CAPITOLO IV TECNOLOGIE DEI MATERIALI SEMICONDUTTORI
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- Serena Masi
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1 CAPITOLO IV TECNOLOGIE DEI MATERIALI SEMICONDUTTORI (C. Arnone, G. Lullo, S. Riva Sanseverino) Evoluzione della semiconduttoristica. Nel Cap.I delle dispense del corso sono state analizzate le modificazioni del comportamento elettrico dei materiali semiconduttori dovute alla presenza di piccolissime percentuali di prescelte impurità droganti. La possibilità di prevedere il comportamento dei semiconduttori drogati è legata direttamente alla disponibilità di materiali aventi caratteristiche vicine a quelle dei modelli per essi adottati nei calcoli teorici. I primi venti anni dalla invenzione del transistore (avvenuta nel 1947 ad opera di Shockley, Bardeen e Brattain) sono stati pertanto caratterizzati da un notevole impegno di ricerca per sviluppare tecniche di produzione di materiali semiconduttori di alta qualità. Occorre sottolineare, a tal proposito, che l'evoluzione di tali tecniche è stata legata non solo alle proprietà elettriche dei materiali, ma anche alle loro proprietà chimiche. Basti ricordare la preferenza inizialmente data al germanio, perché chimicamente meno reattivo del silicio e quindi più facile da controllare nei processi di produzione, purificazione e drogaggio. Da un punto di vista delle caratteristiche elettriche, come si vede dai dati riportati in Tabella 1.1, i valori della mobilità nel Ge sono maggiori che nel Si; poiché la massima frequenza di funzionamento di un dispositivo a semiconduttore dipende dalla velocità dei portatori e quindi dalla loro mobilità, si pensò che il comportamento alle alte frequenze dei dispositivi al Ge dovesse essere superiore a quello dei dispositivi al Si. Le precedenti considerazioni restarono valide durante gli anni '50, quando i metodi di fabbricazione delle giunzioni p-n utilizzavano principalmente le tecniche di crescita o di lega. Non appena però si iniziarono ad impiegare le giunzioni diffuse e le esigenze di miniaturizzazione dei circuiti elettronici si fecero sentire sulle tecnologie associate alla semiconduttoristica, il Ge manifestò i suoi limiti. Ad esempio, non si riuscì, malgrado i vari tentativi sperimentali condotti in laboratorio, a trovare un metodo semplice e conveniente per introdurre nelle piastrine di Ge quantità prefissate di impurità in aree di piccole dimensioni, per formare zone di tipo p e zone di tipo n su una stessa faccia della piastrina (tecnologia planare). Di conseguenza, dato che la risposta dei dispositivi a segnali ad alta frequenza (Dicembre 2004)
2 C. Arnone, G. Lullo, S. Riva Sanseverino - Tecnologie dei materiali semiconduttori IV. 2 (> 1 MHz) oltre che dalla velocità dei portatori dipende anche dal tempo da essi richiesto per muoversi da una zona all'altra, l impossibilità di diminuire le dimensioni trasversali dei dispositivi si trasformò in una limitazione della massima frequenza di funzionamento. Inoltre, in relazione alla minore banda interdetta del Ge (0,67 ev) rispetto a quella del Si (1,11 ev), anche a temperature non troppo elevate nel Ge drogato può aver luogo una non trascurabile generazione di coppie elettrone-lacuna per effetto termico; ne consegue una possibile cancellazione dell'effetto fondamentale del drogaggio che, sostanzialmente, è quello di determinare il tipo di portatori (elettroni o lacune) cui è affidato il trasporto della corrente nel materiale semiconduttore. Questa maggiore dipendenza della concentrazione dei portatori liberi dalla temperatura, per valori di questa non molto elevati, insieme alla limitazioni tecnologiche già dette, determinò la netta preferenza verso l'impiego del silicio al posto del germanio. La delineazione di piccole geometrie nelle piastrine di Si (e quindi il superamento delle limitazioni nell'impiego in alta frequenza a causa dei minori valori di mobilità rispetto al Ge) si rivelò subito facilmente possibile grazie a tre favorevoli caratteristiche tecnologiche ed ad una vantaggiosa caratteristica di tipo economico: 1) la facilità di