa bruscamente da un livello di luminanza ad un livello differente. La conseguenza percettiva consiste in una esaltazione dei contrasti. Un altro esempio di questa situazione è l illusione ottica di Hermann che si presenta in una griglia regolare di quadrati scuri su fondo chiaro: all incrocio delle strisce bianche tra i quadrati neri il meccanismo di azione-inibizione ci fa percepire delle aree grigie che in realtà non esistono. Questo effetto, come il precedente è spiegato dallo schema della figura 17, nel quale vengono prese in considerazione due zone esempio. I cerchi indicano due campi recettivi, in quello di sinistra la quantità di segnale Figura 16 - Effetto di Hermann. luminoso (zone bianche) che cade nella

19 Luce, percezione, colore 75 Figura 17 - Spiegazione effetto di Hermann. regione di inibizione (indicata col segno meno, la corona circolare) è compensata dalle zone scure che cadono nella stessa regione; l opposto nel campo di destra in cui le estese zone chiare nella regione di inibizione contrastano il segnale di attivazione della regione centrale, creando la sensazione di un area scura inesistente. Ritornando all esame della struttura della retina, è interessante notare che la luce non colpisce direttamente coni e bastoncelli che sono diretti verso il cervello, ma viene prima riflessa dal fondo della retina. Durante questo tragitto la luce attraversa strati di tessuti irrorati di sangue, ma nonostante ciò noi non vediamo un mondo rosso o rosato. La ragione sta nei molteplici meccanismi di adattamento del nostro sistema visivo, che analizzeremo nel dettaglio più avanti. Questo orientamento dei fotorecettori impone una configurazione particolare: il fascio di assoni che deve giungere alla corteccia cerebrale provenendo dalle cellule retiniche si raccoglie verso il centro dell occhio, ed esce dal bulbo oculare in corrispondenza di una zona detta "macchia cieca". In questa zona la nostra retina non ha fotorecettori, ma nonostante ciò non abbiamo la sensazione di avere zone del campo visivo prive di segnale; una funzione visiva, forse di tipo psicologico, completa il campo visivo mancante. Per verificare questo fatto è sufficiente eseguire il seguente esperimento. Coprendo un occhio si fissi la croce nel centro della figura 18; muovete poi il libro davanti a voi, sempre usando un solo occhio, e tenendo l'attenzione sulla croce cercate la distanza (circa 20 cm) in cui uno dei due dischi ai lati della croce sparirà. Quello che scompare si trova dallo stesso lato dell occhio aperto e scompare perché avrete trovato la distanza corretta per cui la proiezione del disco nero attraverso il cristallino cade esattamente sulla macchia cieca. I meccanismi di adattamento provocano i fenomeni che sono identificati con il nome di costanza percettiva, grazie alla quale una scena viene percepita Figura 18 - Esperimento per la ricerca della zona cieca della retina.

20 76 Capitolo 2 nello stesso modo anche al variare delle condizioni di illuminazione entro limiti abbastanza ampi. La costanza percettiva, della chiarezza e del colore, ci permette di riconoscere il mondo nelle più varie condizioni di osservazione. Tutto ciò evidenzia uno scostamento tra le informazioni visive che effettivamente riceviamo del mondo circostante e il modo con cui lo percepiamo; in altre parole, il nostro sistema visivo è Figura 19 - Tempo di adattamento. senz altro un efficace strumento di estrazione di informazioni visuali, ma, adattandosi all ambiente, non è certo uno strumento per misurare grandezze luminose. La costanza di chiarezza agisce per adattare il sistema visivo all intensità luminosa, che in scenari naturali può variare anche di oltre quattro ordini di grandezza, da una giornata assolata all oscurità di un bosco. Per cogliere questa enorme variazione dobbiamo compiere una riflessione consapevole, in quanto in ogni contesto, il nostro sistema visivo, dopo una fase di adattamento produce uno stimolo analogo e i tempi di adattamento variano in funzione della luminanza. La sensazione di luminanza di una superficie non è quindi una misura della quantità di luce proveniente direttamente da essa, ma è piuttosto legata al rapporto di chiarezza con ciò che la circonda. Questo principio di adattamento sta alla base di un illusione ottica classica, detta contrasto di simultaneità, che ci fa percepire la stessa superficie con livelli di luminanza diversi al variare dello sfondo. Figura 20 Contrasto di simultaneità Il quadrato piccolo centrale, identico in tutti e quattro i casi, viene percepito come più chiaro o più scuro a seconda del grigio che lo circonda. Più il colore di sfondo è chiaro più il centro appare scuro e viceversa.

