Marco Borghetti LINEE GUIDA SELVICOLTURALI PER LA GESTIONE SOSTENIBILE DEI PATRIMONI FORESTALI DEMANIALI DELLA REGIONE BASILICATA

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1 Marco Borghetti LINEE GUIDA SELVICOLTURALI PER LA GESTIONE SOSTENIBILE DEI PATRIMONI FORESTALI DEMANIALI DELLA REGIONE BASILICATA Istituto Nazionale di Economia Agraria Potenza, febbraio 2005

2 Marco Borghetti è ordinario di selvicoltura speciale nell Università della Basilicata. Da più di un ventennio svolge ricerche in ecologia forestale e selvicoltura; autore di oltre 90 pubblicazioni scientifiche, di cui più di un terzo su riviste internazionali con impact factor, è socio ordinario dell Accademia Italiana di Scienze Forestali, presidente della Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale e direttore responsabile della rivista Forest@. 2

3 3 Indice 1. Premessa 4 2. La gestione sostenibile delle foreste 4 3. La selvicoltura naturalistica Metodi e orientamenti colturali Rinnovazione naturale Conservazione e valorizzazione della biodiversità Struttura, provvigione, forma di governo Multifunzionalità della foresta Rinaturalizzazione dei rimboschimenti Tipi forestali e casi colturali nel demanio regionale lucano Boschi a dominanza di faggio Querceti mesofili e meso-xerofili Boschi a partecipazione di abete bianco Castagneti Querceto xerofilo, macchie, boschi degradati Rimboschimenti Bibliografia 34

4 4 1. Premessa Questo lavoro ha lo scopo di presentare idee e proporre linee operative per la gestione sostenibile delle foreste del demanio regionale della Basilicata 1. Dopo una breve presentazione dei concetti di gestione sostenibile e selvicoltura naturalistica, verranno delineati metodi e tecniche colturali che diano concretezza a tali idee. Saranno poi descritti i tipi forestali prevalenti nell ambito del demanio regionale lucano, dando per ciascuno di essi delle indicazioni di carattere gestionale e colturale; indicazioni che il piano di assestamento dovrà poi circostanziare e tradurre in prescrizioni colturali. 2. La gestione sostenibile delle foreste Qualora non se ne definiscano bene contenuti e metodi, i termini di sviluppo e gestione sostenibile rischiano di diventare topos logorati dall uso e di scarsa utilità pratica. Definiamo, dunque, come sostenibile una gestione delle foreste in cui i contenuti della pianificazione e i metodi colturali siano indirizzati al mantenimento e al funzionamento dell ecosistema forestale, al fine di coniugare al meglio le funzioni multiple della foresta: da quella produttiva a quella protettiva, dalla conservazione della diversità biologica alla mitigazione dell effetto serra, dalla fruizione turistica al ruolo paesaggistico. Benché entrata nell uso relativamente da pochi anni 2, l idea della sostenibilità è in molti casi già insita nei metodi di gestione forestale che da tempo vengono applicati nel nostro paese, perlomeno laddove 1 Si farà quindi specifico riferimento ai tipi forestali esistenti nell ambito del demanio regionale della Basilicata, non esimendosi tuttavia dal considerare anche tipologie che, attualmente non molto rappresentate, sono meritevoli di salvaguardia, miglioramento ed eventuale ridiffusione. 2 Il termine sviluppo sostenibile si è diffuso intorno alla metà dei trascorsi anni ottanta, con il rapporto della Commissione mondiale per l'ambiente e lo Sviluppo", presieduta dal norvegese Brundtland. In tale rapporto, intitolato Our Common Future, fu scritto che il destino dell umanità dipende strettamente da uno sviluppo economico di tipo sostenibile, intendendo per tale uno sviluppo che rende possibile il soddisfacimento dei bisogni delle attuali generazioni senza compromettere le capacità di quelle future di soddisfare i propri. Si tratta, invero, di un concetto che affonda più lontano le sue radici, nei presupposti di molte civiltà e culture. Spesso viene citato un antico proverbio del Kenya: "Noi non ereditiamo la terra dai nostri genitori; la prendiamo in prestito dai nostri figli", così come viene ricordata l orazione di un capo pellerossa: "Questo noi sappiamo: la terra non appartiene all'uomo, l'uomo appartiene alla terra. Tutte le cose sono connesse. Qualsiasi cosa accada alla terra, accade ai figli della terra. L'uomo non ha tessuto la tela della vita. Egli ne è soltanto un filo. Qualsiasi cosa egli faccia alla tela, lo fa a se stesso". Da entrambe queste frasi traspare l idea di ciò che oggi chiamiamo sviluppo sostenibile.

5 5 vi sia la tradizione virtuosa di far precedere l uso delle risorse forestali da una adeguata fase di pianificazione. Di certo la possibilità di implementare una gestione forestale sostenibile è stata notevolmente sostenuta dagli sviluppi della selvicoltura e da oltre due secoli di esperienze colturali svolte nelle foreste europee. Va inoltre riconosciuto, anche per rimarcare il nostro senso di responsabilità, che i presupposti per una gestione sostenibile delle foreste non sono mai stati così favorevoli come nell attuale momento storico. Nel nostro paese, in particolare, le foreste sono oggi in gran parte esenti da quelle forti pressioni antropiche che nel passato hanno determinato gravi fenomeni di impoverimento. Tanto che in molti boschi si sono determinati, negli ultimi decenni, significativi accumuli di biomassa legnosa (provvigione), il che rappresenta un aspetto di notevole rilievo ecologico e un favorevole punto di partenza sul piano gestionale. Se da un parte queste condizioni possono apparire favorevoli, dall altra possono però rappresentare anche un punto di debolezza. In diversi casi, per esempio, un contesto economico non favorevole alle utilizzazioni forestali 3 può scoraggiare, sia per le proprietà pubbliche che per quelle private, la predisposizione di strumenti adeguati di pianificazione, che rappresentano il prodromo indispensabile della gestione sostenibile. Malaugurata conseguenza potrebbe essere l abbandono a se stesso del patrimonio forestale, con ricadute negative non solo sul piano dell occupazione ma anche della stabilità degli ecosistemi; poiché affidare alle pure forze della natura consorzi forestali a lungo plasmati dall azione dell uomo costituisce un rischio per la loro conservazione (Paci 2004). Il circolo vizioso può essere spezzato attraverso la proposizione di modalità gestionali che riescano a rifocalizzare sulla foresta quegli interessi, anche economici, che rappresentano la linfa vitale per valorizzare le foreste e le loro multiple funzioni. L importanza della pianificazione forestale e della selvicoltura si gioca quindi non solo sulla capacità di definire metodi colturali capaci di coniugare la produttività legnosa, sia di massa che di qualità, con la conservazione dell ecosistema forestale, ma anche sulla possibilità di ricollocare la foresta al centro di quegli interessi economico-sociali più vasti che si determinano a scala territoriale. In questo contesto, il demanio pubblico è chiamato a svolgere, come ha già fatto in passato, il doveroso ruolo di caso modello ; 3 Si tenga conto che per gran parte la nostra industria del legno viene alimentata dalle importazioni.