formazione di strati superficiali di un composto, il biossido di silicio (SiO 2 ), molto stabile e con ottime caratteristiche dielettriche; 2) la possibilità di applicazione di tecniche fotolitografiche; 3) i vantaggiosi rapporti dei coefficienti di diffusione delle impurità attraverso il Si ed il SiO 2 ; 4) il silicio di qualità sufficiente alla fabbricazione di dispositivi costa molto meno degli altri semiconduttori. Nella forma di silice (SiO 2 ) o di silicati costituisce il 25% della crosta terrestre; per abbondanza è secondo solo all ossigeno. I film sottili di biossido di silicio si ottengono facilmente esponendo la superficie delle piastrine di Si ad una atmosfera contenente O 2 in un forno a temperatura elevata ( C). Pur essendo strutturalmente amorfo (senza un ordine periodico nella disposizione dei singoli atomi, neppure in volumi microscopici) il biossido di silicio, quando è ottenuto con processi di ossidazione termica, resiste bene alla maggior parte dei solventi e degli acidi più comuni. Esso, inoltre, presenta la peculiarità di poter essere attaccato dall'acido fluoridrico (HF) senza che le superfici di silicio non ricoperte da SiO 2 vengano alterate sensibilmente. Come detto al punto 3), altra proprietà vantaggiosa del SiO 2 è che, nei processi di drogaggio, la diffusione delle impurità procede bene sulle facce di Si esposte al drogante, mentre non vi è praticamente alcuna diffusione attraverso lo strato mascherante di SiO 2.
3 C. Arnone, G. Lullo, S. Riva Sanseverino - Tecnologie dei materiali semiconduttori IV. 3 Le suddette proprietà fanno intuitivamente prevedere come sia possibile drogare alcune zone di una piastrina di silicio "selettivamente" rispetto ad altre, permettendo la realizzazione di geometrie le cui dimensioni trasversali possono spingersi fino alla risoluzione consentita dalle tecniche fotolitografiche (attualmente intorno a 0,12 micron per dispositivi commerciali). Le considerazioni esposte giustificano la rapida evoluzione della tecnologia del silicio nell'ultimo ventennio, alla base dello sviluppo della "microelettronica", oggi sempre più frequentemente sostituita dalla nanoelettronica per l ulteriore riduzione delle dimensioni. Pertanto, in quanto segue, si farà sempre riferimento al silicio Crescita dei monocristalli. Si è già ripetutamente osservato che piccole percentuali di droganti in un semiconduttore puro sono capaci di produrre sostanziali modificazioni del suo comportamento elettrico. Ciò deve far riflettere sul fatto che il materiale semiconduttore di partenza deve essere estremamente puro. Fissando una concentrazione drogante di atomi/cm 3, affinché una piastrina di Si possa essere utilizzata per la fabbricazione di dispositivi, è necessario che il contenuto per cm 3 di impurezze non volute sia inferiore ad 1/100 della concentrazione minima prefissata; poiché un cm 3 di silicio contiene circa 5 x atomi, non può essere tollerata una presenza di sostanze non volute in concentrazioni superiori ad un atomo ogni 5 miliardi di atomi di silicio. Un tale grado di purezza è senza dubbio tra i più elevati di quelli normalmente richiesti per i materiali utilizzati in campo industriale; ne consegue che uno dei costi maggiori per le industrie produttrici di dispositivi elettronici a stato solido è quello dell'approvvigionamento dei materiali che, per poter essere impiegati, devono essere estremamente puri. E tale requisito comprende non solo i materiali di base (semiconduttori e droganti) ma anche tutte quelle sostanze chimiche e quegli ambienti che vengono a contatto o impiegate nelle varie fasi del ciclo produttivo (solventi organici e inorganici, acidi, gas), la cui purezza, per questo tipo di applicazioni, viene denominata "di grado elettronico". Per i cristalli semiconduttori, oltre alla loro purezza, è necessario che essi siano esenti da difetti e distorsioni nella struttura cristallina, poiché ogni difetto degrada la qualità elettrica del materiale base, introducendo nel diagramma a bande di energia stati energetici localizzati all'interno della banda interdetta (centri trappola e centri di ricombinazione).