21 Luce, percezione, colore 77 Figura 21 Contrasto di simultaneità con figure a colori. La costanza cromatica è la capacità del sistema visivo umano di compensare cambiamenti apparenti nel colore degli oggetti dovuti a variazioni della sorgente di luce. Infatti il segnale che arriva al nostro sistema visivo è il frutto dell'interazione tra la luce che illumina il soggetto e le sue proprietà di riflessione. Di conseguenza un foglio bianco illuminato da una luce rossa ed un foglio rosso illuminato da una luce bianca emettono un segnale cromatico di uguale composizione spettrale. Nella realtà, grazie al fenomeno della costanza cromatica, il nostro sistema visivo è in grado di adattarsi ad un'eventuale dominante cromatica, dovuta alla sorgente di luce, e di eliminarla. Per capire quali sono gli effetti di questo adattamento si osservi la figura 22, in cui vediamo quattro fotografie di una mira cromatica riprese sotto quattro diversi illuminanti. Questa esperienza è familiare a tutti coloro che hanno scattato delle fotografie in ambienti illuminati da luce artificiale, utilizzando normali pellicole per luce solare: con lampade ad incandescenza la fotografia prende una forte dominante giallo-arancione mentre con luci fluorescenti può emergere una forte dominante verde-azzurra. Però quando noi osserviamo la scena, la dominante non è percepita, questo non perché non sia presente, ma perché il sistema visivo si adatta eliminandola.

22 78 Capitolo 2 Figura 22 A sinistra: riflessione colorata. A destra: variazione degli illuminanti sulla stessa superficie, in ordine orario dall'alto a sinistra lampada fluorescente, lampada ad incandescenza, luce solare filtrata dalle nubi, lampada ad incandescenza con filtro rosso. 2.3 La descrizione del colore Agli inizi del ventesimo secolo con la diffusione della stampa litografica, per l utilizzo nella comunicazione visiva e nella produzione di vernici colorate, si è presentato il problema di descrivere il colore in modo univoco. Fino a quell epoca, per secoli, il modello utilizzato era quello artistico dei pittori in cui le tinte fondamentali disposte in un cerchio venivano de-saturate tramite l aggiunta del bianco posto al centro della tavolozza. La luminosità dipendeva ovviamente dalla quantità di luce che rifletteva sul colore e veniva in parte modulato tramite l aggiunta del nero. Nel modello artistico il colore era quindi definito dai tre parametri di tinta, saturazione e luminosità. I ricercatori cercarono quindi di descrivere il colore in modo numerico univoco mediante i tre valori di tinta, saturazione e luminosità, partendo dalla osservazione delle caratteristiche del sistema visivo umano. I bastoncelli hanno una maggiore sensibilità assoluta alle radiazioni luminose, sono responsabili della visione scotopica per bassi livelli di illuminazione e producono una visione senza colori basata solo sulle differenze di luminosità. La sensazione del colore è percepibile solo con sufficienti livelli d illuminazione nella visione fotopica e deriva dal fatto che esistono tre tipi diversi di coni, ognuno caratterizzato da pigmenti con curve di assorbimento spettrale diverse. Il primo tipo di coni, L (long, lunghi), ha una gamma di sensibilità nelle lunghezze d onda più lunghe, con un massimo a 564 nm, nella zona del rosso. I1 secondo tipo di coni, M (middle, medi), ha una gamma di sensibilità più spostata nella regione intermedia dello spettro, con il massimo a 533 nm, nella