6 6 soprattutto nelle regioni meridionali, dove gli esempi di selvicoltura di qualità e gestione virtuosa non sono stati, fino ad ora, molto frequenti; e dove gli stessi contenuti da attribuire al concetto di gestione sostenibile possono essere diversi rispetto ad altri ambiti geografici. 3. La selvicoltura naturalistica Si è affermata ormai da diversi decenni una concezione di fondo della foresta come sistema biologico complesso e l idea di una selvicoltura fondata sull osservazione e sull imitazione dei processi naturali (cf. Piussi 1994, Chadwick & Larson 1996, Smith 1996); un tipo di selvicoltura che, applicata da noi inizialmente nei boschi del Trentino e del Cadore a partire dalla metà del secolo scorso, fu definita per l appunto come naturalistica (cf. Volynsky 1994, Bernetti 1977) 4. 4 Si ritiene qui utile riprodurre ampi tratti dell interessante relazione di Alessandro Wolinski (online: URL sull evoluzione storica della selvicoltura naturalistica in Europa e in Italia: Omissis Dare una definizione univoca di ciò che si intende per selvicoltura naturalistica non è cosa facile. Si potrebbe considerarla in termini molto generali un approccio al problema della gestione dei boschi con una sensibilità particolare per alcuni elementi di fondo, quali la preferenza per la rinnovazione naturale, la ricerca di composizioni in sintonia con la stazione e possibilmente miste, la preferenza per strutture irregolari o variamente articolate. A tali elementi potremmo aggiungere un attenzione particolare alle dinamiche spontanee della foresta, un modo di intendere il bosco come ecosistema complesso, e la tendenza ad utilizzare al massimo gli automatismi biologici, riducendo al minimo gli apporti di energia esterna (lavoro e capitale).tali elementi non sono certo un acquisizione recente della scienza selvicolturale, poiché derivano da almeno due secoli di riflessione sui grossi temi della selvicoltura; tuttavia, ultimamente, essi sono stati implementati dai risultati delle più recenti acquisizioni scientifiche. Inoltre, pur nell'ambito di un medesimo approccio generale, in relazione al diverso accento posto su un elemento piuttosto che su un altro, è possibile riconoscere numerose sfumature nel modo di intendere la selvicoltura naturalistica. Omissis Gli studi sulle foreste primarie europee. Dalla metà del secolo, la riflessione dei selvicoltori naturalistici si arricchisce in seguito ai risultati emersi dagli studi condotti sui pochi lembi di foreste vergini o comunque scarsamente toccate dall'uomo, presenti soprattutto nell'europa orientale. Le analisi effettuate sulla struttura evidenziano l'esistenza di diverse fasi, che si succedono nel tempo e nello spazio e che sono generalmente denominate come segue. Fase ottimale: fase più o meno chiusa, densa, di aspetto monoplano con elevata biomassa e buona vitalità media delle piante. Nella fase ottimale iniziale il piano superiore generalmente non è così chiuso da impedire che gli alberi del piano intermedio riescano a passare nello strato superiore. Nella fase ottimale tardiva il piano superiore è molto più chiuso. Fase senile: soprassuolo monoplano chiuso. Le interruzioni del piano superiore per la caduta di singoli individui o di piccoli gruppi sono ancora scarse, ed in esse inizia a comparire della rinnovazione. Nella fase senile iniziale si raggiunge il massimo della biomassa, che inizia a calare nella fase senile tardiva. Fase cadente: le interruzioni della copertura si moltiplicano; la biomassa continua a calare e le aperture si riempiono di rinnovazione. Fase di rinnovazione: caratterizzata dall abbondanza delle piante giovani e dalla permanenza degli ultimi esemplari giganti della generazione precedente. Fase disetanea: composta di individui delle specie dominanti di tutte le dimensioni. Le specie accessorie sono ugualmente presenti in tutti gli strati. Gli schianti di piante mature o senili sono assenti o eccezionali. Il linea generale si può