4 C. Arnone, G. Lullo, S. Riva Sanseverino - Tecnologie dei materiali semiconduttori IV. 4 Tra le varie tecniche di crescita di materiali semiconduttori in cristallo singolo o monolitici (dalle parole greche monos e lithos, cioè unica pietra ) e con il necessario grado di purezza, accenneremo al metodo di Czochralsky. Si dispone del silicio policristallino di alta purezza in un contenitore non reattivo e lo si porta alla temperatura di fusione del silicio (1412 C), curando di immettere nel "crogiolo" anche la voluta percentuale di elementi droganti (normalmente il Si viene prodotto con un drogaggio di partenza, p o n, dell'ordine di atomi/cm 3 ). Un piccolo campione di Si monocristallino (seme con struttura cristallina cubica a facce centrate), della voluta orientazione cristallografica, viene portato a contatto con la superficie fusa e fatto ruotare lentamente (fig.1). La rotazione assicura una sufficiente uniformità termica per la crescita; la parte del seme immersa nel silicio fuso fonde anch'essa; a questo punto al movimento rotatorio del seme viene aggiunto un moto assiale verticale. Questo lento sollevamento determina il raffreddamento della zona di materiale fuso aderente al seme, con conseguente formazione della "carota" monocristallina di dimensioni trasversali molto maggiori di quelle del seme di partenza, ma con la medesima orientazione degli assi cristallografici. Con questa tecnica si riescono a produrre attualmente carote di cristalli singoli di silicio aventi diametro fino a cm (8-12 pollici) e lunghi oltre un metro. Fig. 1
5 C. Arnone, G. Lullo, S. Riva Sanseverino - Tecnologie dei materiali semiconduttori IV. 5 Dalle carote si ottengono, per taglio, fette di Si dello spessore di 0.5 mm, le cui superfici vengono levigate e lucidate con abrasivi via via più fini, fino a renderle speculari. A questo punto le fette sono pronte per le successive fasi di lavorazione Tecnologia planare Con tecnologia planare si intende il processo di introduzione di impurezze volute in aree di dimensioni molto piccole e sempre su una stessa faccia della fetta, allo scopo di creare di regioni di tipo p e regioni di tipo n. L'introduzione delle impurità avviene normalmente per diffusione attraverso le zone della superficie della fetta non protette da uno strato di SiO 2, che svolge la funzione di maschera. La diffusione interessa normalmente uno spessore della fetta dell'ordine dei 5 micron; pertanto le giunzioni p-n ed i dispositivi così creati risultano molto prossimi alla superficie e la maggior parte dello spessore della fetta ha solo funzione di supporto meccanico. Il processo di tecnologia planare è costituito da un ciclo di lavorazioni elementari ripetuto più volte, in successione, ogni volta utilizzando maschere differenti. Uno dei vantaggi principali di tale tecnica è che ogni fase di lavorazione viene applicata sull'intera superficie della fetta, processando simultaneamente migliaia di dispositivi. Il costo del processo di lavorazione, in se molto elevato, incide quindi sul costo dei singoli dispositivi in misura inversamente proporzionale al loro numero sulla fetta. Più dispositivi elementari (transistori, diodi, resistenze, capacità, ecc.) possono essere creati su una stessa fetta, sempre in tecnologia planare, e collegati tra loro per realizzare interi circuiti, che prendono il