23 Luce, percezione, colore 79 Figura 23 - Assorbimento dei coni, assoluto (a sinistra) e normalizzato (a destra). zona del verde tendente al giallo. Infine, il terzo tipo di coni, S (short, corti), è sensibile alla regione di lunghezze d onda tra 400 e 500 nm, con sensibilità massima a 437 nm, nella zona del blu. Il fatto che la sensibilità dei coni per il blu sia molto più bassa non significa che questi siano meno sensibili alla luce, ma è piuttosto dovuto al fatto che il numero di coni sensibili alle lunghezze d onda più brevi, cioè al blu, è solo circa il 10% del totale. Le diverse sensibilità e densità dei coni portano ad una diversa capacità di discriminazione in funzione della lunghezza d onda. Per misurarla sono stati progettati esperimenti in cui si suddivide un cerchio in due metà, su una parte si proietta una luce monocromatica di lunghezza d onda conosciuta, sull altra metà si proietta una luce variandone la lunghezza d onda di una piccola quantità finché l osservatore inizia a percepire una lieve differenza di colore. La sensazione di colore non deriva direttamente dal segnale retinico, ma è il frutto di complesse elaborazioni di questo segnale. Il ruolo dei tre tipi di coni Figura 24 Discriminazione delle tinte. Nella parte superiore del cerchio bipartito viene mostrata una lunghezza d'onda monocromatica di lunghezza d'onda l, nella parte inferiore un colore monocromatico che si discosta di un Dl. Il grafico riporta la capacità di discriminare le variazioni di colore in funzione della lunghezza d'onda.

24 80 Capitolo 2 Figura 25 L'esperimento condotto da Wright e Guild alla fine degli anni '20 per la dimostrazione della teoria del tristimolo. nella formazione del segnale cromatico è stato individuato, tra i primi, da von Helmholz 32 il quale, con esperimenti compiuti alla metà del diciannovesimo secolo ha dimostrato la capacità dei coni di reagire a stimoli luminosi di lunghezze d onda differenti. In conseguenza di questi studi sono stati formulati diversi modelli di percezione del colore, tra i quali il principale è il modello del tristimolo avanzato da lui stesso. Tuttavia questo modello risulta insufficiente per giustificare i fenomeni, ad esempio, della costanza cromatica. Il modello del tristimolo si presta ad una trattazione matematica e ad un accurata rappresentazione quantitativa del colore. Per comprenderla partiamo dalla descrizione degli esperimenti di Wright e Guild, effettuati rispettivamente nel 1928 e nel In tali esperimenti una persona osservava una zona divisa in due: in una metà del campo visivo veniva proiettato un campione di luce monocromatica di lunghezza d onda conosciuta e nell altra metà venivano proiettate tre luci monocromatiche 33 di intensità variabile. Regolando l intensità di queste tre luci colorate, l osservatore doveva cercare di riprodurre un colore che apparisse uguale a quello proiettato nell altra metà del campo visivo. Il risultato di tali esperimenti, che ai giorni 32 Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz ( ), scienziato tedesco. È stato tra i primi a osservare il fenomeno del tristimolo. 33 Nell esperimento di Wright e Guild è molto importante la scelta della lunghezza d onda delle tre sorgenti monocromatiche. Queste devono essere linearmente indipendenti, ovvero nessuna delle tre deve essere riproducibile modulando le altre due.

25 Luce, percezione, colore 81 Figura 26 Risultati dell'esperimento di Wright condotto su vari osservatori umani. Le ordinate riportano il livello di regolazione delle tre sorgenti primarie monocromatiche che, da Wright, furono scelte di lunghezze d'onda 460 nm per il blu, 530 nm per il verde e 630 nm per il rosso. nostri sembra scontato, era per quel periodo sorprendente: con la miscelazione di tre colori era possibile ottenere tutti i colori fondamentali dello spettro cromatico 34. Una radiazione di una data lunghezza d onda viene assorbita in percentuali diverse dai tre tipi di coni e quindi li stimola in modo diverso. Lungo tutto lo spettro delle lunghezze d onda visibili ogni gruppo di fotorecettori del medesimo tipo raccoglie l energia luminosa sommandola secondo la sua sensibilità. I colori delle luci che vediamo sono così associati alle diverse percentuali di stimolazione dei tre tipi di coni: ciò spiega perché con tre soli tipi di recettori si possa ottenere un grandissimo numero di differenti sfumature di colore. In questo modo qualsiasi distribuzione spettrale di energia luminosa viene riassunta in tre valori, detti appunto di tristimolo e ogni colore percepito è frutto di una determinata tripletta. Essendo però l operazione base della percezione una integrazione nelle frequenze dello spettro questo comporta una 34 In realtà per alcune lunghezze d onda campione particolari, anche modulando le tre sorgenti primarie in tutti i modi possibili, non si riusciva a ottenere la percezione equivalente; tuttavia aggiungendo piccole quantità di una delle tre primarie alla sorgente campione si riusciva ad ottenere l equivalenza percettiva. Nel grafico risultante dall esperimento ciò comporta che per alcune lunghezze d onda una delle tre primarie viene indicata con valore negativo, cosa che non ha senso dal punto di vista fisico.

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