7 affermare che le dinamiche naturali vedano delle fasi di accumulo di biomassa seguite da fasi di crollo, più o meno veloce e su superfici più o meno ampie. La velocità e l'ampiezza delle fasi di crollo determina le modalità di insediamento della rinnovazione e quindi il tipo di strutturazione generale della foresta. Quanto più lentamente muoiono le vecchie piante e quanto più piccole sono le aperture che derivano dalla loro caduta, tanto maggiore è la tendenza a strutturarsi secondo un modello disetaneo su piccole superfici. Tale facoltà è resa più semplice dalla presenza di boschi misti di specie a diversa longevità. Nel caso di dinamiche soggette ad eventi catastrofici, lo sviluppo silvogenetico riprende dalle fasi pioniere, con un ciclo aperto. Foreste primarie e selvicoltura naturalistica. E evidente che dal confronto tra le dinamiche delle foreste primarie e le foreste coltivate il problema dell opposizione tra una struttura disetanea fine e una struttura rigidamente coetanea va ridimensionato. Il contrasto si era manifestato anche all'interno dell'anw ("Arbeitsgemeinschaft Naturgemäße Waldwirtschaft"), un gruppo di lavoro per una selvicoltura conforme alla natura, creato in Germania nel 1950, tra Dannecker, primo presidente e W. Wobst, suo successore. Il primo riteneva che una gestione davvero prossima alla natura non poteva attuarsi che con una foresta disetanea; il secondo sosteneva invece che la fustaia disetanea non era il solo tipo di selvicoltura prossima alla natura, arrivando a presentare la "fase ottimale" come l'ideale della foresta gestita in modo conforme alla natura, ed a raccomandare di mantenere il più a lungo possibile questo stadio. In realtà, se si osservano le strutture derivanti dalle sole dinamiche naturali nei boschi vergini residuali, si vedrà che le strutture attribuibili al modello disetaneo costituiscono comunque una fase temporanea, e sono altrettanto rappresentate strutture fisionomicamente coetanee. In termini generali viene da più parti osservato come le superfici occupate dalle diverse fasi mostrano una sensibile correlazione con la durata temporale delle fasi medesime, pur risultando una distribuzione diametrica complessiva della foresta di tipo disetaneo/irregolare. In effetti a rigore il perseguimento ad ogni costo di strutture disetanee minute in popolamenti che mostrano tendenze evolutive diverse, può condurre allo stesso tipo di forzatura che deriva dall'inquadramento dei boschi nelle classi cronologiche nell'assestamento su base coetanea. L'accento viene oggi posto sulla necessità di garantire la funzionalità interna dell'ecosistema ponendo in secondo piano il problema strutturale, considerato piuttosto come garanzia di stabilità ecologica secondo l assioma boschi ben strutturati = boschi più stabili. Il rapporto tra foresta vergine e selvicoltura naturalistica é spesso uno degli argomenti di riflessione dei forestali tedeschi aderenti all'anw. Fin dall inizio tuttavia i fondatori precisano che non si tratta di un ritorno alla natura intesa come foresta vergine, ma di una concezione di fondo della foresta come sistema biologico, e di una sua gestione attraverso un osservazione permanente della natura e delle sue leggi. Uno dei punti di discussione si snoda infatti attorno al paradosso dell'espressione "Naturgemäß", ("conforme alla natura") in quanto ogni intervento dell'uomo attraverso la selvicoltura rappresenta necessariamente qualcosa di innaturale in rapporto alla dinamica dell'ecosistema. Ad essa viene ritenuta preferibile l'espressione "Naturnah" ("prossimo alla natura") con la quale il paradosso è, almeno in parte, ridotto. L introduzione dei principi della selvicoltura naturalistica in Italia. In Italia un periodo significativo per l introduzione dei sistemi di gestione forestale naturalistici furono gli anni 50 e 60, con la progressiva introduzione di tale approccio e dei suoi metodi nella regione Trentino-Alto Adige, per merito di tecnici come Cristofolini, Sembianti, Moser, e con gli studi effettuati da Susmel sulle basi ecosistemiche della normalizzazione delle foreste alpine. Soprattutto in Trentino, realtà che conosco meglio, al di là dell adozione del metodo del controllo e della preferenza per il bosco misto e genericamente irregolare, ciò che ha caratterizzato gli ultimi 40 anni è la costante azione di ripristino dei principali parametri biologici e funzionali degli ecosistemi forestali (biomassa, composizione e struttura), fortemente alterati da secoli di sovrasfruttamento. L approccio naturalistico alla gestione forestale si diffonde in questo periodo anche in Cadore, area di antica tradizione forestale, in Friuli con l opera di Hofmann, e più tardi in Val d Aosta e in altre realtà locali. Un ulteriore passo in avanti avviene negli ultimi anni con l introduzione in molte regioni italiane delle tipologie forestali; con esse vengono evidenziati sistemi forestali caratterizzati da meccanismi di funzionamento diversi, in relazione ai fattori limitanti, alle modalità di rinnovazione o alla competizione intra- o inter- specifica. L attribuzione ad una tipologia specifica consente di avere un utile punto di riferimento per le decisioni selvicolturali (Del Favero, 1996). 7

8 8 Più recentemente sono stati coniati altri termini, sicché oggi frequentemente si parla di selvicoltura prossima alla natura (close to nature) per porre sempre più l accento 5 sulla necessità di far discendere le scelte colturali dall interpretazione dei processi ecologici, da un attenta analisi stazionale, da una valutazione delle prospettive evolutive della cenosi (Motta et al. 1999, Colak et al. 2003a, 2003b). Un bell esempio della possibile applicazione delle conoscenze ecologiche alla definizione dei trattamenti selvicolturali è stato recentemente offerto da Grassi et al. (2003, 2004) per i boschi misti di abete bianco e abete rosso del Cadore. Laddove applicata, la selvicoltura naturalistica ha portato a un significativo recupero dei principali parametri biologici e funzionali degli ecosistemi forestali (biomassa, composizione e struttura), che si erano notevolmente deteriorati in seguito a lunghi secoli di sovrasfruttamento e utilizzazioni condotte con criteri irrazionali; e si dimostra un metodo efficace per coniugare le funzioni tradizionali della foresta con altri aspetti che stanno acquisendo vieppiù importanza, quali il contributo delle foreste al ciclo globale del carbonio, la conservazione e la valorizzazione della diversità biologica, ecc. I successi conseguiti hanno portato a una diffusa accettazione del metodo; in particolare, gli ultimi decenni hanno segnato un momento Gli sviluppi recenti. Gli anni 80 e l inizio degli anni 90 rappresentano un momento importante per la diffusione della selvicoltura prossima alla natura in Europa. In Slovenia, sull esempio dell ANW, viene fondata nel 1989 un associazione europea di forestali con un approccio di gestione forestale prossimo alla natura, denominata Pro Silva, che si diffonde presto in più di 18 paesi con gruppi o associazioni analoghe. La sezione italiana nasce nel 1996 a Trento. Gli effetti disastrosi dei danni di nuovo tipo, che colpiscono con particolare virulenza l Europa centro-orientale e più tardi i catastrofici danni da schianti dell inizio del 1990 (60 a 65 milioni di mc schiantati in Germania e più di 100 milioni in Europa), provocano una rivisitazione critica delle politiche forestali, con la messa in discussione della selvicoltura dei popolamenti coetanei e monospecifici (Lanier, 1992; Otto, 1997). L attenzione per la tessitura dei popolamenti e per la formazione spontanea dei collettivi di alberi si trasferisce dalle regioni montane alle regioni di pianura dell Europa centro-orientale. Dopo il 1992, con la Conferenza di Rio, la conservazione della Biodiversità diviene un tema all ordine del giorno di governi e amministrazioni hanno responsabilità in materia ambientale. La foresta e la sua gestione si trovano subito al centro di tale dibattito. Contemporaneamente o quasi si moltiplicano le iniziative di ecocertificazione di una gestione forestale sostenibile. Omissis Bibliografia richiamata nella nota Del Favero R. (1996) Il significato delle tipologie forestali nella selvicoltura prossima alla natura. Dendronatura, n.2, pp Lanier L. (1992) La foret doit-elle etre mélangée? R.F.F., XVIV(2), pp Otto H.J. (1997) Les forets de Basse-Saxe en Allemagne du Nord: Un passé difficile commande une gestion nouvelle: Le programme gouvernemental LOWE, principes d une sylviculture proche de la nature. Rev. For. Fr. XLIX -5. Schutz J.Ph. (1990) Sylviculture 1. Principes d éducation des forets. Presses Polytechniques et Universitaires Romandes. 5 Anche per evitare, è stato detto, l apparente ossimoro insito nell espressione selvicoltura naturalistica (Volynsky 1994).