nome di "circuiti integrati" [IC inventati da Kilby (Texas) e Noyce (Fairchild Semiconductors) nel 1958; Kilby e Noyce l anno successivo fondarono la Intel]. E ancora, con il processo di integrazione negli anni sempre più spinto (MSI, LSI, VLSI, ULSI, GSI), più circuiti possono essere collegati per formare un sistema complesso (ad esempio, un microprocessore). Ogni dispositivo completo realizzato, sia esso un diodo, un transistore o un circuito integrato complesso, viene successivamente separato meccanicamente da tutti gli altri e costituisce il cosiddetto "chip", pronto per essere incapsulato nel suo contenitore, normalmente di plastica nera, con i piedini che rappresentano i terminali di accesso dall esterno. Esaminiamo sommariamente i vari passi di cui è costituito il processo planare. Essi sono:
6 C. Arnone, G. Lullo, S. Riva Sanseverino - Tecnologie dei materiali semiconduttori IV. 6 1) formazione dello strato epitassiale; 2) formazione dello strato di biossido di silicio; 3) rimozione selettiva del biossido; 4) deposizione delle impurità droganti; 5) diffusione; 6) impiantazione; 7) metallizzazione. Mentre il primo e l ultimo passo vengono effettuati normalmente una sola volta per ogni fetta, le successive 5 fasi della tecnologia planare vengono ripetute più volte, con differenti geometrie, fino alla completa delineazione delle strutture dei dispositivi e dei circuiti integrati. L'ultima fase, la metallizzazione, ha lo scopo di realizzare sia le interconnessioni elettriche tra i diversi dispositivi di un circuito integrato o tra vari circuiti integrati, sia le aree di contatto per le saldature con gli elettrodi che connettono queste con i piedini (pin) del contenitore, accessibili dall'esterno Strato epitassiale. Il processo epitassiale (dal greco epi e taxi, cioè "accresciuto sopra") consente di realizzare sulla fetta di Si, che funge da substrato, un sottile strato monocristallino di silicio con spessore e drogaggio opportuni. Tale processo viene impiegato soprattutto quando è necessario sovrapporre ad uno strato più drogato uno meno drogato, o quando è richiesto un controllo preciso dei profili di drogaggio (la tecnica della compensazione, con diffusioni di impurità di tipo opposto, praticamente non consente un controllo sufficiente). Esso sfrutta la reazione di riduzione del tetracloruro di silicio (SiCl 4 ) ad opera dell'idrogeno: SiCl 4 + 2H 2 Si + 4HCl Viene anche utilizzata la reazione chimica di riduzione dell idrogeno nel silano (SiH 4 ) : SiH 4 Si + 2H 2
7 C. Arnone, G. Lullo, S. Riva Sanseverino - Tecnologie dei materiali semiconduttori IV. 7 Fig. 2 La deposizione degli atomi di Si sulla fetta è ottenuta dalla scissione della molecola del gas SiCl 4. Per il drogaggio di impurità si aggiunge al flusso di tetracloruro di silicio e idrogeno o del diborano (B 2 H 6 ) per gli strati di tipo p, o della fosfina (PH 3 ) per gli strati di tipo n (fig.2). Lo spessore dello strato diffuso dipende dal tempo per il quale si espone la fetta. La temperatura di circa 1200 C assicura la crescita monocristallina dello strato epitassiale sulla fetta di Si. A temperature inferiori lo strato formato risulta invece policristallino; analoga struttura viene ottenuta accrescendo lo strato epitassiale su un film di SiO 2 accresciuto per ossidazione su una fetta di silicio (tecniche