9 9 importante per la diffusione della selvicoltura naturalistica in Europa, tanto che nel 1989 fu fondata un associazione europea (denominata Pro Silva) con lo scopo di diffondere questo tipo di approccio colturale (Volynsky 1994). Senza preoccuparsi di enfatizzare differenze terminologiche destinate a risultare nella prassi alquanto sfumate se non effimere, continuiamo, nella nostra trattazione, ad usare il termine di selvicoltura naturalistica ; e per quanto attiene i suoi contenuti e i suoi metodi proponiamo la sintesi, tanto efficace quanto scevra da inutili rigidità, recentemente pubblicata da Paci (2004), che individua come obbiettivi portanti del metodo i seguenti: a) mantenere la continuità della copertura, attraverso la promozione della rinnovazione naturale, senza peraltro escludere, anche nella prospettiva di una gestione su basi naturali, la rinnovazione artificiale come mezzo per integrare la rinnovazione naturale, ove ciò si renda necessario; ponendo in questo caso scrupolosa attenzione all origine e alle caratteristiche genetiche del materiale di propagazione che viene utilizzato 6 ; b) favorire la formazione e la diffusione di boschi di specie autoctone, senza escludere a priori l impiego di specie introdotte, che possono rivestire importanza non solo sotto il profilo produttivo, ma anche per l azione di assorbimento dell anidride carbonica atmosferica (carbon sink); c) definire e ponderare gli interventi colturali a scala differenziata, sulla base dell osservazione che il bosco è un mosaico di situazioni stazionali e strutturali, da gestire con interventi modulati sulle singole tessere del mosaico (microstazioni, collettivi arborei, ecc.); ne consegue che uno dei fondamenti della selvicoltura naturalistica è l elasticità nelle forme di trattamento: tagli successivi nelle diverse varianti, tagli saltuari, forme di trattamento intermedio e perfino tagli rasi possono coesistere nello stesso bosco, purché vengano applicati di volta in volta con intensità ed estensioni da calibrare sul contesto ambientale e strutturale del popolamento 7 ; d) assecondare la multifunzionalità del bosco coniugando protezione di suolo e clima, biodiversità, equilibri biologici, produzione, paesaggio, turismo, ecc., con la funzione di produzione legnosa, tenendo ben fermo il vincolo che il prelievo legnoso sia compatibile con l obiettivo primario delle cure al bosco; vale a dire, 6 Attenzione non prestata sufficientemente, ad esempio, nel corso dell applicazione del regolamento 2080, un po in tutta Italia ma anche in Basilicata. 7 E questo il concetto della scelta libera dei tagli (free choice of fellings) propugnato da Leibungudt (in Schutz 1999), secondo il quale l applicazione della selvicoltura close to nature implica la necessità di adottare una molteplicità di sistemi selvicolturali.

10 10 che qualsiasi utilizzazione legnosa abbia al contempo un significato colturale e ponga la massima attenzione alla valorizzazione delle potenzialità produttive stazionali e individuali. Si aggiunge che l ormai assodato principio della multifunzionalità del bosco va integrato con la presa di coscienza che il bosco è inserito in una rete di ecosistemi interagenti fra loro e, quindi, che le scelte gestionali devono necessariamente essere valutate anche alla scala di paesaggio. Opportunamente, Paci (2004) pone infine in guardia sulla infondatezza ecologica e l inopportunità colturale di alcune generalizzazioni, talvolta impropriamente utilizzate come icone della selvicoltura naturalistica: in particolare, la necessità di perseguire, ovunque e ad ogni costo, il modello del bosco misto a struttura disetaneiforme, nonché un certo modo, rigido e univoco, di applicare il concetto di biodiversità nella gestione forestale (v. paragrafo 3.2). 3.1 Metodi e orientamenti colturali Vengono presentati qui di seguito metodi e orientamenti colturali che devono essere attentamente considerati, sia nel momento in cui si stabiliscono i criteri di massima della pianificazione aziendale sia in quello in cui si procede, caso per caso (ovvero per singola particella forestale), alla definizione delle prescrizioni colturali e quindi alla messa in opera, con la martellata, dei trattamenti previsti dal piano di assestamento Rinnovazione naturale L analisi dei processi di rinnovazione naturale delle specie arboree che edificano la comunità forestale, e dei fattori limitanti che li condizionano, è una fase cruciale nell approccio di selvicoltura naturalistica, costituendo la base per poter valutare le prospettive di uso, conservazione ed evoluzione dell ecosistema (Piussi 1994). La rinnovazione naturale determina la dinamica compositiva e strutturale delle comunità forestali. In quelle non disturbate dall uomo il reclutamento dei semenzali avviene nelle interruzioni della copertura. Queste interruzioni, di dimensioni variabili, sono originate dal crollo di uno o pochi alberi, più o meno prossimi al compimento del loro ciclo vitale, resi meccanicamente instabili da fattori biotici (insetti, funghi) e abiotici (vento, neve). Nelle foreste coltivate, le interruzioni della copertura vengono invece realizzate con i tagli di rinnovazione e possono essere sia localizzate sia distribuite in modo più o meno uniforme nello spazio; in entrambi i casi, esse devono determinare livelli di luce adeguati per

11 il reclutamento di una nuova generazione di alberi (Chadwick & Larson 1996, Paci & Ciampelli 1996). Le tecniche colturali incentrate sulla rinnovazione naturale sono le più idonee per le foreste che svolgono funzioni multiple. Peraltro, l adozione di sistemi colturali basati sulla rinnovazione naturale richiede una buona conoscenza del funzionamento e della dinamica dell ecosistema e la disponibilità di personale tecnico ben addestrato, dotato di approfondita conoscenza dell ambiente in cui opera. Certamente utile risulta, ad esempio, stimare se in un certo contesto è ragionevole poter contare sulla rinnovazione naturale. Possono bastare semplici indagini sulla diffusione e consistenza della rinnovazione nelle diverse tessere ambientali della foresta, eventualmente corredate dalla stima di un indice di rinnovazione (cf. Magini 1967), ma può risultare di notevole utilità anche un analisi vegetazionale, in cui si utilizzano la vegetazione del sottobosco come indicatore ambientali (Bucci & Borghetti 1997), oppure la messa a punto di indici di rinnovazione a partire da parametri stazionali (Tegelmark 1998). Le condizioni che possono impedire o limitare la rinnovazione naturale vanno poi analizzati in dettaglio, facendo riferimento alle diverse fasi in cui si sviluppa il processo e ai fattori limitanti che possono intervenire (Piussi 1994). Produzione, dispersione e predazione del seme. Fondamentale per innescare la rinnovazione naturale, la disponibilità di seme è assicurata dalla presenza di alberi in grado di produrre e diffondere seme vitale (alberi portaseme); la loro presenza dipende dalle caratteristiche della foresta (composizione specifica, distribuzione degli alberi per classi di età, distribuzione spaziale degli individui) e da come queste caratteristiche sono modificate dai trattamenti colturali. Trattamenti che comportino la rimozione di alberi maturi vicini o che comunque determinino una eccessiva frammentazione della popolazione possono ridurre i processi riproduttivi e di conseguenza la disponibilità di seme. Molta attenzione va prestata al caso di specie accessorie, già caratterizzate da una distribuzione frammentata, soprattutto qualora la strategia gestionale preveda la loro valorizzazione per favorire la biodiversità arborea. E bene, inoltre, per una previsione affidabile sulle potenzialità della rinnovazione naturale, acquisire una buona conoscenza sugli aspetti della biologia riproduttiva (fenologia della fioritura, dispersione del polline, modalità di dispersione del seme, ecc.); questo tipo di informazione è importante soprattutto nel caso di boschi misti nei quali un reclutamento differenziale dei semenzali può determinare 11

12 variazioni nella composizione futura del soprassuolo (Borghetti & Giannini 2002). Vanno inoltre considerati attentamente gli aspetti temporali della produzione di seme; si deve cioè avere un idea il più possibile precisa circa la maturità sessuale delle specie arboree e si deve anche tener conto della periodicità della fruttificazione, in particolare della distanza temporale fra annate di buona produzione di seme (le cosiddette annate di pasciona ); consapevoli, fra l altro, che durante le annate di scarsa produzione anche la qualità del seme (percentuale di semi pieni e facoltà germinativa) è scadente (Mencuccini et al. 1985). La conoscenza delle modalità di dispersione (anemocora, barocora, zoocora) è importante per prevedere la rinnovazione naturale ottenibile a partire da un gruppo di alberi portaseme, e quindi per programmare in modo razionale la distribuzione nello spazio dei tagli di rinnovazione. Specie forestali importanti in Basilicata, quali cerro, faggio e farnetto, sono caratterizzate da modalità di dispersione di tipo barocoro (per gravità), che limita la diffusione del seme nello spazio. La predazione del seme da parte degli animali (artropodi, uccelli, roditori) può rappresentare un importante fattore limitante per la rinnovazione, soprattutto qualora la produzione di seme sia di per sé scarsa o rara. Nei querceti, ad esempio, bisogna attentamente valutare se la predazione o il brucamento delle ghiande può rappresentare un forte rischio per la rinnovazione naturale. Motivi economici e pregressi insuccessi sconsigliano comunque l applicazione di metodi diretti di controllo della predazione. Il metodo migliore è quello di programmare i tagli di rinnovazione (es. il taglio di sementazione) durante annate di forte produzione, in modo da essere sicuri che la quantità di seme sia in eccesso rispetto al consumo da parte dei predatori (Borghetti & Giannini 2002). Germinazione del seme, affermazione e sviluppo dei semenzali. Ulteriore fattore limitante per la rinnovazione è rappresentato dalla disponibilità di substrati e ubicazioni idonee per la germinazione del seme e la crescita dei semenzali; ciò va attentamente valutato quando si programmano i tagli. Nelle faggete, ad esempio, strati spessi di lettiera indecomposta possono rappresentare barriere insuperabili per l affermazione dei semenzali; così come inidoneo può risultare un suolo costipato dal calpestio di animali pascolanti, come spesso accade nei querceti della Basilicata. Durante il loro sviluppo, i semenzali possono essere negativamente influenzati dalla presenza di specie competitrici o da condizioni ambientali non adeguate. Le specie competitrici (es. specie 12

13 nitrofile come i rovi) possono diffondersi in modo vigoroso proprio come conseguenza delle brusche modifiche ambientali indotte dal taglio, ad esempio in seguito a un alto afflusso di energia radiante per una riduzione eccessiva della copertura. La conoscenza dell ecologia della specie che si intende rinnovare, in particolare per quanto riguarda le esigenze di luce, è molto importante per poter modulare in modo corretto i tagli di rinnovazione. Querce e faggio, ad esempio, manifestano diverse esigenze (eliofile le querce, tollerante l ombra il faggio), mentre simili a questo riguardo risultano faggio e abete bianco. Condizioni ottimali di luce per lo sviluppo del novellame devono essere mantenute anche durante gli anni successivi, attraverso appropriati interventi di regolazione della densità nel popolamento indifferenziato del novelleto (sfollamenti). Nei boschi misti, attraverso una manipolazione appropriata delle copertura si può favorire una specie rispetto all altra, influenzando così la composizione futura del soprassuolo. Anche in questo caso le conoscenze sull ecologia della specie sono importanti, in particolare quella che riguarda la capacità di acclimatarsi a variazioni della disponibilità luminosa; è stato visto, ad esempio, che le specie tolleranti l ombra e l aduggiamento (come l abete bianco) mostrano in genere una minore potenzialità di acclimatazione e quindi minore capacità di colonizzare ampie radure, restando così confinate in chiarie (gaps) di piccole dimensioni (Grassi & Bagnaresi 2001). Pascolo in bosco. Rappresenta ancora un problema di grande rilevanza nei boschi dell Italia meridionale e, nel caso specifico, della Basilicata. Il disturbo non è solo rappresentato dal brucamento ma anche dal calpestio, che provoca costipamento del suolo e ne compromette la recettività nei confronti del seme. E certamente importante che, durante la fase di estensione del piano forestale, venga fatta un attenta valutazione socio-economica per stabilire se sia realistico prevedere l interdizione al pascolo delle zone di bosco che verranno messe in rinnovazione. Tagli di rinnovazione. L avvio della rinnovazione naturale richiede, infine, di adottare un sistema di rinnovazione, cioè un procedura colturale (algoritmo di tagli) nel corso della quale vengano create condizioni favorevoli per la riproduzione da seme e per lo sviluppo della rinnovazione. I diversi metodi di rinnovazione (tagli successivi più o meno uniformi, tagli saltuari e forme di trattamento intermedio) non devono essere necessariamente alternativi ma possano trovare applicazione anche nella medesima particella forestale, purché vengano calibrati di volta in volta sul contesto ambientale e strutturale del popolamento (Borghetti & Giannini 2002). 13