MOS). Occorre ricordare che per i drogaggi di tipo p vengono anche usate fette di nitruro di boro (BN) poste in prossimità delle superfici delle fette di Si Ossidazione. Questo passo del processo planare consiste nella formazione di un film sottile di SiO 2 sulla fetta di Si. Tale strato si ottiene facendo fluire dell'ossigeno sulla fetta portata ad alta temperatura (tipicamente C). Affinché l'atmosfera di reazione sia quanto più possibile incontaminata e controllata, le fette di Si vengono poste in vassoi di quarzo all'interno di un tubo, anch'esso in quarzo, che attraversa assialmente un forno a temperatura controllata. Viene impiegato il quarzo per la sua resistenza fino a temperature di 1200 C (il punto di fusione del Si è 1412 C). La velocità di crescita del biossido di Si dipende sia dalla temperatura che dall'orientazione degli assi cristallografici rispetto alla superficie di crescita. Il suo spessore tipico è di 0.2 micron, ottenibile con una esposizione della fetta ad una atmosfera di ossigeno secco per un'ora, a 1200 C. Più comunemente, però, l O 2 viene umidificato
8 C. Arnone, G. Lullo, S. Riva Sanseverino - Tecnologie dei materiali semiconduttori IV. 8 facendolo gorgogliare in acqua a 95 C, e in tal modo il tempo di ossidazione viene ridotto di circa 10 volte. La reazione chimica che viene sfruttata è: Si + 2H 2 O SiO 2 + 2H 2 Al posto del biossido di silicio, spesso si impiega nitruro di silicio (Si 3 N 4 ) per le sue superiori proprietà di mascheratura Fotolitografia. Dopo che il film di SiO 2 è stato depositato uniformemente sulla fetta di Si, occorre rimuoverlo dalle zone in cui si vogliono effettuare le diffusioni delle impurità. Questa rimozione selettiva viene effettuata con l'impiego di un materiale fotosensibile detto "fotoresist", un polimero liquido che si trasforma in monomero se illuminato con luce ultravioletta (UV). Ponendone poche gocce sulla fetta di silicio, preventivamente lucidata, e centrifugando, il fotoresist si spande uniformemente, formando un film di spessore intorno al micron. Successivamente, al di sopra della fetta viene posta una maschera fotografica, normalmente in vetro, con aree trasparenti e aree opache in corrispondenza rispettivamente delle zone in cui si dovrà o non si dovrà effettuare la diffusione. Il perfetto allineamento tra la maschera e la fetta viene realizzato con metodi ottici. In fig. 3 è illustrata la sequenza delle varie fasi del processo fotolitografico dopo l iniziale preparazione. A questo punto può avvenire l'esposizione, dall'alto, con luce ultravioletta. Le zone opache della maschera assorbono la luce, proteggendo quindi il fotoresist sottostante che resta allo stato polimerico. Nelle zone illuminate, invece, il fotoresist si trasforma da polimero a monomero. Tali zone vengono eliminate nella fase successiva di sviluppo, effettuata immergendo il substrato in una soluzione basica contenente tipicamente idrossido di potassio (KOH), lasciando così scoperte le sottostanti zone di SiO 2. Immergendo la fetta in acido fluoridrico (HF), le zone di SiO 2 non protette dal resist vengono attaccate, generando delle "finestre" sul substrato di silicio. Al termine di tale processo, il resist ancora presente viene asportato con opportuni solventi organici (ad esempio acetone), o con un attacco in fase gassosa in un plasma di ossigeno.