14 Conservazione e valorizzazione della biodiversità Dopo le conferenze di Rio e di Helsinki, tenutesi nel 1992 e 1993, la conservazione della biodiversità è diventata uno dei temi centrali del dibattito ambientale e un obbiettivo importante della selvicoltura improntata a criteri di sostenibilità (cf. Hunter 1999). La biodiversità riguarda l ecosistema nel suo complesso e, alle scale più alte, coinvolge anche i rapporti e gli equilibri con gli altri sistemi. Entrano quindi in gioco, oltre alla composizione specifica del soprassuolo arboreo, molte altre componenti, da quella microbiologica a quella animale, da quella strutturale a quella paesaggistica. Anzi, è stato rimarcato che a fronte di una situazione accettabile per quanto riguarda la diversità a livello di specie, in alcune regioni del nostro paese si osserva oggigiorno proprio una forte riduzione della diversità di ambienti e una semplificazione del mosaico paesaggistico, dovuta all'estensione dei boschi sui coltivi e sui pascoli abbandonati e all'evoluzione dell'agricoltura (Paci 2004) 8. Da segnalare che apprezzabili tentativi di definire degli indicatori di biodiversità per la determinazione dei valori di naturalità, rarità e valore ecologico delle stazioni, e per la verifica degli effetti dei trattamenti selvicolturali, sono stati recentemente compiuti per boschi alpini, basandosi sul concetto di tipologia forestale (Del Favero 1999, 2005). Prescindendo da posizioni rigide che attribuiscono alla biodiversità un significato illimitatamente positivo, certamente l idea che la biodiversità sia una forma di assicurazione contro la riduzione di funzionalità dell ecosistema può essere considerata come un idea ragionevole, che ha ricevuto di recente anche conferme sperimentali (Menozzi 1998). L estensione del paradigma diversità/stabilità alle comunità forestali non è comunque automatico; ad esempio, in diversi casi le comunità forestali tendono a costituire cenosi stabili caratterizzate da elevata dominanza di una specie; è il caso, in Basilicata, dei querceti mesofili caratterizzati da forte dominanza del cerro e relativa povertà dendrologica dello strato arboreo dominante. Così come, in più di un caso, è stato evidenziato che la biodiversità a livello di specie (sia vegetale che animale) è più elevata in comunità soggette a disturbi, oppure in boschi considerati meno funzionali e per questo ritenuti da convertire (cedui) o, ancora, come 8 La problematica della conservazione del valore storico e culturale del territorio forestale è stata finora considerata in modo parziale nell ambito dei criteri di gestione sostenibile e delle direttive comunitarie.

15 15 nel caso della vegetazione mediterranea, nelle fasi stadiali precoci (macchia) rispetto a quelle più mature (foresta di leccio). Benché Menozzi (1998) sostenga che, data la complessità dei fattori che deve essere considerata da coloro che gestiscono le foreste, sorgono dubbi sul fatto che la valutazione del rapporto fra biodiversità e funzionamento della foresta possa essere il fattore critico su cui incardinare le ipotesi gestionali è comunque importante essere consci che, nella sua azione, il selvicoltore inevitabilmente altera la composizione e la struttura della comunità forestale. Gli interventi selvicolturali nella maggior parte dei casi sortiscono l effetto di inibire o favorire la rinnovazione e lo sviluppo di specie che già naturalmente partecipano della comunità e dei processi di successione. Gli effetti sulla composizione della comunità possono essere più o meno rapidi a secondo della condizioni di partenza, delle caratteristiche ambientali, delle modalità con cui è organizzata la gestione colturale. Certamente auspicabile sarebbe che, in riferimento agli obbiettivi gestionali, venisse attentamente considerato il rapporto fra manipolazione colturale, da una parte, e struttura / composizione della comunità forestale, dall altra. Ciò richiede che, nel momento in cui si attua un certo trattamento, vengano valutati, in modo quantitativo, ove ciò sia possibile, oppure basandosi su semplici osservazioni e successive interpretazioni logiche, gli aspetti relativi al mosaico ambientale e alle esigenze ecologiche delle singole specie. Coerentemente con questa necessità, la selvicoltura si sta sempre più indirizzando verso la programmazione di interventi frazionati nel tempo e nello spazio 9, in cui i prelievi fanno sempre meno riferimento a una unità fissa di superficie ma bensì ad alberi o gruppi di alberi (coorti), che cadranno al taglio solo dopo una puntuale valutazione dei possibili effetti ecologici dell intervento. Valutazione che deve considerare le condizioni ambientali, prevederne le modifiche (es. creazione di margini interni caratterizzati da condizioni ecotonali, di radure soggette a continentalizzazione del clima, di buche esposte alla radiazione solare, ecc.) e formulare ipotesi sulla risposta ai cambiamenti delle singole specie (Chadwick & Larson 1996). Il trattamento deve comunque far sempre salve le potenzialità evolutive della comunità, così salvaguardando obbiettivi gestionali che, nel futuro, potrebbero essere diverse da quelli attuali. Riveste molta importanza, in questa prospettiva, la conservazione di individui arborei rappresentativi di specie sporadiche e minoritarie che possono però rappresentare fondamentali fonti di seme per la diffusione della 9 Si tratta di una tendenza che deve comunque fare i conti con gli aspetti economici, perché l applicazione di un modulo selvicolturale continuativo e progressivo richiede una continuità di risorse non sempre facilmente realizzabile.

16 16 specie. Al selvicoltore è pertanto richiesto, sia nel momento in cui si definiscono le prescrizioni colturali nell ambito del piano a scala aziendale, sia in quello in cui si procede alla scelta concreta (con la martellata ) degli individui da prelevare, un forte sforzo di sintesi fra conoscenze di base, percezione dell ambiente, interpretazione della storia naturale e colturale. Sintesi che dovrebbe fornire risposta alla triplice domanda cui il selvicoltore cerca di dare risposta dinanzi al bosco che sta esaminando e che si accinge a manipolare : com è, da dove viene, dove andrà Ben coscienti, comunque, che nel caso di ecosistemi complessi le previsioni di medio-lungo periodo sono difficili, sicché il selvicoltore deve essere pronto, in conformità a quelli che sono i principi della gestione adattativa (adaptive management), a imparare dai propri errori e ad aggiustare di conseguenza il tiro delle proprie decisioni; a tale necessità viene incontro la programmazione colturale improntata a interventi prudenti e frazionati del tempo. Nell approccio concreto alla conservazione della biodiversità forestale devono pertanto prevalere valutazioni e decisioni da stabilire caso per caso sulla base degli obbiettivi generali della gestione e comunque fondate su una diagnosi approfondita dello specifico contesto in cui si opera, evitando sia posizioni massimaliste quanto improprie e rischiose estrapolazioni. Il caso della conservazione del legno morto e della necromassa in genere (Nocentini 2005) può servire come utile esemplificazione. Se da una parte, infatti, il principio è ben condivisibile ed è vero che la selvicoltura naturalistica richiede di prestare attenzione a ogni dettaglio del sistema, come il sottobosco, gli humus, gli individui secchi o marcescenti, a terra o in piedi, e ad essi si debba guardare come habitat importanti per accrescere o mantenere la biodiversità di uccelli, insetti e funghi saprofiti, è peraltro altrettanto vero che nei boschi più antropizzati e nei sistemi a più elevato grado di artificialità, il legno marcio o quello non scortecciato possono rappresentare pericolosi focolai di infezioni in grado di mettere a rischio la funzionalità del sistema (Paci 2004). 10 Attenzione quindi ad evitare che l applicazione acritica di un pur giusto principio ecologico porti a gravi conseguenze per la 10 Caso da considerare con attenzione è anche quello dei residui di utilizzazione, per i quali si raccomanda comunque lo sminuzzamento e il rilascio in situ; a parte casi particolari, si tende di solito a sovrastimare l aumento del rischio di incendio dovuto ad accumuli di ramaglia, frasca, ecc. soprattutto nel caso dei boschi submontani e montani; in fustaie di cerro, è stato visto che la ramaglia si decompone nel giro di pochi anni; si sconsiglia comunque la pratica dell abbrucciamento dei residui che, oltre a determinare una perdita di sostanza organica, può causare, qualora eseguito in bosco come spesso si tende a fare, danni anche consistenti (cretti da calore) ai fusti delle piante (N. Moretti, 2005, comunicazione personale).

17 17 salvaguardia dell ecosistema stesso Struttura, provvigione, forma di governo Struttura del popolamento. Le strutture multiplane sono considerate maggiormente versate al conseguimento di determinati obbiettivi funzionali (fissazione della CO 2 atmosferica, resistenza e resilienza ai disturbi, biodiversità, ecc.) e, in generale, i soprassuoli pluristratificati e misti sono caratterizzati da una utilizzazione più efficiente dello spazio aereo e di quello ipogeo (Piussi 1994). Inoltre, oltre all ottimizzazione dei fattori di produzione legati al suolo, all interno delle formazioni miste il clima risulta più uniforme e conveniente per il mantenimento della densità tra i vari strati, al mutuo rapporto tra le specie e all efficace utilizzazione della luce da parte degli individui. Nondimeno, nel momento in cui si stabiliscono i criteri della pianificazione forestale si consiglia di non assumere, in modo rigido e acritico, che esista una struttura, sia in termini di composizione specifica che di distribuzione nello spazio degli individui, che possa risultare sempre ottimale, sia in rapporto alla funzionalità del bosco che al raggiungimento degli obbiettivi gestionali. Si sconsigliano, in particolare, interventi che mirino a rapide e drastiche trasformazioni della struttura dei popolamenti. Il punto di partenza da cui prendere le mossa, in modo cauto e prudenziale, deve essere rappresentato da una valutazione accurata delle caratteristiche attuali del popolamento e delle sue potenzialità. L apprezzamento quantitativo della struttura del popolamento arboreo fornisce elementi e informazioni importanti su cui il selvicoltore deve riflettere in relazione alla pianificazione degli interventi colturali. La distribuzione di frequenza dei diametri dei fusti, misurati a petto d uomo, fornisce una rappresentazione semplice quanto efficace di quali classi dimensionali siano presenti nella cenosi. In generale, distribuzioni in cui la maggior parte degli individui siano concentrati in una o poche classi diametriche indicano strutture di tipo monoplane e, quindi, in linea generale, anche un modesta diversificazione dell habitat (è il caso, abbastanza frequente, dei querceti mesofili presenti in Basilicata e anche di molte delle faggete ad agrifoglio). Oltre a questa rappresentazione è utile acquisire anche informazioni sulle modalità di distribuzione orizzontale nello spazio degli individui e su quella verticale delle chiome; entrambe sono determinate dalle dinamiche naturali (es. modalità e tempi d insediamento della rinnovazione naturale, processi di competizione) e dai trattamenti colturali passati, così come condizionano la scelta di

18 18 quelli a venire. E rilevante, in particolare, apprezzare il grado di competizione e gerarchia sociale; ed è soprattutto importante che, nel momento della martellata, ciò venga fatto sulle singole tessere del popolamento, valutando quindi nel concreto, per singoli individui o gruppi di alberi, quale sia il livello di interazione fra le piante e come lo si intenda modificare con il taglio (Chadwick & Larson 1996). Obbiettivi provvigionali. Nell affrontare questo argomento non si può non ricordare che i boschi dell Italia meridionale sono stati fortemente alterati, nel corso degli ultimi secoli, da diversi fattori: utilizzazioni su ampia scala e reiterate a brevi intervalli di tempo, come è accaduto anche nell ultimo dopoguerra; pascolo non regolamentato; tagli di rinnovazione eseguiti con modalità incompatibili con l ecologia della specie e con le stazioni da esso occupate 11. In molti casi tutto ciò ha portato a una semplificazione della composizione specifica e della struttura del soprassuolo; ad esempio, in molti casi il querceto mesofilo e la faggeta sono stati coetaneizzati su ampie superficie, creando così difficoltà, sul piano assestamentale, per quanto riguarda la distribuzione delle superfici forestali in classi cronologiche (La Marca 1989). Oltre a ciò la forte pressione esercitata dall uomo ha determinato una discesa dei livelli provvigionali, che in alcuni casi si sono pericolosamente avvicinati, quando non le hanno superate, le soglie che possono segnare il collasso della struttura forestale. Così si esprime La Marca (1989) a proposito dei livelli provvigionali dei boschi in Basilicata: a volte si è così distanti dallo stato normale da rendere improcrastinabile l attuazione di una politica intesa al riordino bioecologico delle varie formazioni forestali e al ripristino delle strutture che possano conferire una maggiore stabilità al bosco., e ancora i livelli provvigionali dei boschi che hanno avuto un piano di assestamento sono alquanto carenti: il deficit è pari a oltre il 25%. In un tale contesto colturale, e nelle non facili condizioni ambientali che caratterizzano i boschi meridionali, l individuazione di livelli minimali di provvigione può rappresentare un utile riferimento e, soprattutto, un importante obbiettivo assestamentale. A questo riguardo (cf. anche Ciancio et al. 2002) si possono suggerire i seguenti livelli indicativi minimali: fustaie a prevalenza di specie arboree eliofile: m 3 ha -1 ; fustaie a prevalenza di specie a fototemperamento intermedio: m 3 ha -1 ; fustaie a prevalenza di 11 Si pensi, ad esempio, al vecchio taglio borbonico del Regno di Napoli (Hofmann 1956).