9 C. Arnone, G. Lullo, S. Riva Sanseverino - Tecnologie dei materiali semiconduttori IV. 9 SiO 2 Si - Ossidazione fotoresist SiO 2 Si - Preparazione per la fotolitografia luce U.V. lastra di vetro con zone opache - Esposizione attraverso la maschera - Rimozione del resist esposto (sviluppo) - Attacco del SiO 2 - Rimozione del resist non esposto - Introduzione delle impurità (drogaggio) Fig. 3 Quello appena descritto è il cosiddetto processo "positivo"; sono comunque diffusi anche i processi "negativi", nei quali le finestre vengono generate in corrispondenza delle zone del resist non illuminate Diffusione delle impurità. Questa fase del processo consiste normalmente di due passi: dapprima si depositano le impurità desiderate sull'intera fetta, quindi si porta la fetta ad alta temperatura (circa 1000 C), alla quale le impurità diffondono nel silicio. Tale diffusione è analoga al processo di
10 C. Arnone, G. Lullo, S. Riva Sanseverino - Tecnologie dei materiali semiconduttori IV. 10 diffusione analizzato in precedenza a proposito del meccanismo di trasporto delle cariche libere, con la differenza che a temperatura ambiente la diffusività delle impurità è di molti ordini di grandezza inferiore a quella dei portatori mobili. In altri termini a temperatura ambiente gli atomi impurità sono immobili, e pertanto è necessario innalzare di molto la temperatura della fette di silicio per poter apprezzare una utile diffusione delle impurità. Il processo è governato dalla cosiddetta equazione della diffusione di Fick: C t 2 C = D 2 x dove C è la concentrazione delle impurità droganti, D è la diffusività relativa al tipo di impurità utilizzata per il drogaggio; D è funzione della temperatura secondo la legge: D = D o e E a / kt con D o costante ed E a è definita come energia di attivazione. Durante la deposizione del drogante in superficie vi è già una certa diffusione, secondo l andamento: C( x,t ) x 2 = Cserfc = Cs 1 2 D t π 0 2 x D t e v 2 dv ove C S è la concentrazione in superficie. Non appena la deposizione è completata, la concentrazione delle impurezze nella fetta segue l'andamento gaussiano: C ( x,t ) = N ' π D t e x 2 /( 4 D t ) con N ' = 2 π D t C s La diffusione delle impurità dentro il Si procede per due meccanismi: le impurità "sostituzionali" vanno a collocarsi direttamente nella vacanza di un sito reticolare non occupato da un atomo di Si; le impurità interstiziali si collocano invece tra un atomo e un altro, per effetto della maggiore distanza interatomica esistente ad alta temperatura, ma nel successivo raffreddamento anch'esse si stabiliscono in siti reticolari del Si.
11 C. Arnone, G. Lullo, S. Riva Sanseverino - Tecnologie dei materiali semiconduttori IV Impiantazione ionica. L impiantazione ionica rappresenta un secondo metodo per l introduzione di impurità nel silicio. Un fascio di ioni opportuni (boro per drogaggi di tipo p o fosforo per drogaggi di tipo n) viene accelerato con energie variabili da 30 a 200 kev in un ambiente sotto vuoto. L intensità del drogaggio e la profondità delle impurità (ionizzate) possono essere controllate attraverso la corrente del fascio ed il potenziale di accelerazione. Questo processo è spesso utilizzato per realizzare strati sepolti con concentrazioni di droganti maggiori di quelle degli strati soprastanti. Strati passivanti di biossido di silicio costituiscono una efficace barriera contro l impiantazione, cosicché risultano drogate esclusivamente le zone sotto le finestre nel SiO 2 aperte con le tecniche fotolitografiche. Un altro vantaggio dell impiantazione ionica sta nel fatto che essa viene eseguita a bassa temperatura. Di conseguenza, regioni diffuse in precedenza hanno una minore tendenza ad allargarsi per diffusione termica, cosa che non è possibile ottenere procedendo con diffusioni successive Metallizzazione. I collegamenti elettrici tra i dispositivi di uno stesso "chip" vengono normalmente realizzati tramite un film sottile di alluminio. La deposizione del film avviene sotto vuoto, per condensazione (sulla fetta) dell'alluminio in fase di vapore, generato per riscaldamento dalla fase solida. Anche per tale deposizione si ricorre all'uso del fotoresist, delle maschere e dell'attacco chimico delle zone non ricoperte. La fig.4 mostra un esempio di semplice circuito realizzato con tecnologia planare, ripetendo più volte i passi fin qui descritti. Fig. 4
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