19 19 specie arboree che sopportano l aduggiamento: m 3 ha -1. Forma di governo. Il governo ad alto fusto viene a ragione considerato come quello più adatto a conferire al bosco una struttura che assolva al meglio le numerose funzioni che vengono oggigiorno richieste alla foresta (v. paragrafo 3.4). Tuttavia, anche se in molti casi si può utilmente pensare a una conversione all alto fusto dei boschi cedui (la condizione più favorevole è rappresentata dai cedui di faggio), persistono anche numerose situazioni in cui, sia per il contesto socio-economico sia per le condizioni ambientali, che sconsigliano comunque di intraprendere un taglio di avviamento, tale operazione non può essere consigliata 12. In questi casi conviene fare affidamento su meccanismi di conversione naturale, laddove non vi sia la convenienza economica a utilizzare il ceduo, oppure optare, alternativa possibile e consigliabile soprattutto nel caso della proprietà pubblica, su un allungamento dei turni di ceduazione. Possono essere consigliati i seguenti turni: non inferiori a anni per i cedui a prevalenza di sclerofille sempreverdi; a anni per i cedui misti dell orizzonte submontano; a anni per quelli a prevalenza di castagno e di faggio (cf. anche Ciancio et al. 2002, Ciancio & Nocentini 2004) Multifunzionalità della foresta Alessandro Wolynski (online, citato in precedenza) affronta in modo efficace la tematica della multifunzionalità del bosco, così esprimendosi: la selvicoltura moderna è nata sostanzialmente con un approccio monofunzionale, rivolto a conseguire la continuità dell'approvvigionamento legnoso, messo in pericolo dagli abusi e dal sovrasfruttamento. Soprattutto negli ultimi decenni a fronte di una progressiva diminuzione dei proventi della vendita di legname, è venuta tuttavia crescendo l'importanza di altre funzioni. Non sempre tali nuove funzioni sono compatibili con la massimizzazione delle rendite derivanti dalla vendita del prodotto legnoso, con altre funzioni attualmente richieste alla foresta o anche tra loro, e ciò conduce inevitabilmente a dei conflitti. Le soluzioni possono essere due: 1) soddisfare le diverse funzioni separandole spazialmente; 2) cercare un compromesso tra più funzioni sulle medesime superfici (multifunzionalità). Questa seconda soluzione consente di evitare le aberrazioni ecologiche derivanti dalle opzioni monofunzionali, garantendo con maggiore agio l'efficienza del bosco inteso come ecosistema. La multifunzionalità, ovvero la capacità di soddisfare 12 Per una trattazione esaustiva delle problematiche relative alla selvicoltura e alla gestione dei boschi cedui si rimanda al recente volume di Ciancio & Nocentini (2004).

20 20 contemporaneamente diversi bisogni dell'uomo, è da considerare infatti come una caratteristica intrinseca degli ecosistemi boscati. Questo tipo di approccio, man mano che aumenta la percezione dei valori di cui è portatore il bosco, conduce gradualmente alla coscienza del valore del bosco in sé, come sistema vivente. Raggiunto questo stadio di percezione del bosco, è possibile allora anche graduare in senso spaziale la combinazione di funzioni diverse, avendo comunque come punto di riferimento l efficienza funzionale del sistema, che si vuole proteggere. Parallelamente all'accumularsi di funzioni attribuite alla foresta, la sostenibilità o durevolezza, che non è un concetto nuovo nella scienza forestale, ma che originariamente veniva riferito alla sola produzione legnosa, diviene sostenibilità di un numero sempre maggiore di funzioni, delineandosi nel suo significato attuale. Calate nel contesto delle foreste lucane di proprietà del demanio regionale, queste considerazioni acquistano significato pregnante, in quanto è proprio la foresta di proprietà pubblica che dovrebbe svolgere il ruolo elettivo di modello in cui si valorizzano le funzioni multiple del bosco. Se è vero, infatti, che una razionale gestione, condotta sui principi della selvicoltura naturalistica, di per sé porta a coniugare funzione produttiva e protettiva, nel contesto lucano appaiono ancora carenti i tentativi di impostare un soddisfacente uso turistico-ricreativo del bosco. Hanno infatti finora prevalso impostazioni e realizzazioni (aree picnic, punti di ristoro) in cui sostanzialmente si trasferiscono in bosco le abitudini consumistiche cittadine, in una sorta di banale e poco edificante convivialità en pleine aire, foriera spesso di irrisolti problemi connessi allo smaltimento dei rifiuti e al costipamento del suolo. Andrebbero invece incentivate forme di attività e di presenza (escursionismo lungo percorsi tematici, convenientemente illustrati, visite guidate, esposizioni naturalistiche, valorizzazione di punti panoramici e vestigia colturali come aie carbonili, fontane, vecchi pozzi, ecc.) che invoglino la gente a percorrere e percepire il bosco come ambiente naturale e colturale di grande fascino e interesse; così come la fruizione del bosco andrebbe coordinata con l uso turistico del territorio circostante, coinvolgendo gli operatori specializzati nel settore Rinaturalizzazione dei rimboschimenti Da tempo si parla, per molti rimboschimenti di conifere costituiti a scopo di protezione idrogeologica, di favorire la tendenza, spesso già in atto, a un ritorno delle latifoglie indigene (Bernetti 1995). Ben

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